BILANCIO PROVVISORIO PRIMI SEI MESI DI GUERRA IN UCRAINA …e altro, di Pierluigi Fagan

BILANCIO PROVVISORIO PRIMI SEI MESI DI GUERRA IN UCRAINA. Fare un bilancio implica stabilire un parametro, ma qui i parametri sono almeno quattro, come i contendenti coinvolti.
Dal punto di vista ucraino, s’è perso non poco territorio ed è molto improbabile tornerà mai a casa. Al di là dei proclami, potrebbe tornare a casa solo con una catastrofica sconfitta russa, ma tale sconfitta è molto improbabile mai possa avvenire per ragioni di consistenza militare sul campo presente e futuro oltreché per il fatto che la Russia potrebbe reagire in maniera molto forte al manifestarsi di una tale situazione negativa. Nel senso che c’è sempre l’arma pesante da mettere sul piatto prima di anche solo iniziare a perdere la partita. Tutte le parti sanno di questa ultima ratio, quello che vediamo e sentiamo nelle dichiarazioni e negli articoli di analisti che più che analisti sono propagandisti, è solo guerra nel campo delle opinioni pubbliche. Di contro, gli ucraini possono contare ancora sul supporto americano, inglese ed europeo. Quello americano è solido e continuo (si parla di soldi e di armi che sono sempre soldi). Biden sta recuperando in patria e con lui anche il suo partito, rispetto alle elezioni di mid-term. Mancano ancora due mesi e poco più, ma ora la sconfitta DEM non è più scontata ed anzi cominciano a sperare in una doppia vittoria. Questa dinamica non ha nulla a che fare con la guerra ovviamente, sono altre le questioni che sviluppano la politica interna americana. Quanto ai britannici, a giorni (5 settembre) sapremo se la leadership conservatrice andrà a Sunak o Truss. Per gli ucraini, meglio la seconda molto aggressiva in politica estera. A riguardo, va detto che i brit se la passano piuttosto male in generale, nei sondaggi il Labour (ora in moderata versione “terza via”) oggi batterebbe di netto i conservatori, molti prevedono peggio andrà se vincesse Truss troppo sbilanciata e divisiva. Purtroppo, questa crisi interna rischia di diventare il classico ottimo motivo per peggiorare una crisi esterna e richiamare tutti all’unità di patria ovvero di supporto ad un governo aggressivo. Quanto agli europei essendo uno dei quattro attori vanno analizzati a parte.
Come al solito, non c’è un punto di vista europeo ma singoli punti di vista dei suoi vari attori principali o gruppi regionali. In macro, l’Europa s’è infilata in un dispositivo di tortura economica, finanziaria, politica e sociale che ha cominciato a tormentarla e che promette di intensificare e prolungare il dolore procurato. Perché l’ha fatto rimane il grande punto interrogativo. Rimango dell’idea che, oltre l’insipienza geopolitica con cui gli europei hanno gestito gli anni e decenni passati, ci sia stata da parte del socio americano un’azione molto dura e pesante i cui contenuti non conosciamo e forse non consoceremo mai, ai primissimi giorni da inizio conflitto. Un ricatto probabilmente, da cui era impossibile divincolarsi anche volendo e stante che davvero nessuno lo voleva o anche solo poteva pagarne gli eventuali prezzi molto alti. Da parte delle élite di potere in Europa, meglio accettarlo, restare in sella e far pagare i prezzi del gioco alle popolazioni. I prezzi sono e saranno sempre più alti. Si tratta di costi di quantità di energia che andrà scarseggiando ma anche costi alti per quella che comunque si avrà. Costi alti si riflettono su costi alti di produzione e quindi costi alti di merci e servizi. Aumento di inflazione internamente, diminuzione di esportazioni esternamente, quindi poi costi sociali e distruzione di alcune filiere produttive. Si badi che l’opzione rigassificatori, che semmai diventerà operativa non prima di un anno e mezzo, potrebbe migliorare la situazione (GNL comprato dagli USA, ma non è del tutto detto), ma sempre a costi più alti del passato e di quanto pagano l’energia gli americani. Il che creerà un gradino di costo permanente in termini competitivi. A ciò si aggiungerà l’equivalente su molte materie prime, nonché la perdita del mercato russo. Ne risente anche l’euro e chissà se questa precaria istituzione europea varata negli splendenti anni Novanta; quindi, votata ai fasti del big bang della allora irresistibile globalizzazione, resisterà ancora a lungo. La sua presenza percentuale nelle riserve delle banche centrali mondiali potrebbe diminuire a tutto vantaggio del dollaro. Intanto i capitali emigrano e vanno a rifugiarsi nei bond americani a tassi apprezzabili, un classico alla base di molte guerre “by americans”, oltre al commercio di armi e stante l’aumento delle spese di difesa deliberate e ritenute ormai essenziali. Sul piano narrativo potrebbe esser d’effetto qui dire che tutto ciò scatenerà reazioni, ma temo che sul piano del potere concreto, quello di cui abbiamo di solito solo una pallida idea, qualsiasi tentativo di reazione verrà soffocato prima di diventare davvero problematico. Sarebbe ad esempio utile conoscere quanti, chi e come si sta adoperando per far digerire la Meloni agli americani e gli interessi americani alla Meloni che non essendo stupida pagherà la cambiale atlantista per ottenere il suo quarto d’ora di governo.
E veniamo ai russi. S’era qui ipotizzato che a fine agosto i russi potevano arrivare ai confini del Donbass e quindi prendersi una pausa per congelare il conflitto (militare) per l’inverno, dato anche che la logistica da quelle parti diventa molto problematica nella lunga stagione piovosa, fredda, nevosa. Non ci arriveranno, la concentrazione delle difese ucraine nel nord del Donetsk è insuperabile, al momento. Sappiamo che i russi continuano ad incassare bei soldi dalla vendita del gas, hanno in parte riorientato i flussi verso est, non manifestano gravi danni dalle sanzioni, almeno per il momento. Non sappiamo quanta riserva d’arma abbiano e sebbene alcuni c.d. “analisti” abbiano previsto la consunzione a breve ormai da mesi, tale consunzione non pare ci sia ed è improbabile ci sarà. I russi non s’imbarcavano in tale operazione ragionando come ragionano i c.d. “analisti” occidentali, avranno fatto i loro calcoli visto che da subito hanno accettato e promesso un conflitto molto lungo. Solo gli sprovveduti fan amatoriali dei wargames da tavolo, sin delle prime settimane, hanno creduto alla strategia blitzkrieg. Non parliamo di quelli che vedevano i russi al confine con la Romania in pochi giorni (Macron) o a Berlino (Zelensky). Altresì non c’è stato alcun vero isolamento dei russi sul piano diplomatico globale, tranne la rescissione del corpo calloso che univa l’emisfero russo a quello europeo. Tuttavia, rimane del tutto non conoscibile per noi, gli effetti medio lunghi del dispositivo sanzionatorio a molti livelli, si tratta come sempre in questi casi di questioni di tempo e di calcolo su cose che non consociamo. Certo è che avranno fatto i loro calcoli a riguardo per cui non è escluso che semmai vedessimo una improvvisa e massiccia azione sul campo nei prossimi mesi, si potrà dedurre si trovino nel momento “ora o mai più”. Vedremo.
E chiudiamo con gli americani veri master of game del caso in questione. È tutta una questione di tempo. L’Ucraina diventa nei fatti un satellite americano per sempre, tutti i soldi liquidi e solidi in forma di armi non sono donazioni, sono prestiti da rimborsare, debiti visti dalla parte di Zelensky, debiti inestinguibili per l’eternità (UDD Land-Lease Act ’22). Per questo la guerra non potrà aver fine perché, sotto ricatto di debito, gli ucraini non potranno mai decidere altrimenti a meno di un colpo di stato interno che poi sopravviva alla reazione americana. Quindi gli USA si sono comprati l’Ucraina e la useranno come spina dolorosa nel fianco russo per sfinirli, ovvero il “più a lungo” possibile. Quindi, in sostanza, è da vedere come hanno calcolato il tempo gli americani ed i russi per capire come andrà a finire. Per il resto la cattura egemonica dell’Europa appare forte, irreversibile e duratura, le questioni interne di elezioni di stanno aggiustando (c’è anche una sfida per la leadership del GOP di modo che i neocon vincano in ogni caso, ma questa è una faccenda complicata). La vera partita principale diventa Taiwan ma su questo dovremo riflettere a parte.
Sarebbe utile alcuni potessero onestamente riflettere su ciò che hanno detto e scritto in questi sei mesi, per domandarsi cosa davvero hanno compreso della questione ucraina. Ma tanto non lo faranno, molti discorsi pubblici hanno a traguardo solo la guerra virtuale delle opinioni combattenti, la mia contro l’opinione altrui, senza passare per la bruttezza concreta della guerra reale.
AMBASCIATOR PORTA PENA. Come previsto, la questione dell’Artico procede inesorabile. Gli Stati Uniti hanno previsto di nominare un Ambasciator-at-Large per l’Artico. La carica che si può tradurre come “Ambasciatore generale” verrà data ad un diplomatico con ampi poteri che rappresenterà gli USA per le questioni artiche presso tutte le istituzioni, formali ed informali, presenti o che si occupano della regione.
Scatta subito sull’attenti il fido Stoltenberg, annunciando che “La NATO deve aumentare la sua presenza nell’Artico” perché i russi stanno trafficando nelle loro basi portando missiloni di ultima generazione. In più, sappiamo degli appetiti cinesi verso questa regione che permetterebbe loro di aggirare le forche caudine degli stretti indo-pacifici. Insomma, si sta apparecchiando il nuovo gioco che porterà la nuova guerra fredda sottozero. O visto che da quelle parti non c’è praticamente nessuno, molto soprazero tanto l’ambiente lì si sta già scaldando di suo. Motivo per il quale poi tutti si stanno agitando visto che sottacqua è pieno di minerali appetitosi ed energie fossili molto poco green.
Finalmente, anche i più tonti potranno così capire cosa c’era sotto l’urgenza inderogabile ad accorpare la Finlandia e la Svezia nella NATO, due nazioni storicamente non allineate, pacifiche, conviventi da tempo col vicino russo, prive di materie prime che non siano alberi e renne, senza apparente alcun rilievo strategico che non sia il Mar Baltico che è praticamente un mare chiuso, ma membri del Consiglio dell’Artico.
Si noti invece come la punta nord-est della Finlandia sia ad un tiro di schioppo (si fa dell’ironia) dalla città (Murmansk) più grande al mondo sopra il Circolo polare Artico ed unico porto russo che non ghiaccia d’inverno, quindi strategica base militare navale.
Ma tanto non serve a niente dirlo, quando scoppierà il casino annunciato, torme di invasati caricati a molla dai media brain-washing, presi da una aggressiva emotività ingestibile ed insopprimibile, ci faranno sapere la loro inutile opinione formata il giorno stesso in cui succederà qualcosa, ignari che ogni storia ha cause pregresse che loro ignorano, come ignorano tutto l’argomento della politica di potenza in questa fase storica. Così come hanno fatto e fanno per l’Ucraina. Ci vuole pazienza, tanta.
REALISMO STRATEGICO. Charles A. Kupchan è un più che noto studioso di relazioni internazionali americano. Già direttore degli affari europei per il Consiglio Nazionale di Difesa degli Stati Uniti nonché Consigliere capo per gli affari europei della presidenza Obama, Senior fellow del Council on Foreign Relations, insegna alla Georgetown di Washington. In italiano, il suo interessante “Nessuno controlla il mondo”, Il Saggiatore, 2013.
L’articolo allegato esce su The National Interest, rivista bimestrale di IR di taglio conservatore, repubblicano diciamo in senso largo. Come si intuisce, in America, un democratico può pubblicare su testata avversaria, anche perché in incrocio condivide più l’impostazione realista che idealista (detta “liberal”, ma in sostanza e per simmetria se uno è realista l’altro è idealista per potare i fronzoli terminologici), di solito fortemente radicata proprio in campo democratico.
Per comprendere meglio questo incrocio ed il suo riflesso epistemologico (sebbene una epistemologia della disciplina sia rimasta al compianto Morghentau e poco poi sviluppata come del resto è capitato all’economics vista l’ampia funzione ideologica più che “scientifica” -sempre si possa dare “scienza” delle discipline socio/umane- delle due discipline), va ricordato che la disciplina di Relazioni Internazionali è prettamente americana, tanto quanto la geopolitica nacque europea. Ma il punto epistemologico interessante da notare è che realisti o idealisti, sono sempre americani, condividono cioè fortemente e senza alternative il punto di vista sull’interesse americano. Ora, il punto di vista su un problema come i soggetti di potenza nel loro sviluppo di relazioni internazionali dovrebbe esser almeno un po’, se non tanto, diverso a seconda che lo studioso sia francese o britannico, o tedesco o italiano. E ciò vale anche per la geopolitica. Così non accade quasi mai, salvo rare eccezioni per lo più francesi.
Quelli di Limes, hanno spesso notato e giustamente, la mancanza di un fondato punto di vista italiano su queste faccende, punto di vista cioè tornito intorno ad un ben definito punto di interesse nazionale nostro proprio. L’interesse nazionale, in genere, è semplice quanto unitario, si divergerà poi sul come perseguirlo. A riguardo, permettetemi una punta che suonerà polemica ma non lo è, è un semplice fatto.
Consocerete l’esperta di IR Nathalie Tocci, direttrice dell’Istituto Affari Internazionali di ampia visibilità mediatica, che tuonava con il prof. Orsini negandogli il diritto di parlare di Ucraina perché non ci era mai stato fisicamente. Ha poi detto che non sarebbe più andata in televisione se ci fosse stato lui, quindi, lui è stato ostracizzato e lei salta da un programma all’altro. Vabbe’, non era questo il punto, il punto è che se andate sul sito del suo istituto, sotto Istituto, Chi Siamo, Amministrazione trasparente, trovate l’ultimo bilancio pubblico che chissà perché è ancora solo quello del 2019. Alla pagina 3, Ricavi, l’IAI denuncia di ricevere il 61% dei suoi fondi da “Fondazioni ed Enti Internazionali”. Più o meno la stessa percentuale del 2018 sembra un fatto strutturale. Che munificenza! Ma chi sono questi enti e fondazioni estere che hanno così tanto interesse a finanziare il lavoro di un istituto italiano di relazioni internazionali? E quanto dovremmo prender sul serio un’analista che sicuramente è stata in Ucraina a differenza di Orsini ma il cui stipendio e status professionale è per lo più mantenuto da interessi stranieri? Ce lo vedete uno studioso americano che parla a nome di un istituto finanziato dai cinesi o dai russi?
Be’ così va il mondo dietro le quinte dello spettacolo cui molti contribuiscono lanciandosi fatwe al veleno radioattivo sui social, basandosi su quello che ha detto tizio e caio, senza domandarsi chi sono tizio e caio, cosa sanno, cosa credono di sapere, come lo sanno, a chi parlano, da chi sono pagati, come tutto ciò incide sulla loro immagine di mondo da cui traggono giudizi che zelanti zeloti rilanciano ed amplificano, senza neanche esser stipendiati da “enti e fondazioni estere”.
Pazienza, indispensabile materia prima dei tempi che ci sono toccati in sorte di vivere.
Ad ogni modo, l’americano da cui siamo partiti, sviluppa una sua analisi compiuta della strategia americana, nel tempo e nello specifico dell’affare ucraino. Leggetela, fa cultura del campo se vi interessa coltivarlo. Ovviamente avrei da discutere diversi suoi punti. Tuttavia, ne consiglio ugualmente la lettura, non è che si debba leggere solo l’intemerata consonante i nostri apriori ideologici.
Il succo però va riportato. In sintesi, Kupchan dice al decisore americano che sarebbe meglio contenere le velleità di egemonia esterna perché si rischia troppo e troppe brutte cose. Tra cui effetti molto negativi interni al campo delle c.d. “democrazie di mercato” occidentali e non solo, che pure sono uno dei più solidi successi della strategia egemonica americana di questi ultimi decenni. In particolare, ricorda l’ovvio ovvero che si chiamano “relazioni internazionali” perché riguardano due o più soggetti di potenza. Essendo una relazione c’è un emittente ed un ricevente. L’emittente che dice “guarda sto portando la mia alleanza militare ai tuoi confini ma non ti preoccupare, è solo un’alleanza difensiva”, in una relazione consapevole ed onesta, dovrebbe tener conto che il ricevente potrebbe inquietarsi comunque dal momento che rampe di missili sono sempre rampe di missili e le intenzioni con cui tu puoi usarli possono cambiare com’è ovvio che sia. Ed anche come tutte le dottrine difensive americane prevedono impedendo in via di principio che supposti o potenziali avversari si presentino, non ai confini, ma nell’intero continente e nei suoi due oceani adiacenti.
Questa si chiama “reciprocità” tema del mio secondo post dopo il 24 febbraio ed è considerata etica universale, molto più universale di ogni diritto umano o altro valore che a noi sembra universale quando non è affatto detto che lo sia. Lo hanno certificato 143 rappresentati di altrettante religioni (wow, i religiosi di etica qualcosa sanno, no?), riuniti nel parlamento delle religioni mondiali nel 1993, definendolo l’unico punto incontrovertibile di una etica mondiale!
Lo si è detto e ripetuto più volte all’inizio del conflitto ma molti pupazzi caricati a molla continuano a scrivere post ed articoli che sostengono che questa è una falsa argomentazione. Chissà se leggendolo detto da un americano personalità riconosciuta del campo e della disciplina, consigliere di Obama, gli entra in testa. Non credo, la fede dello zelante zelota è impermeabile all’argomentazione logica, però perché non tentare? Buona lettura.

