L’attesa è finita: Putin svela la nuova dottrina nucleare come ultimo avvertimento all’Occidente, di Simplicius

Anteprima: Questo articolo  approfondisce le modifiche alla dottrina nucleare proposte di recente da Putin e approfondisce le prospettive future, esaminando le nostre previsioni a medio termine alla luce delle recenti escalation, con una valutazione dei rischi di un potenziale scontro Russia-NATO.

L’articolo è di oltre 4.700 parole.


Putin ha finalmente annunciato l’imminente modifica della dottrina nucleare, un argomento a lungo discusso in questa sede. Ma per dissipare il clamore e la mania sensazionalistica che si sta diffondendo intorno a questi sviluppi, chiariamo prima alcuni fatti.

Putin afferma, fin dalla frase di apertura del discorso, che l’incontro sulla deterrenza nucleare era in realtà una riunione di routine che si svolge ogni anno a scadenze prestabilite. Non si è trattato di un’improvvisa “escalation” per segnalare un’imminente terza guerra mondiale, come alcuni vorrebbero far credere. L’unica differenza è forse che questo incontro è stato trasmesso in televisione.

In secondo luogo, le modifiche non sono ancora ufficialmente apportate, ma sono piuttosto “proposte” in una bozza di documento, dopo un anno di attento studio e considerazione da parte degli specialisti del Ministero della Difesa. Al momento, quindi, non c’è alcun cambiamento nella dottrina nucleare e non si sa quando tali cambiamenti potrebbero entrare in vigore. Sembra che Putin possa deliberatamente usare la tempistica sfalsata più come “avvertimento” per l’Occidente, con la firma finale delle idee proposte nella dottrina ufficiale da trattenere fino a quando la Russia non avrà bisogno di rendere nota la sua linea rossa finale.

Ecco la trascrizione ufficiale completa dell’incontro dal sito del Cremlino:

http://www.kremlin.ru/events/presidenti/trascrizioni/75182

Ecco la parte più rilevante:

Quello su cui vorrei attirare la vostra attenzione. Nella versione aggiornata del documento, l’aggressione contro la Russia da parte di qualsiasi Stato non nucleare, ma con la partecipazione o il sostegno di uno Stato nucleare, è proposta per essere considerata come un loro attacco congiunto contro la Federazione Russa.

Le condizioni per il passaggio della Russia all’uso di armi nucleari sono inoltre chiaramente definite. Prenderemo in considerazione questa possibilità non appena riceveremo informazioni affidabili sul lancio massiccio di veicoli di attacco aereo e spaziale e sul loro attraversamento del nostro confine di Stato. Mi riferisco a velivoli strategici e tattici, missili da crociera, droni, velivoli ipersonici e di altro tipo.

Ci riserviamo il diritto di usare le armi nucleari in caso di aggressione alla Russia e alla Bielorussia in quanto membro dello Stato dell’Unione.Tutti questi aspetti sono stati concordati con la parte bielorussa e con il Presidente della Bielorussia. Incluso il caso in cui il nemico, utilizzando armi convenzionali, crei una minaccia critica alla nostra sovranità.

In conclusione, vorrei notare che tutti i chiarimenti sono accuratamente verificati e proporzionati alle attuali minacce militari e ai rischi per la Federazione Russa.

Mettiamoci al lavoro. La parola passa al ministro della Difesa Andrey Belousov.

Scorriamo l’elenco.

1. Il primo è quello che mi confonde di più, perché non specifica alcun dettaglio, ma afferma semplicemente che l’aggressione contro la Russia da parte di uno Stato non nucleare – cioè l’Ucraina – con la partecipazione di uno Stato nucleare – cioè gli Stati Uniti – può essere considerata un attacco congiunto da parte di entrambi. Tuttavia, non c’è alcuna specificità riguardo alla soglia per questo. Per esempio, si riferisce all’utilizzo da parte di uno Stato non nucleare di armamenti che potrebbero avere un doppio uso di armi nucleari, come nel caso dell’Ucraina che utilizza gli F-16, che possono trasportare le bombe a gravità nucleare B-61? A mio parere, è una questione molto aperta e non molto utile.

In ogni caso, abbiamo capito il succo principale e a cosa si riferisce nella situazione attuale.

2. Anche il secondo non è chiaro perché fa riferimento a un massiccio attacco transfrontaliero contro la Russia, ma non specifica se esiste una soglia di obiettivi specifici che giustificherebbe una risposta nucleare. Ad esempio, c’è una grande differenza tra un attacco transfrontaliero massiccio che abbia come obiettivo oggetti militari russi e uno che abbia come obiettivo le centrali nucleari e le infrastrutture civili critiche della Russia. L’ipotesi è che questo includa tutto, il che implica che la Russia si riserva il diritto di considerare l’uso di una risposta nucleare per qualsiasi tipo di attacco transfrontaliero importante.

A mio avviso la formulazione è estremamente vaga e aperta, il che è problematico. In sostanza, lascia l’uso del nucleare una decisione estremamente arbitraria, perché praticamente qualsiasi tipo di attacco può essere tecnicamente considerato conforme a questi requisiti. Non ci sono specifiche, come ad esempio: si riferisce ad attacchi con armi che potenzialmente potrebbero trasportare materiali nucleari, come i missili a doppio uso, o ad attacchi che mirano a oggetti specifici e altamente critici, come i radar di allerta nucleare? Ciò sembra implicare che un grande attacco di droni di cartone che non colpisca nulla in particolare possa essere considerato arbitrariamente come una risposta nucleare.

Tuttavia, potrebbe esserci un metodo nella follia, o in questo caso, una deliberata vaghezza. Da un lato, una formulazione così vaga può attirare ulteriori accuse di debolezza, perché l’Ucraina continuerà senza dubbio a lanciare vari tipi di attacchi transfrontalieri con i droni, il che porterà il commentario globale a gridare che le linee rosse nucleari della Russia sono “senza valore”, scatenando titoli del tipo: “Vedete, le nuove linee rosse di Putin non significano nulla! Sta bluffando!”.

D’altra parte, una formulazione così vaga dà alla Russia un’enorme libertà di manovra nel decidere quando usare le armi nucleari, senza bisogno di giustificare ogni singola casella specifica che sia stata prima “spuntata”. Ciò consente alla Russia una maggiore flessibilità e agilità, oltre che una sorpresa tattico-strategica, se dovesse arrivare il momento fatidico. Perché significherà che l’Occidente non sarà mai veramente sicuro di cosa potrebbe scatenare l’uso del nucleare, data l’ambiguità – a parte la comprensione molto generalizzata che certe azioni sono già nella “zona di pericolo”.

A parte le sottigliezze, dobbiamo prenderlo per quello che è. In fin dei conti, la Russia può scegliere come dispiegare le sue armi e se anche il più piccolo attacco attraverso i suoi confini è considerato degno di una risposta nucleare, allora così sia. Dopotutto, la Corea del Nord ha già ostentato tali incitamenti all’uso del nucleare, con l’implicazione che una singola infrazione minore al suo confine sarebbe motivo per un lancio completo di un missile intercontinentale.

Come ultima nota, alcuni hanno osservato l’apparente assenza di Shoigu dalla riunione del Consiglio di Sicurezza in cui Putin ha dato l’annuncio della nuova dottrina. Si tenga presente che il nuovo titolo letterale di Shoigu è quello di capo del Consiglio di Sicurezza stesso, e come tale ci si aspetterebbe la sua presenza. Al momento non conosco alcuna ragione ufficiale per cui sarebbe stato assente, a meno che le telecamere non l’abbiano semplicemente ripreso, anche se sarebbe strano, dato che formalmente dovrebbe essere seduto davanti, vicino a Putin. Nei video si vedono Medvedev, Belousov e il vice primo ministro Denis Mantarov occupare quelle posizioni. Detto questo, anche Mishustin è apparso assente, e anche lui avrebbe dovuto essere uno dei membri anziani, quindi forse c’è una buona spiegazione. Per chi fosse interessato, la composizione completa del Consiglio di Sicurezza può essere vista qui.

Con questo sviluppo, possiamo delineare un ordine ipotetico di eventi istruttivo per il futuro a medio termine, come una sorta di wargame. Ecco una sequenza di eventi potenzialmente spinosi che potrebbe ora svolgersi:

Dopo che Zelensky ha annunciato che la Russia sta progettando di colpire le centrali nucleari ucraine, il presidente polacco Duda avrebbe dichiarato che la Polonia “interverrebbe” in un caso del genere.

Tuttavia, cercando la citazione completa, ha effettivamente dichiarato:

“Se ci saranno attacchi, dovremo intervenire immediatamente, chiamare gli esperti…” ha detto il presidente polacco.

Questo è un tipo di “intervento” molto diverso da quello che viene dipinto dalla stampa gialla istigatrice.

Detto questo, ricordiamo che anche il Ministro della Difesa polacco Sikorski ha recentemente affermato questo concetto:

Quindi, immaginate se la Russia iniziasse a colpire queste sottostazioni nucleari e le relative infrastrutture quest’inverno, e alcune nazioni occidentali o della NATO scegliessero di “intervenire” in qualche modo con la consapevolezza che questi attacchi significherebbero il collasso totale dell’Ucraina. Ricordiamo che Sikorski aveva anche detto a “Poroshenko” nella telefonata scherzosa che la Polonia sarebbe potuta intervenire se la Russia avesse sfondato il Dnieper.

In questo modo, la NATO potrebbe tentare aggressivamente di “salvare” l’Ucraina in modo tale da innescare la nuova dottrina nucleare della Russia, con il risultato di far sparare da qualche parte le atomiche tattiche russe.

Ricordate questo rapporto di Legitimny che ho condiviso la volta scorsa, che prevedeva con precisione una potenziale escalation nucleare russa anche pochi giorni prima che Putin annunciasse i nuovi cambiamenti dottrinali:

La nostra fonte riferisce che l’Occidente è consapevole che se concederà all’Ucraina il permesso di colpire in profondità il territorio russo con missili occidentali a lungo raggio, il Cremlino lancerà una serie di attacchi con armi nucleari tattiche sull’Ucraina occidentale (mirando a campi di addestramento, ponti, tunnel, campi d’aviazione, impianti industriali e infrastrutture di energia e gas). Questo aumenterà il flusso di rifugiati dall’Ucraina verso l’Europa. Ciò comporterà enormi problemi sia per l’Occidente che per l’Ucraina. Il mondo sarà a un passo dalla Terza Guerra Mondiale, provocata dalle azioni dei politici occidentali. Molti vedranno crollare il loro rating. Si aprirà una crisi su larga scala. Ecco perché l’Occidente sta ora riconsiderando se valga la pena di correre un tale rischio.

Ora, supponiamo che si arrivi a questo punto e che la Russia colpisca quegli oggetti nell’Ucraina occidentale con bombe atomiche tattiche, che molto probabilmente arriverebbero sotto forma di missili Iskander, Kinzhal, Zircon o Kh-22n, presumibilmente con punta nucleare. Per questo è praticamente necessario utilizzare missili di tipo ipersonico, perché la minaccia di abbattimento è troppo grande. Non si vuole che un lento missile Kalibr a variante nucleare venga abbattuto prematuramente su un centro abitato. Quindi, solo missili con una comprovata esperienza di percentuali di abbattimento molto basse possono essere presi in considerazione per il lavoro.

L’ultima parte del nostro esercizio: ricordiamo che David Petraeus aveva precedentemente dichiarato con precisione quale sarebbe stata la risposta della NATO se la Russia avesse usato armi nucleari tattiche di basso grado contro l’Ucraina.

Come potete vedere, egli afferma che la NATO risponderebbe utilizzando armi convenzionali per “distruggere” l’esercito russo in Ucraina e in Crimea. È interessante notare che si parla specificamente dell’Ucraina, dato che ciò eluderebbe deliberatamente la nuova dottrina russa che obbligherebbe la Russia a colpire la NATO con armi nucleari, se lanciasse un attacco “transfrontaliero” nella Russia vera e propria. Naturalmente la dichiarazione di Petraeus di cui sopra è più vecchia e precedente alla nuova dottrina, ma sembra quasi anticiparla.

Non che io mi aspetti che si arrivi allo scenario sopra descritto, ma esso è delineato in modo puramente dimostrativo come una possibile sequenza di eventi della traiettoria attuale. Il punto principale è che l’Ucraina si sta lentamente avvicinando all’orlo del baratro e la NATO sta iniziando a rendersi conto che entro l’anno prossimo l’Ucraina potrebbe trovarsi di fronte al collasso, il che porrebbe la questione finale dell’intervento per salvare l’Ucraina in qualche modo. Con l’imminente aggiornamento della dottrina russa, tale “intervento”, qualunque esso sia, assume un aspetto un po’ più rischioso.

In definitiva, la minaccia principale non è rappresentata dalla NATO, ma dall’Ucraina stessa che spinge deliberatamente le linee per coinvolgere la NATO contro la sua volontà. Ciò avverrà attraverso continui attacchi transfrontalieri che avranno l’aspetto di un coinvolgimento della NATO. Ma soprattutto, rimango scettico sul fatto che la Russia prenda in considerazione l’uso di armi nucleari senza aver prima inviato diversi avvertimenti molto precisi, anche sotto forma di un test nucleare a Novaya Zemlya, o qualcosa del genere.

Ecco un thread istruttivo di un ‘esperto nucleare’ occidentale, che successivamente lo ha pubblicato come OpEd:

Un rapido commento sul recente annuncio di Mosca relativo alla proposta di modifica della dottrina. Classifico le minacce nucleari russe in quattro livelli di credibilità:

1. Discorsi a buon mercato: Si tratta di dichiarazioni di personaggi come Medvedev o di eccentrici ospiti di talk show che fantasticano sulla Russia che bombarda ogni città occidentale. – Queste non riflettono la politica ufficiale ed è meglio ignorarle.

2. Retorica autorizzata dallo Stato: Comprende le dichiarazioni di Putin rivolte direttamente al pubblico occidentale o gli annunci di modifiche alla dottrina. – Più credibili perché sono atti ufficiali. È importante non ignorarli, ma anche non reagire in modo eccessivo.

3. Preparativi per un uso nucleare limitato: Si pensi all’attivazione di 12 GUMO, al prelievo delle testate dai depositi e all’accoppiamento con i veicoli di lancio per un attacco nucleare tattico, possibilmente nell’ambito di un’esercitazione nucleare a scatto. – Credibile perché il segnale nucleare corrisponde ai reali preparativi per l’uso del nucleare. Non c’è ancora bisogno di farsi prendere dal panico, ma di prendere in considerazione misure concrete per scoraggiare l’uso effettivo del nucleare (politiche, diplomatiche, militari).

4. Preparativi per un uso nucleare su larga scala: Include tutte le fasi della categoria tre, più l’attivazione di mezzi nucleari strategici in preparazione di una potenziale rappresaglia nucleare (preparazione dei silos, messa in allerta dei bombardieri, dispiegamento dei TEL dai garage). Questo è il momento di considerare la possibilità di prevenire un fallimento della deterrenza. – Credibile perché il segnale nucleare si allinea ai preparativi per un uso nucleare su larga scala. La possibilità di uno scambio nucleare strategico diventa reale; è ragionevole farsi prendere dal panico (e io potrei unirmi a voi).

Attualmente, rimaniamo saldamente all’interno delle categorie uno e due. Considerate le minacce di categoria due, ma evitate di reagire in modo eccessivo. L’uso del nucleare da parte della Russia non è imminente. La preoccupazione è giustificata solo quando la Russia segnala preparativi effettivi.

In breve, egli ipotizza che qualsiasi uso tattico del nucleare da parte della Russia sarebbe preceduto da un ampio preavviso, poiché la Russia probabilmente segnalerebbe il suo imminente utilizzo assicurandosi che lo scarico delle testate nucleari dai depositi e il loro accoppiamento con i veicoli di consegna sia visibile come una minaccia “finale”.

Per quel che vale, ho chiarito una sua possibile svista su X, dato che ritiene che la Russia sia ancora alla “categoria 2”, liquidando gli sviluppi in corso solo come retorica. Io credo che sia andata almeno in parte oltre:

La categoria 2.5 potrebbe essere più accurata dato che sono già state effettuate esercitazioni di testate nucleari tattiche simulando l’accoppiamento di testate nucleari di addestramento su sistemi balistici tattici.Questo non è considerato un livello normale di esercitazioni considerando che è molto raro che sia stato effettuato, in particolare più volte in serie recentemente.

In realtà, non siamo certi che le testate nucleari tattiche utilizzate nelle recenti esercitazioni fossero finte. Le testate sono state letteralmente “sfocate” dalla televisione di Stato, il che significa che potrebbero benissimo essere state vere e rientrare nella categoria #3 di cui sopra:

e accoppiate a veicoli di consegna per un attacco nucleare tattico, forse come parte di un’esercitazione nucleare istantanea.

Inoltre, egli elenca l’attivazione del direttorato nucleare GUMO come parte del #3, il direttorato responsabile dell’esecuzione dei test di Novaya Zemlya; e abbiamo appena avuto una dichiarazione rilasciata dal retroammiraglio della struttura che afferma che è pronta a ricevere ordini di test nucleari in qualsiasi momento. Questo si qualifica come “attivazione” del direttorato? In breve, potremmo essere più avanti nel #3 della sua lista di quanto sia disposto ad ammettere.

Concludiamo questa sezione con la nuova citazione obbligatoria di Dmitry Medvedev:

Dmitry Medvedev scrive:

L’evento che ci si aspettava

Il Presidente russo ha illustrato gli approcci alla nuova edizione dei Fondamenti della politica statale nella sfera della deterrenza nucleare. I principali cambiamenti sono i seguenti.

1. L’aggressione contro la Russia da parte di uno Stato che non possiede armi nucleari, ma con il sostegno o la partecipazione di un Paese dotato di armi nucleari, sarà considerata un attacco congiunto. Tutti capiscono di quali Paesi stiamo parlando.

2. Una protezione nucleare equivalente sarà stabilita per la Bielorussia, il nostro alleato più vicino. Per la “gioia” della Polonia e di numerosi pigmei della NATO.

3. Un lancio massiccio e l’attraversamento del nostro confine da parte di armi aeree e spaziali nemiche, compresi aerei, missili e UAV, in determinate condizioni può diventare motivo per l’uso di armi nucleari. Un motivo di riflessione non solo per il marcio regime neonazista, ma anche per tutti i nemici della Russia che stanno spingendo il mondo verso una catastrofe nucleare.

È chiaro che ogni situazione che giustifica il ricorso alla protezione nucleare deve essere valutata insieme ad altri fattori, e la decisione di usare le armi nucleari sarà presa dal Comandante supremo in capo. Tuttavia, proprio il cambiamento delle condizioni normative per l’uso della componente nucleare da parte del nostro Paese può raffreddare l’ardore di quegli oppositori che non hanno ancora perso il senso di autoconservazione. Ebbene, per le teste dure resterà solo la massima romana: caelo tonantem credidimus Jovem Regnare…

Come interessante corollario a quanto sopra, James Howard Kunstler ha pubblicato due giorni fa un articolo in cui fa alcune affascinanti rivelazioni sulle frizioni interne all’establishment statunitense e britannico. L’articolo fa il paio con altri recenti resoconti che documentano lo scontro tra Pentagono e Casa Bianca nel loro approccio all’Ucraina:

Secondo il Col. Wilkerson, il Segretario alla Difesa Lloyd Austin ha detto in faccia al “Presidente” che non ci sarà alcun lancio di missili a lungo raggio forniti dagli Stati Uniti dall’Ucraina “verso la Russia”, come la Casa Bianca infestata dai neocon ha chiacchierato all’infinito. Le teste più sagge del quartier generale del Dipartimento della Difesa hanno deciso la questione. Se proprio volete, Tony Blinken e Jake Sullivan. La “linea rossa” dei russi su questo tipo di operazione è così ampia che la si può vedere dalla Stazione Spaziale Internazionale – cioè, se sei un astronauta abbandonato lassù a causa dell’incompetenza combinata di NASA e Boeing… ma questa è un’altra storia. . ma questa è un’altra storia.

Nel frattempo, il Primo Ministro britannico Keir Starmer era tutto eccitato per l’operazione missilistica ed è volato a Washington per un incontro a tu per tu con “JB” per ottenere il via libera. I britannici sono entusiasti di un’altra guerra mondiale. Le ultime due sono andate così bene per loro che hanno dato l’addio al loro vasto impero. Ora vogliono dire addio alla loro stessa isola scettica, che non ha quasi più un’economia ed è invasa da ostili culturali che non amano Shakespeare. Il governo britannico è un gruppo di monomaniaci fissati sulla sconfitta della Russia che, a questo punto della storia, è come un ghiro (Glis glis) che affronta un orso bruno (Ursus arctos).

“Joe Biden”, secondo quanto riferito, “furioso” per aver perso il suo potere esecutivo, è stato costretto a dire a Starmer che l’operazione di attacco missilistico era saltata, il che ha lasciato il premier britannico irritato per aver attraversato l’oceano senza motivo. Chissà, i britannici sono così pazzi in questi giorni che forse cercheranno di farcela da soli. Il signor Zelensky, il leader non più eletto dell’Ucraina, li ha implorati di provarci perché l’Ucraina non ha più nulla. Anche la NATO nel suo complesso non ha più nulla. Non c’è molto di un esercito combinato, poche munizioni rimaste nell’armadio e nessuna volontà di fare la guerra tra i cittadini depressi delle nazioni che ne fanno parte.

Questo sembra spiegare alcuni dei messaggi contrastanti che abbiamo visto negli ultimi due mesi, di cui ho riferito in precedenza, in cui abbiamo sentito dichiarazioni attribuite a qualche rappresentante della Casa Bianca in cui si affermava che l’autorizzazione a colpire a lungo raggio era “vicina a ricevere il via libera”, solo per vedere una conferenza stampa con il portavoce del Pentagono Sabrina Singh letteralmente il giorno dopo smentire questa affermazione con la dichiarazione che “non sono previste modifiche ai permessi di attacco”.

Per continuare la propria strategia di “ambiguità strategica” e mantenere la Russia sotto costante pressione da ogni parte, la NATO sta impiegando i suoi piccoli chihuahua periferici per lanciare minacce contro la Russia. Non solo le esercitazioni stanno iniziando proprio vicino ai confini della Russia, ma la Finlandia e i Paesi baltici hanno fatto una nuova serie di dichiarazioni provocatorie.

Gruppo offensivo della NATO in preparazione per il dispiegamento nei Baltici

Dal 23 al 26 settembre si terranno in Lituania le esercitazioni su larga scala “Vytis Dome 2024” per testare il sistema di mobilitazione dello Stato, la procedura per trasferire le agenzie governative e altre organizzazioni dal lavoro in tempo di pace alle condizioni di guerra.

