Ecoansia e altre amenità _ Di Claudio Martinotti Doria

Ecoansia e altre amenità

Di Claudio Martinotti Doria

Quante volte ho avuto la tentazione di scrivere un articolo durante i mesi trascorsi, ma poi mi sono sempre detto che in fondo l’argomento l’avevo già affrontato, in genere prevedendolo nei suoi sviluppi con discreta approssimazione, e mi sarei dovuto limitare a brevi aggiornamenti, pertanto rinunciavo, complice anche la vista sempre più indebolita dai 40 anni trascorsi davanti a uno monitor del pc.

Solo ora mi sono deciso a scrivere qualche nota, anche per mettere alla prova la mia vista sempre più sfocata e la conseguente concentrazione, necessaria per scrivere con un minimo di grano salis.

A motivarmi a scrivere è stato in primo luogo l’incredibile e paradossale riscontro che a rifiutarsi di fare la fine di solito riservata a fine ciclo, dei vassalli servili e utili idioti delle élite anglosassoni e affini, sono stati gli africani. Oltre alle sacrosante motivazioni ostili al neocolonialismo, parassitismo, saccheggio, e altre amenità comportamentali tipiche degli imperi neocoloniali (USA in primis), credo gli stati e alcuni popoli africani, si siano accorti di quali pessime e tragiche fini erano destinate le nazioni e popolazioni che si erano fidate degli americani e loro vassalli europei. E tale riscontro stride fortemente con il fatto che le nazioni e le supponenti popolazioni europee, pare non essersene ancora accorte, nonostante siano le principali vittime delle politiche estere, economiche e militari, anglosassoni. L’hanno capita gli africani e gli europei invece no, almeno apparentemente, poi in realtà per molti governi si tratta solo di sottomissione dovuta a corruzione o illusione di carriera, inettitudine e costrizione (ricatti, minacce,  azioni di stampo mafioso, sono ordinaria amministrazione per gli anglosassoni, così come gli omicidi camuffati da suicidi, incidenti domestici, stradali o durante le vacanze).

In breve stanno danneggiando gravemente la loro principale colonia, l’intero continente europeo (con qualche eccezione) per potersi mantenere ancora in vita qualche anno, mantenendo il loro tenore di vita molto elevato, mi riferisco ovviamente alle élite della società anglosassone, non certo al cento medio e medio basso, ormai distrutto anch’esso come in Europa. Perché più che una lotta tra imperi, stati e nazioni, è un conflitto ibrido a tutto campo tra classi sociali, siamo tornati alla lotta di classe, solo che non se ne è accorto quasi nessuno.

Per prolungare l’egemonia ormai al tramonto, gli imperi anglosassoni stanno realizzando una sorta di neofeudalesimo, come scrissi per la prima volta già parecchi anni fa, nel quale i signori feudali in conflitto tra di loro e con alleanze mutevoli, fanno combattere truppe mercenarie e fanno confliggere i servi della gleba dei vari feudi, perché il potere si esercita meglio se la popolazione è ridotta alla lotta per la sopravvivenza e vive nella confusione e paura permanente.

In Europa la più colpita pare essere la Germania, con circa un 25% in più di aziende fallite e una delocalizzazione in atto delle principali industrie tecnologiche e innovative tedesche, che si trasferiscono negli STATI UNITI, dove l’energia costa molto meno, approfittando delle generose agevolazioni create ad hoc dall’amministrazione Biden, proprio mirando a questo scopo: sottrarre le aziende migliori all’UE (il sabotaggio del North Stream aveva questo scopo oltre che quello di separare la Germania alla Russia) e anche di Taiwan.

In realtà la più colpita è l’Italia, solo che i media distolgono l’attenzione dell’opinione pubblica con il trucchetto del diversivo, puntando l’attenzione su quel Paese che sembra messo peggio, a scopo consolatorio e distrattivo.

L’Italia sono almeno una quarantina di anni che intendono spogliarla di tutte le sue ricchezze, ma per riuscirci hanno dovuto procedere per gradi, prima separando il Ministero del Tesoro dalla Banca d’Italia che non fu più obbligata a comprare i titoli di stato emessi ma furono immessi nel fatidico e fantomatico “mercato”, così il debito pubblico inizio a impennarsi. Poi ci fu il famoso incontro del ‘92 sul panfilo Britannia con tutto quelle che ne è conseguito, sul quale non sto ad attardarmi perché hanno scritto decine di libri e centinaia di articoli sull’argomento, è ovvio che per portare avanti un’operazione così complessa e ambiziosa, hanno corrotto e infiltrato migliaia di personaggi nei posti chiave delle istituzioni.

Stiamo parlando di sottrarre agli italiani circa 5000 miliardi di euro di risparmi accumulati (ricchezza privata) e il maggior patrimonio artistico, architettonico, storico, archeologico, immobiliare, naturalistico, ecc.. esistente al mondo, concentrato in una striscia di territorio di appena 300mila kmq in una sorta di “portaerei in mezzo al Mediterraneo” come viene considerata dagli anglosassoni.

Una localizzazione geopolitica strategica che ne ha decretato la sorte.

Noi italiani siamo tendenzialmente esterofili e critici verso noi stessi ma non possiamo negare l’evidenza e sforzandoci di essere realistici dovremmo riconoscere che siamo (nonostante la peggiore classe politica che ci assilla da sempre) il paese più ricco, bello e geniale del mondo, in termini di concentrazione in uno spazio ristretto di tutto quello che possediamo e disponiamo, comprese le migliori menti creative (almeno quelle non ancora emigrate all’Estero m che potrebbero anche tornare se le condizioni lo consentissero). E’ comprensibile che vogliano sottrarcelo. E per farlo le hanno inventate e provate tutte, soprattutto negli ultimi anni, colpendoci a livello sanitario e soprattutto neurologico, perché se la popolazione diventa depressa e confusa sarà più facile ingannarla e farle credere una cosa per un’altra, dire che si sta facendo qualcosa per il loro bene mentre sono messi a 90 gradi per fare ginnastica.

I metodi di inganno e dominio sono gli stessi da millenni, ma modificandone le forme e applicazioni: il ricorso alla paura fino al terrore e al panico è un classico, ma con la psicopandemenza hanno sfiorato la genialità, poi il solito divide et impera che funziona sempre e trova infinite forme di applicazione anche autoalimentate.

Si sono persino inventati l’ecoansia, ingaggiando un’attricetta in cerca di visibilità e carriera, per inscenare la parte e sdoganare il concetto, che adesso, anche se accolto dalla maggioranza ridicolizzandolo, circola come una pubblicità di successo. Un motivetto o tormentone estivo: soffro di ecoansia. Ho cercato di contrastare questo espediente propagandistico di successo con una contromossa ironica da me elaborata subitaneamente, ma ho potuto diffonderla solo a livello minimalistico, nella cerchia di amici e conoscenti, non certo nel sistema mediatico (che disprezzo ed evito) e non arrivando pertanto al grande pubblico, sperando semmai nel passaparola.

La mia contromossa è stata questa: io soffro incontrovertibilmente di ANOANSIA, nel senso che ho la continua ossessiva sensazione che vogliano mettermelo nel culo, in ogni circostanza e contesto sociale, istituzionale, politico, economico, finanziario, previdenziale, ecc., e per placare tale tensione, infiammazione e bruciore perineale, hai voglia ad applicare gel di aloe vera o presunta …. Non dubito che i sondaggi fatti circolare nelle settimane precedenti, sulla diffusione dell’ecoansia siano fasulli, come tutto ciò che viene pubblicato e trasmesso dai media mainstream, ma al contrario sono quasi certo che se facessero un sondaggio serio tra gli italiani sull’ANOANSIA, spiegandola bene, si avrebbe conferma che questa esiste veramente, solo che gli italiani non ne sono ancora consapevoli e non sanno etichettarla. Per farla conoscere agli italiani rendendoli consapevoli di soffrirne ci vorrebbe un comico cabarettista di capacità e notorietà che la declami valorizzandone il concetto, esattamente o ancora meglio dell’attricetta che ha recitato con falsa commozione il concetto di ecoansia.

Dovremmo imparare e reagire sempre, mai subire passivamente una situazione che sappiamo essere per noi nociva. Invece ci limitiamo quasi sempre a parlarne tra di noi, sempre gli stessi.

Concludo con un accenno all’argomento cardine di quasi tutti i miei articoli precedenti, evitando che qualcuno mi rimproveri per averlo trascurato: il conflitto in Ucraina. Se facessi un’estrapolazione dei passi salienti dei miei articoli precedenti potrei comporne uno apparentemente nuovo che sembrerebbe pure aggiornato e attualizzato, salvo alcuni particolari, in quanto sta avvenendo quanto era prevedibile. Gli ucraini stanno facendo la fine degli utili idioti dell’impero anglosassone, carne da cannone che non solo non hanno scalfito neppure la prima delle tre linee difensive russe, ma sono finiti nel tritacarne e tritatutto che avevano predisposto per loro. In tal modo i russi continuano a dimostrarsi estremamente corretti e galantuomini nel condurre il conflitto limitandosi a colpire obiettivi militari e ad uso militare, al contrario del regime nazista di Kiev che colpisce i civili e compie qualsiasi nefandezza e aberrazione criminale per trarre profitto dalla guerra e per sfogare la loro frustrazione da fallimento e per cercare di avere l’approvazione e i finanziamenti occidentali, essendo ormai un regime parassitario che vive esclusivamente di economia di guerra, finanziata da terzi.

La NATO è ormai agli sgoccioli e rischia la stessa sopravvivenza, per cui dovrà alzare l’asticella dell’escalation fino a provocare l’intervento dei pazzi russofobi della cosiddetta Nuova Europa, cioè i paesi dell’Est, le nuove colonie anglosassoni, Polonia e Paesi Baltici, che però se anche si unissero a quello che rimane dell’Ucraina Occidentale, non potrebbero mai trionfare sulla Russia che nel frattempo si è consolidata, accumulando una straordinaria esperienza di guerra sul campo, perfezionando e soprattutto sperimentando nuove armi sempre più efficaci e sofisticate, producendole a ritmi che in Occidente possono solo sognare. Come ho affermato varie volta, questo significa che il tempo lavora a favore della Russia, che continuerà a rispettare e valorizzare la vita umana risparmiando inutili perdite e sofferenze al loro esercito attendendo il momento propizio per sferrare i loro contrattacchi, man mano che l’esercito ucraino collasserà sui vari fronti. Non esiste alcuna arma in dotazione alla NATO che possa impedire che questo avvenga, nessuna arma che possa cambiare le sorti dell’Ucraina, nessuna provocazione o atto terroristico che possa far cambiare strategia alla Russia, perché la leadership russa ha una visione lungimirante mentre le nostre sono penosamente limitate e asservite a loschi interessi di nicchia.

Gli psicopatici russofobi neocons anglosassoni sarebbero anche disposti a ricorrere alle armi nucleari, ma glielo impediscono le altre élite che compartecipano al potere, perché sanno benissimo che basterebbero pochi missili ipersonici SARMAT e droni subacquei POSEIDON per spazzare via completamente l’intera Gran Bretagna e le coste americane dell’Atlantico e del Pacifico, e con i moderni missili antinave in dotazione alla Russia tutte le flotte USA-NATO farebbero la stessa fine ovunque si trovino, e tutto questo avverrebbe pochi minuti dopo aver fatto esplodere un solo ordigno nucleare contro la Russia.

Quindi se vogliamo ragionare seriamente, dobbiamo renderci conto che non ci sarà nessun negoziato, perché la Russia non ritiene credibili e degni di fiducia gli attuali interlocutori, ne gli ucraini, ne la NATO ne l’UE, quindi non rimane loro che portare a termine l’operazione bellica, che come hanno sempre rivelato fin dall’inizio, prevede la completa demilitarizzazione e denazificazione dell’Ucraina. Nessuno potrà impedirlo perché i russi sono persone serie e dotate di una cultura e coesione che noi purtroppo abbiamo perso da diverse generazioni. Noi in Occidente dobbiamo solo nutrire due speranze; che i russi continuino a dimostrarsi moderati e compassionevoli, e che gli attuali leader occidentali scompaiano magari per uno strano fenomeno di abduction collettivo. He sarebbe come dire “non ci resta che sperare negli alieni più evoluti”.

Articolo riproducibile citando la fonte.

 

 

Cav. Dottor Claudio Martinotti Doria, Via Roma 126, 15039 Ozzano Monferrato (AL), Unione delle Cinque Terre del Monferrato,  Italy,

Email: claudio@gc-colibri.com  – Blog: www.cavalieredimonferrato.it – http://www.casalenews.it/patri-259-montisferrati-storie-aleramiche-e-dintorni

Independent researcher, historiographer, critical analyst, blogger on the web since 1996

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Italia in regressione _ con Pasquale Katana Cicalese

L’Italia vive ormai da diversi decenni una condizione di progressiva regressione anche in rapporto alla già precaria situazione dei paesi europei.
Esiste senza dubbio un generale abbassamento dei livelli reali dei salari, degli stipendi e dei redditi di ampi strati di lavoro autonomo. Complici le politiche sindacali e la disarticolazione dei movimenti organizzati che hanno caratterizzato la vita e il conflitto sociopolitico caratteristico degli anni ’60/’70; è però gran parte della struttura produttiva del paese ad aver perso dinamicità ed autonomia di indirizzo. Sempre più evidente la pesante influenza sulle condizioni generali di un ceto politico e di una classe dirigente dagli orizzonti limitati, completamente subordinata ed assorbita da strategie esterne e in balia delle dinamiche geopolitiche sempre più convulse. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
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UN CALICE AFRICANO PER MACRON (Gilles La-Carbona)?_da Minurne ….il piatto vuoto di Meloni_di Elena Basile

Il colpo di stato in Niger è stato accolto in Europa, in Francia in particolare, con un senso di frustrazione e smarrimento dalle élites dominanti e con un anelito liberatorio di emancipazione dal giogo occidentale da parte degli ambienti di opposizione “sovranista” e “terzomondista”. Ancora una volta il riflesso condizionato di cui sono schiave le élites dominanti, ormai però sempre più arroccate, ha tentato di racchiudere l’evento nello schema fuorviante e strumentale della contrapposizione democrazie/dittature totalitarie. Segno che si vuole rimuovere ancora una volta il fatto che l’introduzione dei regimi democratico-liberali, laddove innestati, in un contesto sociale di natura tribale e clanica, non fa che riprodurre con la forza dei numeri il predominio discriminatorio di clan particolari sugli altri su base tribale. E’ il miraggio che ha ingannato in gran parte a suo tempo le nuove classi dirigenti africane a fine secolo sino a farle ricadere paradossalmente nelle logiche tribali. Segno che si continua, nel mondo occidentale, a glissare per interesse ed ottusità sul fatto che la costruzione di una forma statuale moderna in Africa, rappresentativa della composizione sociale, non può prescindere al contrario da un accordo tra queste componenti e dalla iniziativa di gruppi dirigenti e amministrativi, in primo luogo l’esercito, sul quale costruire un minimo di coesione nazionale. E’ quanto è riuscito a comporre a suo tempo con relativo successo Gheddafi, non ha caso brutalmente e tragicamente estromesso dalla coalizione occidentale nel 2011. Quello, però, è stato solo l’episodio più tragico e dirompente di una politica tuttora perseguita in quel continente dai paesi occidentali, compresa la Francia nell’area francofona. I colpi di stato in Mali, Burkina Faso e, ultimamente, in Niger rappresentano soprattutto una reazione a queste politiche, resa possibile dalla presenza nel continente di numerosi nuovi attori geopolitici in aperta competizione con i tradizionali colonizzatori francesi, inglesi e, in forme diverse, statunitensi; tra di essi senza dubbio la Cina e la Russia, ma anche l’India, la Turchia, Israele e i paesi del Golfo Persico. La presenza russa e cinese, in particolare, poggia su fondamenti politici diversi da quelli occidentali, basati pragmaticamente sull’accettazione dello stato di fatto degli equilibri politici nei paesi africani. Un principio che ha comunque prodotto pesanti attriti in quelle aree, specie con la Cina, nella fattispecie sulla gestione del debito, sullo sfruttamento dei terreni agricoli e sulle modalità di costruzione delle infrastrutture civili; attriti, però, al momento gestibili rispetto al livore suscitato dal retaggio coloniale e neocoloniale dei paesi occidentali. Attriti che le due potenze emergenti sono riuscite sinora a gestire e spesso a risolvere. Sono tutti i paesi occidentali a subire al contrario le pesanti conseguenze di questo anelito emancipatorio; soprattutto, però, la Francia. Se i suoi avversari e nemici dichiarati si sono esposti ormai alla luce del sole in queste dinamiche, non va sottovalutato l’atteggiamento sornione e subdolo degli Stati Uniti, desiderosi di stringere la morsa ed annichilire ogni futura velleità di autonomia dei propri alleati, specie in una prospettiva di confronto multipolare o bipolare. Il Niger ospita la principale base statunitense in Africa e, al momento, gli strali più duri della nuova giunta sono indirizzati alla Francia.

La brama di emancipazione e sviluppo tra i paesi africani è comunque indubbia, come pure l’esigenza di stabilizzazione dei regimi e delle società. Trova alimento ed occasioni nella presenza competitiva di numerose potenze emergenti impegnate ed interessate al continente. Può contare sul diverso approccio offerto da queste rispetto al tradizionale impegno occidentale. Sia la Cina che la Russia puntano piuttosto alla accettazione della situazione interna a quei paesi che ad una azione destabilizzatrice. Influisce certamente la tradizione diplomatica e il retroterra culturale di quei paesi, diversi da quelli occidentali a matrice anglosassone e transalpina. Il protrarsi di questa linea di condotta nel futuro prossimo, più che dal bagaglio culturale e dalla tradizione diplomatica, dipenderà dalle dinamiche geopolitiche interne a quel continente, dall’atteggiamento del mondo occidentale e, principalmente, dalla capacità di conduzione di linee politiche autonome ed indipendenti delle élites locali africane.

Queste hanno visto nell’andamento del conflitto ucraino, nella capacità russa di fronteggiare sul campo la NATO e gli Stati Uniti, nell’alternativa economica, ma sempre più politica, della Cina l’esempio di azione e la possibilità di aprire varchi anche con toni insolenti e spavaldi.

I paesi africani hanno già conosciuto questo potente anelito; ma al successo militare contro le potenze coloniali, non ha fatto seguito nella maggior parte dei casi il conseguimento di una effettiva indipendenza politica ed economica e la costruzione di regimi statuali solidi.

Una eccessiva baldanza ed una eccessiva fiducia verso gli agenti esterni, piuttosto che sulle proprie capacità di ricomposizione e di sviluppo rischia di farli ricadere nello stesso errore e ridiventare terreno di contesa di forze esterne.

Al momento sono i paesi occidentali a guida americana ed alcuni paesi arabi a riproporre in Africa politiche di istigazione alla frammentazione e conflittualità clanica e tribale, gli uni sotto la maschera del diritto individuale, gli altri dell’adesione confessionale. E’ giusto, quindi, che siano il bersaglio principale degli strali. Han voglia, anche alcuni ambienti critici francesi, come sottolineato nel secondo articolo, a lamentare l’ingratitudine degli africani ai servigi offerti dalla Francia. Il poco che le élites francesi hanno saputo offrire alle colonie non è stato un atto di generosità e, soprattutto, è venuto meno con la concentrazione degli investimenti e degli interessi economici occidentali verso la Cina, la quale ha saputo par altro farne ottimo uso. Esattamente la stessa dinamica realizzata dagli Stati Uniti con il Messico e l’intero Sud-America.

Il futuro dei paesi africani, delle Afriche, la loro emancipazione dipende dalla capacità di individuare e praticare i propri interessi e le proprie possibilità di sviluppo in un quadro di coesione sociale praticabile, di una politica demografica assennata e di impostare su di essi le indispensabili relazioni internazionali.

L’Italia avrebbe, in realtà, ancora delle carte residue da giocare sull’onda del credito accumulato negli anni ’60/’70 nel Mediterraneo esteso e nel Nord-Africa. Le sue attuali élites, si fa per dire, e l’attuale Governo Meloni, in buona sintonia con i precedenti, avrebbero alternative concrete da seguire. Lo aveva messo sul piatto Trump a suo tempo, lo ha dimostrato sul campo la Turchia di Erdogan.

Giorgia Meloni ha scelto di spendere questo credito residuo come cortina fumogena di disegni altri e in qualità di mosca cocchiera delle strategie avventuriste e guerrafondaie dei neocon-progressisti statunitensi e dei lirici europeisti al seguito.

Il “piano Mattei” di suo conio è un insulto alla memoria di quella figura. Rappresenta l’icona dietro la quale un intero paese sarà trascinato volente o nolente in questo scacchiere. Lo abbiamo ribadito più volte e in tempi non sospetti. Con quale modalità, per fare cosa, con quali conseguenze saranno gli altri a deciderlo; a meno di improbabili sussulti o eventi catastrofici, a questo punto auspicabili, nella “terra madre”.

