Golpe e colpi di mano, di Antonio de Martini

Il tentativo di golpe in Germania somiglia come una goccia d’acqua alla favola del “ golpe Borghese” organizzato dal capo della Polizia di allora, Vicari ai primi del 1971, per rendere plausibile la “ minaccia” fascista” e far accettare l’entrata del PCI nell’area della maggioranza prima e del governo poi.
Anche nel caso del “ Golpe Borghese” – a seguito della confessione registrata di tale Remo Orlandini consegnata al capitano dei CC , Antonio La Bruna, prima di scomparire nel nulla-  si arrestarono “ ex ufficiali” ( i tenenti colonnelli Rosa e De Rosa, avanzi della Repubblica sociale di trenta anni prima), c’era un parà (il solito Saccucci) e, ovviamente, nessun esponente delle Forze Armate.
In Italia aggiunsero il gustoso dettaglio dell’occupazione del ministero dell’interno e del “ prelevamento” di quattro mitra ( MAB) dall’armeria centrale del Viminale in guisa di souvenir da parte di “ un nostalgico”.
Si trattava di quattro mitra Beretta catturati dagli studenti Pacciardiani sulle “campagnole” abbandonate dai poliziotti in fuga durante lo scontro di Valle Giulia nel 1968 e “ trasferiti “in un primo tempo all’armeria centrale del Viminale per nascondere l’ammanco, la diserzione e l’0abbandono del materiale avuto in consegna.
Un ingegnoso soggetto, suggerì di aggiungere il dettaglio per poter scaricare l’imbarazzante mancanza che prima o poi avrebbe potuto nuocere al Capo.
La Marina, sottrasse la sua medaglia d’oro ( Borghese) al ludibrio, trasferendolo in sottomarino, sulle coste spagnole in un giorno in cui il comandante, il vice e il capo di SM della base di La Spezia, risultarono contemporaneamente assenti per licenza.
Anche in questa vicenda tedesca non c’é ombra di Forze armate coinvolte. Non c’é ombra di colpo di mano. Nulla.
In Italia si coinvolse la Forestale comandata dal colonnello Berti ( la battuta dell’epoca che affondò l’accusa era “ doveva occupare la RAi , perché é lì che c’é il sottobosco”) e il tenente colonnello Amos Spiazzi , un bello spirito privo di truppe che nei salotti si presentava :” Amos Spiazzi, extraparlamentare di destra”.

Se non si verifica un colpo di stato, impossibile che si realizzi la fattispecie del reato.
La magistratura sgonfiò il palloncino, ma L’Espresso ed altri fogli di estrema sinistra diedero la cosa per assodata e la manovra di avvicinamento del PCI  al potere proseguì, tramite Rodano e compagni,  come se il pericolo di un golpe fascista esistesse davvero.

Il fatto che questa grottesca sceneggiatasi ripeta pedissequamente in Germania mezzo secolo dopo, mi legittima il sospetto che la matrice  e la motivazione siano le stesse: cooptare l’estrema sinistra nell’area di governo.
E quel che l’Italia del 1970 ha in comune con la Germania2022, é la NATO. Non altro.

Il manifesto per gli affari esteri di Olaf Scholz conferma le ambizioni egemoniche della Germania, di ANDREW KORYBKO

Il leader tedesco ha appena pubblicato quello che può essere interpretato come il suo manifesto in cui spiega perché il suo Paese debba presumibilmente ripristinare il suo precedente status egemonico, ed è stato pubblicato nientemeno che dalla stessa rivista del Council on Foreign Affairs, considerato tra le piattaforme politiche più influenti nel Golden Billion dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti. Il fatto stesso che abbiano pubblicato il suo manifesto può essere considerato come il tacito sostegno di questo blocco della Nuova Guerra Fredda alle ambizioni egemoniche della Germania.

La Polonia non è così paranoica come qualcuno ha ipotizzato

Il cardinale grigio polacco Jaroslaw Kaczynski non ha sbagliato a mettere in guardia di recente contro il dominio tedesco dell’Europa in commenti che hanno fatto eco a quelli di un anno fa con i quali- accusava quel Paese di voler costruire un “ Quarto Reich ”. Il suo paese in precedenza aveva esaltato la minaccia militare del suo vicino all’Europa centrale in modo che Varsavia consolidasse la sua influenza regionale, ma il manifesto del cancelliere Olaf Scholz per la rivista Foreign Affairs dimostra che le ambizioni egemoniche di Berlino esistono davvero.

La nuova cultura strategica della Germania

Intitolato ” The Global Zeitenwende: How to Avoid a New Cold War in a Multipolar Era “, il leader tedesco ha articolato la gamma di mezzi che il leader de facto dell’UE è pronto a impiegare per rafforzare in modo completo la sua influenza in tutto il blocco sulla base di presunte reazioni al conflitto ucraino . Il primo terzo del pezzo è solo una spiegazione di come tutto sia arrivato a questo punto dal punto di vista del suo governo, ma poi passa a parlare di politiche tangibili.

Nelle parole di Scholz, “il nuovo ruolo della Germania richiederà una nuova cultura strategica, e la strategia di sicurezza nazionale che il mio governo adotterà tra qualche mese rifletterà questo fatto”, che inquadra tutto ciò che segue nel suo articolo. La Russia è l’obiettivo principale di questa strategia, come dimostrato dal Cancelliere dichiarando che “la domanda guida sarà quali minacce noi e i nostri alleati dobbiamo affrontare in Europa, più immediatamente dalla Russia”.

Si è poi dato una pacca sulla spalla per aver promosso le riforme costituzionali all’inizio dell’anno per facilitare i piani del suo governo di esporre circa 100 miliardi di dollari per modernizzare la Bundeswehr, che ha accuratamente descritto come “segnare [ing] il più netto cambiamento nella politica di sicurezza tedesca dai tempi del costituzione della Bundeswehr nel 1955”. Il due percento del PIL sarà anche investito nella difesa in conformità con le precedenti richieste degli Stati Uniti ai suoi partner della NATO.

“Diplomazia militare”

Complementare al rafforzamento militare senza precedenti della Germania dopo la seconda guerra mondiale è la politica di Scholz di revocare il suo precedente rifiuto di esportare armi nelle zone di conflitto attive per equipaggiare Kiev. Non solo, ma il suo paese addestrerà anche un’intera brigata di truppe ucraine sul suo territorio come parte di una nuova missione dell’UE insieme alla sostituzione delle armi dell’era sovietica che i paesi dell’ex blocco di Varsavia danno a Kiev con quelle tedesche moderne.

Al di là dei suoi confini, Scholz ha affermato che “la Germania ha notevolmente aumentato la sua presenza sul fianco orientale della NATO, rafforzando il gruppo di battaglia della NATO a guida tedesca in Lituania e designando una brigata per garantire la sicurezza di quel paese. La Germania sta anche contribuendo con truppe al gruppo di battaglia della NATO in Slovacchia, e l’aviazione tedesca sta aiutando a monitorare e proteggere lo spazio aereo in Estonia e Polonia. Nel frattempo, la marina tedesca ha partecipato alle attività di deterrenza e difesa della NATO nel Mar Baltico”.

Di particolare preoccupazione è stata la riaffermazione del cancelliere che “la Germania continuerà a mantenere il suo impegno nei confronti degli accordi di condivisione nucleare della NATO, anche acquistando aerei da combattimento F-35 a doppia capacità”, che è destinato a scuotere la Russia. Abbastanza chiaramente, Scholz intende che la Germania competa con la Polonia come principale rappresentante militare degli Stati Uniti nell’UE, a tal fine spera che le capacità militari più impressionanti di Berlino e l’attuale partnership di condivisione nucleare con Washington le diano un vantaggio su Varsavia.

Espansione istituzionale

Questa osservazione non dovrebbe essere interpretata come un intento di rivedere l’esito geopolitico della seconda guerra mondiale come alcuni in Polonia hanno ipotizzato rispetto a quelli che chiamano i “territori recuperati” del loro paese che ora formano il suo confine con la Germania. Piuttosto, significa solo che la Germania sta diventando più fiduciosa nel mostrare la sua potenza militare nel senso di migliorare in modo completo le capacità difensive dei suoi partner su richiesta delle loro leadership, anche se è vero che questo rischia di renderli vassalli.

Molto probabilmente, Scholz cercherà di replicare questa stessa identica strategia nei Balcani occidentali favorendo l’adesione definitiva di quegli aspiranti stati all’UE de facto guidata dalla Germania dopo aver completato il cosiddetto Processo di Berlino, come ha parlato di aver rilanciato nel suo articolo . Nonostante abbia riconosciuto le difficoltà di ammettere nuovi membri, il Cancelliere ha parlato della promessa che questo risultato avrebbe per rafforzare il potenziale del blocco di stabilire nuovi standard globali per il commercio e l’ambiente, et al.

Questa ambiziosa agenda sarà portata avanti in piena collaborazione con la Francia, secondo Scholz, che ha descritto come “condivisa [ing] la stessa visione di un’UE forte e sovrana”. Le politiche migratorie e fiscali devono essere riformate, ha affermato, al fine di impedire a forze esterne come la Russia di esacerbare presumibilmente le divisioni all’interno del blocco. La sua soluzione proposta per razionalizzare i progressi su queste questioni delicate è “eliminare [e] la capacità dei singoli paesi di porre il veto a determinate misure”.

Influenza radicata

Non c’è altro modo per descrivere la suddetta riforma se non come un gioco di potere politico senza precedenti, esattamente del tipo da cui l’ Ungheria e la Polonia avevano precedentemente messo in guardia. In caso di successo, si tradurrà nella completa sottomissione di tutti i membri dell’UE al duopolio franco-tedesco, eliminando così quelle vestigia di sovranità che ancora conservano. In altre parole, questo asse della Grande Potenza diventerà l’unico che conta in Europa.