Le esercitazioni sono coordinate dal Centro nazionale di gestione delle crisi e dal Dipartimento di mobilitazione e resistenza civile. Coinvolgono agenzie governative a vari livelli, tutti i 60 comuni del Paese, organizzazioni non governative e altre istituzioni e organismi che svolgono compiti di mobilitazione.

Va notato che l’interazione degli organi statali con le forze armate è in corso di elaborazione nel quadro dell’utilizzo del comitato congiunto di coordinamento per il sostegno al Paese ospitante. Tale comitato è molto probabilmente destinato a garantire il dispiegamento delle truppe alleate.

Una delle fasi dell’esercitazione si svolgerà nella lituana Grigiškės il 24-26 settembre, dove verrà creato un centro di evacuazione intermedio. Durante l’esercitazione si farà pratica di interazione tra ONG e agenzie governative in caso di evacuazione di massa di cittadini non solo dalle regioni lituane, ma anche da altri Paesi baltici.

La parte pratica delle esercitazioni si svolgerà nelle stazioni ferroviarie di Vilnius e Lentvaris, dove, insieme al servizio di assistenza dell’Ordine di Malta, verrà testata l’evacuazione della popolazione, compresi i disabili.

I partecipanti alle esercitazioni opereranno in un ambiente simulato il più possibile simile alla vita reale, tenendo conto di minacce ibride, informatiche e di altro tipo, anche in condizioni di interruzione dell’energia elettrica, mancanza di internet e di comunicazioni mobili e guasti al sistema di allarme pubblico.

Ricordiamo che anche in Lettonia si stanno affrontando questioni di mobilitazione nell’ambito delle esercitazioni Namejs-2024.

Quindi, sulla base del conflitto russo-ucraino, quando le parti minacciate effettuano l’evacuazione della popolazione locale, non c’è dubbio che i Paesi baltici stiano praticando un’esperienza simile.

Allo stesso modo, il Maggiore Generale Vahur Karus, Capo di Stato Maggiore delle Forze di Difesa estoni, avrebbe dichiarato in un’intervista all’estone Eesti Rahvusringhääling che l’Estonia sposterà la sua strategia di difesa da un approccio passivo a uno più offensivo, sulla base di consultazioni (leggi: richieste e ordini) con la NATO:

“Non possiamo più aspettare di essere colpiti in testa con una mazza, ma dobbiamo essere noi a fare certe cose per primi”, ha detto Karus.

Ora, la Finlandia parteciperà alla sua prima esercitazione nucleare della NATO, nell’ambito delle prossime esercitazioni Steadfast Noon previste per metà ottobre.

Alla luce di tutto questo sciabolate e dell’inclusione da parte di Putin dello Stato dell’Unione nelle nuove proposte di modifica della dottrina nucleare, Lukashenko ha ordinato ai suoi generali militari di “prepararsi alla guerra” per precauzione:

Ma per tutti coloro che sostengono che le “linee rosse” russe sono state ripetutamente oltrepassate senza alcuna rappresaglia o ritorsione, ironia della sorte la “Commissione di Helsinki” degli Stati Uniti ha pubblicato un nuovo rapportodi tutte le sospette missioni di sabotaggio russe in Europa nel corso dell’OMU. La conclusione più importante è che la Russia è responsabile degli incendi al principale impianto di difesa tedesco, che produce sistemi missilistici critici come l’IRIS-T per l’Ucraina:

Sabotatori russi che cercavano di interrompere le spedizioni di armi e munizioni critiche all’Ucraina hanno dato fuoco a una fabbrica di metallo appartenente al produttore di difesa Diehl a Berlino, hanno dichiarato funzionari della sicurezza occidentale.

Non è improbabile, vista la serie sospetta di incendi in impianti di difesa della NATO nell’ultimo anno. Va compreso che la Russia mantiene significative capacità asimmetriche di ritorsione per qualsiasi linea rossa superata, compreso l’accordo missilistico Houthi recentemente annunciato.

Ora, durante l’assemblea dell’ONU, Zelensky ha ammesso che la Russia ha distrutto ogni centrale termica dell’Ucraina e la maggior parte di quelle idroelettriche:

Blinken ha aggiunto che Putin sta ora “armando il tempo” per distruggere l’Ucraina:

Resta a discrezione della Russia eliminare la capacità di generazione nucleare dell’Ucraina e metterla lentamente in ginocchio. Oggi Zelensky ha persino rilasciato una nuova dichiarazione in cui afferma che sta considerando di tenere le elezioni presidenziali nella primavera del 2025 e che vede la fine della guerra per allora. Se questo è il caso, sembra probabile che Zelensky voglia andarsene prima che la guerra arrivi a un punto tale da essere “fatto fuori” da una parte o dall’altra. Farà un ultimo tentativo universitario quest’inverno, sia diplomatico che militare, e poi, quando le cose diventeranno veramente tristi e senza speranza, dopo che si sarà reso conto che nessuno dei piani ha funzionato, potrebbe indire queste elezioni per perdere deliberatamente e darsi una via d’uscita; è assolutamente chiaro che sa che perderebbe perché è già al terzo o quarto posto per popolarità tra le figure di spicco in Ucraina – quindi indire le elezioni è praticamente un’ammissione di “dimettersi” intenzionalmente dal potere per fuggire nella sua villa preparata a Tel Aviv.

Quello che prevedo come probabile sviluppo è il seguente: La “solidarietà” dell’Europa continuerà a frammentarsi con l’aumento delle pressioni politiche. Scholz, ad esempio, è appena sopravvissuto a quella che viene definita una “vittoria di Pirro” per il suo partito SPD, che ha superato l’AfD di un punto percentuale nelle elezioni della regione del Brandeburgo:

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Macron è a malapena appeso a un filo in mezzo ai suoi dilemmi interni. Inoltre, le relazioni polacco-ucraine si sono incrinate a causa di varie controversie, tra cui la recente ripresa del massacro di Katyn. C’è sempre meno consenso, visto che persino Petr Pavel ora dice che l’Ucraina deve semplicemente cedere la terra e porre fine a questa guerra:.

I fondi e le armi si stanno esaurendo. I rapporti recenti continuano a dimostrare che l’Europa non ha investito nel modo in cui l’Ucraina sperava, né intende farlo.

Gli alleati occidentali dell’Ucraina hanno quasi esaurito le loro scorte di armi a causa delle forniture a lungo termine alle forze armate ucraine, – The Times.

“Penso che la maggior parte dei Paesi occidentali abbia donato la maggior parte delle risorse che ha”, ha detto il sottosegretario di Stato britannico alla Difesa Luke Pollard.

E:

Il Ministero della Difesa ha “ridotto drasticamente” i trasferimenti di equipaggiamento militare a Kiev a metà del 2023, dopo aver concluso che ulteriori donazioni di aiuti letali avrebbero comportato “rischi inaccettabili per la prontezza militare del Regno Unito”.

Per questo motivo, a causa della crescente instabilità politica in ogni Paese, non sembra probabile che i leader europei siano in grado di adottare misure radicali impopolari nel conflitto ucraino, in particolare di tipo escalativo. Saranno intrappolati in una spirale negativa, mentre i successi russi continuano a crescere nella guerra.

Quindi, una volta che la Russia avrà terminato definitivamente la capacità di produzione di energia elettrica dell’Ucraina, entro la fine del prossimo inverno, nonostante l’Ucraina sia al capolinea, non vedo i Paesi della NATO in grado di fare molto in termini di “intervento” a causa della semplice fragilità del loro ambiente politico interno, dei crescenti shock economici e dell’impopolarità generale della guerra.

Tutto ciò per dire che è improbabile che gli scenari “nucleari” delineati in precedenza si realizzino pienamente in questo quadro di declino politico occidentale. Naturalmente, rimarranno alcuni pericoli, in particolare – come ho già detto – un’Ucraina “canaglia” per disperazione, che provocherà alcune provocazioni importanti, come colpire oggetti russi estremamente sensibili senza l’approvazione degli sponsor. Ma in generale, quanto sopra è più o meno come vedo le prospettive a medio termine. Entro la primavera, se non prima, potrebbe essere necessario un forte scossone, sia che si tratti delle elezioni proposte da Zelensky, sia che si tratti della sua completa sostituzione con curatori occidentali o, nel peggiore dei casi, del suo rovesciamento.

Per la Russia le prospettive rimangono elevate, soprattutto alla luce dell’annuncio di Bloomberg secondo cui la Russia intende aumentare leggermente il proprio bilancio della difesa per il 2025:

Ciò che è incredibile è che, nonostante il massiccio aumento delle spese per la difesa, la Russia è destinata a ridurre il suo deficit di bilancio complessivo a livelli record: .

Al tempo stesso, la bozza dei documenti mostra che il governo prevede di ridurre il deficit di bilancio l’anno prossimo allo 0,5% del PIL. Ciò si basa sulle proiezioni di maggiori entrate non derivanti dal petrolio e dal gas, grazie all’introduzione di un’imposta sul reddito più progressiva e agli aumenti previsti dei guadagni derivanti dall’imposta sul valore aggiunto, dalle accise e dalle imposte sulle importazioni.

Ciò è dovuto principalmente alle altissime entrate petrolifere che la Russia continua a rastrellare senza sosta, e che hanno causato la costernazione dell’Occidente.

Ci sono ancora alcunipericoli e preoccupazioni tecnologiche per la Russia, sulla falsariga di quelli precedenti che ho delineato in questo precedente articolo, ma li tratterò in un altro futuro articolo aggiornato..

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Energia nucleare a rischio per la carenza di uranio: il Senato lancia l’allarme, di Hovannès Derderian

Energia nucleare a rischio per la carenza di uranio: il Senato lancia l’allarme (francia)

Il 4 luglio il Senato francese ha pubblicato le conclusioni della sua commissione d’inchiesta sulla produzione, il consumo e il prezzo dell’elettricità nel 2035 e nel 2050. Il documento lancia l’allarme su una questione piuttosto sorprendente: il rischio di una scarsità relativamente rapida dell’uranio necessario per le centrali nucleari francesi.

pubblicato il 13/09/2024 Di Hovannès Derderian

La relazione del Senato, pubblicata in due volumi, sottolinea la necessità di ridurre il costo dell’elettricità per rendere possibile l’elettrificazione dell’economia. I senatori si distinguono anche per la loro critica severa alle contraddizioni della politica energetica europea. Ma la vera originalità del rapporto si trova nel Capitolo V del Titolo III intitolato: “La 4th generazione nucleare : da rilanciare con urgenza “. Il motivo della Raccomandazione 28 al Governo è ampiamente illustrato.

Se da un lato la commissione del Senato sottolinea l’importanza dell’energia nucleare per garantire la competitività e la disponibilità futura dell’elettricità francese, dall’altro individua il problema dei rischi per le nostre forniture di uranio. Un rischio che viene raramente evidenziato, come chiarisce il rapporto:

” Molto spesso, quando si parla di elettricità nucleare, la discussione si concentra sugli impianti di produzione di elettricità, i reattori. Tuttavia, la questione del combustibile viene affrontata raramente, e a volte addirittura dimenticata. Eppure è di importanza cruciale. Infatti, se l’energia nucleare è una fonte di produzione di elettricità massiccia e controllabile, ben gestita in Francia, essa richiede tuttavia una risorsa, l’uranio”.

Rivediamo i principali risultati e le conclusioni del lavoro del Senato sul “rischio uranio”, un argomento che abbiamo già trattato nella nostra analisi dello scorso marzo.

Scarsità programmata di risorse di uranio il ritorno della geopolitica

Il rapporto del Senato si basa su due osservazioni. In primo luogo, le riserve di uranio sono limitate, anche considerando i giacimenti più costosi. D’altra parte, il parco nucleare mondiale è destinato a crescere in modo significativo per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione. L’aritmetica del ragionamento è quindi semplice: una maggiore domanda a fronte di un’offerta già limitata implica un rapido esaurimento dell’uranio, che finirà per porre problemi di approvvigionamento.

Il rapporto esamina 5 scenari che considerano diversi livelli di domanda di uranio. Nello scenario più ottimistico, in cui il consumo globale di uranio ristagna a 60.000 tonnellate di uranio all’anno, le “riserve ragionevolmente assicurate ” comunicate dall’AIEA si esaurirebbero entro il 2100. Nell’ultimo scenario, che corrisponde a una triplicazione della produzione di energia nucleare come previsto da una ventina di Paesi alla COP28, il consumo di uranio cresce a 180.000 tonnellate all’anno entro il 2040. A questo ritmo, le riserve ragionevolmente assicurate saranno esaurite intorno al 2055.

Per quanto riguarda le altre categorie di riserve note come ” riserve identificate “, più ottimistiche perché estraibili a un costo fino a 260 /kg di dollari, esse si esauriranno già nel 2070. Anche la categoria più speculativa delle ” risorse ultime “, che comprende anche le risorse non scoperte (basate su estrapolazioni geologiche), si esaurisce intorno al 2090.

I reattori EPR2, che entreranno in funzione nel 2030 e avranno una durata di vita prevista di oltre 80 anni,saranno quindi esposti in tutti gli scenari a un rischio maggiore o minore di esaurimento delle risorse di uranio.

Il rapporto contesta anche l’idea che la diversificazione delle fonti di approvvigionamento di uranio sia una garanzia di stabilità delle nostre forniture. Si prevede che l’Asia (compresa la Russia), che rappresenta il 75% della produzione mondiale di uranio, passerà da esportatore a importatore entro il 2040. Ciò è dovuto principalmente allo sviluppo dell’energia nucleare in Cina, dove il consumo di uranio passerà da 11.000 a 40.000 tonnellate tra il 2023 e il 2040.

È quindi abbastanza certo, come sottolinea il rapporto, che a quel punto ” le tensioni sul mercato dell’uranio sono destinate a crescere progressivamente “. I Paesi occidentali si rivolgeranno maggiormente ai produttori OCSE, che rappresentano ancora il 40% delle risorse di uranio, una garanzia di stabilità secondo il CEO di Orano.

Tuttavia, in una rinfrescante esplosione di Realpolitik, i senatori fanno notare che ” se gli occidentali si rivolgessero prima al Canada e all’Australia per le loro forniture di uranio, siamo sicuri che la Francia sarebbe ben servita come gli Stati Uniti?
ha chiesto. Porre la domanda significa indubbiamente rispondere…

Lotte e autocecità : l’impreparazione dei dipartimenti governativi

Di fronte alla probabile prospettiva di tensioni sulle forniture di uranio, la soluzione è vecchia come il programma stesso di energia nucleare: portare avanti lo sviluppo della quartagenerazione di reattori. Conosciuti anche come reattori a neutroni veloci (RNR), questi reattori sono unici in quanto possono utilizzare l’uranio-238 (il 99,3% dell’uranio naturale estratto ogni anno), che è molto più abbondante dell’uranio-235 attualmente utilizzato.

Attualmente in Francia ci sono circa 330.000 tonnellate di uranio impoverito (cioè composto quasi interamente da uranio-238). L’utilizzo della RNR eliminerebbe la necessità di estrarre uranio da nuove miniere per diverse centinaia di anni. Non ci sarebbero rischi per la sicurezza delle forniture di uranio.

Tuttavia, gli alti funzionari pubblici interrogati dalla commissione d’inchiesta sembrano tutt’al più dilettanti sulla questione dei rischi che gravano sull’approvvigionamento di uranio della Francia. Ad esempio, Sophie Mourlon, Direttore Generale per l’Energia e il Clima, ha dichiarato senza battere ciglio che ” la disponibilità [di uranio] per questo secolo è assicurata “. E continua dicendo che ” nuovi giacimenti potrebbero essere scoperti da qui ad allora “, aggiungendo il cappello di geologo ai suoi compiti di direttore…

Da parte della CEA, il suo direttore generale, François Jacq, ammette che ” in caso di carenza di materiali, saremo costretti a costruire grandi reattori a neutroni veloci “, ma fa di tutto per dimostrare l’assenza di necessità con sorprendenti calcoli da bottegaio :

“Se raddoppiassimo il prezzo dell’uranio – l’unica ragione per costruire questo tipo di reattore – porterebbe solo a un aumento del prezzo di 4 euro per megawattora. Non è il momento giusto per farlo: è troppo presto.

Al vicecapo sembra essere sfuggito che la geopolitica non è semplicemente una questione di prezzo della risorsa, se il prezzo è il risultato di una qualche efficienza informativa. Infatti, il caso del Niger, dove il colpo di Stato del luglio 2023 ha provocato l’interruzione dell’estrazione da parte di Orano, dimostra, se ce ne fosse bisogno, che le forniture di uranio possono essere interrotte improvvisamente senza che ciò sia stato previsto dal “prezzo di mercato”. Le attuali tensioni tra Stati Uniti e Russia in seguito al conflitto in Ucraina hanno inoltre fatto temere un’interruzione del commercio di uranio tra i due Paesi e i loro alleati. Possibile che questi fattori non siano stati presi in considerazione nella visione strategica del sagace vice capo?

Il problema è che questa “visione” amministrativa si è tradotta in conseguenze concrete quando l’amministratore della CEA ha raccomandato al governo di interrompere il programma di costruzione di un reattore RNR di ricerca, il programma ASTRID, nel 2019. Questa decisione, che l’amministratore ” assume totalmente ” è tuttavia in contrasto, come sottolinea la Commissione d’inchiesta, con una disposizione legislativa approvata dal Parlamento (art. 3 della legge n. 2006-739), tanto che i senatori si sono spinti – fatto estremamente raro – a parlare di un possibile reato di abuso di autorità nei confronti del signor amministratore generale, comportamento punibile con 5 anni di reclusione e 75.000 euro di multa.

Da queste audizioni, i senatori hanno concluso con sgomento che “lungi dall’essere una visione strategica, l’abbandono di ASTRID è stato il risultato di un calcolo a breve termine sul prezzo dell’elettricità nucleare. Le questioni dell’autonomia della risorsa, del buon uso della risorsa e della sovranità non sono affatto menzionate “. Cosa si può dire di più?

Il salutare appello del Senato : troppo poco, troppo tardi, troppo vile ?

Non meniamo il can per l’aia  per un analista preoccupato per lo stato critico delle nostre forniture di uranio, questo rapporto colpisce nel segno. L’argomentazione, l’esposizione dell’abissale vuoto strategico sull’uranio all’interno dei servizi statali e la conclusione logica sulla necessità di sviluppare la RNR sono innegabilmente corrette.

Tuttavia, Qui bene amat, bene castigat (chi bene ama, bene castiga), questo rapporto non è privo di critiche. Purtroppo, sembra che la sua costruzione ingessi una conclusione che avrebbe dovuto comunque avere l’effetto di una bomba termonucleare.

Prima di tutto, la forma. La questione della scarsità di uranio, che minaccia l’industria nucleare francese e che richiede attenzione e anticipazione, è trattata solo nel Capitolo V del Titolo III – a pagina 668 delle 821 pagine del Volume I… Certo, l’importanza di un argomento non si misura dal suo peso in inchiostro e carta o dal numero di pagina in un rapporto del Senato, ma si può comunque dire che questo argomento è diluito tra una moltitudine di altri di importanza molto meno strategica.

La stessa numerazione delle raccomandazioni al Governo pone la questione del programma RNR al 28° posto (su 33). Unitamente alla stretta istituzionale di cui è vittima la questione della RNR, questa classifica porta, inconsapevolmente o meno, ad accantonare la questione. Quando ci sarà una relazione specificamente dedicata al tema?

Poi c’è la sostanza. Il rapporto si limita ad anticipare le difficoltà di approvvigionamento che potrebbero sorgere nel prossimo futuro. Ma che dire della situazione attuale? I senatori sottolineano con preoccupazione i rischi di tensioni sull’offerta dovuti alla crescita della domanda cinese di uranio, che passerebbe dalle 11.000 tonnellate del 2023 alle 40.000 tonnellate del 2040. Tuttavia, credono che la passata crescita del consumo cinese (2.000 tonnellate nel 2010, 11.000 tonnellate nel 2023) sia stata raggiunta senza tensioni? Certamente no, e questo è uno dei motivi per cui la diffusione dei reattori veloci è molto più urgente di quanto ci venga detto.

Infine, i senatori non sembrano trarre alcuna conclusione dai precedenti fallimenti dell’industria nucleare francese o dalle gravi carenze evidenziate nel rapporto. I senatori raccomandano di rilanciare una fase di ricerca trentennale (sviluppo, costruzione e feedback di un primo prototipo di RNR) affidandone l’attuazione alla CEA. Tuttavia, gli stessi senatori sottolineano la mancanza di pensiero strategico da parte di questa organizzazione, che ha sabotato gli sforzi per sviluppare la RNR con la fine del progetto ASTRID.

Peggio ancora, il rapporto indica di aver consultato un documento della CEA in cui si afferma che lo sviluppo in corso di un nuovo tipo di combustibile, noto come MOX2, avrà l’effetto di degradare le scorte di plutonio con il “rischio di scorte insufficienti per lo sviluppo di un parco RNR . Le scorte di plutonio, già molto limitate, allo stato attuale consentirebbero solo l’avvio di 2 o 3 reattori veloci. Ciò dimostra la necessità di una gestione oculata di questo stock.

Oltre al problema di affidare la missione alla CEA, è il calendario stesso che prevede una fase di ricerca così lunga a sollevare dubbi. Un altro dimostratore non sarebbe all’altezza dell’attuale esaurimento delle risorse di uranio, tanto più che queste fasi dimostrative sono già state realizzate con i reattori Phénix e Superphénix.

Dobbiamo accettare il fatto che i primi reattori RNR saranno senza dubbio meno potenti, con una progettazione complessa e costosa, ma è proprio una fase di sviluppo industriale che deve essere avviata senza indugio. Seguendo l’esempio del programma nucleare degli anni ’70, è sicuro che la riduzione dei costi per gli RNR andrà di pari passo con la loro crescente diffusione.

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Papà in soccorso, di Aurelien

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Papà in soccorso.

E smettetela di dire “non è giusto!”.

Avevo intenzione di scrivere di qualcos’altro questa settimana, ma si dà il caso che la crisi politica in Francia di cui ho scritto nell’ultimo saggio sia entrata in una nuova fase e che, ancora una volta, le sue implicazioni vadano ben oltre il caso particolare della Francia e ci aiutino a capire dove potrebbero andare i sistemi parlamentari occidentali. In questo aggiornamento (più breve del solito), quindi, desidero fare un breve resoconto di come siamo arrivati a questo punto, per poi passare ad esaminare alcuni insegnamenti di più ampio respiro.

