Le vere ragioni della morte di Abdelmalek Droukdal, di Bernard Lugan

Qui sotto la traduzione del notiziario di Bernard Lugan, il più puntuale analista francese della situazione sociopolitica del continente africano. Buona lettura_Giuseppe Germinario

Abdelmalek Droukdal, il capo di Al-Quaïda in tutta l’Africa del Nord e la fascia sahéliana, da due decenni l’uomo più ricercato in Algeria, ha abbandonato il suo santuario di Kabylia con il suo Stato Maggiore per raggiungere il nord del Mali laddove l’armata francese lo ha abbattuto. E’ stato «neutralizzato» nella regione di Tessalit, in territorio touareg; un dato dalla importanza fondamentale.

Sorgono due domande:
1) Perché ha corso questo rischio?
2) Perché era diventato imbarazzante per gli algerini i quali non potevano non sapere del suo “spostamento”?

1) Per diverse settimane, i gruppi jihadisti dalle obbedienze diverse e dalle motivazioni disparate si sono combattuti nella BSS (Fascia Sahelo-Sahariana). Un conflitto aperta e scoppiato contemporaneamente tra l’EIGS (Stato islamico nel Grand Sahara), legato a Daesh e i gruppi che si richiamano al movimento di Al Qaeda, gli EIGS accusati dai primi di tradimento. Di fatto, i due principali leader etno-regionali della nebulosa di Al Qaeda, vale a dire il Touareg ifora Iyad Ag Ghali e il Peul Ahmadou Koufa, capo della Katiba Macina, stanno attualmente negoziando con Bamako.

2) L’Algeria è inquieta nel vedere Daesh avvicinarsi  alle sue frontiere. Or dunque, poiché considera il BSS come propria retrovia, l’Algeria ha sempre “patrocinato” un accordo di pace. Il suo uomo sul posto è Iyad ag Ghali la cui famiglia vive in Algérie dove possiede una casa. Politicamente egli dispone di quattro referenze:
– Egli è touareg ifora;
– è musulmano «fondamentalista».
– Oltre al sostegno dei touareg, dispone di una base popolare a Bamako grazie alla fedeltà dell’imam Mahmoud Dicko.
– Soprattutto, è contrario alla dissoluzione del Mali, una assoluta priorità per l’Algeria, che non vuole un Azawad indipendente; rappresenterebbe un faro per i propri Touareg.
La negoziazione che procede al momento «discretamente» ha per scopo la regolazione di due conflitti differenti i quali, non ostante le apparenze e la versione popolare, non hanno una matrice islamica. Si tratta in effetti di conflitti iscritti nella notte dei tempi, come descritti da me nel libro Les Guerres du Sahel delle origini in nessun viaggio,  di risorgenze etno-storico-politiche-oggi mimetizzate dietro il paravento islamico.
Questi due conflitti, ciascuno dalla propria dinamica sono:
– Quello del Soum-Macina-Liptako, condotto dai Peul; da qui l’importanza di Ahmadou Koufa.
– Quello del nord Mali, l’attualizzazione della tradizionale contestazione dei touareg; da qui l’importanza dell’Iad di Agha.
Or dunque, Abdelmalek Droukdal era contrario a questi accordi, e aveva deciso o ancora era stato persuaso a recarsi nella zona, forse per ristabilire un modus vivendi con Daech. Mais, surtout, per riprendere in mano e imporre la propria autorità a sua volta a Ahmadou Koufa e a Iyad ag Ghali.
Rappresentava dunque l’ostacolo al piano di pace regionale tendente a isolare i gruppi di Daech, in modo da regolare  rispettivamente il problema touareg in Mali e il problema peul nel sud del Mali e nel nord del Burkina Faso. Ecco il perché della sua morte.

Lo stratagemma della “salsiccia” dei gruppi terroristi è perfettamente riuscito. Prova due cose:

1) L’Algeria è tornata nel conflitto.

2) I militari francesi che hanno condotto l’operazione si sono ispirati alla massima di Kipling secondo il quale “il lupo afghano è inseguito in Afghanistan dal levriero afghano”.

In altre parole, non cesso di dirlo dall’inizio del conflitto, una raffinata conoscenza delle popolazioni che è indispensabile

Se la strategia dovesse essere coronata da successo, con il ritorno al gioco politico dei Touareg uniti dalla guida di Iyad ag Ghali e  dei Peul, al seguito di Ahmadou Koufa,

si potranno concentrare tutti i mezzi  sull’EIGS, con uno scivolamento delle operazioni verso l’est del Niger e della BSS.

Il problema è ormai è di sapere se il Fezzan Libico sta sfuggendo al generale Haftar (voce del comunicato del 28 maggio 2020 ). Nel caso la Turquie, nostro «buono» e «leale» alleato in seno alla NATO, avrebbe dunque un corridoio che consentirebbe ai propri servizi una linea diretta per sostenere i combattenti dell’EIGS. L’imperativo sarà quindi di riprendere il controllo fisico della regione di Madama, in modo da impedire la rianimazione del terrorismo attraverso la Libia.

Maggiori informazioni sul blog di Bernard Lugan

Attenti a quei due, di Giuseppe Germinario

La videoconferenza del duo Merkel-Macron del 18 e la relazione della von der Leyen al Parlamento UE del 27 maggio scorso rappresentano probabilmente un punto di svolta nelle linee di condotta della Unione Europea, almeno nelle intenzioni dei due principali protagonisti dell’agone comunitario. Un punto di svolta, ma nella continuità. Lo stile adottato nelle due iniziative non poteva essere più stridente. Alla esposizione asciutta, insolitamente sintetica rispetto alla ricorrente tentazione logorroica di Macron, dei primi, confacente al pragmatismo di due capi di stato ha corrisposto la stucchevole e rozza retorica intrisa di lirismo della seconda, nelle vesti consapevoli di una facente funzioni. Paradossalmente l’iniziativa non ha goduto del clamore di tanti precedenti dal tono ben minore. È l’indizio che è in corso una battaglia politica vera tra i vari paesi europei e all’interno degli schieramenti politici nazionali; battaglia la cui virulenza sta affievolendo la antica sicumera delle classi dirigenti più europeiste. In Italia la reazione degli schieramenti politici dominanti all’evento è stata più chiassosa, ma ha confermato una volta di più l’attendismo e la passività del ceto politico e della relativa classe dirigente nostrani. Gli uni hanno plaudito soddisfatti con la sola riserva della sollecitazione sui tempi di attuazione troppo lunghi; gli altri hanno mostrato scetticismo sulla sincerità e sulla attuabilità della proposta, visti il contesto politico dell’Unione e la tempistica legata alle procedure e ai canali di finanziamento e distribuzione. Toccare moneta per credere!

Il tempo in effetti è un fattore di grande importanza. Lo è per i paesi particolarmente più esposti con il debito pubblico, privi di sovranità monetaria e legata ai vincoli dei trattati e delle decisioni comunitarie, l’Italia in primo luogo. L’urgenza espressa dal nostro paese rientra nell’ordine dei mesi colti dalle dita di una mano o poco più. La crisi di liquidità delle imprese, l’interruzione istantanea della rete di relazioni economiche in un contesto in cui la fluidità dei circuiti era già compromessa dagli sconvolgimenti geopolitici e dalle innovazioni tecnologiche stanno compromettendo l’esistenza di un numero enorme di aziende non necessariamente decotte. Il tempo richiesto dall’impegno finanziario del “recovery fund”, del “sure”, dei finanziamenti della BEI (Banca Europea degli Investimenti), con l’eccezione non casuale del MES, rientra nell’ordine degli anni (sei) con elargizioni per di più rateizzate e legate al rispetto e verifica dei protocolli. Un criterio quest’ultimo, per altro, particolarmente virtuoso nelle procedure rispetto a quelle di concessione ed esecuzione dei lavori adottate dalle amministrazioni pubbliche italiane così come illustrate in particolare a suo tempo da Fabrizio Barca.

Lo è anche per i centri decisionali europei di quei paesi che detengono il pallino della definizione e del controllo dei meccanismi europei. Il fattore tempo è uno strumento fondamentale nel confronto geopolitico e geoeconomico, nella ridefinizione quindi delle gerarchie e delle posizioni. Lo è anche per un altro motivo, probabilmente ancora più importante. La sopravvivenza della Unione Europea nella sua attuale conformazione e progressione dipende in gran parte dall’esito del confronto politico negli Stati Uniti con i suoi riverberi in Europa; in subordine dall’acceso confronto politico interno agli stessi paesi motori del processo di integrazione, Francia e Germania.

Agli occhi dei critici più o meno istituzionali assume per la verità importanza sostanziale un altra caratteristica dell’intervento europeo: la grave insufficienza degli stanziamenti rispetto alle necessità, solo in parte mitigata dagli interventi provvidenziali ma circoscritti sulla liquidità corrente della BCE.

Sarebbero due ambiti di critica realmente dirimenti se fossero fondati i presupposti sui quali poggiano. Che la finalità dell’Unione Europea sia quella di garantire la coesione e lo sviluppo equilibrato delle economie e delle regioni in un ambito di cosiddetto libero mercato; che gli strumenti normativi, procedurali ed amministrativi di cui dispone la UE siano idonei al perseguimento di quegli obbiettivi.

La finalità ultima e dirimente della UE è in realtà il processo di integrazione all’interno del quale si predeterminano gerarchie, controlli e controllori sulla base di scontri, confronti, occupazione ed infiltrazione nei posti di comando che vedono regolarmente gli stessi deus ex-machina, attori principali e comparse. Le compensazioni previste sono solo una forma di redistribuzione parziale che non intaccano minimamente le dinamiche. Le rendono in realtà più tollerabili ed agevolano la fluidità del circuito domanda/offerta del mercato; le istituzionalizzano e le perpetuano con l’indebitamento.

Gli strumenti, compresi i fondi strutturali, sono stati tutti indistintamente costruiti in funzione di quella dinamica principale.

Il duo Merkel-Macron, da comprimari quali sono, a differenza di gran parte della nostra classe dirigente e del nostro ceto politico che le ignora o finge di ignorale, conoscono benissimo questa narrazione e le susseguenti implicazioni.

Sanno benissimo che passano attraverso un indebolimento progressivo delle prerogative e delle capacità di controllo e di intervento degli stati nazionali di cui sono essi stessi vittime rispetto agli altri attori geoeconomicopolitici; ma in misura molto minore, è questo infatti il loro ambito di azione prioritario, rispetto ad altri quali la Spagna e l’Italia. Di fatto l’UE agisce strutturalmente per garantire la libera circolazione finanziaria e per impedire la formazione di grandi imprese paragonabili in dimensioni e qualità a quelle americane ed ora cinesi, specie nei settori strategici dell’alta tecnologia e della difesa. I pochissimi settori nei quali Francia e Germania si sono ritagliati uno spazio, come nell’aereonautica (Consorzio AIRBUS), lo hanno acquisito a dispetto della UE e ora rischiano di perderlo grazie al mercimonio dei tedeschi i quali, forti della loro supposta “integrità morale”, dopo aver acquisito il controllo di una tecnologia francese a loro estranea, hanno recentemente cercato si svenderla agli americani in cambio di un loro benestare nell’acquisizione nel campo della chimica. Acquisizioni in cui sono compresi fardelli legali e risarcitori talmente pesanti da rivelarsi fatali per il colosso tedesco della Bayer. Il riferimento è alla ex-americana Monsanto. Altri, come il progetto Galileo, hanno goduto di un sostegno europeo parziale ma con pesanti limitazioni legate all’uso esclusivamente civile di una tecnologia di fatto superiore a quella americana. La conferma ulteriore di come i vincoli politici dai quali è legata la costruzione europea determinano le dinamiche e le scelte economiche.

Se il duo ha tanto insistito nel loro discorso sul carattere a fondo perduto di buona parte del “recovery fund”e sul “sure” e sull’interlocuzione diretta della UE con i beneficiari e le regioni, ma glissando elegantemente sulle necessarie garanzie pubbliche, è perché conoscono benissimo la frammentazione del panorama politico, lo scarso attaccamento alla nazione e allo stato nazionale di buona parte dello zoccolo duro dell’elettorato leghista e la propensione assistenzialista della componente grillina e progressista. Come le sirene con Ulisse, il loro di fatto è un richiamo alle origini di una Lega, possibilmente dimentica delle sue ambizioni di partito nazionale e nuovamente attratta dalle suggestioni di un polo eurobavarese, proprio nel momento in cui tra l’altro questo avrebbe meno da offrire.

