Freund e Todd tra decadenza e disfatta di civiltà Con Roberto Buffagni Teodoro Klitsche de la Grange

Il tema della decadenza di una civiltà non è nuovo tra politologi e filosofi. Julien Freund ne è un acuto osservatore. La tesi assume contorni più nitidi e chiari a partire da metà ‘800. Al giorno d’oggi appare drammaticamente attuale anche se paradossalmente la percezione risulta più acuta tra le classi popolari e nel ménage quotidiano piuttosto che tra le élites e le classi dirigenti europee e statunitensi, non ostante tale processo stia assumendo le caratteristiche e le dimensioni di una vera e propria catastrofe. Emmanuel Todd lo ha sottolineato con certosina accuratezza. Due autori e due loro testi caduti sotto la lente di osservazione di Roberto Buffagni e Teodoro Klitsche de la Grange. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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COMUNISTI E STATO, di Pierluigi Fagan

COMUNISTI E STATO. (Qualcuno si domanderà dell’attualità e senso di questo post rispetto ai discorsi che qui sviluppiamo da tempo. Va letto, purtroppo, per scoprirlo). Il rapporto teorico e pratico tra comunisti e Stato è assai problematico.
La concezione dello Stato nello sviluppo del lavoro teorico di Marx ed Engels è di lenta e mai ultimata precisazione. Ma la linea principale vedeva l’idea di impossessarsi dello Stato con la forza per poi far deperire lo Stato per lenta autodemolizione nella fase della “dittatura del proletariato”, in favore di un modello finale che Marx idealizza nella Comune di Parigi (1871).
Ma la Comune durò scarsi due mesi, era una città non uno Stato come dimensioni e complessità di funzioni. Lenin rimarrà strettamente ortodosso nel perseguimento della strategia marxiana, ma la prematura morte portò poi a Stalin dove si realizza l’esatto contrario, la creazione di uno Stato totalitario, burocratico e poliziesco.
E tuttavia, va osservato, Marx idealizzava su una comunità di 1,8 milioni di parigini neanche alle prese con responsabilità di governo di un ente nazionale esteso, invisi certo ai poteri di mezza Europa, che per due mesi fecero baldoria producendo mito e speranza, ma Stalin guidava una nazione assediata non solo dagli europei (tra cui poi i nazifascisti) ma dagli anglosassoni con americani sempre più rilevanti, ma anche famelici giapponesi, per più di trenta anni, con una estensione territoriale immensa e con tra 150 e 200 milioni di abitanti.
Ora, in pura linea teorica, il pensiero marxiano dialettico, prevede un circolo ricorsivo tra teoria e prassi per il quale l’azione è premessa in teoria ma questa è poi modificata dall’azione o meglio dalla presa in atto dei suoi effetti. Su questo argomento dello Stato però, la parte teorica è della seconda metà dell’Ottocento, basata su standard europei e nelle sole menti di Marx ed Engels con giusto lo spunto concreto, limitato, della Comune. Marx dice chiaramente che l’intento ultimo è il superamento dello Stato, non meno di quanto non lo teorizzavano anche gli anarchici, solo, sul piano della prassi politica, era necessaria una fase di transizione in cui bisognava impossessarsi dello Stato per poi farlo deperire lentamente dal di dentro, preparando e guidando il suo “superamento”. Allora, si sarebbe poi potuto passare alla radiosa seconda fase di una società senza classi con una attesa e data per certa, esplosione di libero sviluppo delle forze produttive. Promessa o attesa basata su cosa non si sa, per quanto addirittura vantata come “scientifica”, in pieno delirio positivista.
La parte pratica fu solo per poco nelle mani guida di Lenin fedele all’impianto marxiano e presto passata nelle mani di Stalin che però doveva gestire una situazione concreta innegabilmente incongruente rispetto alla teoria e sue aspettative astratte. Per esser chiari, s’immagini di prendere a modello i due mesi della comune di Parigi e si pensi a come farlo diventare il modello della nazione sovietica sotto attacchi molteplici, nella complessità socio-storica di un secolo dopo, con 150 milioni di abitanti con altrettante etnie su un territorio non sempre facile ed immenso, in marcia verso il comunismo.
Si sarebbe allora dovuto realizzare la chiusura del circolo dialettico e riformulare in qualche modo la teoria sulla base delle prassi e del realismo, ma ciò non fu mai fatto. Lo Stato staliniano divenne un fatto duro e ben chiaro nella forma che nulla aveva a che fare con le premesse teoriche di un secolo prima, anzi ne era la specchiata inversione. Per esser di nuovo chiari: che cosa altro avrebbe potuto o dovuto fare Stalin anche ammesso non fosse lo Stalin che poi conosciamo?
Il ruolo di Lenin in questo processo fu quello di aver preparato la forma che doveva gestire la transizione della prima fase del processo di sviluppo verso il comunismo, centralizzando, dando al partito sempre più e sempre meno ai soviet, ma in vista del deperimento dello Stato conformemente la teoria di M/E. Quando morì, Stalin ereditò una forma che però usò in modo del tutto opposto, assumendola come forma migliore senza traguardi di superamento dello Stato, come unica forma possibile. Quanto ciò corrispondesse a sua preferenza ideologica o quanto fosse invece semplicemente realistico data la situazione socio-storica, è questione che qui non ci interessa. Sta di fatto che la storia teorico-pratica del rapporto tra pensiero e prassi politica comunista e Stato, è spezzettata teoricamente e invertita nei fatti, dimostrandosi una non teoria.
Si realizza così il paradosso su cui già Marx aveva avvertito: ogni rivoluzione finisce poi con il perfezionare la macchina dello Stato che pure doveva spezzare negli intenti.
Se allora la teoria comunista non ha invero una vera teoria dello Stato ed anzi a presupposto ne ha vagheggiato l’estinzione programmata senza prender atto che cinquemila anni di storia di civiltà umana mostra la totale dominanza strutturale, universale per tempo e spazio, di una qualche forma di Stato (responsabilità teorica di Marx), allora la teoria comunista non ha senso politico usabile.
In più, non considerare la differenza strutturale tra modelli micro (Parigi) e macro (URSS) e voler comprimere per pura volontà il tempo storico necessario ad ogni transizione, tempo tanto più lungo, contraddittorio e complesso, quanto più è complessa la struttura stessa di ciò che va in transizione, comprimendo anzi a forza tale complessità nei meccanicismi ciechi della confusa ed inebriante furia rivoluzionaria, aggrava la non usabilità di questa ipotesi teorica senza fondamenti realistici. La teoria è ingombra, spesso, di tardivi slanci indealistico-romantici che dovrebbero andare a verifica ora che son passati un secolo e mezzo di anni.
Infine, con la mancanza di lettura di come strutturalmente ogni fatto politico socio-storico di un determinato popolo o Paese, debba fare i conti con le pressioni di diverso contesto geo-storico, la cultura comunista si è condannata ad una cecità del reale fatale.
Da ultimo, c’è un grave problema nell’ambiente teorico marxista per il quale l’impostazione marxiana (IIa ed XI Tesi su Feuerbach) dell’anello ricorsivo teoria1-prassi-teoria2, secondo poi Gramsci l’essenza che sorreggeva questa visione politica del mondo e della trasformazione sociale, non è mai stata applicata. Quando nel 1991 crolla l’URSS, l’ambiente teorico marxista, ebbe l’occasione di riservarsi uno spazio libero per operare questa revisione proprio sulla base di ciò che era stata l’URSS, fuori ormai dal conflitto Novecentesco avendo nei fatti perso tutto. Ma non lo fece. Così rimane lì morta questa linea teorica che pure qualcuno ritiene ancora semi-viva o rivitalizzabile o solo da rimpiangere in un esteso e malinconico “sarebbe stato bello se…”.
Peccato, l’idea di Marx del circolo teoria-prassi è ottima e senza alternative, peccato sia stata solo enunciata e mai praticata. Se praticata, anche tardivamente dopo il 1991, oggi avremmo un qualche straccio di alternativa teorica alle forme politiche in cui viviamo. Forse i comunisti si sarebbero dati una calmata osservando un po’ più la complessità di tali auspicate trasformazioni comportano, forse avrebbero capito come utilizzare la democrazia (non quella che noi chiamiamo democrazia ovvio). Forse oggi invece che continuare a scrivere inutili libri sulle forme economiche, questo pur rilevante serbatoio di spesso acuti pensatori, si sarebbe dedicato allo sviluppo di nuova teoria politica.
Imparare dagli errori, anche tardivamente, sarebbe comunque onorare finalmente l’intuizione pragmatica di Marx, ma pare che ancora a pochi sia venuta in mente l’idea di intraprendere questa revisione lasciata lì abbandonata e senza seguito. Peccato che tanti di quell’ambiente teorico, preferiscano rimanere nella Scolastica della difesa dei dogmi del Libro (o più che “un” libro” una collezione di citazioni estrapolate qui e là), festeggino attualità e vivezza del pensiero del grande Maestro (che vedono spesso solo loro e qualche volta il the Economist uso farci ogni tanto delle belle copertine pop), trovino magie da Marx ecologista, ambientalista, femminista e quant’altro di anacronistico di possa inventare e continuino, ostinati oltre ogni ragione, a fondare e rifondare inutili partitini surreali come le mosche della bottiglia di Wittgenstein.
Se l’azione ovvero la realtà verificata, non torna al pensiero modificandolo, non si va da nessuna parte. Vale per gli individui, le società, i gruppi, gli intenti politici di ogni ordine e tempo.
INVOCARE UN JIHAD CULTURALE.
Sebbene di jihad (maschile), Scarcia Amoretti ne rilevi presenza solo in cinque casi del Corano (meccano), se ben ricordo, solo in due aveva significato di “guerra santa”, probabilmente retaggio del periodo medinese o successivo (non è una contraddizione, nella composizione del Corano ci sono famosi problemi di interpolazione temporale nei blocchi meccano-medinese). Per tre volte, jihad, è semplicemente “sforzo nella fede”.
Sempre se ben ricordo, Cardini, raccontava di un viaggio al Cairo in cui gli fecero visitare una scuola media dove c’era la settimana del jihad contro le mosche. Uno sforzo collettivo per gestire il problema sanitario della presenza delle mosche. Data la struttura atipica del sistema imam rispetto i nostri concetti di clero o chiesa, il jihad qualcuno può anche proclamarlo ma con dubbi effetti visto che non c’è centralizzazione di sistema. Più che altro si “invoca”, si lancia un avviso, si aspetta venga raccolto.
Ora, io credo che molti di noi non ce la facciano più. Non ce la facciamo più di esser anche aggressivamente e captivamente accerchiati dall’ignoranza e dalla sua fiera e prepotente esibizione. C’è un preciso dispositivo in sviluppo per coltivare intensamente la stupidità artificiale al fine di rendere la mente una trasmissione del comando comportamentista. Questo e il dominio della società dell’informazione e non della conoscenza.
Troppe cose non vanno nel mondo che ci circonda, molte sono belle grosse e complicate, lo tsunami emotivo sull’ingiustizia dilagante ed incrementale cui siamo giornalmente sottoposti è intollerabile. E più aumentano e crescono di numero tali ingiustizie, più il discorso pubblico diventa dadaista, nessuno sembra interessato più a capire, solo a giudicare, like, dislike, binarismo comportamentista, gabbie di Skinner, appunto.
Io credo che, non so come, i dispersi che soffrono in questo bagno di sfarinamento culturale delle nostre società, dovrebbero cominciare a gravitare maggiormente su alcuni punti, stante poi le varie, profonde, ampie differenze ed a volte divergenze su ciò che consegue il porre assunti iniziali, più semplici e quindi “ecumenici”. Uno di questi punti in comune, dovrebbe essere un jihad culturale, un far sapere che molti noi credono che l’informazione sia nulla senza la conoscenza. Abbiamo un urgente e disperato bisogno di capire di più e meglio, raccoglierne i dati è solo premessa.
Molti di noi non gliela fanno più a vedere rappresentato nel discorso pubblico un mondo fatuo di narcisisti patologici, di maschere da Vaudeville, di discorsi che non meritano la definizione, di ignoranti saccenti e supponenti, di polemici nevrotici, di bugie clamorose urlate come verità ultime, di quel fenomeno della torma di ignavi con cui se la prendeva anche Andrea Zhok in un post di ieri, code ingrossanti di irresponsabili che parlano di guerra con la bava alla bocca e non solo. E ‘mo basta! Diamine, tocca dargli un limite!
Dal Covid da Gaza, via Ucraina ed Ambiente e Clima, più altre migliaia di argomenti e fenomeni inquietanti, assistiamo stupefatti alla riduzione di complessità da esplorare con cautela epistemica a schemi interpretativi pre-razionali. Schemi conditi di emozione insopprimibile che portano molti incontinenti emotivi a vomitare a cascate i loro giudizi isterici, forse terapia di sfogo individuale, ma che inquina il paesaggio mentale comune. Sguazziamo nel vomito emotivo direzionato a precise tabelle di disgusto, gabbie di Skinner, di nuovo.
Non so dire cosa più precisa. Inviterei chi vuole, a riflettere su come usare ad esempio qui le nostre uscite “social” (cominciando a contestare i termini, questo non è un “social” è un semplice aggregatore di individualità debolmente e limitatamente interrelate secondo giudizio di algoritmi opachi), per denunciare questo nostro crescente di disagio, trasformandolo in indignazione.
Vogliamo capire di più, discutere proficuamente di più, esplorare di più, le società umane sono culture, le culture vanno coltivate. C’è molto da capire del mondo in cui siamo capitati, i nostri schemi conoscitivi soffrono come i medioevali soffrirono l’avvento del moderno, anche peggio come entità del “salto” di conoscenza che sembra esserci richiesto. Se a questi richiami del reale e del concreto continuiamo a rispondere con gli standard attuali del discorso pubblico, soffriremo sempre di più, pene materiali, non intellettuali. Soffriremo ovviamente secondo la scala sociale, le pene di prima classe si scaricheranno in seconda e così a cascata fino alle sempre più ampie stive dei passaggi ponte.
Tocca cominciare a porre dei limiti. Non servono “appelli in difesa”, servono “appelli in attacco”.
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L’Occidente si defila disperatamente mentre il gioco dell’ISIS in Ucraina gli si ritorce contro, di SIMPLICIUS THE THINKER

L’Occidente si defila disperatamente mentre il gioco dell’ISIS in Ucraina gli si ritorce contro

Da quando si sono verificati gli attacchi al Krokus, l’Occidente ha cercato in tutti i modi di attribuire la colpa all’ISIS, assolvendo l’Ucraina da ogni responsabilità. La disperazione con cui si è arrivati a questo punto rivela il gioco e ci dice tutto ciò che dobbiamo sapere sulla natura degli attacchi.