Nel frattempo il Senato della Nigeria ha respinto l’opzione militare contro il Niger. La posizione non è ancora ben definita, ma è evidente che se vorranno intervenire, dovranno farlo probabilmente senza maschere.  Gli Stati Uniti hanno inviato in Benin già tre giganteschi C17 carichi di materiale e truppe; hanno chiesto già conto al Presidente nigeriano, favorevole all’intervento, dei ritardi organizzativi dell’operazione. Buona lettura, Giuseppe Germinario

UN CALICE AFRICANO PER MACRON (Gilles La-Carbona)?
Macron non si è accorto di nulla con il Niger o, come al solito, ha chiuso un occhio?

Editoriale di Gilles La-Carbona: Segretario nazionale del RPF

La repentinità dell’evento potrebbe indurre a pensare che si tratti della prima ipotesi, ma ancora una volta l’evidenza è ingannevole. In realtà, ciò che sta accadendo in Niger è semplicemente la logica prosecuzione di un processo sostenuto da anni da una politica estera deplorevole, ma accelerato dallo stesso Macron e dalla sua arroganza, costante fonte di disastri diplomatici.

Éléments magazine – Bernard Lugan: “La Françafrique è una leggenda!

Il Niger non si è trasformato in un colpo solo, conquistando tutti i presenti al Quai d’Orsay. Il 21 marzo 2023, Bernard Lugan, specialista dell’Africa, aveva previsto a casa di Bercoff quello che è appena successo, e allora perché non gli avete dato retta? Semplicemente perché va controcorrente rispetto alla doxa di Macron. Come spiega molto chiaramente, “se i nostri attuali funzionari, che sono specialisti, facessero più etnografia invece che ideologia, e se leggessero autori antichi, la Francia eviterebbe di commettere errori”. Ma Macron non apprezza le competenze e non si circonda né di intelligenza né di conoscenza.

Il suo tour in Africa è stato un fiasco, come tutto quello che fa, e anche in questo caso i media bugiardi e sovvenzionati lo hanno coperto, preferendo tenere la verità per sé ed evitare analisi approfondite, per non dover dare l’allarme. Sempre per compiacere, per conservare il denaro pubblico che li sostiene, a spese della realtà. Le menzogne sono ovunque e la verità non si trova da nessuna parte, a meno che non venga bollata come tale da queste agenzie statali. L’Africa vuole emanciparsi, ma rimane impantanata nei suoi problemi economici, etnici e religiosi, nella corruzione e nella dipendenza permanente dalla tecnologia e dagli aiuti occidentali. I cinesi e i russi stanno cercando di sostituire i francesi e gli americani sul campo. Tutto questo fa parte di una schizofrenia che vorrebbe che i francesi abbandonassero l’Africa, mentre molti giovani africani sognano di venire in Europa e in particolare in Francia.

Il recente colpo di Stato in Niger potrebbe essere il primo domino a infrangere le illusioni di potere che persistono, soprattutto per la Francia. La decisione di vietare l’esportazione di uranio e oro in Francia dovrebbe essere un test, perché Macron avrà solo due opzioni: ritirarsi in silenzio e rimpatriare i 1.500 soldati, oppure intervenire. Lui, che sogna la guerra, opterà per la seconda, ma a quale scopo? Burkina Faso, Mali e Mauritania hanno già avvertito che entreranno in guerra a fianco del Niger per difendere i suoi interessi in caso di tentativo di intervento armato straniero. Data la nostra forza militare, non abbiamo più riserve di munizioni, poco equipaggiamento perché destinato all’Ucraina, e le nostre capacità di trasporto e di rifornimento delle truppe sono ridotte al minimo, dato che affittiamo aerei cargo dalla Russia per le nostre proiezioni. I nostri 1.500 soldati faranno fatica a sostenere un conflitto che coinvolge quattro Paesi, magari appoggiati da aziende private. E non dimentichiamo che un altro dei nostri fornitori di uranio è la Russia.

Il resto del mondo si sta svegliando di fronte all’arretramento senza precedenti dell’Occidente, che non è più in grado di imporre altro che vincoli e prepotenze infinite alla propria popolazione. Un fallimento militare in Niger sarebbe una doccia fredda per Macron, oltre che un vestito adatto a lui.

Relazioni Africa-Francia: perché la Francia deve affrontare tanta rabbia in Africa occidentale – BBC News Afrique

La Francia viene espulsa ovunque in Africa e dietro questo rifiuto c’è tutta l’Europa. La domanda è: come si è arrivati a questo? Ripetendo che possiamo essere forti solo in alleanza con altri, abbiamo perso la nostra sovranità e il nostro potere. La formula era valida solo finché la coalizione europea rappresentava qualcosa di serio, una paura reale. Ma la guerra in Ucraina ha rivelato le debolezze della NATO. Circa 50 Paesi non sono riusciti a far indietreggiare la Russia, immaginate se fossimo stati da soli. La Francia non poteva più essere soddisfatta di se stessa, non era nulla secondo le nostre politiche, e doveva fondersi in tutta una serie di organizzazioni favolose senza le quali non potevamo esistere. Questo discorso disfattista conteneva i semi della decadenza. I media lo hanno propagato con forza. Il risultato è lì, non ancora accettato dai nostri cacicchi, ma la realtà dovrebbe aprire loro gli occhi. Coloro che in Francia si ostinano a pensare che dobbiamo dipendere dagli altri per far sentire la nostra voce o per sopravvivere, si sbagliano e ripetono inconsciamente la stanca formula di dire che se le cose andavano male in Francia era perché avevamo bisogno di più Europa. Ora dipendiamo totalmente dalla Commissione europea e nulla va per il verso giusto.

La realtà, tuttavia, è che non possiamo perseguire grandi disegni portando avanti le politiche che conosciamo bene, distogliendo le nostre entrate dalle missioni essenziali. Le nostre risorse sono tutte concentrate sul mantenimento di uno Stato obeso ma in crisi, che sperpera denaro in controsocietà di periferia, in coperture sociali malversate, in molteplici sussidi a organizzazioni con missioni e risultati oscuri e in pessimi piani industriali, che non sono altro che trasferimenti mascherati di denaro pubblico a interessi privati.

L’RPF è favorevole a un vero e proprio audit delle finanze pubbliche. È stato stimato che quasi 40 miliardi di euro sono stati spesi per agenzie fasulle che ingrassano gli amici dei politici e non aggiungono alcun valore. Se a questo si aggiungono i milioni regalati alla stampa, i miliardi persi per sostenere la pletora di dipendenti pubblici europei, l’evasione fiscale per oltre 150 miliardi, le frodi sociali per diverse decine di miliardi, i regali di Macron all’Ucraina e ai vari Paesi che ha visitato, i miliardi generosamente elargiti alle società di consulenza, si ottiene una somma sufficientemente grande per riorientare il bilancio dello Stato e smettere di pensare che la Francia sia solo un piccolo Paese che non riesce a farcela da solo. La Svizzera lo fa bene. Questi temi potrebbero essere ripresi dalle opposizioni, che però sembrano più interessate a vietare tutto ciò che potrebbe mettere in discussione la retorica sul cambiamento climatico o la tassazione degli alloggi ammobiliati per le vacanze, che ad affrontare i problemi reali.

Gilles La-Carbona

2/8/2023

https://www.minurne.org/billets/36836

L’AFRICA IN EBOLLIZIONE (Patrick Becquerelle)
Da diversi anni siamo spettatori di conflitti sia nel nostro Paese che all’estero. La Francia sembra essere nel mirino di diversi Paesi africani. Ecco una riflessione di Patrick Becquerelle basata sulla rivolta nigerina.

Françafrique
Questo continente ricco di materie prime è costantemente dilaniato.
Gli africani rimproverano agli occidentali, soprattutto ai francesi, il loro colonialismo.
Il Mali, il Maghreb e ora il Niger, insieme a molti altri, ci odiano.
Eppure tutti questi popoli si dirigono a flusso continuo verso una Francia “egemonica”.
Ma come è possibile che questo continente dalle innumerevoli risorse sia ancora così
in tale disordine?
C’è da chiederselo quando si vede il numero di africani che vengono a studiare soprattutto in Francia e non tornano mai in patria per trasmettere le conoscenze acquisite ai loro paesi.
Medici, avvocati, scienziati, ingegneri, funzionari pubblici, soldati, ecc.
Oggi si alternano per estrometterci con odio dai loro Paesi.
Eppure la Francia ha permesso loro un certo grado di autonomia, fornendo loro ottime infrastrutture e formando dirigenti che purtroppo non hanno alcuna voglia di costruire una bella Africa.
Non perderebbero il loro patriottismo venendo in Francia?
Perché non lottano per sviluppare il loro Paese?
Noi diamo loro i mezzi per farlo.
In segno di gratitudine, preferiscono trasporre il loro spirito guerriero, l’odio per i francesi e il bellicoso comunitarismo, grazie alla vigliaccheria dei nostri politici.
Ancora una volta, l’Africa sarà il bersaglio della barzelletta, ma la colpa sarà solo sua.
Avrà solo se stessa da incolpare
2 attori/predatori stanno arrivando nel loro continente
-la Russia, con i suoi mercenari wagneriani
-la Cina, con le sue notevoli risorse, soprattutto in termini di potenziale umano.
La tanto criticata egemonia francese impallidisce di fronte a questi due giganti, il cui appetito sarà difficile da contenere il loro appetito bellicoso.
Ancora una volta si dirigono verso la colonizzazione, ma questa volta è più invasiva e priva di qualsiasi democrazia.
La Francia deve, con i mezzi diplomatici e mediatici a sua disposizione, far capire loro che questi due Stati non hanno posto nel mondo. Hanno un solo obiettivo, quello di appropriarsi delle loro ricchezze perché non hanno un contrappeso democratico.
Non rispetteranno né i loro costumi né le loro religioni e non tollereranno alcuna immigrazione nei loro territori.
Dobbiamo ricordare loro questo:
-che le loro scelte avranno gravi conseguenze diplomatiche, finanziarie e migratorie.
-Che molti soldati francesi hanno dato la vita per proteggerli e che non è stato solo per loro stessi e che non è stato solo per il proprio bene.
-Che è un’adulta e che dovrà fare le sue scelte!

Patrick Becquerelle

6/8/2023

https://www.minurne.org/billets/36888

PIANO MATTEI, SOVRANISTI FINTI E ALTRE PRESE IN GIRO, di Elena Basile

La parola inglese accountability rende bene il significato di quel che è stato perso nella vita politica italiana. Potrebbe essere tradotta con una perifrasi: “assumersi la responsabilità e dare conto del proprio operato”.
Al cittadino appare chiaro che i politici, le istituzioni, persino i giornalisti e gli operatori culturali sono liberi da un tale fardello essenziale alla civiltà liberale e democratica.
Gli esempi potrebbero essere tanti. I giornalisti che avevano previsto il crollo economico della Russia e un cambio di potere a Mosca pontificano sulla probabile sconfitta militare della Russia, per nulla imbarazzati dalle loro precedenti errate previsioni. Romanzi premiati e pompati dal mercato non rispondono a volte ad alcun requisito letterario, ma le macchine della pubblicità, i critici, le case editrici e gli amichetti continuano indisturbati a distruggere la cultura. Il governo della destra “sovranista” di Meloni attua un programma in politica estera e in Europa che avrebbe potuto essere del Pd e del centrosinistra. Gli elettori restano fedeli nella sconcertante convinzione che la presidente non ha alternative se vuole restare al potere.
Le decisioni sono prese altrove. La finanza, le grandi multinazionali tirano i fili delle marionette politiche. Le indagini sociologiche serie hanno illustrato come il presidente degli Stati Uniti sia eletto grazie all’accordo di tali poteri forti.
Non c’è nulla di automatico e deterministico. L’azione umana è piena di imprevisti. Ma, come l’assenza di partecipazione alla politica se non per interessi settoriali e la stessa astensione dal voto dimostrano, si è rotto quel filo che fino agli anni 80 ha legato società civile e istituzioni.
Prendiamo la politica mediterranea. Diplomatici e nuovi pennivendoli si affannano a illustrare il cosiddetto Piano Mattei. Senza pudore si utilizza un nome mitico. Enrico Mattei si rivolta nella tomba. Il grande imprenditore, che ha pagato con la propria vita il coraggio di perseguire l’interesse nazionale contro quello delle “sette sorelle”, il fine politico che ha creduto nel bene comune di Stati mediterranei e africani, viene strappato alla memoria collettiva e strumentalizzato per le carnevalate odierne. La presidente del Consiglio (ma Draghi o altri di centrosinistra non avrebbero fatto diversamente) si genuflette alle richieste militari ed economiche statunitensi, rinuncia agli interessi commerciali italiani nei rapporti con Pechino, elemosina senza ottenere una politica del Fmi diversa nei confronti della Tunisia, e nomina senza alcun pudore Enrico Mattei per riferirsi al piano energetico tra Italia e l’Africa fornitrice di energia. Nessun giornalista o economista si dà la pena di spiegare come mai decenni di politica mediterranea europea (dal processo di Barcellona 1995 all’Upm 2008) siano falliti nonostante gli sforzi di partnership egualitaria, di codecisione, di approccio olistico e non settoriale. Qualche brillante collega addirittura sostiene che la Nato, data la menzione del Fianco Sud nel prolisso e illeggibile comunicato finale a Vilnius, aprirà le porte a una cooperazione differente con i Paesi nordafricani. Mattei, a partire dal 1958, aveva stipulato con l’Urss accordi energetici favorevoli allo sviluppo economico italiano contro l’oligopolio delle multinazionali. Il governo italiano strumentalizza il suo nome mentre si lega mani e piedi all’energia statunitense venduta a caro prezzo e a frammentate fonti di approvvigionamento con dittature di umore instabile.
Il cittadino ,nel leggere alcuni giornali, prova un terribile senso di presa in giro. Mieli realizza buoni programmi televisivi, recentemente una ricostruzione storica della rivoluzione cubana. Ci propina tuttavia articoli in cui racconta la fine dell’accordo sul grano come una decisione unilaterale del lupo cattivo. Dimentica di elencare le condizioni previste dall’accordo e non realizzate a partire dalla mancata revoca delle sanzioni sui pezzi di ricambio delle macchine agricole russe fino alla negata adesione della banca russa agricola al sistema di pagamenti Swift. Tace sulle percentuali di grano esportate (80% ai Paesi europei, 3% agli africani) che secondo l’Oxfam non risolverebbero i problemi dei Paesi emergenti, ma contribuirebbero a limitare l’inflazione di generi alimentari nei Paesi ricchi.
Quanti intellettuali e rappresentanti istituzionali si prestano a questi giochi in malafede con appelli moralistici a favore dei Paesi emergenti smarrendo la visione oggettiva di quanto accade sulla scena internazionale? La sensazione sconcertante è che le élite al potere in Europa e i loro ‘cani da guardia” abbiano venduto l’anima e che la politica come l’economia e la cultura siano soltanto tecnica. Viviamo ormai in un eterno Barbie, film di visualità sublime privo di contenuti e con uno script demenziale.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2023/08/02/piano-mattei-sovranisti-finti-e-altre-prese-in-giro/7249290/

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L’AMERICANIZZAZIONE DEL TERRITORIO (appunti per una riflessione), di Luigi Longo

Riproponiamo un articolo di Luigi Longo già apparso nel 2017 sul sito, ma ancora attuale alla luce di quanto sta emergendo sulla politica delle infrastrutture portata avanti dal governo italiano. Giuseppe Germinario

L’AMERICANIZZAZIONE DEL TERRITORIO

(appunti per una riflessione)

di Luigi Longo

Gli Stati Uniti appaiono, nel mondo di oggi, una realtà onnipresente: non solo essi sono una delle superpotenze da cui dipende l’avvenire dell’umanità (e, invero, data la terrificante capacità distruttiva delle

armi moderne, la sua stessa esistenza): ma le teorie scientifiche, i processi tecnologici, i condizionamenti culturali, i modelli di comportamento americani penetrano, per il bene come per il male, tutta la nostra vita, influenzandola assai più di quanto comunemente non appaia.

Raimondo Luraghi

In questo dopoguerra non si capisce più niente, questi americani hanno cambiato tutto […] questi americani ne combinano di tutti i colori.

Antonio de Curtis (Totò)

[…] non c’è speranza di poter sopprimere le tendenze aggressive degli uomini. Si dice che in contrade felici, dove la natura offre in abbondanza tutto ciò di cui l’uomo ha bisogno, vivono popoli la cui vita si svolge nella mitezza presso cui la coercizione e l’aggressione

sono sconosciute. Posso a stento crederci; mi piacerebbe saperne di più, su questi popoli felici. Anche i bolscevichi sperano di riuscire a far scomparire l’aggressività umana, garantendo il soddisfacimento dei bisogni materiali e stabilendo l’uguaglianza sotto tutti gli altri aspetti tra i membri delle comunità. Io la ritengo una illusione. Intanto, essi sono diligentemente armati, e fra i modi con cui tengono uniti i loro seguaci non ultimo è il ricorso all’odio contro tutti gli stranieri. D’altronde non si tratta, come Ella stessa [ Einstein, mia precisazione] osserva, di abolire completamente l’aggressività umana; si può cercare di deviarla al punto che non debba trovare espressione nella guerra.[…] finché gli Stati e nazioni pronti ad annientare senza pietà altri Stati e altre nazioni, questi sono necessitati a prepararsi alla guerra.

Sigmund Freud1

1.Una strategia d’attacco. Questo scritto vuole ragionare sul fatto che gli Stati Uniti d’America (USA) stanno sviluppando una strategia d’attacco per bloccare il loro declino di potenza mondiale egemonica e fermare il consolidamento di nuove potenze mondiali (Russia e Cina, in particolare). Così afferma Zbigniew Brzezinski “Nel sistema unipolare ereditato dagli Stati Uniti dopo la fine della guerra fredda, le decisioni prese a Washington determinavano  l’agenda internazionale, dopo 23 anni il contesto è cambiato e quel sistema oggi è giunto alla fine e non potrà più ristabilirsi per tutto il tempo che sarà destinato alla prossima generazione […] Nelle attuali condizioni nessuna delle superpotenze può ottenere l’egemonia mondiale, motivo per il quale gli USA devono scegliere meglio i conflitti ai quali partecipare, visto che le conseguenze di un errore potrebbero essere devastanti […] per gli Stati Uniti è arrivato il momento di comprendere che il mondo contemporaneo risulta molto più complicato ed anarchico di quanto lo fosse negli ultimi anni della guerra fredda, tanto che l’accentuazione dei nostri valori così come la convinzione della nostra eccezionalità  e l’universalismo, sono da considerare quanto meno prematuri da un punto di vista storico”.2

La strategia d’attacco è a tutto mondo3 con particolare riguardo alla Russia che è ancora la seconda potenza militare mondiale e detiene un buon arsenale militare (soprattutto nucleare) risultato della corsa agli armamenti dell’ex URSS, la potenza mondiale dell’altro ex campo del << socialismo irrealizzato>>.

L’Europa (senza distinguere l’Europa come regione geografica comunemente considerata un continente, dall’Unione europea che comprende 28 paesi membri, da quella dell’eurozona che è l’insieme di 18 stati membri dell’Unione europea che hanno adottato l’euro come valuta ufficiale) assume un ruolo fondante per le strategie americane di penetrazione nei territori del Mediterraneo, del Medio Oriente e dell’Est4.

L’Italia, in particolare, svolge una duplice funzione – verso i territori del Mediterraneo, del Medio Oriente e dell’Est – sia per quanto riguarda la sua posizione geografica e il suo territorio occupato da basi strategiche USA e USA-NATO5, sia per quanto concerne il suo ruolo di contrasto nell’Unione Europea6 per qualsiasi serio tentativo di costruzione di una minima politica di autonomia7. E’ bene ricordare che non esiste una Europa di nazioni fondate da popoli che si autodeterminano ma di fatto l’Europa si configura come uno spazio geografico incardinato sugli USA e i tatticismi di alleanze di fase, come potrebbe essere il tentativo della costruzione di un asse sostanzialmente geo-economico più che geo-politico tra Parigi-Berlino-Mosca8, lo stanno a dimostrare.

