Terrorismo saheliano: è giunta l’ora di fare il punto, di Bernard Lugan

Il declino inarrestabile della Francia e della sua eredità coloniale in Africa. La fine di un ordine relativo. Giuseppe Germinario

Nel Sahel la situazione sembra ormai fuori controllo. Richiesto dagli attuali leader maliani in seguito ai molteplici errori di Parigi[1], il ritiro francese ha lasciato il campo aperto ai GAT (Gruppi terroristici armati), offrendo loro persino una base d’azione per destabilizzare Niger, Burkina Faso e paesi vicini. I risultati politici di un decennio di coinvolgimento francese sono quindi catastrofici.

Un disastro che può essere spiegato da un errore originale nella diagnosi. La polarizzazione sul jihadismo era infatti l’alibi usato per mascherare l’ignoranza dei decisori francesi, unita alla loro incomprensione della situazione, essendo il jihadismo qui prima di tutto la superinfezione di ferite etniche secolari e talvolta addirittura di millenni.

Smettere di vedere la questione del Sahel attraverso il prisma delle nostre ideologie europeo-democratico-centriche e dei nostri automatismi è ormai una necessità imperativa. La sostituzione dell’attualità nel loro contesto storico regionale è quindi la prima priorità in quanto legata a un passato sempre attuale che condiziona largamente le scelte e gli impegni di entrambe le parti[2].

L’ho già scritto molte volte, ma è importante ripeterlo, quattro errori principali che spiegano l’attuale deterioramento della situazione della sicurezza regionale sono stati commessi dai decisori politici francesi:

Errore n. 1

Aver “essenzializzato” la questione qualificando sistematicamente come jihadista qualsiasi bandito armato o anche qualsiasi portatore di armi.

Errore #2

Aver scambiato per “contanti” l’astuzia degli “esperti” che facevano credere loro che coloro che definivano jihadisti fossero mossi dal desiderio di combattere l’islam locale “deviato”. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, eravamo in presenza di trafficanti che si dichiaravano jihadisti per coprire le loro tracce; perché è più gratificante pretendere di combattere per la maggior gloria del Profeta che per cartoni di sigarette o carichi di cocaina. Da qui il connubio tra tratta e religione, il primo avvenuto nella bolla assicurata dall’islamismo.

Errore #3

Aver rifiutato di vedere che ci trovavamo di fronte al groviglio di rivendicazioni etniche, sociali, mafiose e politiche, adeguatamente vestite con il velo religioso. Secondo Rikke Haugegaard (2018) “ Shariah “affari nel deserto”. Comprendere i legami tra reti criminali e jihadismo nel nord del Mali . “, Online , saremmo quindi al cospetto di tutto questo contemporaneamente, con gradi di importanza diversi di ogni punto a seconda del momento:

“Le azioni dei gruppi jihadisti sono guidate da una combinazione di fattori, che vanno dalle lotte di potere locali ai conflitti interni ai clan, al perseguimento di interessi economici associati al commercio di contrabbando”.

Nel suo rapporto del 12 giugno 2018, Crisis Group ha scritto:

“(…) il confine tra il combattente jihadista, il bandito armato e colui che imbraccia le armi per difendere la sua comunità è sfumato. Fare a meno di questa distinzione equivale a collocare nella categoria dei “jihadisti” un vivaio di uomini armati che, al contrario, trarrebbero vantaggio da un trattamento diverso” Crisis Group., (2018) “Confine Niger-Mali: mettere al servizio lo strumento militare di approccio politico ”. Rapporto Africa n°261, 12 giugno 2018.

Errore #4

Questo errore che spiega gli altri tre è l’ignoranza delle costanti etno-storico-politiche regionali, che ha avuto due grandi conseguenze negative:

– Spiegazioni semplicistiche sono state applicate alla complessa, mutevole e sottile alchimia umana saheliana.

– Mentre qui il jihadismo è prima di tutto la superinfezione di vecchie ferite etno-storiche, proponendo come soluzione l’eterno processo elettorale che altro non è che un’indagine etnica a grandezza naturale, la necessità di colmare il “deficit di sviluppo” o la ricerca perché “buon governo” è ciarlataneria politica…

Ecco perché un conflitto originariamente localizzato solo nel nord-est del Mali, limitato a una fazione tuareg, e la cui soluzione dipendeva dalla soddisfazione delle legittime richieste politiche di quest’ultima, si è trasformato in una conflagrazione regionale che sfugge ora a ogni controllo.

Torna indietro :

Nel 2013, quando il progresso di Serval e la riconquista delle città del nord del Mali hanno dovuto essere subordinati a concessioni politiche da parte del potere di Bamako, i decisori francesi hanno esitato. Poi non hanno osato imporli alle autorità meridionali del Mali, scegliendo di appoggiarsi all’illusione della democrazia e al miraggio dello sviluppo.

Tuttavia, come dimostrano costantemente gli eventi, in Africa democrazia = etno-matematica, che ha come risultato che i gruppi etnici più numerosi vincono automaticamente le elezioni. Per questo, invece di estinguere le fonti primarie degli incendi, i sondaggi le riaccendono. Per quanto riguarda lo sviluppo, in quest’area si è già sperimentato di tutto fin dall’indipendenza. Invano. D’altronde, come possiamo ancora osare parlare di sviluppo quando è stato dimostrato che la demografia africana suicida vieta ogni possibilità?

Dimentichi della storia regionale, i decisori francesi non hanno visto che i conflitti attuali sono prima di tutto rinascita di quelli di ieri e che, facendo parte di una lunga catena di eventi, spiegano gli antagonismi o la solidarietà di oggi.

Così, prima della colonizzazione, i sedentari del fiume e delle sue regioni esposte venivano catturati nelle tenaglie predatorie dei Tuareg a nord e dei Fulani a sud. Alla fine dell’800, con la colonizzazione liberatoria, l’esercito francese bloccò l’espansione di queste entità predatorie nomadi il cui crollo avvenne nella gioia delle popolazioni sedentarie da loro sfruttate, i cui uomini massacrarono e vendettero donne e bambini agli schiavisti nel mondo arabo-musulmano.

Ma, così facendo, la colonizzazione ha ribaltato gli equilibri di potere locali offrendo vendetta alle vittime della lunga storia africana, riunendo predoni e predoni entro i limiti amministrativi dell’AOF (Africa occidentale francese). Tuttavia, con l’indipendenza, i confini amministrativi interni di questo vasto insieme divennero confini statali entro i quali, essendo i più numerosi, i sedentari prevalevano politicamente sui nomadi, secondo le leggi immutabili dell’etnomatematica elettorale.

Come potrebbero allora i decisori francesi immaginare che con mezzi derisori sulla scala del teatro delle operazioni, e mentre i paesi della BSS sono indipendenti, sarebbe stato possibile per Barkhane chiudere queste ferite etnorazziali aperte? la notte dei tempi e quali costituiscono il terreno fertile per i gruppi terroristici armati (GAT)?

Nel 2020, a questa ignoranza dell’ambiente e della sua storia si è aggiunta l’incomprensione di una nuova situazione, quando la lotta all’ultimo sangue tra EIGS ( Stato Islamico nel Grande Sahara ) e AQIM ( Al-Qaeda per il Maghreb Islamico ) , è peggiorato, offrendo così alla Francia una superba opportunità d’azione. Ma ancora, sarebbe stato necessario che i “piccoli marchesi” laureati in Scienze-Po che fanno la politica africana della Francia sapessero che:

– L’EIGS collegato a Daesh mira a creare in tutta la BSS (Banda Sahelo-Sahariana), un vasto califfato transetnico che sostituisca e comprenda gli stati attuali.

– Mentre AQIM è l’emanazione locale di grandi frazioni dei due grandi popoli all’origine del conflitto, vale a dire i Tuareg e i Fulani, i cui capi locali, i Tuareg Iyad Ag Ghali e i Fulani Ahmadou Koufa, non sostengono il distruzione degli attuali stati saheliani.

Tuttavia, in quanto ignoranti, i decisori politici parigini non hanno saputo sfruttare questa opportunità per cambiare politica poiché, conoscendo un po’ la regione, l’ho suggerito nel mio comunicato stampa del mese di ottobre 2020 intitolato ” Mali: è necessario il cambio di paradigma .

Tanto più che, e ancor di più, il 3 giugno 2020, la morte dell’algerino Abdelmalek Droukdal, leader di Al-Qaeda per tutto il Nord Africa e per la striscia saheliana, ucciso a colpi d’arma da fuoco dall’esercito francese. autonomia ai Tuareg Iyad ag Ghali e ai Peul Ahmadou Koufa, liberandoli così da ogni soggezione esterna. Gli “emiri algerini” che fino ad allora avevano guidato Al-Qaeda nella BSS essendo stati liquidati da Barkhane , Al-Qaeda non era quindi più guidata lì da stranieri, da “arabi”, ma da “regionali”.

Nemmeno Parigi comprendeva che questi ultimi avevano un approccio politico regionale, che le loro rivendicazioni erano principalmente risorgive radicate nei loro popoli e che il “trattamento” delle due frazioni jihadiste meritava quindi rimedi diversi. Non vedendo che c’era un’opportunità sia politica che militare da cogliere, i decisori parigini hanno categoricamente rifiutato qualsiasi dialogo con Iyad ag Ghali. Al contrario, il presidente Macron ha persino dichiarato di aver dato a Barkhane l’obiettivo di liquidarlo. Infatti, obbedendo agli ordini, il 10 novembre 2020 le forze francesi uccisero Bag Ag Moussa, il luogotenente di Iyad ag Ghali, mentre, per diversi mesi, i funzionari militari francesi a terra avevano molto intelligentemente evitato di intervenire direttamente su questo movimento .

Contro quanto sostenuto dai vertici militari di Barkhane , Parigi ha quindi persistito in una strategia “all’americana”, “sfruttando” indiscriminatamente tutti i GAT perentoriamente qualificati come “jihadisti”, rifiutando così qualsiasi approccio “buono”… “à la french »…

Ecco perché, in definitiva, sommando errori, chiusi nella loro bolla ideologica e trascurando di tenere conto del peso dell’etno-storia, i leader francesi hanno definito una politica nebulosa che confonde effetti e cause. Una politica che potrebbe portare solo al disastro attuale…

Bernard Lugan


[1] Si vedano tra gli altri sul blog di Afrique Réelle i miei comunicati stampa dell’agosto 2019 ” Senza tenere conto della storia non si può vincere la guerra nel Sahel” ; di ottobre 2020 “ Mali: serve il cambio di paradigma ”; di giugno 2021 ” Barkhane vittima di quattro principali errori politici commessi dall’Eliseo”, e di febbraio 2022 “Mali: gli eteri ideologici spiegano lo sfratto della Francia “.

[2] A questo proposito si veda il mio libro: “ Le guerre del Sahel dalle origini ai giorni nostri ”.