Ascoltate Grant Shapps alla fine del video qui sopra, la cui maschera scivola quando rivela apertamente: “Dobbiamo resistere allo sforzo di Putin di collegare l’ISIS all’Ucraina”.

Ma prima di continuare, ricordiamo come quasi tutti i precedenti attacchi terroristici negati dall’Ucraina abbiano finito per essere tranquillamente ammessi in seguito.

Lo stesso vale per Nord Stream e molti altri. Allora perché questo accanimento da parte dei commentatori occidentali sul fatto che l’Ucraina non ricorrerebbe mai all’uccisione di civili?

Dopo tutto, proprio ieri il capo dell’SBU ucraino Vasyl Malyuk si è lanciato in una lunga serie di confessioni, ammettendo “ufficiosamente” la responsabilità dell’Ucraina nell’uccisione di Ilia Kiva, Vladlen Tatarsky e altri.

E chi può dimenticare l’uso da parte dell’Ucraina di un inconsapevole “kamikaze” civile nell’attacco terroristico al ponte di Kerch? Tra l’altro, lo stesso Malyuk di cui sopra ha anche appena ammesso che il ponte di Kerch non è più utilizzato per scopi militari:

L’Ucraina potrebbe “potenzialmente” distruggere il ponte di Crimea costruito illegalmente dalla Russia a Kerch, anche se attualmente non viene utilizzato per portare armi e munizioni nella Crimea occupata, ha dichiarato il capo del servizio di sicurezza ucraino SBU, il tenente generale Vasyl Malyuk, in un’intervista rilasciata all’emittente ucraina ICTV il 25 marzo.

Questo fatto da solo svela molto dell’Ucraina e della sua strategia perversa di vincere in qualche modo la guerra mettendo “alle strette” la Russia con la distruzione del ponte. Ora ammettono che il ponte non ha alcun ruolo militare per le forze russe, quindi perché distruggerlo dovrebbe avere un qualsiasi effetto sulla capacità della Russia di tenere la Crimea? È chiaro che il ponte come obiettivo sacro è lì solo per i tipici scopi di pubbliche relazioni, non per una vera vittoria.

Ma torniamo indietro.

Gli Stati Uniti e i loro amici davvero, davvero, davvero vogliono che sappiate che non è stata l’Ucraina a compiere gli attacchi a Mosca, ma “l’ISIS”. Chiunque abbia una comprensione anche solo funzionalmente adulta di come funziona il mondo capirà innanzitutto che dietro l’attacco c’è l’Ucraina. Certo, è possibile che sia stato uno dei suoi sponsor, la CIA o l’MI6, ma il fatto che la CIA abbia dichiarato di aver avvertito la Russia di un’imminente azione terroristica sembra mi che implichi che l’Ucraina sia diventata una canaglia, e che persino gli Stati Uniti non siano stati d’accordo con le loro mosse gravemente eccessive.

È stato appena reso noto che gli Stati Uniti hanno “avvertito” l’Ucraina di smettere di provocare la Russia colpendo le sue strutture energetiche, ricordate? Gli Stati Uniti hanno chiaramente divergenza con il loro piccolo pitbull su come procedere ulteriormente, dal momento che l’amministrazione di Biden sta diventando avversa ai crescenti rischi di provocare l’Orso nucleare.

Pertanto, diventa abbastanza plausibile che la CIA abbia tentato di avvertire la Russia come un modo potenzialmente indiretto per allontanare l’Ucraina dal piano all’ultima ora. Ma il disperato e sanguinario Zelensky non si fermerà davanti a nulla per placare i suoi padroni più occulti, che operano attraverso le pieghe invisibili del più grande apparato “statunitense”.

Ecco una teoria approfondita su come probabilmente è accaduto davvero:

Secondo i “dati soggettivi” a mia disposizione, i terroristi tra i cittadini del Tagikistan sono stati sottoposti a lezioni religiose condotte su Internet (guarda il video), che erano le istruzioni ideologiche dello “Stato Islamico di Valayat Khorosan (IGVC)”.

Inoltre, a quanto mi risulta, almeno uno di loro era in una chat room chiamata “Rahnamo ba Khuroson” (Rohnamo ba Khuroson).

Un cittadino del Tagikistan, Salmon Khurosoni, curava (e cura) gruppi di elaborazione religiosa. È stato Salmon Khurosoni a effettuare il primo reclutamento di terroristi islamici.

In alcuni ambienti si dice anche che Khurosoni sia un collegamento intermedio tra lo Stato Islamico del Khorosan Wilayat (IGVC) e la Central Intelligence Agency (CIA) degli Stati Uniti.

Nonostante i terroristi dello Stato Islamico non promettano ricompense finanziarie per i loro attacchi terroristici, ma promettano il Paradiso eterno… tuttavia, con l’assistenza di Salmon Khorosani, è stato approvato un importo di 500.000 rubli, che avrebbe dovuto coprire i costi dell’attacco.

In seguito, i compiti e le istruzioni in Turchia erano già stati fissati da un emissario-mediatore, che, presumibilmente, è un membro del personale di un servizio speciale straniero (residente). E questi, a sua volta, ha inviato il bayat (il giuramento dell’ISIS) allo stesso Salmon Khurosoni.

Inoltre, l’Ucraina non era l’ultimo anello del loro piano di ritiro. Un altro emissario non identificato dell’intelligence straniera, che si trova in Ucraina, avrebbe dovuto inviarli direttamente in Turchia e poi in Afghanistan.

È in Afghanistan che si trova il presunto leader ideologico (cioè ideologico, non parlo del cliente) dell’attacco terroristico a Mosca, Salmon Khurosoni. 

Di fatto, assistiamo all’apoteosi dello sviluppo del terrorismo ibrido, ovvero del franchising di marca: una parte che vuole colpire l’altra, ricorre all’aiuto di una terza. Compreso il caso in cui l’esecutore viene reclutato sotto la terza bandiera, cioè pensa di adempiere a una volontà, mentre in realtà dietro c’è un’altra.

Rileggete la parte finale in grassetto.

È così che funziona la moderna guerra ibrida. Ogni attacco è diverso: ce ne sono alcuni in cui l’Ucraina vuole far conoscere pubblicamente la sua impronta o la sua responsabilità come messaggio diretto alla Russia, oltre che come sforzo per risollevare il morale del proprio pubblico. Ma c’è un’altra classe di attacchi il cui scopo è quello di destabilizzare la Russia dall’interno senza riconoscere l’impronta dell’Ucraina nell’azione.

In realtà, sapere che è stata l’Ucraina in questo caso significherebbe vanificare l’intero scopo: l’intero scopo di questo attacco era quello di architettare la narrativa secondo cui il “regime di Putin” sta generando un tale malcontento a livello globale che sta iniziando a ritorcersi contro il suo stesso popolo, con l’obiettivo di mobilitare la discordia all’interno della società contro il Cremlino. Se la gente sapesse che c’è lo zampino dell’Ucraina, l’effetto sarebbe totalmente invertito, facendo dell’Ucraina il parafulmine del devastante attacco terroristico e galvanizzando ancora di più i russi contro il loro nemico.

In questo caso, era assolutamente necessario che l’Ucraina si avvalesse dei servizi di una terza parte, e così ha ingaggiato alcuni criminali attraverso un intermediario con un comodo collegamento con l’ISIS. Ma la tempistica è troppo ridicola per crederci: è simile ai “colpi migliori” della CIA, come l’inverosimile attacco con il gas che Assad ha effettuato proprio quando aveva spezzato la schiena al nemico e stava vincendo la guerra. È assolutamente incredibile che, proprio mentre la Russia ha inflitto all’Ucraina alcuni colpi senza precedenti, tra cui un attacco aereo massicciamente paralizzante, e proprio mentre gli organi di stampa stavano strombazzando titoli devastanti sull’imminente collasso dell’Ucraina, l’ISIS abbia deciso di compiere un attacco del tutto inusuale a Mosca? Bisogna essere infantilmente creduloni per credere a queste improbabili coincidenze.

Ci sono alcuni semplici fatti:

1. Primo, e più importante, questi mercenari non hanno dichiarato in alcun modo gli obiettivi dell’ISIS e la sua ideologia durante l’azione. Non hanno fatto alcuna richiesta. Non hanno fatto dichiarazioni.

2. Hanno seguito una tempistica ben pianificata che ha permesso loro di lasciare la scena del crimine prima dell’arrivo delle Forze speciali. Poi hanno cercato di fuggire in Ucraina. Qualsiasi abnegazione ideologica era fuori questione.

3. Hanno ricevuto denaro per l’attacco. Metà della somma è stata data loro prima dell’attacco terroristico, l’altra metà sarà ricevuta dopo l’evacuazione.

4. Non si sono suicidati durante la detenzione. Non hanno nemmeno tentato di farlo. Sono scappati come topi. Non hanno nemmeno provato a combattere. Sono stati tutti catturati vivi.

E un altro parere di esperti.

Senza contare che gli aggressori sono stati ovviamente catturati mentre si dirigevano verso l’Ucraina, un fatto ormai accertato con una precisa geolocalizzazione dai video sul campo :

Noterete che a Bryansk c’è una biforcazione che permette di prendere diverse strade: loro hanno scelto specificamente la via meridionale verso la regione ucraina di Sumy.

E una precisazione importante: proprio in questi giorni sta circolando la propaganda ucraina secondo cui oggi Lukashenko avrebbe “smentito la narrazione del Cremlino” sottolineando che i terroristi hanno prima tentato di entrare in Bielorussia, ma le forze bielorusse li hanno bloccati, costringendoli a scegliere l’Ucraina come seconda opzione.

È una menzogna totale.

Ho studiato ora l’esatta dichiarazione di Lukashenko, che in effetti sta rispondendo a un giornalista che ha chiesto: “È possibile che siano entrati in Bielorussia?”.

In sostanza, ha detto: “No, perché abbiamo messo delle forze e in ogni caso sarebbero stati costretti ad andare altrove”. In breve, sta rispondendo a un’ipotesi: anche se avessero voluto entrare in Bielorussia, non sarebbero stati in grado di farlo, ma non ha affatto affermato che sarebbero venuti definitivamente in Bielorussia. Si tratta di una deliberata errata caratterizzazione da parte dei propagandisti ucraini.

In effetti, in tempo di guerra si può immaginare che il confine sia impossibile da attraversare senza sistemazioni molto speciali, che i terroristi hanno chiaramente avuto dai loro amici ucraini. Senza contare che l'”ISIS” non è in grado di fornire una scorta di armi in Russia da utilizzare da parte delle vittime: solo i capi dell’SBU ucraino avrebbero potuto fornire tali armi dall’Ucraina all’interno della Russia.

La maggior parte di quanto sopra è in linea con ciò che il capo dell’FSB russo Bortnikov ritiene sia accaduto, come risulta dalle sue dichiarazioni odierne:

Cosa dice:

  • .Ritiene che dietro gli attacchi ci siano l’Ucraina, gli Stati Uniti e il Regno Unito

  • Ha alcune prove preliminari che suggeriscono questo legame, mentre le indagini sono in corso.

  • Secondo le sue conclusioni preliminari, i terroristi erano in realtà “attesi” al confine ucraino dai loro responsabili.

  • Insinua che Budanov sarà eliminato per le sue azioni.

E naturalmente anche Patrushev aggiunge i suoi due centesimi:

“Certo che era l’Ucraina”.

Putin ha anche rilasciato alcune nuove dichiarazioni sull’indagine in corso, corroborando il legame con l’Ucraina:

Alcuni analisti hanno persino ipotizzato che la scelta di Putin di usare un linguaggio ambiguo sia un segnale nascosto all’Occidente: sa esattamente chi è stato e può rivelarlo in qualsiasi momento, masta dando all’Occidente la possibilità di fare concessioni favorevoli e gesti di riconciliazione, in una certa misura .