Non è un caso altresì che il duo, accompagnato dieci giorni dopo dalla loro ventriloqua, abbia insistito sull’uso del canale dei fondi strutturali nella gestione del fondo. Non ostante l’ampia letteratura a disposizione, in Italia non riesce ad insinuarsi nemmeno il sospetto che quei fondi possano costituire il principale veicolo dell’integrazione, piuttosto che della coesione. Potenzialmente un veicolo di ulteriore esposizione alle dinamiche di squilibrio e di dipendenza delle zone depresse o a sviluppo intermedio rispetto ai centri politicoeconomici. Con il criterio del cofinanziamento vincolano, se non tutti, almeno la gran parte dei fondi statali al rispetto dei criteri europeistici, di quelle regole di concorrenza che impediscono il sorgere, con il necessario sostegno e la copertura pubblica in qualche maniera protezionistica, di realtà imprenditoriali autoctone. Una dinamica tanto più consolidata quanto meno sono disponibili risorse nazionali aggiuntive ed autonome per gli investimenti, quanto meno è presente l’ambizione a scelte autonome di una classe dirigente. Una ulteriore spinta al regionalismo, vecchio cavallo di battaglia della UE e di tante forze politiche non farebbe che accentuare tale predisposizione. È una tendenza fattiva che ha trovato tanto spazio e compromesso, nelle modalità di esercizio, paesi come l’Italia e la Spagna con i risultati ormai evidenti, ha intaccato la solidità della Francia, ha assunto una maschera simile ad una finzione nei paesi dell’Europa Orientale, indossata con il solo scopo di poter accedere ai fondi europei. La lezione degli anni ‘90 che ha portato, contestualmente al trasferimento all’Europa Orientale di gran parte dei fondi europei, allo smantellamento repentino in Italia delle agenzie nazionali e di tutto il relativo apparato tecnico-amministrativo in grado di progettare opere strategiche e processi di industrializzazione, nonché del sistema di incentivi non è stata appresa, pur considerando le grandi pecche di quel sistema. Solo la Germania è sembrata immune dalle conseguente di tali scelte, ma solo perché, risorta sotto impulso americano con una impronta federalista, esentata in quanto paese occupato da scelte di politica estera dirimenti e perché in possesso di una rete associativa e corporativa, direttamente coinvolta nelle scelte, tale da garantire sufficiente omogeneità politica tra i laender della federazione; soprattutto perché, grazie al suo progressivo e certosino controllo diretto ed indiretto delle leve politiche e burocratiche della UE, in questo ben avvallato dalla paterna accondiscendenza degli USA sino ad un paio di anni fa, ha saputo prepararsi e predeterminare gli indirizzi e la gestione di essa.

È arrivato il momento di chiarire un altro aspetto della natura particolare dell’azione delle strutture della UE in funzione dei due interventi oggetto di attenzione. Si parla costantemente di leggi e giurisprudenza europea. La produzione della Commissione Europea è fatta in realtà di norme frutto di trattative e pressioni degli Stati Nazionali ed espressione della immane attività lobbistica di aziende ed associazioni accettata e riconosciuta dagli organismi comunitari senza nemmeno i bilanciamenti che l’analoga legislazione americana, alla quale si è ispirata, ha creato a tutela dei cittadini e delle decisioni politiche; suscettibile quindi delle più svariate pressioni, interpretazioni e modifiche. Una dinamica che penalizza fortemente gli attori del panorama economico italiano. Che la UE non goda di uno statuto internazionale particolare è dimostrato dal fatto che organizzazioni internazionali come l’OMC non la riconoscano. Due aspetti che mettono all’angolo una volta per tutto il lirismo europeista della nostra classe dirigente utile a nascondere la propria assenza di protagonismo ed autorevolezza e il proprio fallimento; l’assenza di sagacia nelle continue contrattazioni in sede europea.

Alla luce di quanto detto le due novità più importanti degli interventi del duo e del commissario europeo assumono una luce particolare. La prima è che, almeno nelle intenzioni, la Unione Europea potrà diventare soggetto di imposta e quindi esattore diretto. La seconda è che comincia a farsi strada il concetto di tutela ed autonomia della produzione industriale. Due tabù cominciano ad essere messi in discussione. Il primo è l’acquisizione di una prima prerogativa statuale della UE, la riscossione delle tasse. Saremmo ben lontani dall’acquisizione della massa critica di risorse, stimata in un 20% del PIL, tale da dare corpo alla prerogativa; ma è un principio che comincia ad insinuarsi. La seconda appare una messa in discussione della verità assoluta del dogma del libero mercato. In quanto dogma, ben lungi ed impossibile da essere praticato coerentemente nell’azione quotidiana, quando si tratta in effetti di tradurlo in norme, comportamenti e sanzioni. Ma un’arma comunque necessaria da brandire alla bisogna in mano al censore investito e abilitato. Apparentemente parrebbe finalmente un sussulto di ambizione verso i potenti del globo. Non bisogna dimenticare però che uno dei protagonisti, Macron, è stato il cofautore della crisi del complesso nucleare francese, della cessione del settore delle turbine alla americana GE, strategico nel settore navale e nucleare, della produzione dei treni alla Siemens e di pericolosi tentennamenti nella vicenda AIRBUS. La seconda appare come la paladina di un primato industriale su prodotti maturi disposta a mantenere questa posizione sacrificando settori strategici altrui. Di una esposizione rischiosissima ai venti speculativi della finanza. Per non parlare della permeabilità esterna del proprio apparato istituzionale. Una coppia quindi molto poco credibile. Tanto più che l’obbiettivo strategico dell’economia verde può risolversi tranquillamente in un paravento per nascondere la residualità e la subordinazione nelle scelte strategiche, quello più corposo del 5G allo stato appare del tutto velleitario.

Allo stato l’iniziativa potrebbe assumere due significati non necessariamente alternativi.

Il primo potrebbe essere quello di gettare il cuore oltre l’ostacolo visto l’incalzare degli avversari interni ed esterni al progetto europeo e i punti fermi ormai stabiliti dalla Corte Federale tedesca che inibiscono ulteriori traccheggiamenti. Il secondo è che il vero obbiettivo è un riassetto definitivo degli equilibri interni che prevedono l’annichilimento definitivo di alcuni stati europei, l’Italia in primis; la definizione della Francia come partner politico-economico sostitutivo dell’Italia, come fornitore quindi dell’indotto, vista la crisi della sua grande industria. Un progetto però ancora tutto da definire e da costruire con parecchi terzi incomodi all’interno, soprattutto tra i paesi dell’Europa Orientale, legati del tutto strumentalmente ed opportunisticamente alla costruzione europea e molto più sensibili politicamente alle sirene americane; con numerosi e particolarmente influenti osservatori esterni, in primis gli Stati Uniti. I due potrebbero coltivare l’illusione, con la sconfitta di Trump, ad un ritorno al passato. Speranza mal riposta. Con il direttore d’orchestra che comincia a perdere colpi, il loro appare certamente un progetto foriero di conflitti distruttivi nel continenti piuttosto che un sussulto capace di costruire un nucleo politico di paesi europei in grado di partecipare attivamente alle dinamiche geopolitiche. Più che un oggetto di contesa, il nostro paese, con la sua attuale classe dirigente, appare in proposito, in questo contesto, una pallina da ping pong sballottata a piacimento senza alcuna considerazione. Dal punto di vista storico, in Europa ogni tentativo interno di posizione egemonica o di dominio continentale diretto si è risolto in catastrofi foriere di nuovi equilibri sempre precari. Non è detto che la storia si ripeta pedissequamente, ma gli ingredienti per una nuova disfatta si intravedono tutti.

https://www.elysee.fr/emmanuel-macron/2020/05/18/initiative-franco-allemande-pour-la-relance-europeenne-face-a-la-crise-du-coronavirus

https://ec.europa.eu/info/live-work-travel-eu/health/coronavirus-response/recovery-plan-europe_it

https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/about_the_european_commission/eu_budget/2020.2139_it_04.pdf

https://ec.europa.eu/info/live-work-travel-eu/health/coronavirus-response/recovery-plan-europe_it#documents

https://ec.europa.eu/info/live-work-travel-eu/health/coronavirus-response/recovery-plan-europe_it

CONFUSIONE ORGANIZZATA, di Pierluigi Fagan

CONFUSIONE ORGANIZZATA. Il mondo occidentale è da tempo in un difficile ed epocale transizione. Il modo occidentale di stare al mondo creato in Europa lungo i precedenti cinque secoli, il modo moderno, non dà più garanzie di fornire adattamento ai tempi che vengono. Si può leggere la difficoltà obiettiva di questa fase storica per il soggetto occidentale, almeno da cinquanta anni. La fase in corso vede un sistema già molto disordinato, colpito da una causa disordinante nuova, un virus con alta replicazione, medio effetto sanitario, bassa mortalità.

Il mondo occidentale è un sistema che gravita intorno a gli Stati Uniti d’America. Ma gli USA sono condannati a pagare il prezzo più alto della transizione storica. Gli USA sono il 4,5% della popolazione mondiale, avevano circa il 50% del pil mondiale ai primi anni ’50, oggi ne hanno la metà, nei prossimi decenni ne avranno la metà della metà. Rimane comunque una bella cifra visto il rapporto con la popolazione e visto che se la percentuale diminuisce, ciò su cui si applica aumenta. Tant’è che a livello di pil procapite, se un italiano ha in teoria 41.000 euro anno, un francese 48.000, un tedesco 55.000, un americano avrebbe ben 67.000 dollari procapite teorici. Ma non li ha, perché il sistema di ridistribuzione interno della ricchezza nazionale è particolarmente ineguale.

In America c’è un indice di diseguaglianza che è il doppio della Francia ed il triplo della Germania, cioè danno troppo a pochi e troppo poco a molti. Sono convinti sia giusto così perché la società deve premiare ad incentivi (quindi anche più dell’obiettivo valore) chi traina lo sviluppo economico, gli altri vengono trascinati. Quando il totale della torta era molto ampio, questo sistema sbilanciato permetteva comunque di avere il 10% meno ricco sopra la linea della minima decenza. Quando il totale si è andato contraendo, il 10% meno ricco è andato sotto, anche più del 10%. Nel tempo sarà molto più del 10% che andrà sotto se non si cambia il sistema di ridistribuzione, ma pare che nessuno abbia in agenda questa ristrutturazione che prima che fiscale è culturale. Quindi rimane solo la possibilità di gestire la tensione sociale da una parte e lottare sempre più furiosamente per mantenere alta la propria percentuale di pil del mondo, il che porta a vari tipi di tensioni per dominarlo ed impedire che altri concorrenti emergano.

Negli ultimi tempi, è arrivato il virus. Il presidente americano ha capito subito i danni che il virus avrebbe fatto non tanto o solo dal punto di vista sanitario, ma dal punto di vista economico. Tant’è che non ha fatto assolutamente nulla per tempo, pur sapendo perfettamente cosa stava succedendo. I suoi strateghi di comunicazione, hanno sviluppato una strategia di confusione organizzata ben precisa. Ogni giorno, qui su facebook, qualche ingenuo pubblica articoli, video, filippiche negazioniste, rivelazioni sconcertanti, movimenti contro le mascherine, dubbi statistici e sanitari, insight conto l’OMS, Bill Gates, Rothschild ed altri “illuminati” che tramano per farci loro schiavi biopolitici. Il virus non c’è, se c’è non è così grave, se è grave è colpa dei cinesi, comunque è meno grave della crisi economica che porterà, meno grave della perdita della libertà, comunque poi arriva qualche vaccino, forse. C’è una marea montante di agenti confusionari sul fronte informativo, di agitatori politici su quello sociale, tutti tesi a “gestire” il problema. Si sarebbe potuta investire la stessa energia dal punto di vista epidemiologico o sanitario, ma sarebbe stato ammettere che in effetti c’era il virus, il che avrebbe fatto sì che effettivamente il virus, modificando i comportamenti individuali, avrebbe depresso oltre il gestibile l’economia già duramente colpita.