Come probabilmente avrete già sentito, giovedì Macron ha chiesto a Michel Barnier di provare a formare un governo. (Su Barnier c’è una discreta pagina di Wikipedia in inglese, appena aggiornata). Barnier è probabilmente il politico più esperto in Francia oggi: è stato ministro, commissario europeo, capo del gruppo parlamentare di destra a Bruxelles e, naturalmente, capo negoziatore dell’UE per i negoziati sulla Brexit. Ma l’esperienza richiede necessariamente del tempo per essere accumulata, e Barnier (che oggi ha 73 anni) ha più di cinquant’anni di attivismo politico alle spalle, a partire dall’affissione di manifesti a sostegno di De Gaulle negli anni Sessanta.

A prima vista, o anche a seconda, questa nomina sembra strana. Barnier fa parte della destra tradizionale che Macron ha cercato di distruggere (così come ha cercato di distruggere la sinistra tradizionale) e proviene dalla vecchia classe politica, con le sue divisioni tra destra e sinistra, dalla quale Macron ha dichiarato di voler operare una rottura decisiva. Dopotutto, l’Assemblea Nazionale ha molti giovani deputati che avrebbero potuto essere scelti, e in effetti il Presidente non era nemmeno obbligato a scegliere un politico eletto: sono stati fatti anche uno o due nomi non politici. Inoltre, l’altro candidato serio, l’ex primo ministro socialista Bernard Cazeneuve, ha sessant’anni e in privato ha definito Macron “un bambino”. Perché questa improvvisa e violenta sterzata da Gabriel Attal, ex primo ministro adolescente (e il più giovane della storia francese) a Barnier, che sarà il più anziano?

In parte ciò si spiega con l’attuale caos, che la nomina di Barnier può alleviare temporaneamente, ma non può risolvere fondamentalmente. Ricordiamo che, con un atto di autolesionismo politico, Macron ha indetto un’inutile elezione parlamentare che ha visto la forza dei partiti che lo sostenevano ridursi radicalmente, tanto da rendere impossibile anche solo sperare di formare un governo. Inoltre, né la coalizione “di sinistra” del PNF, né il Rassemblement national (RN) di Le Pen e dei suoi alleati avevano abbastanza seggi per formare un governo. (Sporche macchinazioni elettorali avevano fatto sì che l’RN avesse molti meno seggi di quanti gliene spettassero). Il risultato fu una situazione di stallo. Barnier, tuttavia, non proviene da nessuna di queste tre coalizioni, ma da Les Republicans, il tanto ribattezzato partito della destra tradizionale, che ha meno del dieci per cento dei 577 seggi dell’Assemblea Nazionale, e che aveva sostenuto il governo di Macron dopo le elezioni del 2022. E così l’isteria della “Sinistra”.

È vero, naturalmente, che l’incarico era un calice avvelenato e che accettarlo avrebbe probabilmente posto fine a una promettente carriera politica. Pochi politici giovani e ambiziosi oggi correrebbero un simile rischio. Per Barnier, questo probabilmente non ha molta importanza: è un interessante ritorno a un’epoca in cui ci si aspettava che i Primi Ministri avessero esperienza e che essere Primo Ministro fosse l’ultimo lavoro in politica e non il primo. Quindi chi sperava in un futuro in politica teneva la testa ben bassa. Inoltre, chiunque fosse stato ritenuto solo un burattino di Macron sarebbe stato inaccettabile per l’Assemblea Nazionale come Primo Ministro, fin dall’inizio.

Il fatto è che il solo nominare qualcuno Primo Ministro non produce automaticamente un governo. Questa persona deve avere le capacità di mettere insieme una coalizione di partiti, e quindi di distribuire i portafogli, per creare un governo valido, che a sua volta deve sopravvivere all’inevitabile voto di censura. E Barnier è considerato, anche dai suoi nemici, un politico di vecchio stampo. È un individuo paziente, non dimostrativo, senza forti convinzioni ideologiche, che ha affrontato molto bene l’isteria dei politici britannici durante la Brexit. Non è detto che ci riesca: calcoli affannosi nei media e altrove suggeriscono che potrebbe probabilmente riunire fino a 220 seggi in una coalizione di centro-destra, con un massimo teorico di circa 250. Si noti che non si tratterebbe necessariamente di una coalizione formale, ma solo di assicurazioni informali di sostegno per votazioni importanti. E anche in questo caso, il suo governo sopravvivrebbe solo con il sostegno di altri partiti o, più probabilmente, con le astensioni: un punto su cui tornerò (potete giocare voi stessi con un simulatore pubblicato da Le Monde.). Tuttavia, da un punto di vista puramente tecnico, è probabilmente l’unica persona in grado di formare un governo, e questa è la prima interessante conclusione: perché la sopravvivenza del sistema politico francese dipende da un individuo che ha iniziato la sua carriera politica sotto Georges Pompidou? E quali conclusioni più ampie possiamo trarre?

La risposta alla prima domanda è che, sebbene Barnier abbia queste capacità, in realtà non sono eccezionali. È solo che erano tipiche dei politici della sua generazione e di quelle un po’ successive, e oggi ne rimangono pochi. Ci sono uno o due altri che avrebbero potuto qualificarsi: un nome che è stato sussurrato è quello di Edouard Philippe, una decina d’anni più giovane di Barnier, che è stato primo ministro di Macron durante la Covid e che è generalmente rispettato. Ma Philippe ha ritirato il suo nome dalla considerazione (e ha indebolito Macron) annunciando che si sarebbe candidato alla presidenza nel 2027. Nel campo di rovine che Macron ha creato nella politica francese, qualsiasi politico più giovane con un certo grado di ambizione starebbe alla larga da questa bomba inesplosa. Non è la prima volta che la distruzione del sistema politico francese da parte di Macron si ritorce contro di lui in un’area sensibile.

Per quanto riguarda le conclusioni più ampie, ho sottolineato in diverse occasioni che i politici di oggi non sono molto bravi a fare i politici. Sanno come twittare, scalzare i rivali, avere sempre le opinioni giuste al momento giusto e scalare la classifica del loro partito – o del partito, se accettate la mia terminologia. Ma le vecchie abilità politiche, come ottenere e rimanere eletti, persuadere gli altri, formare coalizioni, sviluppare compromessi e così via, non sono richieste al giorno d’oggi. Inoltre, molti politici entrano in parlamento come beneficiari di movimenti di opinione più ampi (spesso il disgusto per il governo in carica) piuttosto che per ragioni di competenza personale, e sanno che potrebbero essere spazzati via di nuovo con la prossima marea. Nel Regno Unito, dei 209 nuovi parlamentari laburisti dopo il 4 luglio, pochi hanno conquistato il seggio con le proprie forze e pochi possono aspettarsi di sopravvivere alle prossime elezioni. Le lezioni sono quindi ovvie: tenere il naso pulito, leccare i piedi alla leadership, farsi conoscere pubblicamente e dai media come un lealista e sperare che, anche se si perde il seggio la prossima volta, qualcuno offra un lavoro decente. È la stessa cosa in Francia: “Votate per me, sono stato il primo ministro designato da Macron, solo che non sono mai riuscito a formare un governo”, non vi aiuterà a essere eletti nel 2027. In ogni caso, molti dei parlamentari di Macron, senza un ovvio futuro leader perché Macron ha distrutto tutti i pretendenti, sembrano pronti a lasciare la politica in ogni caso.

In opposizione a questi banali requisiti di competenza ed esperienza, naturalmente, c’è la persistente convinzione che la giovinezza, di per sé, batterà sempre l’età e l’esperienza, solo perché. In molti Paesi, i politici sono saliti al potere grazie alla percezione della giovinezza e del cambiamento rispetto alle vecchie idee. L’esempio più sfortunato è probabilmente quello dei nazisti: Hitler aveva quarant’anni nel 1932 e alcuni nazisti erano più giovani. Mussolini non aveva ancora quarant’anni all’epoca della Marcia su Roma. Il fascismo come movimento enfatizzava la giovinezza, l’energia e ciò che oggi chiameremmo “rottura” delle strutture politiche antiquate. Ma ci sono anche esempi meno controversi: John Kennedy, naturalmente, ma anche Harold Wilson, ancora quarantenne quando divenne Primo Ministro nel 1964, impegnandosi a rifare della Gran Bretagna una moderna nazione industriale. Tony Blair ha fatto leva sulla sua giovinezza e sul suo status di outsider nel 1997, pur non avendo le capacità politiche di Wilson (e di Kennedy).

Macron ha fornito l’ultima parodia di queste tattiche, come di molte altre, e si è circondato di consiglieri giovani e inesperti e di ministri altrettanto inesperti di cui, ancora oggi, pochi ricordano i nomi. Parlando di La Startup nation e della sua missione di “sconvolgere” la politica francese, sembra aver previsto che i ministri arrivino al lavoro ogni giorno indossando tute da ginnastica e cappellini da baseball, andando in skateboard e ascoltando musica rap con gli auricolari. La scelta di un adolescente come Gabriel Attal come Primo Ministro era quindi tristemente inevitabile, così come la successiva scelta dell’ancor più giovane Jordan Bardella come volto pubblico da parte del RN non è stata una sorpresa. Non sorprende che entrambi si siano rivelati degli interpreti piuttosto mediocri.

E alla fine è stato costretto, come l’adolescente che in fondo è ancora, a chiedere aiuto a papà dopo settimane di false partenze e di agonizzante introspezione, e a offrire il lavoro a qualcuno che non gli piace e a cui non voleva darlo. Non condivido l’opinione comune che si tratti di una manovra diabolicamente intelligente di Macron per scegliere un Primo Ministro che attui obbedientemente la sua agenda. Non solo Barnier ha l’età per essere il padre di Macron ed era un veterano della politica quando Macron giocava a biglie al parco giochi, ma non ha bisogno di questo lavoro, mentre Macron ha bisogno di lui. In caso di litigio, Barnier potrebbe semplicemente minacciare di dimettersi e far precipitare il Paese nel caos. Vedremo cosa significa la distinzione costituzionale tra il Capo dello Stato e il Governo che governa il Paese.

Più in generale, quindi, la competenza e l’esperienza si rivelano avere un certo valore dopo tutto, e inviare tweet, accoltellare nemici e fare bella figura in TV non danno, di per sé, le qualifiche per guidare un Paese. Forse non è una sorpresa, quindi, che i due contendenti alla presidenza degli Stati Uniti non siano dei novellini (Harris ha sessant’anni), o che il livello di competenza dei loro potenziali successori sia così basso. E devo ancora darmi un pizzicotto per ricordare che Liz Truss, che secondo tutti i conti era terribilmente inadatta al lavoro, è stata presa sul serio come Primo Ministro del Regno Unito per diversi mesi, prima di essere strangolata e il suo corpo gettato nel Tamigi. Forse il declino generazionale della competenza che vediamo nell’ingegneria e nella scienza si applica anche alla politica? Ecco un’idea.

La seconda questione che voglio affrontare è l’atteggiamento della “sinistra”. Ora è ragionevole usare il fatto che avete più seggi in parlamento di qualsiasi altro gruppo come punto di discussione. È stato abbastanza normale da parte del PNF chiedere che Macron scegliesse qualcuno per formare un governo tra le loro fila, e lamentarsi quando non l’ha fatto, sebbene non ci sia nulla nella Costituzione che lo obblighi a farlo. Ciò che sorprende e preoccupa è, in primo luogo, la richiesta perentoria e senza qualifiche che la persona debba essere uno dei loro, e in secondo luogo lo scatto d’ira adolescenziale che ha seguito la scelta di Barnier. (Non è giusto! Non è giusto! ). Per cominciare, sebbene il blocco del PNL abbia ottenuto il maggior numero di seggi, lo ha fatto dopo alcuni sordidi accordi che hanno escluso il Rassemblement national da molte circoscrizioni elettorali. La loro quota di voto popolare è stata significativamente inferiore a quella del RN, anche se hanno ottenuto più seggi. Ma la cosa più preoccupante era il senso di diritto: pretendevano, in effetti, di essere al governo, di attuare tutto il loro programma e che gli altri partiti dovessero in qualche modo farsi da parte e lasciarli fare. Ma questo senso di diritto non era supportato da argomenti persuasivi, dalla disponibilità a negoziare e a scendere a compromessi, e nemmeno dalla fretta di individuare il proprio candidato, che ha richiesto settimane di litigi interni molto pubblicizzati. Eppure nulla di tutto ciò ha influito sull’arroganza con cui hanno preteso che il sistema politico francese accogliesse le loro richieste. E ciò che è più preoccupante, a mio avviso, è il modo in cui i media vicini al PMC in tutto il mondo hanno coperto la storia. Il PNF, è stato ampiamente affermato, ha “vinto” le elezioni. Avevano il diritto morale di scegliere un Primo Ministro. Macron si è reso colpevole di un “colpo di Stato” e di una “negazione della democrazia” non cedendo alle loro richieste e scegliendo una figura di destra.

Tutto questo diventa più chiaro se ricordiamo che la “sinistra” occidentale ha abbandonato da tempo qualsiasi interesse per ciò che pensa la gente comune, o anche solo per come vota. C’è una storia interessante in questo. La vecchia sinistra ha sempre avuto due filoni principali: i movimenti di massa e i partiti politici di massa, spesso legati ai sindacati, con sostenitori borghesi simpatici nei media e nel sistema politico. Sebbene i leader e i funzionari politici provenissero direttamente dalla classe operaia, la maggior parte era costituita da simpatizzanti della sinistra borghese che agivano per convinzione. Léon Blum in Francia e Hugh Gaitskell in Gran Bretagna sono esempi eccellenti di queste persone, ma ce ne sono molte altre. L’altro filone era interamente di classe media, di solito con istruzione universitaria e generalmente più interessato ai dibattiti teorici (spesso ad alto volume, se ricordo bene). Erano prevalentemente maoisti o trotzkisti e disprezzavano i partiti politici di massa e i politici “borghesi”. Non credevano nella lotta elettorale o nella possibilità di prendere il potere in modo pacifico. Erano per lo più rivoluzionari di riserva dell’avanguardia leninista, lì per guidare la gente comune e per istruirla su come comportarsi.

Si collocavano quindi nella tradizione, a partire dal Manifesto comunista, secondo cui il loro partito avrebbe assunto il “ruolo di guida”, spiegando e convincendo la grande massa del popolo della necessità dell’azione rivoluzionaria. (Da qui, per inciso, la distinzione tra “agitazione”, per persuadere le masse ignoranti, e “propaganda” all’interno del partito stesso). Per contro, i grandi e ben organizzati partiti comunisti di Francia e Italia furono liquidati come relitti “stalinisti”, che non sarebbero mai stati in grado di prendere il potere in modo pacifico. Questo filone di pensiero rappresentava, se vogliamo, la tradizione elitaria piuttosto che quella democratica del socialismo. Uno dei loro mentori fu il marxista anticonformista Louis Althusser, molto influente tra gli studenti degli anni Sessanta e Settanta, che notoriamente insegnava che il pensiero di Marx era intrinsecamente corretto: non era giusto perché era vero, come dimostrato da cose banali come i fatti, ma era vero perché era giusto, e non si poteva discutere.

La maggior parte dei giovani marxisti degli anni Settanta abbandonarono rapidamente la loro superficiale conoscenza del pensiero del Barbuto e si spostarono bruscamente a destra, costituendo la base dell’altrettanto superficiale movimento neoconservatore francese che seguì e che dura tuttora. Ma non hanno abbandonato l’approccio elitario, teorico ed esortativo della loro giovinezza: basti pensare all’ex maoista Bernard-Henri Levy che girava il mondo per convincere i governi occidentali a bombardare le persone che non gli piacevano. Un buon esempio di attualità è Raphael Glucksman, uno dei leader più volubili del PNF. È il figlio di Andrei Glucksman, originariamente marxista, poi violento oppositore del marxismo a destra. Glucksman fils, educato in istituzioni parigine d’élite, ha iniziato come neoconservatore (come il padre), ma più recentemente è entrato nell’orbita del Partito Socialista. Non è chiaro quali siano le sue precise convinzioni, ma la sua eredità intellettuale è chiaramente quella del diritto elitario e della sfiducia nella gente comune.

La “sinistra”, così come esiste oggi nella maggior parte dei Paesi occidentali, è composta per la maggior parte da questi elitisti della classe media, che hanno perso qualsiasi conoscenza delle vere ideologie della sinistra, ma hanno conservato o ereditato il senso del diritto e la sfiducia nelle capacità di persone come voi e me. Per questi movimenti non c’è niente di più inaccettabile che vedere la gente comune organizzarsi ed esprimere collettivamente i propri desideri. E poiché la gente comune è fondamentalmente stupida, se esprime idee diverse dalle Idee Giuste, deve essere perché è stata propagandata da forze rivali, in particolare dai temuti fascisti. Devono essere convinti e costretti a seguire il Giusto Modo di Pensare.

Questo spiega molto degli eventi recenti, compresa la dissociazione della “sinistra” dalla realtà. Pensavano davvero che le manovre che li hanno portati ad avere più seggi della RN dessero loro in qualche modo il “diritto” di comandare, con l’obbligo per gli altri di seguire. Se Macron non avesse fatto quello che gli era stato detto, sostenevano alcuni, avrebbero dovuto scendere in piazza per costringerlo a obbedire, cosa che in effetti è stata tentata sabato scorso, anche se non su larga scala. Il fatto che tre quarti dell’elettorato francese li abbia respinti e che la Francia si stia chiaramente avviando verso un periodo di dominio del centro-destra con una significativa componente populista, è sfuggito loro completamente. Ma la cosa più grave è che sembrano essersi dimenticati completamente di Le Pen e della RN. Il loro unico obiettivo politico, quello di tenere il RN lontano dal potere, è stato raggiunto e hanno cospirato con altri partiti per tenere il RN fuori da tutti i posti importanti dell’Assemblea Nazionale. Così la minaccia era stata liquidata, i deviazionisti di destra epurati e la “sinistra” poteva prendere il potere. Tranne che per.

Ecco cosa? Beh, a parte il fatto che avevano dimenticato che questa era una democrazia parlamentare. Pensavano che la RN fosse stata bandita: a tutti gli effetti, non esisteva più e poteva essere ignorata. Se non fosse che avevano dimenticato che un governo poteva essere rovesciato da una maggioranza dell’Assemblea Nazionale e che loro stessi erano una netta minoranza, per cui sarebbe stato saggio cercare alleati ed essere pronti a fare concessioni. Se non fosse che, votando o astenendosi, la RN potrebbe avere una voce potente nella politica francese, perché uno stupido e manipolato 37% dell’elettorato ha commesso l’imperdonabile errore di votare per loro e per i loro alleati. Se non fosse che il RN potrebbe tacitamente mantenere al potere un governo di centro-destra guidato da Barnier, semplicemente astenendosi. Se non fosse che avrebbero dovuto pensarci prima: basta saper contare. Ora, le personalità della sinistra gridano che Macron ha “consegnato il potere” alla RN: cosa pensavanodi fare? Non gli è mai venuto in mente di fare un po’ di semplice aritmetica?

Una delle conseguenze più interessanti di questo fiasco – probabilmente non limitata alla Francia – sarà l’effetto sulla “sinistra” elitaria che abbiamo oggi. Nella maggior parte dei Paesi, essa si è effettivamente scontrata con un muro di mattoni. Anche adottando la definizione più generosa di sinistra, e includendo tutte le sue componenti che si detestano a vicenda come i Verdi, non c’è quasi nessun Paese in cui il voto della “sinistra” superi un terzo dell’elettorato. Il bizzarro sistema britannico lo nasconde un po’, ma la realtà è che il Partito Laburista, nonostante il suo dominio aritmetico della Camera dei Comuni, riusciva a malapena a raccogliere il sostegno di un elettore su tre. Ora, il povero Starmer sembra non sapere cosa fare, se non rendere più difficile la vita della gente comune. Come ho già sottolineato in precedenza, l’acquisizione del potere è l’unico obiettivo del partito. Avendo epurato i suoi avversari, cosa resta da fare a un politico come Starmer?

Non si può continuare così. Nelle ultime elezioni in Francia, e in numerosi sondaggi d’opinione, i francesi hanno espresso molto chiaramente la loro opinione. Il Paese si sta muovendo fortemente in direzione del centro-destra, dove è stato per la maggior parte degli ultimi due secoli. Quando Barnier ha parlato delle sue priorità – istruzione, immigrazione e sicurezza – ha rispecchiato con precisione anche le priorità della maggior parte dei francesi. In un Paese in cui la gente comune fa sempre più fatica ad arrivare alla fine del mese senza indebitarsi e in cui i prezzi nei negozi sono visibilmente in aumento, non funzionerà più tirare fuori gli economisti per spiegare che l’elettorato è stupido. L’idea della “sinistra” di un piccolo aumento del salario minimo era, nella migliore delle ipotesi, un cerotto applicato a una piccola parte del problema, che è essenzialmente il massiccio trasferimento di ricchezza verso i ricchi in corso da trent’anni a questa parte, e di cui il partito interno ha beneficiato in modo sostanziale.

Non c’è alcun segno che la “sinistra” lo capisca. I socialisti, ad esempio, hanno annunciato che tra le loro condizioni non negoziabili per entrare al governo c’è l’abrogazione di una legge approvata l’anno scorso che, molto timidamente, cercava di mettere un po’ d’ordine nel caos dell’immigrazione incontrollata. Ma quando si vive essenzialmente in un mondo di idee normative, in cui la realtà entra solo su invito, e non spesso; e quando si ha un’incrollabile convinzione della propria superiorità morale e intellettuale, ecco cosa succede. Da quando è stata annunciata la nomina di Barnier, oscuri “sinistrorsi” sono scesi in campo per proclamare che non accetteranno mai e poi mai di far parte del suo governo, non che lui glielo abbia chiesto e come se a qualcuno importasse. (In realtà, è molto probabile che qualche altra figura significativa della “sinistra” faccia finalmente il sacrificio supremo dei propri principi morali e accetti un bel lavoro di governo: non sarebbe esattamente la prima volta).

Ho già sentito dire che la “sinistra” trionferà nel 2027, perché il governo Barnier fallirà. Può anche fallire, ma questo non significa che la “sinistra” vincerà. In effetti, non mi è chiaro per quanto tempo l’attuale alleanza elettorale potrà sopravvivere. Non avendo alcuna possibilità di far cadere il governo Barnier da soli, e condannati a tre anni di impotenza ed emarginazione, con il loro programma degli ultimi quindici anni o giù di lì che sta svanendo e senza nulla che lo sostituisca, potrebbero non sopravvivere come forza organizzata per molto tempo. (Tre anni di smorfie e insulti alla RN non porteranno a molto. Inoltre, si sono efficacemente castrati rifiutando persino di parlare con la RN. Di conseguenza, è probabile che si verifichino parecchie situazioni in cui la RN e il PNF (o qualunque cosa sia allora) si oppongono entrambi a un’iniziativa di un governo Barnier. Ma poiché la “sinistra” non può essere vista votare con il RN, troverà un modo per astenersi o evitare la questione e la legge, o qualsiasi altra cosa, sarà approvata. Questo non è il comportamento di un partito politico adulto. (Suppongo che, se tutto il resto fallisce, si possano organizzare negoziati indiretti attraverso l’ambasciata svizzera). Tutto questo per dire che un gruppo di partiti d’avanguardia dell’élite e della classe media che finge di essere un partito di sinistra durerà solo fino a quando non verrà scoperto, come sta accadendo in diversi Paesi.