Sarà probabilmente impossibile per gli stati più piccoli ripristinare i propri diritti perduti nel caso in cui la Germania assuma il controllo diretto sui propri eserciti in futuro, come la proposta di Scholz per la standardizzazione dei sistemi d’arma dell’UE suggerisce fortemente che accadrà inevitabilmente. L’espansione della presenza militare dell’egemone in ascesa lungo la periferia orientale del blocco, di cui ha parlato così bene all’inizio dell’articolo, potrebbe inevitabilmente portare a ciò per rafforzare l’influenza politica di Berlino.

Simili cosiddetti “complotti di colpo di stato” come quello che le sue autorità affermano di aver sventato mercoledì potrebbero diventare il pretesto con cui la Germania assume il controllo diretto sulle forze armate dei paesi dell’Europa centrale sulla base del presunto aiuto a garantire in modo sostenibile “legge e ordine”. . Visto che quelle forze avrebbero potuto a quel punto standardizzare i loro sistemi d’arma, sarebbero perfettamente interoperabili con quelli della Germania, soprattutto se a quel punto hanno già effettuato più esercitazioni congiunte.

La vera connessione con la Cina

Il resto dell’articolo di Scholz parlava un po’ dell’imminente approccio della Germania alla Cina, ma quei piani non sono così direttamente rilevanti per le ambizioni egemoniche del suo paese come quelli che è pronta ad attuare contro la Russia, ecco perché rimarranno al di fuori dell’ambito del presente analisi. Esaminando l’intuizione che è stata condivisa finora, è chiaro che ” il complotto secolare della Germania per catturare il controllo dell’Europa è quasi completo “, con ogni giorno che passa riducendo la probabilità di controbilanciare questo scenario.

Il suo leader ha appena pubblicato quello che può essere interpretato come il suo manifesto che spiega perché la Germania debba presumibilmente ripristinare il suo precedente status egemonico, ed è stato pubblicato nientemeno che dalla stessa rivista gestita dal Council on Foreign Affairs, che è considerato tra le più influenti piattaforme politiche nel Golden Billion dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti . Il fatto stesso che abbiano pubblicato il suo manifesto può essere considerato come il tacito sostegno di questo blocco della Nuova Guerra Fredda alle ambizioni egemoniche della Germania.

La conclusione è che l’America aspira a ripristinare la sua egemonia unipolare in declino facilitando la rinascita egemonica della Germania al fine di fare affidamento su quel paese come suo principale delegato ” Lead From Behind ” (LFB) per la gestione degli sforzi di contenimento anti-russi del Golden Billion in Europa. Questa politica mira a consentire agli Stati Uniti di concentrarsi maggiormente sull’espansione della NATO nell’Asia-Pacifico in modo da portare avanti i propri sforzi di contenimento anti-cinesi nell’altra metà dell’Eurasia.

Questo sviluppo incipiente ha lo scopo di rendere più probabile che la Repubblica popolare accetti i termini dell’America per la serie di compromessi reciproci tra di loro per stabilire un equilibrio di influenza che alla fine diventerà la “nuova normalità”. È importante che queste due superpotenze facciano progressi tangibili sulla Nuova Distensione in vista del viaggio programmato del Segretario di Stato Blinken a Pechino all’inizio del prossimo anno, ergo la tempistica dietro la pubblicazione del manifesto di Scholz da parte di Foreign Affairs.

Pensieri conclusivi

Il grande contesto strategico all’interno del quale ha articolato le ambizioni egemoniche della Germania è quindi quello di facilitare il graduale riorientamento del suo mecenate americano dall’Eurasia occidentale verso la sua metà orientale mentre il suo paese assume il ruolo di principale procuratore LFB degli Stati Uniti in Europa per contenere la Russia. Questa sequenza di eventi per migliorare il contenimento della Cina da parte dell’Occidente è tacitamente approvata dall’élite del Golden Billion, come evidenziato da Foreign Affairs che pubblica il suo articolo correlato, confermando così che il piano degli Stati Uniti è in atto.

https://korybko.substack.com/p/olaf-scholzs-manifesto-for-foreign?utm_source=post-email-title&publication_id=835783&post_id=89191551&isFreemail=true&utm_medium=email

Politica estera tedesca in vendita _ Di  Ryan Bridge

Attendere sulla riva del fiume. Chi? Il cadavere o la pecorella smarrita? O la carcassa della pecorella?. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Politica estera tedesca in vendita

Berlino sta cercando di assicurarsi le migliori offerte per se stessa in un mondo sempre più biforcato.

Il mondo si sta dividendo in due campi rivali, uno guidato dagli Stati Uniti e l’altro dalla Cina, ma sembra che nessuno lo abbia detto ai tedeschi. Questa settimana, il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha firmato l’acquisto da parte del colosso navale cinese COSCO di una partecipazione del 24,9% in un terminal portuale di Amburgo , annullando nel processo i suoi partner della coalizione e sei ministeri. Indignati, i ministeri controllati dai partner della coalizione di Scholz avrebbero apparentemente fatto trapelare i dettagli di una lettera formale in cui esponevano le loro obiezioni, affermando che l’investimento “espande in modo sproporzionato l’influenza strategica della Cina sulle infrastrutture di trasporto tedesche ed europee, nonché la dipendenza della Germania dalla Cina”.

Ma non è tutto. Dal 3 al 4 novembre Scholz guiderà una delegazione d’affari tedesca in Cina. Lo accompagneranno il presidente della Federazione delle industrie tedesche e gli amministratori delegati di Siemens e Volkswagen: Mercedes, Deutsche Bank e SAP hanno rifiutato di aderire. La visita solleva diversi interrogativi. Perché Berlino aveva fretta di approvare l’accordo sul porto di Amburgo prima del viaggio? Perché andare ora, quando l’unità occidentale contro la Russia e i suoi sostenitori (inclusa la Cina) è così critica, e quando Scholz vedrà comunque il presidente cinese Xi Jinping al vertice del G-20 a Bali alla fine di novembre? Perché andare da soli, e non come parte di un fronte comune, almeno con il presidente francese Emmanuel Macron? (Ricordate che quando ha invitato Xi a visitare Parigi nel 2019, Macron ha invitato l’allora cancelliera Angela Merkel e il presidente della commissione a partecipare, cosa che hanno fatto.) E perché portare dirigenti aziendali, quando la Germania è già fortemente dipendente dalla Cina,

Le esportazioni sono la linfa vitale dell’economia tedesca e le sue grandi aziende manifatturiere e chimiche hanno una forte influenza sulla politica tedesca. Inoltre non sono timidi nell’usarlo. Ad esempio, BASF ha affermato questa settimana che ridurrà “permanentemente” le sue operazioni europee a causa della debole crescita del mercato chimico europeo, dei picchi nei prezzi regionali del gas naturale e dell’elettricità e, in modo indiscutibile, dell’incertezza normativa indotta dall’UE. L’industria tedesca si è lamentata tutto l’anno che la perdita di gas russo a buon mercato rappresenta una minaccia esistenziale per le sue operazioni e, a sentire i capi dell’industria, per la nazione tedesca. Nonostante ciò, l’accordo sul porto di Amburgo e il viaggio d’affari a Pechino sono in definitiva decisioni politiche, che Scholz non ha dovuto prendere. Non c’è fretta: COSCO ha detto agli investitori che stava riconsiderando l’accordo dopo che Berlino ha ridotto la sua quota nel terminal portuale dal 35%, il che gli avrebbe dato una minoranza di blocco, per tranquillizzare i critici all’interno del gabinetto. E pubblicamente, almeno, non ci sono affari urgenti tra Berlino e Pechino che non possano aspettare che Scholz e Xi siano entrambi a Bali 12 giorni dopo. L’urgenza e il campanilismo si autoimpongono.

La dipendenza della Germania dalle esportazioni |  1970-2021
(clicca per ingrandire)

È anche inconcepibile che Scholz non sia a conoscenza degli attriti che questi sviluppi causeranno con gli alleati della Germania negli Stati Uniti, in Europa e in Asia. Ciò lascia due possibilità: in primo luogo, che Berlino stia tracciando una rotta non allineata nella nuova guerra fredda tra Stati Uniti e Cina. O in secondo luogo, che sta tentando di assicurarsi il miglior rapporto possibile con la Cina ora, mentre c’è ancora tempo, al fine di bloccare opportunità economiche e rafforzare la sua posizione futura rispetto ai suoi partner.