C’era una volta … l’Esercito più forte del mondo_ Di Claudio Martinotti Doria

C’era una volta … l’Esercito più forte del mondo. Quello USA, e il suo clone europeo, quello ucraino

Di Claudio Martinotti Doria

 

Dall’inizio dell’Operazione Militare Speciale russa in Ucraina ho scritto una mezza dozzina di articoli sull’argomento e altri correlati, a iniziare dai giorni successivi dell’inizio del conflitto. Non pretendo che andiate a rileggerli nel mio blog o negli altri siti dove sono stati pubblicati, ma fidatevi sulla parola se vi dico che le ho azzeccate tutte.

Mi riferisco all’analisi e valutazioni e previsioni conseguenti allo studio della situazione sul campo e dell’intuizione delle intenzioni e strategie russe, comprese le effettive condizioni in cui versano gli eserciti della NATO.

E quanto scrivevo era in netto contrasto con le versioni ufficiali propagandistiche e mediatiche, al punto da provocarmi le ire e critiche pregiudiziali degli omologati alla narrativa ufficiale. Perché scalfivo le loro convinzioni illusorie sullo stato dell’arte, che nell’immaginario collettivo occidentale degli omologati continua a far credere loro di essere superiori, i più forti, soprattutto dal punto di vista militare e della tecnologia bellica, i detentori del diritto di imporre i loro disvalori al resto del mondo.

In quest’occasione riprendo quegli argomenti puntualizzandoli.

Avevo scritto fin dall’inizio del conflitto, che se al posto delle Forze Armate ucraine ci fosse stato sul campo la NATO sarebbe stata spazzata via dai russi in un paio di settimane, suscitando ovviamente la derisione degli stolti e disinformati (di solito più sono ignoranti più sono supponenti, per dissimulare la loro incompetenza e falsità).

L’Esercito ucraino è stato formato, addestrato e approvvigionato dalla NATO, USA e UK in particolare, per ben otto anni, dal colpo di stato del 2014, assoldando soprattutto i neonazisti e nazionalisti integralisti ucraini, i più motivati e maniaci delle armi e della forza bruta, i più risoluti a ricorrere alla violenza contro i russi e i russofoni ucraini, essendoci tra di loro non pochi psicopatici. Le intenzioni dei paesi occidentali, USA in primis, era quello di trasformarlo in una formidabile arma da guerra contro la Russia, in previsione di una guerra per procura. Per riuscire in questo scopo sono stato inviati in Ucraina migliaia di istruttori militari, veterani e forze speciali, per l’addestramento delle forze armate al combattimento e soprattutto all’uso dei sistemi d’arma della NATO che gli sono stati forniti con generosità, soprattutto dopo il 24 febbraio 2022, inizio del conflitto bellico.

Ai confini con le repubbliche separatiste del Donbass, dove la guerra civile era in corso fin dal colpo di stato del 2014, proseguendo senza interruzioni fino all’inizio dell’intervento russo del 24 febbraio 2022, sono state costruite dall’esercito ucraino centinaia di trincee, bunker, fortificazioni, postazioni protette di artiglieria, campi minati, ecc..

I comandi ucraini a guida NATO avevano concentrato nell’area circa 300mila soldati addestrati e armati fino ai denti, con l’intenzione di condurre un attacco alle due repubbliche separatiste del Donbass, che era stato programmato appena dopo l’intervento russo, che di conseguenza li ha stoppati. L’intenzione del regime di Kiev non era solo la riconquista del Donbass ma anche della Crimea, cioè si trattava, senza mezzi termini, di andare in guerra (per procura) contro la Federazione Russa.

Questo dovrebbe farvi capire come mai gli ucraini hanno resistito così a lungo alle Forze Armate russe, che erano oltretutto in netta inferiorità numerica, in un rapporto di 1 a 3, cosa assolutamente illogica quando si attacca con l’intenzione di invadere un paese per occuparlo. La resistenza ucraina pertanto non è stata solo questione di eroismo ma di preparazione tecnica, tattica e logistica ricevuta in otto anni di tempo e al fatto che si erano organizzati per un attacco in massa al Donbass.

In realtà i russi non avevano alcuna intenzione di invadere e occupare l’Ucraina, ma esattamente come dichiarato fin dall’inizio, volevano liberare i territori del Donbass dalla minaccia dei nazisti e nazionalisti ucraini che hanno continuato a bombardare le città e le aree civili dei russofoni causando oltre 14mila vittime. Soprattutto volevano smilitarizzare l’Ucraina perché non costituisse più una minaccia per la Russia, e per farlo hanno adottato la strategia che abbiamo visto, che potremmo definire del “tritacarne”, lenta ma inesorabile.

La manovra di accerchiamento attorno a Kiev era puramente tattica, fuorviante, per indurre i comandi militari ucraini a sottrarre truppe dal fronte del Donbass per proteggere la capitale e le altre zone minacciate dai russi. Dopo di ché le forze russe si sono concentrati sui loro reali obiettivi in Donbass e nel sud ucraino costiero per ricongiungere la Crimea col Donbass e la Russia.

La netta superiorità dell’aviazione e dell’artiglieria russa ha fatto la differenza e in alcuni mesi ha consentito di liberare il Donbass al 95% della sua estensione, nonostante la presenza di numerose e fortissime postazioni difensive ucraine e nonostante gli ucraini non si siano fatti scrupoli a utilizzare i civili come scudi umani, ad adibire ospedali e scuole a postazioni militari, a bombardare edifici civili per poi attribuire la responsabilità ai russi, a minare con trappole esplosive i territori abbandonati, ecc.. Che rammento essere crimini di guerra.

A distanza di sei mesi dall’inizio dell’intervento militare russo l’esercito ucraino è ormai allo sbando, al collasso. Anche questo lo avevo scritto e previsto come inevitabile. Nonostante tutti i sotterfugi cinici e spietati cui sono ricorsi gli ucraini, alla lunga nessuno può resistere al fuoco infernale dell’artiglieria e aviazione russa, che come descritto dagli stessi veterani e mercenari presenti in loco, non si era mai vista in precedenza in nessuna delle numerose guerre provocate e combattute dalla NATO e paralizza ogni forza di resistenza, mietendo un numero elevatissimo di vittime e distruzione di mezzi militari.

Combattere contro i russi non è come farlo con gli afgani, gli iracheni o i libici, armati tuttalpiù di AK 47 e RPG (lanciagranate) da spalla.

Le vittime ucraine tra morti, feriti, dispersi, prigionieri, disertori, ecc., sono stimate da analisti militari indipendenti in oltre un migliaio al giorno. Dei 600 mila effettivi mobilitati e armati (le altre cifre fornite da Kiev sono solo propaganda), ne saranno rimaste poco più della metà, e sono ridotte piuttosto male.

Al fronte la maggioranza dei reparti ha subito perdite superiori al 60%, quindi non sono più operativi. Vi sono frequenti casi di fucilazioni di soldati e/o uccisioni di ufficiali e diserzioni di massa o rifiuto di obbedire agli ordini da parte di interi reparti.

Sono ormai al collasso, il regime di Kiev fa sempre più fatica ad arruolare uomini, setacciando casa per casa per costringerli a indossare la divisa e recarsi al fronte, hanno addirittura elevato a 70 anni il limite di età per la coscrizione obbligatoria e hanno imposto il carcere per tutti coloro che si rifiutano di combattere.

Centinaia di migliaia di ucraini sono già emigrati all’Estero per sottrarsi alla mobilitazione generale e ancora adesso code interminabili di autovetture di ucraini cercano di varcare i confini interni per porsi sotto la protezione della Russia, migliorando così le proprie condizioni di vita, essendo fin da subito applicate nei territori sotto controllo russo gli stessi standard di vita che nel resto della Russia.

Per citare solo alcuni vantaggi applicati ai territori sotto controllo russo: si viene assunti per la ricostruzione e la ripresa delle attività industriali, si ricevono le pensioni che Kiev non pagava più da tempo, si riceve assistenza sanitaria, si trovano i generi di prima necessità, funzionano i servizi di erogazione di acqua, energia elettrica, gas e la benzina si trova e costa poco, ecc., diventa chiaro perché gli ucraini preferiscano la Russia al loro governo nazista guerrafondaio corrotto dagli USA. E questo avviene non solo tra gli ucraini russofoni ma anche tra quelli che non sono fanatici e nazionalisti.

Perché ho scritto in precedenza, e oggi lo ribadisco con ancora più convinzione, che la NATO non avrebbe resistito neppure una frazione del tempo rispetto agli ucraini? Perché la NATO, nonostante il suo “stolto” segretario di legno (nome omen) ripetitore di banali slogan e patetici bluff, è in condizioni di estrema debolezza.

Non posso certo essere esaustivo e fornire dati tecnici, non è questa la sede essendo un articolo divulgativo e d’informazione di base, ma sappiate che nessun esercito europeo è in piena efficienza, il più potente, quello francese è in efficienza al 50%, gli altri vanno dal 10 al 30% nella migliore delle ipotesi.

Per fare esempi semplici che rendono l’idea, se un esercito su 100 carri armati di cui dispone (ma vale anche per i caccia o l’artiglieria) ne ha 65 fermi da mesi perché in manutenzione, significa che può disporne solo di 35. Ma la cosa ancora più grave è che è stato calcolato che se dovessero affrontare i russi al ritmo attuale d’impiego dell’artiglieria, la NATO avrebbe pochi giorni di autonomia nell’uso dei proiettili, dopo di ché avendoli esauriti dovrebbe ripiegare.

Ho reso l’idea?

E nonostante versino in queste condizioni disperate, hanno inviato armi e munizioni all’Ucraina imitando gli USA, che hanno certamente maggiori disponibilità e potenzialità ma che comunque sono messi male anche loro, essendo molto al di sotto dei loro standard qualitativi abituali, precedenti a certe scelte scellerate di cui parleremo appresso, ma di cui avevo già fatto cenno in passato.

Avevo già accennato in precedenti articoli alle pessime condizioni in cui versa l’esercito dell’ex impero britannico, per capirci è messo molto peggio di quello francese cui ho accennato sopra, nonostante i proclami altisonanti e aggressivi della loro leadership. Quello USA è prossimo al collasso, ormai si basa quasi esclusivamente sull’uso della tecnologia bellica, cioè pilotaggio da remoto di droni e lancio di missili “intelligenti” di precisione, guerra elettronica, ecc., pur essendo ancora indietro con l’approntamento di missili ipersonici, essendo i russi e i cinesi molto più avanzati e dotati in proposito.

Ma a livello di soldati addestrati, operativi e combattivi siamo messi veramente male. Tre sono le cause principali di questo tracollo, due delle quali le avevo già rivelate.

Le vaccinazioni obbligatorie hanno costretto oltre 40mila soldati non disposti a farsi iniettare il siero magico di corta vita a congedarsi o sono stati sospesi d’imperio. Altri 60mila continuano a resistere tramite certificati medici e altri escamotage per guadagnare tempo, ma nel frattempo non possiamo considerarli operativi.