Prestate attenzione:

La performance di Putin di ieri dimostra che c’è un’asta dietro le quinte.Attenzione al linguaggio ambiguo:

 Sappiamo che l’attentato è stato commesso per mano di islamisti radicali, ci interessa il committente;

 Dobbiamo ottenere risposte a una serie di domande, gli islamisti radicali hanno davvero deciso di colpire la Russia;

 È assolutamente chiaro che il terribile crimine di “Crocus” – è un’azione di intimidazione, ci si chiede a chi giovi.

A ciò si aggiunge la dichiarazione odierna di Peskov, secondo cui la Russia è aperta al dialogo con gli Stati Uniti, ma tutti i problemi devono essere discussi in modo esaustivo, ha dichiarato il Cremlino.

Peskov sta chiaramente accennando a un ritorno al dialogo strategico.

Cioè, c’è ancora una possibilità che il problema dei jihadisti possa diventare un denominatore comune per l’avvio dei negoziati.Questo apre la possibilità di tornare a discutere le proposte di Erdogan per la stabilità strategica.

Se questo non dovesse accadere con un alto grado di probabilità, ai colpi ai ponti sul Dnieper (anche a Kiev) e ai nuovi tentativi di blackout come ora si aggiungeranno i colpi all’energia e allo stoccaggio del gas a Kharkov.

In breve: “Siamo disposti a far finta che si tratti dell’ISIS se vi sedete al tavolo e fate ammenda lavorando per obiettivi comuni. Ma se volete giocare duro, “troveremo” la colpa per l’Ucraina e poi alzeremo pesantemente la temperatura su di loro, attraverso massicci attacchi alle infrastrutture ed escalation militari”.

Un’altra possibilità:

#ascolti
A giudicare dall’analisi degli eventi delle ultime tre settimane, qualcuno provoca specificamente un aumento della temperatura nella crisi ucraina.

Da questo segue:
1. Gli eventi avranno un picco per due settimane e torneranno di nuovo normali. 2. La crisi ucraina è in attesa della massima intensità, le tragedie saranno massicce e costanti. Glieventi raggiungeranno il picco per due settimane e torneranno di nuovo alla normalità.
2. La crisi ucraina è in attesa della massima intensità, le tragedie saranno enormi e costanti.

Attenzione. L’epilogo è molto vicino

La fonte spiega che la crisi ucraina è arrivata a un punto morto, dove i dirigenti hanno bisogno di un nuovo aumento per due cose.
1. Far fuori i soldi per finanziare ulteriormente la crisi.
2. Azzerare la crisi ucraina fino all’inizio del caso di Taiwan.

Stiamo osservando

Alcuni ritengono addirittura che Putin potrebbe lanciare un ultimatum all’Ucraina: lasciate tutti i territori del Donbass o si scatenerà l’inferno su tutti gli obiettivi precedentemente off-limits, a seconda di quale sarà la “risposta” dell’Occidente al dialogo dopo la Krokus:

Una fonte dell’entourage del Presidente russo ha riferito che Vladimir Putin sta prendendo in considerazione un duro ultimatum all’Ucraina. Il popolo chiede la vittoria e il Presidente è pronto a prendere decisioni difficili. 

Per completare il Distretto militare settentrionale e salvare il maggior numero possibile di vite dei nostri soldati, e anche per evitare una nuova mobilitazione, Vladimir Putin sta valutando l’opzione di un duro ultimatum all’Ucraina. Putin chiederà il ritiro delle truppe ucraine dal territorio russo (nuove regioni) e la resa volontaria di Kharkov, Nikolaev e Odessa. In caso di rifiuto, Mosca dichiarerà una vera e propria guerra a Kiev entro 24 ore. Dopo di che, entro 72 ore, Kiev, Leopoli, Dnieper, Poltava, Ternopil e Vinnitsa saranno distrutte. Il resto dell’Ucraina sarà soggetto a massicci attacchi con missili e bombe. I bombardieri Tu-22M3 con bombe FAB-5000 distruggeranno tutti i ponti sul Dnieper, gli aeroporti civili e tutte le infrastrutture ferroviarie. Il centro di Kiev, tutti gli edifici amministrativi e i bunker saranno distrutti dai “kinzhal”. Tutte le sottostazioni elettriche saranno distrutte da un singolo attacco con missili e bombe dei bombardieri Tu-95ms.

Le forze speciali delle Forze armate russe a Kiev arresteranno l’intera leadership dell’Ucraina e, se impossibile, la liquideranno sul posto. 

E questo è solo l’inizio! Tra 48 ore inizierà il culmine.

Prendete quanto sopra con un carico di sale di classe Ropucha, ma queste cose sono almeno lontanamente possibili data la portata della catastrofe che si è verificata, che credo sia ora al terzo posto tra le tragedie post-sovietiche – in termini di numero di vittime – dopo l’attacco di Beslan e gli attentati agli appartamenti di Mosca del ’99, superando persino l’attacco al teatro di Mosca del 2002 .

Quindi, anche se gli ucraini hanno nascosto bene le loro tracce per ora, è chiaro a chiunque abbia un cervello non offuscato dalla fede dogmatica che l’Ucraina è l’unica a trarne vantaggio. Naturalmente, è interessante anche il fatto che l’attacco sia avvenuto a poche ore dall’inizio del Purim, una festività che celebra la distruzione della loro nemesi da parte del popolo ebraico. Dico questo alla luce delle famigerate “minacce” fatte da uno dei leader del partito Likud, Amir Weitmann, secondo cui la Russia pagherà un prezzo pesante per il suo sostegno alla Palestina.

Probabilmente si tratta solo di una coincidenza simbolica.

Detto questo, molti in Ucraina e in Occidente hanno festeggiato gli attacchi, come questa stazione francese qui sotto:

Sul canale d’informazione francese LCI, la nota giornalista francese Anne Nivat parla con ammirazione dell’attacco terroristico a Mosca: “Se dietro ci sono gli ucraini, è un capolavoro assoluto, un lavoro fenomenale”.

O questo mercenario australiano:

Per concludere, è inutile dire che i legami dell’Ucraina con l’ISIS erano innumerevoli e ben noti:

Naturalmente, l’Occidente ha minacciato i russi comuni fin dall’inizio della guerra:

Cosa prevede tutto questo per la guerra?

È chiaro che il conflitto sta entrando in una nuova fase – anche se non sarò così drammatico come alcuni nell’esagerare che questo porterà a cambiamenti epocali immediati. L’Ucraina è semplicemente costretta a ricorrere a manovre sempre più disperate e pericolose per smantellare l’unità della Russia, e l’élite russa si sta sempre più consolidando sotto una forma di solidarietà ideologica quando si tratta degli obiettivi finali della guerra. Coloro che in precedenza si erano allineati alla linea, ora riconoscono che solo gli obiettivi massimalisti possono garantire la sicurezza nazionale della Russia.

Non solo Peskov ha promosso il conflitto a “guerra”, ma ora i servizi di sicurezza russi parlano apertamente di designare l’Ucraina come Stato terrorista, eliminare la leadership, ecc. E i recenti attacchi dimostrano che parte di questa retorica escalation non è un semplice servizio a parole. La Russia non solo ha colpito ieri a Kiev con missili ipersonici quelle che sostiene essere alcune posizioni di comando, ma ha anche inferto colpi devastanti alla rete elettrica, questa volta mirando a vere e proprie sale macchine e turbine irreparabili.

La Russia sta colpendo sempre più posizioni di comando; proprio oggi è stato misteriosamente annunciato il decesso di un generale polacco per improvvise e inaspettate “cause naturali”, proprio dopo che la Russia ha distrutto una roccaforte mercenaria a Chasov Yar. Coincidenza?

Ovviamente a questo si aggiungono le escalation della NATO e dell’UE, con un nuovo rapporto che afferma che la NATO sta ora “considerando” di abbattere i missili russi al confine con la Polonia, dopo che uno di essi avrebbe brevemente virato nello spazio aereo polacco durante i recenti attacchi alla regione di Lvov.

In realtà, ciò che è interessante è quanto sia stata forzata l’uscita allo scoperto dell’agenda della NATO, alla luce delle recenti esigenze. Qui, Borrell ammette apertamente – senza più preoccuparsi di aggrapparsi alla facciata – che la guerra in Ucraina riguarda solo gli interessi dell’Europa e non ha nulla a che fare con la cura del popolo ucraino:

Il segreto per decodificare il suo linguaggio già chiaro è capire che Borrell, come il resto della mafia euro-tecnocratica, non è eletto dai cittadini reali, ma piuttosto nominato da un’alta commissione senza volto.

Quindi, quando dice “we non possiamo permetterci che la Russia vinca questa guerra” perché sarebbe dannoso per i “nostri” interessi, a chi potrebbe riferirsi? Il noi non è certo il popolo che lui non rappresenta politicamente. È ovviamente il resto dell’élite comprador che controlla lo strato superiore dell’apparato governativo mondiale, cioè l’élite finanziaria e bancaria. Egli parla a loro nome.

Quindi, sta dicendo che la cabala bancaria mondiale non può permettersi che la Russia vinca la guerra, perché darebbe inizio a una cascata di conseguenze indicibili per la rete egemonica monetaria in cui hanno tentacolarmente avvolto l’intero globo.

Questi comprador di secondo piano si affannano ora a mettere insieme qualche strategia di “contenimento” dell’ultimo minuto per la Russia, dove Macron ha recentemente preso l’iniziativa.

La loro idea di contenimento dell’era della Guerra Fredda si basa su un’ulteriore militarizzazione della società, spendendo cifre record in armamenti e rafforzando gli altri vicini “prossimi” della Russia, come i Paesi baltici e la Moldavia, per prepararli a diventare il prossimo campo di battaglia su cui dissanguare la Russia.

L’articolo dell’Economist inizia con un primo paragrafo piuttosto scialbo:

Si tratta dello stesso concetto prescritto per gli attentati di Mosca: allontanare Putin dal narod – il popolo; fare in modo che lo odino per la paura e il pericolo che ha portato nel cuore della società russa. Il problema è che i cittadini russi sono molto attenti a ciò che sta accadendo perché hanno sviluppato un istinto riflessivo per fiutare le provocazioni dell’Occidente, dopo averle subite per anni dagli anni ’90 in poi. Quindi sanno esattamente da dove provengono gli attacchi e chi ha creato l’ISIS stesso, come ha creato Al-Qaeda per uccidere i sovietici in Afghanistan negli anni ’80 e i jihadisti ceceni negli anni ’90.

Ora i principali leader fantoccio dell’UE si arrampicano l’uno sull’altro per emergere nel nuovo corteo di guerra che gli eventi in corso hanno fatto germogliare:

In mezzo alla confusione e al trambusto, tutti vedono l’opportunità di guadagnare più potere: dopo tutto, la crisi è il momento più ideale per distinguersi dal branco e ottenere un vantaggio smodato.

Ma in definitiva, il motivo per cui questi attacchi dovevano avvenire, come ho detto all’inizio, era quello di mascherare il continuo degrado delle forze armate ucraine:

L’articolo sopra riportato illustra la tumultuosa lotta della Rada ucraina per abbassare l’età di leva:

“Stiamo lottando per abbassare l’età a 25 anni: è una decisione impopolare”, ha dichiarato Fedir Venislavskyi, membro della Rada del partito di governo del presidente Volodymyr Zelensky, che è stato uno dei principali sostenitori della legge. “Dobbiamo aumentare il numero di persone che possono essere mobilitate”.

Un aspetto interessante è che questo è stato di fatto il primo articolo che ci ha finalmente confermato qualcosa di cui abbiamo parlato qui per molto tempo, vale a dire l’esatta ripartizione delle forze di combattimento dell’Ucraina rispetto a quelle non di combattimento:

Secondo le stime di Zelensky, l’esercito ucraino conta quasi 600.000 effettivi. La maggior parte di essi svolge ruoli di supporto lontano dai combattimenti al fronte. A dicembre Zelensky ha dichiarato che l’esercito ha richiesto 500.000 uomini in più, anche se i comandanti hanno detto di non averne bisogno immediatamente.

Questo conferma che la maggior parte dei loro 600.000 effettivi totali stimati sono ruoli di supporto non di combattimento, il che conferma ulteriormente il numero che da tempo sostenevo essere il loro numero di truppe dirette al combattimento in prima linea: circa 200-250.000 al massimo. Ciò è stato confermato dalle fughe di notizie del Pentagono, che hanno elencato il numero di ogni singolo fronte per un totale di appena 200-250k o meno.

Il problema più grave che l’Ucraina deve affrontare non è necessariamente il totale delle “truppe” – se così si possono chiamare – ma in particolare le truppe d’assalto capaci. Il canale Rezident UA riporta:

Il TCK non è in grado di soddisfare il piano di mobilitazione a condizioni minime, e lo Stato Maggiore ha urgentemente bisogno di 200 mila ucraini per ripristinare le riserve e di altri 200-300 mila per essere in grado di condurre contrattacchi.

Ora si dice addirittura che l’abbassamento dell’età a 25 anni non servirà a contenere le perdite, e si parla di abbassarla direttamente a 19 anni, come ha detto questa settimana il presidente della Rada, Dmytro Razumkov:

Ricordiamo che Razumkov è probabilmente la seconda o terza persona più potente dell’Ucraina e si “vociferava” che fosse in linea per assumere la presidenza quando Zelensky sarebbe caduto. Quindi le sue parole hanno un peso.