Il virus pare colpisca la popolazione afroamericana col doppio di incidenza delle altre etnie, ma nessuno sa perché. Certo, ci possono esser ragioni sociali ma non è detto poiché altre etnie come gli ispanici sono socialmente deprivati eppure hanno incidenze molto più lievi. Sta di fatto che dal punto di vista sanitario è così e certo la strategia negazionista del governo, acuisce il senso di paura ed ingiustizia. Poi si sommano gli effetti sociali, diversi punti percentuali di disoccupazione per gli afroamericani in più rispetto ai bianchi i quali però, per la prima volta da decenni, si trovano anch’essi in relativa massa esposti alla disperazione sociale. Il morto di Minneapolis, diventa la scintilla che appicca l’incendio sociale. Come per le epidemie, come per gli incendi, intervenendo subito si soffoca il fenomeno sul nascere, ma perché soffocarlo e non invece alimentarlo?

Ecco allora comparire assaltatori di negozi ed istituzioni, qualche sparo, qualche morto, distruzione della proprietà che in America è peggio che stuprare la figlia del vicino, il Presidente che twitta minacciando cani che sbranano i manifestanti, forse a breve (ma non tanto breve, “the show must go on” almeno finché frutta sempre maggiore richiesta popolare di ordine e di disciplina) l’esercito. E visto che organizzare attriti e confusioni è ritenuto buono per manipolare gli andamenti sociali, scatta anche la guerra ai social.

Nel frattempo, dopo la fiammata di accuse sull’origine manipolata o forse solo distratta del virus da parte cinese, tra nuovi dazi e sanzioni, sponde verso Taiwan, manipolazione dei moti di Hong Kong, pronunciamenti del congresso in favore degli Uiguri, guardando con occhio interessato e chissà se solo con l’occhio alle tensioni tra Cina ed India, guerriglia sul 5G e pressioni su Israele che fa affari con Pechino, si combatte la battaglia fondamentale: rallentare la rincorsa cinese. E’ la rincorsa cinese infatti, la forza che spinge a restringere ulteriormente il peso del pil americano sul totale mondo, direttamente ed indirettamente.

Poiché Merkel l’altro giorni gli ha detto in una litigata la telefono che lei non sarebbe andata al G7 pianificato a giugno, Trump lo sposta a settembre ma invitando i russi (e questo già si sapeva) ma anche australiani, coreani del sud ed indiani ovvero la nuova cintura di contenimento anti-cinese. Tanto non si farà neanche a settembre, a due mesi dal voto chi si espone senza saper nulla del dopo?

Virus, crollo economico, social, Cina e chissà cos’altro da qui a novembre quando si voterà per la presidenza. Tutto il mondo e quello occidentale in particolare, è invitato, obbligato a scegliere modalità referendum, tra “o con noi o contro di noi” ed internamente “o con me o contro di me”. Anarchici assaltatori della proprietà privata e marmaglia nera evocati sul piano interno, cinesi infidi ed illiberali su quello esterno, una vaga e confusa nuvola di scienziati al soldo di Big Pharma (il secondo maggior contributore elettorale di Trump), Bill Gates, microchip sottocutanei, social media, Rothschild, onde del 5G (se il 5G fosse americano sarebbe salutare, ovvio, come lo sono le onde elettromagnetica del wi-fi o delle reti mobili tradizionali che ovviamente non lo sono affatto), Rockfeller, socialisti, globalisti, WHO, non c’è più destra né sinistra ma solo popolo verso élite (purché siano vaghe, lontane, imprecisate e soprattutto non quelle che governano l’America) per tutti i confusi del quadrante occidentale.

Mancano poco più di cinque mesi alle elezioni ed andrà sempre peggio, statene certi. Dispiace perder tempo a scrivere queste banalità, ma vedo che per molti non sono banalità. Soprattutto per qual vasto gruppo di brancolanti nel buio che si è arruolato spontaneamente a difendere il paladino del popolo ed i suoi centri di potere al centro della lotta per il potere imperiale. I tanti “servi volontari” che si sommano a fascistelli e conservatori di varia foggia, che palpitano accorati nella difesa dei valori occidentali più fondanti: perpetuare il potere dei Pochi su i Molti.

[Ho preso questa simpatica “mappa del delirio” da un post sulla pagina del >movimento arancione del Gen. Pappalardo (che fa già ridere così)<, un altro movimento organizzato perché la confusione non è mai troppa di questi tempi].

tratto da facebook

Libia: fine del gioco per il maresciallo Haftar?, di Bernard Lugan

Il maresciallo Haftar non è riuscito a prendere Tripoli, nonostante i suoi annunci di vittoria e il massiccio aiuto ricevuto dall’Egitto e dagli Emirati Arabi Uniti. Nelle ultime settimane ha anche subito gravi battute d’arresto militari, perdendo la posizione strategica di Gharyan e la base aerea di Watiya in Tripolitania.

Ecco i quattro motivi di questo scacco:

1) Il maresciallo Haftar non ha fanteria, i suoi unici veri combattenti sul campo sono mercenari, principalmente sudanesi, supportati da contractors russi di basso valore militare. Questi ultimi si sono appena ritirati dal fronte di Tripoli dopo aver subito gravi perdite al cospetto delle forze speciali turche.

2) Le milizie di Zintan di cui sperava il supporto si sono schierati alla fine con i turchi-tripolitani.

3) L’intervento militare della Turchia ha rovesciato l’equilibrio di potere a favore del GNA (Governo dell’Unione Nazionale) di Tripoli.

4) La Russia, che non ha mai ingaggiato il suo esercito, ritiene che Haftar non sia più l’uomo giusto alla attuale situazione.

 

Pertanto sorgono quattro domande:

–  Qual è la linea rossa tracciata dalla Russia alla Turchia?

– Chi succederà al maresciallo Haftar a Bengasi?

– Quale soluzione politica è possibile?

– Quali conseguenze per il presidente Déby i cui oppositori sono installati a Fezzan?

 

1) Dov’è tracciata la linea rossa dalla Russia?

Dopo aver sostenuto il maresciallo Haftar, Mosca si è resa conto che costui non era in grado di prendere il potere a Tripoli. I russi sanno anche che il maresciallo è odiato in Tripolitania, dove coloro che hanno rovesciato il regime del colonnello Gheddafi lo considerano, giustamente o erroneamente, come suo successore. Questo è il motivo per cui sembrano averlo abbandonato, ma fissando una linea rossa alla Turchia. Dove è tracciata? Ecco tutta la questione

Per Mosca, la priorità è congelare la situazione sul terreno, in attesa di trovare un successore del maresciallo Haftar, che implica un’evoluzione nelle posizioni dell’Egitto e in particolare degli Emirati Arabi Uniti i quali sostengono ancora quest’ultimo. Militarmente, e da quello che è possibile sapere, Mosca avrebbe deciso di santuarizzare il fronte a ovest di Sirte.

In questo contesto, l’annuncio americano dell’invio di aerei russi ultra moderni al generale Haftar è una disinformazione perché, per quanto ne sappiamo, questi aerei “moderni” sono in realtà quattro dispositivi di seconda mano che, in ogni caso, non modificheranno l’equilibrio delle forze sul terreno.

2) Chi succede al maresciallo Haftar?

Diversi nomi sono in predicato. Tra questi, i “candidati” più autorevoli sembrano essere:

– Il generale Abderrazak Nadhouri, l’attuale capo dello staff, la cui stella è però offuscata dalle sconfitte subite in Tripolitania contro le forze turco-misuratine.

– Il Generale Ahmed Aoun, della tribù Ferjan nella regione di Sirte. Se questo ex generale di Muammar Gheddafi, popolare nell’esercito del maresciallo Haftar, fosse naturalmente in grado di radunare i kadhafisti della Tripolitania, quale sarebbe la reazione di coloro che rovesciarono il vecchio regime, in particolare il potente Zintani ?

– Si dice che Aguila Salah, il presidente della Camera dei rappresentanti che siede a Tobrouk sia il puledro dell’Egitto. L’uomo si è opposto al maresciallo Haftar da quando, consapevole del punto morto militare in cui si era cacciato, aveva proposto un piano per porre fine alla crisi attorno alla riforma di un consiglio presidenziale tripartito su base regionale ( Tripolitania, Cirenaica e Fezzan).

3) Soluzioni politiche

La domanda è semplicemente affermata:

– Con la Turchia impegnata militarmente a fianco del GNA, il generale Haftar non prenderà Tripoli.

– Con la Russia che santifica la Cirenaica, il GNA non prevarrà a Bengasi.

Conclusione: la negoziazione può quindi riprendere. Ma su basi diverse da quelle irrealistiche, perché solo elettorali, poste dalla “comunità internazionale”.

In tal modo :

1) Alla conferenza di Berlino dello scorso gennaio, la divisione del potere era stata quasi stabilita, il comando dell’esercito tornato in Cirenaica e la presidenza in Tripolitania. Tuttavia, i negoziati si erano fermati sul posto da assegnare al generale Haftar che, spinto dagli Emirati, aveva adottato una posizione massimalista che aveva interdetto la Russia.

2) Fayez el Sarraj, il capo del GNA (governo dell’Unione nazionale) con sede a Tripoli potrebbe dimettersi. Chi lo potrebbe sostituire allora? Misrati Fahti Bachaga essendo unanime con tutti coloro che temono il dominio della città-stato di Misrata sulla Tripolitania, un’opzione più consensuale sarebbe quella di Zentani Oussama Jouli. Soprattutto dal momento che quest’ultimo ha radunato nella sua persona la frazione di Zintani fino ad allora alleata con il generale Haftar, ma che ha permesso alle forze turche-GNA di riprendere la base aerea di Watiya il 12 maggio. È importante notare che, durante la guerra contro il colonnello Gheddafi, le forze speciali francesi avevano appoggiato le truppe di Osama Jouli.

Ci saremmo così spostati, in un certo senso, verso un ampio federalismo. Resta da risolvere la questione della condivisione del petrolio che, tenendo conto delle posizioni geografiche dei depositi, faciliterebbe la ricerca di un equilibrio territoriale.

4) Conseguenze per il Ciad

Con le forze di Misrata-GNA-Turchia che attualmente hanno acquisito un vantaggio, probabilmente le tribù fezzane si uniranno a loro. Se così fosse, le conseguenze regionali sarebbero quindi significative perché la Turchia, che già sostiene i gruppi terroristici armati nel BSS, sarebbe quindi direttamente in contatto con l’area, costringendo così Barkane a riposizionarsi a Madama.

In realtà, il generale Haftar non ha mai veramente controllato il Fezzan, il suo unico supporto quasi affidabile è che ci sono alcune tribù arabe i cui capi vengono comprati. Per il resto, i Toubou che odiano gli arabi vendono al miglior offerente e, come per i tuareg, si sporgono verso Tripoli.

Tuttavia, questo Fezzan in cui le tribù definiscono le loro alleanze in base all’equilibrio di potere a Tripoli e Bengasi, è la retrovia degli avversari del presidente Déby. Per la cronaca, nel 2019, la loro ultima offensiva, che stava per raggiungere N’Djamena, è stata bloccata solo dall’intervento dell’aviazione francese.

Tra questi oppositori, quello che sembra essere attualmente il più militarmente pericoloso per il presidente Déby è il Toubou-Gorane Mahamat Mahdi Ali che è a capo del FACT (Fronte per l’alternanza e la concordia in Ciad). Quest’ultimo che afferma di avere 4000 combattenti, sa di poter contare sul bacino etnico che si estende sulle regioni di Borkou, Ennedi e Kanem. Per il momento, le sue forze sono di stanza nella Libia centrale, a circa sessanta chilometri da Jufra, nella regione di Jebel Sawad (Fonte: Fezzan Consultation ). Il crollo del generale Haftar avrebbe quindi aperto Mahamat Mahdi Ali, una “finestra di fuoco” che non avrebbe mancato di sfruttare.

http://bernardlugan.blogspot.com/

Iran, Cina e Russia: alleati ad hoc?, di Michel Nazet

I media occidentali sono stati ossessionati dalle posizioni anti-occidentali dell’Iran sin dalla Rivoluzione islamica del 1979 e dal suo presunto desiderio di acquisire armi nucleari. Le relazioni dell’Iran con la Russia, come con la Cina, sono quindi un po ‘il volto nascosto della politica estera iraniana e ne sono state completamente nascoste, fino ai piani per la (ri) costituzione dell’Eurasia per la Russia e la Terra Via della seta per la Cina.