E’ a partire da questa riflessione che leggerò il processo di americanizzazione del territorio italiano ed europeo come l’elemento fondante e strategico della politica egemonica9 americana che pervade anche i territori delle ri-nascenti potenze mondiali, come per esempio la Cina che, per dirla con David Harvey,<< In qualche modo […] imita quello del secondo dopoguerra negli Stati uniti, in cui il sistema di autostrade interstatali, che ha integrato il nord e il sud, e lo sviluppo delle periferie hanno svolto un ruolo cruciale nel sostenere insieme l’occupazione e l’accumulazione capitalistica[…] Anche la strategia degli investimenti in Cina rischia di avviare un percorso parimenti creatore di diseguaglianza. Un treno ad alta velocità fra Shangai e Pechino serve alla comunità degli affari e alla borghesia medio-alta, ma non rappresenta un sistema di trasporto economico che possa riportare a casa per il capodanno cinese i lavoratori provenienti dalle campagne (e non solo, mia precisazione). Allo stesso modo, grattacieli a uso abitativo, comunità recintate, campi da golf per i ricchi e centri commerciali di lusso non aiutano certo a ricostituire una vita quotidiana dignitosa per le masse impoverite.>>10

Gli USA sono una nazione con un forte potere politico, economico, scientifico – tecnologico e culturale ( sono i “quattro settori decisivi del potere mondiale”); hanno l’egemonia in tutte le istituzioni mondiali (le agenzie della governance mondiale: FMI, Banca mondiale, WTO, Nato, eccetera)11; detengono una indiscutibile supremazia militare mondiale12 con la quale creano “desolazione e la chiamano pace”; posseggono una agguerrita e spregiudicata classe dirigente dominante ( gli agenti strategici) figlia di quel grande evento che fu la Guerra civile che << […] era stata un fenomeno importantissimo sì, ma non solo americano. La sua portata mondiale nacque dal fatto che essa fu la prima guerra “industriale” dell’età contemporanea, il prodromo mal studiato e incompreso dei due conflitti mondiali in cui naufragò quel“ mondo di nazioni” la cui comparsa aveva segnato l’inizio dell’età moderna.>>13; nutrono la convinzione di espandere la pace, la democrazia e la libertà nel mondo ed hanno <<[…] l’arroganza di essere il portatore di una civiltà superiore garantita addirittura da un mandato divino che legittima con la sua elezione inverificabile questa pretesa di superiorità.>>14.

La ramificazione e l’innervamento mondiale del modello economico, sociale, politico, culturale e ideologico degli USA creano enormi vantaggi strategici e di posizionamento nella fase multipolare (lentamente avviata) e nella fase policentrica (nelle accezioni lagrassiane) per la sua ri-affermazione, con un nuovo modello sociale e territoriale scaturito dall’ordine del caos15, a potenza egemone mondiale.

2. La prepotenza americana. Nel 1934 così scriveva Antonio Gramsci:<< Ma il problema non è se in America esista una nuova civiltà, una nuova cultura, sia pure ancora allo stato di << faro >> e se esse stiano invadendo o abbiano già invaso l’Europa: se il problema dovesse porsi così, la risposta sarebbe facile: no, non esiste ecc., e anzi in America non si fa che rimasticare la vecchia cultura europea. Il problema è questo: se l’America, col peso implacabile della sua produzione economica (e cioè indirettamente) costringerà o sta costringendo l’Europa a un rivolgimento della sua assise economico-sociale troppo antiquata, che sarebbe avvenuto lo stesso, ma con ritmo lento e che immediatamente si presenta invece come un contraccolpo della << prepotenza >> americana, se cioè si sta verificando una trasformazione delle basi materiali della civiltà europea, cioè a lungo andare (e non molto lungo, perché nel periodo attuale tutto è più rapido che nei periodi passati) porterà a un travolgimento della forma di civiltà esistente e alla forzata nascita di una nuova civiltà [ corsivo mio].

Gli elementi di << nuova cultura >> e di << nuovo modo di vita >> che oggi si diffondono sotto l’etichetta americana, sono appena i primi tentativi a tastoni, dovuti non già a un << ordine >> che nasce da una nuova assise, che ancora non si è formata, ma all’iniziativa superficiale e scimmiesca degli elementi che incominciano a sentirsi socialmente spostati dall’operare (ancora distruttivo e dissolutivo) della nuova assise in formazione. Ciò che oggi viene chiamato << americanismo >> è in gran parte la critica preventiva dei vecchi strati che dal possibile nuovo ordine saranno appunto schiacciati e che sono già preda di un’ondata di panico sociale, di dissoluzione, di disperazione, è un tentativo di reazione incosciente di chi è impotente a ricostruire e fa leva sugli aspetti negativi del rivolgimento. Non è dai gruppi sociali<< condannati >> dal nuovo ordine che si può attendere la ricostruzione, ma da quelli che stanno creando, per imposizione e con la propria sofferenza, le basi materiali di questo nuovo ordine: essi << devono >> trovare il sistema di vita << originale >> e non di marca americana, per far diventare << libertà >> ciò che oggi è << necessità [corsivo mio] >> >>16

Ho riportato questo passo dell’”Americanismo e Fordismo” di Antonio Gramsci perché rappresenta, letto con gli occhiali del lagrassiano conflitto strategico, una visione d’insieme degli agenti strategici egemonici delle diverse sfere della società a modo di produzione capitalistico americana; Antonio Gramsci già vedeva gli USA come la potenza mondiale che con la sua egemonia avrebbe modellato la vita sociale complessiva dell’occidente capitalistico; oggi, possiamo storicamente affermare che essi sono la potenza mondiale vincitrice dello scontro con il blocco cosiddetto comunista rappresentato dall’ex URSS; ma l’illusione di essere diventati l’unica potenza mondiale egemonica è durata quasi un decennio, per gli strateghi dell’“arte criminale” degli agenti dominanti che hanno espresso presidenti come Bill Clinton e George W. Bush.

Il passo surriportato supera la logica economicistica che lo stesso Antonio Gramsci fa poco prima nel descrivere le trasformazioni territoriali ( città e campagna) funzionali al sistema produttivo fordista << […] è stato relativamente facile razionalizzare la produzione e il lavoro, combinando abilmente la forza (distruzione del sindacalismo operaio a base territoriale) con la persuasione (alti salari, benefizi sociali diversi, propaganda ideologica e politica abilissima) e ottenendo di imperniare tutta la vita del paese sulla produzione. L’egemonia nasce dalla fabbrica e non ha bisogno per esercitarsi che di una quantità minima di intermediari professionali della politica e dell’ideologia >>17

Secondo me occorre ripartire da questo salto gramsciano-lagrassiano per capire il processo di americanizzazione del territorio. Occorre, cioè, una visione dell’insieme della società americana( a partire dalla interpretazione che il grande americanista, Raimondo Luraghi, dà della guerra civile americana come “la prima guerra “industriale” dell’età contemporanea”) che, attraverso i suoi agenti strategici dominanti, è riuscita a modellare un nuovo sistema sociale egemonico a livello mondiale (un sistema che per carenza di ricerca teorica, pratica e pratica teorica e politica multidisciplinare, continuiamo a chiamare capitalismo18) attraverso l’”arte criminale” della forza ( due guerre mondiali, una guerra fredda e una strategia d’attacco a tutto mondo) e della persuasione, per dirla con l’autore del saggio anonimo pubblicato a Canton nel 1836, perchè << […] al momento non c’è probabilmente criterio più infallibile del grado di civiltà e progresso delle società dell’abilità che ciascuna di esse ha raggiunto nell’”arte criminale”, la perfezione e la varietà dei loro mezzi per la reciproca distruzione e la perizia con cui hanno imparato a usarli >>19

Voglio dire che il suddetto salto apre a re-interpretazioni nuove riguardanti lo sviluppo economico, sociale e territoriale dell’Europa, in generale, e, in particolare, dell’Italia, soprattutto se inquadrate nelle diverse fasi del sistema mondiale capitalistico ( monocentrico, multipolare, policentrico) che sono state lette prevalentemente in una logica economico-sociale20 che privilegiava gli aspetti della produzione, riproduzione e ristrutturazione dei processi produttivi capitalistici ( taylorismo, fordismo, informatizzazione) dove il profitto è letto come l’obiettivo fondante e prioritario con le sue conseguenze sul territorio inteso come spazio omogeneo e vuoto21; nel salto gramsciano-lagrassiano, invece, il sistema sociale d’insieme è interpretato come il conflitto politico, prevalentemente tra agenti strategici pre-dominanti e sub-dominanti, nelle diverse sfere22 che compongono la società tutta, per il potere-dominio e non il profitto che resta fondante ma non prioritario23 per gli stessi agenti che gestiscono, attraverso le articolazioni dei luoghi istituzionali (flessibili o statici), in una situazione di equilibrio dinamico, la società a tutti i livelli ( nazionale e mondiale) con conseguenze sul territorio, inteso come interconnessione tra le relazioni sociali storicamente date e le relazioni naturali; in questo senso i territori sono visti nell’insieme della loro storia economica, politica, sociale e culturale. Le istituzioni (senza proporre qui un’analisi sulla creazione delle istituzioni24) sono i luoghi pubblici territoriali, con diversi pesi gestionali e decisionali, dove materialmente i decisori strategici egemonici realizzano i loro indirizzi di dominio. Le istituzioni sono parti integranti delle strategie dei gruppi dominanti non luoghi esterni alle strategie degli agenti strategici. Con questo non voglio dire che le decisioni strategiche dei gruppi dominanti vengono presi solo nei luoghi istituzionali, esse vengono prese anche nei luoghi esterni. Ma è nei luoghi istituzionali che si esplica prevalentemente il potere egemonico << […] la supremazia di un gruppo sociale si manifesta in due modi, come “dominio” e come “direzione intellettuale e morale”. Un gruppo sociale è dominante dei gruppi avversari che tende a “liquidare” o a sottomettere anche con la forza armata ed è dirigente dei gruppi affini e alleati. Un gruppo sociale può e anzi deve essere dirigente già prima di conquistare il potere governativo (è questa una delle condizioni principali per la stessa conquista del potere); dopo, quando esercita il potere e anche se lo tiene fortemente in pugno, diventa dominante ma deve continuare ad essere anche “dirigente”>>25. I luoghi pubblici, i luoghi dell’interesse generale, i luoghi delle istituzioni ramificate territorialmente, i luoghi dello Stato, sono luoghi dove ideologicamente (nell’accezione negativa del termine) si espleta la politica dell’interesse generale del Paese26. Il velo dell’interesse generale nasconde i reali interessi del blocco sociale egemone, formato dalla sintesi unitaria degli agenti strategici delle varie sfere sociali, che esplica il dominio sulla società in una condizione di equilibrio dinamico. Così parlò il Re di Brobdingnag a Gulliver << Avete dimostrato con molta chiarezza che quello che si richiede a un vostro legislatore è una buona dose di ignoranza, pigrizia e vizio. Che le vostre leggi sono spiegate, interpretate e applicate da coloro che hanno l’interesse e l’abilità di pervertirle, confonderle, eluderle. Vedo, sì, nella vostra costituzione, qualche aspetto che poteva essere tollerabile, ma ormai è quasi cancellato e la corruzione ha macchiato e deturpato tutto il rimanente >>27.

Le trasformazioni territoriali entrano nei disegni di supremazia degli agenti strategici delle potenze mondiali dominanti ed emergenti e il loro uso si diversifica, assume aspetti prioritari a seconda delle strategie di dominio della fase complessiva mondiale28, non dimenticando che<< la continua ridefinizione del paesaggio geografico del capitalismo è un processo violento e doloroso >>29. Intendo dire che nella fase monocentrica mondiale, quando c’è un coordinamento sia pure non perfetto (non è un teorema geometrico!) di una potenza mondiale, le sfere politico-istituzionale-economico-territoriale, dove agisce la sintesi politica degli agenti dominanti che crea egemonia nel sistema sociale prevalentemente attraverso il consenso, possono essere il fascio di luce che illumina le altre sfere ( per usare una metafora marxiana); mentre nelle fasi multipolare e policentrica, dove la potenza mondiale egemonica è in declino ed emergono altre potenze emergenti, le sfere politico-istituzionale-militare-territoriale, dove agisce la sintesi politica degli agenti dominanti che crea egemonia nel sistema sociale prevalentemente attraverso la forza, possono assumere il ruolo decisivo che pianifica e coordina le altre sfere.

3. L’americanizzazione del territorio europeo e italiano. I segni del processo di americanizzazione del territorio, sia europeo, sia italiano, intesi come conseguenza della egemonia del modello sociale americano, che si ramifica in maniera profonda dopo il secondo conflitto mondiale (fine della fase policentrica), con la ricostruzione e il conseguente sviluppo economico e sociale dei Paesi (fase monocentrica), possono essere così delineati per comodità di sintesi:

  • La perdita della impalcatura urbana e territoriale europea.

  • Lo sviluppo quantitativo della città e del territorio (la cultura quantitativa del territorio, la città diffusa, la città infinita, la ruralizzazione delle città, eccetera).

  • Il declino della città e del territorio come patrimonio sociale.

  • Le città e i territori della sicurezza e del controllo.

  • Il progetto di realizzazione del Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP, Transatlantic trade and investment partnership).

  • La militarizzazione delle città e dei territori.

Tratterò brevemente gli ultimi due segni su evidenziati perché li ritengo prioritari in questa fase sociale europea e italiana che vede un aumento di temperatura della fase multipolare per le strategie di attacco degli USA – soprattutto via Siria e Ucraina – nei riguardi della Russia.

Premetto due brevi considerazioni, una storica per comprendere la nascita della potenza mondiale americana; l’altra territoriale per capire la costruzione della sovranità europea.

La prima. L’americanizzazione del territorio europeo e italiano è un processo che inizia con la dottrina di Monroe30, cioè l’alt dato alle potenze europee di interessarsi al continente America, ovviamente negli interessi degli Stati Uniti e non dell’autodeterminazione dei popoli, e si consolida con la guerra civile americana31, che rappresenta per gli USA la svolta che permetterà loro sia di divenire una potenza mondiale, sia di operare una de-europeizzazione del territorio americano che consentirà la costruzione e la riorganizzazione del territorio (città e campagna), a partire da una propria identità, progettualità, disegno e visione32.

La seconda. La città e il territorio europeo e italiano devono essere oggetto di un processo di de-americanizzazione33 a partire da un progetto di sovranità su cui innestare una strategia di relazioni sociali altre, cioè, <<[…] trovare il sistema di vita << originale >> e non di marca americana, per far diventare << libertà >> ciò che oggi è << necessità >> >>.

3.1 TTIP. Il TTIP sarebbe un’immensa zona di libero scambio, corrispondente ad un mercato di più di 800 milioni di consumatori, alla metà del PIL mondiale ed al 40% degli scambi mondiali. Le conseguenze della realizzazione del TTIP sono devastanti sia dal punto di vista economico e sociale (libertà di azione delle multinazionali, ridimensionamento e ristrutturazione delle aziende agricole, peggioramento delle politiche del lavoro e delle politiche sociali, peggioramento delle condizioni ambientali, allineamento delle norme europee alle norme americane, eccetera), sia dal punto di vista territoriale (ridisegno del territorio rurale con conseguenza sul territorio urbano, sul paesaggio, eccetera)34. Di fatto il TTIP ha l’obiettivo di creare un mercato comune <<[…] che dia nuovo impulso alle due sponde dell’Atlantico[…] sembra però [non funzionare perchè] le stime più ottimiste fornite dall’Eurostat, [indicano] per l’Europa un aumento del PIL solamente dello 0.5% mentre per gli Stati Uniti 0,4%. Le stime risultano modeste per un progetto così ambizioso e ciò è dovuto al fatto che i rapporti commerciali tra UE e USA sono già in uno stato avanzato >>35.

In sintesi <<[…] questo trattato, se approvato secondo le intenzioni delle Tnc ( multinazionali trans-nazionali, mia precisazione), includerà modifiche ai regolamenti riguardanti la sicurezza dei prodotti alimentari, prodotti farmaceutici, prodotti chimici, ecc; stabilità finanziaria (libertà per gli investitori di trasferire i loro capitali senza preavviso); nuove proposte fiscali, come la finanziaria tassa sulle transazioni; sicurezza ambientale (ad esempio il diritto di imporre norme più rigorose sulle industrie inquinanti) e così via. I governi non potranno privilegiare operatori nazionali in rapporto a quelli stranieri per i contratti di appalto (una parte significativa di ogni economia moderna). Il processo negoziale si terrà a porte chiuse, senza il controllo dei cittadini>>36.

La strategia geo-economica e geo-politica degli USA, attraverso la creazione di una istituzione internazionale qual è il TTIP, mira a formare una grande area economica, che ingloba anche11 paesi che affacciano sul lato del pacifico (Messico, Canada, Cile, Perù, Giappone, Australia, Malesia, Singapore, Vietnam, Nuova Zelanda e Brunei) attraverso il TPP (Transpacific Patrnership), per contrastare sia il costruendo asse geo-politico ed economico tra la Cina e la Russia (come futuro epicentro degli equilibri mediorientali ed asiatici) sia per limitare le nuove potenze del Sud ( India, Brasile) e le macro areee regionali economiche ( come per esempio l’area Mercosur in America Latina).

La questione grave è la ulteriore perdita di sovranità degli Stati che compongono la UE (non esiste una Europa politica e militarmente autonoma) in favore degli agenti strategici americani e del declino definitivo di una possibile costruzione di politica europea autonoma capace di agevolare la costruzione di un mondo multipolare come soggetto di relazione sia con l’Occidente sia con l’Oriente. E’ lo smantellamento della << […] Unione Europea a vantaggio di un’unione economica intercontinentale, cioè relegare definitivamente l’Europa ad un grande insieme << oceanico>> separandola dalla sua parte orientale e da qualsiasi legame con la Russia.>>37.

Credo che sia ancora parzialmente valida la riflessione di Costanzo Preve quando affermava che << Per poter perseguire la prospettiva politica, culturale e geopolitica di un’alleanza strategica fra i continenti europeo ed asiatico contro l’egemonismo imperiale americano, prospettiva che ha come presupposto una certa idea di Europa militarmente autonoma dagli USA e dal loro barbaro dominio, bisogna prima (sottolineo: prima) sconfiggere questa Europa, neoliberale (e quindi oligarchica) in economia ed euroatlantica (e quindi asservita) in politica e diplomazia. Senza sconfiggere prima questa Europa non solo non esiste eurasiatismo possibile, ma non esiste neppure un vero europeismo possibile >>38. La parzialità è data dalla mancanza dei soggetti portatori di un progetto per una Europa autodeterminata sia all’interno degli agenti strategici dei dominanti sia all’interno degli agenti strategici dei dominati che vogliono un mondo multipolare fondata sulla maggioranza dei popoli39.

3.2 La militarizzazione delle città e dei territori. Non nascondo che faccio fatica ad immaginare una Europa che si autodetermina avendo sul suo territorio una miriade di basi militari NATO e NATO-USA (la Germania ne ha 70, l’Italia ne ha 111; sono dati da aggiornare ed escludono quelle che non si sanno)40. E’ fuori dubbio che gli USA sono egemoni nella NATO non fosse altro perchè è la potenza mondiale che spende in armamenti più della metà degli interi Stati mondiali (900 miliardi di dollari annui), e il suo presidente Barack Obama ha fatto sapere, in queste giornate europee, che<< […] «aerei Nato pattugliano i cieli del Baltico, abbiamo rafforzato la nostra presenza in Polonia e siamo pronti a fare di più». Andando avanti in questa direzione, avverte, «ogni stato membro della Nato deve accrescere il proprio impegno e assumersi il proprio carico, mostrando la volontà politica di investire nella nostra difesa collettiva». Tale volontà è stata sicuramente confermata a Obama da Napolitano e Renzi. Il carico, come al solito, se lo addosseranno i lavoratori italiani41>>. Così come è fuori dubbio che le strategie americane di politica estera, che ricalcano il vecchio retaggio da guerra fredda che impone supremazia militare ed economica e strategie regionali tese a proteggere incondizionatamente i Paesi alleati42, porteranno, mano mano che avanzerà la fase multipolare, ad una militarizzazione delle città e dei territori europei che esprime capacità militare, capacità di sicurezza e di controllo, capacità economica in funzione prevalentemente anti Russia. Non è un caso che la NATO non fu abolita una volta imploso il vecchio nemico “comunista”, ma fu rifondata probabilmente per meglio prepararsi ad un cambio di politica estera fondata sugli USA come unica potenza mondiale egemone: la nazione “eccezionale” universale. Oggi, per fortuna mondiale, non è così. La fase multipolare si va delineando e le strategie di politica estera americane fanno fatica a confrontarsi con le nascenti potenze mondiali (soprattutto Russia e Cina).