Quelli triplo dosati hanno praticamente triplicato (come le punture) i problemi sanitari gravi che sono una diretta conseguenza delle iniezioni subite con il siero genico sperimentale, quelli che non sono morti sono inabili per le reazioni avverse, perché malati gravi o soggetti a malesseri invalidanti, occasionali o permanenti. Molti dei quali versano in condizioni talmente gravi che hanno dovuto essere congedati.

A queste già gravi condizioni, si sono aggiunte negli ultimi anni alcune scelte scellerate, per volontà dei DEM, dei neocons e del deep state, cui gli alti comandi si sono dovuti adeguare, direttive riformistiche delle forze armate USA, incentrare sull’ideologia transgender, del politically correct, ma soprattutto quella woke, la più devastante e deleteria.

L’applicazione di queste direttive ha favorito l’arruolamento di soggetti del tutto inadeguati ai compiti assegnati, non disposti, motivati e capaci di combattere sul campo, ma solo tramite tecnologia remota, tramite computer e mouse. Per capirci sono “guerrieri da tastiera”. Sono tuttalpiù disposti a premere dei pulsanti per far partire dei missili di precisione.

Queste scelte riformistiche hanno allontanato decine di migliaia di veterani, inducendoli al congedo anticipato, e impedito a quelli fortemente motivati che desideravano arruolarsi di farlo (sapendo a cosa andavano incontro), riducendo drasticamente gli arruolamenti, al punto che hanno dovuto abbassare gli standard qualitativi selettivi accettando anche soggetti poco intelligenti e privi di capacità, potenzialità e competenze.

Per essere ancora più chiaro hanno volutamente favorito i meno dotati e meritevoli, sia nell’arruolamento e sia nelle promozioni, rispetto ai veri combattenti, anche se pluridecorati e con un curriculum invidiabile. Un modo molto efficace per indebolire le forze armate statunitensi sabotandole dall’interno, a conferma del fatto che gli USA i veri nemici non li dovrebbero cercare all’esterno.

Inoltre è venuto a mancare il grande bacino cui attingevano in precedenza le forze armate USA, quello latino-ispanico degli immigrati dal Messico, Caraibi, Centro e Sud America, che si arruolavano con la promessa di ricevere la cittadinanza americana a fine servizio.

Questi immigrati sapendo in che condizioni versa l’esercito, e del rischio reale di doversi recare al fronte a combattere vere guerre con i russi, i cinesi e gli iraniani e non con gli afgani o iracheni, si guardano bene dal presentare domanda di arruolamento, non intendendo rischiare di morire per pochi dollari al mese (non sono certo remunerati come i contractors).

Qualcuno di voi che mi state leggendo pensa forse che i servizi d’intelligence russi, cinesi e iraniani, non siano informati di questa situazione sopra descritta?

Che non sappiano della debolezza e vulnerabilità delle forze armate USA e della NATO? Che non sia per questo motivo che la situazione sta degenerando in un’escalation che pare senza freni?

Se i russi e i cinesi si muovono ancora con prudenza e senza infierire (la Russia in Ucraina non è ancora in guerra, intendo quella vera), anzi direi che sono indubbiamente loro la controparte saggia e ponderata dei due opposti schieramenti, è perché sanno che per compensare e dissimulare la loro debolezza gli USA potrebbero anche ricorrere alle armi nucleari come atto disperato per non perdere la supremazia ed essere relegati ai margini della Storia e del Mondo, come una ex grande potenza ridotta come un pugile a fine carriera, suonato e rintronato.

In conclusione dobbiamo solo sperare nella saggezza e senso del realismo pragmatico della Russia e della Cina, che proseguano nei loro obiettivi lentamente e ponderatamente, senza cadere nelle trappole tese dagli USA e dalla NATO per farli reagire in modo smodato o quantomeno inappropriato, per giustificare una guerra nucleare, che credo sia superfluo precisarlo, colpirebbe l’Europa in primo luogo.

Ecco perché gli ucraini, che non si puliscono neppure lo sfintere anale senza consultarsi prima con gli USA, stanno bombardando la centrale nucleare di Zaporižžja e la Crimea e sono persino ricorsi alle armi biochimiche. Vogliono esasperare i russi per indurli a usare le maniere forti e giustificare l’intervento NATO con armi nucleari tattiche.

Se la popolazione europea non è disposta a correre questi rischi concreti, farebbe bene a rivoltarsi, non solo a protestare, ma proprio insorgere, contro i loro governi, per mandarli a casa e sostituirli con altri, che seppur sempre al soldo dell’élite dominante (provenendo quasi tutti dalle loro scuole di formazione, corrotti e ricattabili), non siano però disposti a suicidare i loro popoli e se stessi.

Spero sia chiaro a tutti che contro la Russia, la Cina e l’Iran, che ormai hanno consolidato un’alleanza militare, solo dei folli disinformati e ottusi possono pensare di riuscire ad affrontarli e vincere rimanendo indenni. Sarebbe la fine dell’Occidente, non solo come supremazia ma come esistenza in vita. Nella migliore delle ipotesi finiremmo per essere colonizzati da loro, paradossalmente la Storia invertirà i ruoli precedenti.

Fatevene una ragione.

Articolo riproducibile citando la fonte.

 

 

Cav. Dottor Claudio Martinotti Doria, Via Roma 126, 15039 Ozzano Monferrato (AL), Unione delle Cinque Terre del Monferrato,  Italy,

Email: claudio@gc-colibri.com  – Blog: www.cavalieredimonferrato.it – http://www.casalenews.it/patri-259-montisferrati-storie-aleramiche-e-dintorni

Independent researcher, historiographer, critical analyst, blogger on the web since 1996

 

 

Henry Kissinger è preoccupato per il “disequilibrio”, di Laura Secor

Dopo tanti commenti apparsi sulla stampa internazionale, pubblichiamo l’articolo originale del Wsj, apparso il 12 agosto, incentrato su una conversazione della giornalista con Henry Kissinger. Buona lettura, Giuseppe Germinario 

A 99 anni, Henry Kissinger ha appena pubblicato il suo diciannovesimo libro, “Leadership: Six Studies in World Strategy”. È un’analisi della visione e delle conquiste storiche di un pantheon idiosincratico di leader del secondo dopoguerra: Konrad Adenauer, Charles DeGaulle, Richard Nixon, Anwar Sadat, Lee Kuan-Yew e Margaret Thatcher.

Negli anni ’50, “prima di essere coinvolto in politica”, mi dice il signor Kissinger nel suo ufficio nel centro di Manhattan in una calda giornata di luglio, “il mio piano era di scrivere un libro sulla creazione della pace e la fine della pace nel 19° secolo, a cominciare dal Congresso di Vienna, e quello si trasformò in un libro, e poi avevo circa un terzo di un libro scritto su Bismarck, e sarebbe finito con lo scoppio della prima guerra mondiale. Il nuovo libro, dice, “è una specie di continuazione. Non è solo una riflessione contemporanea».

Tutte e sei le figure profilate in “Leadership”, dice l’ex segretario di Stato e consigliere per la sicurezza nazionale, sono state modellate da quella che chiama la “seconda Guerra dei Trent’anni”, il periodo dal 1914 al 1945, e hanno contribuito a plasmare il mondo che seguì esso. E tutti combinavano, secondo Kissinger, due archetipi di leadership: il pragmatismo lungimirante dello statista e l’audacia visionaria del profeta.

Alla domanda se conosce qualche leader contemporaneo che condivide questa combinazione di qualità, dice: “No. Vorrei precisare che, sebbene DeGaulle avesse questo in sé, questa visione di se stesso, nel caso di Nixon e probabilmente di Sadat, o anche di Adenauer, non l’avresti saputo in una fase precedente. D’altra parte, nessuna di queste persone era essenzialmente tattica. Padroneggiavano l’arte della tattica, ma avevano una percezione dello scopo quando sono entrati in carica”.

Non si va mai a lungo in una conversazione con il signor Kissinger senza sentire quella parola – scopo – la qualità che definisce il profeta, insieme a un’altra, equilibrio , la preoccupazione guida dello statista. Dagli anni ’50, quando era uno studioso di Harvard che scriveva di strategia nucleare, il signor Kissinger ha inteso la diplomazia come un atto di equilibrio tra le grandi potenze oscurate dal potenziale di una catastrofe nucleare. Il potenziale apocalittico della moderna tecnologia delle armi, a suo avviso, rende il mantenimento di un equilibrio di potenze ostili, per quanto a disagio possa essere, un imperativo prioritario delle relazioni internazionali.

“Nel mio modo di pensare, l’equilibrio ha due componenti”, mi dice. “Una sorta di equilibrio di potere, con l’accettazione della legittimità di valori talvolta opposti. Perché se credi che il risultato finale del tuo sforzo debba essere l’imposizione dei tuoi valori, allora penso che l’equilibrio non sia possibile. Quindi un livello è una sorta di equilibrio assoluto”. L’altro livello, dice, è “l’equilibrio di condotta, il che significa che ci sono limitazioni all’esercizio delle proprie capacità e del proprio potere in relazione a ciò che è necessario per l’equilibrio generale”. Raggiungere questa combinazione richiede “un’abilità quasi artistica”, dice. “Non capita molto spesso che gli statisti abbiano mirato ad esso deliberatamente, perché il potere aveva così tante possibilità di essere ampliato senza essere disastroso che i paesi non hanno mai sentito quel pieno obbligo”.

Il signor Kissinger ammette che l’equilibrio, sebbene essenziale, non può essere un valore in sé. “Ci possono essere situazioni in cui la convivenza è moralmente impossibile”, osserva. “Ad esempio, con Hitler. Con Hitler era inutile discutere di equilibrio, anche se ho una certa simpatia per Chamberlain se pensava di aver bisogno di guadagnare tempo per una resa dei conti che pensava sarebbe comunque inevitabile.

C’è un accenno, in “Leadership”, della speranza del Sig. Kissinger che gli statisti americani contemporanei possano assorbire le lezioni dei loro predecessori. “Penso che il periodo attuale abbia grandi difficoltà a definire una direzione”, dice il signor Kissinger. “È molto sensibile all’emozione del momento.” Gli americani si oppongono a separare l’idea di diplomazia da quella di “rapporti personali con l’avversario”. Tendono a vedere i negoziati, mi dice, in termini missionari piuttosto che psicologici, cercando di convertire o condannare i loro interlocutori piuttosto che di penetrare il loro pensiero.

Il signor Kissinger vede il mondo di oggi sull’orlo di un pericoloso squilibrio. “Siamo sull’orlo della guerra con Russia e Cina su questioni che in parte abbiamo creato, senza alcuna idea di come andrà a finire o cosa dovrebbe portare”, dice. Potrebbero gli Stati Uniti gestire i due avversari triangolando tra loro, come durante gli anni di Nixon? Non offre una semplice ricetta. “Non puoi solo ora dire che li separeremo e li metteremo l’uno contro l’altro. Tutto quello che puoi fare è non accelerare le tensioni e creare opzioni, e per questo devi avere uno scopo”.