 

I legami con la Cina sono attestati dai rapporti tra i Parti e i Cinesi, quindi dall’esistenza della via della seta che attraversava, dal II E  secolo prima di J. – C., tutto il nord della Persia, ed era un vettore di scambi di tutti i tipi. La Persia, la Cina e gran parte della Russia furono persino brevemente unificate dai mongoli tra il 1227 e il 1259, prima che il loro impero si spezzasse.

Quindi le relazioni con la Cina furono ridotte. Con la Russia, sono diventati sempre più difficili, la rimozione di Mosca a Persia numerosi territori nel XIX °  secolo (vedi mappa a pagina 47). Nel 1920, i comunisti incoraggiarono la creazione di una repubblica effimera di Gilan nel nord del paese; nel 1945 e nel 1946, Stalin cerca ancora di strappare l’Azerbaigian e il Kurdistan dalla Persia all’Iran. Queste minacce portano l’Iran a rivolgersi all’Alleanza occidentale e aderire al Patto di Baghdad.

L’Iran è alla ricerca di nuovi partner

La logica geopolitica contemporanea degli ultimi decenni ha avvicinato l’Iran alla Russia e alla Cina. Rompendo con gli Stati Uniti, sentendosi minacciato dall’accerchiamento delle potenze sunnite, molte delle quali sono ostili nei suoi confronti, traumatizzati dal suo isolamento durante la guerra con l’Iraq, Teheran adotta una politica estera “anti-egemonica”, neutralista e terzo mondo.

Pertanto, l’Iran si oppone principalmente agli Stati Uniti, influenti nel Golfo Persico, che si oppongono all’adesione al rango di potere internazionale dell’Iran.

Inoltre, ha sentito parlare a nome dei paesi del Sud, rifiutando il Washington Consensus (1) e facendo una campagna per un pianeta multipolare. Questo impegno si riflette in una posizione eminente all’interno del movimento non allineato, di cui Teheran è diventato il quartier generale dal 2012 e di cui Hassan Rohani è l’attuale segretario generale.

Queste posizioni hanno portato l’Iran ad avvicinarsi al suo vicino russo e alla Cina, che sono anche parte di una sfida all’attuale ordine mondiale e di una sfida a un egemonismo americano percepito come dinamico e minaccioso …

Verso un “nuovo impero mongolo”?

Di conseguenza, le relazioni tra i tre stati si sono intensificate solo a causa di molti interessi comuni (sensazione di essere circondati dagli Stati Uniti, lotta contro il terrorismo di ispirazione jihadista e traffico di droga in generale ed eroina in particolare).

L’Iran è quindi diventato, negli ultimi anni, un partner privilegiato della Russia, nell’ambito di un partenariato di cooperazione militare del 2001 rafforzato all’inizio del 2015, per gli acquisti di armi (quindi i missili antiaerei avanzati S-300 tra cui Mosca ha appena sbloccato la consegna), l’energia nucleare civile (costruzione della centrale di Bouchehr ), il settore del gas. Più recentemente, a marzo 2015, a seguito dell’embargo russo sui prodotti agricoli europei, l’Iran e la Russia hanno firmato un importante contratto che promuove le esportazioni iraniane di prodotti della pesca e dei prodotti lattiero-caseari, nonché i trasferimenti finanziari.

Allo stesso tempo, le relazioni economiche tra Iran e Cina si sono sviluppate fortemente dal 2004. Nonostante le pressioni, Pechino non applica le sanzioni imposte dalle Nazioni Unite. La Cina è quindi diventata dall’inizio del decennio il primo partner economico dell’Iran (l’Unione Europea, da tempo in prima fila, essendo caduta al quarto posto); importa principalmente idrocarburi (50% di petrolio iraniano esportato) e prodotti petrolchimici. Il commercio, che ha raggiunto i 30 miliardi di dollari nel 2010, ora supera i 40 miliardi con l’obiettivo di 100 miliardi all’anno.

 

Allo stesso modo, mentre l’Iran ha posizioni molto vicine a quelle formulate dai BRICS e vi è collusione da parte degli organi di stampa iraniani, russi e cinesi, questo paese è diventato un osservatore presso la Shanghai Cooperation Organization ( dove Pechino e Mosca siedono già) nel 2005 e potrebbero diventare membri a pieno titolo al vertice di Ufa a luglio 2015. Infine, recentemente, il 3 aprile 2015, l’Iran ha aderito come membro fondatore dell’iniziativa bancaria cinese Asian Investment Bank , la Asian Infrastructure Investment Bank , alla quale gli Stati Uniti e il Giappone hanno rifiutato di aderire …

Sembra quindi prendere forma un asse Mosca-Teheran-Pechino che Thomas Flichy di La Neuville ha descritto come “il  nuovo impero mongolo (2)” e che Zbigniew Brzezinski aveva previsto dagli anni ’90.

Un’entità improbabile …

I tre paesi, plasmati da un acuto sentimento nazionale, sono lungi dall’avere dimensioni geografiche e umane comparabili. Sentono anche il bisogno assoluto di aprirsi agli Stati occidentali che rappresentano una domanda di solventi e sono fornitori di capitale e tecnologia … La loro capacità di opporsi all’egemonia è quindi limitata e irregolare.

Hanno anche interessi che possono rivelarsi divergenti. Ognuno aspira, sulla scala del continente asiatico, un luogo strategico che, se geograficamente complementare, compete anche con quello dei suoi due partner. Questa divergenza di interessi può quindi alimentare solo ulteriori motivi e sospetti, concretizzati dalle posizioni ambivalenti di Cina e Russia, ieri durante il conflitto iracheno-iraniano, oggi sull’energia nucleare iraniana. La Russia, in particolare, può sinceramente desiderare che Teheran acquisisca armi atomiche? D’altra parte, le controversie del passato hanno perso parte del loro significato poiché i due paesi non hanno più un confine terrestre dalla rottura dell’URSS. Né esiste, per il momento, una lotta per l’influenza in Asia centrale, anche nel Tagikistan della cultura iraniana. Qui la rivalità riguarda Mosca e Pechino.

 

Infine, questi paesi hanno poco in comune culturalmente e ideologicamente. I loro sistemi sociali non hanno nulla di paragonabile.

Tutto sommato, l’Iran, la Cina e la Russia condividono indubbiamente una visione divergente del mondo da quella trasmessa dall’Occidente, mentre la loro vicinanza geografica autorizza l’implementazione di complementarità economiche e collusione strategica. Ma hanno particolarità irriducibili che, se non ostacolano un inevitabile riavvicinamento, impediscono loro di essere troppo fuse. L’Iran ha quindi il suo progetto geopolitico per diventare una potenza regionale la cui influenza si estenderebbe sia al Medio Oriente che all’Asia centrale al fine di cessare di essere “una potenza limitata”. A medio termine, questo progetto prevede migliori relazioni con l’Occidente e anche con la Turchia, la chiave per il mondo di lingua turca.

Anche se la sua realizzazione, un vasto programma, richiederà non solo una normalizzazione del potere iraniano, ma anche una pacificazione regionale attualmente fuori portata, la straordinaria diplomazia iraniana, che si dice non sia mai buona come quando opera sul precipizio, tra cui lavoro…

 

  1. I principi delle politiche liberali incoraggiate dal FMI sono così chiamati: deregolamentazione, privatizzazioni, apertura, rigore di bilancio, ecc.
  2. Thomas Flichy di La Neuville, Cina, Iran, Russia, un nuovo impero mongolo? Lavauzelle, 2013.
  3. https://www.revueconflits.com/iran-chine-russie-allies-de-circonstance-michel-nazet/

La politica dello spazio, di  Jacek Bartosiak

La politica dello spazio

La prima puntata di una serie in quattro parti che esplora la concorrenza sullo spazio.

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Mentre scrivo questo articolo, chiuso nella bellissima regione della Warmia nella Polonia settentrionale, vicino al sito della campagna invernale di Napoleone del 1806-07, le ricadute della pandemia di coronavirus sembrano intensificare la rivalità tra Stati Uniti e Cina. Ricorda un fulmine che colpisce prima di una tempesta, illuminando un campo di battaglia poco prima dell’inizio di una nuova battaglia.

I campi di battaglia tra grandi potenze di solito consistono in cose come lavoro, commercio, produzione, valuta, investimenti e tecnologia. In un’economia globalizzata, il controllo su queste aree dà a un paese la capacità di imporre la propria volontà sugli altri – che è la definizione di potere. In precedenza erano controllati da potenze regionali all’interno delle loro sfere di influenza e dal crollo dell’Unione Sovietica sono stati dominati dall’unica superpotenza del mondo – gli Stati Uniti – che possiede una marina con portata globale, una valuta globale, una proiezione di potere capacità e superiorità nei mondi tecnologici e finanziari.

Ma il fattore più importante che determina il potere strutturale di un paese nell’economia globale è il suo vantaggio tecnologico. La capacità e la volontà di abbracciare la modernizzazione è una fonte di grande profitto e potere.

La tecnologia crea “nuove economie”, premiando coloro che investono in anticipo e abbracciano il cambiamento, lasciando indietro coloro che resistono al cambiamento e mantengono lo status quo. In questo modo, altera l’equilibrio del potere. Possiamo vedere questi cambiamenti di paradigma con le innovazioni in agricoltura, l’invenzione della polvere da sparo, l’addomesticamento e l’allevamento dei cavalli e i progressi nelle tecnologie di produzione e navigazione.

La rivoluzione industriale, il motore a vapore, il motore a combustione interna, l’aviazione, la metallurgia e Internet pongono i paesi occidentali ai vertici della gerarchia internazionale. È stata la capacità dell’Occidente di modernizzare che l’ha spinta verso l’alto e l’ha trasformata in un modello per gli altri che cercano di far avanzare il proprio status nel mondo.

Coloro che hanno modernizzato hanno preso parte alla corsa della civiltà; quelli che non ne sono usciti, e spesso si sono trovati divisi o colonizzati (il Commonwealth polacco-lituano e la Cina sono esempi chiave). In questo modo, la modernizzazione è uno sforzo geopolitico e una fonte di competizione senza fine tra tutte le aspiranti grandi potenze del mondo.

L’Inghilterra, un tempo povera e periferica, utilizzava la tecnologia per costruire una flotta di livello mondiale in grado di attraversare l’Atlantico. Ha sconfitto i suoi concorrenti nella corsa ai profitti della nuova economia, aprendo così la strada al suo controllo del mondo. La Cina, invece, ha avuto meno successo. Nel 15 ° secolo, prese la decisione imprudente di distruggere la propria flotta esplorando l’Oceano Indiano e la costa africana, mentre cercava di aggrapparsi al vecchio paradigma in cui molti decisori chiave cinesi erano a proprio agio. In tal modo, ha dimostrato che le cattive decisioni geostrategiche – contrarie alla modernizzazione – possono portare al collasso della propria civiltà.

In passato, epidemie e guerre hanno accelerato gli sforzi di modernizzazione. Radar britannico, bomba atomica e missili balistici tedeschi: tutte queste innovazioni sono nate dall’ultima guerra mondiale. Perfino Sputnik e i voli con equipaggio sulla luna erano in qualche modo i prodotti di quel conflitto e del programma tedesco sui missili balistici V-2. Wernher von Braun era, dopo tutto, uno dei principali architetti del V-2 e in seguito il cervello dietro al programma Apollo degli Stati Uniti.

La guerra fredda ha intensificato la competizione per la supremazia tecnologica. Le potenze hanno gareggiato per dimostrare le loro capacità in una serie di aree: razzi, aerei, radar, navi, ottica, circuiti integrati, microchip, voli spaziali e armi nucleari e termonucleari. Gli Stati Uniti hanno dimostrato la loro superiorità con iniziative come il Progetto Manhattan, il programma Apollo e la triade nucleare. Ma quando divenne evidente negli anni ’70 e ’80 che i sovietici avevano perso la corsa allo spazio, gli americani iniziarono a lasciarsi andare. Smisero di volare missioni con equipaggio sulla luna, contenti di lanciare voli verso un’orbita bassa della Terra facilmente raggiungibile, con l’aiuto di una tecnologia un po ‘migliorata sebbene datata degli anni ’60 e ’70.