La guerra in Ucraina e il ritorno della Realpolitik

(riprodotto con traduttore_Giuseppe Germinario)

Il ritorno di un mondo a due blocchi che gioca secondo le regole della realpolitik significa che l’Occidente dovrà ridurre i suoi sforzi per espandere l’ordine liberale, tornando invece a una strategia di paziente contenimento volta a preservare la stabilità geopolitica ed evitare una grande guerra di potere .

La competizione GREAT POWER è tornata. L’alleanza transatlantica deve rivedere di conseguenza la sua grande strategia e ridimensionare le sue ambizioni idealistiche a favore di un realismo pragmatico. Durante la crisi sull’Ucraina, la stella polare ideologica dell’Occidente – la promozione della democrazia – ha guidato l’arte di governo, con la NATO che ha sostenuto e incoraggiato le aspirazioni di Kiev di unirsi all’alleanza occidentale. Ma il presidente russo Vladimir Putin, non volendo lasciare che l’Ucraina lasci l’ovile russo ed emerga come una democrazia ancorata in Occidente, ha lanciato una guerra per riportare Kiev sotto il dominio di Mosca. Putin possiede questa guerra , con la morte e la distruzione che ha prodotto.

La reazione dell’Occidente – armare l’Ucraina, sanzionare la Russia, rafforzare il fianco orientale della NATO estendendo l’adesione a Finlandia e Svezia – è pienamente giustificata. Tuttavia, il legittimo indignazione per la presa a pugni dell’Ucraina da parte della Russia minaccia di oscurare la necessità di trarre sobrie lezioni dalla guerra. Forse la cosa più importante è che il mondo stia tornando alle regole della politica di potere, richiedendo che l’ambizione ideologica ceda più regolarmente alle realtà strategiche per garantire che gli scopi dell’Occidente rimangano sincronizzati con i suoi mezzi. Questo adeguamento significa che l’Occidente dovrà concentrarsi maggiormente sulla difesa, anziché sull’espansione, della comunità democratica. Certamente, combinando i suoi valori con il suo potere, l’Occidente ha piegato l’arco della storia lontano dalla pratica della realpolitik e verso una maggiore libertà, dignità umana e pace.

Il mondo indisciplinato e più competitivo che sta prendendo forma rafforzerà naturalmente l’unità transatlantica, proprio come la minaccia rappresentata dall’Unione Sovietica ha contribuito alla coesione della NATO durante la Guerra Fredda. Eppure i mali politici che hanno afflitto l’Occidente non si sono dissipati; L’invasione della Russia, insieme alla prospettiva di una nuova guerra fredda, non è sufficiente a curare gli Stati Uniti e l’Europa dall’illiberalismo e dalla disfunzione politica. In effetti, la guerra in Ucraina ha prodotto effetti di ricaduta economica che potrebbero indebolire ulteriormente il centrismo politico. Di conseguenza, l’America e l’Europa affrontano una doppia sfida: devono continuare a mettere in ordine le proprie case anche mentre stanno insieme per resistere alla guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina.

QUESTA TENSIONE tra alta ambizione e realtà strategica non è una novità, in particolare per gli Stati Uniti. Fin dai primi giorni della repubblica, gli americani hanno compreso che lo scopo del loro potere implicava non solo la sicurezza, ma anche la diffusione della democrazia liberale in patria e all’estero. Come scrisse Thomas Paine nel 1776, “abbiamo il potere di ricominciare il mondo. Una situazione, simile a quella attuale, non si è verificata dai giorni di Noè fino ad ora”.

Paine si stava sicuramente impegnando nell’iperbole, ma le generazioni successive di americani hanno preso a cuore la vocazione eccezionalista della nazione, con risultati piuttosto impressionanti. Grazie al potere del suo esempio e ai suoi numerosi sforzi all’estero, tra cui la prima, la seconda guerra mondiale e la guerra fredda, gli Stati Uniti sono riusciti a espandere l’impronta della democrazia liberale. Al momento della fondazione della nazione, le repubbliche erano lontane tra loro. Oggi, più della metà dei paesi del mondo sono democrazie totali o parziali. Gli Stati Uniti hanno svolto un ruolo di primo piano nell’attuazione di questa trasformazione.

Ma queste aspirazioni ideologiche hanno a volte alimentato il superamento, producendo risultati che compromettono le ambizioni idealistiche della nazione. La generazione fondatrice era determinata a costruire una repubblica estesa che si estendesse fino alla costa del Pacifico, un obiettivo che la nazione raggiunse a metà del diciannovesimo secolo. Gran parte dell’espansione verso ovest degli Stati Uniti ha avuto luogo sotto la bandiera esaltata del Destino manifesto, che ha fornito una giustificazione ideologica per espandere la frontiera, ma anche una copertura morale per calpestare i nativi americani e lanciare una guerra d’elezione contro il Messico che ha portato all’annessione degli Stati Uniti di circa la metà del territorio messicano.

Il presidente William McKinley nel 1898 intraprese una guerra per espellere la Spagna da Cuba, una delle poche colonie rimaste nell’emisfero, insistendo sul fatto che gli americani dovevano agire “per la causa dell’umanità”. Eppure la vittoria nella guerra ispano-americana trasformò gli stessi Stati Uniti in una potenza imperiale, poiché affermò il controllo sui possedimenti spagnoli nei Caraibi e nel Pacifico, comprese le Filippine. “Non ci restava altro da fare che prenderli tutti, educare i filippini, elevarli, civilizzarli e cristianizzarli”, ha insistito McKinley mentre le forze statunitensi occupavano le Filippine. L’insurrezione che ne è derivata ha portato alla morte di circa 4.000 soldati statunitensi e centinaia di migliaia di combattenti e civili filippini. Gli Stati Uniti resistettero alle Filippine fino al 1946.

Mentre preparava il paese all’ingresso nella prima guerra mondiale, il presidente Woodrow Wilson dichiarò davanti al Congresso che “il mondo deve essere messo al sicuro per la democrazia”. Dopo che le forze statunitensi hanno contribuito a portare a termine la guerra, ha svolto un ruolo di primo piano nei negoziati sulla Società delle Nazioni, un organismo globale che doveva preservare la pace attraverso l’azione collettiva, la risoluzione delle controversie e il disarmo. Ma tali ambizioni idealistiche si sono rivelate eccessive anche per gli americani. Il Senato ha respinto l’appartenenza degli Stati Uniti alla Lega; Il superamento ideologico di Wilson aprì la strada al testardo isolazionismo dell’era tra le due guerre.

Poco prima di lanciare l’invasione americana dell’Iraq nel 2003, il presidente George W. Bush ha affermato che “riteniamo che il popolo iracheno meriti e sia capace della libertà umana … può dare l’esempio a tutto il Medio Oriente di una vita vitale, pacifica e nazione autonoma”. Il risultato della guerra in Iraq è stato molto diverso: sofferenze a livello regionale e conflitti settari pronti a continuare per generazioni. Quanto all’Afghanistan, ha proclamato Bush nel 2004: “Ora il Paese sta cambiando. Ci sono i diritti delle donne. C’è uguaglianza sotto la legge. Le ragazze ora vanno a scuola, molte per la prima volta in assoluto, grazie agli Stati Uniti e alla nostra coalizione di liberatori”. Ma due decenni di esaurienti sforzi degli Stati Uniti per portare stabilità e democrazia in Afghanistan sono stati imbarazzanti, con il ritiro degli Stati Uniti la scorsa estate che ha lasciato il posto al governo talebano e a un incubo umanitario. In questi episodi storici, le nobili ambizioni si sono ritorte contro con conseguenze terribili.

La questione UCRAINA ha allo stesso modo messo in luce le inevitabili tensioni tra alte ambizioni e realtà geopolitiche. Queste tensioni erano, per la maggior parte, sospese nel bipolarismo della Guerra Fredda, quando l’espediente geopolitico guidava la strategia di contenimento degli Stati Uniti. L’accordo di Yalta raggiunto da Franklin D. Roosevelt, Winston Churchill e Joseph Stalin alla fine della seconda guerra mondiale fu l’ultimo compromesso realista, lasciando gran parte dell’Europa orientale sotto il dominio sovietico. Roosevelt e Churchill stavano saggiamente cedendo i principi al pragmatismo fornendo alla Russia sovietica una zona cuscinetto sul fianco occidentale. Tale moderazione strategica ha dato buoni frutti; ha contribuito alla stabilità durante i lunghi decenni della Guerra Fredda,

L’espansione verso est della NATO iniziò quindi negli anni ’90, l’era dell’unipolarità, quando Washington era fiduciosa che il trionfo del potere e degli obiettivi americani avrebbe inaugurato l’universalizzazione della democrazia, del capitalismo e di un ordine internazionale liberale e basato su regole. L’amministrazione Clinton ha abbracciato una grande strategia di “allargamento democratico” – un punto chiave della quale era aprire le porte della NATO alle nuove democrazie europee e accogliere formalmente in Occidente gli stati del defunto e screditato Patto di Varsavia.