Sotto gli espedienti, i diversivi del terrore e gli attacchi missilistici, sbagliati ma inutili, contro la Crimea, l’Ucraina continua ad arretrare mentre la Russia avanza a passo di carica, sfondando le linee dell’AFU:

Tecnicamente dovremmo entrare a Rasputitsa solo a maggio o all’inizio di giugno, ma il tempo scorre fino a quando la Russia potrebbe essere pronta a lanciare il colpo di grazia all’AFU. Quando ciò accadrà e l’Ucraina ricomincerà a subire perdite smodate, Zelensky potrebbe non avere altra scelta che avviare la più pesante delle mobilitazioni, che potrebbe finalmente far esplodere la polveriera della società contro di lui. Allora i veri fuochi d’artificio potrebbero iniziare quest’estate.

Infine, per coloro che sono interessati a informazioni più approfondite sulle connessioni con l'”ISIS” e sulla possibile mano dell’MI6 britannico negli attentati di Mosca, ecco un articolo molto informato del corrispondente e giornalista russo in prima linea Marat Khairulin:

Attacco terroristico a Mosca:

La pista tagica porta alla Londra britannica che ha tirato fuori i vecchi scheletri dall’armadio Di Marat Khairulin

La mostruosa tragedia del Municipio di Crocus ha radici molto profonde e conseguenze di vasta portata. Ci torneremo più di una volta. Ma oggi parliamo dell’origine dell’attacco di questa volta. Cerchiamo di risalire almeno approssimativamente alla sua genesi e di capire cosa il nemico principale ci sta lanciando contro, se non le ultime forze, certamente giocando le carte che ha tenuto fino all’ultimo momento.

Due giorni dopo il sanguinoso attacco, nella comunità politica e di intelligence russa era diffusa l’opinione che dietro l’attacco terroristico ci fosse il Regno Unito, o meglio l’Mi6. Si tratta di una scrittura molto simile per questa organizzazione. È un fatto indiscutibile che tutti i principali attacchi terroristici in Russia del periodo post-sovietico, da Beslan a Dubrovka, abbiano avuto una traccia britannica in un modo o nell’altro. I leader terroristici che dirigevano i militanti erano reclutati dall’Mi6. E in alcuni casi (come Basayev e Khattab) collaboravano apertamente con l’Mi6.

In contrasto con questa opinione, la Gran Bretagna ha lanciato un’ovvietà nei suoi principali media: dietro l’attacco terroristico c’è una certa organizzazione Vilayat Khorosan (una branca dello Stato Islamico che opera in Afghanistan). Per gli esperti, questo approccio parla chiaramente a favore della versione che in questo caso particolare ha anche la traccia inglese. Bisogna subito dire che la storia non è semplice ed è molto difficile da capire, quindi oggi ne delineeremo solo alcune caratteristiche. Nel suo periodo di massimo splendore, l’ISIS era un insieme di bande tribali unite principalmente sulla base di finanziamenti provenienti dal Regno Unito. Sia il bandito ash-Shishani (un nativo della Georgia, Batirashvili) che il suo sostituto, il tagiko Khalimov, erano mercenari diretti dell’Mi6.

La portata delle attività dell’ISIS, come proxy dei britannici, alla fine è diventata così grave che ha iniziato a interferire con l’influenza degli Stati Uniti in Medio Oriente e in Asia centrale, e il Regno Unito ha dovuto ridimensionare parzialmente le sue operazioni per non irritare l’egemone. E per un po’ tutti questi terroristi al servizio dell’Mi6 sono finiti nell’ombra, alcuni sono stati addirittura dichiarati morti.

Hanno ricominciato a emergere dopo il ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan. È allora che è apparso sulla scena l’ISIS di Khorosan. Ma in realtà, alcuni capi tribali pashtun che erano sostenuti dagli inglesi. Sono gli unici che hanno accettato di combattere i Talebani. Questo è il punto chiave. Stiamo entrando nella difficile geopolitica dell’Asia centrale.

La maggior parte dei Paesi della regione sostiene gli sforzi dei Talebani per pacificare l’Afghanistan, sperando di garantire in questo modo la propria sicurezza. Tutti tranne il Tagikistan. Che non riesce a trovare un linguaggio comune con i Talebani a causa del fatto che sotto la loro ala operano diverse organizzazioni che in Tagikistan sono considerate terroristiche. È su questa spaccatura che la Gran Bretagna ha giocato per tutti questi anni, dopo che gli americani hanno lasciato la regione, cercando con tutte le sue forze di impedire l’instaurazione della pace in Asia.

A tal fine, subito dopo il ritiro degli Stati Uniti, è iniziato il reclutamento di afghani di etnia tagika nelle bande di Vilayat Khorosan. Cioè il presidente Rahmon, che è molto sensibile a questo tema e considera i tagiki una delle più grandi nazioni divise al mondo, ha iniziato a dimostrare che l’ISIS Khorosan è come la sua. E unendosi al sostegno dei Talebani, sta tradendo gli interessi dei Tagiki. In altre parole, puntando il dito contro l’ISIS Khorosan, che, sottolineo, al momento praticamente non esiste come organizzazione (c’è solo una certa comunità di bande tribali), la Gran Bretagna sta cercando di trascinarci apertamente in Asia. Questo è un altro tentativo degli inglesi di imporci problemi nelle retrovie dopo il Kazakistan. Ma questa è solo una parte del gioco. La seconda non è meno interessante e più esplicita. Il sostegno politico del leader stesso dell’ISIS, il tagiko Khalimov, è sempre stato il Partito della Rinascita Islamica del Tagikistan. È stato dichiarato organizzazione terroristica in patria e, dall’inizio degli anni 2000, indovinate dove si trova il suo quartier generale? Avete indovinato: a Londra.

La portata delle attività dell’ISIS, come proxy dei britannici, alla fine è diventata così grave che ha iniziato a interferire con l’influenza degli Stati Uniti in Medio Oriente e in Asia centrale, e il Regno Unito ha dovuto ridimensionare parzialmente le sue operazioni per non irritare l’egemone. Per un certo periodo, tutti questi terroristi al servizio dell’Mi6 sono finiti nell’ombra, alcuni sono stati addirittura dichiarati morti. Hanno ricominciato ad affiorare dopo il ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan. È allora che è apparso sulla scena l’ISIS di Khorosan. Ma in realtà, alcuni capi tribali pashtun che erano sostenuti dagli inglesi. Sono gli unici che hanno accettato di combattere i Talebani. Questo è il punto chiave. Stiamo entrando nella difficile geopolitica dell’Asia centrale. La maggior parte dei Paesi della regione sostiene gli sforzi dei Talebani per pacificare l’Afghanistan, sperando di garantire in questo modo la propria sicurezza. Tutti tranne il Tagikistan. Che non riesce a trovare un linguaggio comune con i Talebani a causa del fatto che sotto la loro ala operano diverse organizzazioni che in Tagikistan sono considerate terroristiche. È su questa spaccatura che la Gran Bretagna ha giocato per tutti questi anni, dopo che gli americani hanno lasciato la regione, cercando con tutte le sue forze di impedire l’instaurazione della pace in Asia.

Alla vigilia della fuga degli americani dall’Afghanistan, i britannici si sono occupati dei tagiki e nel 2018 hanno creato a Varsavia l’Alleanza Nazionale del Tagikistan sulla base di questo partito, dove hanno cercato di stipare i resti di tutti i delinquenti tagiki sopravvissuti dopo la sconfitta dell’ISIS. L’alleanza era guidata da Kabirov, una figura che ha camminato a fianco di Khalimov per tutta la vita. Lo scopo della creazione di una nuova organizzazione era semplice: L’Occidente stava perdendo la guerra in Siria ed era necessario stabilire il traffico di militanti dal Tagikistan.

Il NAT fungeva da sportello unico in cui la Gran Bretagna forniva denaro e Kabirov e Halimov erano impegnati nell’esportazione di “carne” tagica. Va detto che Khalimov è stato considerato nominalmente morto dal 2017, ma c’è anche una seconda opinione secondo cui è stato semplicemente “rimosso” nell’ombra dopo che gli americani hanno puntato sull’ISIS. Ma cosa c’entra tutto questo con gli eventi del Municipio di Crocus? Pazienza, cari lettori. Siamo quasi arrivati al punto.

Nel 2022, con l’inizio dello SMO, la cosiddetta brigata Jabhat Al-Shamiya è apparsa come parte del corpo mercenario in Ucraina. O meglio, uno dei suoi distaccamenti operanti nell’area di Aleppo. Questo distaccamento è guidato da un comandante di campo (di nazionalità tagica), braccio destro di Khalimov. Di lui si sa solo che il suo soprannome è Shusha e che di formazione è un insegnante di storia. Esiste una versione secondo cui si tratta di uno dei tanti parenti e cugini di Khalimov. Non parlerò ora del percorso di combattimento di questi basmachi tagiki in Ucraina, perché anche lì c’è qualcosa di cui parlare.

Jabhat Al-Shamiya è stato uno dei principali destinatari dei fondi britannici stanziati attraverso l’Alleanza Nazionale del Tagikistan. Ed ecco che (attenzione!) un mese dopo il fallimento della controffensiva dell’AFU (forse un po’ più tardi, a cavallo tra ottobre e novembre), Ilya Ponomarev, il leader politico dei nuovi “Vlasoviti” (Corpo Volontario Russo), e il leader politico dei terroristi tagiki Kabirov si incontrano a Londra. In seguito, sono stati registrati numerosi altri incontri a Varsavia. Già a livello di funzionari. Ci sono alcuni dettagli interessanti su questi incontri, in particolare su chi li ha supervisionati. Ma di questo parleremo la prossima volta.

E ora vediamo un attacco coordinato a Belgorod da parte di nuovi “Vlasoviti” (Corpo Volontario Russo), e a Mosca da parte di militanti tagiki. Penso che l’affiliazione dei terroristi arrestati all’Alleanza Nazionale del Tagikistan sarà presto confermata in un modo o nell’altro. Perché andare alla NAT? Si sa per certo che il reclutamento (a pagamento per le strade e il sollevamento) in Russia è effettuato dall’Unione Nazionale dei Migranti del Tagikistan, membro dell’Alleanza, che è anche considerata un’organizzazione estremista in patria e in Russia. Proprio questa Alleanza assicura l’esistenza di una rete di agenti dormienti dal Tagikistan in Russia. Gli agenti sono principalmente nelle mani dell’Mi6, perché, inutile dirlo, questa Alleanza è stata creata negli anni 2000 sotto la diretta guida dei britannici. In altre parole, il Regno Unito ha iniziato a mettere insieme un fronte terroristico unito contro la Russia non appena è stato chiaro che la controffensiva era fallita e l’Ucraina era condannata. Inoltre, come da tradizione, il Regno Unito ha cercato di incastrare o incarcerare l’egemone.

Ovviamente, l’egemone non ha gradito e ha cercato di mettere in guardia Mosca. Allo stesso tempo, cercando di non rinunciare al suo più stretto alleato. Anche se, a dire il vero, anche da questa storia si capisce che con alleati del genere gli Stati Uniti non hanno bisogno di nemici. Ma non è tutto. C’è anche un’opinione nella nostra comunità politica e di intelligence, di cui non si parla molto, ma c’è: i britannici hanno mostrato una palese attività amatoriale, e ora tutti sono congelati in attesa di una resa dei conti tra gli alleati. E la prima reazione seria della Russia all’attacco terroristico è già seguita (anche se forse si tratta di una coincidenza): Il nostro rappresentante all’ONU, Nebenzia, ha dichiarato che la Russia non riconoscerà Zelensky come legittimo dopo la scadenza del suo mandato. E dal momento che voi non siete nessuno ai nostri occhi, è possibile che subito dopo quel giorno Hitler Zelensky venga denaturalizzato in modo dimostrativo. A meno che, naturalmente, non venga fatto fuori dai suoi amici britannici prima di allora. In attesa di questo glorioso evento, speriamo che Budanov (un agente diretto dell’Mi6) e Ponomarev (un agente ancora più diretto) vadano presto al giudizio di Dio. È ora, è ora, il diavolo li sta chiaramente aspettando all’inferno.


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Uscire dalla trappola americana della contrapposizione NATO-Russia, del Generale (2S) Grégoire Diamantidis

Uscire dalla trappola americana della contrapposizione NATO-Russia: un prerequisito essenziale per l’emergere di un’Europa politica.
Introduzione
In un momento in cui il mondo è in profonda crisi economica e sta attraversando grandi cambiamenti politici, climatici, demografici e migratori, e in cui stanno emergendo nuovi confronti tra le due principali potenze mondiali, Cina e Stati Uniti, nonché tra le potenze regionali emergenti, l’Europa fatica a far sentire la propria voce. Consapevoli di queste debolezze e desiderosi di raggiungere questo status, alcuni Paesi europei stanno cercando da alcuni anni di dotarsi di risorse e strutture, sia militari che politiche, per garantire non solo autonomia decisionale, ma anche un peso politico commisurato al suo peso economico e demografico. Dalla metà degli anni Novanta sono state avviate diverse iniziative all’interno dell’Unione Europea nell’ambito della Politica europea comune di sicurezza e difesa (PESC): – la creazione dell’Agenzia europea per la difesa (AED) – il Fondo europeo per la difesa (FES); Inoltre, da quando è stato redatto il documento iniziale della Strategia europea di sicurezza e di difesa (SSSE), molta acqua è passata sotto i ponti e sono circolate molte idee e studi nel tentativo di estendere le competenze dell’Unione europea in materia di difesa oltre i compiti di Petersberg, che hanno portato in particolare a: – la decisione di creare una Cooperazione Strutturata Permanente (CPS), oppure – l’Iniziativa di Intervento Europea (IEI), con l’obiettivo di conferire una maggiore autonomia decisionale e di conduzione delle operazioni esterne. Allo stesso modo, il Trattato di Aquisgrana recentemente firmato da Francia e Germania e le dichiarazioni congiunte dei nostri due leader in vista di un esercito europeo sono tutti sforzi che vanno nella stessa direzione, quella di un’Europa che si faccia carico della propria difesa, dotandosi delle risorse e delle strutture militari necessarie per questa missione. Tuttavia, anche se queste iniziative rappresentano un passo nella giusta direzione, è chiaro che dopo oltre 70 anni di dipendenza dagli Stati Uniti per la propria sicurezza, l’Europa ha ancora un lungo e difficile cammino davanti a sé per liberarsi dall’assoggettamento, se non addirittura dalla sottomissione, in cui si è volontariamente posta nei confronti del suo grande alleato americano.