60 anni di esplorazione spaziale
(clicca per ingrandire)

Era arrivata l’era della globalizzazione. Francis Fukuyama ha annunciato la fine della storia. Nuovi mercati hanno iniziato ad aprirsi. È emerso un mondo unipolare. Ma la fine della rivalità tra Stati Uniti e Unione Sovietica ha portato un forte legame strategico, certamente quando si è trattato di esplorazione dello spazio, mentre il compiacimento degli Stati Uniti ha aperto le porte alle potenze emergenti – vale a dire la Cina – per competere con uno spazio USA sempre più inefficiente e un programma sottofinanziato.

In effetti, quando si tratta di esplorazione dello spazio, non è successo molto dopo la fine dell’Unione Sovietica. I lanci dello space shuttle si sono rivelati inefficienti. Gli Stati Uniti sono diventati dipendenti da altri paesi per accedere alla stazione spaziale internazionale. La NASA è diventata un simbolo di ipertrofia burocratica e cattiva gestione finanziaria. Durante il periodo in carica del presidente Barack Obama, alcuni hanno persino suggerito che fosse completamente eliminato e che il programma spaziale fosse terminato.

La mancanza di progressi è in parte dovuta alle risorse finanziarie necessarie per mantenere un moderno programma spaziale, in modo tale che solo le nazioni più potenti con le maggiori economie possano permettersi di averne uno. Oltre ai soldi, hanno bisogno di una visione e una strategia. Un primo esempio dell’inefficienza dell’attuale programma spaziale è lo Space Launch System della NASA, un’iniziativa estremamente costosa sostenuta principalmente da legislatori di stati come la Georgia e l’Alabama dove viene prodotto il sistema.

Queste inefficienze sono un sintomo della debolezza strutturale del sistema politico americano. Pertanto, imprenditori come Elon Musk e Jeff Bezos – i moderni Cristoforo Colombo e Vasco da Gama – hanno raccolto la bandiera della causa, lanciando i propri progetti spaziali con iniziative come SpaceX e Blue Origin.

Esploratori come Musk e Bezos, o Columbus e da Gama, o la moltitudine di temerari senza nome e coloro che assumevano rischi prima, hanno affrontato enormi sfide e rotto vecchi paradigmi. Spesso tali avventurieri hanno dovuto affrontare carenze finanziarie, derisioni e attacchi costanti. Il cambiamento è dirompente e alla gente non piace l’interruzione, quindi alla gente non piace il cambiamento.

Inoltre, con la fine della Guerra Fredda è arrivata l’illusione di una fine della storia: la convinzione che il liberalismo avesse trionfato e che forse i giorni peggiori di cambiamento e distruzione fossero passati. Nel corso della storia umana, i vincitori hanno sempre ipotizzato che il loro trionfo rappresentasse la fine della rivalità geopolitica. Che la vittoria degli Stati Uniti nella guerra fredda fosse dovuta principalmente al dominio tecnologico dell’Occidente e alla promessa di modernizzazione in qualche modo sfuggì alla nostra percezione.

Invece, il sogno di belle relazioni tra le persone ha legato le mani dei leader occidentali, in particolare gli americani, e ha bloccato il percorso verso azioni più audaci in nuove aree come lo spazio. L’idea che il cosmo e le sue illimitate possibilità e risorse appartenessero a tutta l’umanità – non solo a coloro che vi arrivarono per primi – era seducente. E se non ci fosse urgenza e chiarezza su chi pagherà e su chi trarrà beneficio dai frutti dell’esplorazione, allora gli investimenti pubblici e privati ​​per finanziare l’esplorazione dello spazio potranno aspettare.

Esistono chiari parallelismi con l’esplorazione dei mari e degli oceani, a cui il cosmo è strutturalmente (dal punto di vista dell’uso e del controllo) paragonabile. Solo i grandi poteri hanno capacità spaziali. I paesi senza tali capacità assomigliano a quelli privi di sbocco sul mare. In un’era di grande competizione di potere, tali stati non avrebbero fatto liberamente uso dell’esplorazione del mare. Solo durante i periodi in cui esisteva un egemone navale che approvava i principi del movimento, tutti gli stati potevano beneficiare del potenziale del mare dato. Al momento non esiste un singolo arbitro nello spazio, almeno non ancora. Quindi seguono le implicazioni.

Discussioni simili hanno avuto luogo durante i periodi di grandi scoperte geografiche: chi possiede le terre scoperte e i loro frutti? Su quali principi viene utilizzato l’oceano mondiale? Chi possiede l’Atlantico e le linee di comunicazione della nuova economia? Tali dibattiti si sono sempre conclusi allo stesso modo: il potere decide e il potere vittorioso impone la sua volontà di diventare arbitro della nuova economia. La Gran Bretagna ha giocato il gioco in più fasi e con grande maestria, con Trafalgar come ultimo tocco della grande visione.

Nell’era della recente globalizzazione, l’Occidente voleva credere che il corso della storia potesse essere domato e controllato e che le persone fossero cambiate. Soprattutto, che questa volta sarebbe stato diverso.

Non lo sarà.

Nel dicembre 2019, gli americani hanno creato Space Force. Durante l’inaugurazione, il presidente Donald Trump ha dichiarato: “lo spazio è il più nuovo dominio di guerra al mondo. Tra le gravi minacce alla nostra sicurezza nazionale, la superiorità americana nello spazio è assolutamente vitale. E stiamo procedendo, ma non  abbastanza. Ma molto presto, saremo in testa a molti. La Forza Spaziale ci aiuterà a scoraggiare l’aggressività e controllare l’altura più elevata. “

Trump ha aggiunto nelle osservazioni successive: “L’essenza dell’uomo americano è esplorare nuovi orizzonti e domare nuove frontiere. Ma il nostro destino, oltre la Terra, non è solo una questione di identità nazionale, ma una questione di sicurezza nazionale. Così importante per i nostri militari. Così importante. E la gente non ne parla. Quando si tratta di difendere l’America, non è sufficiente avere semplicemente una presenza americana nello spazio. Dobbiamo avere il dominio americano nello spazio. “

Pertanto, nella visione di Trump, sono gli Stati Uniti ad essere il guardiano del nuovo oceano mondiale, l’arbitro dei principi che regolano i viaggi nello spazio e i flussi strategici di persone, merci, investimenti, tecnologia, dati e conoscenze . A tal fine, gli Stati Uniti vogliono controllare la proiezione della forza dallo spazio alla Terra e viceversa, e allo stesso tempo controllare i sistemi di osservazione della Terra e le comunicazioni in entrambe le direzioni.

La competizione tra gli Stati Uniti e la Cina sarà del tutto incomparabile rispetto a qualsiasi cosa precedente. Una Cina sveglia è un grande potere. Quando gli Stati Uniti divennero un paese potente, la Cina praticamente non esisteva come importante centro statale, essendo stata colonizzata e dettata da potenze straniere. Mai nella storia c’è stata una Cina potente e un potente Stati Uniti allo stesso tempo. Le voci allarmistiche affermano addirittura che non c’è posto per entrambi allo stesso tempo.

Quando le potenze europee stavano combattendo per il dominio in Europa, mentre venivano scoperte nuove rotte attraverso l’Atlantico verso l’America e verso l’Asia intorno all’Africa e cambiando le economie e il commercio, esse consumarono le risorse necessarie per combattere per il dominio sul loro vecchio mondo natio – cioè  l’Europa. Nella prossima battaglia per la supremazia sulla Terra e la sua economia globalizzata, il centro di gravità delle catene del valore e delle tecnologie esistenti sarà rapidamente bloccato in una situazione di stallo, assomigliando alle Fiandre nel 1914-18. Pertanto, la concorrenza in nuovi campi e domini passerà alle catene del valore e alle tecnologie future, che creeranno industrie e produzione nel 21 ° secolo: 5G, intelligenza artificiale, stampa 3D, produzione distribuita, produzione spaziale in un vuoto, energia solare economica e illimitata energia, comunicazione dallo spazio alla Terra, esplorazione ed estrazione di risorse spaziali, ecc. La nuova economia è tradizionalmente creata da una svolta basata sull’accesso a nuove materie prime, nuove tecnologie di produzione e nuova connettività. L’esplorazione dello spazio promette tutti e tre contemporaneamente.

La nuova civiltà riguarderà le tecnologie emergenti, ma la condizione per questo è il dominio militare. In effetti, l’uno abilita l’altro. E nello spazio non c’è premio per il secondo posto; chi ottiene il controllo dell’accesso può negare l’accesso ad altri.

Non ci può essere illusione: nessuna delle due parti si arrenderà senza combattere. Per gli americani, non c’è spazio per l’alloggio nel loro attuale modello socio-economico. Non ascolteranno gli avvertimenti di Henry Kissinger, che teme il confronto con la Cina, né ascolteranno Kishore Mahbubani di Singapore, un collega del leggendario fondatore del paese, il defunto Lee Kuan Yew. Mahbubani crede che gli Stati Uniti debbano adattarsi al potere della Cina perché gli Stati Uniti hanno già perso la battaglia.

Neanche i cinesi si arrenderanno. Accettare le richieste di Washington sarebbe visto come un accordo con le versioni moderne dei trattati ineguali che hanno portato all’età dell’umiliazione del XIX secolo. La Cina è determinata a non cambiare la sua strategia di crescita, soprattutto perché gli ultimi 40 anni sono probabilmente il periodo migliore della storia dei 4.000 anni del Regno di Mezzo. Allora perché dovrebbe cambiare qualcosa adesso, specialmente quando il Paese che richiede il cambiamento è in circolazione da meno di 250 anni, un breve periodo dal punto di vista cinese?

James Carafano della influente Heritage Foundation con sede a Washington ha recentemente annunciato la rottura della cooperazione tra Stati Uniti e Cina, il divorzio della catena di approvvigionamento globale e la divisione del mondo in sfere di influenza: Nord America, Europa di fronte all’Atlantico e parti di Asia orientale in una zona e Cina e suoi alleati nell’altra zona. Con le parole di Slawomir Debski dell’Istituto polacco per gli affari internazionali, questo pone la Polonia, come avanzata roccaforte occidentale di fronte alla grande massa terrestre dell’Eurasia, sotto il potere della Cina.

Allo stesso modo, Andrew Michta del think tank americano del German Marshall Fund postula la necessità di un forte disaccoppiamento e fine della cooperazione con la Cina. E Wess Mitchell, ex vice segretario di stato USA per gli affari europei ed eurasiatici, fa un cenno ai paesi tra il Mar Baltico e il Mar Nero e ordina loro di schierarsi immediatamente con l’America e cessare la cooperazione economica con la Cina. L’implicazione è che, in caso contrario, quei paesi saranno esclusi dalla zona americana per impostazione predefinita.

Sebbene io personalmente conosca e apprezzi tutti questi pensatori, il confronto con la Cina sarà più complicato di quanto pensino gli americani.

Nonostante gli avvertimenti di Kissinger e le raccomandazioni del famoso leader di Singapore, gli americani intraprenderanno questa lotta – e la guerra sarà combattuta. È ora di allacciare le cinture di sicurezza.

https://geopoliticalfutures.com/the-politics-of-space/?tpa=YzJhM2ZmNzUyOTZjMzFhYTNiZWNmOTE1OTE0NTc2NDhhMmY4YTU&utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_term=https%3A%2F%2Fgeopoliticalfutures.com%2Fthe-politics-of-space%2F%3Ftpa%3DYzJhM2ZmNzUyOTZjMzFhYTNiZWNmOTE1OTE0NTc2NDhhMmY4YTU&utm_content&utm_campaign=PAID+-+Everything+as+it%27s+published

INTERPRETAZIONE E FATTI, di Pierluigi Fagan

INTERPRETAZIONE E FATTI. Come si nota nella vignetta di uno dei più grandi intellettuali italiani viventi, i fatti esistono, il problema sono le interpretazioni.

Stamane mi sono letto un lungo articolo in inglese per altro ben fatto, che festeggiava ideologicamente la fine del neoliberismo. https://thecorrespondent.com/466/the-neoliberal-era-is-ending-what-comes-next/61655148676-a00ee89a?fbclid=IwAR3qE6fKSgecLY-nsv2sCw5E8IbeJnq1dMw3KQ60yXaLinxeDfvKvNCw-vACitava il famoso fondo del Financial Times che essendo fatto da gente sveglia, ha colto l’odore dei tempi al volo già il 4 aprile. Cito: ““Le riforme radicali – invertendo la direzione politica prevalente degli ultimi quattro decenni – dovranno essere messe sul tavolo. I governi dovranno accettare un ruolo più attivo nell’economia. Devono vedere i servizi pubblici come investimenti piuttosto che passività e cercare modi per rendere i mercati del lavoro meno insicuri. La ridistribuzione sarà di nuovo all’ordine del giorno; i privilegi degli anziani e dei ricchi in questione. Le politiche fino a poco tempo fa considerate eccentriche, come il reddito di base e le tasse sul patrimonio, dovranno essere nel mix. “. La chiave del discorso però è una e ben precisa: “I governi dovranno accettare un ruolo più attivo nell’economia.”.