Sulla questione di Taiwan, il signor Kissinger è preoccupato che gli Stati Uniti e la Cina stiano manovrando verso una crisi e consiglia fermezza da parte di Washington. “La politica attuata da entrambe le parti ha prodotto e consentito il progresso di Taiwan in un’entità democratica autonoma e ha preservato la pace tra Cina e Stati Uniti per 50 anni”, afferma. “Bisogna quindi stare molto attenti alle misure che sembrano cambiare la struttura di base”.

Il signor Kissinger ha corteggiato le polemiche all’inizio di quest’anno suggerendo che politiche incaute da parte degli Stati Uniti e della NATO potrebbero aver innescato la crisi in Ucraina. Non vede altra scelta che prendere Vladimir Putinha dichiarato seriamente le preoccupazioni per la sicurezza e ritiene che sia stato un errore per la NATO segnalare all’Ucraina che alla fine avrebbe potuto unirsi all’alleanza: “Pensavo che la Polonia, tutti i paesi occidentali tradizionali che hanno fatto parte della storia occidentale, fossero membri logici di Nato”, dice. Ma l’Ucraina, a suo avviso, è un insieme di territori un tempo annessi alla Russia, che i russi vedono come propri, anche se “alcuni ucraini” non lo fanno. La stabilità sarebbe servita meglio agendo da cuscinetto tra la Russia e l’Occidente: “Sono stato a favore della piena indipendenza dell’Ucraina, ma ho pensato che il suo ruolo migliore fosse qualcosa come la Finlandia”.

Dice, tuttavia, che il dado è stato tratto. Dopo il modo in cui la Russia si è comportata in Ucraina, “ora ritengo, in un modo o nell’altro, formalmente o meno, che l’Ucraina debba essere trattata in seguito a ciò come un membro della NATO”. Tuttavia, prevede un accordo che preservi i guadagni della Russia dalla sua incursione iniziale nel 2014, quando ha sequestrato la Crimea e parti della regione del Donbas, sebbene non abbia una risposta alla domanda su come un tale accordo sarebbe diverso dall’accordo fallito stabilizzare il conflitto 8 anni fa.

La pretesa morale rappresentata dalla democrazia e dall’indipendenza dell’Ucraina – dal 2014, chiare maggioranze hanno favorito l’adesione all’UE e alla NATO – e il terribile destino del suo popolo sotto l’occupazione russa si inserisce goffamente nell’arte di governo di Kissinger. Se evitare la guerra nucleare è il bene più grande, cosa è dovuto ai piccoli stati il ​​cui unico ruolo nell’equilibrio globale è quello di essere agito da quelli più grandi?

“Come coniugare la nostra capacità militare con i nostri scopi strategici”, riflette Kissinger, “e come metterli in relazione con i nostri scopi morali: è un problema irrisolto”.

Ripensando alla sua lunga e spesso controversa carriera, tuttavia, non è incline all’autocritica. Alla domanda se ha rimpianti per i suoi anni al potere, risponde: “Da un punto di vista manipolativo, dovrei imparare un’ottima risposta a questa domanda, perché viene sempre posta”. Ma mentre potrebbe rivisitare alcuni punti tattici minori, nel complesso, dice: “Non mi torturo con cose che avremmo potuto fare diversamente”.

https://www.wsj.com/articles/henry-kissinger-is-worried-about-disequilibrium-11660325251

 

TARANTO: LA NUOVA STATALIZZAZIONE DI MARIO DRAGHI PORTERA’ ALLA LIQUIDAZIONE DELL’EX ILVA, di Luigi Longo

TARANTO: LA NUOVA STATALIZZAZIONE DI MARIO DRAGHI PORTERA’ ALLA LIQUIDAZIONE DELL’EX ILVA.

di Luigi Longo

 

 

                                                                  Mala tempora currunt, sed peiora

                                                                  parantur (corrono brutti tempi, ma se

                                                                  ne preparano di peggiori).

                                                                                             Marco Tullio Cicerone

1.Premessa

Ho pubblicato diversi scritti (1) sull’ex Ilva di Taranto (dal 2021 Acciaierie d’Italia) e l’ipotesi avanzata della chiusura dell’ex Ilva perché non compatibile con il polo NATO-USA diventa sempre più solida, a mano a mano che avanza la fase multicentrica che sta avendo un’accelerazione da parte degli USA (potenza in declino relativo) con la guerra in Ucraina (via NATO e Unione Europea) e la provocazione di Taiwan (via Nancy Pelosi, presidente della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti) contro le attuali potenze in ascesa Russia e Cina.

Il presente scritto cerca di riflettere sulla proposta avanzata da Mario Draghi di voler statalizzare l’ex Ilva (2). Perché proporla proprio oggi e per di più dopo averla gestita in malo modo e ceduta alla multinazionale Arcelor Mittal? Mario Draghi che crede nei feroci spiriti animali che regolano la vita della società, attraverso la forma democratica dei liberi mercati (sic), vuole far entrare lo Stato a gestire una impresa strategica per il Paese? Un pessimo marginalista che si converte in un rozzo keinesiano? No, è troppo! Soprattutto sapendo il suo ruolo di agente strategico esecutore incapace di strategie nazionali ne tantomeno di saperle gestire.

Per capire la proposta di Mario Draghi di statalizzare l’ex Ilva bisogna brevemente analizzare a) l’attuale fase multicentrica dove gli USA stanno alzando il livello del conflitto contro la Russia e la Cina; b) la situazione dell’ex Ilva ridotta ad uno stato di sopravvivenza minima, anticamera della sua morte.

Vediamo.

 

2.L’attuale fase multicentrica

 

Il disordine provocato dal conflitto in essere negli USA, tra i diversi centri di poteri per l’egemonia nazionale con relativa proiezione di potenza mondiale, ha indotto Henry Kissinger (uno stratega convinto dell’ordine mondiale a guida USA) – che critica la confusione presente negli agenti strategici conseguenza del conflitto non più componibile e incapace di creare una nuova sintesi di sviluppo, una nuova idea di società da contrapporre a quella multicentrica della Cina e della Russia (ormai sempre più centri del polo asiatico) – ad affermare che << Siamo sull’orlo di una guerra con la Russia e la Cina per questioni che abbiamo in parte creato noi, senza avere alcuna idea di come andrà a finire o di cosa dovrebbe portare […] Non si può dire che li divideremo e li metteremo l’uno contro l’altro (come negli anni di Nixon, mia precisazione LL). Tutto ciò che si può fare è non accelerare le tensioni e creare opzioni, e per questo bisogna avere uno scopo>>.

Per quanto riguarda la questione di Taiwan avverte che << […] La politica portata avanti da entrambe le parti ha prodotto e permesso il progresso di Taiwan in un’entità democratica autonoma e ha preservato la pace tra Cina e Stati Uniti per 50 anni […] Si dovrebbe essere molto cauti, quindi, nel prendere misure che sembrano cambiare la struttura di base >> (3).

La fase multicentrica comporterà per le potenze mondiali una strategia di approntamento, di risistemazione, di riorganizzazione delle strutture militari e civili a livelli territoriali (inteso in sensu lato cioè comprensiva anche dei territori del mare, dell’aria e dello spazio) – sia nazionali sia di macro aree che ricadono nelle rispettive aree di influenza da consolidare o da allargare – che hanno bisogno di un tempo non breve di realizzazione pensiamo, per esempio, ai corridoi europei, alle ristrutturazioni e alle riconversioni delle basi NATO-USA in Europa, alle nuove vie dell’Artico che possono modificare gli attuali equilibri geopolitici tra le potenze, alle nuove vie della Seta.

Per quanto detto ritengo che la fase multicentrica svelerà l’inganno della chiusura dell’ex Ilva di Taranto a vantaggio del polo NATO-USA così come è stato per la chiusura dell’Ilva di Bagnoli. Riporto a tale riguardo, per una comprensione della variabile tempo nelle strategie dei dominanti, quando scrissi nel mio Taranto da polo siderurgico a polo strategico della NATO << […] gli obiettivi erano le esigenze strategiche e territoriali della base NATO della città di Napoli (quartiere generale della NATO, sede di vari comandi di unità di servizi USA, grande centro per le telecomunicazioni del Mediterraneo dell’US Navy che coordina tutta l’attività di comunicazione, comando e controllo del Mediterraneo, eccetera). In quegli anni si svolgevano fatti di importanza mondiale per il nuovo equilibrio che si andava configurando con la caduta del muro di Berlino e con la successiva implosione dell’ex URSS. Si aprivano nuovi scenari per gli USA come possibilità di un unico centro di coordinamento mondiale e un nuovo ruolo della NATO. La chiusura dell’Ilva di Napoli per le esigenze territoriali della base del quartiere generale della NATO non poteva essere detta. Tutto fu velato dietro un fumoso progetto per il risanamento e il rilancio dello sviluppo della città di Napoli che passava attraverso il conflitto tra i settori economici (industriale, edilizio, turistico) : il progetto Fiat-Partecipazioni Statali degli anni ’80, l’idea della NeoNapoli di Paolo Cirino Pomicino, la fase di Tangentopoli, le lotte di blocchi di potere per i finanziamenti della bonifica di Bagnoli, non realizzata ( dal 2003 sono stati presentati ben 6 progetti di bonifica), gli indirizzi per la pianificazione urbanistica ( impianti di eccellenza per il turismo legato al sistema congressuale alberghiero, grande parco pubblico, rete di attività produttive connesse con la ricerca scientifica, eccetera).

L’Ilva di Bagnoli, una impresa in piena salute, fu chiusa e venduta ai cinesi.

Un sindaco, Antonio Bassolino, e un urbanista, Vezio De Lucia (i nomi sono l’espressione di gruppi di potere in riferimento agli agenti sub-dominanti), gestirono la fase di velamento culturale e ideologico della grande trasformazione della città di Napoli […] >>.

Sottolineo la diversa fase storica: nella chiusura dell’Ilva di Bagnoli, fu l’implosione dell’URSS (1991, la fine della storia di Francis Fukuyama) che aprì alla possibilità del coordinamento mondiale degli USA (per nostra fortuna non andò così!); nella ipotesi della chiusura dell’ex Ilva di Taranto è la fase multicentrica (2011) che segna l’inizio del declino degli USA (che sono per un mondo monocentrico) e l’ascesa di potenze come Russia e Cina (che sono per un mondo multicentrico).

La speranza blochiana è quella che il conflitto si fermi nella fase multicentrica, così come è già avvenuto nella storia.