Se questa sottomissione poteva essere giustificata di fronte alla minaccia rappresentata dal Patto di Varsavia, la scomparsa di quest’ultimo e la dissoluzione dell’Unione Sovietica all’inizio degli anni Novanta hanno cambiato completamente la situazione, poiché la NATO, avendo perso la sua missione essenziale di difesa dell’Europa, ha perso allo stesso tempo la sua ragion d’essere, il che avrebbe dovuto portare ipso facto al suo scioglimento. Ma questo senza tener conto delle comode abitudini acquisite su entrambe le sponde dell’Atlantico, perché, al contrario, la NATO, su impulso degli Stati Uniti e con il consenso degli entusiasti europei, ha intrapreso una politica di autogiustificazione a oltranza, con conseguenze potenzialmente pericolose per l’Europa, come vedremo in seguito. Infatti, per i Paesi europei membri dell’Alleanza (con la notevole eccezione della Francia, che ha cercato di far rinascere l’UEO a partire dal 1991), tale scioglimento avrebbe significato prendere in mano la propria difesa, con il coraggio politico e finanziario che ciò comportava, e soprattutto per gli Stati Uniti avrebbe significato una grave perdita di influenza politica sul continente europeo occidentale, con ripercussioni economiche non indifferenti, soprattutto in termini di vendita di armi. Ecco perché resta ancora tutto da fare se si vuole che l’Europa raggiunga lo status di vera potenza militare e politica, indipendente dagli Stati Uniti, alleata ma non sottomessa. Non è scopo di questa analisi, in questa fase, proporre una soluzione o un’altra per dare all’Europa lo status di potenza autonoma, data la complessità del problema (sia politicamente che militarmente) e l’ampia gamma di opzioni possibili: una revisione radicale (o addirittura lo scioglimento?) dell’Alleanza Atlantica, la creazione di un’Alleanza Europea, una Confederazione Europea, la creazione di un nucleo europeo permanente, una struttura che permetta coalizioni ad hoc, e così via. Dall’altro, si propone di evidenziare l’urgenza per l’Unione Europea di uscire dalla doppia trappola in cui si è lasciata intrappolare sia dalla geopolitica della NATO che da quella degli Stati Uniti, se vuole acquisire un reale peso politico e militare, qualunque sia la forma e il modello futuro di una possibile Europa come vera potenza politica. Il meccanismo americano-ottomano di creazione artificiale del “nemico russo” attraverso la provocazione-reazione, che già da 20 anni ha pericolosamente riportato il continente europeo verso una “pace fredda”, in attesa di una nuova guerra fredda, deve essere interrotto con urgenza. All’interno dell’Unione Europea, solo la Francia, con l’aiuto della Germania, può e deve prendere iniziative forti, anche dirompenti, per raggiungere la Russia, al fine di convincere i nostri partner “sottomessi alla NATO” a riportarla in un’autentica partnership con l’Europa. Di fronte alle crescenti minacce nei suoi approcci meridionali, l’Europa non ha bisogno di creare una nuova minaccia a est. La vera sicurezza dell’Europa può essere raggiunta solo con la Russia, non contro di essa.

La trappola della NATO.

La riunificazione tedesca fu sancita il 12 settembre 1990 dal Trattato di Mosca, noto come “2+4” (RFT, DDR + Francia, Regno Unito, USA, URSS). Per consentire alla Germania di riacquistare la sua piena sovranità, esso prevedeva il ritiro di tutte le forze sovietiche, in cambio, tra l’altro, della rinuncia della Germania al possesso di tutte le armi di distruzione di massa, con le seguenti due clausole:- Art. 3 “…. [L’art. 5 stabilisce che le forze della NATO possono essere successivamente dislocate nella parte orientale della Germania, ma si impegnano a non dislocare armi nucleari dopo l’evacuazione dell’ex DDR da parte delle truppe sovietiche. Inoltre, per ottenere il consenso di Mikhail Gorbaciov all’ingresso della Germania Est nella NATO, la Germania (Helmut Kohl) e gli Stati Uniti (George H. W. Bush) si impegnarono verbalmente con la Russia a non estendere la NATO più a est, oltre i confini della Germania riunificata. Al contrario, sotto l’impulso degli Stati Uniti, la NATO non ha tardato a dimenticare le assicurazioni date alla Russia, adottando immediatamente una strategia molto più offensiva, che è stata chiaramente percepita come aggressiva dalla Russia.

L’allargamento della NATO: “La conquista dell’Est” …… o come far arretrare la Russia e isolarla coinvolgendo l’Europa nella manovra.1991

È particolarmente interessante notare che certi criteri molto spesso “anticipano” quelli, molto simili, che anche l’UE imporrà ai suoi futuri candidati. La NATO non svolgerà più un ruolo essenzialmente militare e di difesa, ma fungerà d’ora in poi da punto di riferimento morale e definirà cosa intende per “buona condotta” in termini di economia (liberalizzazione dei mercati), sistemi politici (forme di democrazia, sistema multipartitico, minoranze, ecc.), diritti umani, controllo democratico delle forze armate, ecc.

È notevole notare che nella stragrande maggioranza delle adesioni, la cronologia mostra chiaramente che o la NATO precede l’UE, o c’è una sincronizzazione virtuale, rendendo l’UE, nolensvolens e difficilmente caricaturale, l'”allegato economico” della NATO. Di fatto, per i Paesi candidati, l’accettazione da parte della NATO spiana la strada all’ingresso nell’UE, come mostrano i rispettivi calendari di adesione: Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca: NATO nel 1999 seguita dall’UE nel 2004; Estonia, Lettonia, Lituania, Slovacchia e Slovenia: NATO e UE sincronizzate nel 2004; Bulgaria e Romania: NATO nel 2004 seguita dall’UE nel 2007; Croazia: NATO nel 2009 seguita dall’UE nel 2013. Certo, “il confronto non è ragione”, ma questo parallelismo, sia in termini di calendario che di condizioni di ammissione, è servito solo a rafforzare una certa osmosi UE/NATO preesistente: era la NATO a entrare nell’UE o l’UE nella NATO? E in effetti, sembra che a partire dagli anni Duemila, nonostante il tentativo di riavvicinamento alla Russia, la NATO, rifiutando la mano tesa da Medvedev, sia stata seguita dall’UE, che ne ha seguito l’esempio, cosicché queste due organizzazioni sono apparse di fatto complementari nelle loro politiche di pressione, intervento, sanzioni ed emarginazione della Russia. Così, come vedremo, dall’inizio di questo secolo l’UE – in quanto tale o attraverso alcuni dei suoi Paesi membri – si è trovata associata, volente o nolente, alle politiche interventiste della NATO e degli Stati Uniti, sia in Europa che al di fuori di essa, portando in ultima analisi al ripristino della “buona vecchia minaccia russa”, essenziale per la sopravvivenza della NATO e per il mantenimento dell’Europa sotto tutela americana.
Intervento e mantenimento della pace: la NATO va oltre i suoi confini. Kosovo: la NATO decide senza un mandato ONU, l’Europa la segue, la Russia è umiliata
Dopo aver permesso lo smantellamento pacifico dell’URSS, la Russia si è trovata fortemente ridimensionata sia economicamente che militarmente e ha dovuto risolvere gli enormi problemi creati in tutto l’ex spazio sovietico dall’improvvisa perdita della sua zona cuscinetto a ovest e dalla presenza di grandi minoranze russe al di fuori dei suoi nuovi confini. La Russia riteneva che la sua “vittoria” sul sistema sovietico, e la pace che così offriva al mondo, giustificasse l’alto prezzo che stava pagando, ma naturalmente pensava di avere il diritto di aspettarsi un aiuto dall’Occidente in cambio della sua ripresa. Purtroppo, l’Occidente, sotto l’influenza degli Stati Uniti, fedeli alla loro ossessione per la Russia, ha interpretato la situazione in modo del tutto diverso, considerandola nient’altro che una vittoria sulla Russia che doveva essere sfruttata il più rapidamente e il più efficacemente possibile.
Questo le consentirà di intervenire in vari modi per destabilizzare o addirittura scatenare una guerra, il più delle volte con l’obiettivo finale di umiliare, isolare o stigmatizzare la Russia e, se possibile, provocarla a commettere errori, che saranno poi prontamente denunciati e trasformati in una minaccia per la pace, giustificando così il rafforzamento della NATO. Lo schema classico per giustificare queste guerre umanitarie sarà sempre di questo tipo: intense campagne mediatiche – il più delle volte fuorvianti – con indignazione selettiva e mobilitazione dell’opinione pubblica occidentale per far leva sui governi alleati della NATO, seguite dalla loro partecipazione a coalizioni a geometria variabile. Se necessario, senza l’accordo dell’ONU, i risultati possono essere disastrosi sia politicamente che in termini di perdite umane, ma la NATO punterà sempre, nel corso dei suoi interventi, ad allontanare la Russia dall’Europa attuando questa spirale di autogiustificazione. A questo proposito, la guerra in Kosovo è un caso da manuale.

La guerra in Kosovo: un monumento alla disinformazione, alla menzogna e alla manipolazione
Il 24 marzo 1999, tredici Stati membri dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO), tra cui Stati Uniti, Francia e Germania, hanno bombardato la Repubblica Federale di Jugoslavia per 78 giorni. La guerra è stata lanciata sulla base di una vasta menzogna mediatica volta a “scaldare” l’opinione pubblica occidentale e a farle adottare la posizione della NATO.
All’inizio la campagna di disinformazione.
I giornali più seri e alcuni canali televisivi non hanno esitato ad accusare i serbi di genocidio: loro [i serbi] commettono un “genocidio”, “giocano a calcio con teste mozzate, scuoiano i cadaveri, strappano i feti alle donne incinte uccise e li grigliano”, secondo il ministro della Difesa tedesco, le cui parole sono state riprese dai media; hanno ucciso “tra le 100.000 e le 500.000 persone” (TF1, 20 aprile 1999), incenerendo le loro vittime in “forni del tipo usato ad Auschwitz” (The Daily Mirror, 7 luglio). Allo stesso modo, un presunto piano serbo “Potkova” (ferro di cavallo) per la pulizia etnica dei kosovari già nel 1998 è stato presentato dai media occidentali (dall’ispettore generale della Bundeswehr) e ha fortemente influenzato l’opinione pubblica, in vista di un coinvolgimento della Germania. La diffusione di questo documento da parte della Germania nell’aprile 1999 è servita da pretesto per intensificare i bombardamenti. In questa vicenda, i principali disinformatori sono stati i governi occidentali, la NATO e i più autorevoli organi di stampa europei. Questo piano si è rivelato nel dopoguerra un falso fornito alla NATO dai servizi bulgari!
Poi il casus-belli: Racak o la fabbricazione del colpevole ideale, la Serbia.
Nel villaggio di Racak, in Kosovo, sono stati scoperti 45 cadaveri all’inizio del 1999. La scoperta fu immediatamente trasformata dai media occidentali in un massacro di civili albanesi attribuito alle forze serbe.
Le forze serbe provocarono l’indignazione mondiale e furono usate come pretesto per giustificare i bombardamenti sulla Jugoslavia. La NATO aveva finalmente il suo casus-belli. All’epoca dei fatti, ero personalmente responsabile delle ispezioni sul disarmo delle varie parti belligeranti dell’ex Jugoslavia (accordi di Dayton-Parigi), compresa la Serbia, sulla responsabilità serba di questo massacro, la cui macabra messa in scena ci sembrava una manipolazione di dubbia origine (secondo certe mutilazioni “codificate”, sembrava piuttosto la firma delle mafie albanesi); ma non avevamo alcuna certezza. L’indagine fu affidata a una donna finlandese di fama mondiale. A capo di un’équipe di investigatori internazionali, la dottoressa Helena Ranta, specialista in medicina legale, fu rapidamente sottoposta, attraverso i suoi superiori, a forti pressioni americane per dare credito alla falsa versione della colpevolezza serba in questo caso. Infatti, William Walker, il capo americano della missione OSCE in Kosovo nell’inverno 1998-1999, furioso per le conclusioni del suo rapporto, che non aveva usato “un linguaggio sufficientemente convincente” sulle atrocità serbe, intervenne presso il Ministero degli Esteri finlandese per esigere da lei “conclusioni più approfondite”. Era assolutamente necessario che dimostrasse che gli spari che avevano ucciso le vittime erano il risultato di un’esecuzione. L’obiettivo degli Stati Uniti era quello di aiutare i guerriglieri separatisti albanesi (l’UCK) e di inscenare un massacro attribuito ai serbi in modo che l’Occidente potesse intervenire militarmente contro la Serbia, alleata e amica della Russia. Helene Ranta fu infine costretta a dichiarare alla stampa che “sì, è stato un crimine contro l’umanità”,
e infine la guerra,
che per la NATO è consistita in 78 giorni di operazioni tra marzo e maggio 1999, con più di 58.000 sortite aeree, la maggior parte delle quali ha preso di mira le infrastrutture serbe. La Serbia è stata infine costretta ad accettare il piano di pace che le è stato imposto in giugno e ha dovuto ritirare le sue truppe dal Kosovo, che è stato posto sotto la supervisione internazionale della KFOR dell’ONU e della NATO.
Le conseguenze per l’Europa e il mondo.
La guerra in Kosovo ha avuto diverse conseguenze: – ha umiliato la Russia mettendola di fronte al fatto compiuto della perdita da parte della Serbia, sua alleata, di una provincia, il Kosovo, che ha dichiarato unilateralmente la propria indipendenza nel 2008 (immediatamente riconosciuta dagli Stati Uniti e da alcuni Paesi europei); – ha dimostrato che la NATO può aggirare le Nazioni Unite per dichiarare la legge e scatenare una guerra, e poi usare le Nazioni Unite per gestire la crisi che ne deriva (KFOR/ONU),