FCA ha chiesto 6,3 miliardi di euro per sostenere le proprie italiche produzioni e nonostante i borbottii addirittura di Calenda oltreché del M5S e del PD, Conte ieri ha fatto capire che al di là di dove uno ha sede legale e fiscale (nel caso Olanda e Gran Bretagna), se produce e dà lavoro in Italia, è ragionevole dargli una mano.

Nell’ultimo decreto, e ieri Conte ha anticipato viepiù in uno prossimo che pare si occuperà di “semplificazione”, l’Italia si appresta a modificare alcune norme di diritto societario anche per vincere la concorrenza di paesi come l’Olanda, tant’è che addirittura pare Campari ci stia ripensando a trasferirsi nelle terra dei tulipani. Si tratta del “voto plurimo” ovvero abbandonare il principio democratico di un voto per azione, dando ad alcune azioni anche tre voti. Il che permetterebbe di mantenere il controllo strategico proprietario pur distribuendo la stragrande maggioranza delle azioni. Attenzione perché in filosofia politica o insomma qualcosa che si avvicina alla lontana, in terra americana, da tempo si discute di come migliorare l’inefficiente democrazia o riservando il voto politico a chi sa o dando “più diritti di voto” a chi sa lasciando formalmente intatto il carattere popolare del suffragio.

Addirittura Il vice-segretario del PD, Andrea Orlando se ne esce così: “Nelle prossime settimane vivremo una serie di attacchi al governo finalizzati alla sua caduta, ispirati anche da centri economici e dell’informazione, non tanto per correggere come è lecito l’attività di governo ma per rivedere il patto di governo e a riorganizzare la maggioranza“. Il bottino in palio sono i miliardi che lo stato dovrà immettere nell’economia per non far crollare l’ambaradan.

Saltando di canale in canale o di giornale in giornale, non sarà sfuggito il brontolio costante animato da amici di Confindustria, Gruppo Mediaset, Gruppo GEDI (La Stampa, la Repubblica, l’HuffPost etc.) di fresco acquisito da Exor (FCA, quando si dice il “tempismo”) su quanto sia inadeguato questo governo, brontolio fatto proprio a mezza voce (ma solo per il momento) da Renzi ed opposizione che però in questo secondo caso è normale mentre nel primo, meno. Tutti i giorni escono articoli sul prossimo governo Draghi, fatto così o cosà o come altro non si sa.

Quindi il fatto rimane l’ombrello di Altan messo come al solito lì in posizione scomoda. L’interpretazione è che l’élite è in grado di passare in mezzo secondo netto dal “meno stato più mercato” quando le cose vanno bene a “più stato per il mercato” quando vanno male. Lo stato è ricattato perché il potere economico è in mano a quella élite e “o la borsa o la disoccupazione” funziona sempre. In più, visto che la situazione va disordinandosi il potere si addensa come è sempre successo in sempre meno mani con sempre più potere. L’idea che il voto politico non doveva esser per tutti dello stesso peso è del 1850, i liberali riciclano incessantemente il loro per altro povero bric-a-brac teorico. Perché poi fare investimenti pubblici o dare salario a tutti coloro che non lo hanno o usare denaro pubblico per mantenere lo stesso salario con meno orario oltretutto sapendo che nei prossimi mesi di Jeep (molto poetico lo spot FCA su questo veicolo in questi giorni in programmazione, in effetti lo “spirito” della Jeep è notoriamente tipicamente “italiano”, no?) qui prodotte ne venderai pochine? No, meglio dare 6,3 miliardi ai padroni della Jeep, è logico, strategico e lungimirante. La gente festeggia a grande partecipazione l’evidenza di questa necessità di addensamento del potere perché “è logica”.

Non lo è, tutt’altro, ma se invece del possesso dei mezzi di produzione (tanto le tue poche azioni valgono il triplo), hai il possesso dei mezzi di formazione, di informazione e di gestione del dibattito pubblico, lo farai sembrare e tutti ne saranno gioiosamente convinti e partecipi. Così la tua “influenza politica” varrà il triplo o anche più.

I fatti esistono, ma ciò che provoca più danni sono le interpretazioNI

TRATTO DA FACEBOOK

Il Potere e l’Emersione/Caduta delle Nazioni, Di George Friedman

[Traduzione di Piergiorgio Rosso]

Qui sotto un interessante articolo di George Friedman che pone al centro la questione tra percezione e realtà di potenza nelle dinamiche geopolitiche. L’attenzione ovviamente si rivolge al confronto tra Stati Uniti e Cina, ovvero tra la potenza storica e quella emergente nel nuovo millennio. Un salutare invito al realismo dei rapporti di forza, ma anche una eccessiva schematicità, al limite della sicumera che lo spinge a glissare sul dirompente conflitto interno alle classi dirigenti americane e a quello potenziale e più sottotraccia che potrà investire quello cinese nel prossimo futuro. Un confronto che comunque, a prescindere dall’esito, non potrà ormai più ricacciare la Cina ad un ruolo marginale. Una dinamica che potrebbe mettere a nudo anche sorprendenti collusioni fra settori dei rispettivi gruppi dirigenti. Buona Lettura_Giuseppe Germinario

Il Potere e l’Emersione/Caduta delle Nazioni

Di George Friedman – 5 maggio 2020 – https://geopoliticalfutures.com/power-and-the-rise-and-fall-of-nations/
La settimana scorsa sono apparso su una stazione televisiva turca e ho parlato con un gruppo di imprese in Svizzera. La stessa domanda è stata al centro di entrambi gli eventi: a seguito della crisi del coronavirus, la Cina sostituirà gli Stati Uniti come potenza guida nel sistema internazionale? Era una domanda sconcertante dal mio punto di vista, ma il fatto che due gruppi intelligenti l’abbiano sollevata significa che deve essere capita o, se ciò non è possibile, almeno esaminata.

Percezione e Realtà

Non è una domanda nuova per me. Gli Stati Uniti sono da sempre stati visti come la potenza egemone e confrontata con le altre potenze emergenti. Con una certa regolarità la pubblica opinione americana e di altri paesi, arrivava alla conclusione che gli USA erano in declino e stavano per essere sorpassati da uno sfidante qualche volta dal punto di vista economico, qualche volta da quello militare, altre volte ancora in maniera coperta.

Negli anni cinquanta c’era una certa dose di maccartismo nel sostenere che gli USA fossero in declino e l’URSS stavano sorpassandoli. Quando i sovietici lanciarono lo Sputnik e mandarono Yuri Gagarin nello spazio, molti nel mondo erano convinti della superiorità sovietica, e molti negli Stati Uniti andarono nel panico a proposito della mancanza di enfasi sulla educazione scientifica. Quando gli USA furono sconfitti in Vietnam molti, anche fra gli analisti americani esperti,   conclusero che fossero in ritirata. Quando Nixon fu spodestato, il sospetto divenne certezza. Per quanto riguarda la Cina il fatto che avrebbe sorpassato gli USA economicamente era largamente accettato verso la fine degli anni ’90 ed i primi anni 2000. La velocità di crescita cinese era alta perché era stata preceduta dal disastro maoista. Estrapolando su questa base il PIL cinese avrebbe superato quello combinato del resto del mondo, incluso gli Stati Uniti.

Per buona parte del mondo il declino degli USA era auspicato ai fini della loro propria emersione. In altri casi era schadenfreunde [così nel testo. In tedescogodimento per le disgrazie altrui” – NdT]. In altri casi ancora era l’amarezza di vecchie potenze che stavano per essere rimpiazzate da una nazione che loro vedevano come del tutto inadatta all’egemonia.

Gli Usa erano al centro del sistema globale e la speranza che fallisse faceva vedere ogni errore come segno del collasso americano. Speranze simili riguardarono la Grecia alessandrina, Roma, l’Inghilterra e l’impero ottomano. Ogni passo falso ed ogni sfortuna era sottolineata come evidenza che la loro caduta era imminente. Nel tempo tutti questi imperi caddero, ma durarono per diversi secoli.

Le anticipazioni non derivavano da analisi spassionate ma dalla speranza. Come poteva Roma sopravvivere all’assalto di Annibale o i sovietici a quello di Hitler?

La percezione pubblica del potere è radicata in eventi che potrebbero avere poco a che fare con il potere. La realtà del potere può essere semplicemente definita come la capacità di costringere gli altri ad agire secondo i vostri desideri, anche contro i loro stessi interessi. Questa è un’equazione complessa. Da un lato è una definizione di come le nazioni possono costringere i comportamenti. Dall’altro lato c’è la valutazione da parte dell’oggetto del potere, se sia maggiore la pena della resistenza o la pena della capitolazione. Tutto questo può essere compreso solo nei dettagli: le nazioni coinvolte, cosa viene loro chiesto, l’intensità della pena e così via.

Ma gli strumenti generali del potere possono essere facilmente compresi. Esiste il potere militare, che è in definitiva la minaccia o la realtà della morte e della distruzione fisica. Esiste quindi un potere economico, che è il dolore che può essere inflitto da una vasta gamma di azioni economiche, come l’embargo di prodotti necessari o la manipolazione della valuta. Questo tipo di potere non infligge morte, ma limita la vita minacciando di infliggere povertà o abbassare il tenore di vita.

Il terzo tipo di potere è politico. È la manipolazione del sistema politico o dell’opinione pubblica in un paese da parte della minaccia o dell’applicazione della forza militare, l’imposizione di sofferenze economiche o la creazione di un senso della realtà che fa reagire l’opinione pubblica in modi che indeboliscano la nazione.

Il potere non è semplicemente la capacità di forzare, a volte comporta l’uso di incentivi. Entrambi possono costringere a cambiamenti nell’azione. Il potere non deve essere esplicito. Il programma spaziale sovietico diede ai sovietici un’influenza aprendo le porte alla possibilità che il potere sovietico ad un certo punto nel futuro non lontano avrebbe travolto il potere americano. Quella percezione, che in retrospettiva era assurda, nel breve periodo era molto reale. Le nazioni che avevano sottovalutato il potere militare sovietico rispetto al potere militare degli Stati Uniti dovevano rivalutare la loro posizione ed essere aperte ai desideri sovietici. Anche senza essere un uso diretto del potere, l’evento Sputnik-Gagarin ha generato un potenziale spostamento del potere che ha portato alcune nazioni a modificare le loro relazioni. Il potere in tutte le sue dimensioni è più sottile dell’uso diretto della forza o del potere economico.

Il quarto tipo di potere è la gestione delle percezioni. L’Unione Sovietica è crollata nel 1991. Diciassette anni dopo, nel 2008, la Russia è andata in guerra con la Georgia. Questo conflitto non ha invertito il catastrofico crollo dell’Unione Sovietica, le sue cause erano ancora lì. Ma la Russia non poteva permettersi di essere vista come debole. La guerra georgiana non ha spostato in modo significativo il potere relativo della Russia, ma ha cambiato la percezione del potere russo. Allo stesso modo, l’intrusione in Siria ha fatto ben poco per rafforzare la potenza russa, ma ha generato una percezione di una maggiore potenza russa. L’applicazione diretta del potere – il potere militare in questo caso – non è necessaria per cambiare le percezioni. Dato che le azioni della Russia erano più propaganda che risultati militari, l’uso della propaganda (ora chiamato guerra ibrida per qualche ragione) può in alcuni casi creare percezioni utili senza l’applicazione del potere reale.