 

3.Lo stato comatoso dell’ex Ilva

 

La narrazione del sistema di potere servile verso gli USA-NATO, da Mario Monti a Mario Draghi, presenta molte contraddizioni sull’ex Ilva. Le più importanti le riassumo per chiarezza:

  • La farsa di consegnare un’impresa strategica nazionale come ex Ilva alla multinazionale straniera dell’acciaio come Arcelor Mittal (il colosso siderurgico franco-indiano maggiore azionista di controllo dell’attuale Acciaierie d’Italia con una quota del 60% di capitale, società composta da Arcelor Mittal e da Invitalia, l’agenzia italiana per l’attrazione degli investimenti controllata interamente dal ministero dell’Economia e delle finanze, che possiede una quota del 40% del capitale) (4).
  • Il lavoro, l’ambiente, la salute, il territorio non possono essere tutelati in un sistema sociale a modo di produzione capitalistico. Sono merci e seguono il ciclo dell’accumulazione del capitale inteso come rapporto sociale storicamente dato, non altro.
  • L’impossibilità della completa bonifica ambientale e territoriale (si pensi, per esempio, alla contaminazione delle acque e al gioco, parzialmente riuscito, dei trasferimenti delle risorse finanziarie dalla bonifica alla decarbonizzazione operata con la norma Milleproroghe e con il DL Energia da Mario Draghi).
  • Il difficile se non impossibile rilancio dell’ex Ilva per la mancanza strutturale degli investimenti e, quindi, una programmata insufficiente produzione di acciaio (5) – che non può scendere ad una capacità di 4 o 4,5 milioni di tonnellate all’anno, pena un drastico ridimensionamento del tutto antieconomico per un impianto di quelle dimensioni – (6) in grado di rendere competitiva l’impresa e risolvere le questioni produttive, ambientali e finanziarie. Lucia Morselli, amministratrice delegata di Acciaieria d’Italia, sta applicando la stessa logica dei Riva che è quella della dismissione programmata (7).
  • Il sequestro degli impianti dell’area a caldo, anche se vige la facoltà d’uso degli impianti (2012, governo Mario Monti), impedisce il rilancio dell’ex Ilva (il dissequestro degli impianti è una delle condizioni fondamentali dell’accordo di investimento siglato il 10 dicembre 2020 tra Arcelor Mittal Holding Srl, Arcelor Mittal Sa e Invitalia e prorogato, a seguito della pronuncia della Corte di Assise di Taranto, al 31/5/2024) (8). Il conflitto tra i sub-decisori (da quelli che sostengono la chiusura a quelli che vogliono il rilancio, da quelli pubblici a quelli privati, da quelli nazionali a quelli europei), in opposizione e sostegno reciproco, è funzionale alla chiusura dell’ex Ilva.
  • La magistratura con il gioco del sequestro dell’area a caldo (nessun serio progetto di rilancio dell’ex Ilva è possibile), con il gioco dello scudo penale (l’Ilva non può essere gestita senza lo scudo penale e questo lo sanno tutti! Anche i magistrati che discutono di grande dottrina giuridica per la incostituzionalità dello scudo penale utilizzato ad hoc) e con il gioco dell’interesse nazionale (tutelando una impresa strategica nazionale dopo averla data alla multinazionale Arcelor Mittal?) entra nella vicenda Ilva per creare complessità strumentale al fine di perseguire l’obiettivo della chiusura.
  • La non compatibilità dell’impianto dell’ex Ilva con la base NATO-USA.
  • La fase multicentrica rafforza la presenza della base NATO-USA necessaria per le strategie statunitensi nel Mediterraneo, nei Balcani, nel Medio Oriente.

 

  1. La chiusura in nome della modernità

 

Lo scenario sopra delineato porta alla constatazione che la statalizzazione proposta da Mario Draghi è la fase finale della strategia per chiudere l’ex Ilva di Taranto, iniziata con la consegna alla multinazionale Arcelor Mittal, a favore del polo NATO-USA.

Rilevo la contraddizione tra l’ideologica affermazione di Mario Draghi << Ilva deve tornare a produrre al massimo delle sue potenzialità e ad essere la più importante fabbrica siderurgica d’Europa >> (con relativo stanziamento nell’ultimo decreto (Aiuti Bis) di un miliardo (che non è dato sapere come sarà impegnato se con aumenti di capitale o con diversi strumenti; preciso che non si fa esplicito riferimento all’Ilva, art.30, comma 1, DL 9/8/2022 n.115) e sottolineando la necessità di una governance pubblica per rilanciare l’Ilva) e la comunicazione del Ministero dello sviluppo economico in cui si sostiene che la norma di sostegno ad Acciaierie d’Italia prevista dal decreto Aiuti bis conterrà misure volte a supportare l’operatività della società: sia per quanto riguarda la liquidità, in modo da rilanciare la produzione siderurgica e tutelare i lavoratori, sia relativamente ai costi di approvvigionamento delle materie prime e dell’energia (9). Cioè normale amministrazione per galleggiare! Siamo al teatro dell’assurdo!

L’Arcelor Mittal, ricordiamolo che è la principale produttrice di acciaio mondiale, ha un ruolo importante per agevolare, dopo averla ridimensionata, la chiusura dell’ex Ilva a vantaggio del polo NATO-USA; oltre ad avere i propri vantaggi con l’eliminazione di una delle più grandi dirette concorrenti europee, con l’utilizzo delle quote di acciaio a proprio favore, con la riorganizzazione produttiva europea, con gli investimenti in India che hanno dirottato le risorse finanziarie destinate all’Ilva.

Mentre Taranto, in maniera segreta e con libidine di servitù, sta diventando un polo Nato-USA e i suoi servili decisori attuali e futuri gestiranno la fase finale della chiusura dell’Ilva (velata dai grandi progetti, irrealizzabili nel breve-medio periodo, come il “Cantiere Taranto” [che è una riproposizione del Contratto Istituzionale di Sviluppo per questa area (CIS)], la decarbonizzazione, il cambiamento climatico, la transizione energetica ed ecologica, la sperimentazione sull’idrogeno, le reti intelligenti, la rigenerazione del territorio, la città green, eccetera) il Mar Grande (nuova base navale) e il Mar Piccolo (Arsenale) saranno messi a disposizione delle strategie USA-NATO.

Se la mia ipotesi ha un minimo di fondamento, credo che l’accelerazione della fase multicentrica toglierà il velo sulla questione dell’ex Ilva di Taranto. E questa volta, al contrario di Vincenzo Bonocore che non sapeva perché l’Ilva di Bagnoli fosse stata chiusa, i tarantini e gli italiani sapranno che l’ex Ilva è stata chiusa per un cambio di paradigma della modernità che passa attraverso le strategie statunitensi.

In conclusione ricordo che se la strategia di gestione della chiusura dell’Ilva ha come scena la sfera economica (oltre a quelle istituzionale, giuridica e ideologica), attraverso il libero mercato e il ruolo di una grande impresa multinazionale, le vere ragioni della chiusura dell’Ilva vanno ricercate nella sfera politica dei pre-dominanti statunitensi i quali hanno bisogno, nel conflitto per l’egemonia mondiale, di quello spazio geograficamente e militarmente strategico di Taranto.

Nelle diverse fasi storiche Taranto ha usufruito di una posizione di rendita geografica

in quelle monocentriche (fasi di sviluppo pacifiche coordinate dalla potenza egemone) e di una posizione di sventura geografica in quelle multicentriche e policentriche (fasi di sviluppo conflittuali coordinate dalle strategie militari e dalle guerre).

La costanza storica è data dalla hegeliana denuncia dei gabinetti stranieri a decidere la sorte della nazione. Non è la marxiana storia che si ripete diventando farsa, ma è la lagrassiana storia che torna in maniera diversa.

 

 

 

 

NOTE

 

  1. I miei scritti sono apparsi sui siti www.conflittiestrategie.it e www.italiaeilmondo.com.
  2. Claudio Zanella, Draghi vuole l’Ilva prima acciaieria d’Europa. Letta parla di decarbonizzazione. Parole compatibili?, www.huffingtonpost.it, 8/6/2022; Marco Dell’Aguzzo, Cosa farà il governo per salvare Acciaierie d’Italia (ex Ilva), www.startmag.it, 5/8/2022. Marco Patucchi, Draghi vuole ricapitalizzare l’ex Ilva per anticipare il ritorno allo Stato, www.repubblica.it, 18/8/2022;
  3. Le frasi di Henry Kissinger sono riportate in una recente intervista al The Wall Street Journal, a cura di Laura Secor, del 12/8/2022, e sono tratte dall’articolo di Caitlin Johnstone, Il bellicismo americano spaventa addirittura Henry Kissinger, www.comedonchisciotte.org, 17/8/2022.
  4. Paolo bricco, Domenico Palmiotti, Ex Ilva, firmato l’accordo Mittal-Invitalia. Lo Stato rientra nell’acciaio. Contrari Regione e Sindaco, www.ilsole24ore.com, 10/12/2020.
  5. Domenico Palmiotti, Ex Ilva, risalita complessa della produzione, www.ilsole24.com, 15/6/2022; Valerio D’alò, Acciaierie d’Italia, tutti i flop, www.startmag.it, 5/5/2022; Comunicato sindacale della Fim Cisl, Acciaierie d’Italia: non accetteremo passivamente due anni di rinvio, www.fim-cisl.it, 13/6/2022.
  6. Acciaierie d’Italia sostiene che i volumi di produzione di 6 milioni di tonnellate, quelli attualmente autorizzati per i vincoli ambientali, sono “non sufficienti a garantire l’equilibrio e la sostenibilità finanziaria degli oneri derivanti dall’attuale struttura dei costi” (grassetto mio, LL), riportato in Domenico Palmiotti, Acciaio: nel piano ex Ilva 2 mld di investimenti e 8 milioni di tonnellate, www.ilsole24ore.com, 1/3/2022.
  7. Così scrissi nel mio Il destino di Taranto e’ segnato dalla sua storia militare e dalla sua geografia << Faccio osservare che l’impresa Ilva dei Riva era sulla strada della dismissione per mancanza di a) manutenzione ordinaria, straordinaria e di investimenti; b) rispetto di qualsiasi norma e legge; c) strategia per migliorare qualsiasi aspetto della produzione (l’introduzione di nuove tecnologie era impossibile su vecchi e usurati macchinari!), della salute, dell’ambiente, della città […]. La gestione dell’impresa Ilva, in un rapporto sociale storicamente determinato, è stata attuata con modalità da plusvalore assoluto e non da plusvalore relativo, […] senza pensare minimamente ad una strategia di ricaduta e di innervamento con lo sviluppo locale del territorio a diverse scale (locale, regionale, nazionale e mondiale). I Riva, ottimi cotonieri lagrassiani, hanno raschiato il fondo di tutte le risorse possibili nella produzione dell’acciaio >>.
  8. Gianmario Leone, Dissequestro Ilva, no della Corte d’Assise, www.corriereditaranto.it, 31/5/2022; Domenico Palmiotti, Ex Ilva, dieci anni fa il sequestro degli impianti a Taranto. Il rilancio incompiuto, www.ilsole24ore.com, 26/7/2022; Redazione CdG, No al dissequestro degli impianti dell’area a caldo dello stabilimento ex Ilva. Per la Corte d’Assise di Taranto: “Salute ancora in pericolo”, www.ilcorrieredelgiorno.it, 1/6/2022.
  9. Annarita Digiorgio, Draghi dà un miliardo all’ex Ilva. Ma il PD sale sulle barricate, www.ilgiornale.it, 5/8/2022; Marco Dell’Aguzzo, Ecco come il governo salverà di nuovo Acciaierie d’Italia (ex Ilva), www.startmag.it, 5/8/2022; Marco Patucchi, Draghi vuole ricapitalizzare l’ex Ilva per anticipare il ritorno allo Stato, www.repubblica.it, 6/8/2022; Domenico Palmiotti, Ex Ilva, dal governo via libera ad aumento di capitale fino a un miliardo, www.ilsole24ore.com, 3/8/2022; Ministero dello sviluppo economico, Acciaio: Riunito al Mise tavolo su ex Ilva, Comunicato, www.mise.gov.it, 3/8/2022.