Infine, naturalmente, c’è il temuto spettro dell’orribile, terribile, inutile, terribilmente malvagia Estrema Destra.™ In Francia e in Germania, e in parte anche in Gran Bretagna, i timori di una svolta di massa non si sono avverati. Ma forse i politici stanno cominciando a capire che questi partiti continuano a guadagnare consensi, e di conseguenza ottengono seggi nelle assemblee regionali e nazionali, e sono quindi in grado di influenzare la gestione del Paese. Gli sforzi per impedire che ciò accada continueranno senza dubbio, ma alla fine l’insoddisfazione dell’opinione pubblica nei confronti dei governi è come l’acqua che scende: troverà la sua strada per aggirare gli ostacoli, e a sua volta il Partito, e in particolare la sua ala “di sinistra”, dovrà trovare un accordo con essa.

Se Barnier riuscirà a formare un governo e inizierà a fare qualcosa, allora c’è la possibilità, non di più, che parte di questo malcontento si plachi, perché qualcuno almeno parla di questioni importanti per la gente comune. E a sua volta, questo potrebbe finalmente incoraggiare alcuni di ciò che resta della vera sinistra a iniziare a interessarsi anche ai problemi quotidiani della gente comune. Da un tale riconoscimento all’ascesa di un partito di sinistra genuinamente populista sarebbe, nella migliore delle ipotesi, un percorso lungo, ma paradossalmente le buffonate infantili, sia di Macron che della “sinistra”, potrebbero averlo avvicinato di poco.

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” Entrare nella Rivoluzione è capire l’irreversibile ” : la violenza del luglio 1789 e il mito della Grande Paura_di Baptiste Roger-Lacan

Jean-Clément Martin – Stratégies | Saison 2, épisode 3

Estate 1789. Dalla Bastiglia alla Provenza, un panico collettivo si diffonde in tutta la Francia. Di fronte a questa “grande paura”, si formano milizie e si diffondono rivolte. In mezzo a questa vertigine diffusa, l’autorità dell’Ancien Régime viene erosa. Una nuova società sta cercando di essere inventata.

Offrendo una radiografia delle prime settimane della Rivoluzione francese, Jean-Clément Martin affronta un mito e svela le coordinate tattiche di una “grande frattura”.

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La nostra serie estiva ” Strategie “ torna quest’anno. L’estate scorsa abbiamo riscoperto le battaglie a fuoco delle guerre simmetriche, da Cannes a Bakhmout. Negli episodi di quest’anno, esploriamo le figure della guerra irregolare, da i primi pirati dell’antichità a Toussaint Louverture passando per Bernard Fall. Per essere sicuri di non perdere nessuna serie,iscrivetevi a Grand Continent.

Fin dal XIX secolo, la Grande Paura, che si riferisce a una serie di rivolte e atti di violenza in tutta la Francia nell’estate del 1789, è stata vista come una delle chiavi della Rivoluzione francese. Una cospirazione per gli storici controrivoluzionari, un movimento spontaneo per la tradizione repubblicana… In un libro importante, lei dimostra che queste interpretazioni divergenti hanno travolto un fenomeno complesso. Che ne è oggi della nozione di “grande paura”?

Se siamo abituati a parlare degli eventi della seconda metà di luglio del 1789 come “grande paura”, va sottolineato che i contemporanei non usarono mai questo termine e molto raramente parlarono di “paura”. Negli archivi troviamo emozioni e movimenti che non rientrano in categorie specifiche, ma riflettono piuttosto realtà locali e preoccupazioni immediate, come la paura di vedere i raccolti bruciati, riferita all’assillante timore della carestia.

È anche importante notare che eventi significativi, come l’incendio delle porte dell’octroi a Parigi il 12 luglio 1789, venivano spesso definiti “sommosse” o “disordini” senza essere visti come parte di una rivoluzione generale – tanto che la storiografia ha impiegato più di due secoli per apprezzarne appieno l’importanza nel processo rivoluzionario di Parigi. Questa mancanza di terminologia è sintomatica della difficoltà dei contemporanei di cogliere e dare un nome agli sconvolgimenti che stavano vivendo.

Per quanto riguarda le parole “Grande Paura”, esse sono entrate in uso dopo un articolo di Alphonse Aulard del 1887, riferito ai movimenti rurali del Sud-Ovest, prima che il suo successore alla Sorbona, Georges Lefebvre, le estendesse all’intero Paese nel 1932. Parlare di “Grande Paura” ha permesso agli storici “repubblicani” di respingere l’analisi di Taine secondo cui l'”anarchia” avrebbe regnato in Francia fin dall’inizio del 1789. Il problema è che Lefebvre, e in seguito tutta la storiografia, ha adottato il termine “Grande Paura” senza sapere esattamente di cosa si trattasse, perché la parola permetteva di rendere coerenti eventi discordanti e di integrarli in un racconto intelligibile della Rivoluzione. – La Rivoluzione è stata vista come una dinamica autonoma.

L’assenza di una terminologia è sintomatica della difficoltà dei contemporanei di cogliere e dare un nome agli sconvolgimenti che stavano vivendo.

Jean-Clément Martin

Come è nato il termine “rivoluzione” e cosa ci dice sulla percezione degli eventi da parte dei contemporanei?

L’esempio del termine “rivoluzione” è molto interessante. Non fu immediatamente utilizzato per descrivere ciò che stava accadendo, anche se, paradossalmente, Necker parlò di “rivoluzione” per ben due volte all’apertura degli Stati Generali il 5 maggio 1789. In entrambe le occasioni, l’obiettivo era quello di mettere in guardia contro l’instabilità delle finanze pubbliche. Questo uso dimostra che “rivoluzione ” è stato usato per più di un secolo per indicare qualsiasi cambiamento improvviso. Questo uso non è esclusivo della Francia ed è diffuso in tutta Europa;

Storicamente, il termine rivoluzione deriva dall’astronomia e si riferisce a un movimento circolare che ritorna a un punto di partenza, a significare uno sconvolgimento che permette il ritorno di un vecchio ordine. È stato applicato per la prima volta agli sconvolgimenti politici che hanno interessato la Gran Bretagna nel XVII secolo,&non ” la guerra civile ” che ha visto la decapitazione di re Carlo 1er – come spesso si dice – ma il ristabilimento della monarchia nel 1660, quando proprio il movimento circolare ha permesso un ritorno all’origine, cioè alla monarchia, una volta abolito il Commonwealth. Anche la Gloriosa Rivoluzione del 1688 viene presentata come un momento di restaurazione di un ordine politico e sociale che era stato disatteso da Giacomo II, per far dimenticare che l’arrivo al potere di Guglielmo e Maria fu effettivamente un cambiamento di regime, favorevole ai Whigs e difficilmente percepibile dalla gente comune…

Jean Hans, La Journée du 21 juillet 1789  : escalade et pillage de la maison de ville de Strasbourg, 1789 (dettaglio) © Gallica

L’importante è capire che il termine “rivoluzione” è di uso comune e di definizione incerta, ma che ha introdotto, da Galileo a Newton, l’idea che le leggi governino il corso dei pianeti, idea che è stata estesa alle società umane e alla politica dalla fine del XVII secolo.

Entrare nella Rivoluzione significa comprendere l’irreversibile.

Jean-Clément Martin

È quindi comprensibile che il termine “rivoluzione” sia stato utilizzato, in modo naturale se vogliamo, dopo il 14 luglio, soprattutto dagli osservatori stranieri, e che si sia diffuso dopo il luglio 1789, inglobando gradualmente i termini insurrezione e rivolta. La graduale adozione del termine “rivoluzione” rifletteva anche una crescente consapevolezza della portata dei cambiamenti in corso. Gli eventi francesi del 1789, e ancor più quelli degli anni successivi, furono percepiti come di portata maggiore rispetto alle rivoluzioni britannica, americana, belga e irlandese, giustificando così l’uso del termine per suggerire uno sconvolgimento totale dell’ordine costituito e rendendo “la rivoluzione francese ” un modello senza precedenti.

Ciò va di pari passo con la comprensione emergente tra i contemporanei della profondità e dell’irreversibilità delle trasformazioni in corso. Il termine “rivoluzione” diventa pienamente operativo solo quando gli attori e i testimoni, francesi e stranieri, diventano essi stessi consapevoli della profondità delle trasformazioni in corso. Entrare nella Rivoluzione significa comprendere l’irreversibile;

Al di fuori di Parigi, nel luglio 1789 in Francia si verificarono molti episodi di violenza. Come furono percepiti?

Gli eventi che si svolsero a Parigi tra l’11 e il 18 luglio 1789 sono spesso fraintesi: proteste contro il licenziamento di Necker, scontri con le truppe straniere e l’incendio delle barriere doganali. Allo stesso tempo, intorno a Parigi e in molti altri luoghi, il malcontento degenerò in dimostrazioni, ribellioni e talvolta in omicidi. All’epoca non erano direttamente collegate alle azioni di Versailles o Parigi, ma piuttosto a realtà locali autonome. È affascinante vedere come questi eventi, che oggi appaiono come parte di un movimento coerente, fossero in realtà reazioni locali non sincronizzate. I contemporanei vivono questi giorni come una serie di incidenti isolati, motivati da paure e tensioni specifiche di ogni regione. Oggi, con il senno di poi, tendiamo a integrarli in una narrazione unitaria della Rivoluzione, ma questa visione d’insieme non sempre rende giustizia alla diversità delle esperienze e delle motivazioni dell’epoca.

Atteggiamenti diversi corrispondono a specifici equilibri socio-politici. Ci furono persino regioni in cui non ci furono rivolte. In alcune regioni, come l’Aquitania, l’equilibrio tra le élite e il controllo sociale che esse esercitavano era così forte che non si verificò nulla durante i primi mesi della Rivoluzione, anche se la regione avrebbe poi vissuto disordini. Negli archivi scopriamo che il direttore delle fattorie, responsabile delle imposte indirette, si rallegrava del fatto che il 1789 fosse stato l’anno migliore per la riscossione delle imposte. Un altro esempio è Riom. Un mese prima del luglio 1789, in giugno, si manifestarono voci e malcontento, che il sindaco e suo figlio placarono distribuendo pane e vino, evitando così rivolte;

D’altra parte, in regioni come la Borgogna e la Franca Contea, dove il risentimento e l’opposizione duravano da decenni, le tensioni esplosero violentemente nel giugno-luglio 1789, con i contadini che approfittarono dell’indebolimento dei poteri. A Bourgoin, vicino a Lione, l’élite locale mandò a chiamare i contadini temendo l’arrivo dei briganti, ma li lasciò sotto la pioggia per una notte intera senza vino né pane. Il giorno dopo, i contadini scontenti si vendicarono assaltando i castelli dei signori, poiché i vecchi rancori si manifestarono spontaneamente. Infine, in Alsazia, le élite “patriottiche” locali seguirono il Comte de Bouillé, il governatore militare, e mantennero il controllo generale della situazione, ma allo stesso tempo “fecero la loro parte nell’incendio”, nel senso stretto del termine, dato che il municipio di Strasburgo fu bruciato, anche se non riuscirono a impedire la violenza contro gli ebrei.

La mobilitazione finale non fu quella dei contadini, ma delle élite.

Jean-Clément Martin

La chiave sta nel modo in cui le élite locali si appropriarono del potere, se necessario ribaltando le alleanze, come in Lorena, dove la nobiltà locale si oppose alla convocazione degli Stati Generali, costringendo il re e i suoi rappresentanti ad affidarsi ai patrioti, come accadde in Bretagna e in Provenza. Sarebbe impossibile capire cosa stava accadendo con figure come Le Chapelier in Bretagna o Mirabeau in Provenza senza cogliere questa dinamica, in cui l’unico sostegno del re proveniva dai “patrioti”, facendo eco alle dichiarazioni di Maria Antonietta di essere la “regina del popolo” nel gennaio o febbraio 1789.

Questa visione della Francia a “pelle di leopardo”, a seconda della posizione occupata dalle élite, spiega la diversità degli equilibri (spesso sorprendenti) che spiegano le voci qui, le rivolte là e la morte di decine di contadini insorti altrove! La mobilitazione finale non fu quella dei contadini, ma delle élite;

Jean Hans, La Journée du 21 juillet 1789   escalade et pillage de la maison de ville de Strasbourg, 1789 (particolare) © Gallica

Come interpretare questa violenza?

È sempre un fenomeno difficile da comprendere, se si vogliono evitare anacronismi e giudizi.

Gli atti di violenza, come l’incendio dei castelli, sono spesso interpretati oggi attraverso le lenti delle nostre categorie di pensiero, o come un’anticipazione della violenza che si sarebbe manifestata negli anni successivi. Tuttavia, i contemporanei consideravano questi atti come parte delle riforme reali e della difesa delle loro comunità. La violenza era vista come un mezzo legittimo per ristabilire l’ordine e la giustizia in un periodo di profonda incertezza e sconvolgimento sociale. L’incendio dei castelli era spesso giustificato dai contadini come un modo per distruggere i simboli dell’oppressione feudale e garantire che i signori non potessero tornare a rivendicare i diritti signorili. Va ricordato che non tutti i signori erano nobili, ma popolani, il che spiega anche perché il controllo del “popolo” e la repressione furono poi attuati dalle élite, i tre ordini, uniti nel desiderio di ristabilire l’ordine.

Come comprendere il modo in cui la Corona reagì al disfacimento della situazione a Parigi e in Provenza?

Il cuore degli eventi risiede nell’incapacità della Corona di anticipare i tempi. Dal 1787, e soprattutto dal 1788 in poi, si verificò un abbandono dell’autorità centrale, segnato dalla fine della censura sulle pubblicazioni e dall’esplosione della stampa. È in questo vuoto di potere, evidente dopo il secondo fallimento dell’Assemblea dei notabili, che emerge una dinamica che esaspera le tensioni preesistenti e porta gli attori a cercare alleanze per colmare il vuoto.

La violenza era vista come un mezzo legittimo per ristabilire l’ordine e la giustizia in un periodo di profonda incertezza e sconvolgimento sociale.

Jean-Clément Martin

I contemporanei erano consapevoli di questo vuoto di potere?

Sì, lo erano. Dal 1787 in poi, i segni di questo vuoto di potere divennero evidenti. Le rivolte a Parigi contro i ministri, la fuga di Calonne, il ritorno di Necker e le difficoltà a corte dimostrano che tutti sono consapevoli della situazione. Il raddoppio delle dimensioni del Terzo Stato – come l’uguaglianza delle elezioni per il clero – fu una rottura importante con conseguenze non calcolate.

Il vuoto era tanto più percepibile in quanto la nobiltà tradizionale decise di non partecipare agli Stati Generali in alcune province, mentre alcuni nobili – come Mirabeau – o coloro che volevano essere riconosciuti come tali – come Le Chapelier – si schierarono con il Terzo Stato. Tutti questi fattori contribuirono agli eventi che si svolsero tra l’11 e il 14 luglio a Parigi, dove nessuno aveva il controllo della situazione;

Non è il primo esempio di vuoto di sovranità nella storia dell’Ancien Régime. In diverse occasioni in passato, la monarchia sembrò perdere la presa sul potere, cedendo il passo a forze opposte. Perché Luigi XVI non riuscì mai a ristabilire la situazione?

È utile confrontare questa situazione con altri periodi di vacatio del potere. Al termine delle guerre di religione in Francia, Enrico IV riuscì a ristabilire l’ordine ottenendo un ampio consenso, facendosi battezzare e utilizzando la minaccia di un dominio straniero. Questa capacità di mobilitare le forze intorno a sé contrasta nettamente con la situazione di Luigi XVI. Un altro momento rilevante fu la Fronde, durante la quale Mazzarino e Anna d’Austria dimostrarono la loro capacità di volgere le sorti a loro favore nonostante le grandi sfide. In confronto, Luigi XVI sembra non avere la stessa determinazione e lo stesso prestigio necessari per svolgere un ruolo simile nella crisi del 1789.

A differenza di Carlo V con Étienne Marcel, Luigi XVI non sembra voler usare la violenza contro i leader politici. Più in generale, il re non sembra avere la stessa capacità di prendere decisioni politiche radicali, il che è un problema fondamentale: Luigi XVI non è un re molto machiavellico. A differenza dei suoi predecessori, non ha potuto o voluto usare la violenza per ristabilire l’ordine, il che ha contribuito alla sua debolezza politica.

Luigi XVI non era certo un re machiavellico.

Come spiegare la svolta delle Guardie francesi tra l’aprile e il luglio del 1789? Non era forse questo uno dei segni più evidenti dello squilibrio al centro dell’apparato statale?

All’epoca della crisi, le Guardie francesi furono un esempio lampante di questa discrepanza. Il fatto che queste truppe si siano rivoltate contro i loro superiori durante la rivolta contro l’industriale Réveillon – durante la quale persero la vita decine e centinaia di persone – dimostra non solo l’insoddisfazione dei soldati, ma anche l’incapacità delle autorità di mantenere la disciplina;

Come altri gruppi di truppe, le Guardie francesi erano composte da soldati scontenti e spesso mal pagati, alle prese con una rigida gerarchia militare. A ciò si aggiungeva il fatto che erano spesso in contatto con i rappresentanti della nobiltà riformatrice, come il Duca d’Orléans, prima di essere sostenuti dai deputati del Tiers-État. I rappresentanti parigini del Tiers-État chiesero al Re di liberare le Guardie francesi, che erano imprigionate a Bicêtre, una prigione nota per le sue condizioni estremamente dure. Questa mobilitazione politica dimostrò la capacità del Terzo Stato di agire collettivamente e di mettere il re in rotta di collisione.

Mancava solo l’innesco;

L’11 luglio Necker fu sostituito dal maresciallo de Broglie. Mentre Necker era considerato una figura moderata, Broglie era noto per la sua brutalità;

Il fatto che Broglie e i suoi alleati, come Berthier e Foulon, fossero disposti a fare un uso eccessivo della forza esacerbò le tensioni;

A ciò si aggiunse il fallimento della gerarchia militare, in particolare la cattiva gestione delle truppe da parte di Bésenval e di altri ufficiali. Errori tattici, come l’incapacità di coordinare i movimenti delle truppe e di rispondere efficacemente alle rivolte, hanno permesso alle manifestazioni di degenerare. Il fatto che le barricate e le recinzioni siano state lasciate senza essere contrastate e che le guardie agricole si siano ritirate senza scontrarsi, evidenzia l’inefficacia della risposta militare.

Jean Hans, La Journée du 21 juillet 1789  : escalade et pillage de la maison de ville de Strasbourg, 1789 (particolare) © Gallica

In breve, i fallimenti nella catena di comando e le esitazioni tattiche spianarono la strada a un’escalation di disordini, che culminò con l’assalto alla Bastiglia e l’accettata davvero decapitazione del suo governatore.

Errori tattici, come l’incapacità di coordinare i movimenti delle truppe e di rispondere efficacemente alle rivolte, hanno permesso l’escalation delle manifestazioni.

Jean-Clément Martin

In breve, non c’è stata nessuna Grande Paura;

Più precisamente, mi sembra che invece di usare il termine “Grande Paura” per categorizzare tutti questi eventi che si sono verificati nello stesso momento ma che avevano razionalità diverse, persino opposte, dovremmo parlare di “Grande Divario”. Non per il gusto di cambiare una formula con un’altra altrettanto imprecisa, ma perché tutte le strutture consolidate stanno crollando, facendo letteralmente esplodere la coesione sociale, spingendo le élite disposte a fare fronte comune contro il malcontento, il panico e la rivolta a prendere il potere e a inventare una nuova società.

È quello che la notte del 4 agosto 1789 ha cercato di fare con l'”abolizione dei privilegi”, che era più un gioco di prestigio che una vera politica; è quello che la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino ha cercato di costruire, senza riuscirci, lasciando fiorire le contraddizioni (tra libertà e uguaglianza da un lato, e sicurezza e proprietà dall’altro). Le delusioni furono grandi quanto le aspettative, esasperate anche dalla mediocrità delle risposte politiche del re e dei deputati.