Berlino ha un po’ di spazio di manovra. Un interessante effetto collaterale del pantano russo in Ucraina è che nel tempo diminuisce un elemento chiave dell’influenza degli Stati Uniti sulla Germania. La sicurezza tedesca ed europea è garantita dalla NATO, vale a dire dall’esercito americano. Ma l’alleanza è stata alla ricerca di una giustificazione per se stessa per gran parte del 21° secolo. L’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Russia ha scioccato la NATO per la sua obsolescenza, ma la Russia sembra ogni giorno meno minacciosa. Le forze russe stanno cercando disperatamente di mantenere il misero territorio ucraino che hanno conquistato in otto mesi di combattimenti fino all’arrivo di rinforzi scarsamente addestrati. Lungi dal minacciare in modo credibile la NATO con la terza guerra mondiale, La strategia di Mosca sembra essere quella di sopravvivere fino a quando le società occidentali non perderanno interesse per l’Ucraina o non saranno sufficientemente allarmate per le minacce nucleari russe per fare marcia indietro. Tra cinque o 10 anni, è dubbio che la Russia rappresenterà una minaccia maggiore per la Germania di quanto non rappresenti oggi o di quanto si credeva all’inizio dell’anno. La pressione interna negli Stati Uniti per ridurre i propri impegni in Europa non farà che aumentare, ed è concepibile un cambiamento improvviso sotto un’amministrazione repubblicana. Ma questa minaccia non avrà la stessa risonanza immediata a Berlino come quando l’allora presidente Donald Trump ce l’ha fatta nel 2020. È sempre meno chiaro da cosa le decine di migliaia di truppe statunitensi di stanza in Germania stiano proteggendo i tedeschi. è dubbio che la Russia rappresenterà per la Germania una minaccia maggiore di quella che rappresenta oggi o di quella che si credeva all’inizio dell’anno. La pressione interna negli Stati Uniti per ridurre i propri impegni in Europa non farà che aumentare, ed è concepibile un cambiamento improvviso sotto un’amministrazione repubblicana. Ma questa minaccia non avrà la stessa risonanza immediata a Berlino come quando l’allora presidente Donald Trump ce l’ha fatta nel 2020. È sempre meno chiaro da cosa le decine di migliaia di truppe statunitensi di stanza in Germania stiano proteggendo i tedeschi. è dubbio che la Russia rappresenterà per la Germania una minaccia maggiore di quella che rappresenta oggi o di quella che si credeva all’inizio dell’anno. La pressione interna negli Stati Uniti per ridurre i propri impegni in Europa non farà che aumentare, ed è concepibile un cambiamento improvviso sotto un’amministrazione repubblicana. Ma questa minaccia non avrà la stessa risonanza immediata a Berlino come quando l’allora presidente Donald Trump ce l’ha fatta nel 2020. È sempre meno chiaro da cosa le decine di migliaia di truppe statunitensi di stanza in Germania stiano proteggendo i tedeschi.

Allo stesso tempo, mentre Washington cerca di superare in astuzia Pechino, sta diventando più protezionista. I tedeschi sono furiosi per le disposizioni “Compra americani” nella legge sulla riduzione dell’inflazione del presidente Joe Biden, che favoriscono i veicoli elettrici di produzione nazionale. Può avere senso per la Casa Bianca difendere la propria base industriale per competere con la Cina, ma le case automobilistiche tedesche non capiscono perché dovrebbero essere escluse anche loro. Ciò è tanto più allarmante per la Germania perché, lungi dall’abbandonare il suo modello di crescita trainata dalle esportazioni, Berlino vuole raddoppiare, come dimostrano le sue considerazioni sulla riapertura dei colloqui di libero scambio con Washington .

Il problema della Germania è che il suo modello economico è così dipendente dal commercio che la sua politica estera è effettivamente in vendita, ma può solo prendere seriamente in considerazione un’offerta: quella americana. La NATO potrebbe non essere necessaria per la sicurezza immediata della Germania, ma fornisce comunque l’ordine su cui la Germania ha costruito la sua intera grande strategia. Il fulcro della forza economica della Germania è il suo dominio sul mercato europeo, che viene a costo di dare il veto ad altri 26 governi su aspetti della sua definizione delle politiche. La Russia potrebbe non spaventare la Germania ora o nei prossimi anni, ma i paesi tra di loro non si sentiranno allo stesso modo. Costretti a scegliere tra, diciamo, un controverso accordo di investimento UE-Cina o garanzie di sicurezza americane contro Mosca, gli europei dell’est sceglieranno gli americani. Il governo di Scholz non ha dato all’est alcuna ragione per ritenere che Berlino sia in grado o sia disposta a sostituire le garanzie statunitensi. Berlino sta cercando di indebolire il veto dei suoi partner con aproposta di procedura accelerata di approvazione del commercio , che metterebbe da parte i parlamenti nazionali e interromperebbe gli accordi commerciali in modo che le parti che contano di più per la Germania possano essere votate separatamente (e solo dai leader nazionali). Tuttavia, ciò non eliminerebbe la leva statunitense. Forse ancora più importante, nel frattempo, la leva energetica degli Stati Uniti sull’Europa è destinata a salire, poiché il Continente aspira il gas naturale liquefatto degli Stati Uniti al posto del gas russo.

L’economia tedesca farà fatica a far fronte a un mondo diviso in blocchi rivali. Potrebbe ancora negare il disaccoppiamento tra Stati Uniti e Cina. Più probabilmente, sta cercando di sfruttare al meglio il tempo e di sfruttare al meglio le sue possibilità per ottenere il miglior affare possibile per se stesso. Con un po’ di fortuna, la Cina gli farà concessioni nel disperato tentativo di rompere il fronte USA-UE. I flirt di Scholz con Xi potrebbero spingere gli Stati Uniti a prendere in considerazione le preoccupazioni dei suoi alleati quando faranno mosse future per danneggiare la Cina o aiutare se stessa. Ma alla fine, la Germania non ha nessun altro posto dove andare e non ha la volontà di provare a creare una terza via.

https://geopoliticalfutures.com/german-foreign-policy-for-sale/?tpa=MGY1NGViMzVlODNiMjViMDllMTlkZjE2NjgwOTQ2NTliYThmNjc&utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_term=https://geopoliticalfutures.com/german-foreign-policy-for-sale/?tpa=MGY1NGViMzVlODNiMjViMDllMTlkZjE2NjgwOTQ2NTliYThmNjc&utm_content&utm_campaign=PAID%20-%20Everything%20as%20it%27s%20published

Perché la Polonia dovrebbe respingere la Germania?_di Ryan Bridge

“Dipendevamo dalla Russia, ma oggi stiamo tagliando questa dipendenza”, ha detto la scorsa settimana il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki durante l’inaugurazione di un nuovo canale verso il Mar Baltico. Il contributo del canale a questo obiettivo è dubbio, ma consentirà alle navi di raggiungere o partire dal porto polacco di Elblag senza dover attraversare le acque territoriali russe intorno a Kaliningrad. Più interessante è stata la successiva dichiarazione di Morawiecki: “Stiamo riducendo la nostra dipendenza sia dalla Russia che dalla Germania”. Questo accade solo poche settimane dopo che la Polonia ha chiesto alla Germania 1,3 trilioni di dollari di riparazioni della seconda guerra mondiale.

Le ragioni di Varsavia per prendere le distanze da Mosca – una potenza ostile con una comprovata storia di invasione dei suoi vicini – sono chiare, ma le offese di Berlino sono meno evidenti. La Germania è il paese più forte dell’Europa centrale, con una capacità latente di dominare la maggior parte del continente. La strategia delle potenze occidentali nei confronti della Germania dalla seconda guerra mondiale è stata quella di soffocarla con l’amicizia, integrando i suoi militari in un’alleanza dominata dagli Stati Uniti con i suoi vicini e, a cominciare dalla Comunità europea del carbone e dell’acciaio, dando alla sua economia le chiavi di un mercato di oltre 450 milioni di consumatori e delle risorse dei loro paesi. La docilità della Germania oggi di fronte all’attacco della Russia al cuscinetto NATO-russo mostra che la strategia occidentale ha avuto, semmai, troppo successo. Quando si tratta della minaccia immediata per la Polonia, Berlino è un amico di Varsavia. Allora perche, il capo del governo polacco strombazza piani criptici per ridurre i legami con la Germania? La risposta è politica interna e, in misura minore, europea.

La questione tedesca

Le radici dell’Unione Europea risiedono negli sforzi prevalentemente statunitensi per trovare un modo per liberare il potenziale economico tedesco calmando le ansie tedesche sul potenziale accerchiamento. Per ragioni che hanno a che fare con la geografia, il clima, la cultura, la storia e probabilmente innumerevoli fattori minori, i tedeschi sono esperti nella produzione di beni industriali complessi, molto più di quanto la popolazione tedesca potrebbe consumare. Ciò solleva due problemi: in primo luogo, le risorse necessarie per produrre tutti questi beni senza precedenti superano il pool di risorse proprie della Germania. L’economia tedesca deve prenderli da qualche altra parte, sia attraverso scambi economici e investimenti o conquiste. In secondo luogo, una popolazione di circa 80 milioni non potrebbe consumare tutti i veicoli, i macchinari, ecc. che l’industria tedesca può produrre. L’economia tedesca ha bisogno di un facile accesso ai consumatori stranieri – ancora una volta, attraverso accordi commerciali preferenziali o conquiste – per scaricare l’eccedenza. La strategia statunitense, che Washington ha portato avanti attraverso un’abile diplomazia, incentivi economici e garanzie di sicurezza nonostante la riluttanza di Francia e Gran Bretagna, ha risolto pacificamente entrambi i problemi tedeschi. Nasce il mercato comune europeo, incastonato in un quadro politico che deve crescere con l’integrazione economica.

L’unione risultante è ciò a cui la Polonia e altri satelliti e repubbliche sovietiche di recente indipendenza desideravano disperatamente unirsi quando l’Unione Sovietica iniziò a disintegrarsi. L’UE ha quasi garantito una crescita economica esplosiva e potrebbe aprire la porta all’adesione alla NATO, ovvero alla protezione militare americana. La Polonia ha presentato domanda di adesione all’UE nel 1994 e vi ha aderito nel 2004 insieme a nove dei suoi vicini. Come previsto, la NATO ha invitato Varsavia tra le sue fila nel 1997 e il matrimonio è stato suggellato meno di due anni dopo. L’economia polacca ha visto 28 anni di crescita economica, anche attraverso la recessione del 2008 e la successiva crisi dell’Europa, prima di ridursi brevemente nel 2020.