Ucraina, il conflitto 13a puntata Attentato a Mosca Con Stefano Orsi e Max Bonelli

Attentato abbietto a Mosca, bombe sulle sedi istituzionali delle repubbliche separatiste, ulteriori tre miliardi di dollari americani in un pozzo colmo ormai di 80 miliardi di finanziamento dell’impresa militare ucraina, il Dipartimento di Stato che intima agli americani di lasciare l’Ucraina immediatamente, il Ministro degli Esteri polacco che critica l’imperialismo tedesco, la Bulgaria che si aggiunge a quei paesi europei che hanno scelto di trattare con la Russia gli acquisti di gas e petrolio. Un crescendo convulso che lascia presagire le future dinamiche geopolitiche in Europa dove le ambizioni nazionalistiche, più che il prodotto genuino delle ambizioni di autonomia, diventano il veicolo ottuso e fanatico di una nuova modalità di penetrazione dell’egemonismo statunitense. E’ il discrimine che distinguerà la coltivazione di realistiche ambizioni di autonomia in un mondo multipolare dalla possibilità che il continente europeo diventi campo di battaglia di mire egemoniche esterneal continente. Il conflitto in Ucraina è un vaso di pandora dal quale sembra emergere piuttosto la seconda opzione. Ne parleremo più approfonditamente. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v1h2wej-ucraina-il-conflitto-13a-p-attentato-a-mosca-con-s-orsi-e-m-bonelli.html

Sovranità economica, l’unica chance per sopravvivere alle illusioni dell’Ue, di Giuseppe Gagliano

La crisi commerciale con la Cina, l’epidemia di Covid, poi la guerra in Ucraina hanno distrutto i presupposti ideologici su cui si basava la costruzione europea. Il mito della “felice globalizzazione” è stato infranto a favore di una conflittuale regionalizzazione del commercio internazionale, ordinata intorno a Stati Uniti e alla Cina.

In questo contesto, la guerra è ormai la griglia di lettura di tutte le divisioni internazionali: guerra per l’acqua, metalli, diritto, dati. Guerra economica ovviamente, un concetto lontano da quello dell’autoregolamentazione e da quello dei seguaci di Adam Smith e della sua “mano invisibile”.

La guerra economica è rimasta a lungo un argomento tabù: presupponeva che un partner, perfino un “amico” fosse anche un avversario da cui proteggersi, e che certe dipendenze economiche avessero tragiche conseguenze politiche. La libera circolazione di uomini, idee, capitali, tecnologie e merci doveva così assicurare, dopo la caduta del muro di Berlino e il crollo del blocco sovietico, una pace e una prosperità ampiamente condivise. Ma al contrario la guerra è sempre stata il corollario di tutta la civiltà: non è uno sfortunato avatar, ma la dimensione naturale della storia umana, senza che nessuna parte di essa sfugga.

La Germania, per 150 anni; l’Inghilterra l’ha esercitata sui mari; gli Stati Uniti si sono ispirati al modello giapponese e gli Stati autoritari o totalitari come Russia e Cina si sono dotati di tutti gli strumenti per unire la loro potenza economica alla loro volontà politica. L’attuale Europa non costituisce una alterativa valida. Essa è nata da Jean Monnet, alleato degli Stati Uniti, e il suo trattato costitutivo appare come il ripristino del Piano Marshall: insomma una felice riduzione all’antico ruolo di vassalli. Al contrario l’America è un partner particolare, se ricordiamo l’affare Snowden – la rivelazione del tentacolare sistema di spionaggio americano – che ha suscitato solo molto misurata indignazione tra gli europei di fronte ad un cinico saccheggio: “il più grande stratagemma del diavolo è far credere di non esistere”. La guerra economica tra amici non è l’unico tabù infranto.

Ma questi errori dipendono anche da una concezione liberale secondo la quale la globalizzazione e il mercato ci avrebbero liberato dalle pulsioni malvagie o arcaiche di Stati e Nazioni, insomma dalla Politica. Al contrario dobbiamo recuperare il concetto di patriottismo economico su cui si deve appoggiare la politica pubblica dell’intelligence economica – protezione delle aziende, supporto per loro a livello internazionale, influenza nelle organizzazioni internazionali e formazione. Il patriottismo economico è la sola difesa e la promozione degli interessi nazionali nel rispetto della reciprocità.

Solo gli Stati Uniti e la Cina si sono dotati di una ricca panoplia di strumenti di sovranità, secondo il proprio modello politico. Ma in economia, come in diritto, la sovranità non può essere assoluta. È necessario che gli Stati europei ricostruiscano tutto: lo Stato, la sua capacità di anticipare e finanziare, l’industria. Guardiamoci dunque da un’illusione: quella della “sovranità europea”, perché l’Europa non ha la volontà di emancipazione dalla tutela americana.

https://www.ilsussidiario.net/news/scenari-sovranita-economica-lunica-chance-per-sopravvivere-alle-illusioni-dellue/2391230/

Il secolo asiatico arriverà su Cina e India che finalmente risolveranno le loro controversie sui confini, di Andrew Korybko

Il punto focale in grado di determinare la direzione delle dinamiche geopolitiche multipolari. Le classi dirigenti europee e statunitensi dovrebbero avere la forza di riconoscere la situazione di fatto per ritagliarsi un ruolo attivo e riconosciuto, pena l’isolamento e l’ostilità diffusa dai possibili esiti tragici anche in casa propria. Il mondo occidentale ha un retaggio troppo recente da farsi perdonare rispetto al dinamismo dei paesi emergenti, la cui natura è ancora tutta da disvelarsi; un fattore che pesa tantissimo in aree come l’Africa, l’America Latina, il Medio Oriente e il Sud-Est Asiatico. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Tutte le provocazioni di infowar da parte degli Stati Uniti per sfruttare le controversie irrisolte sul confine tra Cina e India devono essere adeguatamente affrontate e idealmente preventivamente ogniqualvolta possibile, al fine di garantire che questo ultimo schema di divide et impera contro quelle due grandi potenze asiatiche fallisca proprio così come il tentativo di creare un cuneo tra India e Russia.

Il ministro degli Esteri indiano (EAM) Subrahmanyam Jaishankar ha previsto che il secolo asiatico arriverà nel suo paese e la Cina risolverà finalmente le loro controversie sui confini, cosa che il portavoce del ministero degli Esteri cinese Wang Wenbin ha concordato poco dopo. Queste due Grandi Potenze multipolari sono i più grandi paesi in via di sviluppo del mondo e sono quindi in grado di influenzare in modo significativo la transizione sistemica globale alla multipolarità . Ne consegue quindi che il mantenimento di relazioni stabili e il completo sviluppo dei progressi in questo senso sono tra le loro grandi priorità strategiche più importanti.

A tal fine, è assolutamente necessario che nessuna terza parte si intrometta in questo tema così delicato. La grande strategia dell’egemone unipolare americano in declino è l’opposto di quelle due grandi potenze multipolari in ascesa poiché mira a dividere e governare in modo aggressivo l’Eurasia al fine di prolungare indefinitamente la sua leadership in declino sugli affari internazionali. Per quanto ci si possa provare, gli Stati Uniti non sono riusciti a rivoltare l’India contro Cina e Russia, con i loro ultimi sforzi legati alla pressione sul partner dell’Asia meridionale affinché condanni e sanzioni il Cremlino, dimostrandosi controproducente dopo che Delhi li ha ripetutamente respinti con orgoglio.

L’India è anche riluttante a scuotere la barca anche nelle sue relazioni con la Cina, soprattutto dopo che alcune delle sue società hanno iniziato a utilizzare lo yuan per facilitare il commercio bilaterale con la Russia. Non solo, ma comprende perfettamente che gli Stati Uniti sono decisi a sfruttarli come proxy per contenere militarmente la Repubblica popolare. In nessun caso l’India si lascerà sfruttare per combattere una guerra per volere di qualcun altro dall’altra parte del mondo, ecco perché è estremamente a disagio con l’America che la spinge aggressivamente in questa direzione.

Dal momento che gli strateghi dell’egemone unipolare in declino non sono riusciti a imparare la lezione dalla politica controproducente di fare pressione sull’India affinché si rivoltasse contro la Russia, ci si aspetta che cercheranno di replicare questo stesso approccio senza successo nel tentativo di fare pressione sull’India affinché si rivolga contro la Cina. Ciò è particolarmente probabile dopo che il viaggio provocatorio della presidente degli Stati Uniti Nancy Pelosi a Taiwan all’inizio di questo mese ha fortemente suggerito che Washington sta pianificando di rilanciare il suo “Pivot to Asia” nel prossimo futuro, il che porta alla previsione che raddoppierà i suoi sforzi per dividere e governa quelle due grandi potenze asiatiche.

La linea di faglia più facile da sfruttare a questo riguardo sono le loro controversie di confine irrisolte, motivo per cui l’India deve rimanere all’erta per eventuali imminenti provocazioni di guerra ibrida nel dominio dell’informazione volte a realizzare questo scenario peggiore. L’America farà del suo meglio per rivoltare le persone della società prese di mira contro il loro governo su questa delicata questione, soprattutto dopo che è diventato ovvio che ” L’opposizione indiana sta eseguendo gli ordini dell’America battendo i tamburi della guerra contro la Cina ” e ” I media americani stanno manipolando le percezioni su Esercitazioni militari annuali congiunte con l’India ”.

Tutte queste provocazioni di infowar devono essere adeguatamente affrontate, e idealmente preventivamente quando possibile, al fine di garantire che questo ultimo schema di divide et impera fallisca proprio come quello che ha cercato di creare un cuneo tra India e Russia. Nel frattempo, Cina e India continueranno i colloqui sulla risoluzione pacifica delle loro controversie sui confini, ma è impossibile prevedere quanto tempo ci vorrà per ottenere progressi, per non parlare di quale sarà il risultato finale. Pertanto, la cosa più importante in questo momento è contrastare le minacce della guerra ibrida statunitense e quindi rimuovere tutti gli ostacoli di terze parti all’arrivo del secolo asiatico.

https://korybko.substack.com/p/the-asian-century-will-arrive-upon?utm_source=substack&utm_medium=email

 

Gli Stati Uniti hanno appena ammesso di intromettersi nella politica estera indiana, ma non ammettono ancora la sconfitta, di Andrew Korybko

una ostinazione che pagheremo drammaticamente nei prossimi anni con esiti destinati a rinsaldare mire egemoniche contrastanti ancora sopite. Una possibile dinamica che, per altro, l’autore tende a rimuovere o sottovalutare. Giuseppe Germinario

Commento

Ciò suggerisce fortemente che gli Stati Uniti raddoppieranno la loro politica fallita con la stessa passione con cui l’India ha raddoppiato la dimensione russa della sua grande strategia a doppia tripolarità, il che potrebbe portare quelle Grandi Potenze ad allontanarsi ulteriormente nei prossimi mesi.