L’allargamento verso est della NATO ha favorito guadagni sia morali che strategici. L’Occidente ha sfruttato l’opportunità di invertire Yalta; I membri della NATO potrebbero riaffermare la loro autorità morale integrando le ultime democrazie europee. Il fascino di soddisfare gli standard politici per l’ingresso nell’alleanza occidentale ha aiutato a guidare attraverso le transizioni democratiche più di una dozzina di paesi che hanno sofferto a lungo sotto il dominio comunista. L’apertura delle porte della NATO ha anche fornito all’alleanza profondità strategica e una maggiore forza militare aggregata. La garanzia di difesa che viene fornita con l’adesione funge da forte deterrente all’avventurismo russo, un bene prezioso dato il rinnovato appetito di Mosca di invadere i suoi vicini. Finlandia e Svezia, infatti, si sono lasciate alle spalle decenni di neutralità per avvalersi di tale garanzia.

Ma nonostante questi vantaggi pratici e di principio, l’allargamento della NATO ha comportato anche un significativo svantaggio strategico: ha gettato le basi per un ordine di sicurezza post Guerra Fredda che escludeva la Russia mentre avvicinava sempre più ai suoi confini l’alleanza militare più formidabile del mondo. Proprio per questo motivo l’amministrazione Clinton ha inizialmente lanciato il Partenariato per la Pace, un quadro di sicurezza che ha consentito a tutti gli Stati europei di cooperare con la NATO senza tracciare nuove linee di divisione. Ma quell’alternativa cadde nel dimenticatoio all’inizio di gennaio 1994, quando il presidente Bill Clinton dichiaròa Praga che “la domanda non è più se la NATO assumerà nuovi membri, ma quando e come”. La prima ondata di espansione ha esteso l’adesione alla Repubblica Ceca, all’Ungheria e alla Polonia nel 1999, seguita da allora da quattro ulteriori periodi di allargamento. Finora, la NATO ha ammesso quindici paesi (che comprendono circa 100 milioni di persone) che erano precedentemente nella sfera di influenza della Russia.

Il Cremlino si è opposto fin dall’inizio all’allargamento della NATO. Già nel 1993, il presidente russo Boris Eltsin avvertì che i russi di tutto lo spettro politico “lo percepirebbero senza dubbio come una sorta di neo-isolamento del nostro paese in diametralmente opposta alla sua naturale ammissione nello spazio euro-atlantico”. In un incontro faccia a faccia con il presidente Clinton nel 1995, Eltsin è stato più diretto:

Non vedo altro che umiliazione per la Russia se procedi… Perché vuoi farlo? Abbiamo bisogno di una nuova struttura per la sicurezza paneuropea, non di quelle vecchie! … Per me accettare che i confini della NATO si espandano verso quelli della Russia – ciò costituirebbe un tradimento da parte mia del popolo russo.

Il disagio di Mosca è cresciuto solo quando Putin ha preso il timone nel 1999 e ha ribaltato il flirt di Eltsin con un tipo di governo più liberale. Alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco nel 2007, Putin dichiarò che l’allargamento della NATO “rappresenta una seria provocazione” e chiese: “Perché è necessario mettere infrastrutture militari ai nostri confini durante questa espansione?”

La Russia iniziò presto sforzi concreti per fermare un ulteriore allargamento. Nel 2008, non molto tempo dopo che la NATO aveva promesso che Georgia e Ucraina “diventeranno membri della NATO”, la Russia è intervenuta in Georgia. Nel 2012, Mosca avrebbe tentato di organizzare un colpo di stato in Montenegro per bloccarne l’adesione all’alleanza , e in seguito avrebbe lavorato per impedire l’adesione della Macedonia del Nord. Questi sforzi nei Balcani furono inutili; Il Montenegro ha aderito all’alleanza nel 2017 e la Macedonia del Nord ha seguito l’esempio nel 2020. Ora Putin ha invaso l’Ucraina, in parte per bloccare il suo percorso verso la NATO. Nel suo discorso del 24 febbraioalla nazione che giustifica l’inizio della “operazione militare speciale”, Putin ha indicato “le minacce fondamentali che i politici occidentali irresponsabili hanno creato per la Russia … Mi riferisco all’espansione verso est della NATO, che sta spostando le sue infrastrutture militari sempre più vicino a il confine russo”.

Gli Stati Uniti hanno in gran parte respinto le obiezioni della Russia. Mentre il Cremlino osservava con ansia l’avanzata della NATO, Washington ha visto l’espansione della NATO verso est principalmente attraverso la lente benevola della vocazione eccezionalista dell’America. L’allargamento dell’alleanza ha significato diffondere i valori americani e rimuovere le linee di divisione geopolitiche piuttosto che tracciarne di nuove.

Quando ha lanciato la politica della porta aperta della NATO, il presidente Clinton ha affermato che ciò avrebbe “cancellato la linea artificiale in Europa tracciata da Stalin alla fine della seconda guerra mondiale”. Madeleine Albright, la sua segretaria di stato, ha affermato che “la NATO è un’alleanza difensiva che … non considera nessuno stato come suo avversario”. Lo scopo di espandere l’alleanza, ha spiegato, era costruire un’Europa “intera e libera”, osservando che “la NATO non rappresenta un pericolo per la Russia”. Questa è la linea che Washington ha adottato da allora, anche per quanto riguarda la potenziale adesione dell’Ucraina. Con l’aumentare della crisi sull’Ucraina, il presidente Joe Biden ha insistito su questo, “gli Stati Uniti e la NATO non sono una minaccia per la Russia. L’Ucraina non sta minacciando la Russia”. Il segretario di Stato Antony Blinken ha convenuto: “La stessa NATO è un’alleanza difensiva … E l’idea che l’Ucraina rappresenti una minaccia per la Russia o, se è per questo, che la NATO rappresenti una minaccia per la Russia è profondamente sbagliata e fuorviante”. Gli alleati dell’America sono stati per lo più sulla stessa pagina. Jens Stoltenberg, segretario generale della NATO, ha affermato durante il periodo che precede l’invasione della Russia che: “La NATO non è una minaccia per la Russia”.

Eppure la Russia vedeva le cose in modo molto diverso, e non senza ragione. La geografia e la geopolitica contano; Le grandi potenze, indipendentemente dalla loro inclinazione ideologica, non amano quando altre grandi potenze si allontanano nei loro quartieri. La Russia nutre comprensibili e legittime preoccupazioni per la sicurezza riguardo all’apertura di un negozio da parte della NATO dall’altra parte del suo confine di oltre 1.000 miglia con l’Ucraina. La NATO può essere un’alleanza difensiva, ma mette in atto una potenza militare aggregata che la Russia, comprensibilmente, non vuole parcheggiare vicino al suo territorio.

In effetti, le proteste di Mosca sono state, ironia della sorte, molto in linea con la stessa politica americana, che ha cercato a lungo di tenere le altre grandi potenze lontane dai propri confini. Gli Stati Uniti trascorsero gran parte del diciannovesimo secolo a far uscire Gran Bretagna, Francia, Russia e Spagna dall’emisfero occidentale. Da allora in poi, Washington si è regolarmente rivolta all’intervento militare per dominare le Americhe. L’esercizio dell’egemonia emisferica continuò durante la Guerra Fredda, con gli Stati Uniti determinati a cacciare l’Unione Sovietica ei suoi simpatizzanti ideologici dall’America Latina. Quando Mosca dispiegò missili a Cuba nel 1962, gli Stati Uniti lanciarono un ultimatum che portò le superpotenze sull’orlo della guerra. Dopo che la Russia ha recentemente lasciato intendere che potrebbe schierare nuovamente le sue forze armate in America Latina, il portavoce del Dipartimento di Stato Ned Price ha risposto: “Se vediamo qualche movimento in quella direzione, risponderemo in modo rapido e deciso”. Data la propria esperienza, Washington avrebbe dovuto dare maggiore credito alle obiezioni di Mosca all’ingresso dell’Ucraina nella NATO.

Per quasi tre decenni, la NATO e la Russia si sono parlate l’una contro l’altra. Come ha scherzato il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov in mezzo alla raffica di diplomazia che ha preceduto l’invasione russa, “stiamo conversando da una persona muta con una persona sorda. È come se ci ascoltassimo, ma non ci ascoltassimo”.

L’invasione russa dell’Ucraina chiarisce che questa disconnessione tra Russia e Occidente è esplosa allo scoperto, finalmente per una serie di motivi. Mosca ha considerato l’ingresso nella NATO di una banda di paesi che si estende dai Baltici ai Balcani come una battuta d’arresto strategica e un insulto politico. L’Ucraina, in particolare, appare molto più grande nell’immaginario russo; nelle stesse parole di Putin, “Russi e ucraini sono un popolo. Kiev è la madre delle città russe”. La scissione nel 2019 della chiesa ortodossa ucraina dalla sua controparte russa è stata una pillola particolarmente amara; la chiesa ucraina era subordinata al patriarca di Mosca dal 1686. La Russia oggi è molto più capace di respingere di quanto non lo fosse all’inizio del dopoguerra, rafforzata dalla sua ripresa economica e militare e dalla sua stretta collaborazione con la Cina.

Eppure il Cremlino ha commesso diversi gravi errori di calcolo nel procedere con la sua invasione dell’Ucraina. Ha ampiamente sottovalutato la volontà e la capacità degli ucraini di reagire, producendo le prime battute d’arresto russe sul campo di battaglia. Mosca ha visto numerose fonti di debolezza occidentale – Brexit, il ritiro caotico dall’Afghanistan, la pandemia di COVID-19, l’inflazione, la polarizzazione in corso e il populismo – portando a una sottovalutazione della forza e della portata della risposta dell’Occidente. Nella mente di Putin, una combinazione di forza russa e fragilità occidentale ha reso il momento opportuno per lanciare la sfida in Ucraina. Ma Putin aveva torto; l’Occidente ha dimostrato una notevole fermezza poiché ha armato l’Ucraina e imposto severe sanzioni contro la Russia.

Questi errori di calcolo aiutano a far luce sul motivo per cui Putin ha scelto di affrontare le sue lamentele attraverso la guerra piuttosto che la diplomazia. In effetti, Putin ha avuto l’opportunità di dirimere le sue obiezioni all’adesione dell’Ucraina alla NATO al tavolo dei negoziati. L’anno scorso, il presidente Biden ha riconosciuto che se l’Ucraina si unirà all’alleanza ” resta da vedere “. In mezzo alla raffica di diplomazia che ha preceduto l’invasione russa, il presidente francese Emmanuel Macron ha lanciato l’idea di “finlandizzazione” per l’Ucraina – neutralità effettiva – e sono circolate proposte per una moratoria formale su un ulteriore allargamento. Lo ha ammesso il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyyche la prospettiva che l’Ucraina aderisca alla NATO possa essere “come un sogno”. Il suo ambasciatore nel Regno Unito ha indicato che Kiev voleva essere “flessibile nel tentativo di trovare la migliore via d’uscita” e che un’opzione sarebbe quella di abbandonare la sua offerta per l’adesione alla NATO. Il Cremlino avrebbe potuto raccogliere queste piste, ma invece ha optato per la guerra.

LA SAGA dell’allargamento della NATO mette in luce il divario tra le aspirazioni ideologiche dell’Occidente e le realtà geopolitiche che si è allargato dagli anni ’90. Durante l’entusiasmante decennio successivo alla fine della Guerra Fredda, gli Stati Uniti ei loro alleati erano fiduciosi che il trionfo del loro potere e del loro scopo avrebbe aperto la strada alla diffusione della democrazia, un obiettivo che l’allargamento della NATO avrebbe presumibilmente contribuito a garantire.

Ma fin dall’inizio, l’establishment della politica estera occidentale ha permesso al principio di oscurare gli aspetti negativi geopolitici dell’allargamento della NATO. Sì, l’adesione alla NATO dovrebbe essere aperta a tutti i paesi che si qualificano e tutte le nazioni dovrebbero essere in grado di esercitare il loro diritto sovrano di scegliere i propri allineamenti come meglio credono. E sì, la decisione di Mosca di invadere l’Ucraina è stata in parte informata dalle fantasie di ripristinare il peso geopolitico dei giorni sovietici, dalla paranoia di Putin su una “rivoluzione colorata” insorta in Russia e dalle sue delusioni sui legami indissolubili di civiltà tra Russia e Ucraina.