Ma mentre ciò accadeva, il mondo del dopo Guerra Fredda prendeva forma. Politicamente, economicamente e militarmente impareggiabili sulla scena mondiale, gli Stati Uniti si sono affrettati a capitalizzare il proprio vantaggio. Ha spinto per un mondo più globalizzato, con legami politici ed economici sempre più forti. Militarmente, ha allargato l’alleanza transatlantica e, dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre, ha intrapreso una sfortunata campagna per diffondere la democrazia con la forza nel mondo musulmano. Lo shock della Grande Recessione del 2008 ha gravemente ferito la coesione sociale, non solo negli Stati Uniti, e ha sollevato seri interrogativi sull’attrattiva e la fattibilità dell’ordine economico e della leadership guidati dagli Stati Uniti. Allo stesso tempo, le disastrose guerre americane in Iraq e Afghanistan ei suoi caotici interventi in Libia e altrove hanno minato il sostegno interno all’avventurismo militare. Entro il 2022, dopo circa tre decenni di preponderanza degli Stati Uniti, il mondo è pieno di crisi e la volontà degli americani di pagare il costo di essere i poliziotti del mondo è diminuita. (Quanto è una questione aperta. L’assistenza degli Stati Uniti all’Ucraina e le sanzioni alla Russia suggeriscono che è ancora più alta di quanto credessero alcuni osservatori.)

La questione della sovranità

Dove si inseriscono le relazioni polacco-tedesche in questa storia ben nota? Proprio come gli americani hanno avuto la loro fase di eccessiva esuberanza dopo la Guerra Fredda, così hanno fatto gli europei, compresi i polacchi e altri popoli di nuova indipendenza. L’allargamento dell’UE non è stata una vendita particolarmente difficile. Incorporare satelliti ex sovietici molto più poveri e stati vulnerabili sarebbe costoso, ma il potenziale guadagno era irresistibile. Gli investitori dell’Europa occidentale potrebbero accaparrarsi terreni, risorse e aziende a basso costo, ottenendo un profitto sano, mentre i lavoratori dell’Europa orientale potrebbero inondare l’UE con manodopera a basso costo. I burocrati di Bruxelles hanno riflettuto a lungo sul modo migliore per integrare politicamente gli ex stati comunisti. Non è bastato per far loro vedere l’integrazione europea nella stessa luce dei membri fondatori.

Dalle guerre mondiali, molti europei e la maggior parte dei tedeschi hanno imparato che il nazionalismo europeo deve essere contenuto in nome della pace. Durante la Guerra Fredda, i primi membri di quella che sarebbe diventata l’Unione Europea hanno praticato decenni di fiducia reciproca e di cooperazione per il reciproco vantaggio. Ma al di là della cortina di ferro, Mosca stava reprimendo il nazionalismo europeo a modo suo: usando una brutale repressione segreta e palese. Mentre gli europei occidentali discutevano di una più profonda integrazione politica, economica e monetaria alla fine degli anni ’80, la terribile situazione economica dei sovietici li privava della capacità di contenere il nazionalismo nell’Europa orientale. Nel 1990, il nazionalismo e la democrazia avevano vinto nell’Europa centrale e orientale.

Ma la democrazia da sola non basta. Mentre per decenni l’identità collettiva dell’Europa occidentale si era concentrata sul multilateralismo e sul compromesso, i suoi vicini liberati a est avevano imparato il valore della coesione, dell’orgoglio nazionale e della sovranità. Senza quelle cose, non avrebbero riacquistato la loro autonomia. Laddove un tedesco occidentale vedeva la perdita di una certa sovranità nazionale a favore di Bruxelles come il prezzo della prosperità e della pace – e quindi un netto positivo per la sovranità di Bonn in generale – un polacco era diffidente nei confronti di qualsiasi appello a condividere il potere decisionale.

Le identità nazionali si formano nel corso delle generazioni e cambiarle è difficile. L’attuale leadership polacca, il Law and Justice Party (PiS), è particolarmente impegnata nel nazionalismo polacco e nei valori conservatori. I suoi maggiori oppositori politici sono liberali e centristi filo-europei, più vicini alla politica prevalente nell’Europa occidentale, dove risiede il grosso del potere decisionale dell’UE. Attingendo alla loro memoria culturale e storica, i nazional-conservatori polacchi sono xenofobi, soprattutto islamofobi, e generalmente intolleranti alla diversità sociale. (L’esperienza dell’Europa occidentale, nonostante le sue imperfezioni, è semplicemente diversa.) L’ideologia prevalente in Polonia, pur riservando il suo più intenso disprezzo per il Cremlino, è molto diffidente nei confronti del relativo liberalismo sociale tedesco.

Ancora più importante, il PiS vuole apportare modifiche fondamentali al sistema giudiziario polacco, ma non è riuscito a convincere la maggior parte dell’UE che le sue intenzioni sono buone e le sue preoccupazioni legittime. Bruxelles e la maggior parte delle capitali dell’Europa occidentale sospettano che il PiS stia lavorando per indebolire o sradicare il liberalismo politico e sociale polacco, una sfida ai propri regimi ma anche all’UE, che si basa su idee liberali come il compromesso, la diversità, i diritti civili e lo stato di diritto .

La Germania è la roccia, la Russia è il posto difficile

Il principale campo di battaglia tra PiS e Bruxelles è l’inversione di alcune riforme giudiziarie polacche e la consegna di 35 miliardi di euro (34 miliardi di dollari) di denaro dell’UE per la ripresa economica della Polonia dal COVID-19. La Commissione europea ha fissato pietre miliari per l’inversione delle riforme giudiziarie del PiS che, secondo lei, Varsavia deve rispettare prima di trasferire i fondi. Ovviamente, il PiS vuole concedere il meno possibile, ma il rallentamento economico, l’aumento dei tassi di interesse e la guerra della porta accanto gli stanno facendo pressioni per ottenere presto i fondi. Inoltre, la Polonia dovrebbe tenere le elezioni parlamentari entro novembre 2023 e, se non riceverà l’assistenza prima di allora, il PiS scommetterà le sue fortune elettorali su una fine ordinata della guerra in Ucraina e una ripresa economica, idealmente dal estate.

L’assalto retorico del governo polacco alla Germania, quindi, fa parte della sua lotta per il potere con l’UE, così come una strategia di campagna di backup. La Germania è il membro più influente dell’Unione Europea, ma non può decidere da sola se la Polonia riceverà i suoi 35 miliardi di euro. Il primo ministro polacco lo sa. Ma Berlino è un popolare oggetto di antipatia per la base del suo partito, molto meglio che prendere di mira la stessa UE, che è immensamente popolare tra i polacchi. La retorica antitedesca segnala la determinazione del PiS pur lasciando spazio di manovra all’UE. E se l’UE chiama il bluff del PiS, come ultima risorsa potrebbe andare alle elezioni incolpando i tedeschi di aver permesso alla Russia di invadere l’Ucraina, non facendo abbastanza per fermare la guerra e negando l’assistenza finanziaria necessaria che appartiene di diritto ai polacchi.

Il funzionamento di questa strategia dipende dall’evoluzione della situazione economica in Polonia, nonché dalle tensioni politiche e sociali in Europa nel suo insieme. Al momento, non c’è motivo di aspettarsi una situazione economica drammaticamente migliorata nei prossimi mesi. E le istituzioni dell’UE, con il sostegno sufficiente degli Stati membri, non sembrano essere in uno stato d’animo compromettente. Gli Stati Uniti potrebbero tentare di intervenire, ma Washington di solito si tiene alla larga dalla politica interna dell’UE e l’amministrazione Biden probabilmente preferirebbe comunque un governo più liberale a Varsavia. Ancora più importante, gli Stati Uniti non vogliono rischiare di allargare le spaccature in Europa in un momento in cui i suoi giorni di significativo coinvolgimento nel Continente stanno finendo. Se gli Stati Uniti ridurranno i loro impegni transatlantici lasciando l’Europa intatta e in grado di difendersi,

È improbabile che la Polonia effettui un completo ridimensionamento delle sue riforme giudiziarie, ma Bruxelles ha la maggior parte della leva. È probabile un cessate il fuoco in cui l’UE ottiene la maggior parte di ciò che vuole e il PiS vive per combattere un altro giorno, dopo le elezioni del prossimo anno. Ancora più importante, è improbabile che anche una Polonia guidata dal PiS riduca effettivamente la sua dipendenza dalla Germania. Ciò equivarrebbe a ridurre i legami con la maggior parte dell’Europa, e con gli americani che hanno un piede fuori dalla porta dell’ovest della Polonia ei russi che bussano alla porta del suo est, questa non è un’opzione.

https://geopoliticalfutures.com/why-would-poland-spurn-germany/

Stati Uniti, strategie di logoramento_Con Gianfranco Campa

Puntata particolarmente importante. I nemici dichiarati dalla attuale leadership statunitense sono la Russia nell’immediato, la Cina dal punto di vista strategico. L’obbiettivo di fondo è scompaginare la prima, trattare da posizione di forza con la seconda. Arrivare a regolare il contenzioso con la Cina, comporta riequilibrare preliminarmente la propria economia attualmente fondata sul debito e sul drenaggio di risorse dall’area del dollaro e su un processo di decentramento industriale che espone gli Stati Uniti alla fragilità di un circuito troppo vulnerabile. I paesi europei, in primo luogo la Germania, sono destinati ad essere la vittima sacrificale di questa dinamica a beneficio esclusivo del loro alleato egemone. Su questo il gruppo dirigente statunitense può far leva sugli utili idioti dei paesi scandinavi e dell’Europa Orientale, nella fattispecie i paesi baltici, la Polonia. Costoro, in nome di brame di rivalsa sopite da troppo tempo nei confronti di Russia e Germania, non esitano a legarsi mani e piedi con chi a tempo debito non esiterà a scaricarli. Un già visto nelle precedenti due guerre mondiali, ma di nessuna lezione per il presente. Gli Stati Uniti, intanto, riescono a lucrare a man bassa sul mercato energetico, grazie alle dinamiche politiche innescate; compresi gli atti di sabotaggio. L’ennesima conferma di come le fortune economiche dipendono soprattutto dalle scelte politiche, piuttosto che da dinamiche economiche intrinseche. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v1m1xlq-stati-uniti-strategie-di-logoramento-con-gianfranco-campa.html

Rolf Peter Sieferle, Finis Germania, recensione di Teodoro Klitsche de la Grange

Rolf Peter Sieferle, Finis Germania (a cura di Francesco Coppellotti), Edizioni Settimo Sigillo, Roma 2022, pp. 174, € 22,00

Come scrive Antonio Caracciolo nella presentazione: “A differenza che per il passato, nel 1945, la guerra – la stessa che ebbe inizio nel 1914 – non si è conclusa con Trattati di pace che restituivano ogni paese a se stesso, magari con diminuzioni territoriali, passate ad altre città statuali. Si è voluto procedere alla devastazione spirituale delle nuove generazioni che non avevano vissuto la moderna guerra dei Trent’anni”. Il tema del saggio (postumo) è proprio questo; la sconfitta nella seconda guerra mondiale ha comportato un “lavaggio del cervello e del carattere permanente”, tendente a cancellare o a modificare radicalmente la cultura del vinto.