Ho già trattato, nei miei precedenti scritti, la infrastrutturazione del territorio europeo in funzione della Nato (l’intervento sulla TAV) e le città NATO (i due interventi sull’Ilva di Taranto). Voglio qui aggiungere una riflessione che riguarda la nuova polizia continentale con ampi poteri, l’Eurogendfor, istituita con il Trattato di Velsen (Olanda) e approvata all’unanimità dalla Camera e dal Senato all’assemblea di Montecitorio del 14 maggio 2010 (legge n.84 il “Trattato di Velsen”). Per indicare i caratteri principali del Trattato di Velsen riporterò i seguenti passi dell’articolo di Matteo Luca Andriola:<< […] la Forza di gendarmeria europea (European Gendarmerie Force), conosciuta come Eurogendfor o Egf, che viene ora a proporsi come il primo corpo poliziesco-militare dell’Unione Europea, a cui partecipano cinque nazioni, cioè l’Italia, la Francia, l’Olanda, la Spagna e il Portogallo ai quali, in seguito, si è pure aggiunta la Romania, un’istituzione, quindi, con valenza sovranazionale.[…] Fra il 2006 e il 2007 il processo di genesi dell’Eurogendfor fa passi da gigante: il 23 gennaio 2006 viene inaugurato il quartier generale a Vicenza, la stessa città dove ha sede il Camp Ederle delle truppe Usa, divenendo operativa a tutti gli effetti, mentre il 18 ottobre 2007 viene firmato il trattato di Velsen, sempre in Olanda […]All’art. 3 si legge che «la forza di polizia multinazionale a statuto militare composta dal Quartier Generale permanente multinazionale, modulare e proiettabile con sede a Vicenza (Italia). Il ruolo e la struttura del QG permanente, nonché il suo coinvolgimento nelle operazioni saranno approvati dal CIMIN – ovvero – l’Alto Comitato Interministeriale. Costituisce l’organo decisionale che governa EUROGENDFOR». Questa nuova “super-polizia” è, recita l’art. 1 del Trattato, «una Forza di Gendarmeria Europea operativa, pre-organizzata, forte e spiegabile in tempi rapidi al fine di eseguire tutti i compiti di polizia nell’ambito delle operazioni di gestione delle crisi», al servizio, non tanto dei cittadini dell’Ue o degli Stati firmatari del Trattato (le “Parti”), ma, sostiene l’art. 5, sarà «messa a disposizione dell’Unione Europea (UE), delle Nazioni Unite (ONU), dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) e di altre organizzazioni internazionali o coalizioni specifiche». Quindi un’Arma che può essere a disposizione degli Stati Uniti, dato che la Nato è, a tutt’oggi, il braccio armato di Washington in Occidente[…] Colpisce, inoltre, il fatto che l’European gendarmerie force goda di una completa immunità internazionale. L’art. 4, recita che l’«EGF potrà essere utilizzato al fine di: condurre missioni di sicurezza e ordine pubblico; monitorare, svolgere consulenza, guidare e supervisionare le forze di polizia locali nello svolgimento delle loro ordinarie mansioni, ivi comprese l’attività di indagine penale; assolvere a compiti di sorveglianza pubblica, gestione del traffico, controllo delle frontiere e attività generale d’intelligence; svolgere attività investigativa in campo penale, individuare i reati, rintracciare i colpevoli e tradurli davanti alle autorità giudiziarie competenti; proteggere le persone e i beni e mantenere l’ordine in caso di disordini pubblici; formare gli operatori di polizia secondo gli standard internazionali: formare gli istruttori, in particolare attraverso programmi di cooperazione»[…] A quali casi si fa riferimento nel trattato di Velsen? A quelli inquadrati «nel quadro della dichiarazione di Petersberg». Cioè? A Petersberg, nei pressi di Bonn, si riunì il 9 giugno 1992 il Consiglio ministeriale della Ueo che approvò una Dichiarazione che individuava una serie di compiti precedentemente attribuiti all’Ue o da assegnare all’Unione europea, cioè le cosiddette «missioni di Petersberg», cioè le “missioni umanitarie” o di evacuazione, missioni intese cioè al mantenimento dell’ordine pubblico, nonché operazioni costituite da forze di combattimento per la gestione di crisi, ivi comprese operazioni di ripristino della pace. Ergo, oltre all’intervento in caso di catastrofe naturale, l’Eurogendfor può intervenire per sedare delle manifestazioni in assetto da «forze di combattimento» >>43.

Questa nuova istituzione europea di polizia continentale, che fa capo alla NATO, di controllo e sicurezza territoriale, con sede in una città NATO simbolo come Vicenza, trova comprensione in tre direzioni da approfondire: 1. Il ruolo della NATO che non è un ruolo direttamente militare (viene sempre più velato) ma economico, di sviluppo di territori, di sicurezza, di controllo, di penetrazione e di ampliamento di territori in funzione di contrasto delle potenze mondiali emergenti, soprattutto la Russia; 2. La perdita della peculiarità territoriale (di città e di territori) europea trova nel modello sociale e territoriale egemonico americano, direttamente e indirettamente tramite l’egemonia nelle istituzioni internazionali, una delle cause fondamentali del suo declino e della sua specificità storica:<< L’Europa si formò con l’emigrazione, l’America con la conquista. Per usare il linguaggio dei geologi, diremo che quella procede da alluvione e questa da azione vulcanica. E’ questo un primo tratto che differenzia la vita europea dall’americana.

Eccone un altro: la civiltà dell’America fu un’opera di governo, un’impresa di Stato, un grande atto amministrativo; quella dell’Europa un’opera anonima, popolare, senza azione legislativa […] Ogni civiltà ha un’opera genuina che è la città. La città è la sintesi di una civiltà, il gesto o il ritmo che traduce la sua anima. Atene è la Grecia, come Roma è l’Impero, Firenze è il Rinascimento, Siviglia è l’anima spagnuola (New York è la modernità:” tutto ciò che è di solido, si dissolve nell’aria”, mia aggiunta)44 >>45; 3.La politica di coesione e la cooperazione territoriale europea è funzionale alla strategia americana per aprire varchi ad Est risucchiando sempre più territori dalla sfera di influenza Russa (ultimo caso: l’Ucraina).

Un esempio: si dice che << Una pluralità di questioni è associata alla coesione territoriale: il coordinamento delle politiche in regioni estese come quella del Mar Baltico, il miglioramento delle condizioni lungo le frontiere esterne orientali, la promozione di città sostenibili e competitive a livello mondiale, la lotta all’emarginazione sociale in alcune parti di regioni più ampie e nei quartieri urbani sfavoriti, il miglioramento dell’accesso all’istruzione, all’assistenza sanitaria e all’energia in regioni remote e le difficoltà di alcune regioni che presentano determinate caratteristiche geografiche.[…] Il modello di insediamento europeo è unico. In Europa sono sparse circa 5 000 città piccole e quasi 1 000 città grandi, che fungono da centri di attività economica, sociale e culturale. In questa rete urbana relativamente densa le città molto grandi sono però poche. Nell’UE solo il 7% delle persone abita in città con oltre 5 milioni di abitanti, rispetto al 25% negli USA, e solo 5 città europee sono annoverate fra le 100 più grandi città del mondo.

Questo modello di insediamento contribuisce alla qualità della vita nell’UE, sia per gli abitanti delle città, che sono vicini alle zone rurali, sia per i residenti delle zone rurali, che beneficiano della prossimità dei servizi. È inoltre un modello più efficiente dal punto di vista dell’utilizzo delle risorse in quanto evita le diseconomie dei grandi agglomerati e l’elevato uso di energia e di terre che caratterizzano l’espansione urbana; tali diseconomie assumeranno dimensioni ancora più preoccupanti con il progredire dei cambiamenti climatici e l’adozione di misure per adeguarvisi o per contrastarli >>46, questo modello così delineato cosa ha a che fare con il TTIP che è la distruzione delle aree rurali e la creazione di squilibri territoriali europei? Cosa ha a che fare con la realtà urbana e territoriale sempre più modellata su quella americana?47

Concludo con le parole del Re di Brobdingnag che sosteneva come <<[…] gli inglesi ( oggi, gli americani, mio aggiornamento) siano la più pericolosa razza di schifosi vermiciattoli cui la natura abbia concesso di strisciare sulla faccia della terra >>48.

Fonte: La foto è tratta dalla copertina del libro: Nico Perrone, Progetto di un impero 1823.L’annuncio dell’egemonia americana infiamma le borse, La Città del Sole, 2013, Napoli.

1 Le citazioni scelte come epigrafi sono tratte da: Raimondo Luraghi, Gli Stati Uniti, Utet, Nuova storia universale dei popoli e delle civiltà, volume sedicesimo, Torino, 1974, pag. XXI; Film: Totò, Fabrizi e i giovani di oggi, 1960; Sigmund Freud, Perché la guerra?. Carteggio con Albert Einstein, La città del sole, Napoli, 1996, pp. 24-25-28.

2 Le affermazioni di Zbigniew Brzezinski sono tratte da Luciano Lago, Zbigniew Brzezinski: L’egemonia degli USA ha i giorni contati, 2013, www.stampalibera.com. Sul declino degli USA valga per tutti il rimando a Giovanni Arrighi, Il lungo XX secolo, il Saggiatore, Milano, 1996; Giovanni Arrighi, Beverly J. Silver, Caos e governo del mondo. Come cambiano le egemonie e gli equilibri planetari, Mondadori, Milano, 1999; Gianfranco La Grassa, Finanza e poteri, Manifestolibri, Roma, 2008; Gianfranco La Grassa, Andrò girovagando, ma per favore seguitemi, quattro puntate, 2013 e Gianfranco La Grassa, Sommarie riflessioni sulla crisi, tre parti ( la prospettiva più tradizionale ( economicistica), un ripensamento complessivo, conclusione:la crisi dipende dalla politica), 2013, in www.conflittiestrategie.it.

3 << Nei periodi oramai passati della precedente amministrazione Bush, le Forze Speciali USA erano precedentemente dislocate in ben 60 nazioni sparse per il mondo, nel 2010, secondo Karen DeYoung e Greg Jaffe del Washington Post, questo numero si era gonfiato fino a 75. Per arrivare poi nel 2011, quando il portavoce del Comando Operazioni Speciali (SOCOM) Colonello Tim Nye ne annunciò che la presenza si sarebbe allargata a 120 nazioni. Questa cifra oggi è già obsoleta. Nel 2013, le forze d’Elite USA erano dislocate in 134 paesi [ su 194 stati generalmente riconosciuti sovrani a livello internazionale, mia osservazione ] , secondo il colonnello Robert Bockholt dell’Ufficio Relazioni della SOCOM (Comando Operazioni Speciali). Questo aumento del 123% durante l’amministrazione Obama dimostra come, in aggiunta ai conflitti decennali convenzionali ,alla campagna dei droni svolta dalla CIA, alla diplomazia e all’esteso controllo della cybersfera, l’America ha lanciato un ulteriore forma significante di controllo nei paesi esteri >> in Nick Turse, La guerra segreta delle forze USA in 134 paesi, 05/02/2014, www.comedonchisciotte.org.

4 Per restare agli ultimi eventi si rifletta sul ruolo di testa di ponte euroasiatica che svolge l’Europa ( in particolare la Francia e la Germania) nelle strategie USA ( via NATO) nella crisi della Siria e dell’Ucraina e nel progetto di realizzazione del Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP, Transatlantic trade and investment partnership) che modella sempre più i capitalismi europei sul capitalismo della superpotenza mondiale americana separando sempre di più l’Europa dall’Oriente, riducendo i legami con la Russia e la Cina. Due potenze mondiali che vanno contenute sia applicando un potere forte dove prevale la sfera politico-militare ( la strategia di Zbigniew Brzezinshi per la Russia) sia applicando un potere flessibile dove prevale la sfera politico-economica (la strategia di Henry Kissinger per la Cina). Per approfondimenti si rimanda a Zbigniew Brzezinshi, La grande scacchiera, Longanesi, Milano, 1998; Henry Kissinger, Cina, Mondadori, Milano, 2011; Franco Cardini, A proposito del cosiddetto “imperialismo russo” ( e della corta memoria dei suoi stigmatizza tori), 9 marzo 2014, www.francocardini.net; Gianfranco La Grassa, Quali possibilità ancora ci si offrono?, 11 marzo 2014, www.conflittiestrategie.it; Geab83, Crisi sistemica globale, 17 marzo 2014, www.comedonchisciotte.org; Ignacio Ramonet, Pericolo!Accordo transatlantico per il commercio e gli investimenti, 7 marzo 2014, www.monde-diplomatic.it; Alain de Benoist, Il grande mercato transatlantico: come gli Stati Uniti continueranno a fare a pezzi l’Europa, 18 febbraio 2014, www.ariannaeditrice.it ; Lori Wallach, Il trattato transatlantico: un uragano che minaccia gli europei in “Le Monde Diplomatique”, ed. italiana, novembre 2013; Alessandro Di Liberto, L’ipotesi dell’Unione Transatlantica: breve analisi, 8/10/2013, www.ariannaeditrice.it.

5 << […] l’instabilità dell’Europa centrorientale e dei Balcani, la conflittualità politica del Nord Africa e del Medio Oriente, le minacce al controllo delle risorse energetiche dell’area caucasica e del Golfo, l’accesso alle quali passa per l’Adriatico e per il Mediterraneo, e la libertà di navigazione in quest’ultimo […] fa dell’Italia la “sentinella” dei Balcani e del Medio Oriente[…] La nuova organizzazione di comando della NATO assegna al nostro paese 4 comandi, fra regionali e sub regionali, pari solo a quelli degli Stati Uniti contro, invece, i 2 della Germania – il punto di fuga della guerra fredda – e della Gran Bretagna. E, mentre molte delle basi collocate in altri paesi europei sono in via di smantellamento, la Nato continua a investire in quelle italiane.>> in Marco Clementi, La Nato. Dal mondo diviso in due alla minaccia del terrorismo globale, il Mulino, Bologna, 2002, pag.110.

6 Per queste ragioni gli USA ( specialmente gli ambienti strategici che esprimono Barack Obama) stanno pressando il loro fiduciario Giorgio Napolitano affinché porti a compimento, in tempi brevi, la realizzazione di quel progetto di costruzione ( iniziato nel lontano 1992-‘93 con l’operazione “mani pulite”) di un formale bipolarismo-bipartitismo ( destra e sinistra, termini che non spiegano più niente), di derivazione americana (che nulla ha a che fare con la tradizione politica italiana), armonioso, pratico, affidabile, disponibile e ubbidiente alle strategie USA. Per adesso il suddetto progetto si è fermato all’operatore di marketing politico, Matteo Renzi. Su questi temi si rimanda alla originale e interessante analisi di Gianfranco La Grassa. Segnalo alcuni suoi interventi: Piccole memorie, Pantomima continua, una “Monarchia ecclesiastica” e L’Entrata in campo, 2013, www.conflittiestrategie.it.

7 Si leggano di Giorgio Napolitano il messaggio alla Camera dei Deputati del 22 aprile 2013 ( rielezione a Presidente della Repubblica) e il discorso al Parlamento europeo del 4 febbraio 2014 (omaggio al Parlamento europeo per la rielezione a Presidente della Repubblica) in www.quirinale.it ; si veda il Fiscal Compact adottato dal Parlamento dove tra gli impegni assunti con la legge 23 luglio 2012 n.114 spicca l’obbligo di ridurre al 60% dell’incidenza del debito pubblico sul Pil lungo un arco di vent’anni a partire dal 2015. Per le ricadute devastanti sul Pil rinvio al modello, creato su base ottimista delle variabili considerate, di Giorgio Gattei, Antonino Iero: L’insostenibile rimborso del debito, 11 marzo 2014, www.economiaepolitica.it; per non parlare dei richiami del presidente della Bce, Mario Draghi, e della stessa Bce, attraverso il bollettino di marzo, che sottolineano come l’Italia non si attiene alla: <<… raccomandazione della Commissione del novembre 2013[che] indicava la necessità di ulteriori misure di risanamento per assicurare l’osservanza del Patto di stabilità e crescita (cioè per conseguire l’obiettivo di medio termine di un bilancio strutturale in pareggio nel 2014 e assicurare progressi sufficienti verso il rispetto del criterio per il debito durante la fase di transizione). Finora, tuttavia, non sono stati compiuti progressi tangibili per quanto riguarda la raccomandazione della Commissione. In prospettiva, è importante effettuare i necessari interventi affinché siano soddisfatti i requisiti previsti dal meccanismo preventivo del Patto di stabilità e crescita, soprattutto per quanto riguarda la riconduzione del rapporto debito/PIL su un percorso discendente, come segnalato anche di recente dalla Commissione europea nel contesto dell’esame approfondito sull’Italia >>, Banca Centrale Europea, Bollettino mensile marzo, n.3/2014, pag.86, www.bancaditalia.it.

8 Per una lettura geo-economica si veda l’analisi di Immanuel Wallerstein, Cosa intendono gli Stati Uniti per Europa in “Il Manifesto” del 18 febbraio 2014. Per una conferma ultima della subordinazione dell’Europa alle strategie USA nella crisi Ucraina si rimanda a Manlio Dinucci, Le armi dell’economia, Il Manifesto, 11 marzo 2014; Gianni Petrosillo, La spar(t)izione dell’Europa, 10 marzo 2014, www.conflittiestrategie.it; Jacques Sapir, Crimea e diritto internazionale, 11 marzo 2014, www.sinistrainrete.it ( lo scritto non è condivisibile nella sua interezza, soprattutto per quanto riguarda la mancata chiarezza sulla non autonomia dell’Europa dalla strategia USA e sulla politica del divide et impera americana in Europa); Pepe Escobar, Il nuovo grande (rischioso) gioco in eurasia,18 marzo 2014, www.comedonchisciotte.org.

9 Intendo il concetto di egemonia nella accezione gramsciana prevalente e cioè:<< L’esercizio “normale” dell’egemonia nel terreno divenuto classico del regime parlamentare, è caratterizzato dalla combinazione della forza e del consenso che si equilibrano variamente, senza che la forza soverchi di troppo il consenso, anzi cercando di ottenere che la forza appaia appoggiata sul consenso della maggioranza, espresso dai così detti organi dell’opinione pubblica – giornali e associazioni – i quali, perciò, in certe situazioni, vengono moltiplicati artificiosamente >> in Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, volume III, quaderno 13, Einaudi, Torino, 1975, pag.1638.

10 David Harvey, Il capitalismo contro il diritto alla città, Ombre Corte,Verona, 2012, pp.92-93. E’ da sottolineare con Costanzo Preve, che << la Cina è un paese capitalistico che non tollera il formarsi dei partiti capitalistici soprattutto quelli di tipo americano[…] l’instaurazione di un sistema politico di tipo americano, il che vorrebbe dire praticamente la fine del controllo statale sull’economia cinese e pertanto la totale omogeneizzazione della Cina al sistema capitalistico occidentale>> in Costanzo Preve, Democrazia, oligarchia e capitalismo, intervista di Andrea Bulgarelli, 23/1/2013, www.ariannaeditrice.it.

11 Su questi temi rimando a Giovanni Arrighi, Capitalismo e (dis)ordine mondiale, a cura di Giorgio Cesarale e Mario Pianta, Manifestolibri, Roma, 2010.

12 L’ammontare totale della spesa militare mondiale per il 2012 è pari a 1756 miliardi di dollari. Gli USA con una spesa militare, in declino, pari a 684,3 miliardi di dollari (39% di quella mondiale), confermano il loro primato nel settore, seguito dalla Cina con una spesa militare, in forte aumento, pari a 166 miliardi di dollari ( 9,4% di quella mondiale) e dalla Russia con una spesa militare, in forte rialzo, pari a 90.7 miliardi di dollari ( 5,8% di quella mondiale). Cfr SIPRI Yearbook 2013, Armaments,disarmament and International security in www.sipriyearbook.org ; Istituto di Ricerche Internazionali “Archivio Disarmo”, Le spese military mondiali nel 2010 in www.archiviodisarmo.it .

13 Raimondo Luraghi, La guerra civile americana. Le ragioni e i protagonisti del primo conflitto industriale, BUR Rizzoli, 2013, pp.7-8.; Raimondo Luraghi, Storia della guerra civile americana. Da John Brown ad Abraham Lincoln, Bur Rizzoli, Milano, 2013; Raimondo Luraghi, Gli Stati Uniti, Utet, Torino, 1974, Nuova storia universale dei Popoli e delle Civiltà, volume sedicesimo; Nico Perrone fa risalire la ferma determinazione politica della classe dirigente alla dottrina di Monroe del 1823:<< Le risorse interne e quelle dei domini geografici e politici via via acquisiti, sono state gli strumenti materiali per far crescere la grande potenza americana. E dietro tutte le risorse materiali c’è stata sempre la capacità degli americani di sentirlo come proprio quel progetto, e di farlo durare al di sopra di ogni interna divisione politica.[…] Occorrevano anche una chiarezza di obiettivi […] e una ferma determinazione politica, che fossero sostenute da una corale volontà nazionale. Dopo sarebbero venuti la potenza delle armi, il potere economico, la tecnologia, e soprattutto il sapere elevare a dogma di respiro mondiale i propri interessi e il proprio sistema economico-politico >> in Nico Perrone, Progetto di un impero 1823.L’annuncio dell’egemonia americana infiamma le borse, La Città del Sole, 2013, Napoli, pag.198.

14 Costanzo Preve, Filosofia e geopolitica, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma, 2005, pp.38-39. Si veda anche Alain de Benoist, L’impero del “bene”. Riflessioni sull’America d’oggi, Edizioni Settimo Sigillo, Roma, 2004; Domenico Losurdo, Democrazia o bonapartismo, Bollati Boringhieri, Torino, 1993, pp.167-172.

15 Su questi temi rimando a Giovanni Arrighi, Beverly J. Silver, Caos e governo del mondo. Come cambiano le egemonie e gli squilibri planetari, Mondadori, Milano, 2003. Rilevo, an passant, che nel citato libro vi è una forte lettura economicistica del dis-ordine mondiale.

16 Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, volume III, quaderno 22, Einaudi, Torino, 1975, pp.2178-2179.

17 Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, volume III, quaderno 22, Einaudi, Torino, 1975, pp.2145-2146. Si veda Franco Farinelli, Geografia. Un’introduzione ai modelli del mondo, Einaudi, Torino, 2003, pag.187.

18 Se si esclude il lavoro di forte impronta tecnico-economica del 1941 del passaggio dalla società capitalistica a quella manageriale di James Burnham, La rivoluzione manageriale, Bollati Boringhieri, Torino, 1992.