Ha legittimato l’attacco al principio della sovranità degli Stati e dell’inviolabilità delle frontiere (la Russia se ne ricorderà quando ha annesso la Crimea (senza bombe e senza sparare un colpo), indebolendo così il multilateralismo dell’ONU, indebolendo il multilateralismo dell’ONU a vantaggio dell’unilateralismo americano, ha avvicinato la Russia alla Cina (la cui ambasciata a Belgrado era stata bombardata), portando alla creazione dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO) nel giugno 2001. Più fondamentalmente, la NATO, disinibita com’era, ha potuto approfittare della momentanea debolezza della Russia per estendere il suo allargamento fino ai confini russi a partire dai primi anni 2000 e rafforzarsi militarmente, creando così un vero e proprio cordone sanitario. In effetti, è stato più facile sfruttare la paura – certamente del tutto comprensibile – che la Russia poteva incutere negli Stati baltici, trasformandoli immediatamente in uno “scudo contro l’Orso russo”. Nello stesso spirito, invece di aiutare l’OSCE a gestire, con la Russia e non contro di essa, i vasti problemi lasciati in eredità dalla caduta dell’impero sovietico, l’Occidente ha sostenuto le “rivoluzioni colorate” del 2003 in Georgia e del 2004 in Ucraina, al fine di insediare leader filo-occidentali e portare questi Paesi fuori dall’orbita della Russia. Nel giugno 2008, nel tentativo di rompere questa morsa, la Russia ha proposto un nuovo “Patto di sicurezza europeo” volto a risolvere i conflitti irrisolti in Europa orientale (Transnistria, Abkhazia, Ossezia, ecc.), Abkhazia e Ossezia del Sud), in cambio di un certo grado di neutralità nei confronti della NATO da parte di Georgia, Ucraina e Moldavia, cioè del suo immediato “retroterra”. Inoltre, al fine di preservare l’equilibrio della deterrenza nucleare con gli Stati Uniti al livello più basso possibile in Europa, la Russia mirava anche a risolvere la questione nucleare iraniana, un pretesto usato dagli americani per dispiegare il loro scudo antimissile in Europa, che in realtà mirava ai missili russi. Nel complesso, il progetto prevedeva la creazione di un partenariato strategico con l’UE e la NATO, comprendente vari aspetti: militari (disarmo convenzionale), economici (forniture di energia), diritti umani, ecc. Nell’agosto 2008, la Georgia, incoraggiata dalla NATO, ha pensato di poter risolvere i separatisti osseti e abkhazi con la forza delle armi e, nel giro di poche settimane, ha perso la guerra contro i secessionisti sostenuti dalla Russia. In questo modo, la Russia ha dimostrato che l’Occidente si era spinto troppo oltre e che ora intendeva darsi i mezzi per esercitare la propria influenza nella sua immediata zona di sicurezza.
L’affare ucraino
La destabilizzazione da parte degli occidentali. Il colpo di stato antirusso.
La Russia ha reagito in Crimea, l’orso è diventato finalmente aggressivo e la NATO ancora più indispensabile.
Eravamo tornati all’era del confronto, proprio come voleva la NATO. La strategia di ricerca del confronto con la Russia in Europa era ormai consolidata e sarebbe proseguita fino al suo culmine con la vicenda ucraina di “Euromaidan”, in cui l’UE e la NATO hanno svolto un ruolo importante dietro le quinte. Eletto nel 2005 sulla scia della “rivoluzione arancione” del 2004, il presidente Yushchenko, molto favorevole all’UE e alla NATO, è stato sostituito nel 2010 dal presidente Yanukovych con un programma più favorevole alla Russia. Nel 2013, l’Ucraina, appesantita da un debito di 17 miliardi di dollari (soprattutto di gas) nei confronti della Russia e sull’orlo dell’insolvenza, ha chiesto all’UE un prestito di 20 miliardi di dollari, che è stato rifiutato. A fine novembre 2013, la decisione del governo Yanukovych di non firmare l’accordo di associazione con l’Unione Europea ha scatenato enormi manifestazioni in piazza Maidan, incoraggiate in particolare dalla Germania e sostenute ufficialmente dagli Stati Uniti. Nonostante l’accordo raggiunto con la Russia sulla risoluzione del debito a metà dicembre, le manifestazioni pro-europee si sono intensificate sotto il duplice effetto di una brutale repressione da un lato e di un sostegno sempre più attivo da parte di varie ONG pro-europee e americane (tra cui l’Open Society Institute di George Soros), culminando nella rimozione forzata del Presidente eletto Yanukovych all’inizio del 2014. Questa destituzione, che non poteva che essere vista dalla Russia come un vero e proprio colpo di Stato volto a sottrarre l’Ucraina – il già citato cuore della “vecchia Russia” – alla sua influenza e a completarne lo strangolamento, ha innescato una grave crisi culminata nella proclamazione dell’indipendenza della Crimea, seguita dal suo ritorno alla Russia, e nella guerra civile tra l’esercito ucraino e i ribelli filorussi nel Donbass. Per la NATO, il cerchio dell’autogiustificazione è ora completo: il ritorno della Crimea alla Russia e la guerra nel Donbass segneranno definitivamente il destino della Russia, che l’Occidente potrà finalmente chiamare ancora una volta “la minaccia”. Allo stesso tempo, gli Stati Uniti hanno rafforzato la loro presenza militare in Europa e gli europei sono stati fermamente “invitati” ad aumentare i loro bilanci militari nella NATO… acquistando equipaggiamenti americani (“Honni soit qui mal y pense”) per far fronte alla minaccia russa. Tutto è tornato in ordine, c’era di nuovo un nemico a Est e la NATO, sempre sotto il comando americano, poteva continuare a rafforzarsi ai confini della Russia, schierandosi lì per mostrare la sua forza. La Russia sta reagendo simmetricamente rafforzando la sua presenza militare in Europa, e la “pace fredda” con la Russia è stata ora stabilita “in attesa di meglio” con la strategia nucleare americana, come vedremo.

L’unilateralismo degli Stati Uniti, un pericolo strategico per l’Europa (e per il mondo):
parallelamente alla strategia della NATO in Europa, a partire dai primi anni 2000 gli Stati Uniti, preoccupati dall’ascesa della Cina, hanno cercato di darsi “mano libera” rispetto ai vincoli internazionali, adottando una strategia di potenza generale volta a liberarsi dai vincoli del multilateralismo (ONU, OSCE) e di alcuni trattati internazionali.
Due aspetti di questa strategia, tra gli altri, hanno fatto sì che l’Europa in particolare si trovasse in una situazione preoccupante per la sua sicurezza. La politica americana in Iraq, sostenuta da molti Stati europei, che finirà per portare alla divisione dell’Europa e alla destabilizzazione del Medio Oriente, con un aumento significativo della minaccia terroristica sul fianco meridionale dell’Europa, la strategia degli Stati Uniti di mettere in discussione i principali trattati nucleari con la Russia e l’uso della NATO per alterare l’equilibrio nucleare con la Russia, rendendo l’Europa vulnerabile a un potenziale riarmo nucleare generale ai suoi confini.
L’Iraq dopo la prima guerra del Golfo: unilateralismo, strumentalizzazione e manipolazione americana
Messo sotto embargo e sanzioni economiche dall’ONU all’inizio del 1991, dopo la prima guerra del Golfo, l’Iraq ha visto distruggere i resti del suo arsenale di armi di distruzione di massa (WMD) dalle numerose missioni di ispezione dell’UNSCOM (Commissione Speciale delle Nazioni Unite), ininterrotte dal 1991 al 1998. Queste ispezioni altamente invasive ed efficaci hanno portato alla distruzione quasi totale, sotto controllo internazionale, di tutte le armi di distruzione di massa che erano sopravvissute alle due precedenti guerre dell’Iraq (1980-88 contro l’Iran e 1991 contro la coalizione occidentale). Ci sono state alcune crisi tra l’Iraq e l’UNSCOM, che è stata percepita dagli iracheni come sempre più arrogante e, soprattutto, sempre più ostile e persino provocatoria. Ad esempio, quando la commissione ha preteso il libero accesso, senza preavviso, ai vari palazzi presidenziali, l’Iraq ha infine dovuto cedere, ma quest’ultima richiesta è stata accolta come un’inutile umiliazione aggiuntiva. Inoltre, sebbene alcune ispezioni abbiano dimostrato che l’Iraq si stava comportando bene e stava compiendo sforzi reali, sono state presentate al Consiglio di Sicurezza in modo parziale, sotto la pressione americana, con un tono sufficientemente negativo da indurre l’ONU a non autorizzare questa o quella quota di esportazioni di petrolio in cambio di forniture di cibo all’Iraq, come previsto dalla risoluzione “oil for food”, ed è diventato sempre più chiaro che gli Stati Uniti stavano cercando di strangolare l’Iraq (attraverso l’embargo alimentare), il che non era l’obiettivo dell’ONU. Ben presto divenne chiaro che l’UNSCOM veniva utilizzato in larga misura dagli anglosassoni (Stati Uniti e Regno Unito in particolare) per perseguire la loro politica di intelligence nazionale e, soprattutto, per smembrare l’Iraq, al punto che il suo capo, l’australiano Richard Butler, giudicato un po’ troppo “cooperativo” con gli americani, dovette essere sostituito durante il suo mandato.
La fine delle ispezioni fu provocata dagli Stati Uniti e dal loro alleato britannico.

Un esempio regolare di questa strumentalizzazione dell’ONU a vantaggio degli obiettivi bellici anglo-americani è stato il fatto che, durante alcune missioni, gli ispettori (statunitensi o britannici) non hanno esitato a indicare le coordinate GPS precise su tale e tale porta di un hangar, elencando così un catalogo di obiettivi o di siti militari fissi (che sono stati poi colpiti in modo molto preciso dalla guida laser…). L’istituzione nel 1992, senza mandato ONU, di 2 no-fly zone (da parte di Regno Unito, Stati Uniti e Francia) a nord del 36° parallelo e a sud del 33°, con l’obiettivo ufficiale di proteggere i curdi a nord e gli sciiti a sud, è stata in realtà utilizzata dagli anglo-americani per bombardare le strutture militari irachene in preparazione dell’offensiva aerea del dicembre 1998. Con il pretesto che l’Iraq non stava cooperando a sufficienza con gli ispettori dell’UNSCOM, gli Stati Uniti e il Regno Unito lanciarono l’Operazione Desert Fox dal 16 al 19 dicembre 1998, iniziando una vasta campagna di bombardamenti massicci su obiettivi militari iracheni, sempre senza alcun mandato delle Nazioni Unite. Tanto che l’UNSCOM fu avvertita la sera prima di lasciare Baghdad prima dell’alba! Le squadre di ispettori e il personale della Commissione lasciarono in fretta e furia la sede del Canal Hotel di Baghdad e riuscirono a raggiungere il confine giordano all’alba, giusto in tempo prima dell’inizio dei bombardamenti. Il Consiglio di Sicurezza fu semplicemente “informato”, nel bel mezzo di una riunione, che i bombardamenti erano in corso da quella stessa mattina! Questa operazione, che causò tra i 1000 e i 2000 morti iracheni, pose fine alle ispezioni dell’ONU e fu seguita dallo scioglimento dell’UNSCOM da parte del Consiglio di Sicurezza. Ma tutti i media occidentali sostennero che era stato Saddam Hussein a provocare la fine delle ispezioni! Non è irragionevole pensare che, poiché le ispezioni non trovavano più armi di distruzione di massa in Iraq, il “rischio” di una futura revoca delle sanzioni da parte dell’ONU stava crescendo, e che quindi era meglio bloccare il processo che avrebbe potuto dimostrare che l’Iraq era pulito e privo di armi di distruzione di massa, come gli eventi del 2003 avrebbero dimostrato! Alla fine, ancora una volta, come nel caso del Kosovo, gli Stati Uniti, con il loro alleato britannico, si stavano affrancando dall’ONU e in particolare dagli altri 3 membri permanenti del Consiglio: Francia, Russia e Cina. Ancora una volta, gli europei (tra gli altri) che avevano collaborato attivamente e lealmente attraverso l’UNSCOM al disarmo dell’Iraq per consentirne il normale rientro nella comunità internazionale, si sono ritrovati, nella percezione di parte del mondo arabo musulmano sunnita, associati come occidentali all’impresa americana di distruggere l’Iraq; si vedrà presto che lo Stato Islamico se ne ricorderà. Gli altri due membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, Russia e Cina, ancora una volta messi di fronte al fatto compiuto, hanno protestato, ma rendendosi conto che solo la forza sarebbe stata rispettata in futuro, hanno deciso di intensificare la loro cooperazione (soprattutto militare) all’interno della SCO, in risposta a questo indebolimento del multilateralismo dell’ONU.La seconda guerra del Golfo 2003.