Il luglio 1789 non è stato né l'”anarchia” di Taine né la rivoluzione contadina di Lefebvre, che lui definisce “grande paura”, ma questa frattura appena colmata, che ha portato il Paese a una rivoluzione non organizzata né accettata collettivamente, che io considero la frattura che ha causato la paura e che continua a causare paura;

Nel 1789 si parlava di rivoluzione, ma non c’erano rivoluzionari; nel 1792 i rivoluzionari fecero una rivoluzione che fu poi fermata da lotte interne tra loro;

In seguito, la narrazione fondativa della rivoluzione sarebbe rimasta fissa sul felice inizio del luglio 1789, nonostante “la grande paura”, per insistere sull’anno felice prima che gli “slittamenti”, le “lotte”, i “tradimenti” o gli “eccessi” (a seconda delle interpretazioni) portassero il Paese nel “Terrore”. Insomma, smettiamo di etichettare ciò che non analizziamo con precisione e sfatiamo i miti – se non altro per poter analizzare ciò che stiamo vivendo

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COME I FRANCESI DIVENNERO ITALIANI. O FORSE PEGGIO (?)_di Daniele Lanza

(analisi di una metamorfosi impietosa. Leggere*).
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Massì, ce l’abbiamo fatta, il pericolo è scampato.
I titoli di tutti I media nostrani ed europei si affrettano a rassicurare che il Fronte Nazionale e I suoi alleati sono stati fermati, sconfitti e schiacciati (l’ ”imparziale” messaggio di fondo).
L’unica evidenza sulla quale non ci si soffermerà è che si tratta di un furto di evidenti proporzioni, rapportando il numero di seggi ottenuti da le Pen con i risultati oggettivi della tornata passata: lo dico da osservatore allineato, ma con lucidità: affermerei le stesse cose che leggete anche se il partito penalizzato fosse dell’estrema sinistra (ho coerenza morale).
Tralascio ogni disamina minuta del voto perchè l’unica vera riflessione che abbia senso fare, l’unico vero pensiero da dedicare a queste consultazioni nell’esagono, non riguarda i partiti ma quanto vi è a monte di essi. Ha a che fare con l’anima del suo sistema politico che si incarna perfettamente del meccanismo elettorale scelto 2 generazioni orsono.
Alla fine degli anni 50 il generale de Gaulle riforma la REPUBBLICA, dotandola di un sistema presidenziale e di un sistema di voto doppio turno.
Quest’ultimo elemento è la cifra di tutto. Perfettamente democratico e assolutamente geniale nel tagliare le gambe a qualsiasi forza politica che esca dagli schemi (da destra come da sinistra). Grazie al doppio turno, venivano confinati A VITA I comunisti francesi per la generazione a seguire (1958-1988)…….ed oggi servono per tagliare le gambe al Fronte Nazionale e I suoi alleati.
Un genere di meccanismo congegnato in modo tale da favorire e proteggere un’ideale STABILITA’ ancor più che non assecondare la volontà dell’elettorato.
E’ questo lo scopo del doppio turno signori e signore: senza il doppio turno, il Fronte Nazionale avrebbe dovuto raccogliere qualcosa di prossimo ai 300 seggi……..invece ne otterrà lla META’ (attorno ai 150), salvando così le altre due formazioni che sarebbero dovute essere alle spalle – socialisti e centristi – ma soprattutto questi ultimi, riuniti attorno alla figura del presidente e delle istituzioni nazionali, che in questo modo capovolgono letteralmente un’evidente sfiducia popolare emersa tanto alle europee quanto adesso alle legislative, ottenendo così quel margine per continuare a imbastire trame, piani e stratagemmi per rimanere al potere.
Il primo partito francese (che lo si ami o che lo si odi) è stato derubato della metà dei suoi seggi potenziali: e questo poteva accadere a qualsiasi altro partito nella medesima posizione (fuori degli schemi cioè). Non so se qualcuno che legge si può rendere conto. Per quanto mi riguarda si tratta di uno scandalo assoluto: e lo dico senza nemmeno essere sicuro che avrei votato RN (anzi).
RICAPITOLO (leggere bene*):
per chi fosse interessato a capire gli umori dell’elettorato francese, vada a leggersi nel dettaglio I risultati delle europee e del primo turno delle legislative: quello è sufficiente.
Quanto al SECONDO turno di oggi, che significato ha ? Nessuno se non evidenziare il tecnicismo elaborato per impedire che un’ala estrema si avvantaggi troppo (pur meritandolo) grazie ad una reazione dell’estremo opposto che farà qualsiasi cosa pur di non permettergli di vincere (anche votare una capra, per partito preso). Un’espressione geniale di DIVIDE ET IMPERA, applicata nel contesto dei meccanismi elettorali e di come la psicologia agisce in quest’ambito.
Vado al punto e concludo: il sistema in questione ha una buona ragione d’essere nell’impedire a minoranze riottose di fare troppi danni ed avere troppo spazio. Ma cosa accade quando quella che si suppone essere una minoranza riottosa….diventa il primo partito ? Semplice: ne viene fuori un furto, seguito da un inciucio indescrivibile (la parola è stata coniata giustamente per il sistema italiano, e mai aveva avuto spazio in quello francese: voglio vedere come l’opinione pubblica si adatterà ad avere tra blocchi di eguale potenza che fanno intrighi all’infinito come nella politica nostrana. Ripeto è cosa ordinaria per chi è nato nella penisola, ma non Oltralpe….)
Ma a parte tutto questo, per parlare di principi……..ebbene, con tutto questo, quale principio si salvaguarda ? Quello dei numeri oggettivi o quella di un supposto equilibrio ideale che non veda alcuno vincere ? Perchè si tratta di due democrazie diverse.
Gente che mi ascolta……….posso bene comprendere che molti che mi seguono non voterebbero mai il Fronte Nazionale ed affini, d’accordo: ricordo tuttavia che il sistema elettorale avrebbe ugualmente avuto il medesimo effetto anche se al posto del Fronte vi fosse stato – per intenderci – un forte (e degno) partito comunista, con 1/3 dei voti (come il PCI italiano di un tempo). Nessuna differenza avrebbe fatto: sarebbe stato miniaturizzato e derubato del proprio risultato esattamente come si vedrà del Fronte in queste ore. Così da far capire.
D’altro canto…..gli elettori francesi questo lo sanno bene. Spetta a loro modificarlo se credono: in caso contrario non avranno mai I governanti che vogliono, ma piuttosto le creature che emergono dalla palude dell’inciucio: ecco penso di intravedere il punto alla base di tutto…………….la grande scelta della società francese da questo punto in avanti è questa, ossia non tanto scegliere un partito o un altro, una destra o una sinistra (quello è facile) quanto scegliere se rimanere “transalpini” oppure diventare ITALIANI (in termini di sistema politico e mentalità annessa).
P.S. = Dopo questo, se qualcuno osa anche solo fiatare (dico fiatare) in merito alla “democrazia” delle elezioni presidenziali che hanno eletto Putin, lo vado a cercare, ovunque sia e chiunque sia.
PASSO E CHIUDO.
 
L’ OCCIDENTE.
Un partito che sta al 33% del voto nazionale (RN) si ritrova con circa la metà dei seggi che avrebbe dovuto avere: forse nemmeno 140.
Il partito presidenziale macroniano – grande trombato di europee e primo turno delle legislative, dove è rimasto inchiodato al 20% – di seggi ne otterrà probabilmente 170.
La cifra della democrazia occidentale sta in cose come questa.
Non si aggiunge altro.
***
Se qualcuno – chiunque sia, dovunque sia – viene ancora a contestarmi le credenziali di DEMOCRATICITA’ delle elezioni presidenziali russe che hanno incoronato Putin, se il figlio di puttana, ci prova ancora una sola volta a parlarmi di procedure trasparenti ed istituzioni libere, faccia meglio a non rendersi più reperibile o riconoscibile o rintracciabile. In alcun modo.
FINE.
VOTO FRANCESE
⚫️ RN (Le Pen): 37,1% (10.1 milioni di voti)
NFP (Melenchon): 25,8% (6.9 milioni)
ENS(Macron): 24,5% (6.5 milioni)
TERZO (ed ultimo) intervento dedicato all’esito delle consultazioni nazionali nell’esagono.
Lascio perdere parole e discorsi: si osservi coi propri occhi il numero di voti dei primi tre partiti e la distribuzione finale di seggi (giudicare da soli, ognuno in coscienza e domandarsi – ciascuno – in quale concetto di democrazia ci si identifica, prima di giudicare altri stati alieni all’occidente).
Un momento di confusione sino a ieri prima della chiusura dei seggi vi è stato: si dava ancora il Fronte Nazionale di Le Pen come primo partito…….ed IN EFFETTI non ci si sbagliava. Il problema è che i sondaggisti, al pari della gente comune – almeno da come mi sembra ! – coscientemente o meno hanno dato maggiore rilevanza al numero di voti assoluto che non al macchiavellico gioco di assegnazione seggi basato sulla strategia di desistenza che era la vera chiave di volta del tutto.
A conti fatti direi che il VERO vincitore di questa tornata elettorale non è un partito o una formazione: il vero vincitore è il sistema stesso (e il suo meccanismo elettorale).
Elezioni come queste, con un esito come quello illustrato in alto ed in basso dimostrano che per vincere e governare non è indispensabile il numero di voti che oggettivamente ottenuto, ma la capacità di imbastire intrighi, accordarsi e maneggiare.
Non ha vinto il Fronte Nazionale come nemmeno i suoi antagonisti più sfegatati che da sinistra intonano canti in piazza e sulle bacheche: questi ultimi sono la parte più imbarazzante della situazione…..perchè malgrado “illuminati” non si rendono conto di cosa è successo. Ottusamente focalizzati su un’immaginario successo contro l’eterno nemico, non si accorgono che un voto popolare è stato letteralmente stravolto e che la medesima cosa può accadere a loro stessi alla prossima tornata (…).
Occorre scegliere il modello di democrazia in cui ci si riconosce: l’esito elettorale di queste legislative francesi è tanto eclatante, tanto emblematico che non mi convince molto della superiorità etica e democratica dell’Europa, ma piuttosto della sua ipocrisia. Un voto può essere capovolto se non è conforme alla linea ideologica occidentale ed un partito che ha poco meno del 40% dei voti (riguardateli sti grafici) può essere emarginato in TERZA posizione dietro avversari che hanno molto meno di lui.
Centristi e Progressisti assommati assieme hanno 12 milioni di voti circa…..il Fronte Nazionale di LePen ne ha 10 e qualcosa (manca poco che totalizzi la somma dei due rivali messi assieme).
Se non si riesce a sconfiggere un partito scomodo (destra o sinistra che sia), lo si elimina con espedienti, ecco il punto.
E’ talmente scandaloso che direi le medesime parole a favore di qualsiasi sconfitto in tali circostanze, non solo del Fronte: anche se fosse accaduto ai comunisti avrei detto le stesse cose.

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La politica dell’esaurimento_di AURELIEN

La politica dell’esaurimento.

E l’esaurimento della politica.

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E fu così che, qualche decennio fa, ero seduto al Cavern Club ad assistere all’esibizione dei Beatles.

Ora, se ve lo state chiedendo, non è stato perché i miei genitori, straordinariamente indulgenti, hanno permesso a un bambino piccolo di andare a Liverpool da solo. Il Cavern Club non era a Liverpool e nemmeno in Inghilterra. Era in Giappone, più precisamente a Roppongi, uno dei principali quartieri del divertimento di Tokyo, e la band era composta da un gruppo di giapponesi che probabilmente non erano nemmeno nati quando i Beatles suonavano a Liverpool.

Ma ciò che mi colpì davvero – e per cui ricordo quella serata così tanti anni dopo – fu che i quattro giovani erano assolutamente perfetti: non solo assolutamente fedeli a ogni nota e parola suonata e cantata, ma anche a ogni gesto, persino alle acconciature e ai vestiti che indossavano. Posso solo immaginare le ore che devono aver trascorso guardando esibizioni dal vivo, ascoltando dischi ed esercitandosi senza sosta. Non si trattava di una cover band, e nemmeno di una tribute band, ma di una vera e propria ricreazione dei Beatles con dettagli allucinanti.

Se avete un po’ di dimestichezza con la cultura giapponese e la sua attenzione ossessiva per i dettagli, questo non vi sorprenderà: l’idea della ricreazione letterale e perfetta del passato è molto potente. Dopotutto, il santuario shintoista più famoso del Giappone, quello di Ise, viene demolito e ricostruito con identici dettagli ogni vent’anni, il che porta all’affascinante domanda filosofica se si tratti effettivamente dello “stesso” edificio. Allo stesso modo, nel teatro Kabuki, i ruoli e persino i nomi vengono tramandati di padre in figlio, per garantire che nulla cambi mai.

Questo è un modo di affrontare il passato: la conservazione e il recupero. Ha una sua logica e una sua validità in tutte le società. Un’alternativa è guardare al passato come fonte di ispirazione per creare qualcosa di nuovo. Qui discuterò entrambe le tendenze, ma sosterrò anche che la società occidentale moderna in realtà non fa nessuna delle due cose. In tutto, dalla politica alla cultura, il “passato” è ridotto a materia prima, da elaborare e sfruttare per guadagni politici e finanziari. Spesso questo comporta il rifiuto totale del passato reale, o la sua costante riscrittura per servire le agende del potere. In una situazione del genere, suggerisco, il disconoscimento del passato, o la sua riduzione a materia prima per lo sfruttamento politico e finanziario, impedisce di fatto lo sviluppo di qualcosa di veramente nuovo. Socialmente, politicamente e culturalmente, quindi, siamo bloccati in un solco e possiamo solo girare in tondo all’infinito, cercando disperatamente nuove e più estreme variazioni.

Alla fine, questo si trasforma inevitabilmente in una caricatura: in Occidente non abbiamo la politica, ma una caricatura della politica, una satira cooperativa sulla politica interpretata non da politici ma da attori che interpretano politici, piena di ironia autoreferenziale e di cinica manipolazione di simboli e slogan della politica del passato, quando le parole significavano davvero qualcosa. Ora ci restano solo la politica e la cultura dell’esaurimento. Niente “significa” più nulla, tutto è riciclato all’infinito.

Come ho suggerito, esistono due tipi di relazioni sane con il passato. Il primo è la conservazione, la riscoperta e la ricreazione. A volte questo avviene su larga scala. Per esempio, la nostra conoscenza della cultura dell’Antico Egitto deriva in larga misura dal lavoro degli archeologi europei del XIX e XX secolo, che hanno recuperato frammenti di tesori inestimabili da discariche e da metri di sabbia, li hanno restaurati faticosamente e hanno imparato a leggere le lingue delle iscrizioni. Quello che si vede al British Museum, per esempio, è letteralmente una ricostruzione degli originali, a partire dai pezzi che è stato possibile trovare. Allo stesso modo, i praticanti dell’archeologia sperimentale oggi cercano di risolvere le questioni sul passato attraverso esperimenti pratici  con strumenti e materiali dell’epoca.

Lo stesso approccio si applica anche a un livello più intimo. Ad esempio, uno dei grandi sviluppi culturali positivi del mio tempo è stata la riscoperta e la divulgazione delle tecniche e degli strumenti della musica antica, e in molti casi delle opere stesse. Al giorno d’oggi, nessuno si aspetterebbe di sentire i Concerti di Brandeburgo suonati da un’orchestra moderna, come accadeva fino agli anni Sessanta, o la Passione di San Matteo con un coro completo. Interi mondi musicali perduti sono stati quasi letteralmente scavati, spesso da manoscritti conservati nei musei. Ad esempio, grazie all’opera di William Christie e Les Arts florissants è ora possibile vedere le opere di Lully e Rameau, dimenticate per secoli, così come dovevano essere messe in scena. Allo stesso modo, dagli anni Sessanta in poi, la musica tradizionale di tutti i tipi è stata riscoperta e salvata dalle atrocità commesse dai cori scolastici e dai compositori di formazione classica benintenzionati.

Eccetera. All’interno di questo approccio, deve esserci anche una certa umiltà e un riconoscimento pratico del famoso detto di LP Hartley: “Il passato è un altro paese: lì fanno le cose in modo diverso”. Molti dei nostri attuali problemi culturali derivano dall’aver ignorato questo monito, trattando figure del passato come se fossero nostre contemporanee e presumendo di sedersi a giudicarle, senza considerare, forse, che un giorno il futuro potrebbe sedersi a giudicarci. Questa incapacità di comprensione – che viene definita “presentismo” – non è nuova, naturalmente. Basti pensare alla “correzione” di Re Lear nel XVIII secolo, o alla riscrittura o alla censura di Shakespeare nel XIX secolo per adattarlo a un’epoca più raffinata e moralmente sviluppata. Ma di recente sembra che la cosa sia sfuggita al controllo.

Il secondo (e talvolta complementare) tipo di relazione sana è il dialogo con il passato, che serve in vario modo come ispirazione, punto di riferimento e qualcosa a cui opporsi. Ciò è più evidente nell’area della cultura nel suo senso più ampio, dove artisti e pensatori prendono dal passato e reagiscono a esso, come TS Eliot ha descritto in Tradizione e talento individuale, e come aveva esemplificato in The Waste Land, che stava scrivendo più o meno nello stesso periodo. Movimenti culturali “moderni” come il surrealismo, la filosofia analitica anglosassone o la musica atonale possono essere compresi solo in termini di ribellione contro il clima intellettuale in cui sono cresciuti i loro esponenti. (E il fatto che nessuno di questi movimenti possa essere definito “moderno” al giorno d’oggi è di per sé interessante).

Ma si applica anche alla teoria e alla pratica politica. Fino a poco tempo fa, i movimenti politici avevano una storia, un’iconografia, dei martiri e lo sviluppo delle idee. Avevano conquiste da ricordare, controversie che suscitavano ancora forti sentimenti, lotte interne che si preferiva dimenticare, grandi figure e grandi cattivi, eroi e traditori. I partiti politici di massa della sinistra, in particolare, avevano un’iconografia che assomigliava a quella di una religione organizzata. (Ricordo ancora le vetrate dell’Università Humboldt in quella che era stata Berlino Est, trent’anni fa, con scene della vita di Marx e Lenin). Ma tutti i principali partiti politici avevano storie, culture e tradizioni ereditate. Oggi hanno agenzie pubblicitarie.

Le organizzazioni fanno lo stesso: non a caso, ad esempio, le forze armate di tutto il mondo coltivano le tradizioni, le unità e le navi al loro interno mantengono gli stessi nomi per decenni e generazioni, e alle nuove reclute vengono insegnate la storia e le tradizioni dell’unità a cui si sono unite. È sorprendente, ma non inaspettato, che le forze armate russe abbiano riportato in auge gran parte dell’iconografia dell’Armata Rossa durante la guerra in Ucraina.

Finché esiste un’interazione tra il passato e il presente, le società e le organizzazioni mantengono la possibilità di cambiare, adattarsi e svilupparsi. Una volta che il passato viene dimenticato o soppresso, le società tendono ad andare in modalità automatica, persino verso la decadenza e la caricatura, non sapendo più cosa stanno facendo o perché. Ma viviamo in società occidentali che hanno pienamente assimilato il disprezzo liberale per la storia e il passato e l’esaltazione del presente immediato. Il problema è che il liberalismo, con il suo feroce individualismo e il suo amore per le regole, le leggi, le norme e i calcoli sull’efficacia dei costi, non fornisce alcun quadro intellettuale o morale per lo sviluppo sociale collettivo, se non sotto forma di un individualismo sempre più aggressivo, in qualche modo mediato da leggi e regole sempre più dettagliate e complete. L’unico modo per valutare la cultura è quanto si vende. L’unica misura del successo in politica è il potere acquisito.  E non si può mantenere una società su queste basi, tanto meno svilupparla. Il risultato è che la caricatura è diventata il normale mezzo di espressione perché è tutto ciò che la gente sa fare.

Forse è sempre stato inevitabile. Non è mai stato molto chiaro che cosa il liberalismo pensi effettivamente della vita per, o quali obiettivi, se ce ne sono, dovremmo avere a parte l’aumento della nostra ricchezza personale e del nostro potere. “Libertà”, il grande grido liberale fin dall’inizio, è riconosciuto come uno slogan vuoto se non si hanno i mezzi pratici per goderne. E comunque, cosa facciamo con la nostra “libertà”? (È sorprendente che quasi tutte le figure culturali chiave del XIX secolo fossero quelle che oggi chiameremmo “reazionarie”. Alcuni erano socialisti, ma nessuno di loro era liberale). .

Per esempio, l’anno uno della Rivoluzione francese (1792, come lo chiameremmo noi) rappresentò più dell’abolizione della monarchia e della fondazione della Repubblica, ma un nuovo inizio per l’intera razza umana. Il passato di tradizioni, religione, storia, cultura e superstizione doveva essere spazzato via, per essere sostituito da un nuovo mondo scintillante di decisioni razionali. Le leggi avrebbero sostituito le usanze, la scienza le superstizioni, la luce le tenebre. L’aspetto interessante è che, in assenza di un’efficace opposizione politica a Parigi, i liberali semplicemente non sapevano quando fermarsi. Il sistema metrico, ovviamente, è una cosa meravigliosa e l’adozione del sistema centigrado divenne permanente. Ma per contro, il giorno decimale (dieci ore di cento minuti ciascuna di cento secondi) durò solo fino al 1800. Questo sarebbe stato il modello per il futuro. Alla fine, l’antico si è riaffermato: la Garde Royale è diventata la Guardia Repubblicana di oggi, e ancora oggi il Presidente presiede il Consiglio dei Ministri il mercoledì, proprio come facevano i re.

Ciò che è cambiato nell’ultima generazione o giù di lì è l’assenza di pressioni di contrasto. In passato, le strutture politiche e sociali erano molto meno omogenee di oggi. Ma certo, direte voi, diversità, inclusività bla, bla? Sì, ma c’è diversità e diversità. La diversità superficiale di genere e di colore della pelle, ad esempio, per quanto i suoi sostenitori si aspettassero grandi cose da essa, ha semplicemente reso più superficialmente varia una classe politica sempre più monotona. In passato, le diverse tendenze, anche all’interno dello stesso partito politico, dovevano essere in qualche modo conciliate. C’era un limite a quanto un partito politico (o un movimento sociale o culturale) potesse spingersi senza incontrare opposizione. Il partito politico medio di allora era un mix di estrazione sociale, istruzione, origini locali e professioni, oltre che di opinioni divergenti.  I partiti politici di oggi sono più simili a gruppi di gioco in cui i bambini competono per chiedere attenzione, ma non sono fondamentalmente in disaccordo tra loro. Così gli “antirazzisti” hanno i loro giocattoli, gli “antisessisti” hanno i loro giocattoli, gli ambientalisti, i transessualisti e altri hanno i loro. Il risultato è che tutti gridano più forte che possono, ma non c’è alcun controllo della realtà, se non la competizione per attirare l’attenzione e mettere in difficoltà il proprio rivale.

Così, i partiti degenerano in coalizioni instabili di politici che dicono cose diverse e spesso contrastanti. È una regola universale che tutti i movimenti politici e culturali finiscano per diventare la caricatura di se stessi, a meno che non intervenga una forza esterna, e in effetti è quello che vediamo ora. Quando questo si combina con il disprezzo per la storia (o anche solo per la conoscenza della storia) e con l’abitudine del liberalismo di ragionare a priori partendo da principi arbitrari, allora la caricatura diventa la norma.

Se il carrierismo è sempre stato una caratteristica della politica, nella maggior parte dei Paesi si è mescolato a principi di qualche tipo. Questi potevano essere discutibili (difesa del potere costituito, ad esempio) o puramente identitari (rappresentanza di gruppi etnici o religiosi), ma in molti casi riflettevano anche un genuino orientamento alla vita e alla politica. Il grande leader del Partito Laburista britannico Hugh Gaitskell era figlio di un ricco industriale, ma fu convertito al socialismo dalla povertà che vide intorno a sé in gioventù. Non era raro che le carriere politiche iniziassero in questo modo, o che venissero plasmate dalle pressioni di eventi esterni. In Paesi come la Francia e l’Italia, queste pressioni potevano essere molto forti: dalla strada, dai sindacati, dalle forze della reazione e da altri.

Tutto questo ora non c’è più, ovviamente. L’eliminazione di ogni significato dalla politica ha prodotto una professione ordinata, sterile e liberale di ricerca del potere tecnocratico, in cui i dibattiti vertono solo su punti di dettaglio e in cui la politica è ora tutto sul potere individuale e, in molti Paesi, sulla ricchezza. Come si fa a fare carriera in un mondo politico in cui la gamma di opinioni ammesse è così ristretta? Anche quando ci sono occasionalmente differenze genuine tra i partiti, queste tendono a essere piccole e in gran parte retoriche, e all’interno di ciascun partito le espressioni consentite di queste differenze sono strettamente controllate.