Infantilizzazione, colpevolizzazione, relativismo ne sono gli aspetti più evidenti. Anche se spesso neppure aventi il carattere di novità. Vediamo la colpevolizzazione dei tedeschi (con le guerre mondiali e l’olocausto): il tutto non pare tanto voluto ed eseguito (per di più a oltre settant’anni dal compimento dei fatti) per il crimine in se, quanto per colpevolizzare una nazione e la sua cultura. Ma che la colpevolizzazione (di massa) o almeno lo sfruttamento del senso di colpa sia uno strumento di potere l’aveva già scoperto Thomas Hobbes nel “Behemoth” quando scrive che i pastori protestanti predicavano in particolare contro la concupiscenza perché essendo una pulsione naturale tutti ne erano “colpevoli” in quanto peccatori “E, così, divennero confessori di quelli che avevano la coscienza turbata per questo motivo, e che obbedivano loro come a direttori spirituali, in tutti i casi di coscienza”. Per cui il senso di colpa si convertiva in disposizione all’obbedienza a chi aveva il potere.

Altro argomento è il relativismo coniugato al progresso “La relatività di tutte le culture, compresa la propria, viene accettata; al tempo stesso esse vengono però allineate accuratamente su una linea progressiva. La propria cultura diventa allora incompatibile in quanto è la più progressiva di tutte. Il modo del progresso diviene così un assoluto che può di nuovo togliere le penne al relativismo”. Ed è proprio quel che succede: se la Storia finisce è l’ultima cultura quella che, contraddittoriamente, diviene assoluta. E questa cultura è quella dei vincitori. Ma quando il progresso scompare, entrando in una fase di decadenza, il relativismo diventa un virus distruttivo di cultura, posizione ed identità.

Anche qui la memoria va al passato a Maurice Hauriou il quale faceva del “pensiero critico” (qualcosa di assai simile al relativismo almeno sul piano socio-politico) uno dei caratteri della decadenza. Solo che se di una storia “lineare” ordinata lungo l’asse del progresso si passa ad una storia “ciclica”; c’è comunque da sperare che il nuovo ciclo in gestazione riavvii un’epoca di miglioramento culturale, sociale, economico.

Una lunga ed accurata post-fazione di Francesco Coppellotti completa il volume e sintetizza così il saggio di Sieferle “Possiamo dire che finis Germania è la descrizione lucida della cappa ideologica che determina la vita religiosa, politica e culturale della Bundesrepublik che Sieferle ha disegnato e contro la quale, novella Antigone, si è infranto” e ciò perché “Sieferle ha mantenuto viva la fiamma della sua giovinezza ed ha sconfessato alla radice la Bundesrepublik, ma non perché, come hanno cantato tutti i filistei in tutto il mondo, voleva la scomparsa della Germania, ma perché ha voluto tenere aperta quella ferita chiamata Germania”.

Teodoro Klitsche de la Grange

GUERRA EUROPEA. PROSSIMA FERMATA: SARAJEVO_di Antonio de Martini

Lo stiamo anticipando da oltre un anno. Buona lettura, Giuseppe Germinario

COME SI FA A FAR MONTARE LA TENSIONE SPERANDO IN UNA NUOVA GUERRA: DUE STUPIDI E UN PRETESTO

Certo, serve un mascalzone come innesco, ma é presto trovato nell’ex diplomatico ( alla Di Maio) e ” professore” di Scienze politiche NEDZMA DZANANOVIC che ha dichiarato ” Questa crisi può essere l’occasione per la UE di liberarsi della influenza russa in Bosnia”.

C’é stata tensione in Bosnia il 6 aprile scorso , trentesimo anniversario dell’inizio della guerra e scontri – per ora verbali- tra le opposte fazioni.

La materia del contendere é risibile : il leader nazionalista serbo-croato Milorad Dodic ha però gettato benzina sul braciere minacciando la secessione.

A sinistra Milorad Dodic sopra Valentin Inzko.

Gli accordi di Dayton del 1995 – Clinton consule- hanno infatti diviso il paese in due entità federali , una

Repubblica Srpska e la Federazione Croato-bosniaca collegate da una amministrazione centrale, ma non da una comune memoria degli eventi. Lo scopo sarebbe quello di ” armonizzare” le tre comunità presenti sul territorio: I Croati ( Cattolici), i Bosniaci mussulmani e i Serbi, ortodossi.

Avevano convissuto sotto la guida del Maresciallo Tito ( Josip Broz) per mezzo secolo fino a che la segretaria di Stato USA Madeleine Allbright– nelle sue memorie dice che fu per vendicare il padre, diplomatico- non seminò zizzania fino allo scoppio del conflitto.

Il secondo stupido é, manco a dirlo, l’alto commissario internazionale della UE Valentin Inzko che per dipanare la matassa delle liti tra ex combattenti delle due parti, a luglio scorso, ha emanato un decreto ( in forza dei poteri discrezionali conferitigli dall’”accordo” di Dayton) che proibisce di negare l’olocausto di Szebrenica ( ottomila maschi morti é un crimine orrendo, ma chiamarlo olocausto può essere considerata una forzatura).

Il nuovo Alto rappresentante – Christian Schmidt– sta sottovalutando la possibilità che, in vista delle elezioni di ottobre, la minaccia secessionista serba crei un nuovo focolaio di guerra.

Ricordo , solo per inciso che in loco, a protezione della minoranza serba e dei numerosi monumenti della cristianità ortodossa ( che sono l’area costituente della nazionalità serba affermatasi nei secoli dopo la battaglia di Kosovo celebrata da D’Annunzio) giacciono di sentinella oltre duemila militari italiani e che, fino al 24 febbraio scorso, gli esperti sostenevano che anche in Ucraina non sarebbe successo niente.

Intanto, ammaestrati dall’esperienza ucraina, gli abitanti della Bosnia Erzegovina, quale che sia la loro religione, fanno la fila agli sportelli di cambio per trasformare i loro marchi ( moneta locale) in Euro e , se possono prendono la via dell’esilio preventivo.

https://corrieredellacollera.com/2022/04/21/guerra-europea-prossima-fermata-sarajevo/

 

La Nuova Vecchia Germania, Di  George Friedman

La Nuova Vecchia Germania

Il 2022 non è il 1914 o il 1939, ma una Germania armata è significativa.

Sembra che la Russia avesse due obiettivi distinti ma sovrapposti nell’invadere l’Ucraina. Il primo è stato quello di prendere il controllo del suo confine occidentale, un’area che gli conferisce profondità strategica e che Mosca ritiene essere nella sua sfera di influenza. Il secondo consisteva nel mettere l’uno contro l’altro i membri della NATO, rompendo le fazioni che si opponevano a qualsiasi forma di intervento. Qualunque cosa si dica sul carattere e sul temperamento del presidente Vladimir Putin è irrilevante. Per la Russia, c’è una logica nella strategia. Difendere il proprio Paese è un compito spietato.

Dal punto di vista della Russia, l’Ucraina non dovrebbe avere importanza per nessun paese a meno che quel paese non voglia strangolare la Russia, cosa che non accadrebbe se la NATO non esistesse. Se l’Europa non fosse una base operativa per gli Stati Uniti, il principale avversario della Russia, gli Stati Uniti non sarebbero una minaccia.

Al centro di tutti i calcoli sulla potenza europea c’è la Germania. È da tempo una nullità militare e dal 1991 il suo obiettivo principale è la crescita economica. Ha un’economia massiccia e orientata all’esportazione che richiede una tonnellata di energia e gran parte di quell’energia proviene dalla Russia. (Altre ne arriveranno se e quando il gasdotto Nord Stream 2 sarà online.) I russi hanno pianificato questa crisi con questo in mente.

Come praticamente tutti i paesi, la Germania stava soffrendo per le ricadute economiche della pandemia di COVID-19 quando è iniziata la guerra in Ucraina. La perdita di energia russa non farebbe che peggiorare le cose. Poiché la Germania e la Russia tendono a cooperare su questioni economiche e la Germania ha evitato sia il riarmo militare che gli scontri con la Russia, Mosca pensava che qualunque cosa avesse fatto in Ucraina non avesse alcuna conseguenza per Berlino.