Eppure l’Occidente ha commesso un errore continuando a respingere le obiezioni della Russia all’allargamento in corso della NATO. Nel frattempo, la politica delle porte aperte della NATO ha incoraggiato i paesi dell’Europa orientale a sporgersi troppo dai loro sci strategici. Mentre il fascino dell’adesione all’alleanza ha incoraggiato gli aspiranti a realizzare le riforme democratiche necessarie per qualificarsi per l’ingresso, la porta aperta ha anche spinto i potenziali membri a impegnarsi in comportamenti eccessivamente rischiosi. Nel 2008, subito dopo che la NATO ha ignorato le obiezioni russe e ha promesso un’eventuale adesione alla Georgia e all’Ucraina, il presidente della Georgia, Mikheil Saakashvili, ha lanciato un’offensiva contro i separatisti filo-russi nell’Ossezia meridionale con cui il paese combatteva sporadicamente da anni. La Russia ha risposto prontamente prendendo il controllo di due parti della Georgia: l’Ossezia meridionale e l’Abkhazia.

In modo simile, la NATO ha esagerato incoraggiando l’Ucraina a aprire la strada verso l’alleanza. La rivoluzione di Maidan del 2014 ha rovesciato un regime pro-Mosca e ha portato l’Ucraina su una rotta verso ovest, provocando l’intervento della Russia in Crimea e nel Donbas. La porta aperta della NATO ha fatto cenno, spingendo gli ucraini nel 2019 a sancire le loro aspirazioni NATO nella loro costituzione, una mossa che ha fatto scattare nuovi campanelli d’allarme al Cremlino. Data la sua vicinanza alla Russia e la devastazione causata dall’ulteriore aggressione di Mosca, l’Ucraina avrebbe fatto meglio a giocare sul sicuro, costruendo in silenzio una democrazia stabile pur mantenendo lo status neutrale che aveva abbracciato quando è uscita dall’Unione Sovietica. In effetti, il potenziale ritorno dell’Ucraina alla neutralitàha avuto un ruolo di primo piano nei colloqui sporadici tra Kiev e Mosca per porre fine alla guerra.

La NATO ha saggiamente evitato il coinvolgimento diretto nei combattimenti per scongiurare la guerra con la Russia. Ma la riluttanza dell’alleanza a difendere militarmente l’Ucraina ha messo in luce un preoccupante disconnessione tra l’obiettivo dichiarato dell’organizzazione di rendere il paese un membro e il suo giudizio secondo cui proteggere l’Ucraina non vale il costo. In effetti, gli Stati Uniti ei loro alleati, anche se impongono severe sanzioni alla Russia e inviano armi all’Ucraina, hanno rivelato di non ritenere la difesa del Paese un interesse vitale. Ma se è così, allora perché i membri della NATO hanno voluto estendere all’Ucraina una garanzia di sicurezza che li obbligherebbe a entrare in guerra in sua difesa?

La NATO dovrebbe estendere le garanzie di sicurezza ai paesi che sono di importanza strategica intrinseca agli Stati Uniti e ai suoi alleati, non dovrebbe rendere i paesi strategicamente importanti estendendo loro tali garanzie. In un mondo che sta rapidamente tornando alla logica della politica di potenza, in cui gli avversari possono regolarmente mettere alla prova gli impegni degli Stati Uniti, la NATO non può permettersi di essere dissoluta nel fornire tali garanzie. La prudenza strategica richiede di distinguere gli interessi critici da quelli minori e di condurre di conseguenza l’arte di governo.

La PRUDENZA STRATEGICA richiede anche che l’Occidente si prepari al ritorno di una continua rivalità militarizzata con la Russia. Alla luce della stretta collaborazione emersa tra Mosca e Pechino e delle ambizioni geopolitiche della Cina, la nuova Guerra Fredda che sta prendendo forma potrebbe benissimo mettere l’Occidente contro un blocco sino-russo che si estende dal Pacifico occidentale all’Europa orientale. Come la Guerra Fredda, un mondo di blocchi rivali potrebbe significare divisione economica e geopolitica. Il grave impatto delle sanzioni imposte alla Russia sottolinea il lato oscuro della globalizzazione, portando potenzialmente a casa sia la Cina che le democrazie occidentali che l’interdipendenza economica comporta rischi piuttosto considerevoli. La Cina potrebbe prendere le distanze dai mercati globali e dai sistemi finanziari, mentre gli Stati Uniti e l’Europa potrebbero scegliere di espandere il ritmo e la portata degli sforzi per disaccoppiare dagli investimenti, dalla tecnologia e dalle catene di approvvigionamento cinesi. Il mondo potrebbe entrare in un’era prolungata e costosa di de-globalizzazione.

Il ritorno di un mondo a due blocchi che gioca secondo le regole della realpolitik significa che l’Occidente dovrà ridurre i suoi sforzi per espandere l’ordine liberale, tornando invece a una strategia di paziente contenimento volta a preservare la stabilità geopolitica ed evitare una grande guerra di potere . Un nuovo conservatorismo strategico dovrebbe cercare di stabilire equilibri stabili di potere e deterrenza credibile nei teatri europei e dell’Asia-Pacifico. Gli Stati Uniti hanno un playbook per questo mondo: quello che gli ha permesso di prevalere nella prima Guerra Fredda.

Quello per cui Washington non ha uno stratagemma è navigare nella divisione geopolitica in un mondo che è molto più interdipendente di quello della Guerra Fredda. Anche se resiste alle autocrazie, l’Occidente dovrà superare le linee di divisione ideologiche per affrontare le sfide globali, tra cui l’arresto del cambiamento climatico, la prevenzione della proliferazione nucleare e il controllo degli armamenti, la supervisione del commercio internazionale, il governo della cybersfera, la gestione della migrazione e promuovere la salute globale. Il pragmatismo strategico dovrà temperare la discordia ideologica.

Washington manca anche di uno stratagemma per operare in un’era in cui l’Occidente deve affrontare minacce nostrane alla democrazia liberale che sono almeno altrettanto potenti delle minacce esterne poste da Russia e Cina. Durante la Guerra Fredda, l’Occidente era politicamente sano; le democrazie liberali su entrambe le sponde dell’Atlantico godevano di moderazione ideologica e centrismo, sostenute da una prosperità ampiamente condivisa. Un marchio fermo e mirato della grande strategia statunitense poggiava su solide fondamenta politiche e godeva di un sostegno bipartisan.

Ma l’Occidente oggi è politicamente malsano e il populismo illiberale è vivo e vegeto su entrambe le sponde dell’Atlantico. Negli Stati Uniti, il patto bipartisan dietro l’arte di governo statunitense è crollato, così come il centro politico della nazione. La moderazione ideologica e il centrismo hanno lasciato il posto a un’amara polarizzazione in mezzo a una prolungata insicurezza economica e a una disuguaglianza spalancata. La guerra in Ucraina non ha aiutato le cose; L’ambiziosa agenda di Biden per il rinnovamento interno, già ridimensionata a causa dell’ingorgo al Congresso, ha ulteriormente sofferto a causa dell’attenzione di Washington sul conflitto. E gli alti tassi di inflazione, alimentati in parte dalle perturbazioni economiche derivanti dalla guerra, stanno alimentando il malcontento pubblico, probabilmente costando ai Democratici il controllo del Congresso nel prossimo semestre di novembre.

In Europa, il centro politico ha tenuto largamente. I partiti tradizionali di centrosinistra e centrodestra hanno perso terreno rispetto ai partiti anti-establishment, ma sono rimasti ideologicamente centristi e, per la maggior parte, sono rimasti al potere. Eppure i populisti illiberali continuano a governare l’Ungheria e la Polonia, ei loro compagni di viaggio esercitano un’influenza politica nella maggior parte degli stati membri dell’Unione Europea (UE). In effetti, il governo centrista italiano è crollato a luglio e l’estrema destra potrebbe benissimo impennarsi in vista delle elezioni. Il Regno Unito si è impegnato in uno straordinario atto di autoisolamento e autolesionismo uscendo dall’UE: Londra rimane coinvolta in difficili negoziati con Bruxelles sui termini della Brexit. Il danno economico provocato dall’inflazione, dall’aumento dei prezzi dell’energia e dalla potenziale carenza di energia favorita dalle sanzioni occidentali alla Russia,

Mentre gli Stati Uniti ei loro alleati contemplano l’aumento della tensione con un blocco sino-russo, devono assicurarsi di continuare a correggere le vulnerabilità interne dell’Occidente. È vero che durante la Guerra Fredda, la disciplina che la minaccia sovietica imponeva alla politica americana contribuì a smorzare il conflitto partigiano sulla politica estera. Allo stesso modo, l’attuale prospettiva di una nuova era di rivalità militarizzata con Russia e Cina sta facendo rivivere la cooperazione bipartisan in materia di governo.

È tuttavia probabile che questo ritorno al bipartitismo sia di breve durata, proprio come è stato dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001. Gli americani non dovrebbero operare nell’illusione che un ambiente internazionale più competitivo ripristinerà di propria iniziativa il paese salute politica, soprattutto in mezzo al tasso di inflazione statunitense più alto degli ultimi quarant’anni. In modo simile, anche se l’Europa ha dimostrato unità e determinazione impressionanti durante la guerra in Ucraina, indubbiamente dovrà affrontare nuove sfide politiche mentre affronta un enorme afflusso di rifugiati ucraini e affronta ulteriori oneri economici, incluso lo svezzamento dall’energia russa .

Entrambe le sponde dell’Atlantico hanno quindi un duro lavoro da fare se vogliono mettere in ordine le proprie case e rinvigorire l’ancora dell’ordine liberale del globo. Dato il potenziale ritorno della politica del risentimento negli Stati Uniti, l’amministrazione Biden ha urgente bisogno di continuare a portare avanti la sua agenda interna. Investire in infrastrutture, istruzione, tecnologia, assistenza sanitaria, soluzioni per il clima e altri programmi interni offre il modo migliore per alleviare il malcontento dell’elettorato e far rivivere il centro politico malato del paese . L’agenda di rinnovamento dell’Europa dovrebbe includere la ristrutturazione economica e gli investimenti, la riforma della politica di immigrazione e il controllo delle frontiere e una maggiore spesa e messa in comune della sovranità sulla politica estera e di difesa.

L’invasione russa dell’Ucraina annuncia il ritorno di un mondo più realistico, che richiede che le ambizioni idealistiche dell’Occidente cedano più regolarmente alle fredde realtà strategiche. Anche se la guerra ha certamente contribuito a rilanciare l’Occidente e la sua coesione, le minacce interne alla democrazia liberale che erano al centro prima della guerra richiedono ancora un’attenzione urgente. Sarebbe ironico se l’Occidente riuscisse a trasformare la scommessa di Putin in Ucraina in una clamorosa sconfitta, solo per vedere le democrazie liberali soccombere al nemico interiore.

Charles A. Kupchan è Professore di Affari Internazionali alla Georgetown University e Senior Fellow presso il Council on Foreign Relations. Il suo libro più recente è Isolationism: A History of America’s Efforts to Shield Itself from the World .

DRAGHI – DI MAIO: L’IMPERATIVO È SOFFIARE ANCORA SUL VENTO DI GUERRA, di Marco Giuliani

In vista di un autunno pieno di tensioni, l’esecutivo, valigie in mano, non cambia linea

Pochi giorni fa, confutando dati e notizie, avevamo già ipotizzato il fatto che insistere sulla propaganda di guerra avrebbe, senza dubbio, peggiorato la condizione socioeconomica europea, in particolar modo dell’Italia, che rimane uno dei paesi più indebitati della comunità. Non che fosse così difficile prevederlo, ma è proprio ciò che sta accadendo.

Così, mentre il conflitto in Ucraina è entrato nel suo settimo mese di durata, Palazzo Chigi continua a insistere sulla necessità di armare Kiev e spendere zero energie a favore di una mediazione, una tregua o all’apertura di un tavolo per trattare. Eurostat ha appena riscontrato un più che sensibile aumento del numero di cittadini italiani sulla soglia della povertà o in povertà assoluta: parliamo di circa 11 milioni e 840 mila unità, pari a oltre il 20% della popolazione. Si tratta di una statistica drammatica che dovrebbe indurre qualsiasi leadership a frenare le spese superflue, a intervenire radicalmente nel sociale o quanto meno, a limitare il protrarsi dell’economia e della strategia di guerra attuate per esaudire le richieste – ma sarebbe più onesto parlare di ordini – di Washington e Bruxelles. Eppure, dopo più di sei mesi Draghi continua a spingere verso una sola direzione, ovvero ancora armi, soldi e sostegno ibrido a Zelensky, a cui ormai rimane solo il gettone di presenza a La Domenica Sportiva. Le sanzioni, invocate di nuovo, in prima fila, dal governo italiano uscente, stanno facendo il resto, determinando l’incremento incontrollato dei prezzi delle bollette energetiche e dei carburanti. Non solo, poiché si acuisce la penuria dell’import dei fertilizzanti russi, comprensivamente al rischio fallimento di migliaia di imprese (tra le trentamila e le centomila) e il licenziamento di altrettanti lavoratori.