Cina e USA

Questo ci riporta all’inizio e all’idea che la Cina sostituirà o sta per sostituire gli Stati Uniti come principale potenza globale. Militarmente, gli Stati Uniti controllano gli oceani Atlantico e Pacifico. La Cina non controlla nessuno dei due. Da un punto di vista militare, può usare missili e innescare uno scambio nucleare, ma ha una marina limitata e una forza missilistica vulnerabile. La Cina, quindi, non è nemmeno vicina ad essere una potenza globale.Economicamente, il PIL degli Stati Uniti prima del coronavirus era di $21 trilioni. La Cina era di $14 trilioni. Entrambe le economie si sono ovviamente contratte, ma non ci sono prove che le contrazioni trasformeranno sostanzialmente il divario tra di loro. Circa il 19% del PIL cinese proviene dalle esportazioni, di cui circa il 5% è destinato agli Stati Uniti. Circa il 13% del PIL degli Stati Uniti proviene dalle esportazioni, circa la metà delle quali è destinata al Nord America e solo lo 0,5% delle quali va in Cina. La Cina ha una popolazione molto più grande degli Stati Uniti, quindi il suo reddito pro capite è molto più basso degli Stati Uniti. Ciò significa che l’impatto di una contrazione economica sugli standard di vita sarà molto maggiore negli Stati Uniti, dove il cuscinetto è maggiore, rispetto alla Cina.In termini di potere politico, la Cina si è messa in una posizione pericolosa. Non è riuscita a disinnescare i sospetti statunitensi sul comportamento e le intenzioni cinesi. Inoltre, non ha gestito con successo i negoziati commerciali con gli Stati Uniti. Ciò significa che la Cina ha lasciato che aumentassero le tensioni economiche e militari proprio con il suo cliente più importante. In un momento di contrazione economica in cui le importazioni statunitensi diminuiranno, la Cina affronta minacce sproporzionate a causa della sua dipendenza dalle esportazioni.Il punto forte della Cina è la dipendenza da una catena di approvvigionamento che si basa su manodopera a basso costo. Ma il coronavirus ha dimostrato alle aziende che hanno creato la catena di approvvigionamento, che un’eccessiva dipendenza da qualsiasi paese, come nel caso dell’industria farmaceutica americana, può distruggere un’azienda. La crisi ha trasformato questo in una debolezza, piuttosto che in una forza, poiché le imprese americane spostano le loro catene di approvvigionamento dalla Cina. In alcuni casi, questa non è una cosa complessa o costosa da fare.

 

La Cina si concentra sulla percezione per compensare la debolezza. Idee strane come la costruzione di un sistema di trasporto via terra verso l’Europa (ovvero la Belt and Road Initiative) sono volte a dimostrare le capacità di una nazione. La doccia di prestiti sui paesi fa lo stesso, anche quando i prestiti non si materializzano completamente. A costi relativamente bassi, la Cina si posiziona come un potere finanziario. Allo stesso modo, i movimenti militari statunitensi nel Mar Cinese Meridionale non hanno lo scopo di esercitare il potere degli Stati Uniti, ma di creare la percezione di una forte potenza navale.

Pio Desiderio

La Cina è economicamente e militarmente molto più debole degli Stati Uniti. Ma la sua manipolazione della percezione del suo potere è abile, tanto che i turchi e gli europei tendono a vedere il coronavirus come una transizione al potere cinese. Si dice che la percezione sia realtà. Non lo è davvero. A un certo punto, la finzione del potere porta un avversario a credere in quel potere, e ciò può portare a un conflitto economico, politico o militare che il potere percepito non può vincere. La guerra sulle percezioni va bene per guadagnare tempo. Ma se seguita troppo a lungo, alla fine il guerriero della percezione è creduto, gli viene messa paura e poi ingaggiato. Ora che siamo nel mezzo della crisi del coronavirus, gli Stati Uniti hanno inondato il paese di denaro-stimolo e ciò avrà conseguenze. Così sarà per la contrazione dell’economia cinese, insieme alla preoccupazione politica interna per l’affidabilità del governo cinese in un momento in cui è davvero importante. Mentre ci vorranno diversi anni prima che entrambi i paesi si riprendano, l’idea che la crisi abbia aperto le porte al dominio cinese è strana o forse un pio desiderio. La sofferenza è reale, ma l’ordine delle cose è forte.

LO SHOW DELLA LIBERAZIONE DI SILVIA ROMANO: UNA UMILIAZIONE INACCETTABILE PER L’ITALIA, di Giuseppe Angiuli

LO SHOW DELLA LIBERAZIONE DI SILVIA ROMANO:

UNA UMILIAZIONE INACCETTABILE PER L’ITALIA

 

 

Un curioso destino ha voluto che la nostra connazionale Silvia Romano, a distanza di circa un anno e mezzo dal suo sequestro avvenuto in Kenya per mano di rapitori mercenari e dopo il suo passaggio nelle mani del gruppo di fanatici terroristi qaedisti di Al Shabaab, sia stata finalmente rilasciata nella notte tra l’8 ed il 9 maggio scorso, ossia a 42 anni esatti di distanza da quella notte del maggio 1978 in cui il nostro insigne statista Aldo Moro trovò la morte al termine di un ben più celebre ed intricato sequestro di persona.

Non disponiamo di molti particolari e dettagli sulle fasi conclusive del rilascio della cooperante milanese ma tutte le fonti giornalistiche appaiono concordi quanto meno su alcuni elementi: il rilascio sarebbe avvenuto in una località a circa 30 chilometri da Mogadiscio (Somalia), avrebbe visto il determinante ruolo dei servizi segreti della Turchia del neo-sultano ottomano Recep Tayyip Erdoğan (che avrebbero preso in consegna la ragazza per poi passarla nelle mani degli uomini del nostro servizio estero, l’AISE) e nell’occasione il Governo italiano avrebbe versato al gruppo di rapitori un ingente riscatto che i più prudenti tra gli analisti quantificano tra i 2 e i 4 milioni di euro.

Come si sa, nel nostro Paese le regole ed i princìpi etico-morali hanno le maglie larghe e trovano applicazione con modalità non sempre coerenti e uniformi.

Nel 1978, quando era in gioco la vita di Aldo Moro, la gran parte della classe politica italiana dell’epoca – con poche eccezioni, tra cui vanno ricordati Bettino Craxi e l’allora Presidente della Repubblica Giovanni Leone – si trincerò in una ipocrita e gesuitica “linea della fermezza” onde giustificare al Paese la radicale impossibilità per le istituzioni di avviare una qualsiasi forma di trattativa con le Brigate Rosse: col senno di poi, in tanti abbiamo compreso che l’invocazione di quel severo e rigoroso principio era servito in realtà come foglia di fico per i tanti che a quel tempo smaniavano dalla voglia di liberarsi del troppo ingombrante statista democristiano e che grazie a quel sequestro così anomalo riuscirono a coronare il loro cinico desiderio.

In verità, se vogliamo evitare di prenderci in giro, occorre ammettere che quasi tutti i Governi al mondo, anche quelli apparentemente più ligi al canonico rispetto delle regole, quando viene sequestrato un loro cittadino in contesti di guerra o guerriglia, trattano eccome coi rapitori, ancorchè fingano di non farlo e/o dichiarino di non poterlo fare.

L’opinione pubblica del Belpaese è sempre stata emotivamente partecipe, per ragioni antropologiche congenite, a questo genere di vicende, finendo quasi sempre per immedesimarsi inesorabilmente nella vittima del sequestro, spesso per pure ragioni istintive di genuina empatia umanitaria.

Se così stanno le cose, poniamo subito un punto fermo nella ricostruzione del caso della giovane Silvia Romano, affermando che è stato oltremodo giusto e sacrosanto che il nostro Stato – come peraltro già avvenuto in molti casi analoghi nel recente passato – si sia attivato sul campo per ottenere la sua liberazione, anche al prezzo di avere dovuto attingere ai fondi riservati che ogni Governo solitamente mette a disposizione dei nostri servizi di intelligence per fare fronte a necessità di questo tipo.

Un gruppo di miliziani islamisti del gruppo somalo Al Shabaab, affiliato ad Al Qaeda

 

Pertanto, al fine di sgomberare il campo dai consueti argomenti manipolatori che in questi giorni hanno fatto strappare i capelli ad una certa stampa conformista e ad una certa opinione pubblica di casa nostra, è bene chiarire che, nella vicenda di Silvia Romano, non è stato l’intervento sul campo del Governo Conte a lasciarci perplessi in sé e per sé, né ci ha scandalizzati più di tanto la assai verosimile circostanza dell’avvenuto pagamento di un riscatto quale condizione irrinunciabile per l’ottenimento del rilascio della ragazza.

Piuttosto, in questa vicenda dai contorni assai ambigui, a lasciarci basiti sono state le modalità spettacolari e insolite dell’arrivo della nostra concittadina all’aeroporto di Ciampino, la quale è apparsa tutta agghindata con una vistosa tunica dallo stile castigato, esplicitamente richiamante ai simboli di quel medesimo gruppo di fondamentalisti islamici che l’hanno detenuta quanto meno nella seconda parte del suo sequestro e che infine l’hanno rilasciata nelle mani dei servizi segreti turchi, previo incameramento dei milioni di euro (due? quattro?) di riscatto.

Sono apparse altrettanto stupefacenti le dichiarazioni che la ragazza milanese ha rilasciato a caldo, appena dopo avere abbracciato i suoi congiunti, sotto lo sguardo compiaciuto del nostro Presidente del Consiglio e dell’inquilino della Farnesina, quando ha alluso, nell’ordine, all’ottimo trattamento ricevuto dai suoi rapitori, ad una sua presunta e sbandierata conversione all’islam e al suo non celato desiderio di fare rientro appena possibile nello stesso contesto in cui è maturato il suo sequestro.

Nella civiltà delle immagini e della comunicazione, soprattutto in casi delicati come questo, ogni particolare assume inevitabilmente un significato politico e allora sorgono spontanei i seguenti quesiti: come è stato possibile che a nessuno degli uomini della nostra intelligence sia venuto in mente di riferire a Silvia Romano, a ridosso della sua presa in consegna, che non era proprio il caso di presentarsi allo scalo di Ciampino con indosso degli abiti che richiamano esplicitamente non già all’islam in quanto tale (né tanto meno ai costumi tradizionali delle donne somale) bensì alla tenuta ufficiale della formazione islamica fondamentalista Al Shabaab, ossia la filiale somala della galassia terroristica di Al Qaeda?

Donne somale libere dai condizionamenti del fondamentalismo islamico con indosso il tipico abito locale Dirac

 

E che dire del nostro ineffabile Presidente del Consiglio Giuseppe Conte (così smanioso di annunciare su twitter la liberazione della ragazza e di correre a farsi fotografare con lei sulla pista di Ciampino) nonché del nostro Ministro degli Esteri, Luigi Di Maio? E’ mai possibile che essi non abbiano provato nessun imbarazzo nel fare da contorno, col loro pesante ruolo istituzionale, a quello che è stato oggettivamente un atto di propaganda mediatica a favore di una tra le più brutali organizzazioni del fanatismo jihadista?[1]

A questo proposito, è bene chiarire che non è stata nemmeno la conversione di Silvia alla religione di Maometto (vera o falsa che sia) ad averci scandalizzati in sé e per sè.

Anche l’islam merita tutto il nostro rispetto in quanto cultura religiosa millenaria.

Ma si dà il caso che i rapitori della nostra connazionale non pratichino l’islam autentico bensì una forma di islam spurio, artificiale, creato in laboratorio per evidenti finalità di destabilizzazione geopolitica, un tipo di islam fondamentalista e fanatico che, da quando è stato messo in circolazione sotto la regia dello spregiudicato turco Erdogan e della vecchia amministrazione USA Clinton-Obama, agendo col terrore e con le stragi, ha seppellito decenni di conquiste e di diritti civili di molti dei popoli dell’Africa e del medio oriente.

Trattasi peraltro di quella stessa branca di islam jihadista che spesso ha agito impunemente – giacchè purtroppo munito di alcune coperture inconfessabili – anche nel cuore dell’Europa, con l’obiettivo di creare caos e terrore, come i numerosi attentati di questi ultimi anni (che fino ad ora hanno colpito prevalentemente Parigi e la Francia ma che molto presto, Dio non voglia, potrebbero interessare anche l’Italia) stanno a dimostrare.

Inoltre, trattasi di quella stessa forma di islam oppressivo e jihadista che la Turchia di Erdogan promuove e supporta non solo nel Corno d’Africa ma anche in Libia, dove il nostro Paese, dopo avere subito ignominiosamente e passivamente (agendo contro i suoi stessi interessi) la defenestrazione di Gheddafi nel 2011, vede oggi legare i suoi destini proprio a quelli del Governo filo-islamista di Al Serraj, uomo prediletto da Erdogan e arroccato a Tripoli per gestire il presente e il futuro della ex colonia italiana nel cuore del Mediterraneo.