Ebbene, se volete distinguervi dal resto del vostro gruppo di gioco, dovete fare rumore e, se necessario, chiedere nuovi giocattoli o rompere quelli esistenti. Così è diventata una convenzione, ben illustrata dalle varie campagne elettorali in corso, il fatto che non si discutano le questioni più importanti, ma che i partiti si accaniscano su quelle più banali. In altre parole, la politica è diventata una caricatura, perché la caricatura è sicura. E poiché alla fine nulla di tutto ciò ha importanza, non importa fino a che punto ci si spinga nella caricatura. Soprattutto in questi giorni di social media, il modo per fare carriera è farsi notare, il che spesso significa assumere una posizione più intransigente ed estrema di quella del prossimo. In una democrazia tradizionale, questo sarebbe negativo per la carriera, ma nei sistemi politici odierni l’elettorato non conta: ciò che conta è la capacità di distinguersi dai propri pari.

Poiché i partiti politici sono ormai tagliati fuori da qualsiasi tradizione, come le vecchie aziende familiari rilevate da Private Equity, i loro rappresentanti non hanno norme condivise né punti di partenza per i dibattiti. La politica di oggi ha quindi un elemento di inquietante casualità, in quanto i politici si appropriano di argomenti che ritengono possano essere vantaggiosi per loro, spesso senza conoscere, o senza preoccuparsi di conoscere, le questioni in gioco. Ciò che conta è fare più rumore del proprio rivale nello stesso partito.

Questo accade soprattutto quando i politici sono impegnati in cause moralizzanti. Naturalmente le cause morali hanno sempre fatto parte della politica e saremmo peggio senza le severe convinzioni morali che hanno portato alle pensioni di anzianità, all’istruzione gratuita o ai tentativi di alleviare la disoccupazione e la povertà. Ma le cause di oggi sono moraleggianti nel senso che partono da un senso di superiorità morale rispetto al resto di noi, e i loro sostenitori cercano di avere potere su di noi, istruendoci su cosa fare. Nessun politico tradizionale intelligente avrebbe fatto una cosa del genere, ma i politici di oggi si presentano come esseri moralmente superiori, facendoci la morale sulla base di norme punitive che non hanno bisogno di essere dimostrate, o nemmeno supportate da fatti, perché sono intrinsecamente vere. Per esempio, vi sarà capitato di essere avvicinati da un militante vegano dagli occhi vitrei che vi ha chiesto cose come: “Suppongo che pensiate che sia giusto uccidere gli animali e poi farli a pezzi e mangiare i pezzi bruciati?”. La risposta ovvia (“gli esseri umani lo fanno da decine di migliaia di anni”) sarà ignorata, perché non ha senso. O la femminista militante che si lamenta della “pressione ad avere figli” senza rendersi conto che altrimenti non sarebbe mai nata.

L’abolizione del passato e l’ignoranza di un contesto contemporaneo più ampio riducono di conseguenza la maggior parte della politica di oggi a slogan e frasi fatte, incagliate in un vuoto ontologico. Questo garantisce praticamente che le questioni serie vengano ignorate o ridotte allo stesso livello superficiale. Se si potesse in qualche modo impedire alle nostre attuali classi politiche e mediatiche di pronunciare la frase “Israele ha il diritto di difendersi” o “dobbiamo sostenere l’Ucraina”, le loro bocche, e probabilmente i loro cervelli, si fermerebbero.

Di tutte le intuizioni di Orwell nel 1984, nessuna è più significativa dell’insistenza di O’Briens sul fatto che “il Partito non ha ideologia”. L’unico scopo del Partito, insiste, è il potere: un potere più grande, più perfetto, più raffinato per sempre. Tendiamo a dimenticare che 1984 è in fondo una satira e che Orwell aveva previsto, con terrificante chiarezza, come sarebbe stato un mondo con politici di professione motivati esclusivamente dal potere. L’ideologia esiste nel libro, ma solo come strumento per ottenere obbedienza. Sebbene il Partito sia una parodia o una caricatura della politica non ideologica assetata di potere, oggi sembra molto meno caricatura di quanto non fosse quando il libro fu pubblicato. Uno dei motti del Partito, ovviamente, era “chi controlla il presente controlla il passato. Chi controlla il passato controlla il futuro”  Orwell si ispirò principalmente alla riscrittura della storia sotto Stalin, ma forse non sarebbe stato sorpreso di vedere lo stesso metodo applicato nei moderni Stati occidentali, dove la riscrittura e la censura della storia sono diventate ovunque una delle principali attività dei gruppi di interesse e una fonte di aspro conflitto tra loro, in quanto cercano potere e influenza attraverso il controllo della realtà.

L’idea post-modernista della storia stessa come interamente plastica e malleabile a seconda dei gusti ideologici (che contiene ovviamente un fondo di verità) è stata abbracciata con gioia dai moderni attivisti politici. Internet ha anche permesso a intere controstorie di circolare con molto più effetto che in passato. Negli ultimi anni, ad esempio, mi è capitato di imbattermi in persone con opinioni contrarie estremamente rigide e decise su argomenti (come le origini della NATO o la costruzione degli imperi britannico e francese in Africa) per i quali, entro i normali limiti della disputa accademica, i fatti sono noti e i documenti e le memorie e le controversie dell’epoca sono stati tutti studiati. In genere, però, non sapevano dire su dove si basavano le loro opinioni eterodosse: le avevano avute da qualcuno che le aveva avute da qualcuno, che… La costruzione di interi sistemi di contro-conoscenza è oggi estremamente facile e si presta facilmente, ovviamente, a tentativi di controllo politico.

Non è un fenomeno del tutto nuovo, ma sembra essere stato massicciamente facilitato da Internet. In un libro innovativo a> una decina di anni fa, due politologi americani dimostrarono che molto di ciò che la gente pensava di sapere su argomenti come il traffico di esseri umani o le vittime in guerra, soprattutto per quanto riguarda i numeri, non era esagerato o soggetto a controversie, ma semplicemente fatto.In altre parole, nessuno era in grado di scoprire da dove provenissero le accuse e i presunti numeri. Tuttavia, in molti casi, l’uso di questi presunti “fatti” ha reso gruppi, istituzioni e governi più potenti di quanto sarebbe stato altrimenti. Come rifletteva Winston Smith alla sua scrivania nel Ministero della Verità, non c’era niente di più facile che inventare le cose, soprattutto se poi si aveva il potere di imporle come verità. E i nostri orizzonti storici sembrano accorciarsi sempre di più. Forse un decennio dopo la crisi del Kosovo del 1998-9, ricordo di aver letto un articolo di un ambasciatore della NATO dell’epoca che osservava con disinvoltura che la campagna di bombardamenti della NATO era stata provocata dall’espulsione dell’etnia albanese in Macedonia, mentre, come lui o lei avrebbe certamente saputo all’epoca, era vero il contrario. A quanto mi risulta, questa è la versione “autorizzata” della vicenda oggi. Ma anche più recentemente,  mi è capitato di imbattermi in articoli polemici, ad esempio sulle origini della guerra civile siriana, la cui unica fonte sembra essere stata altri articoli polemici, e le cui tesi di fondo sono minate da storie dei media che gli stessi autori devono aver letto all’epoca.

Ma questa non è solo un’altra lamentela sulla disinformazione e sulla censura. Sono molto più interessato alle conseguenze. Nel romanzo, alla fine ci rendiamo conto che è O’Brien, e non come insiste Winston Smith, a essere pazzo. Anzi, è l’intero Partito Interno, e forse l’intero governo di Airstrip One, a essere pazzo. L’insistenza di O’Brien sul fatto che non esiste una conoscenza oggettiva (Orwell aveva una macchina del tempo, ci si chiede?), che il passato e il futuro non esistono, che la realtà è creata dal Partito e che le stelle, per esempio, potrebbero essere facilmente tirate giù dal cielo, non sono una base solida per gestire un paese e affrontare problemi reali, per non parlare delle guerre. (È difficile immaginare che un regime che si comporti davvero come il Partito sopravviva a lungo). Naturalmente, essi evidenziano l’intento satirico del romanzo, ma rappresentano anche lo stato finale caricaturale di processi già in atto all’epoca di Orwell e ben visibili nella nostra. In effetti, sono in un certo senso il logico prodotto finale di un’ideologia che rifiuta e distrugge tutta la storia, la cultura e la tradizione, lasciando al loro posto solo delle ipotesi casuali a priori .

E in effetti, anche se i politici di oggi non assomigliano molto a O’Brien (non hanno la sua intelligenza, per esempio), condividono la sua convinzione solipsistica che il mondo giri intorno a loro e al loro partito, che loro capiscano tutto e che se non capisci perché loro hanno ragione e tu torto, tanto peggio per te. Dopo tutto, il mondo politico moderno è pieno di “consiglieri” e “consulenti”, la cui funzione principale è quella di rafforzare la narrazione e di dire al leader del partito che ha ragione, anche se non è chiaramente così.

Così la Francia sembra oggi avviata a una grave crisi politica perché un presidente molto antipatico ha pensato di poter spaventare lo stupido elettorato per indurlo a votare per lui come alternativa al “caos”. Ora sta disperatamente protestando che l’Assemblea Nazionale populista-sovranista è “alle porte del potere”, e la risposta ovvia e immediata è: Chi li ha messi lì? Nessuno ti ha obbligato a indire le elezioni, cretino.Ma questa è l’azione di un politico che non solo è relativamente giovane e inesperto, ma si è consapevolmente allontanato da tutta la tradizione e la cultura francese, che non capisce e non ama il popolo francese. Qualsiasi politico degli anni Cinquanta avrebbe potuto dirgli che identificare gli undici milioni di francesi che hanno votato per la RN e i suoi alleati come estremisti e nemici del popolo potrebbe non essere un’idea saggia.

Allo stesso modo, si può immaginare uno sfruttamento più cinico del passato che prendere il nome del Fronte Popolare, il grande governo riformatore del 1936-37 dei radicali e dei socialisti con il tacito sostegno dei comunisti, e appiccicare l’etichetta allo sgangherato, vagamente “di sinistra” Nuovo Fronte Popolare, che è tenuto insieme solo dalla paura e dall’ambizione? Riuscireste a immaginare, anche se si tratta di satira, François Hollande, che ha vinto la presidenza nel 2012, dove i socialisti erano più dominanti che in qualsiasi altro momento della storia, ha buttato tutto all’aria, non ha osato presentarsi per la rielezione e ha lasciato il candidato socialista alle elezioni del 2022 con meno del 2% dei voti, decidendo tuttavia che la situazione era così grave da doversi offrire di nuovo alla nazione come candidato parlamentare, e si vede chiaramente come futuro primo ministro? Il suono che avete sentito è quello di Satira che sbatte la porta in segno di disgusto.

Nel Regno Unito ci si gratta ancora la testa per capire perché Rishi Sunak abbia indetto le elezioni generali di questa settimana. Ma forse è solo l’ultima di una lunga serie di decisioni stupide e ignoranti, che risalgono almeno alla mezza idea intelligente di David Cameron di indire un referendum sulla Brexit senza considerare le possibili conseguenze. Dopotutto, non poteva sbagliarsi, no? Una classe dirigente incolta, narcisista e ignorante è passata dall’errore alla catastrofe con tutta l’arroganza del Partito Interno di Orwell. E, anche se di solito non parlo degli Stati Uniti, paese che non conosco bene, il grado di pura incompetenza dimostrato dalla cricca Clinton/Biden/Obama negli ultimi anni è incredibile.

Ma a differenza della situazione del 1984, qui il mondo reale vota e non gli piace quello che vede. La mentalità solipsistica, a priori, ideologica dei politici occidentali moderni, che si aggrappano a un MBA ma ignorano tutto ciò che conta davvero, potrebbe essere la fine di tutti noi.

Quindi, in assenza di fattori di contrasto e senza tenere conto del passato, tutto tende alla caricatura. Tornerò alla fine a parlare di cultura come cultura, ma ci sono alcuni esempi interessanti in altri settori. Prendiamo ad esempio lo Stato Islamico: sì, davvero. Visto in questo contesto, l’IS è in realtà una caricatura dell’Islam politico violento, che si rifà non solo alla tradizione di barbarie insensata del GIA in Algeria, ma anche a videogiochi, fumetti e forum online pieni di odio. Si è separatada Al Qaeda originariamente per la sua preferenza per l’azione indiscriminata, immediata e violenta, piuttosto che per gli obiettivi strategici, e i suoi primi leader hanno deliberatamente stabilito un “marchio” di folle crudeltà e violenza per attirare reclute lontano dal più conservatore AQ. Interviste con jihadisti, soprattutto convertiti, hanno mostrato che pochi di loro avevano una grande conoscenza dell’Islam, o della sua storia, o anche solo un grande interesse. Sono stati attratti dalla lotta da nozioni romantiche di combattimenti apocalittici e di violenza estrema. In alcuni casi, il rifiuto del passato, della cultura e del contesto più ampio è esplicito. Boko Haram, il nome informale dato ai gruppi jihadisti violenti della Nigeria settentrionale, potrebbe essere tradotto plausibilmente come “non abbiamo bisogno di istruzione”, riflettendo la loro predilezione per l’attacco alle scuole (in particolare a quelle femminili) e il massacro di insegnanti e alunni. Sebbene sia difficile generalizzare, molti di questi gruppi mostrano tendenze apocalittiche e suicide, molto più di qualsiasi credo religioso. L’Islam per Boko Haram, se vogliamo, è ciò che il socialismo è per il Partito Laburista britannico.

In Occidente, la pressione della competizione per l’attenzione e i finanziamenti dei media, la mancanza di interesse per la storia e il contesto più ampio e la mancanza di una cultura comune per il dibattito, spingono anche i movimenti politici e le campagne verso la caricatura. In questo riflettono fedelmente le dinamiche dei gruppi marxisti degli anni ’70, i loro modelli strutturali, se non sempre ideologici, che amavano proclamare “non c’è nessuno a sinistra di noi” (seguito, ovviamente, da una scissione e dalla risposta “ora c’è!”). Nello Spazio del reclamo, ad esempio, una delle cose più difficili da affrontare è la tolleranza. Cosa fate quando avete ottenuto l’accettazione che dite di cercare? Chiudete i battenti e restituite i fondi? Cosa fareste allora della vostra vita? Beh, se l’esperienza recente è una guida, cercate deliberatamente lo scontro attraverso provocazioni palesi, nel tentativo di creare nuovi nemici e quindi nuove minacce da contrastare.

In alcuni casi, questa progressione è ben visibile. Ad esempio, dal 1999 in Francia è disponibile una forma di relazione giuridica diversa dal matrimonio, il PaCS. Durante il difficile dibattito che ha preceduto la legge, la questione principale era se dovesse essere applicata alle coppie dello stesso sesso (come poi è avvenuto). I tradizionalisti e la Chiesa hanno sostenuto che ciò avrebbe inevitabilmente portato a pressioni per il matrimonio omosessuale. Sciocchezze, ha risposto con rabbia la lobby omosessuale. Si tratta di un suggerimento stupido e calunnioso degno solo dei fascisti. Nel giro di pochi anni, naturalmente, sono iniziate le pressioni per il matrimonio omosessuale, e solo i fascisti potevano essere contrari. Non credo sia necessario accusare i militanti di ipocrisia: erano semplicemente spinti dalle dinamiche della loro situazione e dalla feroce competizione nello spazio delle lamentele a essere più radicali. E ora, naturalmente, ci sono pressioni per il riconoscimento della poligamia, e per le coppie di donne che non vogliono avere rapporti con uomini per acquistare un bambino portato in grembo da un’altra donna. Si tratta di iniziative che hanno suscitato molti dibattiti in vari Paesi, ma che non potranno mai essere risolte, perché non esistono punti di partenza culturali o etici comuni per il dibattito, e in una società liberale la soddisfazione personale è l’unico criterio rilevante ammesso. La caricatura non ha nulla da temere: anzi, in un mondo perfettamente egoista, non può nemmeno esistere.

La cultura, ovviamente, è ciò che gli opinionisti amano definire un concetto “contestato”, ovvero può significare cose diverse per persone diverse. Tuttavia, la maggior parte delle culture prima di quella occidentale moderna aveva una comunanza culturale tale che anche le persone in violento disaccordo tra loro riconoscevano almeno l’oggetto della discussione. Protestanti e cattolici si scontravano ferocemente su questioni di dottrina, ma condividevano una serie di presupposti comuni. Monarchici e repubblicani si combattevano a vicenda, intellettualmente e praticamente, ma erano in grado di rispondere alle rispettive argomentazioni. La lunga e aspra lotta in Francia contro l’influenza della Chiesa in politica è stata condotta con una comprensione concordata di ciò che era in gioco, e la parte democratica e laica aveva una chiara ideologia e un chiaro senso di ciò che voleva (così come la Chiesa). Oggi, non c’è un Paese con un’ideologia coerente per affrontare il fondamentalismo islamico, che a sua volta è molto chiaro riguardo all’influenza politica che sta cercando.

Questo è sintomatico di un problema più ampio, ovviamente. Il liberalismo rifiuta la storia, la società e la cultura come anacronismi e presume implicitamente che tutti i dibattiti possano essere conclusi razionalmente: da qui la disperata ricerca di facili “indicatori” e “parametri di riferimento”. I problemi etici si risolvono con un attento esame dei testi giuridici. Ora, se da un lato ritengo che il grado di “globalizzazione” del mondo intero sia molto esagerato e sia un prodotto della scuola di analisi dell’aeroporto-taxi-inglese-albergo-e-ristorante, dall’altro è vero che in Occidente la cultura, in tutte le sue manifestazioni, ha ormai perso il contatto con qualsiasi contesto storico o sociale specifico e consiste in poco più che significanti liberamente fluttuanti e non legati a nulla di particolare. E come Olivier Roy ha recentemente fatto notare, non c’è nulla di “popolare” in tutto questo. Il liberalismo ha cercato di abolire la cultura alta, sulla base del fatto che è “elitaria”, ma ha abolito anche la cultura popolare, attraverso la globalizzazione dell'”industria” dell’intrattenimento (questa parola vi sembra strana?). La cultura di massa, che è ciò che abbiamo oggi, è essenzialmente spazzatura imposta alle popolazioni occidentali a scopo di lucro: Il “prolefeed” di Orwell”.

E la cultura di massa è ora una caricatura esaurita di se stessa: ripetitiva, autoreferenziale, tagliata fuori da tutte le sue fonti di ispirazione originarie, che produce meccanicamente variazioni banali. La musica popolare, che ha consumato se stessa per decenni, ora minaccia di diventare interamente virtuale e dominata dall’intelligenza artificiale. Volete l’album che i Doors non hanno mai registrato dopo LA Woman? Ecco qui, solo per voi. (Ascolta Rick Beato su questo). Non che la cosiddetta Alta Cultura sia messa meglio: quelli che lavorano nel teatro, per esempio, sono così lontani da qualsiasi tradizione che si agitano a caso cercando di essere “trasgressivi” e “interrogando” i testi, dimenticando che i loro predecessori lo fanno già da un secolo. Uomini che recitano parti di donne? Beh, Shakespeare l’ha fatto. Donne che recitano parti di uomini? Avete mai visto una pantomima? Come si può produrre qualcosa di “nuovo” se non si conosce e non ci si preoccupa di ciò che è esistito prima? Ricordo che un paio di anni fa ho assistito alla rappresentazione di una tragedia di Racine da parte di una compagnia di tutto rispetto. Era ambientata in quella che sembrava essere una fabbrica di cemento, e il cast era tutto vestito con tute da ginnastica. Che senso ha? Mi sono trovato a chiedere. Che cosa sta cercando di dire? Dubito che il regista ne avesse un’idea precisa.

La caricatura sta diventando il modo caratteristico della nostra cultura, e non ci rendiamo conto di quanto sia caricatura, chiusi come siamo nelle nostre piccole scatole solipsistiche, impegnati a perseguire la nostra soddisfazione. La caricatura è lo stato finale naturale della società liberale degli ultimi quarant’anni, ma è accompagnata da una specie di autismo politico narcisistico che ci impedisce di vederlo, e ancor meno di sviluppare una base comune su cui pensare e discutere. Il liberalismo ha distrutto le università e la cultura alta e popolare. Ci ha dato gli studi culturali al posto della cultura e gli MBA al posto dell’apprendimento. Ha prodotto probabilmente la classe dirigente più stupida della storia. Staremmo meglio se tutti avessero una laurea in lettere piuttosto che un master? Non lo so; ma allora le cose potrebbero peggiorare?

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“Le elezioni europee del 2024 hanno segnato la fine del sovranismo dei padri”, la valutazione e le prospettive di Pascal Lamy

Le elezioni europee del 2024 hanno segnato la fine del sovranismo dei padri”, la valutazione e le prospettive di Pascal Lamy

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Quali sono i risultati delle elezioni europee? Pascal Lamy traccia le coordinate di una “elezione ibrida”, tra grandi tendenze e inerzia. Nella fase di incertezza in cui si trova la Francia prima delle elezioni legislative e dopo il fragore dello scioglimento, avverte che “un governo Bardella vorrà lasciare il segno su alcuni progetti europei”.

L’intervista è disponibile anche in inglese sul sito del Groupe d’études géopolitiques.

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Dieci giorni dopo, mentre inizia il processo di nomina dei Top Jobs a livello europeo e lo scioglimento della Francia scuote il panorama politico, cosa si può trarre da questa importante elezione europea?

Le elezioni europee sono un ibrido. Per interpretarle bisogna considerare una traiettoria in due fasi, un po’ come un aereo che decolla e sale di quota. Si attraversa una zona di turbolenza nazionale, poi si continua a salire e a quel punto ci si trova in una zona dove la navigazione è più tranquilla e le linee più chiare.

A livello nazionale esistono casi specifici – in Francia siamo in una buona posizione per rendersene conto – che dipendono dall’equilibrio delle forze politiche e dai tempi del ciclo politico nazionale, il che rende difficile trarre conclusioni generali da questo livello. La situazione è diversa a livello europeo. Poiché lo scenario europeo è il risultato di un’aggregazione, i cambiamenti sono inevitabilmente più lenti, più attenuati, con vantaggi e svantaggi nazionali che in parte si compensano.

Puisque la scène européenne est la résultante d’une agrégation, les évolutions sont inévitablement plus lentes, plus amorties avec des plus et des moins nationaux qui se compensent en partie.

PASCAL LAMY

L’épicentre de Paris n’a pas provoqué de tremblement à Bruxelles ? 

L’approche continentale montre qu’il n’y a pas eu d’à-coup, mais une lente dérive continue. Quand vous regardez les chiffres depuis 1979 sur 50 ans, il y a toujours eu un léger déport à droite.

Questa volta è stato un po’ di più del solito, poiché il PPE e i due gruppi di estrema destra hanno ottenuto più seggi. Ma non siamo nelle previsioni estreme in cui ognuno di questi gruppi sarebbe riuscito a conquistare 30 eurodeputati in più.