19 Riportato in Giovanni Arrighi, Beverly J. Silver, Caos e governo del mondo. Come cambiano le egemonie e gli squilibri planetari, Mondadori, Milano, 2003, pag.267. Per una applicazione dell’arte criminale da parte degli USA durante la seconda guerra mondiale (liberazione-occupazione dell’Europa) si veda HS, Mondo Criminale – il paradigma “siculoamericano”: gli albori, 17 marzo 2014, www.comedonchisciotte.org; Giuseppe Casarrubea, Mario J. Cereghino, Lupara nera. La guerra segreta alla democrazia in Italia 1943-1947, Bompiani, Milano, 2009.

20 E’ da ri-costruire l’analisi storica dell’assenza del territorio nell’analisi marxista: quando esso è stato trattato non si è andato oltre la logica economicistica marxista ma non marxiana (con ciò non voglio esimere Karl Marx dalle sue responsabilità).

21 Si veda David Harvey, La crisi della modernità, il Saggiatore, Milano, 1993; David Harvey, L’esperienza urbana. Metropoli e trasformazioni sociali, il Saggiatore, Milano, 1998.

22 Le sfere sociali sono astrazioni con cui si cerca di comprendere la realtà (ricordando sempre che la realtà è più avanti noi siamo sempre indietro, come cantava Giorgio Gaber) e sono individuate a seconda delle esigenze teoriche degli studiosi. Per esempio Gianfranco La Grassa ne ha individuato tre (economica, politica, ideologico-culturale); David Harvey ne utilizza sette (le attività tecnologiche e forme organizzative, rapporti sociali, ordinamenti istituzionali e amministrativi, produzione e processi lavorativi, rapporti con la natura, riproduzione della vita quotidiana e della specie, concezioni mentali del mondo).

23 Così interpreto i capitoli ventitreesimo (la legge generale dell’accumulazione capitalistica) e ventiquattresimo (la cosiddetta accumulazione originaria) di Karl Marx, Il capitale. Critica dell’economia politica, Einaudi, Torino, 1975, libro primo, pp. 753-877 e pp. 879-938. Il potere è la relazione più stupida e terrificante che il genere umano si sia costruito, dalla famiglia allo Stato. William Shakespeare (Re Lear) e Svetonio (Vite dei Cesari) hanno scritto cose memorabili sull’essenza devastante del potere. Tant’è che sin dai tempi antichi tutte le società con le loro istituzioni, storicamente determinate, si sono poste il problema del controllo e del limite del potere attraverso l’equilibrio (il bilanciamento) dei soggetti del potere. La dottrina costituzionale della separazione dei poteri richiede un bilanciamento di poteri fra il ramo esecutivo, quello legislativo e quello giudiziario. Un bilanciamento flessibile e storicamente dato. Per esempio, << La crisi delle concezioni di nazione prodotta dalla guerra civile (americana, mia precisazione) divenne la base di una nuova scienza politica e giuridica che riposizionò stato, sovranità e diritto pubblico lontano dall’enfasi del XIX secolo su autorità locale, autogoverno e democrazia partecipativa >> in Saskia Sassen, Territorio, autorità, diritti. Assemblaggi dal Medioevo all’età globale, Bruno Mondadori, Milano, 2008, pag.165.

24 Giuseppe Papagno (1979), Istituzioni in AaVv, Enciclopedia Einaudi, Vol. VII, Torino, Einaudi. Gianfranco La Grassa, L’altra strada. Per uscire dall’impasse teorico, Mimesis, Milano, 2012, pp.195-212. E’ da riflettere, in maniera più approfondita e sistematica, sui meccanismi istituzionali nelle strategie degli agenti dominanti tenendo chiaro due punti: 1. Le istituzioni sono parti integranti del conflitto strategico degli agenti dominanti; 2. La burocrazia è un concetto vuoto, superficiale che non fa capire i processi di produzione, gestione, programmazione utili per raggiungere gli obiettivi strategici dei dominanti (Honorè Balzac qualcosa del genere l’aveva intuito nel suo libro “Gli impiegati”).

25 Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, Einaudi, Torino, 1975, volume terzo, quaderno 19, pp.2010-2011.

26 La Costituzione italiana definisce, nella parte seconda, i luoghi territoriali dell’ordinamento della Repubblica: parlamento (camera e senato), presidente della repubblica, governo della repubblica, pubblica amministrazione, organi ausiliari, magistratura, regioni- province- comuni, corte costituzionale.

27 Jonathan Swift, I viaggi di Gulliver, Oscar Mondadori, Milano, 2013, pag 144.

28 Il territorio è articolato, è materiale, è trascendente, è ricco di relazioni umane sessuate e naturali. La sua articolazione è il risultato delle relazioni intese << come unità inscindibile dell’elemento naturale e dell’elemento storico>>. La sua costruzione (il paesaggio) è data dai cicli della natura con le sue leggi (non molto conosciute) e dal modo di produzione e riproduzione sociale (molto aggressivo) che il genere umano sessuato si dà storicamente. I meccanismi della produzione e riproduzione sociale di una società, basata sul modo di produzione capitalistico, non hanno tenuto, non tengono e non terranno conto sia della libera autodeterminazione umana sessuata sia delle leggi e degli equilibri naturali. Si rimanda a Karl Marx, Il capitale. Critica dell’economia politica, Einaudi, Torino, 1975; Karl Marx, Critica al programma di Gotha, Editori Riuniti, Roma, 1976; Costanzo Preve, Marx inattuale, Bollati Boringhieri, Torino, 2004.

29 David Harvey, L’esperienza urbana. Metropoli e trasformazioni sociali, il Saggiatore, Milano, 1998, pag. 227.

30 Nico Perrone, Progetto di un impero 1823.L’annuncio dell’egemonia americana infiamma le borse, La Città del Sole, 2013, Napoli.

31 Raimondo Luraghi, La spada e le magnolie, Donzelli, Roma, 2007.

32 Per una introduzione alla costruzione e contrapposizione politica e ideologica della concezione del territorio tra USA e URSS si veda Bernardo Secchi, La città del ventesimo secolo, Laterza, Roma-Bari, 2008, pp.63-85.

33 Non leggo gli Usa come uno stato canaglia o una superpotenza canaglia alla Noam Chomsky (come fa nel suo “De-americanizzare il mondo”, 8/11/2013, www.comedonchisciotte.com ), ma leggo la de-americanizzazione dell’Europa come un processo che limiti l’egemonia degli USA per agevolare un mondo multipolare, possibilmente basato sull’autodeterminazione dei popoli.

34 Per una comprensione approfondita sulla portata distruttrice del TTIP sulla campagna, si legga l’interessante libro sulla questione agraria mondiale di Silvia Perez-Vitoria, Il ritorno dei contadini, Jaca Book, Milano, 2007. Riporto da I quaderni di Attac di Torino, n.7 – Gennaio 2014 – alcune gravi conseguenze nefaste sul settore agricolo: << L’impresa agricola USA è circa 13 volte più grande della sua omologa europea (169 ettari negli USA rispetto ai 12,6 ettari nella UE) e poiché si è venuta progressivamente concentrando in grandi complessi agroalimentari, gli agricoltori negli Stati Uniti sono oggi appena 2 milioni contro i 13 della UE. Oltre ad essere molto più piccole, le imprese agricole della UE sono anche gravate da norme uniche nel loro genere, riguardanti l’ambiente e il benessere sociale e animale, norme dalle quali sono invece esenti le loro molto più grandi controparti americane. Ecco perché è generalizzata tra gli agricoltori europei la preoccupazione che, se il TTIP aprisse i mercati UE e USA ad un’ulteriore concorrenza, loro non sarebbero più in grado di competere con le controparti USA. Temono infatti che i consumatori europei, che pure richiedono severi limiti nell’uso di pesticidi e il mantenimento dei paesaggi campestri in Europa, scelgano poi di riempire i carrelli della spesa con prodotti USA a buon mercato. Se procedesse come ora previsto, il TTIP potrebbe davvero vanificare il progetto di riforma dell’agricoltura europea su basi più sostenibili dal punto di vista economico, sociale e ambientale, insieme con l’obiettivo di creare circuiti commerciali a filiera corta tra produttori e consumatori, e di rafforzare i sistemi alimentari locali e regionali.

La concorrenza con gli agricoltori americani porterà invece un’accelerazione nella concentrazione dell’agricoltura nelle mani dei grandi gruppi agroalimentari, una diminuzione dei lavoratori agricoli attivi e, di conseguenza, l’aumento della disoccupazione. Come ha rilevato la Commissione Europea nella sua Valutazione di Impatto del TTIP: “In agricoltura, alcune conseguenze di breve periodo di un accordo commerciale USA-UE, possono essere la diminuzione della produzione europea, in particolare in alcuni settori di produzione delle carni… certi comparti agricoli UE potrebbero quindi essere spinti a licenziare i lavoratori.”>>. E’ utile ricordare, per esempio, che il made in Italy agroalimentare è in mano di investitori stranieri (dati Inea-Infocamere) e che l’Italia importa grano americano, messicano e canadese. Abbiamo perso la sicurezza alimentare nazionale, ma questo è un altro ragionamento.

35 Alessandro Di Liberto, L’ipotesi dell’Unione Transatlantica: breve analisi, 8/10/2013, www.ariannaeditrice.it.

36 Susan George, Poteri occulti. L’intero pianeta è sotto scacco in il manifesto, 4 ottobre 2013.

37 Alain de Benoist, Il grande mercato transatlantico: come gli Stati Uniti continueranno a fare a pezzi l’Europa, 18 febbraio 2014, www.ariannaeditrice.it

38 Costanzo Preve, I referendum sulla “Costituzione europea” in Eurasia-rivista di studi geopolitici n.3/2005.

39 Tratterò questa questione all’interno del mio prossimo scritto che avrà il seguente titolo: Il conflitto strategico, una buona base per la costruzione dell’ordine simbolico sessuato. Appunti di riflessione.

40 Sul senso del potere politico e militare dell’occupazione del territorio europeo da parte degli USA attraverso le proprie basi militari e quelle della Nato, si veda l’intervista ad Alexander Dugin, L’occupazione è occupazione, 29/01/2014, www.millennium.org.

41 Secondo i dati del Sipri, l’autorevole istituto internazionale con sede a Stoccolma, l’Italia è salita nel 2012 al decimo posto tra i paesi con le più alte spese militari del mondo, con circa 34 miliardi di dollari, pari a 26 miliardi di euro annui. Il che equivale a 70 milioni di euro al giorno, spesi con denaro pubblico in forze armate, armi e missioni militari all’estero in Manlio Dinucci, Quando ci costa la libertà della Nato, il Manifesto, 29/03/2014.

42 Sui limiti della politica estera degli USA collegati al vecchio retaggio da guerra fredda, sulle difficoltà di impostare una politica estera adatta alla nuova fase multipolare che si sta delineando e sulle lacune nonché sui conflitti decisionali basati su vecchi schemi cognitivi e su un modello decisionale istituzionale che esalta l’esecutivo, la natura elitaria, la lotta interistituzionale, i “groupthink”, si veda l’interessante articolo di Giulia Micheletti, Le origini interne della strategia geopolitica statunitense, 03/03/2014, www.eurasia-rivista.org.

43 Matteo Luca Andriola, Il trattato di Velsen e l’Eurogendfor, 13/03/2014, www.comunismoecomunita.org.

44 Per la città di New York come simbolo della modernità, si veda Marshall Berman, L’esperienza della modernità, il Mulino, Bologna, 1985.

45 Giovanni B. Teràn, La nascita dell’America spagnuola, in Leonardo Benevolo e Sergio Romano, a cura di, La città europea fuori d’Europa, Libri Scheiwiller, Credito Italiano, Verona, 1998, pag.79. Si legga Fernand Braudel, Le strutture del quotidiano. Civiltà materiale, economia e capitalismo ( secoli XV-XVIII), Einaudi Torino, 1982, volume primo.

46 Commissione delle Comunità Europee, Libro verde sulla coesione territoriale. Fare della diversità territoriale un punto di forza, 6/10/2008, www.europa.eu, pp. 3 e 5.

47 Si veda David Harvey, Città ribelli, il Saggiatore, Milano, 2013; Mike Davis, Il pianeta degli slum, Feltrinelli, Milano, 2006; Alessandro Petti, Arcipelaghi e enclave. Architettura dell’ordinamento spaziale contemporaneo, Bruno Mondadori, Milano, 2007.

48 Jonathan Swift, I viaggi di Gulliver, Oscar Mondadori, Milano, 2013, pag.144.

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RITORNA IL FANTASMA DEL PONTE SULLO STRETTO DI MESSINA: SERVE ALLA NATO O ALLA SPECULAZIONE FINANZIARIA E POLITICA? _ a cura di Luigi Longo

RITORNA IL FANTASMA DEL PONTE SULLO STRETTO DI MESSINA: SERVE ALLA NATO O ALLA SPECULAZIONE FINANZIARIA E POLITICA?

a cura di Luigi Longo

Il decreto-legge 31 marzo 2023 n.35, recante << Disposizioni urgenti per la realizzazione del collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria >>, approvato in via definitiva nella seduta del Senato del 24 maggio 2023, formalmente dà il via all’approntamento del ponte sullo Stretto di Messina (si veda anche il dossier del 5 aprile 2023, a cura del Servizio Studi del Senato e della Camera, su “Disposizioni urgenti per la realizzazione del collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria. A.C. 1067- D.L. 35/2023”, https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/19/DOSSIER/0/1375835/index.html?part=). L’iter di realizzazione del progetto del Ponte contiene le date di inizio dei lavori (2024) e di fine dei lavori (2030), così come fu configurata, nel 2008, dal governo di Silvio Berlusconi che fissava nel 2010 l’inizio dei lavori e nel 2016 la fine dei lavori; sarà, in sostanza, considerata la stessa durata temporale della realizzazione del Ponte, un progetto copia e incolla (della serie il tempo passa invano! Sic).

La storia si ripete, ma in maniera diversa. Vediamo come. Nella relazione di Governo del 31 marzo scorso, di accompagnamento al citato decreto-legge, si sottolinea che l’opera è «un’infrastruttura fondamentale rispetto alla mobilità militare, tenuto conto della presenza di basi militari Nato nell’Italia meridionale». Per la prima volta, a mia conoscenza, viene detto con chiarezza che il Ponte è una infrastruttura fondamentale per la Nato, meglio per gli Usa e le loro strategie di conflitto per il dominio mondiale nella fase multicentrica.

E’ questa chiarezza di servitù volontaria del Governo che non convince, così come non convincono le pressioni per la realizzazione del Ponte da parte sia dell’Unione Europea (un soggetto politico inesistente: una espressione geografica di metternichiana memoria), sia della Nato (uno strumento delle strategie di potenza degli Usa).

Non vi è nessuna ragione, né di un sapere critico, né di un sapere sistemico razionale (militare, economico, territoriale, ambientale, sismico, ingegneristico, fisico, storico, eccetera) che sostenga la fattibilità e l’utilità del Ponte; mentre diventa forte la convinzione che si tratti di una speculazione finanziaria che la storia del progetto del Ponte di Messina dimostra (un costo previsto oltre i 10 miliardi di euro, una previsione della Webuild SpA la società leader del settore costruzioni nata nel 2014 dalla fusione delle imprese Salini ed Impregilo. La previsione di un anno mezzo fa non tiene conto ovviamente del terremoto dei prezzi generato dalla guerra Russia-Ucraina e dalle conseguenti speculazioni sui mercati finanziari, specie relativamente alle due componenti chiave del Ponte, cemento e acciaio. Cfr. Antonio Mazzeo, Ponte sullo Stretto: il mostro è riemerso, www.antoniomazzeoblog.blogspot.com, 4/12/2022) e di una ulteriore militarizzazione del territorio (case matte militari sparse sul territorio), utile alle strategie statunitensi, di cui i servitori italiani ed europei sono a conoscenza (per quello che debbono eseguire) ma debbono ubbidire tacendo.

E si sa che le forme legislativa e giuridica, espressioni dei dominanti e dei sub-dominanti, velano i processi reali: i veri rapporti di potere non si mostrano!

Concludo ricordando la prefazione di Umberto Santino al libro di Antonio Mazzeo (I padrini del Ponte. Affari di mafia sullo stretto di Messina, Edizioni Alegre, Roma, 2010): << C’è da chiedersi se il cantiere per costruire un ponte culturale, sociale e politico, lanciato verso un futuro diverso, sia aperto e operante o faccia parte di un desiderio destinato a rimanere tale >>.

Propongo, nella logica di svelare alcuni aspetti della realtà intorno al Ponte sullo stretto di Messina (quale cavallo di Troia), la lettura dei seguenti tre scritti: 1) Giorgia Audillo, Gli interessi militari dietro al Ponte sullo Stretto di Messina, apparso sul sito www.osservatoriorepressione.info il 27/7/2023, 2) Karim El Sadi, a cura di, Intervista a Antonio Mazzeo: il Ponte opera insostenibile spinta dal governo per collegare basi Nato, pubblicato sul sito www.antimafiaduemila.com il 8/6/2023; 3) Luigi Longo, Le infrastrutture militari nella fase multicentrica, diffuso sul sito www.italiaeilmondo.com il 19/1/2018.

PRIMO SCRITTO

GLI INTERESSI MILITARI DIETRO AL PONTE SULLO STRETTO DI MESSINA

Anche la Nato preme per costruire il ponte sullo Stretto, l’infrastruttura servirà a collegare le basi di Sigonella e Napoli

di Giorgia Audiello

A chi serve davvero il ponte sullo stretto di Messina? Il tema è tornato al centro dell’attenzione dopo che il governo ha deciso di riprendere il progetto infrastrutturale per collegare la Sicilia alla Calabria e sono emerse le forti pressioni dell’ambito militare – in particolare della Nato – per la realizzazione dell’opera. Più che attuare la costruzione dell’infrastruttura per migliorare la mobilità civile, infatti, l’investimento – lievitato oggi a 13,5 miliardi dai cinque del 2001 – servirebbe a migliorare la mobilità e i collegamenti delle basi militari del sud Italia, dove l’Alleanza atlantica gestisce le principali operazioni americane nel Mediterraneo. Per questo, l’opera è richiesta a gran voce dall’UE e dalla Nato, ossia da organizzazioni extranazionali che detengono cospicui interessi nel Paese e che – di fatto – decidono la linea da seguire grazie all’influenza determinante che esercitano sul governo di Roma. Nello specifico, l’opera dovrebbe rientrare nel Trans-European Transport Network, progetto europeo nato per migliorare la mobilità all’interno dell’Unione anche in un’ottica militare e di cui in Italia fa parte anche la Tav Torino-Lione.

A fugare ogni dubbio circa l’impiego e l’ottica prevalentemente militare del progetto, c’è una relazione presentata il 31 marzo dal governo Meloni – smaccatamente europeista e filo-Nato – in cui si specifica che il ponte sullo stretto rappresenta «un’infrastruttura fondamentale rispetto alla mobilità militare, tenuto conto della presenza di basi militari Nato nell’Italia meridionale» [grasseto mio, LL]. Da tempo, l’Alleanza atlantica evidenzia le lacune delle infrastrutture italiane: ponti che non reggono il peso dei mezzi militari, paesi con scarsi collegamenti interni, opere obsolete e scartamenti delle linee ferroviarie diversi rallentano il dispiegamento di mezzi e truppe in tempi rapidi. Nasce da queste esigenze la vera motivazione dietro al progetto del ponte sullo stretto, non certo dai bisogni della popolazione civile. Le necessità di ammodernamento ed efficientamento delle infrastrutture a scopi militari sono state naturalmente amplificate dai recenti avvenimenti in Ucraina.

Le aziende coinvolte nel progetto

Anche le aziende coinvolte nella costruzione del ponte hanno stretti legami col mondo bellico, a cominciare da WeBuild, società a cui già vent’anni fa lo Stato italiano aveva affidato l’esecuzione dell’opera e che ora chiede alla presidenza del Consiglio danni per 700 milioni di euro. L’azienda, oltre ad essere azionista per il 45% di Eurolink – consorzio a cui il governo vuole riaffidare l’incarico per la realizzazione del ponte – ha anche al suo attivo importanti lavori per il riammodernamento di infrastrutture militari: dall’aeroporto militare di Capodichino alla costruzione della tratta dell’alta velocità Novara-Milano al passante autostradale di Mestre. Questi ultimi due lavori sono volti a migliorare i collegamenti delle basi americane nel nord est italiano. Altra azienda coinvolta nel consorzio è la Cooperativa Muratori Cementisti di Ravenna (CMC) che si è occupata già, tra le altre cose, del potenziamento infrastrutturale di Sigonella e delle strutture per ospitare i militari americani nell’aeroporto Dal Molin di Vicenza. Anche la Società Italiana Condotte d’Acqua è parte del progetto e ha anch’essa esperienze pregresse nel settore militare, tra cui la realizzazione di un hangar e fabbricati nella base elicotteri dell’Aviazione dell’esercito di Lamezia Terme.