Qualsiasi osservatore obiettivo si è reso conto sin dall’inizio di quello che la Russia ha chiamato operazione speciale in Ucraina; che gli Stati Uniti stavano esercitando pressioni aggressive su tutti i paesi affinché condannassero e sanzionassero Mosca nonostante Washington avesse negato la sua intenzione di intromettersi nelle loro politiche estere. Dopo aver reimposto con successo la sua egemonia unipolare fino a quel momento in declino sull’intera UE, l’America si è prontamente mossa per replicare la sua azione rispetto all’India, sebbene quello stato-civiltà dell’Asia meridionale abbia respinto con orgoglio tutte le pressioni degli Stati Uniti e persino raddoppiato sulla  dimensione russa della sua grande strategia a doppia tripolarità .

Tuttavia, gli Stati Uniti hanno continuato a dare gas al mondo affermando di non aver mai avuto alcuna intenzione del genere, di intromettersi nella politica estera indiana; eppure, il portavoce del Dipartimento di Stato Ned Price ha appena lasciato il gatto fuori dal sacco durante una conferenza stampa mercoledì. Ha ammesso che “riconosciamo anche, come dicevo solo un momento fa, che questo non è premere un interruttore della luce. Questo è qualcosa che, soprattutto per i paesi che hanno relazioni storiche con la Russia, relazioni che, come nel caso dell’India, risalgono a decenni fa, sarà una proposta a lungo termine per riorientare la politica estera lontano dalla Russia”.

Non c’è altro modo per interpretare questa affermazione come qualcosa di diverso da una conferma ufficiale che gli Stati Uniti stanno effettivamente tentando di intromettersi nella politica estera dell’India continuando a fare pressioni su di essa per ridimensionare le relazioni con la Russia. Tuttavia, Price continua a non ammettere che questa politica sia fallita da quando in precedenza ha deviato dopo che un giornalista gli ha ricordato gli ultimi fatti collegati al partenariato strategico russo-indiano, in particolare per quanto riguarda l’ acquisto massiccio da parte dell’India del petrolio del suo partner, la consegna di Mosca di sistemi di difesa aerea S-400 a Delhi e la partecipazione di quello stato dell’Asia meridionale alle imminenti esercitazioni multilaterali.

Ciò suggerisce fortemente che gli Stati Uniti raddoppieranno la loro politica fallita con la stessa passione con cui l’India ha raddoppiato la dimensione russa della sua grande strategia a doppia tripolarità, il che potrebbe portare quelle Grandi Potenze ad allontanarsi ulteriormente nei prossimi mesi. Delhi non ha alcun desiderio di prendere le distanze né da Mosca né da Washington, ma non concederà unilateralmente in nessun caso su questioni che considera nei suoi interessi nazionali oggettivi. Ecco perché continua a espandere in modo completo i legami con la prima mentre critica pubblicamente quest’ultimo per averlo pressato.

La sorprendente ammissione di Price sull’aggressiva campagna di pressione dell’America contro l’India potrebbe in definitiva essere vista con il senno di poi come un punto di svolta nelle loro relazioni bilaterali. Tutti gli osservatori obiettivi sapevano già del piano degli Stati Uniti, ma è tutta un’altra cosa che il portavoce del Dipartimento di Stato lo confermi ufficialmente. Nessun paese che si rispetti e fiducioso come l’India potrebbe mai accettare che un altro paese parli apertamente di ingerenza nella sua politica estera, motivo per cui ci si dovrebbe aspettare che protesterà pubblicamente o almeno lo affronterà a porte chiuse.

Gli Stati Uniti di solito esprimono pubblicamente i loro problemi con altri paesi, tuttavia, a differenza della Russia che mantiene discreti i disaccordi con l’ambasciatore indiano per le recenti lodi di Mosca ai suoi ospiti mentre parla con Sputnik durante l’India Day Festival della scorsa settimana. Di conseguenza, e considerando che le discussioni private tra America e India finora non sono riuscite a appianare le loro divergenze sulla Russia, non ci sono ragioni per prevedere che la risposta diplomatica di Delhi (sia essa pubblica e/o privata) convincerà Washington ad abbandonare la sua campagna di pressione egemonica.

https://korybko.substack.com/p/the-us-just-admitted-to-meddling?utm_source=substack&utm_medium=email

Il problema di matematica di base che annulla l’isteria del riscaldamento globale_ Di Maker S. Mark

Se qualcuno propone una soluzione a un “problema esistenziale” che non ha possibilità di successo, dovremmo essere costretti a prendere sul serio il problema?

Se gli allarmisti climatici credono davvero che ci sia un’emergenza climatica, allora dovrebbero essere in grado di rispondere alla prima domanda fondamentale sul “piano”. I numeri del piano sono raggiungibili anche a distanza? Ricorda: in base al loro stridio, abbiamo solo dodici anni prima di morire tutti a causa del “cambiamento climatico provocato dall’uomo”.

Per rispondere a questa domanda, scomponiamo parte del piano nel problema matematico più elementare: possiamo sostituire il 25%, il 50% o il 75% delle auto in circolazione in dieci anni? Per comprendere la possibilità teorica, semplificheremo questo in quanti anni ci vorranno per sostituire tutti i veicoli su strada negli Stati Uniti

Inizierò con quanti veicoli sono in circolazione oggi negli Stati Uniti. Secondo questo link , nel 2020 erano 286 milioni. Lo arrotonderò a 300 milioni per semplificare i calcoli.

Quanti veicoli totali vengono venduti ogni anno negli Stati Uniti?  Questo collegamento risponde che ogni anno negli Stati Uniti viene venduta una media di poco meno di 15 milioni di veicoli (supponendo che i veicoli venduti e la capacità di produzione siano correlati).

Quanti veicoli elettrici vengono prodotti negli Stati Uniti? Da questo link ne produciamo meno di 1 milione. Arrotonderò a un milione per il mio calcolo.

Il semplice problema di matematica è: quanti anni ci vorranno per sostituire tutte le auto negli Stati Uniti con veicoli elettrici (totale negli Stati Uniti arrotondato per eccesso / volume di produzione medio all’anno)?

È 300M / 15M/anno = 20 anni. Ciò presuppone due cose importanti: in primo luogo, non ci sono nuove aggiunte nell’economia di conducenti e veicoli. In secondo luogo, che possiamo convertire tutta la produzione in veicoli elettrici durante la notte.

Se credi che moriremo tutti tra 12 anni, siamo in ritardo di otto anni per passare a tutti i veicoli elettrici, anche se le ipotesi di fondo fossero possibili.

Questo semplice problema di matematica mostra che le persone che urlano di più non hanno una soluzione seria al problema esistenziale del “cambiamento climatico provocato dall’uomo”. La situazione automobilistica negli Stati Uniti da sola non può essere risolta in vent’anni, per non parlare di dieci anni.

Ecco dove la matematica diventa un po’ più divertente:

Se attualmente produciamo 1 milione di veicoli elettrici all’anno e stiamo lottando per ottenere i materiali per raggiungere quel numero, qual è il numero massimo di veicoli elettrici che possiamo produrre senza una “bacchetta magica”?

Sarò generoso e dirò che al massimo possiamo aspettarci di triplicare la produzione a 3 milioni all’anno. Se abbiamo bisogno di 300 milioni da produrre (300 milioni / 3 milioni/anno = 100 anni), ciò significa che ci vorranno 100 anni solo per sostituire tutti i veicoli su strada. Le aziende stanno già lottando per ottenere i minerali necessari per le batterie. Quando proviamo a passare da 1M a 2M, peggiorerà e sarà più costoso. Non riesco nemmeno a immaginare i costi e l’impatto ambientale del tentativo di passare da 2 a 3 milioni. La mia previsione è che in dieci anni, il meglio che possiamo sperare di ottenere negli Stati Uniti sia sostituire dal 10% al 15% dei veicoli su strada con veicoli elettrici.

Le persone poco serie, che non sanno fare questa matematica di base, non possono assolutamente comprendere la complessa scienza coinvolta nello studio del clima. I numeri non mentono. La loro soluzione non risolverà il “problema climatico creato dall’uomo” senza una bacchetta magica per sostituire ogni veicolo negli Stati Uniti in una o anche due generazioni.

I membri dell’amministrazione Biden hanno iniziato a dire che abbiamo bisogno del dolore per ottenere il guadagno. Vi dimostro ora che non è possibile produrre abbastanza veicoli in 12 anni o in 25 anni. Pertanto, questo è sicuramente tutto dolore e nessun guadagno. Distruggendo l’industria dei combustibili fossili degli Stati Uniti, sembra che siano determinati a distruggere l’economia statunitense dall’interno.

Pertanto, perché stanno spingendo questo programma e questa soluzione ridicola? Se credi che la “catastrofe climatica provocata dall’uomo” sia dietro l’angolo, in che modo la distruzione degli Stati Uniti e dell’economia mondiale aiuterà? La risposta semplice è “non lo farà”. Gli Stati Uniti sono la nazione più innovativa nella storia del mondo. Se ci togli dall’equazione, i problemi seri non possono essere risolti.

Per coloro che dicono che i globalisti hanno un piano, posso assicurarvi sulla base di questa matematica di alto livello che non hanno un piano serio per affrontare il “cambiamento climatico causato dall’uomo” (se ci credono davvero). Probabilmente ci vorranno trilioni di dollari iniettati nell’economia mondiale e dai trenta ai quarant’anni per sostituire tutti i veicoli a gas con quelli elettrici (supponendo che possiamo trovare i minerali e i componenti per produrre le batterie).

Senza la bacchetta magica a cui fanno riferimento ripetutamente i globalisti, non c’è modo di produrre abbastanza veicoli elettrici per fare la differenza. La vera domanda allora diventa: perché spingono a convertirsi ai veicoli elettrici (non servirà in tempo) per risolvere un “problema esistenziale”? Penso che dobbiamo “seguire i soldi” per scoprirlo.

Personalmente, continuerò il lavoro sui problemi di matematica e sulla scienza reale per sfatare il mito del “cambiamento climatico provocato dall’uomo”. Raccomando di non ascoltare le persone che non vogliono o non sono in grado di completare i problemi di matematica di base quando risolvono questa cosiddetta crisi. Le soluzioni poco serie non faranno nulla per aiutare un problema poco serio.