E allora, una volta chiarito che la tunica verde indossata da Silvia Romano al momento del suo arrivo in Italia non c’entra un bel nulla con i costumi tradizionali delle donne somale bensì è identificabile unicamente con l’abito che i miliziani fondamentalisti di Al Shabaab impongono di indossare alle povere donne che finiscono tra le loro mani ed una volta accertato il ruolo di protagonisti rivestito dai servizi segreti turchi nella risoluzione del suo sequestro, ecco allora che la sceneggiata o show di Ciampino svela tutto il suo significato propagandistico tanto ripugnante quanto inquietante.

Abbiamo più di una buona ragione per potere ipotizzare che la conversione all’islam di Silvia Romano, esibita dinanzi alle telecamere e a cui ha poi fatto eco la rivendicazione compiaciuta dei miliziani somali di Al Shabaab, possa avere fatto parte integrante del riscatto, cioè sia stata tra le condizioni imposte dai sequestratori jihadisti e dai servizi segreti turchi per il suo rilascio.

Più precisamente, possiamo legittimamente ritenere che la ex sequestrata, al momento di mettere piede nel nostro Paese, si sia fatta portatrice di un messaggio o avvertimento sinistro rivolto a noi italiani da Erdogan, il vero protettore dell’islamismo jihadista che ha già sconquassato Siria, Libia e Corno d’Africa.

L’arrivo a Ciampino di Silvia Romano il 10 maggio 2020

In ogni caso, come già saggiamente osservato in un condivisibile articolo comparso sul sito Analisi Difesa[2], la gestione mediatica che il Governo Conte ha fatto della liberazione della ragazza è stata a dir poco disastrosa e costituisce la rappresentazione icastica dello stato di profonda decadenza morale e culturale, prima che della perdita di influenza geopolitica, del nostro Paese.

Altrettanto condivisibile ci è sembrato il parere espresso da Maryan Ismail, docente di antropologia dell’immigrazione, donna di origine somala, intervenuta la sera del 12 maggio alla trasmissione televisiva Quarta Repubblica condotta da Nicola Porro: «L’esibizione dell’arrivo di Silvia data in pasto all’opinione pubblica senza alcun pudore o filtro è stato uno spettacolo immorale e devastante»[3].

A nostro avviso, se la scelta di collaborare con i servizi segreti di Erdogan deve essere apparsa al nostro Governo come una strada inevitabile, visti i rapporti di forza nel territorio della ex Somalia italiana – e infatti sul punto non possiamo che rispettare la decisione dei nostri servizi di sicurezza impegnati all’estero – non possiamo tuttavia ritenere accettabile che il nostro Paese, per mano dei suoi rappresentanti istituzionali più altolocati, abbia accettato di farsi umiliare con uno show grottesco allestito sul nostro territorio sotto il diktat di una delle bande più sanguinarie del jihadismo globale.

Con grande mestizia e imbarazzo, dobbiamo dunque registrare che mentre l’Italia appena 40/50 anni fa era protagonista sia nel Mediterraneo che nel Corno d’Africa e con uomini come Moro e Craxi riusciva a tutelare degnamente i nostri interessi nazionali, sviluppando delle ottime strategie di politica estera che ne salvaguardavano l’onore e la autorevolezza nel campo delle relazioni internazionali, oggigiorno, al fine di salvare la vita di una nostra concittadina in mano a dei sequestratori in una ex colonia italiana, siamo stati costretti a prostrarci a Erdogan e a mendicare l’intervento mediatore decisivo dei suoi servizi segreti, accettando di pagare una cambiale in termini di immagine che dovrebbe apparire umiliante a tutti quegli italiani che ancora conservano almeno un briciolo di dignità e fierezza.

Il logo ufficiale della formazione islamista al Shabaab

 

A tutto ciò si aggiunge infine un ulteriore elemento, tra i più paradossali che dobbiamo registrare a conclusione della vicenda della liberazione della cooperante milanese: il Governo Conte, avendo in questo caso agito in perfetta sintonia con i servizi di intelligence della filo-islamista Turchia e contro il parere ufficiale di Washington, sta riuscendo nel capolavoro politico di voltare le spalle agli USA proprio adesso che alla Casa Bianca c’è un Presidente che, in evidente intesa di ruoli con la Russia di Putin, mostra di avere deciso seriamente di porre un netto freno alle scorrerie dell’islamismo jihadista in giro per il mondo.

In conclusione, dobbiamo per lo meno auspicare che la cambiale che Conte e Di Maio si sono impegnati a pagare a Erdogan per ottenere la salvezza di Silvia Romano non debba comportare chissà quali altre umiliazioni e sottomissioni per l’Italia nello scenario libico, in un  periodo di inesorabile decadenza per il nostro Paese che somiglia ogni giorno di più ad una buia notte senza fine, in cui l’alba sembra non volere arrivare mai.

 

Giuseppe Angiuli

[1] Per un approfondimento sulle caratteristiche essenziali del gruppo islamista radicale Al Shabaab, operante in Somalia e in Kenya ed affiliato ad Al Qaeda, rimandiamo al dossier intitolato Storia, struttura e obiettivi del gruppo jihadista del Corno d’Africa, a cura di Gaetano Magno, pubblicato su www.osservatorioglobalizzazione.it

[2 ]Gianandrea Gaiani, L’Italia fa un regalo (anzi due) ai jihadisti, rintracciabile all’indirizzo http://www.analisidifesa.it/2020/05/litalia-fa-un-bel-regalo-anzi-due-ad-al-qaeda/?fbclid=IwAR1lAgGxwvJoLsyn5Uc5wfjaCNnHt6A9g4UEc9YDjjODJquO8VbisdtQPyQ

[3]www.liberoquotidiano.it/news/personaggi/22600704/silvia_romano_maryan_ismail_immorale_devastante_islam_falso_conversione_non_scelta_liberta_

CRISI PANDEMICA, MODELLO SVEDESE e non solo. Una conversazione con Max Bonelli

Esiste un modello svedese, ancor più un modello scandinavo nell’affrontare la crisi epidemica del coronavirus? La rappresentazione che viene offerta in Italia dal sistema mediatico si avvicina alla realtà o è frutto soprattutto di pregiudizi e di manipolazione ad uso politico interno? Sono due quesiti ai quali cerca di rispondere in questa interessante intervista Max Bonelli, forte della sua esperienza professionale e della frequentazione sul campo di quei paesi. Scopriremo che in realtà le linee guida adottate dal governo svedese sono molto più articolate e denotano una conoscenza ed una autorevolezza di quella classe dirigente nonché una coesione di quella formazione sociale sconosciute nel nostro paese. In altre due interviste e in alcuni articoli precedenti Max Bonelli ci ha svelato in maniera inedita le crepe e i lati oscuri di quella società e della corrispondente classe dirigente. Con questa intervista ci offre un’altra preziosa pennellata. Ci offre inoltre due osservazioni valide per leggere le vicende dei vari paesi coinvolti nella crisi, in particolare quelli occidentali. La prima è che la crisi epidemica mette a nudo il valore, la capacità, l’autorevolezza e l’autonomia di ciascuna classe dirigente, proprio perché la diffusione dell’epidemia è in gran parte indipendente dalle gerarchie delle dinamiche geopolitiche e le classi dirigenti, comprese quelle abituate ad attendersi e obbedire ad imput esterni, sono costrette a misurarsi più autonomamente sul problema. La seconda è che nei sistemi politici occidentali a democrazia rappresentativa l’adozione di provvedimenti generalizzanti, nominalmente draconiani e indiscriminatamente restrittivi rivelano, più che una forza ed una volontà ed un consapevole disegno autoritari, una scarsa conoscenza del proprio paese e della propria popolazione, un deficit di autorevolezza che conducono ad una incapacità di articolare gli interventi sulla base delle differenze e delle esigenze specifiche dei vari settori ed ambiti della formazione sociale e ad una disabitudine a decisioni appropriate. In un contesto obbiettivamente ostico e inedito, la classe dirigente italiana, in particolare il suo ceto politico, dedito ormai da decenni alla contingenza quotidiana e all’attesa di lumi, ha rivelato tutti i suoi limiti e la sua pochezza. Non sono mancati, né mancheranno, esempi luminosi e gratificanti, vedi l’esempio del Veneto e della Campania, di un ceto politico dotato di fermezza e buon senso. Hanno rivelato in sovrappiù l’esistenza e l’utilità di professionisti preparati e competenti sui quali l’intero paese potrebbe contare. Altri, tra questi, continuano ad operare eroicamente nell’oscurità quotidiana in altre realtà territoriali meno fortunate. Entrambi stanno evidenziando paradossalmente le potenzialità grandissime del nostro popolo, ma anche le enormi disfunzioni istituzionali e la sistematica repressione delle energie positive che stanno affossando il paese. Una contraddizione già paralizzante nella fase relativamente semplice da affrontare quale quella del contenimento costrittivo della diffusione pandemica; figuriamoci quanto pietrificante nella fase prossima ventura della ricostruzione economica e sociale. Un dramma per un ceto politico perennemente in attesa di lumi e sostegni dall’esterno, tanto più se dai versanti sbagliati e più ostili.

Nell’ultima parte dell’intervista Max Bonelli indugia sulla possibile origine artificiale del virus, ipotizzando una responsabilità statunitense diretta nella accensione dei focolai in Cina. La guerra batteriologica in effetti non è una novità nella storia. Con mezzi e tecnologie diverse e più approssimative l’hanno già utilizzata gli americani stesi contro i nativi, i turchi contro i genovesi in Crimea agli albori della modernità e tanti altri nei vari contesti conflittuali nel mondo. Nell’attuale contesto di conflitto e confronto militare ancora latente tra superpotenze l’arma batteriologica assume più, a parere dello scrivente, un valore di deterrenza considerate anche le controindicazioni e la scarsa selettività e capacità di controllo dello strumento. Rimangono per altro le ipotesi di un’origine naturale delle mutazioni del virus, legate alle condizioni ambientali di quell’area come di una manipolazione sfuggita al controllo dei cinesi da quel laboratorio P4, frutto di una collaborazione sino-francese e sino-americana ma localizzata in un paese ansioso e frenetico nell’acquisire le capacità tecnologiche e scientifiche anche in quel campo. La verità, probabilmente non la conosceremo mai seno tra molti anni; se dovesse emergere ora, non fosse che per un ulteriore repentino inasprimento del conflitto geopolitico e soprattutto interno alla dirigenza americana, rimarrebbe sommersa nelle mille diverse versioni della propaganda propinata da tutti gli attori. Non è dopotutto un aspetto essenziale, se non per valutare il livello dello scontro. Molto più importante è prendere atto dell’esistenza della pandemia e dell’uso politico e geopolitico che si fa e sempre più si farà del virus e della pandemia. Contribuirà a ridefinire in geopolitica e in geoeconomia le gerarchie, a disegnare le sfere di influenza politiche e a conformare ad essa le future sfere di influenza economica. Diventerà l’arma per una guerra sui titoli di debito sovrani. Sarà il terreno di coltivazione di enormi interessi economici, di primato scientifico e tecnologico e di dissesti, disarticolazione e riarticolazione delle varie formazioni sociali. In Cina lo percepiremo con qualche ritardo, come pure in Russia dove il problema sta esplodendo con qualche settimana di ritardo e con qualche disfunzione di troppo successiva al primo impatto; negli Stati Uniti potrebbe diventare l’occasione e lo strumento definitivo di un regolamento di conti fra due ceti politici e decisionali ormai in contrasto mortale da anni. Il conflitto, inizialmente sordo ma ormai sempre più manifesto, tra il Presidente Trump e Fauci, il consulente scientifico dalle acclarate connessioni finanziarie e di indirizzo scientifico con il laboratorio cinese di Wuhan, potrebbero essere la miccia per la deflagrazione definitiva dello scontro politico negli Stati Uniti e per una definizione più lineare della politica estera in funzione più anticinese e meno antirussa. https://www.facebook.com/groups/ilgreg/permalink/863677510782498/Un conflitto che dietro le relazioni apparentemente lineari tra gli stati, nasconde un intreccio di conflitti e connivenze tra i vari centri strategici presenti in essi, Cina compresa. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

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