Ormai il messaggio è diventato quasi stagnante; è un messaggio lanciato da un personaggio da sempre legato alle lobbies bancarie internazionali e ai fondi di investimento americani, il quale sembra più preoccupato di ciò che accade all’estero anziché in Italia. Un messaggio avallato, tra l’altro, da un Ministero degli Esteri incapace di proporre una linea, un’iniziativa, una sorta di discontinuità che pensiamo a questo punto non sia mai stato in grado neanche di elaborare. L’ultima eresia geopolitica pronunciata dalla coppia Draghi-Di Maio è stata la richiesta di restituzione della Crimea all’Ucraina: ma lo sanno questi due personaggi che è dalla fine del Settecento che l’isola è abitata da una popolazione a maggioranza russa e che russa vuole restare? Lo sanno che un out out del genere non verrà in alcun modo accolto? Probabilmente lo sanno, ma è una tecnica. Una tecnica telecomandata dai piani superiori, riconducibili alla Casa Bianca e ai suoi establishment, parte integrante delle grandi industrie che producono armi (le prime cinque, su scala globale, sono americane e inglesi, guarda caso) e che si stanno arricchendo – lo ripetiamo – sulla pelle degli ucraini e su quella dei soldati russi.

Dopo quasi sette mesi di guerra, la variabile indipendente sembra non essere più l’attacco militare di Mosca o la liberazione del Donbass, ma la diplomazia occidentale, per la quale l’Italia, malgrado i propri interessi e piegata ai diktat di Biden, svolge ora mai mansioni di ratifica. Per questi motivi e non solo, continuiamo a pensare che ci siano interessi tali per cui la guerra debba andare avanti; altrimenti, i leaders europei avrebbero speso almeno una stilla del loro sudore per opporre un tentativo di fermare le ostilità. Tuttavia, visto che le bombe da alcuni gironi stanno cadendo anche sui tetti delle centrali nucleari, deduciamo che la condizione in terra ucraina sia diventata ulteriormente a rischio. Un rischio per l’Europa, non certo per gli Usa. Mai come adesso urge una svolta, un cambio di passo che non ci si aspetta certo da Draghi, ma dai tedeschi e dai francesi. Compromesso significa sic et simpliciter che ognuno dovrà cedere qualcosa. Quel qualcosa oggi non è messo al bando da contrasti di natura geopolitica o diplomatica passibili di discussioni e di modifiche, bensì dal secco rifiuto di Nato e UE – parimenti a quello di Putin – di aprire un dialogo. E il governo di Kiev, benché lautamente rifornito a quattrini e cannoni, continua a essere null’altro che una pedina in mano ai falchi euroatlantici.

        MG

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

Eurostat, statistiche diffuse il 26 agosto 2022 –

Televideo Rai, pagina 150 del 23 agosto 2022 –

www.cna.it, pagina internet del 29 agosto 2022 della Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa, consultata il 29 agosto 2022 –

www.limesonline.com, pagina del 12 agosto 2022 consultata il 31 agosto 2022 –

 

 

 

 

LO STATO DELLE COSE DELLA GEOPOLITICA, di Massimo Morigi _ 10a di 11 parti

AVVERTENZA

La seguente è la decima di undici parti di un saggio di Massimo Morigi. Nella prima parte è pubblicata in calce l’introduzione e nel file allegato il testo di Morigi; nella sua decima parte è disponibile la prosecuzione a partire da pagina 130. L’introduzione è identica per ognuna delle undici parti e verrà ripetuta solo nelle prime righe a partire dalla seconda parte.

PRESENTAZIONE DI QUARANTA, TRENTA, VENT’ANNI DOPO A LE
RELAZIONI FRA L’ITALIA E IL PORTOGALLO DURANTE IL PERIODO
FASCISTA: NASCITA ESTETICO-EMOTIVA DEL PARADIGMA
OLISTICO-DIALETTICO-ESPRESSIVO-STRATEGICO-CONFLITTUALE DEL
REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO ORIGINANDO DALL’ ETEROTOPIA
POETICA, CULTURALE E POLITICA DEL PORTOGALLO*

*Le relazioni fra l’Italia e il Portogallo durante il periodo fascista ora presentate sono
pubblicate dall’ “Italia e il Mondo” in undici puntate. La puntata che ora viene
pubblicata è la prima e segue immediatamente questa presentazione, e questa prima
puntata (come tutte le altre che seguiranno) è preceduta dall’introduzione alla stessa di
Giuseppe Germinario. Pubblicando l’introduzione originale delle Relazioni fra l’Italia
e il Portogallo durante il periodo fascista come prima puntata e che, come da indice,
non è numerata, la numerazione delle puntate alla fine di questa presentazione non
segue la numerazione ordinale originale in indice delle parti del saggio, che è stata
quindi mantenuta immutata, quando questa presente.

DECIMA PUNTATA STATO DELLE COSE

I POZZI ED IL PENDOLO, di Pierluigi Fagan

I POZZI ED IL PENDOLO. Era noto da anni che i fondali del Mediterraneo orientale fossero pieni di gas, basta vedere una cartina altimetrica delle profondità. Ma i trivellamenti davanti la costa di Egitto e poi davanti Israele hanno poi anche dato conferma probante. Ieri ENI ha confermato che assieme a Total (cartina nel primo commento), hanno trovato bei giacimenti al largo di Cipro. Altrettanti ce ne sono ancora di trivellare, anche davanti al Libano e Siria, nell’Egeo e nelle isole davanti la Turchia che però sono greche. La questione ucraina che ha imposto il nostro de-linking con la Russia accelera ora la ricerca e sfruttamento di questa ghiotta alternativa. Era tutto noto da tempo, ma si preferiva lasciare le cose come stavano anche perché nuovi giacimenti in zone condivise da sei stati, con di mezzo greci e turchi, ciprioti, siriani e libanesi (tra cui Hezbollah) con israeliani solo per parlare dei pozzi, poi si dovrebbe parlare delle condotte, dei diritti di trivellazione e di molto altro, promettevano conflitti certi. Ora ci siamo tolti il problema perché abbiamo un altro conflitto certo in Ucraina e quindi visto che abbiamo sdoganato il conflitto, diamoci sotto!
A me non va di scrivere un articolo di dettaglio, a voi probabilmente di leggerlo. Resto quindi sulle generali per dire una cosa più generale. Non dico su facebook e non dico a fini politici immediati, però direi che qualcuno tra gli studiosi di cose politiche dovrebbe forse rendersi conto della infondatezza degli attuali paradigmi entro i quali pensiamo.
Il mondo è sempre più complesso, imprevedibile, competitivo e rissoso. In questo scenario si muovono soggetti massivi (Stati grandi e potenti) di prima ed ormai anche di seconda potenza. Ogni questione con la quale abbiamo a che fare ci chiede o di esser interpretata a nostro modo, se ne abbiamo la forza (potenza) o di esser subita secondo convenienza altrui. Le questioni mondo sono analizzate e previste dai centri di intelligenza geo-strategica delle prime e seconde potenze. Noi non abbiamo nulla di tutto ciò.
Noi prendiamo il gas dai russi, poi qualcuno decide che no, allora scopriamo che “fortuna!” c’è un sacco di gas nel Mediterraneo. Che bello! Pensiamo ora, poi tra qualche anno quando ci saranno battaglie navali, colpi di stato qui e lì, migranti disperati, sofferenza e dolore per disputarsi i diritti sui nuovi giacimenti, diremo “che brutto!”. Segue donazione Save the Children e profluvio di articoli critici che criticano il perché piove mentre casca l’acqua. Noi ci stupiamo come bambini della pellicola di un film che qualcuno fa scorrere davanti a noi, gioendo, preoccupandoci, polemizzando, credendo di aver capito cose che non capiamo affatto. Noi pendoliamo emotivamente partecipando e giudicando eventi che però hanno noi dentro, non sullo schermo. Eventi che non spuntano fuori uno dopo l’altro come acqua da fontana sono serie di catene causative note e previste, a volte manipolate secondo altrui intenzione. La sola urgenza che molti sentono e giudicare, chi sono i cattivi, chi i buoni, chi quelli come me, chi quelli diversi e quindi contro di me. Noi non ci occupiamo di fatti ma di quello che altri pensano su quei fatti che siamo convinti di conoscere e non conosciamo affatto.
Trivelle, ecologia, nucleare, energia, produzione industriale, armi, fondi di ricerche, alleanze, sovranità, autonomie strategiche, culture strategiche, come tutto ciò va con “democrazia” sono speso argomenti che ci urtano, non ci piacciono, ci impongono studi che non sappiamo e vogliamo o possiamo fare. Soprattutto, ci imporrebbero il sacrificare valori per voleri. Eppure, è ciò che promana dalla realtà.
Il campo del pensiero ha una urgenza forte, riflettere sulle nostre categorie, sulle logiche, sugli strumenti, gli spazi ed i fondi necessari, l’organizzazione stessa visto che queste forme di pensiero invocano lavoro collettivo. Se non riformiamo il campo del pensiero, non avremo piani di azione realistica da condividere e senza questi non avremo massa critica per far cose che non sono facili affatto e sempre che siano anche solo possibili.
Se volete, potete senz’altro fare l’elenco dei desideri, via dall’UE, dall’euro, dalla NATO, dal neoliberismo, dal capitalismo, dall’Occidente brutto e cattivo, dalla Terra anche. Tanto più la realtà è brutta tanto più pendolerete verso le storie belle. Ma il “cosa” non vale nulla senza il “come” come disse quello …

LO STATO DELLE COSE DELLA GEOPOLITICA, di Massimo Morigi _ 9a di 11 parti

AVVERTENZA

La seguente è la nona di undici parti di un saggio di Massimo Morigi. Nella prima parte è pubblicata in calce l’introduzione e nel file allegato il testo di Morigi; nella sua nona parte è disponibile la prosecuzione a partire da pagina 130. L’introduzione è identica per ognuna delle undici parti e verrà ripetuta solo nelle prime righe a partire dalla seconda parte.

PRESENTAZIONE DI QUARANTA, TRENTA, VENT’ANNI DOPO A LE
RELAZIONI FRA L’ITALIA E IL PORTOGALLO DURANTE IL PERIODO
FASCISTA: NASCITA ESTETICO-EMOTIVA DEL PARADIGMA
OLISTICO-DIALETTICO-ESPRESSIVO-STRATEGICO-CONFLITTUALE DEL
REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO ORIGINANDO DALL’ ETEROTOPIA
POETICA, CULTURALE E POLITICA DEL PORTOGALLO*

*Le relazioni fra l’Italia e il Portogallo durante il periodo fascista ora presentate sono
pubblicate dall’ “Italia e il Mondo” in undici puntate. La puntata che ora viene
pubblicata è la prima e segue immediatamente questa presentazione, e questa prima
puntata (come tutte le altre che seguiranno) è preceduta dall’introduzione alla stessa di
Giuseppe Germinario. Pubblicando l’introduzione originale delle Relazioni fra l’Italia
e il Portogallo durante il periodo fascista come prima puntata e che, come da indice,
non è numerata, la numerazione delle puntate alla fine di questa presentazione non
segue la numerazione ordinale originale in indice delle parti del saggio, che è stata
quindi mantenuta immutata, quando questa presente.

NONA PUNTATA STATO DELLE COSE

TARANTO: LA NUOVA STATALIZZAZIONE DI MARIO DRAGHI PORTERA’ ALLA LIQUIDAZIONE DELL’EX ILVA, di Luigi Longo

TARANTO: LA NUOVA STATALIZZAZIONE DI MARIO DRAGHI PORTERA’ ALLA LIQUIDAZIONE DELL’EX ILVA.

di Luigi Longo

 

 

                                                                  Mala tempora currunt, sed peiora

                                                                  parantur (corrono brutti tempi, ma se

                                                                  ne preparano di peggiori).

                                                                                             Marco Tullio Cicerone

1.Premessa

Ho pubblicato diversi scritti (1) sull’ex Ilva di Taranto (dal 2021 Acciaierie d’Italia) e l’ipotesi avanzata della chiusura dell’ex Ilva perché non compatibile con il polo NATO-USA diventa sempre più solida, a mano a mano che avanza la fase multicentrica che sta avendo un’accelerazione da parte degli USA (potenza in declino relativo) con la guerra in Ucraina (via NATO e Unione Europea) e la provocazione di Taiwan (via Nancy Pelosi, presidente della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti) contro le attuali potenze in ascesa Russia e Cina.

Il presente scritto cerca di riflettere sulla proposta avanzata da Mario Draghi di voler statalizzare l’ex Ilva (2). Perché proporla proprio oggi e per di più dopo averla gestita in malo modo e ceduta alla multinazionale Arcelor Mittal? Mario Draghi che crede nei feroci spiriti animali che regolano la vita della società, attraverso la forma democratica dei liberi mercati (sic), vuole far entrare lo Stato a gestire una impresa strategica per il Paese? Un pessimo marginalista che si converte in un rozzo keinesiano? No, è troppo! Soprattutto sapendo il suo ruolo di agente strategico esecutore incapace di strategie nazionali ne tantomeno di saperle gestire.

Per capire la proposta di Mario Draghi di statalizzare l’ex Ilva bisogna brevemente analizzare a) l’attuale fase multicentrica dove gli USA stanno alzando il livello del conflitto contro la Russia e la Cina; b) la situazione dell’ex Ilva ridotta ad uno stato di sopravvivenza minima, anticamera della sua morte.

Vediamo.