Il caso Eurolink e la debolezza italiana

Un altro aspetto che lega il ponte alla Difesa è la nomina, da parte di WeBuild, di Gianni De Gennaro a presidente di Eurolink. De Gennaro è ex capo della Polizia e direttore della Direzione investigativa antimafia, nonché ex presidente della maggiore azienda attiva nei settori della difesa a compartecipazione statale, Leonardo. La sua nomina a capo del consorzio indica la natura prettamente militare del progetto nonché la volontà di mettere in sicurezza i cantiere oltre che di gestire i movimenti di protesta contro l’infrastruttura. Il movimento “No ponte”, ad esempio – che aveva ottenuto una vittoria nel 2012, quando il governo aveva predisposto lo stop al progetto, dopo una partecipatissima mobilitazione popolare – è tornato a far sentire la sua voce per impedirne o ritardarne la costruzione. Eventuali ritardi danneggerebbero non solo gli interessi delle aziende e del governo, ma della stessa Nato.

A ciò si aggiunge l’importante tema della “sovranità nazionale” rivendicata proprio dai partiti di centrodestra che in realtà sono stati i primi a tradirla accettando pesanti ingerenze negli affari interni, a partire proprio dall’esecuzione delle direttive Nato sul territorio nazionale. Un caso emblematico è quello del ministro dei Trasporti Matteo Salvini che, contrario all’opera fino a pochi anni fa, ha compiuto una giravolta politica in grande stile, pur di allinearsi al volere dominante degli enti sovranazionali che di fatto governano la penisola. Così, lo scorso maggio, Camera e Senato hanno dato il via libera a quella che viene considerata “la madre di tutte le grandi opere in Italia”.

L’insostenibilità e i rischi dell’opera

Secondo diversi esperti, tra cui il giornalista antimilitarista Antonio Mazzeo, l’opera non solo è irrealizzabile dal punto di vista ingegneristico ed economico, ma comporterebbe gravi rischi per l’Italia meridionale, tra cui una maggiore militarizzazione del territorio, il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose e la sottrazione di fondi dai bisogni reali del territorio. «Il Ponte sullo Stretto è irrealizzabile come lo era dieci anni fa ma questa volta ci sono alcuni attori che stanno spingendo per avviare quest’opera. […] Un’opera di questa rilevanza non potrà non richiedere – e lo dicono le forze armate – una serie di interventi: batterie missilistiche (una sola batteria costa 800 milioni di euro, ndr), cacciabombardieri, il pattugliamento costante dei sottomarini. Questa è ovviamente un’ulteriore militarizzazione del territori», ha spiegato Mazzeo. Per quanto riguarda il pericolo di infiltrazioni mafiose, invece, il giornalista ha asserito che «Il rischio è che oggi, di fronte agli anticorpi di una cultura mafiosa, chi si promuove come realizzatore del ponte, fosse anche un mafioso, dovrebbe guadagnare una legittimità. Le grandi organizzazioni mafiose potrebbero legittimarsi come un grande elemento: prima abbiamo messo le bombe e fatto le stragi oggi facciamo il ponte e ci perdonate». Ne emerge, dunque, un quadro dove intorno alla costruzione dell’infrastruttura orbita una rete di interessi che coinvolge diversi ambiti, da quello politico-militare a quello mafioso, e che va a scapito non solo delle esigenze del territorio locale, ma di tutta la nazione, sottomessa ai voleri di Nato, Ue e Stati Uniti e destinata ad essere sempre più militarizzata e subordinata al volere di organizzazioni e stati stranieri.

SECONDO SCRITTO

ANTONIO MAZZEO: IL PONTE OPERA INSOSTENIBILE SPINTA DAL GOVERNO PER COLLEGARE BASI NATO

Intervista a cura di Karim El Sadi

Dopo oltre dieci anni lo spettro del ponte sullo Stretto è tornato ad occupare sedute parlamentari, pagine di giornale ed assemblee sindacali. La vittoria del movimento “No Ponte” – avvenuta nel 2012 quando il consiglio dei Ministri aveva varato lo stop al progetto dopo una partecipatissima mobilitazione popolare – è solo un ricordo lontano ora che il governo Meloni ha ripescato quel progetto edilizio utopico e privo di senso per portarlo a compimento entro il 2030. Nei giorni scorsi anche Camera e Senato hanno dato il loro via libera a quella che viene considerata come “la madre di tutte le grandi opere in Italia” (sarebbe il ponte a campata unica più lungo al mondo), con i lavori che dovrebbero cominciare nel 2024. Ma sarà un’impresa infattibile perché realizzarla significherebbe andare contro le leggi della fisica, dell’ingegneria, e persino contro le leggi dell’economia (non è stato messo neanche un mattone e già alle casse dello Stato è costato mezzo miliardo di euro). Da quando il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini che fino a qualche anno fa ripudiava l’idea del ponte tra Messina e Reggio Calabria – ha iniziato a far girare le “betoniere burocratiche”, il movimento “No Ponte” è tornato in campo per impedire la costruzione di questa follia ingegneristica. All’interno di questa realtà popolare ci sono sindacati, studenti, politici, ingegneri e giornalisti. Tra questi c’è anche Antonio Mazzeo, giornalista e saggista antimilitarista che da quarant’anni racconta e denuncia il coinvolgimento dell’Italia e soprattutto della Sicilia nei vari teatri di guerra internazionali. Lo abbiamo intervistato a Palermo in occasione della presentazione del suo fumetto-inchiesta “Sigonella, le guerre alle porte di Casa” (La Revue Dessinée Italia) realizzato insieme al fumettista Lelio Bonaccorso e Deborah Braccini.

Il Ponte sullo Stretto irrealizzabile come lo era dieci anni fa ma questa volta ci sono alcuni attori che stanno spingendo per avviare quest’opera. Non la realizzazione del ponte, ma una serie di opere, giustificate col ponte, che ovviamente permetteranno il trasferimento di risorse che verranno sottratte ai bisogni reali del territorio”, ha detto Mazzeo ai nostri microfoni”. “Penso alla messa in sicurezza: noi abbiamo un area dissestata dal punto di vista idrogeologico”. Secondo Mazzeo, rispetto al 2012 “questa volta l’avversario è la volontà di iniziare a bucare il territorio”. Sullo sfondo, infatti, c’è la militarizzazione della Sicilia e la guerra in Ucraina per la quale l’isola rappresenta un territorio fondamentale viste le varie basi NATO già presenti: da Sigonella, a Niscemi, fino a Trapani o ad Augusta.

Se iniziassero i lavori non possiamo che aspettarci un incremento della presenza militare sul territorio”, ha spiegato il giornalista. “Verranno create caserme, sarà più forte la presenza dell’esercito e della marina militare. Lo abbiamo visto già in Val di Susa con la No Tav, dove c’è stata una pressione enorme dal punto di vista militare e una riduzione enorme degli spazi di agibilità democratica”. Secondo Antonio Mazzeo quello che si prefigura “è la vendibilità del ponte”.

Un’opera di questa rilevanza non potrà non richiedere – e lo dicono le forze armate – una serie di interventi: batterie missilistiche (una sola batteria costa 800 milioni di euro, ndr), cacciabombardieri, il pattugliamento costante dei sottomarini”. “Questa – ha ragionato ancora il giornalista – è ovviamente un’ulteriore militarizzazione del territori”. Ma ciò che è ancora più grave, a detta di Antonio Mazzeo, “è la giustificazione che il governo dà oggi per realizzare quest’opera”. “Abbiamo scoperto che il governo la definisce di importanza geostrategica fondamentale per mettere in collegamento le basi NATO del Sud Italia con le basi NATO della Sicilia. Viene quindi giustificato il ponte come elemento fondamentale di rafforzamento militare della mobilità militare. Questa è una fandonia dal punto di vista tecnico ma ci preoccupa perché può essere utilizzata come cavallo di Troia per giustificare la necessità di iniziare a operare perché in un mondo di guerra, in un territorio di guerra è fondamentale per la guerra”. Non solo incremento della militarizzazione della Sicilia, ma il ponte ingolosisce l’appetito delle mafie, nello specifico le due mafie delle due regioni combacianti Cosa Nostra in Sicilia e ‘Ndrangheta in Calabria. Sul tema, Antonio Mazze aveva scritto un libro 13 anni fa: “I padrini del ponte. Affari di mafia sullo stretto di Messina” (Edizioni Alegre).

Tredici anni fa individuammo come le grandi organizzazioni mafiose internazionali volevano investire su quest’opera per legittimarsi”, ha raccontato Mazzeo. “Il rischio – ha avvertito il giornalista – è che oggi di fronte agli anticorpi di una cultura mafiosa, chi si promuove come realizzatore del ponte, fosse anche un mafioso, dovrebbe guadagnare una legittimità. Le grandi organizzazioni mafiose potrebbero legittimarsi come un grande elemento: prima abbiamo messo le bombe e fatto le stragi oggi facciamo il ponte e ci perdonate”.

TERZO SCRITTO

Le infrastrutture militari nella fase multicentrica

di Luigi Longo

Non gli animali, ma senz’altro gli uomini e soltanto

gli uomini conducono gli uni contro gli altri << guerre

terrestri e marittime >>. Sempre, quando l’ostilità tra

grandi potenze ha raggiunto il culmine, la contrapposi=

zione bellica si svolge contemporaneamente sia nell’uno

che nell’altro ambito, sicché da entrambe le parti la guerra si trasforma in << guerra terreste e marittima >> […] Se poi si aggiunge l’aria come terza dimensione, la guerra si trasforma per entrambi i contendenti anche in guerra aerea.

Carl Schmitt*

L’esercito, nel proprio paese, avrà bensì linee di comunicazioni proprie, organizzate a tal fine, ma non è affatto obbligato a valersi di esse sole; e può, in caso di necessità, scostarsene e scegliere qualsiasi altra strada esistente […] Le strade principali attraversanti le città più ricche e le province più importanti sono le migliori linee di comunicazioni. Esse meritano la preferenza anche se producono percorsi molto maggiori e hanno, nella maggior parte dei casi, carattere determinante per lo schieramento dell’esercito.

Clausewitz**

1. Le potenze mondiali, gli Stati Uniti (potenza egemone in relativo declino), la Russia e la Cina (potenze emergenti in relativo consolidamento), protagoniste in questa fase multicentrica che sta diventando sempre più visibile e determinata, vengono attraversate da conflitti interni tra gli agenti strategici delle sfere sociali per la configurazione, in equilibrio dinamico, del blocco egemone dominante (emblematico è l’esempio in questa fase del conflitto interno statunitense). All’interno di questo conflitto assumono rilevanza i comandanti della sfera militare che hanno un peso specifico nelle decisioni sugli investimenti per le infrastrutture militari e civili finalizzate alle diverse strategie territoriali sia nelle nazioni alleate sia nelle varie aree o regioni di influenza per preparare il campo [terreste, acquatico e aereo (1)] del conflitto per il dominio mondiale che non necessariamente deve passare per la fase policentrica (la guerra) anche se la storia mondiale dimostra la inevitabilità della guerra (2). Quindi i suddetti comandanti formano, insieme agli agenti strategici delle altre sfere sociali (politiche, economiche, istituzionali, culturali, eccetera), il blocco egemone dominante di ogni singola potenza mondiale con una propria visione politica del mondo: dominio assoluto gli USA, dominio multicentrico la Russia e la Cina. In sintesi, per quanto suddetto, introduco il seguente schema del conflitto strategico che ha come punto di partenza il nascente paradigma di Gianfranco La Grassa (approfondirò lo schema nel prossimo scritto su Il conflitto strategico e la mossa del cavallo).

Macro schema

 

RAPPORTI SOCIALI

SFERE SOCIALI

RELAZIONI SOCIALI DI POTERE

AGENTI STRATEGICI SFERE SOCIALI

AGENTI STRATEGICI DOMINANTI

Nell’attuale fase multicentrica gli USA, consapevoli di essere una potenza egemone in relativo declino, ri-lanciano la loro sfida per il dominio mondiale assoluto poggiandosi prevalentemente sulla indiscussa (ancora per molto, ahinoi) supremazia mondiale della forza militare (3) e non su una diversa visione dello sviluppo e delle relazioni sociali mondiali perché hanno la fissazione storica di essere la nazione indispensabile per mandato divino [il Popolo Eletto (4)] per assicurare la libertà, la pace, la democrazia, i diritti sulla Terra. In virtù di tale fissazione << gli Stati Uniti avanzavano la pretesa di decidere, al di là della distinzione tra emisfero occidentale ed emisfero orientale, sulla liceità o illiceità di ogni mutamento territoriale in tutta la terra. Tale pretesa riguardava l’ordinamento spaziale della terra. Ogni avvenimento in qualsiasi punto della terra poteva riguardare gli Stati Uniti >>(5). << Nel settembre 2000, nel condurre la campagna elettorale che l’avrebbe portato alla presidenza, George W. Bush enunciava un vero e proprio dogma: “la nostra nazione è eletta da Dio e ha il mandato della storia per essere un modello per il mondo”. E’ un dogma ben radicato nella tradizione politica statunitense. Bill Clinton aveva inaugurato il suo primo mandato presidenziale, con una proclamazione ancora più enfatica del primato degli USA e del diritto-dovere a dirigere il mondo “La nostra missione è senza tempo”. Si direbbe che alla white supremacy sia subentrata la western supremacy ovvero l’American supremacy […] >> (6). Nella continuità della fissazione storica, Donald Trump sostiene che è fondamentale per << mettere l’America al primo posto perché sia sicura, prospera e libera >> avere << la forza e la volontà di esercitare la leadership Usa nel mondo >> (7).

Le basi aeree, le basi navali, le basi dell’esercito degli USA hanno circondato la Terra: guardate con coscienza dell’occhio (8) le carte seguenti ben sapendo che la cartografia sacrifica le relazioni sociali o il corpo vivente della terra, dello spazio, del territorio ed evidenzia i segni e i simboli del dominio (9).

E’ sulla Terra che si vivono i rapporti sociali, lo spazio aereo li sorvola, lo spazio acquatico li limita, lo spazio nucleare li estingue. Essi sono spazi fondanti per le strategie degli agenti dominanti delle potenze mondiali per la egemonia e per la configurazione o ri-configurazione dei nuovi rapporti sociali e territoriali storicamente dati. Stiamo entrando in una fase storica di esplosione degli spazi che distrugge e costruisce un nuovo ordine mondiale. Per dirla con Neil Brenner << […] Nelle condizioni geografiche e storiche attuali, tuttavia, il processo di urbanizzazione si struttura sempre più su scala mondiale. L’urbanizzazione non si riferisce più solo all’espansione delle “grandi città” (Friedrich Engels) del capitalismo industriale, all’estendersi di centri di produzione metropolitani, alle configurazioni di reticoli di insediamenti suburbani e di infrastrutture regionali tipiche del capitalismo fordista-keynesiano, o all’anticipata espansione lineare della popolazione umana nelle megalopoli mondiali che finisce per creare un “pianeta di slum”. Invece […] questo processo si sviluppa oggi sempre di più attraverso lo sviluppo ineguale [ corsivo mio]di un “tessuto urbano” composto da diversi tipi di strutture d’investimento, di spazi di insediamento, di matrici di uso del suolo e di reti di infrastrutture, attraverso l’intera economia mondiale […] Noi stiamo assistendo, in breve, all’intensificazione e all’estensione dei processi di urbanizzazione su tutte le scale spaziali e attraverso l’intera superficie dello spazio planetario >> (10).

Fonte: Limes n.11/2016

Fonte: Limes n9/2016

Fonte: Limes n.11/2016

Gli Stati Uniti, parafrasando Tacito letto da Concetto Marchesi, appena diventati Nazione dopo un lungo periodo storico che va dalla guerra di indipendenza (1775-1783) alla guerra di secessione (1861-1865) (11), sono costretti a combattere per vivere; poi seguitano a combattere per accrescere il loro dominio e la loro ricchezza. La guerra è per loro prima una necessità di vita, poi una incessante necessità di grandezza e di arricchimento (12). E’ attraverso la guerra che hanno sempre affermato l’autorità globale.

2. Tratterò, in estrema sintesi, le suddette infrastrutture militari e civili in Europa, attraverso la PeSCO (Permanent Structured Cooperation, Cooperazione Strutturata Permanente) del campo della difesa UE, non come conseguenza di scelte politiche di un soggetto unitario ed autonomo, che non c’è e che non è mai esistito storicamente, ma come un continente che per la prima volta nella storia non sarà protagonista mondiale del conflitto ma sarà campo di battaglia e spazio importante per le strategie statunitensi, con conseguenti trasformazioni, modificazioni, ri-configurazioni, organizzazioni e ruoli di territori e di aree.

Inoltre tratterò degli investimenti che il Pentagono sta realizzando, a spese nostre, sul territorio italiano nelle basi militari e nelle infrastrutture civili ad esse collegate, soprattutto ferroviarie [alta velocità (AV) e alta capacità(AC)] e stradali (corridoi nazionali ed europei) (13).

Infine, un accenno ai ruoli importanti che potrebbero avere le due città della Puglia, Taranto e Foggia [già protagoniste nella seconda guerra mondiale con le loro infrastrutture militari e civili (14)] nelle strategie statunitensi nel Mediterraneo, nel Vicino Oriente e nei Balcani.

3. Riporto una sintesi chiara sulla nascita e sul ruolo della PeSCO avanzata da Manlio Dinucci << Dopo 60 anni di attesa, annuncia la ministra della Difesa Roberta Pinotti, sta per nascere a dicembre la Pesco, «Cooperazione strutturata permanente» dell’Unione europea nel settore militare, inizialmente tra 23 dei 27 stati membri.

Che cosa sia lo spiega il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. Partecipando al Consiglio degli affari esteri dell’Unione europea, egli sottolinea «l’importanza, evidenziata da tanti leader europei, che la Difesa europea debba essere sviluppata in modo tale da essere non competitiva ma complementare alla Nato [corsivo mio]».

Il primo modo per farlo è che i paesi europei accrescano la propria spesa militare: la Pesco stabilisce che, tra «gli impegni comuni ambiziosi e più vincolanti» c’è «l’aumento periodico in termini reali dei bilanci per la Difesa al fine di raggiungere gli obiettivi concordati». Al budget in continuo aumento della Nato, di cui fanno parte 21 dei 27 stati della Ue, si aggiunge ora il Fondo europeo della Difesa attraverso cui la Ue stanzierà 1,5 miliardi di euro l’anno per finanziare progetti di ricerca in tecnologie militari e acquistare sistemi d’arma comuni. Questa sarà la cifra di partenza, destinata a crescere nel corso degli anni.

Oltre all’aumento della spesa militare, tra gli impegni fondamentali della Pesco ci sono «lo sviluppo di nuove capacità e la preparazione a partecipare insieme ad operazioni militari». Capacità complementari alle esigenze della Nato che, nel Consiglio Nord Atlantico dell’8 novembre, ha stabilito l’adattamento della struttura di comando per accrescere, in Europa, «la capacità di rafforzare gli Alleati in modo rapido ed efficace».

Vengono a tale scopo istituiti due nuovi comandi. Un Comando per l’Atlantico, con il compito di mantenere «libere e sicure le linee marittime di comunicazione tra Europa e Stati uniti, vitali per la nostra Alleanza transatlantica». Un Comando per la mobilità, con il compito di «migliorare la capacità di movimento delle forze militari Nato attraverso l’Europa» [ corsivo mio].

Per far sì che forze ed armamenti possano muoversi rapidamente sul territorio europeo, spiega il segretario generale della Nato, occorre che i paesi europei «rimuovano molti ostacoli burocratici». Molto è stato fatto dal 2014, ma molto ancora resta da fare perché siano «pienamente applicate le legislazioni nazionali che facilitano il passaggio di forze militari attraverso le frontiere». La Nato, aggiunge Stoltenberg, ha inoltre bisogno di avere a disposizione, in Europa, una sufficiente capacità di trasporto di soldati e armamenti, fornita in larga parte dal settore privato.

Ancora più importante è che in Europa vengano «migliorate le infrastrutture civili – quali strade, ponti, ferrovie, aeroporti e porti – così che esse siano adattate alle esigenze militari della Nato» [corsivo mio]. In altre parole, i paesi europei devono effettuare a proprie spese lavori di adeguamento delle infrastrutture civili per un loro uso militare: ad esempio, un ponte sufficiente al traffico di pullman e autoarticolati dovrà essere rinforzato per permettere il passaggio di carrarmati.

Questa è la strategia in cui si inserisce la Pesco, espressione dei circoli dominanti europei che, pur avendo contrasti di interesse con quelli statunitensi, si ricompattano nella Nato sotto comando Usa quando entrano in gioco gli interessi fondamentali dell’Occidente messi in pericolo da un mondo che cambia [neretto mio]. Ecco allora spuntare la «minaccia russa», di fronte alla quale si erge quella «Europa unita» che, mentre taglia le spese sociali e chiude le sue frontiere interne ai migranti, accresce le spese militari e apre le frontiere interne per far circolare liberamente soldati e carrarmati >> (15).