Il trionfo della menzogna e dell’arroganza americano-britannica,

L’UE era divisa e inesistente. L’ONU è stata disprezzata: Russia e Cina, umiliate, si sono avvicinate.
Poiché l’UNSCOM non era più in grado di tornare in Iraq, l’ONU istituì una nuova commissione, l’UNMOVIC (United Nations Monitoring, Verification and Inspection Commission), con il compito, in attesa di un eventuale ritorno in Iraq, di analizzare e presentare al Consiglio di Sicurezza i risultati complessivi degli 8 anni di ispezioni, che l’UNSCOM aveva sfruttato solo in parte, in modo che il Consiglio di Sicurezza potesse avere al più presto un parere oggettivo sull’eventuale esistenza residua di armi di distruzione di massa (WMD). Questa nuova commissione internazionale si mise ad analizzare più di 2 milioni di pagine di rapporti di ispezione, la maggior parte dei quali era rimasta “addormentata” negli armadi, e presentò ogni settimana i progressi del suo lavoro al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Con il passare dei mesi, è emerso gradualmente che in un settore o nell’altro (chimico, biologico o missilistico) il conteggio delle armi utilizzate (sia tra il 1980 e l’88 contro l’Iran, sia distrutte nel 1991 dalla prima coalizione occidentale) non era proprio a zero, sommate alle armi distrutte negli 8 anni di ispezioni/distruzioni, almeno le poche incertezze residue erano infinitesimali rispetto alle scorte iniziali (ad esempio, tra più o meno 100 proiettili chimici introvabili sui 68.000 dello stock iniziale, lo stesso per i razzi, ecc.) . Eravamo ben lontani da una “minaccia globale”, come ci hanno sbandierato i canali televisivi americani nel 2002, e più l’UNMOVIC si addentrava nel suo lavoro nel 2001 e nel 2002, più sembrava che gli 8 anni di ispezioni internazionali dell’ONU avessero eliminato tutto. Si dà il caso che chi scrive queste righe fosse l'”assistente analitico” del capo dell’UNMOVIC, l’ambasciatore svedese Hans Blix, e avesse quindi il compito di fornirgli le sintesi settimanali della divisione degli analisti internazionali, che venivano poi presentate al Consiglio di Sicurezza, sulle armi di distruzione di massa chimiche, biologiche e missilistiche. Per gli angloamericani era assolutamente necessario ricreare “la minaccia Saddam”. Così la CIA si presentava ogni quindici giorni con informazioni satellitari “top secret”, per mostrarci un presunto rifugio/laboratorio biologico scoperto nel deserto, o altre informazioni sensazionali, ma il più delle volte inventate, o “manipolate”, secondo anche gli esperti americani dell’UNMOVIC! Per quanto riguarda il dossier sulle armi di distruzione di massa biologiche, eravamo in contatto regolare con un biologo britannico, David Kelly, ex ispettore in Iraq, che veniva a New York ogni mese per informarci dei progressi del nostro lavoro, per poi riferire a Londra. Serio e intellettualmente onesto, si convinse presto che il dossier “biologico” era vuoto e probabilmente lo aprì incautamente al suo ritorno a Londra. Identificato come la fonte di un giornalista della BBC che aveva sostenuto che il governo aveva abbellito le informazioni di intelligence sulla presenza di armi di distruzione di massa in Iraq per giustificare l’entrata in guerra contro il regime di Saddam Hussein, subì una tale pressione da parte delle autorità britanniche che si scoprì che si era “ufficialmente suicidato”. La vicenda scatenò uno scandalo di Stato sotto Tony Blair.
Tutti ricordano la fialetta di antrace brandita da Colin Powell, che non convinse molti nell’ex “Europa occidentale”, ma grazie alla quale, invece, molti Paesi dell’Europa orientale videro la loro partecipazione – anche simbolica – alla guerra anglo-americana come un certificato di buona condotta per il loro possibile futuro ingresso nella NATO: Lettonia, Estonia, Romania, Albania, Bulgaria, Ucraina, Macedonia, Bosnia-Erzegovina, Armenia, Georgia e Azerbaigian. L’UE non solo non esisteva, ma era anche divisa, poiché il “Gruppo di Vilnius” aveva scelto l’America invece dell’Europa. L’Iraq è stato invaso e l’intera struttura militare, politica e amministrativa (prevalentemente sunnita) è stata smantellata a favore di un sistema di rappresentanza più proporzionale, molto più favorevole alla maggioranza sciita della popolazione. Gli anni di guerra civile che seguirono portarono all’ascesa al potere dello Stato Islamico, sostenuto dalle ex élite sunnite irachene di Saddam Hussein (ufficiali, sottufficiali, funzionari pubblici, ingegneri, insegnanti, ecc.) Dopo 8 anni di guerra e terrorismo in Iraq, gli Stati Uniti si sono ritirati alla fine del 2011, lasciando il Paese devastato e distrutto (più di 500.000 morti), e l’islamismo si è rafforzato nel 2012 in Siria, diventando infine lo Stato Islamico in Iraq e nel Levante (EIL) o Daech. L’America ha così lasciato in eredità al mondo una nuova destabilizzazione del Medio Oriente, con numerosi focolai di guerra (Siria, Libia, Yemen, Iraq), e ha permesso all’Europa di “beneficiare” dell’estensione molto significativa della minaccia islamico-jihadista lungo tutta la sua costa mediterranea, che si estenderà in Africa fino al Sahel, approfittando del caos lasciato dalla rivoluzione libica e dall’intervento della coalizione contro Gheddafi (in cui bisogna riconoscere che la Francia ha avuto un ruolo importante).
La strategia nucleare americana, minaccia potenziale per l’Europa
Dal 1987 in poi, Mosca e Washington hanno intrapreso una spirale virtuosa con la firma del trattato INF sullo smantellamento delle armi nucleari a raggio intermedio in Europa (500-5500km, SS-20 e Pershing-II), presto seguito dai negoziati START (armi strategiche intercontinentali) e dal trattato SORT per ridurre di 2/3 il numero di testate nucleari di entrambe le parti. Tutto questo è culminato nel 2010 con la firma del nuovo trattato START, che fissa a 1.550 il numero di testate e 700 lanciatori per ciascuno dei due firmatari, con scadenza rinnovabile al 2021. L’Europa non poteva che accogliere con favore queste misure di riduzione degli armamenti nucleari, in particolare per quanto riguarda il trattato INF, che ha allontanato lo spettro dell’utilizzo dell’Europa come campo di battaglia nucleare. Lo stesso vale per la Russia che, nella sua difficile situazione economica post-sovietica, vedeva un interesse economico vitale in un nuovo equilibrio degli armamenti “dal basso”, dopo il suo disastroso tentativo di seguire “dall’alto” gli Stati Uniti nel bluff delle rovinose “guerre stellari” di Reagan.

Ma allo stesso tempo, preoccupati dalla crescente potenza nucleare della Cina, gli Stati Uniti si sono ritirati unilateralmente nel 2001 dal Trattato ABM, che limitava drasticamente i sistemi missilistici anti-balistici, Il presidente George W. Bush ha presentato questo ritiro come un primo passo verso lo sviluppo e il dispiegamento di uno scudo di difesa antimissile destinato, a suo dire, a proteggere gli Stati Uniti e i suoi alleati, compresa la Russia (Sic), da attacchi missilistici da parte di “Stati canaglia”, menzionando in particolare l’Iran, la Corea del Nord e la Somalia (ri-Sic! ). Questo sistema, che prevedeva l’installazione di uno scudo antimissile in Polonia e nella Repubblica Ceca a complemento dei sistemi in California e in Alaska, è stato presto fortemente contestato dalla Russia, che lo vedeva come una sfida al proprio deterrente nucleare alle porte di casa; inoltre, aveva anche il “vantaggio” di dividere un po’ di più il vecchio continente tra la vecchia Europa (Germania e Francia in particolare) e la nuova Europa (Europa dell’Est), il che andava tutto a favore della causa americana. Infine, nel 2009, il presidente Obama ha cancellato questo piano di dispiegamento… in apparenza, perché in realtà è stato sostituito da un altro sistema (theatre missile defence TBMD), allo studio della NATO dal 2001. Di vertice in vertice, questo sistema si è evoluto nel 2010 in una vera e propria architettura globale di difesa missilistica balistica in Europa (BMDE), non più solo di teatro, ma estesa a tutti i territori dei Paesi europei della NATO. Nel tentativo di placare i suoi timori, la Russia è stata coinvolta nel progetto TBMD fin dall’inizio, attraverso il Consiglio NATO-Russia (NRC), ma dal 2010 in poi (quando il vertice NATO di Lisbona ha deciso di espandere la TMD in una vera e propria BMDE) ha denunciato questo cambiamento fondamentale come un ritorno di fatto al progetto originario di G W. Bush, che era stato cancellato da Obama. Inoltre, alla Russia è stato assicurato che i siti di lancio di missili anti-balistici (ABM) dispiegati alle sue porte per “contrastare una minaccia iraniana” non avrebbero mai potuto essere trasformati in siti offensivi contro il suo territorio vicino. Tuttavia, non appena la NATO ha installato i primi lanciatori ABM (MK 41) in Romania nel 2013, la Russia si è resa conto che potevano essere utilizzati con la stessa facilità per lanciare missili Tomahawk contro il suo territorio (con gittate di oltre 2.000 km a seconda della versione), in flagrante contraddizione con il trattato INF che all’epoca era ancora in vigore. Di fronte alla minaccia alla sua capacità di secondo colpo, base del suo deterrente nucleare strategico, aggravata dalla potenziale minaccia rappresentata dalle capacità offensive dei lanciatori standardizzati MK41 (sia a bordo che nei silos a terra), la Russia ha reagito sospendendo ogni cooperazione all’interno dell’NRC alla fine del 2013, cioè ancora prima del caso Crimea nel 2014, che sarebbe stato poi utilizzato dalla NATO per giustificare – a posteriori – la protezione dell’Europa da parte del BMDE di fronte alla nuova “minaccia russa”; uscire dalla minaccia iraniana . .. (che, per inciso, è stata risolta dall’accordo di Vienna nel 2015).
A partire dal 2014, il dispiegamento ha subito un’accelerazione (3 cacciatorpediniere Aegis statunitensi, più un radar BMD su una fregata danese e uno a terra nel Regno Unito), culminata con la messa in funzione del sito Aegis Ashore a Deveselu, in Romania, in attesa dell’imminente messa in funzione del sito polacco. La Russia, non potendo conoscere in tempo reale il tipo di missile (anti-balistico o nucleare offensivo Tomahawk in contrasto con il trattato INF) presente nei lanciatori della base di Deveselu e a bordo dei cacciatorpediniere statunitensi che navigano in prossimità delle sue acque territoriali, si ritiene autorizzata a schierare nell’enclave di Kaliningrad il missile Iskander terra-superficie (500kmaxi per la versione terrestre “INF-compatibile”), per coprire i territori della “nuova Europa” a est. Con un bilancio militare di circa 65 miliardi di dollari, rispetto ai 240 miliardi dei Paesi europei della NATO e ai 750 miliardi degli Stati Uniti, e non potendo prevedere uno scudo ABM equivalente per contrastare il dispiegamento BMDE americano-NATO, la Russia opterà quindi per la soluzione molto più economica della freccia per perforare lo scudo. L’accelerazione dello sviluppo del missile 9M729, con una gittata ufficialmente dichiarata di 480 km, ma denunciata dalla NATO come superiore a 500 km, rientra in questa logica di azione-reazione. Nel 2018 gli Stati Uniti, volendo svincolarsi dal trattato INF per riacquistare la propria libertà d’azione nei confronti della Cina, hanno usato questo argomento per ritirarsi dal trattato, seguiti ipso facto pochi mesi dopo dalla Russia. Nello stesso anno, il Presidente Putin annunciò che la Russia stava sviluppando una panoplia di nuove armi strategiche, tutte virtualmente impossibili da intercettare e in grado di colpire in qualsiasi parte del mondo, dal missile intercontinentale Sarmat da 11.000 km, il siluro a propulsione nucleare “Poseidon”, oltre a vari missili da crociera come il subsonico “Bourevestnik-9M730”, che ha un raggio d’azione superiore alla circonferenza del pianeta, o missili semi-balistici, tra cui l’aliante ipersonico “Avangard” (da 20 a 25 Mach), o il missile ipersonico Kinzhal (10 Mach) trasportato dal MIG 31. È prevista anche la creazione di una versione nucleare terra-terra del missile terra-mare Kalibr (gittata superiore a 2.000 km), che è stato utilizzato con successo in alcuni attacchi convenzionali russi in Siria. Al di là dell’effetto pubblicitario voluto, con la probabile esagerazione circa l’effettiva realtà operativa di tutte queste nuove armi nel breve termine, è certo che la Russia, in reazione a quella che ora percepisce come una doppia minaccia nucleare tattica e strategica occidentale al proprio deterrente, svilupperà ciò che conosce meglio e più economicamente: la freccia a tutto campo contro l’armatura.