I primi giorni dell’invasione sembravano confermare il pensiero della Russia. In un primo momento, il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha affermato con enfasi che non avrebbe consentito la fornitura di armi all’Ucraina dalla Germania. In un altro caso, un aereo britannico che consegnava missili anticarro all’Ucraina si è diretto intorno alla Germania piuttosto che chiedere i diritti di sorvolo. Nel frattempo, Putin ha incontrato il primo ministro ungherese Viktor Orban per concordare un accordo sul gas naturale, ma Orban ha detto di non essere disposto a prendere una posizione ostile nei confronti della Germania. Ciò ha sollevato speranze nel Cremlino che l’alleanza potesse essere divisa. Se anche un paese minore come l’Ungheria, un ex satellite sovietico, era pronto ad allontanarsi dalla NATO, allora le fondamenta del potere americano nella penisola europea si stavano dissolvendo, o almeno così si pensava.

Ma Putin non è riuscito a capire le ansie della Germania nei confronti della Russia. Russia e Germania potrebbero lavorare a stretto contatto nel quadro della NATO, ma se tale quadro si sciogliesse e l’Ucraina cadesse, l’unica cosa che si frappone tra Germania e Russia sarebbe la Polonia. Questo può sembrare paranoico, ma il fatto che la Russia abbia sostanzialmente preso il controllo della Bielorussia l’anno scorso con un colpo di stato incruento e stia cercando di conquistare l’Ucraina ora suggerisce che la paranoia avesse dei meriti.

La posizione strategica tedesca stava crollando. Berlino era in contrasto con i suoi colleghi membri dell’UE e della NATO, la Francia stava emergendo come il principale interlocutore europeo e gli Stati Uniti, il fondamento della sicurezza nazionale tedesca, stavano diventando impazienti se non ostili. Il governo sperava che, nonostante tutte le lamentele sull’Ucraina, gli affari con la Russia potessero continuare senza sosta poiché gli Stati Uniti avrebbero gestito qualsiasi serio confronto militare.

Ma non doveva essere. Washington non ha intrapreso un’azione militare, ovviamente, ma ha imposto alla Russia enormi oneri economici che bloccheranno il flusso di energia verso l’Europa. Il sogno di avere forti legami commerciali con la Russia pur facendo parte della NATO era finito. La Russia lo ha reso impossibile. Berlino è stata costretta a fare ciò che non voleva: scegliere. Ma poi non c’era davvero alcuna scelta. Nonostante il gas russo, la Germania ha affermato che armerà l’Ucraina e, cosa più significativa, si riarmarà con un budget per la difesa notevolmente migliorato.

A parte la rivitalizzazione della NATO, questa potrebbe benissimo essere la conseguenza più importante dell’invasione russa. Ricordiamo che una Germania potente e militarizzata è stata storicamente una forza destabilizzante in Europa. Quando la Germania si unì nel 1871, emerse rapidamente come una potenza economica importante ma insicura, preoccupata per gli attacchi simultanei di Russia e Francia. Le cose ora sono diverse, ovviamente. Il 2022 è un mondo diverso dal 1914 e dal 1939. Ma anche così, la grazia salvifica agli occhi di molti paesi europei è l’attuale debolezza militare. In geopolitica, le soluzioni a un problema possono generarne di nuovi.

La Russia si è messa in una brutta posizione. La frammentazione dell’Europa non è più possibile. Anche se dovesse sconfiggere l’Ucraina, sarebbe molto più vicino a un’Europa ostile, guidata da una Germania appena rimilitarizzata.

https://geopoliticalfutures.com/the-new-old-germany/?tpa=NmYzYmIyZGFmYjgzZGJmNjAxOGQ3ZTE2NDY5MjY0OTRiZDJmOGU&utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_term=https://geopoliticalfutures.com/the-new-old-germany/?tpa=NmYzYmIyZGFmYjgzZGJmNjAxOGQ3ZTE2NDY5MjY0OTRiZDJmOGU&utm_content&utm_campaign=PAID%20-%20Everything%20as%20it%27s%20published

Putin ha accidentalmente avviato una rivoluzione in Germania, di Jeff Rathke

L’Europa tra timide velleità di resistenza e precipitosi ripiegamenti sotto l’ombrello atlantico. L’intervento militare russo in Ucraina deve costringere a centrare il focus dell’analisi e del confronto politico sul continente in cui viviamo quando la stretta che si prospetta sta spingendo alla ulteriore normalizzazione di tutta la classe dirigente e dell’intero ceto politico. I costi saranno però sempre più pesanti e drammatici, difficilmente sostenibili. Buona lettura, Giuseppe Germinario

L’invasione dell’Ucraina sta innescando un drammatico capovolgimento della grande strategia di Berlino.

Di  , presidente dell’American Institute for Contemporary German Studies della Johns Hopkins University.

La politica tedesca è normalmente caratterizzata da una cauta continuità, finemente equilibrata e lenta ad adattarsi alle mutevoli circostanze. Ma resta in grado di sorprendere. Nella scorsa settimana, il cancelliere Olaf Scholz e il suo governo hanno compiuto una rivoluzione nella politica estera tedesca, scartando nel giro di pochi giorni le ipotesi superate dei sogni di Berlino del dopo Guerra Fredda e stabilendo una rotta per il confronto con la Russia che porterà un aumento drammaticamente risorse e modernizzare le forze armate del Paese.

Ogni giorno ha portato nuove rotture con la tradizione tedesca. Il 27 febbraio, in una sessione straordinaria del parlamento tedesco (la prima riunione domenicale in assoluto), Scholz ha descritto l’attacco russo all’Ucraina come un “punto di svolta” che ha richiesto uno sforzo nazionale tedesco per preservare l’ordine politico e di sicurezza in Europa . Scholz ha annunciato la creazione di un fondo una tantum di 100 miliardi di euro (113 miliardi di dollari) per l’esercito tedesco quest’anno e ha impegnato la Germania a spendere il 2% del PIL per la difesa d’ora in poi. Ha evidenziato i contributi della Germania alla NATO e ha ampliato gli impegni, inclusa la sua presenza deterrente in Lituania e la messa a disposizione dei sistemi di difesa aerea tedeschi degli Stati membri dell’Europa orientale. Ha sottolineato il ruolo nucleare della Germania nella NATO e ha indicato che il governo avrebbe probabilmente acquisito velivoli F-35 invece dell’acquisto F/A-18 Super Hornet precedentemente pianificato. Il cancelliere ha sottolineato le responsabilità di Berlino all’interno della NATO, ma allontanandosi dallo stile della politica di difesa tedesca ha anche definito queste misure come garantire la sicurezza nazionale della Germania.mezzo milione di manifestanti in tutto il centro di Berlino.

Ed era solo domenica. Il giorno prima, il governo ha abbandonato la sua posizione come una delle ultime resistenze transatlantiche contro l’esclusione delle banche russe dal sistema di messaggistica finanziaria SWIFT e il ministero della Difesa ha annunciato che avrebbe fornito 1.000 sistemi anticarro e 500 armi antiaeree Stinger all’Ucraina, invertendo la politica di lunga data della Germania contro la fornitura di armi alle zone di crisi. (Berlino ha anche revocato le prese chiave ai paesi terzi che forniscono attrezzature di origine tedesca all’Ucraina.) Queste mosse storiche si sono aggiunte alle dure sanzioni economiche imposte dall’Unione Europea a Mosca entro 24 ore dall’inizio dell’invasione russa, misure che ha colpito anche la Germania, dal momento che la Russia è uno dei primi cinque partner di esportazione e importazioneal di fuori dell’UE. Solo cinque giorni fa, il 22 febbraio, Scholz ha deciso di interrompere il processo di certificazione per il gasdotto Nord Stream 2.

In sette giorni, la Germania ha eliminato il suo più grande progetto energetico russo, ha imposto sanzioni che causeranno notevoli dolori in patria e ha istituito un corso che renderà la Germania il più grande investitore europeo della difesa, con i velivoli più avanzati e una crescente presenza in avanti nel centro e Europa orientale. Ci si può chiedere se i detrattori devoti della Germania a Washington se ne accorgeranno. Come è successo così rapidamente, quando i funzionari tedeschi avevano difeso così tenacemente le loro politiche di status quo per così tanto tempo?

La sfacciata brutalità della guerra del presidente russo Vladimir Putin all’Ucraina è la ragione più importante. Scholz e il suo governo hanno compiuto ogni sforzo diplomatico per evitare la guerra, inclusa la visita di Scholz il 15 febbraio a Mosca, in cui ha cercato di salvare il processo di Minsk. Putin ha avanzato le sue rimostranze percepite e la storia distorta – che Scholz in seguito ha definito “ridicolo” – e attraverso il suo riconoscimento delle regioni separatiste di Donetsk e Luhansk ha effettivamente ucciso gli accordi di Minsk. Scholz e il ministro degli Esteri tedesco Annalena Baerbock sapevano per esperienza personale che la Russia aveva chiuso le strade della diplomazia.

I nuovi schieramenti politici della Germania hanno aperto la strada a questa rivoluzione. Il Partito socialdemocratico di Scholz (SPD) governa con i Verdi guidati dai valori e i Liberi Democratici liberali, entrambi i quali sostengono una linea più dura verso Mosca. Le ambizioni di trasformazione energetica del governo, che fissavano un obiettivo di neutralità del carbonio per il 2045, hanno ora acquisito una dimensione di sicurezza nazionale. Ciò potrebbe complicare la certezza a breve termine di un’adeguata fornitura di gas naturale, ma il ministro dell’Economia e del clima tedesco Robert Habeck dei Verdi ha colto la crisi russa come ulteriore giustificazione per accelerare la transizione verso le energie rinnovabili e costruire la rete energetica. Scholz ha formulato l’obiettivo per la Germania di costruire due terminali di gas naturale liquefatto “il prima possibile” come parte di uno sforzo nazionale per superare la sua dipendenza dai singoli fornitori.