In questo contesto, ritiene che l’opzione di un secondo mandato della von der Leyen sia quella giusta?

La governance europea si basa su un sistema parlamentare bicamerale, con una camera alta, quella degli Stati, e una camera bassa, quella del Parlamento. Per quanto riguarda la camera bassa, è probabile, anche se incerto, che venga rinnovata la coalizione di cristiano-democratici, socialdemocratici e centristi che ha sostenuto la Commissione nella precedente legislatura.

On en saura plus dans les prochains jours, mais cette configuration donne à Ursula von der Leyen de bonnes chances de devenir la prochaine présidente de la Commission, c’est-à-dire de se succéder à elle-même. Une continuité bienvenue, je crois, en ces temps terriblement chahutés.

Avec la dissolution, ou la disparition apparente du Frexit comme option revendiquée par la droite historiquement eurosceptique, les Européennes 2024 marquent-elles une accélération vers l’européanisation de la politique nationale ?

Sì, è un’interpretazione interessante che condivido. L’ibridazione tra elezioni nazionali ed europee ha avuto conseguenze interne particolarmente eclatanti, almeno nel caso della Francia e forse, dopo l’estate – con l’effetto domino delle elezioni nei Länder – nel caso della Germania. Interpreto questo processo, che ha una dimensione sia politica che antropologica, come una tappa della costruzione di un unico spazio europeo.

L’intreccio tra i due livelli sta diventando troppo intenso per essere ignorato. Non ha senso dire che le elezioni europee non sono nazionali se in pratica Emmanuel Macron scioglie l’Assemblea e Alexander De Croo si dimette dopo i rispettivi fallimenti.

L’intreccio tra le due scale sta diventando troppo intenso per essere ignorato.

PASCAL LAMY

Dalle maledette midterm – in Francia il vincitore ha sistematicamente perso le elezioni presidenziali e le successive elezioni legislative – le elezioni europee stanno cambiando il loro ruolo ?

Questa ibridazione è anche dinamica. Le elezioni europee, pur essendo a turno unico, avranno un secondo turno che sarà puramente nazionale, – e poi forse un terzo turno, se il risultato di queste elezioni nazionali porterà a una diversa posizione del governo francese nel Consiglio dei Ministri.

Naturalmente, in Francia il regime presidenziale mantiene il controllo sugli affari internazionali, sulla diplomazia e sull’Europa. Tuttavia, i rapporti di forza possono cambiare. È ipotizzabile che un governo Bardella – ipotesi che non sembra, ahimè, dal mio punto di vista, improbabile – voglia lasciare il segno su alcuni progetti europei.

Questa volta, l’intreccio non sarebbe statico, ma dinamico, creando una situazione che si riverbera a livello nazionale e, senza dubbio, a livello europeo. A prescindere dalle vicissitudini del momento o dalle preferenze politiche, la costruzione di uno spazio democratico europeo ibrido, cioè nazionale e sovranazionale, è in corso.

È ipotizzabile che un governo Bardella voglia lasciare il segno su alcuni progetti europei.

PASCAL LAMY

Prima di tornare al caso francese, concentriamoci sull’idea di un cambiamento che non avrebbe alcun effetto rilevante e che anzi stabilirebbe una forma di continuità con la rielezione del Presidente della Commissione. Lei stesso ha dimostrato in una delle nostre interviste che l’asse strutturante della von der Leyen – e forse anche dell’inerzia europea che l’ha preceduta – è stato il Patto Verde. Nonostante gli effetti di superficie e la continuità, non siamo di fronte a un cambiamento di rotta?

Non credo che questo spostamento riguardi tanto la direzione quanto la derivata, nel senso matematico del termine. In altre parole, la direzione non cambierà, ma la sua attuazione potrebbe essere rallentata.

Perché?

Per due motivi. Il primo è di natura giuridica: la maggior parte dei blocchi legislativi del Green Deal sono già pronti, compresa la traiettoria di decarbonizzazione entro il 2050. E con la miracolosa adozione questa settimana della legge sul ripristino della natura, grazie alla coraggiosa indisciplina di Léonore Gewesler in Austria, siamo ora più che mai in fase di attuazione. Certo, questo processo potrebbe essere più o meno rallentato a seconda delle opinioni del nuovo Parlamento europeo. Ma credo che i cambiamenti si esprimeranno in altri modi. Ad esempio, nella composizione della Commissione.

Il Consiglio dei Ministri è molto più a destra rispetto a cinque anni fa: in Europa ci sono ormai solo quattro governi socialdemocratici, due dei quali – Germania e Spagna – hanno un peso notevole, ma non sono in una posizione comoda. Gli altri sono liberali, democristiani o forze più a destra dei democristiani, a partire da Giorgia Meloni.

Il Consiglio dei ministri è chiaramente più di destra rispetto a cinque anni fa.

PASCAL LAMY

Qual è il secondo motivo?

Un recente studio del Centro Jacques Delors di Berlino ha dimostrato che l’ambiente rimane un tema chiave nella struttura dell’opinione europea. È vero che non è stato il principale argomento di dibattito a livello di elezioni europee. Ma le ragioni di ciò risiedono nella sua natura ibrida. L’unica questione emersa, contro la quale ha votato l’estrema destra, è stata il divieto di vendita di nuove auto a combustione interna nel 2035. Lo vedo più come il risultato di una cristallizzazione causata da una scadenza: è comprensibile che ci siano persone che non vogliono essere costrette a cambiare la propria auto. Ma per quanto riguarda le altre misure, i sondaggi e le inchieste mostrano che la popolazione europea, nelle sue strutture ideologiche radicate, rimane favorevole all’ambiente, alla decarbonizzazione e anche alla biodiversità, anche se ne parliamo meno.

Eliot Blondet/SIPA

Lei parla di uno spostamento graduale e a lungo termine verso destra. Ma se osserviamo da vicino queste forze, possiamo notare un cambiamento tettonico: i gruppi che erano a destra del Partito Popolare Europeo avevano un’evidente dimensione euroscettica. Oggi il RN di Bardella ha raggiunto un risultato storico non sostenendo più esplicitamente la Frexit, mentre le uniche forze favorevoli alla Frexit rappresentano meno del 3%. Come spiega questa conversione all’Europa? Pensa che sia puramente tattica e retorica? Cambia gli equilibri all’interno del Parlamento?

È la conferma di un movimento che, per suo merito, il Grande Continente ha individuato prima degli altri, evidenziando il ruolo gramsciano di Viktor Orbán in questo cambiamento.

È stato lui a spostare l’estrema destra dalle posizioni antieuropee del sovranismo di stampo paterno: “fuori dall’Europa, abbasso l’Europa, viva la nazione”, a “il nostro obiettivo è partecipare al potere europeo, esercitare il potere europeo, e quindi lo faremo dall’interno, invece di pretendere di stare fuori”.

Orbán ha allontanato l’estrema destra dalle posizioni antieuropee del sovranismo vecchio stile.

PASCAL LAMY

Alcuni euroscettici di destra sono passati dalla Brexit a Make Europe Great Again…

La melonizzazione dell’ estrema destra a livello europeo è stata effettivamente provocata da Orbán, che è la vera forza trainante di questo sviluppo. Non è un caso che il primo ministro ungherese abbia scelto “Make Europe Great Again” come motto per la presidenza di turno del Consiglio. Una parte dell’estrema destra europea cercherà ora di influenzare l’esercizio del potere europeo cercando di penetrarvi attraverso alleanze parlamentari o nomine alla Commissione.

Esiste un punto di incontro tra il Partito Popolare e la sua ala destra?

Sì, assume forme diverse nei vari Paesi. In alcuni casi, la destra del PPE – perché all’interno del PPE esistono una destra, un centro e una sinistra – può essere tentata di votare con l’ECR. Come dimostra l’esame dettagliato dei voti al Parlamento europeo pubblicato dall’Istituto Delors di Parigi, ciò è molto meno probabile da parte dell’ID e di altri raggruppamenti che non appartengono né all’ECR né all’ID di estrema destra.

Ci sono anche Paesi in cui questa possibile continuità sta emergendo. L’Italia, ad esempio, e ora anche la Francia. In Germania, il fatto che la CDU e la CSU siano nello stesso gruppo significa che tutti si uniscono ai cristiano-democratici, mentre in Baviera potrebbero forse avere una posizione diversa se le preferenze sugli assi politici fossero misurate correttamente. In un sistema parlamentare si devono fare dei compromessi; quindi dobbiamo essere forti, avere peso e occupare il maggior numero possibile di posizioni che contano nella definizione dell’ordine del giorno o nella conduzione dei lavori in commissione o in plenaria, e la forza viene dai numeri.

In alcuni casi, l’ala destra del PPE potrebbe essere tentata di votare con l’ECR.

PASCAL LAMY

Come descrivere questo movimento? È un rafforzamento dell’inerzia europea al di fuori del quadro comunitario?

Questo è uno degli ingredienti della graduale politicizzazione dello spazio sovranazionale e della sua articolazione con lo spazio nazionale. È una conferma di questa ibridazione: non si tratta di esercitare una forma di democrazia parlamentare a livello nazionale e un’altra forma di democrazia parlamentare a livello europeo. Il coinvolgimento dell’estrema destra in questa fase è anche un momento di progresso nella costituzione, di lento emergere di questo spazio politico europeo. Queste elezioni sono una tappa di questo processo.

Un tema che non è stato al centro della campagna, ma che sta guidando l’agenda strategica e la profonda inerzia delle istituzioni, è la questione della difesa.È un ingrediente chiave di questa ibridazione?

Sì, soprattutto per ragioni legate all’invasione russa dell’Ucraina. Se c’è una questione su cui l’opinione europea è sempre stata molto d’accordo – anche in Ungheria – è il sostegno a un esercito europeo. La percentuale di europei a favore di un esercito europeo è enorme. Questo desiderio è completamente scollegato dalla realtà di cosa significherebbe avere un esercito europeo in termini di trasmutazione di questo spazio politico – perché se avessimo un esercito europeo, significherebbe che lo spazio democratico sovranazionale è diventato più forte dello spazio democratico nazionale.

Se c’è una questione su cui l’opinione pubblica europea è sempre stata molto d’accordo – anche in Ungheria – è il sostegno a un esercito europeo.

PASCAL LAMY

Come si spiega questo paradosso?

Questo desiderio è una sorta di utopia. Le opinioni sono favorevoli, ma siamo bloccati dalla straordinaria difficoltà di portare le questioni militari a un livello sovranazionale, che implica un’unica strategia, armi intercambiabili, morti comuni, comandi unificati, ordini rapidi e un unico leader. Ma le forze che bloccano stanno diminuendo sotto la pressione del pericolo. L’Ucraina ha cambiato la situazione. Se rieletto, Donald Trump potrebbe agire come un secondo shock.

Non si può dire che questo sia stato un problema emerso durante la campagna elettorale…

Sì, ma se la difesa non è stata oggetto di controversia o di dibattito nelle elezioni europee, non è che la gente non voglia parlarne, è che è d’accordo. Tutto sommato, la preferenza dell’opinione pubblica per la difesa europea è simile al consenso sull’ambiente. Quando parlo di Europa con i non addetti ai lavori, sento molti di loro lamentarsi della mancanza di una difesa europea. Rispetto pienamente questa opinione; noto solo che trascura o ignora i passi che devono essere fatti per arrivarci, sia tecnicamente che politicamente. Se siete a favore di un esercito europeo, dovete accettare il fatto che il capo di tale esercito probabilmente non sarà qualcuno del vostro Paese.

In proporzione, la preferenza dei cittadini per la difesa europea è simile al consenso sull’ambiente.

PASCAL LAMY

Non siamo forse di fronte a un “consenso morbido”, come lo definisce Jean-Yves Dormagen nelle nostre pagine sulla transizione ecologica? In astratto, tutti sembrano d’accordo, ma non appena guardiamo alle conseguenze concrete e srotoliamo il sillogismo, troviamo subito nuove divisioni e fratture.

L’invasione dell’Ucraina ha creato un’energia politica che prima non c’era. Le crisi sono motori di energia politica. Grazie a questa energia, saremo in grado di andare avanti. Da quello che possiamo leggere dei segnali politici inviati dalle elezioni europee e dalle conseguenze per il Parlamento e il Consiglio, non vedo perché questo slancio, che sarà lento, debba essere interrotto. Anche perché all’interno dell’ECR non c’è una resistenza considerevole su questo tema e Orbán non è fondamentalmente contrario.

Sarebbe difficile non chiederle di approfondire l’effetto politico interno più impressionante di queste elezioni europee: lo scioglimento dell’Assemblea Nazionale. Pensa che un governo Bardella segnerebbe una rottura con l’integrazione europea?

Non ne sono sicuro, perché, a parte la sua posizione nazionalista di principio, la RN si è guardata bene dal precisare la sua posizione, per mantenere la sua strategia “catch-all”. Quindi parlo con cautela, ma nel sistema istituzionale e costituzionale francese la questione europea è in gran parte di competenza del Presidente della Repubblica. Emmanuel Macron, eletto 7 anni fa, ha saputo creare e continua a creare una dinamica di integrazione europea, con la Sorbona 1 e ora con la Sorbona 2, anche se l’albero di Natale è ancora un po’ pieno.

A parte la sua posizione nazionalista di principio, la RN si è guardata bene dall’esplicitare la sua posizione, rimanendo fedele alla sua strategia “catch-all”.

PASCAL LAMY

Questo non vuol dire che non ci saranno cambiamenti, perché ci sono molte decisioni quotidiane e compromessi che devono essere presi a livello governativo, in particolare con la macchina del Segretariato Generale per gli Affari Europei (SGAE), che prepara, fa adottare e poi trasmette le istruzioni sulle posizioni francesi alla Rappresentanza Permanente a Bruxelles, che le difende. Questi arbitrati saranno diversi con un governo Bardella rispetto a un governo Attal. Se la Commissione ha bisogno di una maggioranza per approvare un testo in Consiglio dei Ministri e la posizione della Francia è decisiva per ottenere tale maggioranza, le cose possono cambiare.

Su quali questioni vedrebbe una possibile rottura?

Sulla questione cruciale della difesa dell’Ucraina, o su questioni future come la riforma della politica agricola comune, il bilancio europeo e il ritmo della transizione ecologica, un Primo Ministro RN potrebbe imprimere una svolta.

D’altra parte, per quanto riguarda l’immigrazione, ci sono relativamente poche possibilità che il tema venga ripreso a breve termine a livello europeo, perché abbiamo appena modificato in modo sostanziale la politica migratoria rendendo più rigidi gli accordi di Dublino.

Per quanto riguarda l’immigrazione, le possibilità che il tema venga ripreso a livello europeo nel breve periodo sono relativamente scarse, perché abbiamo appena apportato modifiche sostanziali alla politica migratoria con l’inasprimento degli accordi di Dublino.

PASCAL LAMY

Il movimento fondamentale di questo spostamento non potrebbe aprire una fase in cui la Frexit torna ad essere un’ipotesi?

Non credo. Le circostanze e i vincoli esterni – le vicende di un mondo dilaniato da molteplici crisi – spingono nella direzione opposta.

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Trump su Ucraina e Russia

Nell’intervista rilasciata a @theallinpod , il Presidente Trump ha fatto una serie di commenti importanti sull’Ucraina. Si attendono le logiche conclusioni del ragionamento.

Sui quotidiani e sulle testate televisive italiane ed europee ci hanno presentato dichiarazioni ambigue o di segno opposto totalmente fasulle o manipolate. Giuseppe Germinario

“Per vent’anni ho sentito dire che se l’Ucraina entra nella NATO è un vero problema per la Russia. L’ho sentito dire per molto tempo. E credo che questo sia il vero motivo per cui è iniziata la guerra. Non sono sicuro che questa guerra sarebbe iniziata. Biden stava dicendo tutte le cose sbagliate. E una delle cose sbagliate era dire: “No, l’Ucraina entrerà nella NATO”. … Si è sempre capito. E questo anche prima di Putin. Si è sempre capito che era un no. E ora si può andare contro i loro desideri, e non significa che abbiano ragione quando lo dicono. Ma era molto provocatorio, e ora lo è ancora di più. E… ho sentito dire che ora si parla di far entrare l’Ucraina nella NATO, e ora ho sentito che la Francia vuole andare a combattere. Beh, auguro loro molta fortuna”.

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Lo scossone europeo Con Augusto Sinagra_Collabora Ivan Santacroce

Le elezioni europee hanno registrato alcune novità nel responso e un astensionismo ormai impossibile da etichettare come semplice disaffezione. Un segnale importante, ma non un risultato in grado di impedire alle attuali élites di proseguire sulla solita strada o di essere sostituite. Alcune reazioni apparentemente isteriche sono il veicolo per riportare nell’alveo della logica dei vecchi schieramenti contrapposizioni ed aspettative che meriterebbero ben altra rappresentanza. La sola differenza tra i paesi è che in alcuni, tra essi l’Italia, questo richiamo all’ordine avviene impercettibilmente, in altri, la Francia, con strepiti allarmistici. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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IMPORTANTE: La Russia diventa ufficialmente la quarta economia mondiale, superando il Giappone, di SIMPLICIUS

Molti ricorderanno la notizia dell’anno scorso secondo cui la Russia aveva superato la Germania per il 5° posto nel PPP del PIL. Allo SPIEF, Putin ha annunciato che la Russia ha ufficialmente superato il Giappone per il 4° posto, secondo la Banca Mondiale:

Ma prima un po’ di background:

Questa può sembrare una notizia vecchia, dato che diversi mesi fa le persone hanno pubblicato il presunto sorpasso della Russia sull’economia giapponese. Tuttavia, c’è stata molta confusione poiché la fonte più utilizzata era un sito web del Regno Unito chiamato World Economics , che hanno confuso con la Banca Mondiale ma che in realtà non è una fonte “ufficiale” di alcun tipo.

Quello che è successo ora è che la Banca Mondiale ha annunciato la scorsa settimana di aver rivisto i dati sul PIL dal 2021 in poi, e in quelle revisioni ha scoperto che la Russia aveva già superato il Giappone già nel 2021, e ha continuato ad avanzare fino a Ora.

Ecco il loro comunicato ufficiale: https://www.worldbank.org/en/news/press-release/2024/05/30/global-purchasing-power-parities-data-released-for-2021

WASHINGTON, 30 maggio 2024 — Le nuove parità di potere d’acquisto (PPP), che forniscono un modo standardizzato per valutare il potere d’acquisto relativo di diverse economie, sono state rilasciate oggi dall’International Comparison Program (ICP) per l’anno di riferimento 2021.

Hanno una varietà di collegamenti a vari grafici e visualizzazioni.

E in effetti, la Russia ora sta sempre più superando la Germania, lasciandola nella polvere con 6,45 t contro 5,9 t. Per non parlare del fatto che la cifra dell’India è di 10,9 t, con la Russia che ha solo 1/10 della popolazione indiana ma più della metà del suo potere economico. Inoltre, fonti ufficiali riferiscono che la Russia ha un’economia sommersa di circa il 40%, che non può essere spiegata, praticamente la più alta del mondo:

Ecco un intero articolo russo dell’inizio di quest’anno che ne parla in dettaglio:

Tenete presente che ciò avvenne anche prima dell’annuncio ufficiale della Banca Mondiale del superamento del Giappone da parte della Russia. L’articolo rileva:

L’altro giorno, la Banca Mondiale ha pubblicato un rapporto sull’economia sommersa per paese, secondo il quale essa rappresenta circa il 5% del PIL totale in Giappone, l’8% in America e fino al 39% nel nostro paese, la Russia.

L’indice dell’economia sommersa in Russia è uno dei più alti al mondo, quasi l’84% più alto della media globale. Solo l’Ucraina (46% del PIL, ovvero 1.100 miliardi di UAH), la Nigeria (48% del PIL) e l’Azerbaigian (67% del PIL) hanno un’economia più grande nell’ombra. Al quinto posto c’è lo Sri Lanka con un indicatore del 38%.

Si prosegue spiegando aneddoticamente che molti russi guadagnano fino a un terzo dei loro stipendi dai mercati grigi clandestini, con milioni di annunci per servizi “non ufficiali” che lo attestano.

Ciò significa che la vera potenza economica nascosta della Russia potrebbe essere addirittura molto più elevata e addirittura più vicina a quella dell’India. Ho già sostenuto a lungo che la Russia, essendo il paese più sanzionato, indebolito e terrorizzato economicamente sulla terra, attraverso embarghi e veri e propri sabotaggi industriali come gli attacchi Nordstream, potrebbe non ottenere risultati soddisfacenti, per ora, nascondendo al contempo un’economia molto più potente di qualsiasi altra economia attuale. i registri mostrano. Se si eliminano quegli handicap artificiali che danneggiano ingiustamente l’economia russa, allora è quasi certo che la vera potenza economica non misurata della Russia è quella del terzo posto dietro Cina e Stati Uniti. È notevole che anche sotto un attacco senza pari, la Russia sia in grado di comandare uno dei paesi più veloci economie in crescita e più robuste del mondo.

L’economista Stefan Demetz nota inoltre correttamente che la struttura del debito particolarmente bassa della Russia e l’autosufficienza sotto forma di surplus commerciale rendono il suo valore economico ancora più alto di quanto sembri:

La Banca Mondiale ha recentemente riclassificato i dati relativi al PIL PPA e la Russia è diventata quarta davanti a Giappone e Germania.

Ma considerando il debito molto basso a fronte di alti livelli di riserva e l’autosufficienza in campo energetico, alimentare e militare, la Russia appare migliore di quanto indichino questi grafici.

Ci sono molti che dubitano del significato dell’indice PPP rispetto al PIL nominale, credendo alla menzogna inculcata in Occidente secondo cui il PIL regolare è quello “reale” mentre il PPP è solo una riformulazione “creativa” ma in definitiva spuria. Ma questo è lontano dalla verità, almeno per quanto riguarda i paesi in surplus commerciale, in particolare: per loro la PPP è il vero indicatore economico.

Questo perché il PIL nominale è prezzato in dollari (USD) e quindi è rilevante solo se si utilizzano quei dollari principalmente per acquistare cose, che è ciò che fanno i paesi che importano molte delle loro merci, dal momento che la maggior parte delle merci sui mercati mondiali sono acquistati nella “valuta di riserva” globale del dollaro statunitense. Ma la Russia è in surplus commerciale, il che significa che esporta molto più di quanto importa. È autosufficiente e non ha bisogno di fissare i prezzi in dollari, ma piuttosto nella propria valuta. Fatto ciò, il PIL “nominale” espresso in dollari diventa irrilevante e non si applica. E le poche cose che la Russia importa, ora le regola in altre valute native, come lo Yuan con la Cina, ecc. In breve: per paesi come la Russia, il PIL PPA è l’ unica misura accurata della dimensione e del potere economico, è il PIL nominale che valuta ingannevolmente l’economia del paese target in termini di valuta estera (USD) che non utilizza nemmeno nei suoi mercati interni e che distorce i numeri in base alle fluttuazioni delle valutazioni del cambio valutario.