 

2.L’attuale fase multicentrica

 

Il disordine provocato dal conflitto in essere negli USA, tra i diversi centri di poteri per l’egemonia nazionale con relativa proiezione di potenza mondiale, ha indotto Henry Kissinger (uno stratega convinto dell’ordine mondiale a guida USA) – che critica la confusione presente negli agenti strategici conseguenza del conflitto non più componibile e incapace di creare una nuova sintesi di sviluppo, una nuova idea di società da contrapporre a quella multicentrica della Cina e della Russia (ormai sempre più centri del polo asiatico) – ad affermare che << Siamo sull’orlo di una guerra con la Russia e la Cina per questioni che abbiamo in parte creato noi, senza avere alcuna idea di come andrà a finire o di cosa dovrebbe portare […] Non si può dire che li divideremo e li metteremo l’uno contro l’altro (come negli anni di Nixon, mia precisazione LL). Tutto ciò che si può fare è non accelerare le tensioni e creare opzioni, e per questo bisogna avere uno scopo>>.

Per quanto riguarda la questione di Taiwan avverte che << […] La politica portata avanti da entrambe le parti ha prodotto e permesso il progresso di Taiwan in un’entità democratica autonoma e ha preservato la pace tra Cina e Stati Uniti per 50 anni […] Si dovrebbe essere molto cauti, quindi, nel prendere misure che sembrano cambiare la struttura di base >> (3).

La fase multicentrica comporterà per le potenze mondiali una strategia di approntamento, di risistemazione, di riorganizzazione delle strutture militari e civili a livelli territoriali (inteso in sensu lato cioè comprensiva anche dei territori del mare, dell’aria e dello spazio) – sia nazionali sia di macro aree che ricadono nelle rispettive aree di influenza da consolidare o da allargare – che hanno bisogno di un tempo non breve di realizzazione pensiamo, per esempio, ai corridoi europei, alle ristrutturazioni e alle riconversioni delle basi NATO-USA in Europa, alle nuove vie dell’Artico che possono modificare gli attuali equilibri geopolitici tra le potenze, alle nuove vie della Seta.

Per quanto detto ritengo che la fase multicentrica svelerà l’inganno della chiusura dell’ex Ilva di Taranto a vantaggio del polo NATO-USA così come è stato per la chiusura dell’Ilva di Bagnoli. Riporto a tale riguardo, per una comprensione della variabile tempo nelle strategie dei dominanti, quando scrissi nel mio Taranto da polo siderurgico a polo strategico della NATO << […] gli obiettivi erano le esigenze strategiche e territoriali della base NATO della città di Napoli (quartiere generale della NATO, sede di vari comandi di unità di servizi USA, grande centro per le telecomunicazioni del Mediterraneo dell’US Navy che coordina tutta l’attività di comunicazione, comando e controllo del Mediterraneo, eccetera). In quegli anni si svolgevano fatti di importanza mondiale per il nuovo equilibrio che si andava configurando con la caduta del muro di Berlino e con la successiva implosione dell’ex URSS. Si aprivano nuovi scenari per gli USA come possibilità di un unico centro di coordinamento mondiale e un nuovo ruolo della NATO. La chiusura dell’Ilva di Napoli per le esigenze territoriali della base del quartiere generale della NATO non poteva essere detta. Tutto fu velato dietro un fumoso progetto per il risanamento e il rilancio dello sviluppo della città di Napoli che passava attraverso il conflitto tra i settori economici (industriale, edilizio, turistico) : il progetto Fiat-Partecipazioni Statali degli anni ’80, l’idea della NeoNapoli di Paolo Cirino Pomicino, la fase di Tangentopoli, le lotte di blocchi di potere per i finanziamenti della bonifica di Bagnoli, non realizzata ( dal 2003 sono stati presentati ben 6 progetti di bonifica), gli indirizzi per la pianificazione urbanistica ( impianti di eccellenza per il turismo legato al sistema congressuale alberghiero, grande parco pubblico, rete di attività produttive connesse con la ricerca scientifica, eccetera).

L’Ilva di Bagnoli, una impresa in piena salute, fu chiusa e venduta ai cinesi.

Un sindaco, Antonio Bassolino, e un urbanista, Vezio De Lucia (i nomi sono l’espressione di gruppi di potere in riferimento agli agenti sub-dominanti), gestirono la fase di velamento culturale e ideologico della grande trasformazione della città di Napoli […] >>.

Sottolineo la diversa fase storica: nella chiusura dell’Ilva di Bagnoli, fu l’implosione dell’URSS (1991, la fine della storia di Francis Fukuyama) che aprì alla possibilità del coordinamento mondiale degli USA (per nostra fortuna non andò così!); nella ipotesi della chiusura dell’ex Ilva di Taranto è la fase multicentrica (2011) che segna l’inizio del declino degli USA (che sono per un mondo monocentrico) e l’ascesa di potenze come Russia e Cina (che sono per un mondo multicentrico).

La speranza blochiana è quella che il conflitto si fermi nella fase multicentrica, così come è già avvenuto nella storia.

 

3.Lo stato comatoso dell’ex Ilva

 

La narrazione del sistema di potere servile verso gli USA-NATO, da Mario Monti a Mario Draghi, presenta molte contraddizioni sull’ex Ilva. Le più importanti le riassumo per chiarezza:

  • La farsa di consegnare un’impresa strategica nazionale come ex Ilva alla multinazionale straniera dell’acciaio come Arcelor Mittal (il colosso siderurgico franco-indiano maggiore azionista di controllo dell’attuale Acciaierie d’Italia con una quota del 60% di capitale, società composta da Arcelor Mittal e da Invitalia, l’agenzia italiana per l’attrazione degli investimenti controllata interamente dal ministero dell’Economia e delle finanze, che possiede una quota del 40% del capitale) (4).
  • Il lavoro, l’ambiente, la salute, il territorio non possono essere tutelati in un sistema sociale a modo di produzione capitalistico. Sono merci e seguono il ciclo dell’accumulazione del capitale inteso come rapporto sociale storicamente dato, non altro.
  • L’impossibilità della completa bonifica ambientale e territoriale (si pensi, per esempio, alla contaminazione delle acque e al gioco, parzialmente riuscito, dei trasferimenti delle risorse finanziarie dalla bonifica alla decarbonizzazione operata con la norma Milleproroghe e con il DL Energia da Mario Draghi).
  • Il difficile se non impossibile rilancio dell’ex Ilva per la mancanza strutturale degli investimenti e, quindi, una programmata insufficiente produzione di acciaio (5) – che non può scendere ad una capacità di 4 o 4,5 milioni di tonnellate all’anno, pena un drastico ridimensionamento del tutto antieconomico per un impianto di quelle dimensioni – (6) in grado di rendere competitiva l’impresa e risolvere le questioni produttive, ambientali e finanziarie. Lucia Morselli, amministratrice delegata di Acciaieria d’Italia, sta applicando la stessa logica dei Riva che è quella della dismissione programmata (7).
  • Il sequestro degli impianti dell’area a caldo, anche se vige la facoltà d’uso degli impianti (2012, governo Mario Monti), impedisce il rilancio dell’ex Ilva (il dissequestro degli impianti è una delle condizioni fondamentali dell’accordo di investimento siglato il 10 dicembre 2020 tra Arcelor Mittal Holding Srl, Arcelor Mittal Sa e Invitalia e prorogato, a seguito della pronuncia della Corte di Assise di Taranto, al 31/5/2024) (8). Il conflitto tra i sub-decisori (da quelli che sostengono la chiusura a quelli che vogliono il rilancio, da quelli pubblici a quelli privati, da quelli nazionali a quelli europei), in opposizione e sostegno reciproco, è funzionale alla chiusura dell’ex Ilva.
  • La magistratura con il gioco del sequestro dell’area a caldo (nessun serio progetto di rilancio dell’ex Ilva è possibile), con il gioco dello scudo penale (l’Ilva non può essere gestita senza lo scudo penale e questo lo sanno tutti! Anche i magistrati che discutono di grande dottrina giuridica per la incostituzionalità dello scudo penale utilizzato ad hoc) e con il gioco dell’interesse nazionale (tutelando una impresa strategica nazionale dopo averla data alla multinazionale Arcelor Mittal?) entra nella vicenda Ilva per creare complessità strumentale al fine di perseguire l’obiettivo della chiusura.
  • La non compatibilità dell’impianto dell’ex Ilva con la base NATO-USA.
  • La fase multicentrica rafforza la presenza della base NATO-USA necessaria per le strategie statunitensi nel Mediterraneo, nei Balcani, nel Medio Oriente.

 

  1. La chiusura in nome della modernità

 

Lo scenario sopra delineato porta alla constatazione che la statalizzazione proposta da Mario Draghi è la fase finale della strategia per chiudere l’ex Ilva di Taranto, iniziata con la consegna alla multinazionale Arcelor Mittal, a favore del polo NATO-USA.

Rilevo la contraddizione tra l’ideologica affermazione di Mario Draghi << Ilva deve tornare a produrre al massimo delle sue potenzialità e ad essere la più importante fabbrica siderurgica d’Europa >> (con relativo stanziamento nell’ultimo decreto (Aiuti Bis) di un miliardo (che non è dato sapere come sarà impegnato se con aumenti di capitale o con diversi strumenti; preciso che non si fa esplicito riferimento all’Ilva, art.30, comma 1, DL 9/8/2022 n.115) e sottolineando la necessità di una governance pubblica per rilanciare l’Ilva) e la comunicazione del Ministero dello sviluppo economico in cui si sostiene che la norma di sostegno ad Acciaierie d’Italia prevista dal decreto Aiuti bis conterrà misure volte a supportare l’operatività della società: sia per quanto riguarda la liquidità, in modo da rilanciare la produzione siderurgica e tutelare i lavoratori, sia relativamente ai costi di approvvigionamento delle materie prime e dell’energia (9). Cioè normale amministrazione per galleggiare! Siamo al teatro dell’assurdo!

L’Arcelor Mittal, ricordiamolo che è la principale produttrice di acciaio mondiale, ha un ruolo importante per agevolare, dopo averla ridimensionata, la chiusura dell’ex Ilva a vantaggio del polo NATO-USA; oltre ad avere i propri vantaggi con l’eliminazione di una delle più grandi dirette concorrenti europee, con l’utilizzo delle quote di acciaio a proprio favore, con la riorganizzazione produttiva europea, con gli investimenti in India che hanno dirottato le risorse finanziarie destinate all’Ilva.

Mentre Taranto, in maniera segreta e con libidine di servitù, sta diventando un polo Nato-USA e i suoi servili decisori attuali e futuri gestiranno la fase finale della chiusura dell’Ilva (velata dai grandi progetti, irrealizzabili nel breve-medio periodo, come il “Cantiere Taranto” [che è una riproposizione del Contratto Istituzionale di Sviluppo per questa area (CIS)], la decarbonizzazione, il cambiamento climatico, la transizione energetica ed ecologica, la sperimentazione sull’idrogeno, le reti intelligenti, la rigenerazione del territorio, la città green, eccetera) il Mar Grande (nuova base navale) e il Mar Piccolo (Arsenale) saranno messi a disposizione delle strategie USA-NATO.

Se la mia ipotesi ha un minimo di fondamento, credo che l’accelerazione della fase multicentrica toglierà il velo sulla questione dell’ex Ilva di Taranto. E questa volta, al contrario di Vincenzo Bonocore che non sapeva perché l’Ilva di Bagnoli fosse stata chiusa, i tarantini e gli italiani sapranno che l’ex Ilva è stata chiusa per un cambio di paradigma della modernità che passa attraverso le strategie statunitensi.

In conclusione ricordo che se la strategia di gestione della chiusura dell’Ilva ha come scena la sfera economica (oltre a quelle istituzionale, giuridica e ideologica), attraverso il libero mercato e il ruolo di una grande impresa multinazionale, le vere ragioni della chiusura dell’Ilva vanno ricercate nella sfera politica dei pre-dominanti statunitensi i quali hanno bisogno, nel conflitto per l’egemonia mondiale, di quello spazio geograficamente e militarmente strategico di Taranto.

Nelle diverse fasi storiche Taranto ha usufruito di una posizione di rendita geografica

in quelle monocentriche (fasi di sviluppo pacifiche coordinate dalla potenza egemone) e di una posizione di sventura geografica in quelle multicentriche e policentriche (fasi di sviluppo conflittuali coordinate dalle strategie militari e dalle guerre).

La costanza storica è data dalla hegeliana denuncia dei gabinetti stranieri a decidere la sorte della nazione. Non è la marxiana storia che si ripete diventando farsa, ma è la lagrassiana storia che torna in maniera diversa.