All’interno del suo stesso partito, il pragmatico Scholz ha sostenuto una rivalutazione dell’approccio obsoleto dell’SPD nei confronti della Russia, basato sulla reciproca dipendenza economica e sull’eredità del controllo degli armamenti. L’invasione di Putin ha offerto a Scholz l’opportunità di cancellare la lavagna e non ha perso tempo. Di fronte a indifendibili azioni russe, l’ala “dialogativa” dell’SPD ha visto sgretolarsi le sue argomentazioni. Il più visibile sostenitore delle posizioni filo-russe , l’ex cancelliere Gerhard Schröder dell’SPD, è stato preso di mira dall’intera dirigenza del partito per le sue posizioni nei consigli di amministrazione di società energetiche russe come Nord Stream AG, Rosneft e, di recente, Gazprom (sebbene sia ancora in sospeso). Schröder è passato in poche settimane dall’essere una delle risorse più preziose della Russia in Germania a una responsabilità politica.

Infine, un po’ di merito va all’amministrazione Biden. Nonostante le pressioni del Congresso degli Stati Uniti e della comunità di politica estera, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha costruito con cura una partnership sulla politica russa, prima con la cancelliera Angela Merkel attraverso la dichiarazione congiunta di luglio 2021 sulla sicurezza energetica e poi difendendo l’approccio della Germania, anche durante il febbraio di Scholz. 7 visitaa Washington. Biden ha dovuto affrontare il contraccolpo dei repubblicani e di alcuni democratici, ma si è reso conto che un cambiamento nella politica tedesca della Russia avrebbe dovuto venire da Berlino, non essere imposto da Washington. Se Biden avesse ceduto alle richieste di sanzioni unilaterali degli Stati Uniti sul Nord Stream 2, avrebbe generato una risposta difensiva da parte del governo tedesco che avrebbe reso inconcepibile il completo ribaltamento della Russia di Scholz.

UE, Italia, Francia, Germania! Il triangolo imperfetto_di Giuseppe Germinario

Grande emozione e tanta enfasi tra i protagonisti della firma del trattato del Quirinale. Peccato che a così grandi aspettative ostentate non sia corrisposta una corrispondente ed adeguata attenzione nella stampa italiana, relegata ben addentro alle pagine interne, alle spalle della scontata sequela su green pass e coronavirus; sorprendentemente almeno un qualche minimo accenno nella stampa transalpina. Un oscuramento che stigmatizza intanto un aspetto: la credibilità di Draghi, evidentemente, non coincide e non ha un effetto di trascinamento significativo su quella dell’Italia; il destino e le fortune politiche di uno sono evidentemente separati da quelli dall’altra. Il dubbio che il segno politico concreto dell’iniziativa si discosti pesantemente dall’immagine e dalla narrazione che si è voluto offrire si insinua nelle menti meno coinvolte dalla propaganda; tutto questo a cominciare dalla forma stessa adottata prima ancora di entrare ad esaminare i contenuti. Il valzer iniziato con il trattato bilaterale di Aquisgrana tra Francia e Germania nel 2019 e proseguito con quello odierno sottoscritto da Francia e Italia richiama l’immagine di un triangolo incompiuto.

Per essere un direttorio autorevole armato della volontà di imprimere una svolta al processo di costruzione della Unione Europea nella forma avrebbe dovuto concludersi con un accordo trilaterale o quantomeno con un ulteriore bilaterale tra Italia e Germania dai contenuti del tutto corrispondenti a quello di Aquisgrana; per essere un sodalizio latino-mediterraneo credibile in grado di sostenere il confronto con le altre due aree geopolitiche costitutive della UE avrebbe dovuto comprendere almeno la Spagna, per quanto ancora essa dibattuta storicamente tra Francia e Germania.

Nel primo caso la coerenza avrebbe richiesto tutt’al più un accordo tra capi di governo tale da definire le condotte nel Consiglio Europeo e in sede di Commissione Europea, quindi nelle sedi preposte; nel secondo avrebbe sancito definitivamente anche nella forma l’Unione Europea come il terreno di confronto e cooperazione tra stati nazionali raggruppati in sfere di influenza e di interessi più omogenei.

La scelta più o meno consapevole di adottare la forma così impegnativa e costrittiva del trattato tra stati sotto le spoglie del lirismo europeista avulso e nemico degli stati nazionali non fa che accentuare i limiti, i vincoli e le ambiguità della costruzione europea tali da rimuovere piuttosto che porre chiaramente sul terreno e possibilmente risolvere i problemi e i conflitti latenti, sino a renderli progressivamente dirompenti; con il risultato finale di rivelare finalmente nella NATO più che nella UE il reale fattore, per altro esogeno, di relativa coesione politica di gran parte del continente. In mancanza saranno i trattati stessi ad essere progressivamente svuotati di contenuti o dimenticati.

I rapporti di cooperazione rafforzata, pur nella loro ambiguità, sono qualcosa di diverso e di poco compatibile con la forma del trattato, checché ne dicano gli estensori di quest’ultimo, in quanto riconoscono implicitamente la trasversalità interna agli stati del confronto politico ed esplicitamente la loro coerenza e subordinazione agli indirizzi della Commissione Europea. I due trattati, in particolare quello più esteso e specifico tra Italia e Francia, di fatto formalizzano ed irrigidiscono il confronto tra stati all’esterno del circuito istituzionale.

Dubbi e riserve che non sono affatto attenuati dall’esame del merito delle clausole, pur avendo queste ultime più la forma di una dichiarazione di intenti che di impegni cogenti in entrambi i trattati, ma maggiormente in quello franco-tedesco.

Quest’ultimo deve pagare certamente pegno alla funzione di apripista, ma può permettersi di indugiare maggiormente nella retorica europeista grazie al ruolo di leadership locale dei due paesi.

Essendo carenti di aspetti cogenti e piuttosto pleonastici nella stesura, non rimane che individuare nell’enfasi attribuita ai singoli aspetti le diversità, le affinità e soprattutto le intenzioni riposte in questi due atti in attesa di conoscere i protocolli aggiuntivi, sempre che siano resi disponibili.

In quello di Aquisgrana prevale nettamente l’enfasi sul ruolo del sodalizio franco-tedesco nell’agone mondiale, con la ciliegina della richiesta velleitaria di un seggio alemanno all’ONU; nell’esplicita richiesta di coinvolgimento delle Germania nell’area subsahariana con un effetto solo secondario di trascinamento della UE.

Riguardo al contesto europeo la postura generale franco-tedesca è quella di due paesi impegnati a determinare genericamente gli indirizzi e l’organizzazione della Unione Europea; quella del trattato quirinalizio è piuttosto di due paesi impegnati ad adeguarsi all’indirizzo, specie giuridico, della Comunità, per quanto si possa parlare di indirizzo giuridico coerente di essa.

L’unico afflato europeista decisamente retorico presente in quello di Aquisgrana viene riservato alla collaborazione ed integrazione persino giuridica delle aree transfrontaliere, in particolare dei distretti; un vecchio cavallo di battaglia della retorica europeista non a caso più incisivo e pernicioso nei confronti dell’organizzazione statale francese che di quella teutonica.

Un ambito curato anche in quello italo-francese ma senza enfasi ed articolato in ambiti più definiti tra i due stati.

Un altro ambito comune trattato nei due accordi riguarda la forza e il complesso industriale militare.

In quello franco-germanico il tono è più generico ed enfatico; nell’altro è più scontato e precisato.

La ragione del primo risiede sicuramente nei trascorsi storici particolarmente drammatici tra i due paesi, come pure nella loro collocazione, con la Francia dibattuta in tre scenari geografici, dei quali uno prettamente terraneo dal quale sono arrivati i guai peggiori. Sono però il presente e le prospettive future a dettare le scelte. Al destino manifesto di duratura concordia verso una meta ed una casa comune annunciato nel patto corrisponde un percorso a dir poco contraddittorio se non controcorrente. A fronte di un paio di progetti industriali integrati in stato di avanzamento corrisponde lo stallo totale in materia di controllo e gestione dell’armamento strategico nucleare, di gestione delle comunicazioni, di indirizzo e addestramento comune delle due forze militari e di sviluppo di una logistica comune. Poca cosa rispetto a progetti più importanti (Gaia, il nuovo caccia europeo, semiconduttori, ect) in colpevole ritardo, ancora ai prodromi, con un divario terribile da colmare; troppo presto per distinguere il fumo dall’arrosto, la velleità dalla volontà. Il paradosso maggiore risiede in una Germania che di fatto predilige il coordinamento e l’integrazione militare con paesi come l’Olanda, la Repubblica Ceca e la Danimarca e di un corpo militare francese assai poco disposto a condividere i propri asset strategici, specie nel nucleare, nella missilistica e in aviazione, per quanto fragili e malconci, con un paese quasi del tutto privo di conoscenze in quei settori.

Dal lato italico il quadro generale della cooperazione ed integrazione militare appare almeno in apparenza molto più scontato con la parte francese che dimostra di avere le idee molto chiare e gli italiani a giocare di rimessa e limitare i danni quando non arriva a infliggersi la zappa sui piedi. La tradizione tutta italica di adesione a qualsivoglia avventura militare occidentale in giro per il mondo e di delega agli organismi internazionali delle decisioni non fanno che alimentare queste altrui aspettative. Lo si nota già nelle facilitazioni previste alla mobilità delle truppe molto più fruttuose per la Francia, visti i suoi interessi nel Mediterraneo, che per l’Italia, assente nello scenario Atlantico e renano. La decisione, improvvida quantomeno nei tempi, di affidare integralmente all’ESA (Agenzia Spaziale Europea) la gestione dei propri fondi del settore spaziale, presa dal quel campione dell’interesse nazionale del Ministro Colao, nonché l’esito nefasto del tentativo di controllo dei cantieri navali francesi STX da parte di Fincantieri, non fa che confortare ulteriormente questa impressione di subordinazione ed ignavia ormai ben sedimentata.