Puoi leggere molto di più a riguardo nel mio precedente articolo sull’argomento:

La verità sul potere economico della Russia: è davvero così piccolo e debole come sostiene l’Occidente?

·
3 APRILE 2023
La verità sul potere economico della Russia: è davvero così piccolo e debole come sostiene l’Occidente?
Prefazione: Il seguente articolo è basato su uno che avevo precedentemente pubblicato sul Saker in questo esatto anniversario, che credo abbia maggiore importanza nel clima odierno. Quindi ho deciso di rivederlo pesantemente e aggiornarlo con i dati più recenti, triplicandone la lunghezza, per renderlo il più attuale possibile. Credo che questo sia io…
Leggi la storia completa

Questa sarà la fine della parte gratuita dell’articolo. Dopo il salto, seguiremo gli attuali sviluppi economici globali, con un focus sugli Stati Uniti in particolare, giustapponendo l’ascesa dei BRICS a quella dell’Occidente in declino, con particolare attenzione ai numeri economici fraudolenti recentemente rilasciati da l’amministrazione Biden e le cupe prospettive che proietta per il futuro dell’intero ordine finanziario occidentale.

Cominciamo con i dati sull’occupazione appena diffusi dal BLS (Bureau of Labor Statistics). I democratici hanno pubblicizzato centinaia di migliaia di “nuovi posti di lavoro creati”, e invece hanno sminuito il fatto che ogni singolo nuovo lavoro è andato ai clandestini, mentre i lavoratori nativi hanno perso l’incredibile cifra di 600.000 posti di lavoro:

L’altra notizia bomba era che tutti i nuovi lavori erano part-time, mentre quelli a tempo pieno continuavano ad essere schiacciati:

Questo è il motivo per cui i rapporti distinguono tra l’uso delle “buste paga” e quello dei “lavoratori”, poiché è possibile aggiungere 10 nuove buste paga con solo 4 nuovi lavoratori se molti di questi “lavoratori” hanno semplicemente ottenuto più lavori part-time.

ZeroHedge illustrato con le visualizzazioni più illuminanti:

Ecco un’altra visualizzazione della composizione del lavoro nell’ultimo anno: 1,2 milioni di posti di lavoro a tempo pieno sono stati persi, sostituiti da 1,5 milioni di posti di lavoro part-time!

Per non parlare dei posti di lavoro federali saliti alle stelle, gonfiando artificialmente l’immagine di un mercato del lavoro in crescita:

Come molti sanno, il governo degli Stati Uniti può indorare artificialmente i rapporti sui posti di lavoro nei momenti chiave semplicemente dando vita a una corsa alle assunzioni. Il governo può schioccare le dita e assumere decine di migliaia di lavoratori dell’IRS o addirittura creare un dipartimento o una divisione completamente nuovi al solo scopo di sostenere i lavoratori temporanei per portare i titoli dei giornali a un momentaneo ottimismo sul lavoro; ma è tutta una farsa, perché tali lavori distorcono il quadro economico reale e organico.

Ecco Chris Hedges che analizza percettivamente il tutto e riconosce la falsità:

Sottolinea inoltre astutamente che anche i dati sulla disoccupazione sono fraudolenti in base all’utilizzo dei dati ufficiali U3 rispetto a U6.

I numeri U3 “ufficiali” del governo non contano nessuno come “disoccupato” se non ha cercato lavoro nelle ultime 4 settimane, il che significa che è una cifra inutile e fraudolenta. L’U6 è leggermente migliore, ma arriva fino al limite di 1 anno. Chiunque non si sia preso la briga di cercare lavoro per 1 anno è considerato un “lavoratore scoraggiato a lungo termine” e non viene più conteggiato nelle statistiche sulla disoccupazione. Sfortunatamente, una parte enorme della forza lavoro si è arresa in questo modo, il che significa che anche i numeri dell’U6 sono fantastici.

In combinazione con il fatto che l’U3 considera i part-time come pienamente occupati mentre molte persone ora devono trovare più lavori, il che gonfia enormemente la percezione della “crescita occupazionale”, dipinge un quadro totalmente fraudolento dell’economia statunitense e della sua presunta ripresa della “salute”. ‘.

Infatti, ZeroHedge riferisce che gli Stati Uniti hanno aggiunto un totale netto pari a zero di posti di lavoro per i lavoratori nativi dal 2018:

Dire che questo è scioccante sarebbe un eufemismo.

È una tempesta perfetta di malessere economico e distruzione sociale: inflazione alle stelle, la maggior parte della crescita occupazionale è costituita da lavori part-time, zero posti di lavoro aggiunti per i lavoratori nativi, ecc.

In altre parole, la “forte crescita dell’occupazione” per i cittadini americani è sempre stata e rimane una favola, e l’ unica crescita di posti di lavoro negli Stati Uniti è per i clandestini, che lavoreranno per un salario inferiore al minimo , il che spiega anche perché l’inflazione non è aumentata. l’anno scorso sono stati assunti milioni di clandestini.

Non c’è da meravigliarsi che debbano fare questo:

Ciò che sta diventando chiaro è che il piano dell’establishment per il prossimo anno prevede di confondere i numeri a un livello storico solo per salvare la reputazione dell’amministratore Biden mentre si carica il massiccio crollo per farlo cadere in grembo alla nuova amministrazione Trump come ultimo gioco di sabotaggio di ultima istanza.

Se dovesse vincere, non appena Trump entrerà in carica, le chiuse si apriranno e l’intero armadio pieno di orrori nascosti verrà fuori per affogare il suo mandato nella crisi. Ciò sarà aiutato dalla maturazione di un’ampia fascia del debito nazionale, che si dice sarà rinnovata con un interesse molto più elevato proprio in quel momento:

Gran parte dei nostri 35.000 miliardi di dollari di debito nazionale sono a breve termine e devono essere rifinanziati al 5% o più entro 12 mesi. Gran parte del debito era inferiore al 2%, ora rifinanziato a oltre il 5%. Il pagamento degli interessi sul debito ammonta a 1,1 trilioni di dollari all’anno. Probabilmente raggiungerà 1,5 trilioni di dollari all’anno nel 2025.

Dall’istituto Kobeissi:

Questo è interessante: un debito federale americano record di 9,3 trilioni di dollari maturerà e dovrà essere rifinanziato a tassi molto più alti nei prossimi 12 mesi. Questo è aumentato di ben 4,7 trilioni di dollari o del 102% in soli 4 anni. Ciò avviene nel momento in cui il Tesoro americano passa all’emissione di obbligazioni con scadenze più brevi con interessi inferiori. Di conseguenza, una quota record pari a circa il 33% del debito in circolazione ha una scadenza inferiore a un anno. Nel frattempo, la Fed ha scaricato circa 1,3 trilioni di dollari di titoli del Tesoro (QT) dal suo bilancio in 2 anni, mentre la domanda dei governi esteri per le obbligazioni statunitensi è diminuita. Chi finanzierà tutto questo debito?

Tutti hanno visto il famoso grafico del debito americano crescere allo stesso livello negli ultimi 4 anni che nei 220 anni precedenti:

Ma la maggior parte continua a credere che non sia un grosso problema – dopo tutto, questo porta il rapporto debito/PIL degli Stati Uniti a un livello record del 123% circa, ma non è nemmeno vicino a quello della Grecia – che è intorno al 170% – o del Giappone, a un livello record. un enorme ~270%. Ma il debito del Giappone è strutturato in modo diverso: con un importo molto maggiore posseduto a livello intragovernativo, il che lo rende un tipo di debito molto più “sicuro” rispetto a quello posseduto da istituzioni straniere.

In secondo luogo, come osserva il blog GlobalMarketInvestor, uno studio del FMI ha rilevato che dal 1800, 51 paesi su 52 con un rapporto debito/PIL superiore al 130% sono andati in default, con il Giappone che è l’ unica eccezione:

Normalmente, questo sarebbe probabilmente rimasto fluttuante negli anni passati, dato che gli Stati Uniti godono dello status di valuta di riserva globale, che consente loro non solo di esportare all’infinito il proprio debito e l’inflazione, ma di garantire che il debito non minacci mai l’Imperium poiché la valuta che lo sostiene rimane sempre suprema. e richiesto. Ma sembra che la situazione sia sempre più destinata a cambiare.

Allo SPIEF (Forum economico internazionale di San Pietroburgo) in corso, Putin ha nuovamente annunciato che i BRICS stanno ufficialmente lavorando su un sistema internazionale di regolamento dei pagamenti e su una valuta:

Secondo quanto riferito, ora ci sono più di 60 paesi che cercano di aderire ai BRICS, la maggior parte dei quali aspira a un nuovo sistema globale equo:

‼️🇷🇺 59 paesi intendono aderire a BRICS, SCO e EAEU, – Consigliere del Presidente della Russia

▪️Circa 30 delegazioni vogliono venire al vertice dei BRICS che si terrà a Kazan dal 22 al 24 ottobre, ha osservato Anton Kobyakov allo SPIEF.

▪️BRICS è attualmente composto da 10 paesi: Russia, Brasile, India, Cina, Sud Africa, Emirati Arabi Uniti, Iran, Egitto, Arabia Saudita ed Etiopia.

Alcuni stanno addirittura adottando misure profilattiche:

Anche l’India ha appena rimpatriato 100 tonnellate del suo oro dalla Banca d’Inghilterra, e altre arriveranno presto:

Per non parlare di:

 

Gli ultimi dati (https://finbold.com/russia-dumps-4-5-billion-in-u-s-bonds-in-2-years/) mostrano che la Russia, membro dei BRICS, ha scaricato un totale di 4,5 miliardi di dollari in obbligazioni statunitensi in due anni. Il sell-off è in linea con il programma dei BRICS di de-dollarizzazione e di taglio dei legami con l’economia statunitense. La mossa aggiunge pressione sul dollaro americano se i Paesi in via di sviluppo iniziano a prendere le distanze dall’economia americana.

Ascoltate il discorso della presidente della banca di sviluppo BRICS Dilma Rousseff allo SPIEF, in cui delinea la visione del mondo sull’orlo della transizione:

Sottolinea l’iniziativa di creare una finanza decentralizzata, cioè lontana dal modello unipolare occidentale, attraverso una distribuzione di centri regionali, piuttosto che l’intero globo governato dalla City di Londra.

Anche l’economista russo e vicepresidente della Duma Alexander Zhukov ha sottolineato l’importanza delle valute nazionali e di un nuovo sistema di pagamento:

Stabilire meccanismi di pagamento all’interno dei BRICS che non dipendano dal sistema bancario occidentale è uno dei temi più urgenti oggi, ha dichiarato il primo vicepresidente della Duma di Stato russa Alexander Zhukov alla sessione SPIEF “Obiettivi dei BRICS nel contesto del nuovo ordine mondiale” sulla cooperazione economica tra i Paesi membri dell’organizzazione.

Anche il presidente boliviano Luis Arce ha invocato la parola d’ordine del multipolarismo, parlando dell’importanza dell’espansione delle valute nazionali. Egli afferma chiaramente che non si può permettere a un’unica banca centrale mondiale di dettare la politica all’intero globo:

Il presidente Luis Arce: “Oggi si sta creando un mondo multipolare. Dobbiamo diffondere le nostre valute nazionali a fini di regolamento tra i diversi Paesi. Non possiamo permettere che un solo Paese diventi la banca centrale del mondo, dettando la politica monetaria in tutto il mondo. Quei tempi sono passati da tempo”.

“Le economie del blocco BRICS sono state in grado di distruggere l’egemonia degli Stati Uniti”, ha dichiarato Arce, sottolineando come il gruppo sia un faro di speranza per la cooperazione internazionale e la complementarità economica. Il Presidente boliviano ha sottolineato che l’ordine mondiale si sta spostando verso un sistema più equo, equilibrato, multipolare e multilaterale. Arce ha inoltre rivelato l’interesse della Bolivia ad aderire ai BRICS, citando le “enormi prospettive di trasformazione e trasfigurazione del blocco e l’accelerazione dell’industrializzazione”.

Si tratta di una rivoluzione degli affari economici, con il mondo che si sveglia di fronte al Golia predatorio dell’ordine monetario occidentale.

Può sembrare un deja vu senza fine, perché per anni abbiamo sentito parlare dello stesso unicorno del multipolarismo e le aspettative sono state naturalmente ridimensionate. Ogni anno si parla della presunta “morte del dollaro” e della spirale del debito e dell’inflazione, che non sembra mai concretizzarsi.

Ma non si può fare a meno di pensare che le cose si stiano davvero muovendo. Uno dei motivi è che per anni si sono limitati a pochi attori chiave che si sono espressi a parole per queste iniziative, ma ora, in occasione di eventi come lo SPIEF, è chiaro che l’intero Sud del mondo sta chiedendo a gran voce questi profondi cambiamenti fondamentali e la transizione globale. Il mondo intero si è stancato della schiavitù economica imposta dall’Occidente e ora anche loro vogliono sedersi alla mangiatoia per avere una possibilità di sviluppo equo.

Di recente ho scritto di come l’intero Occidente anglo-atlantico sia costruito sui principi codificati della sovversione e del sabotaggio per impedire al resto del mondo di svilupparsi parallelamente e a tutti i potenziali concorrenti di essere “messi fuori gioco”; ad esempio il Memorandum 200. È da tempo che i funzionari americani ammettono apertamente che se la Cina dovesse impadronirsi di Taiwan, gli Stati Uniti “eliminerebbero” o “metterebbero fuori uso” il gigante dei chip TSMC.

Questo è palese terrorismo economico ed è il motivo per cui il mondo ne ha abbastanza del “modello occidentale” imperiale.

Pertanto, l’ascesa dei BRICS non può più essere ignorata, in quanto presenta un percorso concreto verso un’etica completamente nuova di sviluppo della civiltà, che sarà delineata nei video che seguono. È solo questione di tempo prima che si raggiunga una “massa critica”, in cui venga adottato un nuovo sistema di insediamenti e un numero sufficiente di Paesi sotto la bandiera dei BRICS scelga di abbandonare in gran parte il dollaro. Questo, unito al grafico parabolico del debito statunitense e alle cifre economiche speculative, porterà alla completa erosione dell’unico strumento di levaglobale degli Stati Uniti .

Nel video dello SPIEF qui sopra, l’ex membro del Bundestag tedesco Hansjorg Muller afferma che in questo momento in tutta la Russia si sta diffondendo un’inequivocabile eccitazione da “corsa all’oro”, mai vista prima. Cita l’iniziativa di Putin di concentrarsi sullo sviluppo dell’economia russa a livello locale e regionale, che Putin ha annunciato nel suo stesso discorso. È una chiara eco di un Piano Marshall del dopoguerra, solo che la visione di Putin inizia a metà della guerra – anche se forse, dalla sua posizione, può vedere l’orizzonte della guerra molto più chiaramente di noi.

Uno dei modi in cui gli Stati Uniti sono stati in grado di rilanciare la propria economia alla fine della Seconda Guerra Mondiale è stato il passaggio graduale di tutte le industrie belliche sovralimentate, le cui fabbriche erano diventate enormi motori di produzione a doppio uso, alla produzione di beni civili, ma con un’infrastruttura notevolmente ampliata. Sembra che la Russia stia facendo la stessa cosa, il che garantirà il suo sviluppo economico a un ritmo accelerato; Putin sta semplicemente “dirigendo” e incanalando questo sviluppo nelle aree giuste, diversificandolo in tutte le regioni necessarie in modo che la crescita sia distribuita in modo uniforme e non centralizzata in zone metropolitane favorite.

A questo proposito, nessun oracolo della transizione è intervenuto allo SPIEF meglio di Sergei Glazyev. Ecco una sintesi delle sue riflessioni come punto finale del percorso:

  • Il sistema americano sta finendo

  • Attualmente stiamo lavorando a un nuovo sistema valutario internazionale che eliminerà la possibilità di usare sanzioni unilaterali e altri tipi di terrore economico contro le nazioni.

  • La Russia, in qualità di presidente dell’organizzazione BRICS per il 2024, contribuirà a promuovere questa iniziativa.

  • Il modello degli Stati Uniti sta vivendo un’agonia mortale: non può più offrire nulla al mondo, né un modello di governance né dei valori.

  • Quest’anno è un anno di svolta, la nostra previsione è che dopo le elezioni americane sarà chiaro che la Pax Americana è giunta al termine.

  • Il rischio principale rimane quello che gli Stati Uniti debbano creare una piccola guerra nucleare locale in Europa per mantenere la loro egemonia.

Consiglio vivamente di guardare il video completo.

Le parole di Glazyev sul fatto che il modello statunitense si è completamente esaurito e non ha più nulla da offrire al mondo in termini di ispirazione per il futuro sono state riprese da Putin in un discorso del 2023, in cui ha detto:

“Senza esagerare, non si tratta nemmeno di una crisi sistemica, ma dottrinale del modello neoliberale di ordine internazionale di stampo statunitense. Non hanno idee per il progresso e lo sviluppo positivo. Semplicemente non hanno nulla da offrire al mondo, se non perpetuare il loro dominio”. – Putin

Come video bonus, anche il presidente e senatore russo Aleksey Pushkov ha approfondito questa traccia, dichiarando che il sistema statunitense sta marcendo a causa del degrado sociale interno, della perdita di competenze istituzionali e di élite, in breve: una decadenza totale. Il video è molto lungo, quindi è adatto solo a chi è particolarmente interessato, ma il relatore ha sollevato molti punti importanti e ha dato un’occhiata all’interno della comprensione penetrante e senza fronzoli della realpolitik che le élite russe hanno dei fallimenti terminali dell’Occidente; per esempio, ha affermato che non sono rimaste figure di un certo calibro in Europa, che ora si trova in un ambiente “a basso livello intellettuale, educativo e politico”.

E un ultimo video bonus dallo stesso panel, con Konstantin Malofeev di Tsargrad che riprende molti degli stessi punti:

Malofeev: La Pax Americana ha pianificato il caos; hanno bisogno del caos in Medio Oriente; Israele è la loro fortezza; il dollaro USA è il principale strumento di egemonia; Taiwan sarà una continuazione della politica del caos

Per concludere, gli Stati Uniti continuano a crollare internamente con licenziamenti di massa e chiusure di catene di negozi, supermercati e altro:

Con un elenco crescente di banche statunitensi sull’orlo del collasso:

Una delle cose fondamentali che gli ultimi decenni di “globalizzazione” hanno messo in luce in Occidente è che l’emigrazione di massa ha rovinato il futuro degli Stati Uniti e dell’Europa: non c’è modo di competere a lungo termine con società etnicamente e culturalmente omogenee come la Russia e la Cina. Le prospettive per gli Stati Uniti e l’Europa sono quelle del Sudafrica: società divise, culturalmente fratturate, il cui capitale umano è ancora meno efficiente e competitivo della somma delle sue parti a causa delle forti incompatibilità e delle divisioni razziali. Ho detto più volte che gli Stati Uniti sono appesi solo al filo sottile dei loro visti H1-B, oltre i quali tutta l’innovazione si esaurirà con l’arrivo degli immigrati.

Basta guardare l’intervista dimostrativa a un politico tedesco che viene interrogato sul sentimento prevalente dei suoi elettori secondo cui i politici non stanno facendo alcun progresso nel migliorare le condizioni sociali. Sorprendentemente, risponde che si sbagliano perché lui sta lavorando duramente per aumentare il flusso di immigrazione in Germania e creare così un “governo progressista”:

La sordità di tono e il distacco sono sbalorditivi e incredibili.

Questo è lo stato della politica occidentale di oggi: ogni Paese è gestito da un’élite criminale interamente catturata e sovvertita da interessi corporativi transnazionali che odiano i propri cittadini, ignorando sprezzantemente i loro bisogni e le loro preoccupazioni.

Le politiche di migrazione di massa servono solo a frenare momentaneamente il collasso sistemico della decadente frode finanziaria Ponzi dell’ordine bancario occidentale, ma porteranno alla totale perdita di competitività dell’Occidente nei confronti dell’Oriente. La demografia è il destino: l’uniformità culturale e la sua cugina unità sociale prevarranno sempre in modo naturale sulle società lacerate dalle distorsioni sociali e dalla discordia endemica delle politiche di “frontiere aperte” imposte all’Occidente.

L’unica luce alla fine del tunnel per gli Stati Uniti è una potenziale vittoria di Trump, se seguita dall’applicazione della sua promessa di deportare in massa milioni di immigrati clandestini di Biden, ma ovviamente questo risolverebbe solo una parte dei problemi sistemici.

Per quanto riguarda l’Europa, oggi c’è stato un piccolo segnale di potenziale speranza: proprio mentre scriviamo, i partiti di destra europei stanno ottenendo importanti vittorie elettorali nelle elezioni parlamentari europee:

I partiti di destra stanno vincendo le elezioni del Parlamento europeo con un ampio margine in tutta Europa.

CNN a pezzi:

Il bagno di sangue sembra essere appena iniziato: Macron ha persino sciolto l’Assemblea nazionale e ha chiesto elezioni generali anticipate, mentre il premier belga De Croo ha rassegnato le dimissioni:

Il popolo ne ha chiaramente abbastanza. Ma, come altri hanno notato, è ancora troppo presto per entusiasmarsi, poiché le elezioni parlamentari europee non riflettono necessariamente l’andamento delle elezioni nazionali; ma è certamente un forte segnale dei prossimi venti contrari per il progetto globalista.

Purtroppo, ciò significa che i globalisti sono con le spalle al muro, il che fa presagire un periodo di instabilità e di pericolo estremamente accentuato. Quando si renderanno conto che il loro tempo è scaduto e che dovranno affrontare i tribunali nel caso in cui la “sfera della resistenza” ottenga una vittoria schiacciante, non avranno altra scelta che esercitare tutte le loro risorse per fomentare la guerra e fare piazza pulita. Sanno che solo la guerra può assolvere tutti i peccati, perdonare le mostruose malefatte in modo retroattivo – se dovessero essere la parte vincente. Quindi rappresenterà per loro l’occasione perfetta per abbattere l’albero della rivolta populista e reazionaria, sradicando una volta per tutte l’opposizione politica.

Purtroppo per loro, li vedo fallire miseramente e la vittoria senza precedenti della Russia in Ucraina nel 2025 sarà il colpo di grazia che distruggerà le ultime vestigia dell’ordine globalista e segnerà un cambiamento epocale per tutta la storia dell’umanità in una nuova direzione, ma aspettiamo e vediamo cosa succede.


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