 

 

 

 

NOTE

 

  1. I miei scritti sono apparsi sui siti www.conflittiestrategie.it e www.italiaeilmondo.com.
  2. Claudio Zanella, Draghi vuole l’Ilva prima acciaieria d’Europa. Letta parla di decarbonizzazione. Parole compatibili?, www.huffingtonpost.it, 8/6/2022; Marco Dell’Aguzzo, Cosa farà il governo per salvare Acciaierie d’Italia (ex Ilva), www.startmag.it, 5/8/2022. Marco Patucchi, Draghi vuole ricapitalizzare l’ex Ilva per anticipare il ritorno allo Stato, www.repubblica.it, 18/8/2022;
  3. Le frasi di Henry Kissinger sono riportate in una recente intervista al The Wall Street Journal, a cura di Laura Secor, del 12/8/2022, e sono tratte dall’articolo di Caitlin Johnstone, Il bellicismo americano spaventa addirittura Henry Kissinger, www.comedonchisciotte.org, 17/8/2022.
  4. Paolo bricco, Domenico Palmiotti, Ex Ilva, firmato l’accordo Mittal-Invitalia. Lo Stato rientra nell’acciaio. Contrari Regione e Sindaco, www.ilsole24ore.com, 10/12/2020.
  5. Domenico Palmiotti, Ex Ilva, risalita complessa della produzione, www.ilsole24.com, 15/6/2022; Valerio D’alò, Acciaierie d’Italia, tutti i flop, www.startmag.it, 5/5/2022; Comunicato sindacale della Fim Cisl, Acciaierie d’Italia: non accetteremo passivamente due anni di rinvio, www.fim-cisl.it, 13/6/2022.
  6. Acciaierie d’Italia sostiene che i volumi di produzione di 6 milioni di tonnellate, quelli attualmente autorizzati per i vincoli ambientali, sono “non sufficienti a garantire l’equilibrio e la sostenibilità finanziaria degli oneri derivanti dall’attuale struttura dei costi” (grassetto mio, LL), riportato in Domenico Palmiotti, Acciaio: nel piano ex Ilva 2 mld di investimenti e 8 milioni di tonnellate, www.ilsole24ore.com, 1/3/2022.
  7. Così scrissi nel mio Il destino di Taranto e’ segnato dalla sua storia militare e dalla sua geografia << Faccio osservare che l’impresa Ilva dei Riva era sulla strada della dismissione per mancanza di a) manutenzione ordinaria, straordinaria e di investimenti; b) rispetto di qualsiasi norma e legge; c) strategia per migliorare qualsiasi aspetto della produzione (l’introduzione di nuove tecnologie era impossibile su vecchi e usurati macchinari!), della salute, dell’ambiente, della città […]. La gestione dell’impresa Ilva, in un rapporto sociale storicamente determinato, è stata attuata con modalità da plusvalore assoluto e non da plusvalore relativo, […] senza pensare minimamente ad una strategia di ricaduta e di innervamento con lo sviluppo locale del territorio a diverse scale (locale, regionale, nazionale e mondiale). I Riva, ottimi cotonieri lagrassiani, hanno raschiato il fondo di tutte le risorse possibili nella produzione dell’acciaio >>.
  8. Gianmario Leone, Dissequestro Ilva, no della Corte d’Assise, www.corriereditaranto.it, 31/5/2022; Domenico Palmiotti, Ex Ilva, dieci anni fa il sequestro degli impianti a Taranto. Il rilancio incompiuto, www.ilsole24ore.com, 26/7/2022; Redazione CdG, No al dissequestro degli impianti dell’area a caldo dello stabilimento ex Ilva. Per la Corte d’Assise di Taranto: “Salute ancora in pericolo”, www.ilcorrieredelgiorno.it, 1/6/2022.
  9. Annarita Digiorgio, Draghi dà un miliardo all’ex Ilva. Ma il PD sale sulle barricate, www.ilgiornale.it, 5/8/2022; Marco Dell’Aguzzo, Ecco come il governo salverà di nuovo Acciaierie d’Italia (ex Ilva), www.startmag.it, 5/8/2022; Marco Patucchi, Draghi vuole ricapitalizzare l’ex Ilva per anticipare il ritorno allo Stato, www.repubblica.it, 6/8/2022; Domenico Palmiotti, Ex Ilva, dal governo via libera ad aumento di capitale fino a un miliardo, www.ilsole24ore.com, 3/8/2022; Ministero dello sviluppo economico, Acciaio: Riunito al Mise tavolo su ex Ilva, Comunicato, www.mise.gov.it, 3/8/2022.

LO STATO DELLE COSE DELLA GEOPOLITICA, di Massimo Morigi _ 8a di 11 parti

AVVERTENZA

La seguente è la ottava di undici parti di un saggio di Massimo Morigi. Nella prima parte è pubblicata in calce l’introduzione e nel file allegato il testo di Morigi; nella sua ottava parte è disponibile la prosecuzione a partire da pagina 130. L’introduzione è identica per ognuna delle undici parti e verrà ripetuta solo nelle prime righe a partire dalla seconda parte.

PRESENTAZIONE DI QUARANTA, TRENTA, VENT’ANNI DOPO A LE
RELAZIONI FRA L’ITALIA E IL PORTOGALLO DURANTE IL PERIODO
FASCISTA: NASCITA ESTETICO-EMOTIVA DEL PARADIGMA
OLISTICO-DIALETTICO-ESPRESSIVO-STRATEGICO-CONFLITTUALE DEL
REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO ORIGINANDO DALL’ ETEROTOPIA
POETICA, CULTURALE E POLITICA DEL PORTOGALLO*

*Le relazioni fra l’Italia e il Portogallo durante il periodo fascista ora presentate sono
pubblicate dall’ “Italia e il Mondo” in undici puntate. La puntata che ora viene
pubblicata è la prima e segue immediatamente questa presentazione, e questa prima
puntata (come tutte le altre che seguiranno) è preceduta dall’introduzione alla stessa di
Giuseppe Germinario. Pubblicando l’introduzione originale delle Relazioni fra l’Italia
e il Portogallo durante il periodo fascista come prima puntata e che, come da indice,
non è numerata, la numerazione delle puntate alla fine di questa presentazione non
segue la numerazione ordinale originale in indice delle parti del saggio, che è stata
quindi mantenuta immutata, quando questa presente.

OTTAVA PUNTATA STATO DELLE COSE

LO STATO DELLE COSE DELLA GEOPOLITICA, di Massimo Morigi _ 7a di 11 parti

AVVERTENZA

La seguente è la settima di undici parti di un saggio di Massimo Morigi. Nella prima parte è pubblicata in calce l’introduzione e nel file allegato il testo di Morigi; nella sua settima parte è disponibile la prosecuzione a partire da pagina 130. L’introduzione è identica per ognuna delle undici parti e verrà ripetuta solo nelle prime righe a partire dalla seconda parte.

PRESENTAZIONE DI QUARANTA, TRENTA, VENT’ANNI DOPO A LE
RELAZIONI FRA L’ITALIA E IL PORTOGALLO DURANTE IL PERIODO
FASCISTA: NASCITA ESTETICO-EMOTIVA DEL PARADIGMA
OLISTICO-DIALETTICO-ESPRESSIVO-STRATEGICO-CONFLITTUALE DEL
REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO ORIGINANDO DALL’ ETEROTOPIA
POETICA, CULTURALE E POLITICA DEL PORTOGALLO*

*Le relazioni fra l’Italia e il Portogallo durante il periodo fascista ora presentate sono
pubblicate dall’ “Italia e il Mondo” in undici puntate. La puntata che ora viene
pubblicata è la prima e segue immediatamente questa presentazione, e questa prima
puntata (come tutte le altre che seguiranno) è preceduta dall’introduzione alla stessa di
Giuseppe Germinario. Pubblicando l’introduzione originale delle Relazioni fra l’Italia
e il Portogallo durante il periodo fascista come prima puntata e che, come da indice,
non è numerata, la numerazione delle puntate alla fine di questa presentazione non
segue la numerazione ordinale originale in indice delle parti del saggio, che è stata
quindi mantenuta immutata, quando questa presente.

SETTIMA PUNTATA STATO DELLE COS

 

Occasioni mancate della Storia piemontese e dintorni, di Claudio Martinotti Doria

Una possibile rubrica che potremmo intitolare: 

Occasioni mancate della Storia piemontese e dintorni. Peccato che invecchiando scrivo sempre meno, quindi non mi assumo alcun impegno.

–         Quando la Valtellina poteva divenire il 27° Cantone Svizzero (evento che se fosse avvenuto io e mia moglie ora saremmo cittadini svizzeri).

–         Quando il Regno Sabaudo poteva estendersi ai Cantoni Svizzeri di Svitto, Untervaldo, Uri (che sono i cantoni fondatori del primo nucleo della Confederazione Elvetica nel 1291) e Vallese.  Claudio Martinotti Doria

 

 

 

 

Il Cantone dei Grigioni è il più esteso e orientale della Confederazione Svizzera, con una superficie di poco inferiore al nostro Friuli Venezia Giulia ma con soli 200 mila abitanti, nel quale si parlano ben tre lingue, compreso l’italiano, essendoci alcune porzioni di territorio nelle estremità meridionali che costituiscono la Svizzera Italiana insieme al Canton Ticino.

grigionesi si erano riuniti nel 1471 nella Repubblica delle Tre Leghe, che potremmo definire il primo esempio al mondo di federazione, neppure la Svizzera lo era, gli altri Cantoni infatti avevano sottoscritto un blando patto confederale che prevedeva l’unanimità decisionale. La Repubblica delle Tre Leghe non faceva parte della Svizzera ma era solo associata militarmente.  I grigionesi forti di questa federazione costituirono un potente esercito col quale conquistarono nel 1512 la Valtellina con le contee di Bormio e Chiavenna sconfiggendo i francesi che dominavano il Ducato di Milano.

Nel 1518 la Repubblica delle Tre Leghe firmò un trattato di pace con l’imperatore del Sacro Romano Impero Massimiliano I d’Asburgo, che confermò le loro conquiste, assicurò definitivamente i futuri territori ticinesi (che erano 8 baliaggi) alla Svizzera, ma restituì l’Ossola al ducato di Milano. I territori della Valtellina, Bormio e Chiavenna, rimasero svizzeri per circa tre secoli, fino all’invasione napoleonica di fine ‘700.

Un altro momento topico a livello internazionale avvenne con la a Pace di Vestfalia del 1648, che pose fine alla Guerra dei Trent’anni ed è considerata la base o nascita dello Stato sovrano e assolutistico, che prevede il reciproco riconoscimento tra stati sovrani. Uno dei tre trattati che compongono questa Pace riconosceva l’indipendenza della Repubblica delle Tre Leghe e della Svizzera (cui era associata) dal Sacro Romano Impero.

Napoleone inizialmente decise di fare della Valtellina una quarta Lega al pari con le altre tre, ma furono gli stessi Grigioni ad opporsi, seppure a stretta maggioranza. Nel 1797 in seguito a questa decisione Napoleone incorporò la Valtellina nella Repubblica Cisalpina.

Dopo la sconfitta di Napoleone nel 1815, i Grigioni, al comando del commissario Rodolfo Massimiliano Salis-Soglio cercarono di riprendersi la Valtellina scendendo dalla val Bregaglia su Chiavenna, ma furono costretti a ritirarsi perché la valle era già occupata dagli austriaci. I giochi erano già stati fatti al Congresso di Vienna che si concluse nel mese di giugno del 1815, dopo parecchi mesi di trattative.

Al Congresso di Vienna una delegazione valtellinese, poco incline a ritornare sotto il dominio dei Grigioni a causa delle diverse religioni praticate nei reciproci territori, che spesso confliggevano (protestante e cattolica), chiese di entrare nel Regno Lombardo-Veneto o in alternativa di diventare un cantone svizzero; venne accolta la prima soluzione. Questo avvenne anche per responsabilità dei Grigioni e della Confederazione Svizzera in particolare. I Grigioni ovviamente volevano annettere la Valtellina come facente parte del Cantone, e la Confederazione Svizzera era dubbiosa se approvare il desiderio dei Grigioni, che in tal caso sarebbe diventato troppo grande e potente, oppure riconoscere alla Valtellina l’autonomia come Cantone Svizzero.

Prevalsero i diffidenti che non volevano un ulteriore cantone cattolico. Così alla fine tergiversando troppo e con poco zelo diplomatico, al Congresso di Vienna decise l’Austria al loro posto, avendo già posizionato le truppe in Valtellina. Il resto della storia la conosciamo. La Valtellina costituisce l’attuale provincia di Sondrio in Lombardia.

Alcuni decenni successivi agli avvenimenti riportati, il semisconosciuto conte Clemente Solaro della Margarita per la sua assoluta fedeltà monarchica venne nominato nel 1835 dal re Carlo Alberto ministro plenipotenziario alla corte di Vienna, la più importante d’Europa, e poco dopo fu nominato Ministro degli Esteri del Regno Sabaudo (formalmente divenne Regno di Sardegna solo nel 1847 con l’unione del Regno di Sardegna con gli Stati di Terraferma posseduti dai Savoia, voluta da Carlo Alberto con il cosiddetto “Statuto Albertino”, a livello diplomatico era ufficiosamente denominato Regno di Piemonte-Sardegna).

In tale ruolo Solaro fu molto attivo fino a invadere anche le competenze di altri ministeri provocando tensioni nel governo che poi dovevano essere sedate dall’intervento diretto di Carlo Alberto.