Non a caso l’intervento comune in questi ambiti sia specificato molto meglio nel trattato franco-italiano.

I due anni trascorsi tra un trattato e l’altro hanno con ogni evidenza modificato notevolmente il contesto che ha portato alla loro stesura.

Allora si trattava di contrapporre un polo europeista a guida franco-tedesca all’anomalia della politica estera trumpiana, all’insorgere dell’ondata “sovranista” in Italia, in Ungheria e alla Brexit.

Oggi si tratta di riportare nell’alveo dell’eterno confronto-scontro della competizione franco-tedesca la progressiva formazione di almeno tre aree culturali e di cooperazione distinte di stati europei. In queste sono comprese quella costitutiva dell’Europa Orientale e dei paesi sede di paradisi fiscali (Irlanda, Austria, Olanda) controllata con sempre maggiore difficoltà dalla Germania; l’altra latino-mediterranea, potenzialmente dirompente, ma tutta da inventare, comprensiva almeno di Italia, Spagna e Francia.

Una prima lettura dell’accordo italo-francese potrebbe indurre a coltivare l’illusione di un’area così strategica.

La diversa qualità del ceto politico, delle classi dirigenti e degli assetti istituzionali dei due paesi e il pesante ed evidente squilibrio tra questi dovrebbero ricondurci a considerazioni più prosaiche e prudenti.

Se a questo si aggiunge il sostegno entusiastico espresso dall’amministrazione Biden, parecchi altri dubbi dovrebbero dissolversi sulla reale natura dell’accordo. Un paese che non riesce e la sua corrispondente amministrazione che, a differenza di Trump, probabilmente nemmeno intende districare il groviglio di interessi economici che la avviluppano alla Cina, principale avversario-nemico strategico, con il suo appoggio all’accordo intende paradossalmente, ma non troppo, non tanto inibire tentazioni autonome pressoché velleitarie della classe dirigente tedesca dalla leadership americana a favore delle relazione con cinesi e russi, quanto di farle capire e ricordare che gli indirizzi e gli impulsi geoeconomici relativamente autonomi devono ormai sempre più essere ricondotti e sottomessi alle dinamiche geopolitiche di un contespo multipolare.

Il trattato di Aquisgrana ha seguito infatti metodi e significati opposti rispetto a quello dell’Eliseo del 1963 allorquando fu snaturato nel significato solo dal repentino voltafaccia tedesco sotto pesante pressione americana e vide l’esclusione dell’Italia, per il suo eccessivo e cieco filoatlantismo.

IL RAPPORTO TRA ITALIA E FRANCIA

Il giudizio sul “trattato del Quirinale” non può differire di molto dal suo equivalente di due anni fa.

Vi è un punto in realtà realmente qualificante per i due paesi e disconosciuto nei commenti: l’attenzione riservata al settore agricolo. Sia l’Italia che la Francia fondano gran parte del proprio investimento in agricoltura sul prodotto tipico con un relativo ridimensionamento da parte francese, anche per ragioni di ambientalismo liturgico, di alcune produzioni intensive di allevamento e vegetali su vasti territori e con una significativa riduzione negli ultimi tempi dei contributi finanziari europei elargiti di fatto a compensazione del sostegno finanziario francese alla Unione Europea. Un aspetto che mette in concorrenza tra loro le economie agricole dei due paesi, ma che li spinge a fare fronte comune contro la Commissione Europea tutta impegnata a penalizzare questo tipo di coltivazione.

Paradossalmente, quindi, più un fattore di polarizzazione all’interno della UE che di coesione.

Per il resto la sospensione di giudizio sul trattato pende purtroppo a sfavore di un rapporto più equilibrato tra i due paesi.

La Francia infatti dispone ancora a differenza dell’Italia:

  • di una organizzazione statale, pur insidiata dal regionalismo europeista, ancora sufficientemente centralizzata, con la presenza di una classe dirigente e dirigenziale compresa quella militare, preparata e in buona parte diffidente se non ostile all’attuale presidenza, tale da consentire la definizione e il perseguimento di una strategia; quella italiana in antitesi è frammentata e ridondante nelle competenze in modo tale da consentire flessibilità e capacità di adattamento passivo e reazione surrettizia;

  • di una grande industria strategica, pubblica e privata, anche se fragilizzata, specie nell’aspetto finanziario, da alcune scelte imprenditoriali e tecnologiche sbagliate; l’Italia, dal canto suo, continua a vivere e ad emergere in qualche maniera grazie alla presenza prevalente della piccola e media industria in gran parte però dipendente produttivamente da circuiti produttivi e imprenditoriali stranieri;

  • di un sistema universitario riorganizzato in sei grandi poli in grado di offrire nuovamente, rispetto a questi ultimi anni, una buona formazione e specializzazione tecnico-scientifica. Il numero e la qualità di ingegneri e ricercatori ha infatti ricominciato a risalire;

  • di un sistema finanziario e bancario più centralizzato e indipendente reso possibile dalla presenza della grande industria, da una gestione coordinata delle risorse finanziarie ricavate dalle attività agricole e dalla rendita monetaria garantita dalla gestione dell’area africana francofona; un vantaggio che le ha consentito di codeterminare, assieme alla Germania, anche se in posizione subordinata, le regole europee di regolazione del sistema bancario e finanziario con la supervisione statunitense;

  • di un sistema di piccole e medie imprese, al contrario il quale, a differenza di quello italiano, sta rasentando l’irrilevanza e trascinando il paese verso un cronico deficit commerciale e dei pagamenti, sempre meno compensato dalla fornitura di servizi evoluti e che costringe sempre più il paese ad assorbire la propria rendita finanziaria e a dipendere ulteriormente dai dictat tedeschi e dalle scorribande e acquisizioni americane. Con un peso dell’industria che non arriva nemmeno al 18% del prodotto francese, non a caso la stampa transalpina batte ormai da anni sul problema della reindustrializzazione del paese come fattore di coesione sociale, di riduzione degli enormi squilibri territoriali e di acquisizione di potenza. Un elemento che dovrebbe mettere sotto altra luce il lirismo professato a piene mani nel trattato sui propositi di collaborazione, integrazione e scambio imprenditoriali in questo ambito. Qualcosa di particolarmente evidente assurto agli onori della cronaca nel settore automobilistico in un rapporto di gran lunga peggiorativo rispetto a quello detenuto dalla componentistica italiana rispetto all’industria tedesca.

Una situazione non irreversibile a patto di avere una classe dirigente e un ceto politico non genuflesso e capace.

Per concludere giudicare l’accordo franco-italiano soprattutto dal punto di vista propagandistico e dal vantaggio di immagine offerto a Macron in vista delle prossime elezioni presidenziali risulta troppo limitativo se non proprio fuorviante. Tant’è, come già sottolineato, che la stampa francese lo ha del tutto ignorato, quella italiana lo ha glissato e relegato, per altro per breve termine, nelle pagine interne.

Il peso politico di questo accordo rischia di essere molto più soffocante per l’Italia, soprattutto per la qualità della nostra classe dirigente che prescinde dalla validità di numerosi suoi esponenti spesso relegati in funzioni periferiche e di second’ordine, ma anche purtroppo del nostro ceto politico nella sua quasi totalità.

Una ulteriore cartina di tornasole della direzione, oltre alla già citata decisione nel settore aerospaziale a favore dell’ESA presa da Colao & C., sarà l’esito de:

  • la vicenda TIM dove si prospetta il pericolo di una divisione dei compiti tra la gestione americana della rete strategica e quella francese del sistema multimediale italiani con la eventuale compartecipazione, bontà loro, italiana

  • la vicenda OTO-Melara con la possibile cessione ad un gruppo industriale del complesso militare franco-tedesco.

Chissà se questa volta sarà sufficiente per la nostra sopravvivenza la capacità tutta italica di adeguamento passivo e di atteggiamento erosivo così brillantemente esposto da Antonio de Martini. In mancanza non resterà che sperare nel “buon cuore” statunitense, possibilmente preoccupato di un dominio franco-tedesco che potrebbe indurre dalla condizione di dipendenza privilegiata a giungere realmente ad una forma di qualche indipendenza politico-economica dall’egemone americano e di rivalsa rispetto al tradimento britannico della Brexit. Nel caso ancora più nefasto, il placet americano così entusiasta al trattato del “Quirinale” potrebbe essere il segnale di via libera ad una aggregazione dell’Italia nel tentativo di mantenere una parvenza di influenza della Francia nell’Africa francofona; soprattutto di uno spolpamento definitivo del Bel Paese, anche come compensazione dell’affronto subito dalla Francia ad opera di Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia sulla faccenda dei sommergibili e sulla sua silenziosa esclusione di fatto dal quadrante strategico del Pacifico, pur essendo lì presente con qualche residuo coloniale. A meno di un tracollo di Macron e della macronite. Solo a quel punto il giochino a fasi alterne, tra i tanti passi quello di affidare la maggior parte dei comandi militari nella periferia della NATO alla forza militare più limitata ed infiltrata, la Germania e al potenziale ribelle qualche pacca e qualche osso, potrà richiedere qualche nuova variante.

NB_Qui sotto il testo dei due trattati oggetto dell’articolo

aquisgrana 2019

TRATTATO DEL QUIRINALE ITA FRANCIA

1 5 6 7 8 9 11