4. Riprendo gli interventi del Pentagono (Dipartimento della Difesa degli USA) sulle strutture militari presenti sul territorio italiano da una descrizione puntuale di Manlio Dinucci << Grandi opere sul nostro territorio, da nord a sud. Non sono quelle del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di cui tutti discutono, ma quelle del Pentagono di cui nessuno discute. Eppure sono in gran parte pagate con i nostri soldi e comportano, per noi italiani, crescenti rischi.

All’aeroporto militare di Ghedi (Brescia) parte il progetto da oltre 60 milioni di euro, a carico dell’Italia, per la costruzione di infrastrutture per 30 caccia Usa F-35, acquistati dall’Italia, e per 60 bombe nucleari Usa B61-12.

Alla base di Aviano (Pordenone), dove sono di stanza circa 5000 militari Usa con caccia F-16 armati di bombe nucleari (sette dei quali sono attualmente in Israele per l’esercitazione Blue Flag 2017), sono stati effettuati altri costosi lavori a carico dell’Italia e della Nato.

A Vicenza vengono spesi 8 milioni di euro, a carico dell’Italia, per la «riqualificazione» delle caserme Ederle e Del Din, che ospitano il quartier generale dell’Esercito Usa in Italia e la 173a Brigata aviotrasportata (impegnata in Europa orientale, Afghanistan e Africa), e per ampliare il «Villaggio della Pace» dove risiedono militari Usa con le famiglie.

Alla base Usa di Camp Darby (Pisa/Livorno) inizia in dicembre la costruzione di una infrastruttura ferroviaria, del costo di 45 milioni di dollari a carico degli Usa più altre spese a carico dell’Italia, per potenziare il collegamento della base con il porto di Livorno e l’aeroporto di Pisa, opera che comporta l’abbattimento di 1000 alberi nel parco naturale. Camp Darby è uno dei cinque siti che l’Esercito Usa ha nel mondo per lo «stoccaggio preposizionato» di armamenti (contenente milioni di missili e proiettili, migliaia di carrarmati e veicoli corazzati): da qui vengono inviati alle forze Usa in Europa, Medioriente e Africa, con grandi navi militarizzate e aerei cargo.

A Lago Patria (Napoli) il nuovo quartier generale della Nato, costato circa 200 milioni di euro di cui circa un quarto a carico dell’Italia, comporta ulteriori costi a carico dell’Italia, tipo quello di 10 milioni di euro per la nuova viabilità attorno al quartier generale Nato.

Alla base di Amendola (Foggia) sono stati effettuati lavori, dal costo inquantificato, per rendere le piste idonee agli F-35 e ai droni Predator statunitensi, acquistati dall’Italia.

Alla Naval Air Station Sigonella, in Sicilia, sono stati effettuati lavori per oltre 100 milioni di dollari a carico di Stati uniti e Nato, quindi anche dell’Italia. Oltre a fornire appoggio logistico alla Sesta Flotta, la base serve a operazioni in Medioriente, Africa ed Europa orientale, con aerei e droni di tutti i tipi e forze speciali. A tali funzioni si aggiunge ora quella di base avanzata dello «scudo anti-missili» Usa, in funzione non difensiva ma offensiva soprattutto nei confronti della Russia: se fossero in grado di intercettare i missili, gli Usa potrebbero lanciare il first strike nucleare neutralizzando la rappresaglia.

A Sigonella sta per essere installata la Jtags, stazione di ricezione e trasmissione satellitare dello «scudo», non a caso mentre, con il lancio del quinto satellite, sta per divenire pienamente operativo il Muos, il sistema satellitare Usa che ha nella vicina Niscemi una delle quatto stazioni terrestri.

Il generale James Dickinson, capo del Comando strategico Usa, in una audizione al Congresso il 7 giugno 2017 ha dichiarato: «Quest’anno abbiamo ottenuto l’appoggio del Governo italiano a ridislocare, in Europa, la Jtags alla Naval Air Station Sigonella».

Era al corrente il Parlamento italiano di una decisione di tale portata strategica, che porta il nostro paese in prima linea nel sempre più pericoloso confronto nucleare? Se ne è almeno parlato nelle commissioni Difesa? >> (16).

5. In Puglia, due città, Taranto e Foggia, stanno subendo trasformazioni territoriali finalizzate all’approntamento di una rete di infrastrutture che apparentemente nulla hanno a che fare con il loro utilizzo ai fini militari. In realtà esse sono ben velate sotto l’uso civile delle infrastrutture (logistica, ferroviarie, aeroportuali, portuali) per lo sviluppo economico dei territori e delle città, ma nella sostanza esse sono fondanti come nodi di una rete nazionale (ed europea) che fa dell’Italia una espressione geografica al servizio delle strategie statunitensi.

Taranto, una città storicamente rilevante per la funzione militare e strategica sin dalla più remota antichità fino ai giorni nostri (17), è attraversata, dal 2012 anno di intervento della Magistratura tarantina, da una fase complessa di trasformazione da polo siderurgico a polo strategico della Nato (18). Un polo Nato che incorporerà città e territori interscalari (dal mondiale al locale con differenza qualitativa in relazione “alla specificità storica delle morfologie scalari associate ai processi sociali e alle forme istituzionali”) riconfigurandoli e riorganizzandoli alle esigenze di uno sviluppo imperniato sulle strategie USA-Nato. Un territorio logistico che formalmente è progettato per diventare un hub dell’area mediterranea destinato ad aggregare iniziative nazionali ed internazionali a sostegno della ricerca, sviluppo, sperimentazione e certificazione di soluzioni integrate tra trasporto aereo e industria aerospaziale, ma sostanzialmente piegato alle esigenze del conflitto USA-Nato per contrastare le emergenti potenze mondiali (Russia e Cina). E’ qui che si sta realizzando un progetto tra USA ed Enac (Ente Nazionale per l’Aviazione Civile) per l’utilizzo di Droni con una compressione di tempo e di spazio impressionante: si parla di 100 minuti da Los Angeles a Roma attraverso un corridoio nella stratosfera (19), ovviamente per il trasporto merci di uno sviluppo pacifico e non di uno sviluppo finalizzato agli scenari di guerra. Tutto questo a partire dal 2012 (l’anno serve solo per indicare il punto di svolta dei processi sociali storicamente dati) in un luogo istituzionale di medio potere, quale è la regione Puglia, con un Presidente, Nichi Vendola, l’uomo della famosa risata servile verso i poteri dell’ILVA (20).

Foggia, una città storicamente rilevante per la posizione geografica (un nodo di collegamento tra la via Adriatica, la via Tirrenica e la via interregionale) sin dai tempi di Federico II fino ad oggi (21). Il territorio logistico è in fase di progettazione: una riconversione dello storico aeroporto “Gino Lisa” (22) (è stato nel periodo tra le due guerre mondiali una scuola per piloti di importanza mondiale, qui si sono formati i primi piloti statunitensi comandati dal Maggiore Fiorello La Guardia) in sede della Protezione Civile regionale che è il cavallo di troia per nascondere il vero obiettivo di un aeroporto di merci e mezzi militari (unica ragione per tenere in vita un aeroporto economicamente insostenibile); una riconfigurazione della base Amendola come base di fatto a comando USA-Nato così come da interventi progettati dal Pentagono; una grande area logistica ingiustificata tenendo conto del basso livello dello sviluppo economico della città e del territorio; un collegamento stradale e ferroviario tra area logistica, nodi territoriali e aerea portuale di Manfredonia ( antico porto di scambi con l’altra sponda adriatica) (23); una rete ferroviaria ad alta capacità in fase di realizzazione di collegamento tra Roma-Bari, facente parte della rete Scandinavia-Mediterraneo (Helsinki-Valletta) una delle linee strategiche europee e uno degli obiettivi della programmazione a lungo termine per lo sviluppo del settore ferroviario (24).

Posso dire con Ennio Flaiano che la situazione politica in Italia è grave ma non è seria se si pensa che la struttura del Libro Bianco del Ministero della Difesa (25) è tutta interna alla logica funzionale Nato ad egemonia USA. Tutto questo la dice lunga sull’autonomia e sul ruolo della sfera militare italiana frammentata e incapace di esprimere agenti strategici per un disegno, per una idea di una nazione autonoma e sovrana nelle relazioni mondiali (26).

6. Io non vedo nessun ruolo che l’Italia possa avere nel Mediterraneo così come non vedo nessun ruolo che la Francia e la Germania possano avere per un processo di costruzione di autonomia europea.

La divisione del lavoro tra una Francia (leader militare) e una Germania (leader economica) per costruire un asse su cui pensare una futura Europa è una utopia irrealizzabile (27).

Il problema vero è l’assenza di agenti strategici autonomi in tutte le nazioni europee (a diverse sfumature considerata la storia e la cultura peculiari di ogni singolo popolo) in grado di liberarsi dalle strategie e dalla occupazione militare statunitensi sul continente Europa. L’autonomia e le relazioni tra nazioni sono processi storici che non si costruiscono nel breve periodo.

Se non si avvierà questa costruzione di soggetti di trasformazione non dati dalla Storia ma costruiti nella Storia che pensano un progetto di coordinamento europeo per rilanciare un ruolo significativo del continente Europa tra Occidente e Oriente e soprattutto nuove relazioni con le potenze mondiali che lottano per un mondo multicentrico, dispiace dirlo scivoleremo tutti in quella che Gyorgy Lukacs ha definito :<< La stupidità e la disonestà si manifestano anzitutto nell’adattamento dei sentimenti e delle idee alla infamia della realtà sociale [ad egemonia statunitense, mia aggiunta]>> (28).

EPIGRAFI

* Carl Schmitt, Dialogo sul potere, Adelphi, Milano, 2012, pp. 58-59.

**Clausewitz, Dalla guerra, Mondadori, Milano, 2011, pp. 429 e 432.

NOTE

1. Ad ulteriore conferma del ruolo importante dei comandanti militari nelle relazioni internazionali si legga Manlio Dinucci, Italia-Israele: la << diplomazia dei caccia >> in www.voltairenet.org, 14/12/2017; sulle rivoluzioni spaziali mondiale si veda Carl Schmitt, Dialogo sul nuovo spazio in Carl Schmitt, Dialogo sul potere, op.cit., pp. 49-93; Carl Schmitt, Terra e mare, Adelphi, Milano, 2006; Matteo Vegetti, L’invenzione del globo. Spazio, potere, comunicazione nell’epoca dell’aria, Einaudi, Torino, 2017.

2. Il termine comandante è riferito non solo alla sfera militare, ma può essere allargato anche alle altre sfere sociali perché è da intendere come espressione di dominio della gerarchia del mondo << Per i greci il mondo era fatto soltanto di rapporti di forza, di gerarchie, di livelli di autorità. Il mondo era composto da chi stava sopra e da chi stava sotto, da chi comandava e da chi ubbidiva. >> in Franco Farinelli, L’invenzione della terra, Sellerio, Palermo, 2016, pag. 38.

3. Sugli Stati Uniti come prima potenza militare oltre ai rapporti SIPRI (www.sipri.org) si rimanda a Guy Mettan, Russofobia. Mille anni di diffidenza, Sandro Teti Editore, Roma, 2016, pp.272-312; Manlio Dinucci, Geopolitica di una <<guerra globale>> in AaVv, Escalation. Anatomia della guerra infinita, Derive Approdi, Roma, 2005, pp. 11-112; Wesley K. Clark, Vincere le guerre moderne, Iraq, terrorismo e l’impero americano, Bompiani, Milano, 2004. A mio avviso, non sono convincenti le analisi di The Saker (per esempio, Pensi che la sua valutazione sia accurata ?, www.sakeritalia.it, 9/11/2017) e di Paul Craig Roberts (per esempio, Un giorno non ci sarà un domani, www.comedonchisciotte.org, 28/10/2017) sulla debolezza della sfera militare USA.

4. Sul popolo eletto si rimanda a Costanzo Preve, La quarta guerra mondiale, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma, 2008, pp.156-160.

5. Cal Schmitt, Il nomos della terra nel diritto internazionale dello << jus pubblicum europaeum >>, Adelphi, Milano, 1991, pag.407.

6. Domenico Losurdo, Rivoluzione d’Ottobre e democrazia, www.marx21.it, 30/8/2017.

7. Donald J. Trump, National Security Strategy of the United States of America in www.whitehouse.gov./…/NSS-Final-12-18-2017-0905.pd; Si legga anche Manlio Dinucci, Il vero libro esplosivo è a firma di Trump, www.ilmanifesto.it, 9/1/2018.

8. Richard Sennet, La coscienza dell’occhio, Feltrinelli, Milano, 1992.

9. Franco Farinelli, L’invenzione, op.cit., pp. 55-62; si legga il capitolo secondo dell’interessante libro di Matteo Vegetti, L’invenzione del globo, op.cit., pp.31-76. 10.Neil Brenner, Stato, spazio, urbanizzazione, Edizioni Guerini e Associati, Milano, 2016, pp.35-36.

11. Per la guerra di indipendenza si rimanda a Gino Luzzatto, L’evoluzione economica e sociale mondiale negli ultimi due secoli, Storia Universale, vol. VII, Casa Editrice Francesco Vallardi, 1970, pp.3-116; per la guerra di secessione si veda Raimondo Luraghi, La guerra civile americana. Le ragioni e i protagonisti del primo conflitto industriale, BUR-Rizzoli, Milano, 2013.

12. Concetto Marchesi, Tacito, Casa editrice Giuseppe Principato, Milano-Messina, 1942, pp.129-170.

13. Per un primo svelamento sull’uso della infrastrutture, tramite la Nato e l’Unione Europea, in funzione delle strategie degli Stati Uniti di penetrazione ad Est dell’Europa per contrastare soprattutto la potenza mondiale emergente come la Russia, si rimanda a Luigi Longo, Tav, Corridoio V, Nato e USA. Dalla critica dell’economia politica al conflitto strategico, www.conflittiestrategie.it, 23/12/2012.

14. Mario Gismondi, Taranto: La notte più lunga. Foggia: la tragica estate, Dedalo, Bari, 1968.

15.Manlio Dinucci, Nasce la Pesco costola della Nato, www.voltairenet.org, 28/11/2017; si veda anche Alessandro Marrone, UE: difesa, parte Pesco, cooperazione strutturata permanente, www.affarinternazionali.it, 14/11/2017.

16. Manlio Dinucci, Le grandi opere del Pentagono a spese nostre, www.voltairenet.org, 5/12/2017.

17.G.C.Speziale, Storia militare di Taranto. Negli ultimi cinque secoli, Laterza, Bari, 1930.

18. Luigi Longo, Dalla trappola capitale/lavoro – capitale/ambiente al conflitto strategico, www.conflittiestrategie.it, 7/8/2012; Idem, Taranto, da polo siderurgico a polo strategico della Nato, www.conflittiestrategie.it, 20/7/2013.

19. Franco Giuliano, Aerei senza pilota la Puglia è nel futuro, www.lagazzettadelmezzogiorno.it, 15/4/2014.

20. Domenico Palmiotti, La Puglia investe nell’aerospazio, www.ilsole24ore.com, 20/4/2014; Marolla, L’aeroporto di Grottaglie piattaforma logistica dell’area mediterranea, www.impresametropolitana.it, 16/3/2016; Leo Spalluto, Taranto, smontare aerei e navi nuovo spazio per le imprese, www.lagazzettadelmezzogiorno.it, 15/6/2017; Redazione Repubblica, Aeroporto di Taranto-Grottaglie, iniziati lavori potenziamento infrastrutture, https://finanza,repubblica.it/News/2017/12/27/aeroporto_di_taranto_grottaglie_iniziati_lavori_infrastrutture-161/, 27/12/2017.

21. Macry Paolo, L’area del Mezzogiorno in Storia d’Italia, Volume Sesto, Atlante, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1976; J.-M. Martin-E. Cuozzo, Federico II. Le tre capitali del Regno di Sicilia: Palermo-Foggia-Napoli, Procaccini Editore, Napoli, 1995.

22. Luigi Iacomino, L’aeronautica militare a Foggia e in Capitanata, Edizioni del Rosone, Foggia, 2002; Idem, Storia dell’aviazione in Capitanata, Grenzi Editore, Foggia, 2006;.

23. Si veda il Piano Strategico di area vasta “Capitanata 2020” in www.capitanata2020.eu.

24. RFI, Audizione senato, VIII Commissione permanente, Lavori Pubblici, Comunicazione, Contratto di Programma 2012-2016, Parte Investimenti, Aggiornamento 2015, www.senato.it/…commissione/…/Memoria_RFI-Audizione_del_24_maggio_2016.

25. www.difesa.it/Primo_Piano/Documents/2015/04_Aprile/LB_2015.pdf

26. Fabio Mini, Usa-Italia comunicazione di servizio, Limes n.4/2017; Gianfranco La Grassa, La nostra italietta, www.conflittiestrategie, 3/1/2018.

27. Il ruolo dell’Eni e dell’Invitalia che emerge dalle interessanti analisi di Alberto Negri non può essere condiviso perché ignora il fatto che dietro alle grandi imprese (sia pubbliche sia private) non esiste uno Stato, inteso come luogo di potere degli agenti sub-sub-dominanti italiani, in grado di proteggere il loro ruolo e le loro strategie di penetrazione nelle aree di interesse (la Libia, l’Egitto, l’Iran, solo per fare alcuni esempi, non insegnano niente?). Così dicasi per un ruolo ancora più di peso, impegnativo e qualificato quale quello di un intervento nell’area Mediterranea avanzato da Fabio Falchi e da Pierluigi Fagan. Si vedano: Alberto Negri, L’Italia alla conquista del gas, è l’unica arma per contare nel mondo, www.tiscali.it, 17/12/2017; Alberto Negri, L’Italia fa grandi affari con l’Iran e se ne infischia delle sanzioni di Trump. Cinque miliardi di euro sono solo l’inizio, www.tiscali.it, 12/1/2018; Fabio Falchi, L’Italia, il Mediterraneo e il futuro dell’Europa, www.eurasia.com, 1/12/2017; Pierluigi Fagan, Propositi per il nuovo anno: torniamo a pensare un piano B per l’Europa, www.pierluigifagan.wordpress.com, 2/1/2018.

28.Gyorgy Lukacs, Tolstoj e l’evoluzione del realismo, www.gyorgylukacs.wordpress.com, 30/8/2016.

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UN CASO INTERESSANTE, di Teodoro Klitsche de la Grange

UN CASO INTERESSANTE

Spesso si ripete che l’Italia è un grande laboratorio politico dato che è la prima a sperimentare novità: e, con altrettanta frequenza, questo è vero.

Uno dei casi è proprio Forza Italia. Denominata partito personale, leggero anche per contrapporlo a quelli della I repubblica connotati da apparati assai più ideologizzati, professionalizzati e pervasivi.

Orsono venticinque anni mi capitò di scrivere su Berlusconi e Forza Italia, confrontandone l’allora breve esistenza politica con regole e parametri presi da Machiavelli e da un acuto giurista tedesco, Rudolf Smend. Questi è rimasto nella dottrina costituzionale come colui che ha valorizzato l’integrazione, cioè il rapporto tra vertice e base come “divenire dinamico dell’unità politica”, cioè (anche) come produzione di un idem sentire, che consolidasse e rendesse effettive unità e azione politica. Scrive Rudolf Smend “l’integrazione è un processo di vita fondamentale per ogni formazione sociale nel senso più lato. Questa, in prima analisi, consiste nella produzione o formazione di unità o totalità a partire dagli elementi singoli, cosicché l’unità ottenuta è qualcosa di più della somma delle parti unificate”. E tra i gruppi sociali, quelli che più necessitano di integrazione sono quelli a carattere politico, a cominciare dai partiti fino allo Stato. Notavo che Forza Italia, data la forte personalità del capo era cospicuamente dotata di integrazione personale (anche se difettava nei dirigenti intermedi).

A distanza di oltre 5 lustri si può confermare che l’integrazione personale (tramite il leader) è stato il principale fattore d’integrazione e probabilmente quella che ha consolidato l’esistenza del partito. Lo dimostrano il numero enorme di preferenze (nelle elezioni che le consentivano) a Berlusconi, gli assai più modesti risultati nelle elezioni locali, e comunque quando il cavaliere non si candidava, l’evidente ascendente dello stesso sull’elettorato. E perfino il complotto anti-Berlusconi che ne ha portato, tramite legge Severino, alla di esso privatizzazione: la (voluta) privazione del ruolo pubblico del cavaliere dopo la condanna definitiva è stato probabilmente il fatto che ha maggiormente contribuito al sorpasso della Lega su Forza Italia alle elezioni politiche del 2018. Proprio per la preponderanza che aveva l’integrazione personale nella “tenuta” di Forza Italia la tattica preferita dal centrosinistra è stata quella di attaccare il leader avversario sul piano personale (e “privato”).

Anche perché gli altri due mezzi (tipi) d’integrazione individuati da Smend, in Forza Italia di converso erano assai deboli. Nella vita di ogni struttura le procedure di decisione e discussione sono – come scriveva Smend – “prevalentemente indirizzate alla formazione della volontà comune: così il gruppo realizza la propria unità come unità di volontà, indirizzata a scopi comuni”. Ma da quanto risulta tale mezzo è stato sempre poco praticato: i “congressi” di Forza Italia più che un modo per realizzare la volontà comune e selezionare la dirigenza (almeno in parte), sembravano convention aziendali per promuovere i prodotti offerti (in genere sono anche questo, ma era la proporzione prevalente a minare, alla lunga, la solidità dell’insieme).