Solaro era molto inviso ai liberali perché fervido conservatore e fervente cattolico (dagli storici considerato un reazionario), ostile all’Unità d’Italia (motivo per cui la storiografia ufficiale risorgimentale ne ha decretato la damnatio memoriae). I suoi continui interventi a favore della Chiesa e invadenze di campo in altri ambiti ministeriali finirono per stancare il re Carlo Alberto, che iniziò a prendere le distanze da lui. La sua carriera politica finì con le dimissioni forzate, seppur tra mille onori, verso la fine del 1847, nell’aria si respiravano troppi fermenti libertari si e il suo rigidismo conservatore era fuori luogo, non essendo disposto a concedere nulla alle forze del cambiamento e del rinnovamento.

Solaro in cuor suo propendeva per un’idea che potremmo ora definire “geopolitica” di pragmatismo politico (Realpolitik), che all’epoca nessuno condivideva e tantomeno esponeva pubblicamente e per lungo tempo tenne per sé fino al momento opportuno stabilito dalla Storia.

Accadde nel 1844 quando il cantone svizzero del Vallese, tradizionalmente cattolico, da pochi decenni entrato a far parte della Confederazione Svizzera, venne aggredito dalle ben organizzate ed equipaggiate truppe dei “Corpi Franchi” dei Cantoni protestanti, che costituivano la maggioranza della Confederazione (i Cantoni cattolici erano in netta minoranza essendo solo otto)

Mai la Svizzera fu così vicina all’autodistruzione come entità politica come in quel periodo, cioè dal 1844 al ‘47, anche se onestamente le cause furono più politiche che religiose, in quanto la Dieta Federale Svizzera a guida radicale voleva un governo più centralizzato e voleva eliminare le barriere doganali ancora in vigore tra i Cantoni oltre ai particolarismi e campanilismi, e i cantoni più rurali e conservatori (cattolici) erano contrari perché temevano di perdere i loro piccoli privilegi, tradizioni e autonomie, pertanto si riunirono in una lega detta Sonderbund che negli anni appena successivi si scontrò con l’esercito dei Cantoni Confederati nella cosiddetta Guerra del Sonderbund, che fortunatamente fu poco cruenta pur coinvolgendo circa 180mila soldati quasi equamente distribuiti nei reciproci schieramenti. Si risolse con la resa della lega e la trasformazione della Svizzera in uno Stato Federale a far data dal 1848, anche se è in uso definirla Confederazione Svizzera o Elvetica.

Ma torniamo al 1844 quando Il Vallese aggredito dai protestanti chiese e ottenne rapidamente l’appoggio dei Cantoni cattolici di Schwyz, Uri ed Unterwalden, i quali seppur uniti in questa alleanza contingente, ebbero immani difficoltà a respingere il fortissimo attacco dei protestanti, soprattutto perché erano privi di risorse e non erano in grado di procurarsi armi ed equipaggiamento.

Quando ormai stava prevalendo la disperazione per l’ormai imminente e inevitabile sconfitta, i cantoni cattolici inviarono a Torino due “ambasciatori”: il generale Kalbermatten e il conte Maurizio de Courten per invocare il sostegno del regno di Sardegna, disposti ad assoggettarsi al re Carlo Alberto come sovrano e di conseguenza incorporare nel suo regno i Cantoni cattolici già citati. Preferivano sottomettersi a un monarca piuttosto che accettare le intenzioni ormai manifeste di un governo svizzero centralizzato a guida protestante, radicale e liberale.

I due delegati chiesero pertanto a Carlo Alberto di inviare truppe in loro aiuto oltre a un finanziamento di un milione a fondo perduto per l’acquisto di armi ed equipaggiamento militare.

Il ministro Solaro pensò fosse finalmente giunto il suo momento magico, atteso da tempo, coltivato in quella sua idea “geopolitica” custodita gelosamente, convinto com’era che il destino storico del Piemonte fosse quello di  “Stato cuscinetto” fra l’Europa continentale e la Penisola italiana, ma restando indipendente da tutti ed espandendosi quando le circostanze storiche lo avessero consentito, e questa era una di quelle occasioni da cogliere al volo.

Solaro chiese pertanto a Carlo Alberto di sostenere i cattolici svizzeri aggrediti dai protestanti, accogliendo le richieste dei delegati vallesi.

Come scrisse in seguito nei suoi libri di memorie storiche e politiche, era certo che le truppe dell’esercito piemontese avrebbero prevalso sui protestanti, riuscendo a liberare tutti i Cantoni cattolici dagli aggressori.

Purtroppo Carlo Alberto non la pensava allo stesso modo, aveva ambizioni da megalomane pur nelle sue frequenti esitazioni, voleva addirittura espandersi in Lombardia sfidando l’Austria, e così non colse la ben più facile e accessibile Svizzera cattolica, che gli si offriva su un piatto d’argento, con un minimo tributo di sangue e risorse finanziarie.

Se Carlo Alberto avesse seguito il suggerimento di Solaro Il Regno di Piemonte e Sardegna che già era uno Stato multilingue (se ne parlavano già una dozzina e si sarebbe aggiunto il tedesco), avrebbe raggiunto dimensioni di tutto rispetto, collocandosi in una posizione strategica invidiabile, tramite la quale ottenere benefici da un’accorta politica diplomatica.

Per i cattolici svizzeri l’ignavia di Carlo Alberto poteva avere conseguenze drammatiche se non si fosse poi pervenuti nel 1847 al compromesso sopracitato, di fronte al rischio di una cruenta ed estesa guerra civile si è preferito accettare uno stato federale, cui tutti i Cantoni aderirono, anche i più riottosi cattolici, ognuno cedendo parte delle proprie pretese.

Pur non essendo una cima d’intelligenza Solaro era comunque un fedele, onesto e capace servitore dello Stato e nelle sue pubblicazioni redatte da “pensionato”, tra cui le  principali furono il “Memorandum storico politico” del 1854 e lo “Sguardo politico sulla convenzione italo-franca del 15 settembre 1864”, il conte rivelò la sua contrarietà all’espansione piemontese verso la Pianura Padana, che lo mise in contrasto con Carlo Alberto inducendolo alle dimissioni.

Nelle sue opere riferì che il suo desiderio di espansione dello Stato Sabaudo verso le alpi svizzere non era frutto di espedienti tattici o velleità estemporanee ma di strategie meditate e lucide, che la Storia gli avrebbe consentito di realizzare se ci fosse stato un sovrano diverso dall’instabile Carlo Alberto.

Solaro riteneva che il Piemonte per storia, tradizione, mentalità e lingua, fosse una Nazione con una sua identità ben distinta, addirittura estranea dal resto della penisola, e non avrebbe dovuto immischiarsi nell’Unità d’Italia, respingendo con tutte le forze quella che definiva “fantastica idea di Risorgimento nazionale, falsa in teoria, funesta in pratica”.

La Storia gli dette ragione quando i piemontesi dalle popolazioni dell’ex Regno delle Due Sicilie furono considerati conquistatori e colonizzatori e furono combattuti a lungo dai cosiddetti briganti, che non erano quattro gatti come si crede comunemente ma oltre 100mila armati che ricorrevano alle tecniche di guerriglia per contrastare l’Esercito Piemontese e che provocò decine di migliaia di morti violente con feroci repressioni ed esecuzioni, oltre a una prolungata miseria nella popolazione.

Solaro, profeticamente aveva previsto nelle sue memorie che il Piemonte unendosi con il resto della Penisola, sarebbe diventato solo una marginale “provincia d’un Regno” dominato da non piemontesi.

Il costo per i piemontesi dell’Unità d’Italia iniziò a palesarsi nell’infame massacro di Torino del settembre 1864 quando decine di cittadini inermi che protestavano per il trasferimento della capitale a Firenze furono uccisi o feriti gravemente dalle fucilate di allievi carabinieri cui si unirono elementi di fanteria, che qualcuno avrà pur comandato di agire.

Si trattò di una vera e propria “strage di Stato”, cui ne seguirono molte altre e sulle quali non si è mai ottenuta giustizia né tantomeno verità.

Il conte Solaro morì a Torino il 12 novembre 1869, a settantasette anni, nell’indifferenza pressoché generale, proseguita finora, basti vedere il penoso contenuto della paginetta a lui dedicata su Wikipedia, solo l’Enciclopedia Treccani gli ha dedicato una voce abbastanza dignitosa.

 

 

CONCLUSIONI

Spesso la Storia è determinata da singoli personaggi, non necesariamente dotati di particolare potere, che però si trovano a dover fare delle scelte, perché demandati, delegati o perché le circostanze della vita li hanno posti in quel ruolo, che può essere limitato e temporaneo. Ma le ripercussioni delle loro scelte spesso sono gravi e niente affatto temporanee, determinando i destini di intere comunità o nazioni.

Il primo evento mancato, la Valtellina come 27° Cantone Svizzero non è attribuibile a singoli personaggi, ma a intere comunità cantonali (che in questo caso con un banale gioco di parole potremmo dire abbiano preso una “cantonata”). All’epoca di questi eventi, prime decadi dell’800, la Svizzera era quanto più si avvicinasse ad una democrazia, addrittura “partecipata”, con fortissime autonomie locali, e per prendere decisioni condivise ci voleva tempo, e a volte il contesto storico non te ne concedeva a sufficienza, e allora altre entitò ben più forti e potenti la prendevano al posto tuo, soprattutto trattandosi di entità autoritarie e quindi molto più rapide e decisioniste, come in questo caso è stato l’Impero Austriaco.

Nel secondo evento mancato la responsabilità storica è indubbiamente attribuibile al re Carlo Alberto, che aveva altre ambizioni (eccessive, poco realistiche) e non era minimamente interessato a espandersi verso la Svizzera, anche se il costo sarebbe stato modesto rispetto a quello che avrebbero pagato i piemontesi per realizzare la sua ambizione e quella dei suoi successori, per realizzare la quale era inevitabile appoggiarsi ad una potenza straniera (in questo caso la Francia) che ne avrebbe approfittato per indebolire il regno, nel nostro caso il regno Piemonte-Sardegna dovette rinunciare all’intera Savoia e alla contea di Nizza.

Se il re Carlo Alberto avesse ascoltato il conte Solaro, le sorti del regno sarebbero state conpletamente diverse e a mio avviso molto più prospere e pacifiche, pur entrando nella dimensione dell’ucronia, mi sento di prevedere che molto probabilmente avremmo seguito quella che sarebbe dientata la politica estera svizzera, basata sulla neutralità (in quanto stato cuscinetto, come era nella concezione geopolitica di Solaro), sulla diplomazia e sulla pace, pur essendo tutt’altro che inerme dal punto di vista militare, Ricordiamo infatti che i migliori mercenari ingaggiati dai vari regnanti europei erano svizzeri.

Tra gli aspetti che potremmo definire “passivi e indiretti” di questa scelta di Carlo Alberto, influisce certamente il fatto che Solaro non aveva una personalità carismatica e autorevole e soprattutto l’intelligenza del conte Camillo Benso di Cavour, altrimenti il re lo avrebbe ascoltato e probabilmente seguito nel suo percorso strategico e prospettico, ed ora vivremmo in uno stato piemontese-svizzero, con una qualità della vita invidiabile e una democrazia partecipata molto evoluta rispetto agli attuali regimi oligarcici gattopardeschi che si spacciano per democratici perché vi consentono di mettere una x su una scheda quando fa comodo a loro.

 

Cav. Dottor Claudio Martinotti Doria, Via Roma 126, 15039 Ozzano Monferrato (AL), Unione delle Cinque Terre del Monferrato,  Italy,

Email: claudio@gc-colibri.com  – Blog: www.cavalieredimonferrato.it – http://www.casalenews.it/patri-259-montisferrati-storie-aleramiche-e-dintorni

Elezioni in Italia! Uno sterile strepitìo_con Augusto Sinagra

Con il degrado progressivo del regime le elezioni politiche stanno assumendo sempre più un carattere grottesco. Una conflittualità sterile tra centri politici tanto accesa quanto incapace di centrare e collocare nel posto giusto i temi e i problemi che dicono di voler affrontare. Per decenni le nostre classi dirigenti e il ceto politico hanno potuto eludere i problemi di fondo, salvo concedersi con qualche figura di spicco e in qualche contingenza favorevole qualche scorribanda trasgressiva. Oggi il tema della collocazione internazionale dell’Italia in condizioni di aperta conflittualità, la visione manichea e catastrofista della crisi ambientale e della conversione energetica, la gestione approssimativa e draconiana nel contempo dell’emergenza pandemica hanno accelerato vistosamente e violentemente il processo di trasformazione delle relazioni internazionali e delle formazioni sociali. La campagna elettorale non tratterà questi argomenti e non includerà le proposte specifiche in questo contesto. Il motivo è che nessuna forza politica intende mettere in discussione i fondamenti di questa postura e le poche voci contrarie raggiungono livelli di inadeguatezza pari solo al volontarismo sterile di cui sono vittima. Ci attendono un periodo di conflittualità verbosa e sterile cui seguirà l’ennesima riproposizione di ammucchiate emergenziali sempre più eterodirette. Una iattura che il paese sta pagando a caro prezzo. Il saldo definitivo del conto è ancora lungi dall’essere compiuto. Intanto, nell’interregno di questa fine anno disporremo di un governo dalle mani libere e dalla testa telecomandata ad agire nella tempesta balcanica incipiente. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v1edznj-lo-strepito-delle-elezioni-in-italia-con-augusto-sinagra.html

1 9 10 11 12 13 39