Maker S. Mark (uno pseudonimo) è un patriota che può capire e spiegare matematica e scienze avanzate ed è preoccupato per lo stato della nazione e come risolvere i problemi che dobbiamo affrontare. Uniti vinciamo divisi perdiamo.

https://www.americanthinker.com/articles/2022/08/the_basic_math_problem_that_undoes_global_warming_hysteria.html

Una nuova fase nella guerra economica globale, di Antonia Colibasanu

Quando la Russia ha invaso l’Ucraina a febbraio, non ha solo iniziato una guerra di terra in Europa, ma ha aperto quella che sarebbe diventata una guerra economica mondiale che coinvolge quasi tutte le maggiori potenze. L’Occidente ha risposto all’invasione imponendo sanzioni e usando il sistema finanziario internazionale contro la Russia, sperando di sanguinare abbastanza Mosca economicamente da venire a patti. Invece, la Russia ha puntato i piedi, raddoppiando la strategia decennale di armare le sue vendite di energia in Europa mentre cercava nuovi alleati e acquirenti. Naturalmente, la rimozione dell’energia russa ha provocato shock in tutta l’economia globale.

Quasi sei mesi dopo, il mondo è entrato in una nuova fase della guerra economica. Anche le grandi potenze devono affrontare l’aumento dell’inflazione, una pandemia in corso, la carenza di energia e una potenziale crisi alimentare. Le elevate temperature elevate in tutta Europa hanno aumentato la domanda di energia per i consumatori che cercano di rimanere calmi, poiché l’industria tenta di aumentare la produzione come parte di una lunga ripresa economica. E questo per non parlare del prossimo inverno, della siccità in entrambi gli emisferi, dell’inquinamento, dell’interruzione della catena di approvvigionamento e delle continue devastazioni alle terre fertili in Ucraina, tutto ciò aggraverà i problemi economici globali.

Mentre l’inflazione significa prezzi più alti per tutti, le conseguenze della guerra economica vanno oltre le preoccupazioni sui prezzi. Il settore marittimo, ad esempio, è stato colpito in modo sproporzionato. Dopo l’iniziale invasione russa, la preoccupazione principale dell’industria era risolvere i problemi relativi alla zona di guerra, ad esempio portare le navi fuori dalla sponda settentrionale del Mar Nero, prima di affrontare costi operativi più elevati. L’industria marittima russa, in particolare, è tutt’altro che ferma. Sebbene rappresenti solo l’1% del trasporto marittimo globale, i russi stessi rappresentano quasi l’11% della forza lavoro marittima; Gli ucraini rappresentano quasi il 5%, quindi la guerra ha creato una carenza di manodopera nel settore. Nel frattempo,

Il settore assicurativo è stato il prossimo ad adattarsi al nuovo contesto imprenditoriale. La prima sfida per gli assicuratori è stata quella di sviluppare procedure che consentissero di controllare l’esposizione istituzionale alle sanzioni man mano che arrivavano (a un ritmo senza precedenti, non meno). Garantire una conformità efficace in un panorama in rapida evoluzione non è solo costoso ma anche rischioso, considerando le potenziali perdite aziendali. Il ritmo del cambiamento con cui l’attuazione delle sanzioni imposte ha reso le aziende incapaci di assicurare una persona sanzionata o riassicurare un assicuratore sanzionato, indipendentemente dal tipo di attività. Tenere sotto controllo le sanzioni, ormai come al solito, continua ad aumentare i costi operativi e a gonfiare i premi pagati dalle imprese in tutto il mondo, tutti inclusi nel prezzo finale al consumo.

Per tutti questi motivi, le rivalità continueranno a crescere mentre le nazioni determinano ciò che è meglio per se stesse. Dovranno adattare le loro politiche all’enorme accumulo di shock minori e maggiori che derivano dall’elevata incertezza che i produttori ei consumatori stanno affrontando. Questi includeranno esportazioni limitate, soglie di stoccaggio più elevate, misure a sostegno dell’aumento della produzione interna o addirittura il razionamento. Ciò alla fine si tradurrà in conseguenze non intenzionali e imprevedibili che saranno più difficili da gestire per tutti gli stati, con alcuni che subiranno il colpo più di altri.

Caso di studio: Francia e Germania

Il regolatore francese dell’energia nucleare ha annunciato l’8 agosto di aver esteso le deroghe temporanee per consentire a cinque centrali elettriche di continuare a scaricare acqua calda nei fiumi mentre il paese deve affrontare una delle più gravi siccità degli ultimi decenni. L’acqua fredda è essenziale per mantenere in funzione i reattori delle centrali nucleari. Ma anche se la Francia è uno dei principali produttori ed esportatori europei di energia nucleare, le condizioni meteorologiche hanno reso difficile il suo proseguimento delle operazioni. La scorsa settimana, Electricite de France ha affermato che deve ridurre la produzione di energia nucleare in altri due impianti a causa delle condizioni meteorologiche.

Questo è altrettanto un problema per la Germania, che sperava di importare parte della produzione francese di elettricità per cercare di ridurre la sua dipendenza energetica dalla Russia. Di fronte all’elevata inflazione e in previsione di una carenza di energia nei prossimi mesi, i legislatori tedeschi stanno esplorando misure per risparmiare energia. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha riconosciuto che i crescenti costi energetici sono una potenziale fonte di disagio sociale e instabilità. Nel frattempo, la stessa siccità sta colpendo l’economia tedesca. Il ministro dei trasporti tedesco ha affermato che i bassi livelli dell’acqua sul Reno potrebbero causare problemi di navigazione e ha chiesto un piano di dragaggio urgente per mantenere al sicuro l’economia tedesca. In parole povere, nulla sembra rassicurante per la potenza economica europea. E se la Russia deciderà di tagliare le forniture di gas naturale, la situazione peggiorerà.

Caso di studio: Odessa

Tutti questi problemi sono evidenti anche nel modo in cui l’accordo di esportazione di grano recentemente negoziato è stato attuato nel porto di Odessa. L’accordo avrebbe dovuto garantire che il grano ucraino potesse raggiungere l’Africa e altre parti del mondo, scongiurando una crisi alimentare e portando sollievo ai mercati cerealicoli globali. Ore dopo la firma dell’accordo, tuttavia, due missili russi hanno colpito il porto. Inoltre, gli operatori portuali, come il settore marittimo, si trovano ad affrontare una carenza di manodopera. E abbondano le questioni legali sull’applicazione delle sanzioni; fonti locali menzionano problemi con le pratiche burocratiche e i processi di approvazione.

La Russia è uno dei principali esportatori della maggior parte delle materie prime, quindi naturalmente le sanzioni sollevano questioni simili nei porti di tutto il mondo. Fatta eccezione per gli Stati Uniti, che sono in gran parte autosufficienti, la maggior parte dei produttori industriali mondiali, in particolare la Cina, dipendono dalle importazioni di materie prime. La Cina dipende anche dagli Stati Uniti per acquistare le sue esportazioni. Considerando i suoi crescenti problemi socioeconomici, Pechino farà tutto il possibile per evitare di essere coinvolta nella guerra economica tra Occidente e Russia, a meno che gli eventi intorno a Taiwan non la costringano a farlo. Per il mondo degli affari, ciò si traduce in maggiori spese operative e maggiori rischi della catena di approvvigionamento, il che contribuisce all’adozione accelerata dell’onshoring o del reshoring .

Per le aziende occidentali, tuttavia, l’onshoring comporta dei rischi: l’inflazione, prima di tutto. Le aziende americane devono considerare un aumento dei prezzi dell’energia, ma gli europei stanno affrontando l’incertezza sulla sicurezza dell’approvvigionamento stesso. Anche se la Russia non taglia l’approvvigionamento di gas dell’Europa, gli europei dovranno utilizzare i rubli per gli acquisti, indebolendo l’euro e facendo salire l’inflazione. Allo stesso tempo, l’Occidente, in particolare l’Europa, deve aiutare a mantenere a galla l’economia ucraina. Tutta questa incertezza rende l’Europa una destinazione meno attraente per gli investimenti delle imprese, per non parlare dell’onshoring.

I problemi della Russia

Le sfide del Cremlino sono simili, se non peggiori. Le sanzioni e il caos nella catena di approvvigionamento stanno riducendo ciò che arriva ai produttori russi e, quando le cose arrivano, sono più costose di prima. Il governo ha rassicurato la popolazione sulle misure anti-sanzioni, ma le sue imprese stanno soffrendo. Una misura richiede alle aziende russe di vendere una percentuale della loro valuta estera alla banca centrale in cambio di rubli, contribuendo a sostenere la valuta nazionale. Questa percentuale è notevolmente diminuita dall’inizio della guerra, ma continua uno stretto monitoraggio finanziario, così come l’incertezza degli affari.

Il Cremlino era consapevole di questi rischi prima di invadere l’Ucraina, ma ha fatto un calcolo politico. Putin ha posto la strategia di sicurezza della Russia al di sopra della sua prosperità, sapendo che la controparte occidentale aveva limiti severi. Tanto per cominciare, la prospettiva di una Russia armata di armi nucleari debole e instabile non è molto allettante per l’Europa o gli Stati Uniti. Tuttavia, il Cremlino sapeva anche che senza la tecnologia occidentale, l’economia russa avrebbe lottato per mantenere il precedente ritmo di sviluppo. Le sanzioni hanno iniziato a intaccare la produzione energetica russa e ci sono indicazioni che la più ampia produzione manifatturiera stia soffrendo. Anche se la Russia beneficia dell’aumento dei prezzi delle materie prime, le restrizioni tecnologiche in particolare inizieranno a farsi sentire e potrebbero trasformarsi in problemi socioeconomici.

Il Cremlino crede che i russi sopporteranno queste difficoltà finché riusciranno a vendere una storia plausibile che la Russia sta vincendo la guerra. Come parte di questo sforzo, Mosca beneficia dell’opportunità di fornire notizie positive a casa sui nuovi amici in Africa che la sostengono contro l’Occidente. Anche se non è chiaro quanto possano aiutare gli alleati africani, per il Cremlino il supporto morale potrebbe essere sufficiente. Allo stesso tempo, non è chiaro quale effetto stia avendo la guerra sulla forza lavoro russa dopo i danni causati dalla pandemia.

La guerra è l’ultimo distruttore. Il rischio di una destabilizzazione economica globale cresce a ogni passo, offensivo o difensivo, nella guerra economica, e man mano che le decisioni dei dirigenti aziendali si riversano nella catena di approvvigionamento. Insieme, questo accelera il processo di frammentazione già in corso a causa della pandemia.

L’Europa e la Russia saranno le prime ad essere maggiormente colpite. Un inverno difficile sta arrivando per entrambi. La dipendenza energetica dell’Europa dalla Russia è una sfida enorme, soprattutto durante la peggiore siccità del continente da decenni. Per la Russia, anche se riesce a trovare nuovi mercati in cui vendere, il flusso di tecnologie chiave nel paese si sta esaurendo. Le cose peggioreranno verso la fine dell’anno, soprattutto se si tiene conto dell’incertezza del mercato del lavoro. L’insistenza di Mosca sul fatto che le cose vadano bene è preoccupante. Sia per la Russia che per l’economia globale, chiaramente non lo sono.

https://geopoliticalfutures.com/a-new-phase-in-the-global-economic-war/

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