Tra l’altro i sistemi elettorali per lo più adoperati hanno ridotto la possibilità che la selezione della dirigenza politica, in modo democratico, fosse “compensata” in sede elettorale. Questo perché la collocazione in collegi e listini consente ai vertici dei partiti un potere di designare gli eletti assai superiore alla vecchia legge elettorale proporzionale con preferenza, così che si è parlato – correttamente – per lo più di un parlamento di nominati.

Quanto all’integrazione materiale, cioè attraverso la comune adesione a “tavole di valori” comuni, all’inizio si manifestava per lo più in negativo cioè contrapponendosi al centrosinistra. Presentava il limite di essere in parte nebulosa, in altra stemperata in più rivoli, ma soprattutto non ha retto il confronto con le realizzazioni dei governi Berlusconi. I quali, malgrado maggioranze parlamentari cospicue, realizzavano poco di quanto promesso. Certo meglio di quanto avrebbe fatto il centrosinistra o i governi “tecnici” o “simil-tecnici”, ma comunque modesto rispetto alle promesse ma soprattutto alle aspettative dell’elettorato. Di guisa che circa due terzi del bacino elettorale di Forza Italia si è riversato sulla Lega e Fratelli d’Italia, partiti che quindici anni fa insieme avevano consensi pari a un terzo di quelli del partito di Berlusconi.

E adesso? La risposta è tutt’altro che facile e Tajani avrà un bel da fare. Venuto meno il fattore Berlusconi, estremamente difficile a sostituirsi, non resta che puntare sugli altri fattori d’integrazione e su mezzi di selezione del personale politico meno “autocratico”.

Scriveva Michels che la democrazia non è concepibile senza organizzazione. Nel caso di Forza Italia vale anche l’inverso e l’organizzazione non è concepibile senza democrazia. E così anche con la discussione a tutti i livelli dell’organizzazione. Questa serve a selezionare i capi, come ad acquisire e diffondere idee (anche) nuove. Serve sia all’integrazione funzionale che a quella materiale. Così come alla coesione dell’insieme.

Riuscirà l’impresa? È nuova, sicuramente per l’Italia, ma non mi risulta che sia stata realizzata altrove, almeno in Europa. Non resta che fare gli auguri, ricordando che il merito nel riuscirci è pari alle difficoltà da superare.

Teodoro Klitsche de la Grange

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Complicità, di Andrea Zhok

L’abbraccio di solidarietà di Conte a Speranza, con a fianco una plaudente Elli Schlein, in occasione dell’approvazione della Commissione d’inchiesta sulla gestione pandemica, è una delle scene più ributtanti viste in parlamento da lungo tempo. Un promemoria che ogni voto a sinistra nel presente contesto è un voto non semplicemente buttato, ma a diretto sostegno dell’ipocrisia, della malafede, della peggiore umanità.
Il tema della strategia pandemica è stato soppiantato, come è giusto che sia, da altri problemi più urgenti; e Dio solo sa se di problemi non abbondiamo.
Tuttavia questi personaggi, e chi vi ha dato credito, devono sapere che il senso di ricatto e minaccia vissuto negli anni della pandemia non se ne andrà mai. Quel senso di ricatto e minaccia prodotto dalle stesse “istituzioni democratiche” che avrebbero dovuto tutelare la popolazione e che invece sono state la principale causa di un disastro sanitario senza precedenti.
Lo so che ancora molti, moltissimi, non hanno capito (né voluto capire) cosa sia successo. Se la sono cavata e tanto basta. E adesso che – come ampiamente segnalato a suo tempo – ci troviamo con un servizio sanitario nazionale tracollato e de facto privatizzato, fanno spallucce, e sperano di cavarsela ancora.
Dalla riduzione dei posti letto prima della pandemia, alla mancanza di implementazione di un piano pandemico aggiornato, alla rinuncia forzosa alle terapie domiciliari, al criminale protocollo “tachipirina + vigile attesa”, alle sanzioni ai medici che cercavano di curare, ai lockdown indiscriminati con promesse di ristori risultati ridicoli, all’imposizione indiscriminata e scriteriata di inoculazioni sperimentali, ai ricatti progressivi e crescenti, sul lavoro, sui mezzi pubblici, all’università, per l’accesso agli uffici pubblici, all’omertà indotta sugli effetti avversi, alle campagne di demonizzazione dei renitenti, ai contratti di fornitura secretati, al fiume di soldi pubblici passati direttamente nelle casse delle case farmaceutiche senza toccare il servizio pubblico, tutto questo e molto altro c’è in quell’abbraccio di solidarietà tra complici.
Qualunque sia l’esito della commissione d’inchiesta – rispetto a cui le aspettative non sono alte – sappiate che comunque non dimenticheremo e che alla giustizia, se non a quella giudiziaria almeno a quella storica, arriveremo.

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RIVOLTE FRANCESI, UNA ANALOGIA STORICA ILLUMINANTE: GUERRA D’ALGERIA, di Roberto Buffagni

RIVOLTE FRANCESI, UNA ANALOGIA STORICA ILLUMINANTE: GUERRA D’ALGERIA.
Guardando “La battaglia di Algeri” di Gillo Pontecorvo si capisce subito qual è il problema: risolvibile sul piano militare, insolubile sul piano politico. In Francia si sono formati diversi ghetti, cittadelle dell’immigrazione dove la polizia non entra, che sono di fatto sottratte alla sovranità dello Stato. Prima erano soprattutto le banlieues parigine e marsigliesi, poi lo Stato francese ha cominciato a distribuire gli immigrati in tutta la nazione, appunto per mitigare questo problema, ma lo ha solo esteso. Infatti le rivolte scoppiano dappertutto, anche nelle città medie e piccole, perché lo stesso fenomeno si riproduce dovunque ci sia un numero sufficiente di immigrati che formano un ghetto a scopo difensivo e di reciproca solidarietà culturale ed etnica, espellendone i francais de souche che scappano via perché non gli va di abitare a Casablanca 2 senza la polizia marocchina che garantisce l’ordine.
In questi ghetti, ci sono due fonti di autorità e di potere: gli imam, e i trafficanti di droga. Gli imam hanno l’autorità morale (e spesso sono estremisti perché i sauditi hanno largamente finanziato l’estremismo wahabita in Europa) i trafficanti di droga hanno i soldi, le armi, il monopolio della violenza e il prestigio che il successo sociale esercita sui giovani.
Come si fa, tecnicamente, per ripristinare la legge francese e l’autorità dello Stato in questi ghetti? Il modo c’è, ed è esattamente quello rappresentato, con grande fedeltà storica, ne “La battaglia di Algeri”, bellissimo film che si guarda in tutte le Accademie militari del mondo. Lo si vede verso la metà del film, quando viene descritto come i reparti di paracadutisti rastrellano la Casbah.
Lì lo fanno per sconfiggere lo FLN (e ci riescono), ora andrebbe fatto per sconfiggere i trafficanti di droga e gli imam, e riportare la legge e l’ordine nelle banlieues.
E’ una cosa tecnicamente fattibilissima, politicamente impossibile. Un’altra somiglianza delle rivolte odierne con la vicenda algerina è proprio questa: fattibilità tecnico-militare, impossibilità politica. Quando è stato richiamato de Gaulle al governo, egli ha fatto la seguente considerazione. Se teniamo l’Algeria, dobbiamo concedere la cittadinanza francese agli algerini, non è più culturalmente possibile una apartheid imperiale con gli algerini cittadini di serie B (N.B: stessa identica situazione di Israele). Questo implica che milioni di algerini mussulmani possono entrare liberamente in Francia, e vi entreranno perché verranno chiamati come forza lavoro a basso costo, e vi potranno insediare le loro famiglie. Inaccettabile perché olio e aceto non si mescolano, perché “non voglio che Colombey-les-Deux-Eglises (dove abitava de Gaulle) diventi Colombey-les Deux Mosquèes”, perchè così creiamo le condizioni per una guerra civile su base etnica.
A questo punto de Gaulle ha bruscamente concesso l’indipendenza all’Algeria. Chi vuole tenersela dà vita all’OAS (Organisation de l’Armée Secrète, i golpisti ripresero il nome resistenziale, e molti di essi, tra i quali quasi tutti gli ufficiali che sconfissero lo FLN ad Algeri, avevano in effetti combattuto nella resistenza francese). Si noti bene che l’OAS voleva concedere la piena cittadinanza francese a tutti gli algerini. Quando de Gaulle concede, bruscamente e di sorpresa, l’indipendenza all’Algeria, l’OAS (diversi reparti dell’esercito francese con alla testa ufficiali superiori + i pied noirs + varie formazioni politiche di destra) tenta il colpo di Stato contro di lui. Fu una cosa molto seria, in confronto Prigozhin fa ridere; cerca anche di farlo fuori (attentato fallito del ten.col. Bastien-Thiry, poi fucilato. De Gaulle rifiuta la grazia perché Bastien-Thiry gli ha sparato mentre in macchina c’era anche sua moglie, Tante Yvonne: attentato non cavalleresco, vai al muro Jean-Marie, e ringrazia che ti fucilo in quanto militare e non ti ghigliottino come un criminale qualsiasi. 🙂
Per ora la rivolta francese è disorganica perché non ha (ancora) un obiettivo politico chiaro, mentre la rivolta FLN ce l’aveva eccome (indipendenza dell’Algeria).
Ma a) l’obiettivo politico chiaro potrebbe darselo, per esempio la partizione del territorio francese (Hollande ha detto, dopo la sua presidenza, “andrà a finire con una partizione” e in effetti è logico b) anche senza un obiettivo politico queste rivolte destabilizzano lo Stato e la società francesi, guerra civile a bassa intensità, porzioni di territorio sottratte alla legge.
Aggiungi le diverse dinamiche demografiche tra immigrazione e francais de souche, e vedi dove si va a finire (un brutto posto). Sintesi gli immigrati SONO TROPPI.

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INTERVISTA A MONTESQUIEU SU NORDIO, di Teodoro Klitsche de la Grange

INTERVISTA A MONTESQUIEU SU NORDIO

Da tempo le esternazioni del Ministro della Giustizia Carlo Nordio sono oggetto di critiche, in particolare di essere permissive, anti-legalitarie, garantiste, ecc. ecc. Per saperne di più siamo andati a intervistare il barone di Montesquieu, noto intenditore di libertà politica e di Stato di diritto il quale, ci ha benevolmente concesso l’incontro.

Caro barone, che ne pensa della dichiarazione del Ministro Nordio che “La nostra legislazione tributaria è piena di ossimori. Se un imprenditore onesto decidesse di assoldare un esercito di commercialisti per pagare fino all’ultimo centesimo le imposte non riuscirebbe perché comunque qualche violazione verrebbe trovata, le norme si contraddicono”.

Penso che il legislatore, come ho scritto, deve essere chiaro e conciso, la moltitudine delle leggi impedisce il secondo carattere e rende problematico il primo.

L’ideale della legge è quella delle XII tavole: così piana e succinta che i bambini romani la conoscevano a memoria. Provate a fare la stessa cosa con le leggi italiane, anche soltanto con quelle tributarie: non ci riuscirebbe neanche Pico della Mirandola. Ma quei caratteri sono essenziali per la certezza del diritto; cioè per un connotato fondamentale dello stesso. Senza quelle, il diritto non è altro che l’arbitrio (facile) dell’interprete.

Cosa ne pensa del fatto che Nordio ha detto che non vuole interferenze dell’ANM nella formazione delle leggi?

Che ha capito lo “spirito” del mio pensiero, anche oltre la lettera; ho scritto che “Quando nella stessa persona o nello stesso corpo di magistratura il potere legislativo è unito al potere esecutivo, non vi è libertà, perché si può temere che lo stesso monarca o lo stesso senato facciano leggi tiranniche per attuarle tirannicamente. Non vi è libertà se il potere giudiziario non è separato dal potere legislativo e da quello esecutivo. Se esso fosse unito al potere legislativo, il potere sulla vita e la libertà dei cittadini sarebbe arbitrario, poiché il giudice sarebbe al tempo stesso legislatore”. Certo qui non si tratta di un’interferenza formale, prescritta dalle leggi (il che sarebbe ancora peggio). Ma certo un’interferenza di un soggetto rappresentativo di una categoria di funzionari pubblici che esercitano uno dei poteri  dello Stato è, a mio avviso, comunque da evitare per scongiurare quanto da me sostenuto. Che può essere declinato in più maniere, la prima delle quali è che, per conseguire la libertà politica, è necessario che colui che pone la norma non sia quello che la applica. Invece coloro che criticano il Ministro sembra che tengano non alla libertà o alla legge, ma al potere della burocrazia di applicarla, nel modo meno determinato e controllato possibile. Un caso di buromania e di burodipendenza.

Passando ad altro, che ne pensa della concezione, anche dell’Unione Europea, di misurare lo “Stato di diritto” (soprattutto) sulla protezione dei diritti “LGBT”?

Ho sostenuto, a proposito della libertà che “Non vi è parola che abbia ricevuto maggior numero di significati diversi…. Gli uni l’hanno presa nell’accezione di facilità di deporre colui al quale avevano conferito un potere tirannico; gli altri come la facoltà di eleggere colui al quale dovevano obbedire; altri ancora come il diritto di essere armati e di potere esercitare la violenza; altri infine come il privilegio di non essere governati che da un uomo della propria nazione o delle proprie leggi. Un popolo ha preso la libertà per l’uso di portare una lunga barba”. Ecco a me pare che chi condivide la concezione suddetta è assai simile a quelli che la pensano come facoltà di farsi crescere la barba. Quando tanti diritti sociali ed economici sono poco garantiti, pensare e tutelare pretese marginali (e in qualche caso non fondate sulla realtà) mi sembra un tentativo, come dite, di distrazione di massa. Si pensa al diritto di affittare gli uteri (et similia) per costruirsi un’immagine gradevole e “liberale”, senza pagare prezzo.

Allora la ringrazio sig. barone,  posso tornare ad intervistarla?

Sinceramente penso che ce ne sarà bisogno. Come ho scritto non è che il regime delle repubbliche italiane dei miei tempi fosse del tutto corrispondente alla forma di governo dispotica. Ma avverto, nel vostro modo di governare, una tendenza storica a raggiungerla. E, per quanto mi riguarda, darò mano per invertirla.

Teodoro Klitsche de la Grange

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Un paese in declino, grazie a Confindustria e ai suoi servi di Pasquale Cicalese

Ho visto la prima pagina de IlSole24 ore di ieri. Titolo: allarme competitività, produttività e innovazione giù.

Premetto che a me sta bene tutto, purché sia produzione. Ma mi dite che innovazione possono avere settori portanti dell’industria italiana quali arredo, alimentare, tessile, abbigliamento, calzature ecc?

Sono settori che occupano una parte non indifferente degli occupati industriali. In questi settori puoi fare solo innovazione di processo, non di prodotti, perché i prodotti sono quelli, peraltro richiesti dal mercato mondiale.

E per fare innovazione di processo devi mettere soldi sulla struttura della propria azienda, fare cioè gli investimenti. Che non fanno da 50 anni, basandosi tutto su salari bassi. E dunque diminuendo, tramite consumi inferiori, la domanda interna.

Puoi fare innovazione digitale, di macchinari, ma sul prodotto puoi fare ben poco.

Questi sono settori – a parte la mancata meccanizzazione dell’agricoltura – dove i proprietari hanno immensi patrimoni personali ma basano tutto sull’apporto pubblico, di vari enti, da centrali a periferici, per fare qualche investimento. Poi magari, come successo negli ultimi 40 anni, delocalizzi, ma poi ritorni perché nel frattempo i salari dei paesi dove sei andato sono cresciuti ai livelli nostri.

Ecco, basano tutto su bassi salari. Non abbiamo quasi più industria automobilistica, siderurgica, chimica, qualcosa di elettronica, ma per il resto subfornitura, con l’eccezione della meccanica strumentale.

Mi dite voi quale innovazione ci può essere? Si beano che stiamo arrivando a circa il 50% dei prodotti manifatturieri esportati all’estero, non capendo che è una tragedia, alla fine, perché se gli altri paesi si fermano, come la Germania, tu coli a picco.

Marcello de Cecco lo scrisse negli anni Novanta: le produzioni italiane di questi settori dovevano andare nei paesi emergenti, non da noi, noi dovevamo tenerci l’industria pubblica innovativa e all’avanguardia. Cassandra inascoltata.

Evidentemente presso molti italiani, come vedo, c’è il mito del Made in Italy. Evidentemente bestemmio. Ma mi chiedo: è possibile che i colossi del lusso francese nel 2023 – ripeto: 2023 – scelgano il nostro Paese, magari trasferendosi dall’Asia per la produzione di pelletteria, calzature e abbigliamento?

C’è qualcosa che non va in tutto ciò. Per vari motivi: i guadagni sono tutti delle multinazionali e dei loro proprietari come Arnault. Evidentemente in Toscana, dopo secoli, si sta assistendo alla fine della produzione artigianale di eccellenza per mettere questi lavoratori in complessi industriali, cosa ben analizzata da Marx nell’Ottocento a proposito del tessile.

E’ un bene? Io non credo. Poi, se si spostano dall’Asia in Italia è per i salari, ormai, al netto del costo della vita, i nostri sono più bassi dei loro e in più c’è la vicinanza e le capacità delle maestranze. Poi non lamentiamoci dei bassi salari, perché è questo modello produttivo che li porta.

Se ci fossero più aerospaziale, chimica fine, siderurgia, produzione automobilistica, elettronica, telecomunicazioni, farmaceutica che, a differenza di adesso, non sarebbe contoterzista ma attrice primaria nel mercato mondiale; non avremmo bassi salari, perché sono modelli basati ad alta intensità di ricerca e produttività.

Li abbiamo abituati troppo bene, questi presunti padroni in nome del Made in Italy. Una volta erano produzione di nicchia, ora primeggiano perché per il resto c’è il deserto.

Per quanto riguarda lo stesso turismo, è ad alta intensità di lavoro e bassa produttività, dove a guadagnarci sono pochi e anche questo modello si basa su bassi salari. Anche la Grecia ha il turismo, ma sfido qualcuno ad affermare che industrialmente sia un paese evoluto.

Confindustria, sin dal dopoguerra, voleva la fine dell’industria pubblica perché “concorreva” dando salari dignitosi rispetto ai loro. Ci sono voluti Carli, Ciampi, Draghi, Amato, Prodi e D’Alema per accontentarli.

Ed è stata la nostra fine.

Siamo in declino da decenni, quest’anno forse cresciamo dell’1,2%, ma che ce ne facciamo con un debito pubblico spaventoso, con servizi scadenti, con consumi a picco, con produttività totale dei fattori produttivi a zero da decenni?

E non si fa niente pur avendo una posizione finanziaria netta estera positiva per 105 miliardi, perché dobbiamo obbedire a Usa, Ue e Nato.

Ieri lo avevo scritto in un post, pubblicato da L’antidiplomatico  e da Contropiano. Solo adesso mi accorgo che l’editorialista Paolo Bricco de IlSole24 ore, l’unico che leggo di quel giornale, ha dedicato un pezzo ieri dal titolo “L’Italia non può vivere solo di turismo“.

Traccia un quadro allarmante dell’industria italiana, anche quella della meccanica strumentale, un tempo il nostro vanto, che ora è incapace di intercettare la domanda internazionale, a differenza di prima.

Ieri scrivevo che senza cognizione di causa nell’economia, dai vertici dello Stato ai quadri ministeriali, un Paese non può andare avanti. Ecco, lo scrive lo stesso Bricco in un passo che cito: “Quando si vuol fare qualcosa non si scorge una tecnocrazia pubblica di valore. Senza arrivare ad Alberto Beneduce e a Oscar Sinigaglia o a Fabiano Fabiani e Franco Reviglio“. Gente colta, capace, consapevole.

Oggi ho letto un post che diceva il giusto: “un paese senza acciaio cessa di esistere“. Per quanto riguarda la burocrazia di valore, essa ha a che fare con due fattori storici della Seconda Repubblica: le “riforme Bassanini”, che hanno distrutto la capacità di analisi e di azione del corpo burocratico, mettendo spesso gente poco colta; ma soprattutto la campagna d’odio di Brunetta nel 2009 quando disse che i pubblici erano tutti fannulloni.

Ecco, un paese è forte quando ha una burocrazia pubblica colta, di valore, tutelata, ben retribuita e al servizio del paese e non di cordate partitocratiche o di gruppi di interessi privati, o commistioni da i due campi.

Ecco, hanno distrutto lo Stato. E ne paghiamo tutti le conseguenze.

* Il recente libro dell’Autore: https://www.youcanprint.it/50-anni-di-guerra-al-salario/b/6e8935f1-bf39-5711-8dca-a22f65519444

https://contropiano.org/news/news-economia/2023/06/12/un-paese-in-declino-grazie-a-confindustria-e-ai-suoi-servi-0161372

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