Le conseguenze per l’Europa

Il ciclo provocazione-reazione è ormai ben avviato, con un serio rischio di ri-nuclearizzazione dell’Europa e il ritorno a uno pseudo-equilibrio strategico “alto” voluto dagli Stati Uniti e accettato dagli europei, in contrasto con l’equilibrio “basso” fornito da tutte le misure di controllo degli armamenti fino alla fine degli anni Novanta e auspicato all’epoca da Russia ed europei. Come partecipante attivo alla politica di isolamento della Russia e in parte responsabile del riavvicinamento alla sicurezza sino-russa attraverso la SCO, la sottomissione dell’Europa potrebbe vederla scivolare gradualmente dall’attuale “pace fredda” artificiale a una possibile futura vera guerra fredda con la Russia. L’Europa capirà finalmente che, con i suoi 500 milioni di abitanti e il suo bilancio NATO di 240 miliardi di euro (senza contare i 700 miliardi di dollari degli Stati Uniti!), è l’Europa che potrebbe essere percepita come una minaccia per una Russia da 3 a 4 volte meno potente, con 145 milioni di abitanti e un bilancio da 6 a 10 volte inferiore, con 65 miliardi di euro? Abbiamo forse dimenticato che per 800 anni il pericolo mortale per la Russia è sempre venuto dall’Europa, proprio mentre stiamo umiliando la Russia non invitandola in Normandia per il 75° anniversario dello sbarco alleato? Nel rendere un doveroso omaggio ai 10.000 morti alleati nel D-Day, non abbiamo forse dimenticato i 26 milioni di morti dell’Unione Sovietica, tra cui 11 milioni di soldati? Quando la NATO gioca a spaventare con la sua nuova fantasia del “Corridoio di Suwalki” o minaccia la Russia di sorvolare il Baltico, cosa cercano gli europei? Come ostaggio consenziente di una lotta americano-cinese per un’egemonia mondiale che non è la sua, l’Europa è ora sulla strada potenzialmente pericolosa del riarmo nucleare sul proprio suolo e nelle sue immediate vicinanze. Il recente fallimento del Trattato INF e i piani americani e russi per “mini-armi nucleari” nei teatri delle potenze “deboli” significano che l’Europa corre il rischio mortale di diventare un giorno un nuovo campo di battaglia nucleare, una probabilità resa ancora più pericolosa dal fatto che i suoi rispettivi santuari nazionali potrebbero persino essere tenuti a bada.

Conclusione

Divisa tra il “vecchio” a ovest e il “nuovo” a est, l’Europa, attraverso la NATO, si trova più che mai soggetta alla protezione americana “grazie” alla minaccia russa che è finalmente tornata. Questa sottomissione è evidente anche nella sfera economica, dove si sta dimostrando impotente a mantenere le promesse fatte all’Iran di fronte alle sanzioni unilaterali americane, anche se dovrebbe essere una forte potenza economica con una popolazione di oltre 500 milioni di abitanti. Infine, invece di opporsi fermamente alla denuncia unilaterale dell’accordo nucleare di Vienna da parte degli Stati Uniti, la sua diplomazia si sdraia e denuncia l’Iran, che comunque aveva rispettato l’accordo! L’Unione Europea, politicamente inesistente in materia di sicurezza, impantanata com’è dall’otanismo e dalla formattazione della maggior parte dei suoi Stati membri (leader politici, diplomatici e militari) e nonostante le sue poche iniziative valide (EDA, PSC, IEI, FES), può sperare di raggiungere lo status di vera potenza diplomatica e militare solo rompendo il circolo vizioso antirusso della trappola americano-ottomana. Dati i suoi legami speciali con la Russia e la sua relativa indipendenza dagli Stati Uniti, la Francia, con l’aiuto della Germania, è l’unico Stato europeo che può indicare la strada di un autentico riavvicinamento alla Russia. Non solo può farlo, ma deve farlo. Forti dei legami storici che l’hanno legata alla Russia in momenti difficili della sua storia – quando, alla fine dell’agosto 1914, su richiesta urgente di una Francia sopraffatta, la Russia si impegnò frettolosamente nella battaglia di Tannenberg in Prussia orientale e pagò un prezzo altissimo per impedire la caduta di Parigi, o ancora quando, dal novembre 1942 fino alla vittoria del 1945, più di 40 piloti francesi andarono a morire nella battaglia di Tannenberg in Prussia orientale – o ancora quando, su richiesta di una Francia sopraffatta, la Russia si impegnò frettolosamente nella battaglia di Tannenberg in Prussia orientale e pagò un prezzo altissimo per impedire la caduta di Parigi, La Francia deve prendere rapidamente iniziative forti nei confronti della Russia, e persino sconvolgere la NATO, per rompere il paradigma perverso in cui l’Europa è rinchiusa giorno dopo giorno e provocare un essenziale e salutare elettroshock nelle menti delle persone. Non mancano le opzioni diplomatiche, militari ed economiche, che vanno dall’immediata revoca delle sanzioni, al congelamento delle task force terra-aria-mare “30 volte 4” della NATO, alla messa in discussione del ruolo degli Stati Uniti nella NATO, seguita da una completa revisione dell’Alleanza Atlantica con il ritorno di un vero partenariato con la Russia. Sono tutti passi essenziali se speriamo di veder nascere un giorno un’autentica Alleanza europea di difesa, un partner paritario con la Russia e gli Stati Uniti.
Il contesto è favorevole, da un lato con la Brexit che vede l’allontanamento del “sottomarino” americano dall’Europa, dall’altro con la Germania motivata come non mai ad opporsi al boicottaggio americano del gasdotto russo-europeo Nord Stream 2, che è quasi completato. I due Stati, Francia e Germania, devono prendere l’iniziativa, anche se all’inizio sono soli, e poi contare sui loro partner della vecchia Europa per attirare l’Europa dell’Est in questo vasto movimento. Il cammino sarà difficile e duro, perché la NATO non è morta, tutt’altro; ci saranno forse dei colpi da incassare perché il “grande fratello”, checché ne dica pubblicamente, si opporrà con tutte le sue forze, ma la posta in gioco è questa. L’Europa o si farà con la Russia o non si farà.

Generale (2S) Grégoire Diamantidis, membro del Cercle de Réflexions Interarmées.

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Il massacro di Mosca scatena una battaglia di responsabilità, di JAMIE DETTMER

Ecco perché il GUR ucraino, e non l’ISIS-K, è il principale sospettato dell’attacco terroristico al Crocus, di ANDREW KORYBKO

Ecco perché il GUR ucraino, e non l’ISIS-K, è il principale sospettato dell’attacco terroristico al Crocus

Il GUR ha imparato tutto sul terrorismo dalla CIA, ma poiché è ancora un’imitazione, ha commesso una serie di errori sciatti che hanno avuto come risultato quello di incriminare l’Ucraina invece di dare falso credito alla narrazione dell’ISIS-K.

Dopo l’atto terroristico di venerdì sera , sull’ attacco al Crocus City Hall di Mosca si è speculato se il responsabile fosse davvero l’ISIS-K, come dichiarato dal gruppo, o se il servizio di intelligence militare ucraino GUR avesse orchestrato tutto con la copertura di suoi agenti che si spacciavano per membri di quel gruppo. I media mainstream stanno seguendo la prima ipotesi e stanno facendo del loro meglio per screditare la seconda, ma ricordando la storia terroristica del GUR e i suoi legami con gli islamisti radicali si capisce che non è al di sopra di ogni sospetto.

Sono responsabili dell’assassinio di Darya Dugina nell’estate del 2022, dell’attentato con camion bomba sul ponte di Crimea nell’autunno dello stesso anno, dell’assassinio di Vladlen Tatarsky nella primavera del 2023 e cross delle incursioni terroristiche transfrontaliere   del cosiddetto “Corpo dei volontari russi” nell’ultimo anno. Sonoanche legati ai terroristi tartari di Crimea e a quelli legati all’ISIS ceceniAnche la CIA è collegata a questi atti e gruppi terroristici, dopo che il Washington Post lo scorso autunno ha riferito che ha ricostruito il GUR da zero dopo il 2014.

L‘odierno GUR è un prodotto della CIA, che ha certamente condiviso con i suoi protetti tutto ciò che ha imparato mentre conduceva la ibrida guerra in Siria, per non parlare dei loro contatti terroristici . È attraverso questa meticolosa coltivazione che il capo del GUR Kirill Budanov ha ottenuto la sua sete di sangue, che è stata messa in mostra la scorsa primavera quando ha dichiarato che “abbiamo ucciso russi e continueremo a uccidere russi ovunque sulla faccia di questo mondo fino alla completa vittoria dell’Ucraina”.

Per quanto letale sia diventato il GUR negli ultimi dieci anni, è ancora un’imitazione della CIA, motivo per cui ci si aspetta che di tanto in tanto commetta errori grossolani. Ciò è rilevante quando si tratta dell’ultimo attacco, dopo che l’ISIS-K ha rivendicato la responsabilità utilizzando un modello di notizia obsoleto, suggerendo così che qualcun altro ha rivendicato il merito a suo nome in un primo momento, ma poi l’ISIS-K l’ha opportunisticamente utilizzato per avere più peso. Considerando la sua storia terroristica e i suoi legami con gli islamisti radicali, questo misterioso attore era probabilmente il GUR.

È probabile che i loro agenti si siano finti membri di quel gruppo terroristico per mantenere una plausibile negabilità nel caso in cui l’attacco pianificato fosse stato sventato o i terroristi fossero stati catturati in seguito. Uno dei tagiki catturati nell’auto che correva verso il confine ucraino ha dichiarato di essere stato reclutato dai curatori di un canale Telegram radicale appena un mese fa per portare a termine l’attacco utilizzando armi già in dotazione in cambio di un pagamento con carta di debito di circa 5000 dollari ciascuno.

Questi cittadini sono stati probabilmente scelti dal GUR perché alcuni di loro sono predisposti al radicalismo religioso a causa della persistente eredità della guerra civile di ispirazione islamica degli anni Novanta in Tagikistan, il loro Paese confina con il quartier generale afghano dell’ISIS-K e hanno il privilegio di viaggiare senza visto in Russia. Di conseguenza, sono stati presumibilmente reclutati tramite un canale Telegram radicale, il coinvolgimento dell’ISIS-K non sembra del tutto implausibile e hanno potuto entrare facilmente in Russia con un controllo minimo.

Tuttavia, non erano abbastanza radicali da uscire con le armi in pugno o con un’esplosione suicida come quella per cui è noto l’ISIS-K, ma erano comunque sufficientemente simpatizzanti dell’ideologia del gruppo da portare a termine quella che ritenevano essere la sua ultima missione in cambio di denaro. Questo spiega perché sono fuggiti dalla scena del crimine, contrariamente a quanto farebbe qualsiasi affiliato di quel gruppo, dopo aver mitragliato decine di persone e aver dato fuoco al locale.

Se avessero raggiunto l’Ucraina, dove l’FSB ha confermato che avevano contatti e il Presidente Putin ha detto che “è stata preparata una finestra per loro… per attraversare”, allora probabilmente sarebbero stati uccisi dal GUR per coprire tutto. Non bisogna dimenticare che questo gruppo ha imparato a fare terrorismo dalla CIA, che a sua volta ha perfezionato questa pratica in Siria negli ultimi 13 anni di guerra ibrida che ha condotto in quel Paese, ma il GUR è ancora un’imitazione e per questo ha commesso tre errori grossolani.

Nell’ordine in cui si sono verificati, il primo errore è stato quello di reclutare persone che non erano pronte a combattere fino alla morte sul luogo dell’imminente attacco terroristico. Questo ha portato alla cattura dei colpevoli e alla rivelazione di come sono stati reclutati in cambio di denaro, il che è uno dei segni che l’ISIS-K non è dietro a ciò che è successo, poiché i loro membri si aspettano sempre di morire come “martiri”. Di conseguenza, il fatto che sia stato commesso questo errore suggerisce che il GUR era disperato nel portare avanti i suoi piani.

Il secondo errore è stato quello di non aver detto ai loro proxy di fuggire in un rifugio subito dopo l’attacco per incontrare un contatto che li avrebbe poi aiutati a raggiungere il confine, ma che in realtà li avrebbe uccisi una volta incontrati per coprire tutto. Questo li ha portati a correre verso il confine ucraino, mostrando così a tutti che pensavano almeno di trovare rifugio lì, il che ha reso la rivendicazione russa del coinvolgimento ucraino molto più credibile per molti occidentali scettici.

Infine, l’ultimo errore è stato l’utilizzo da parte del GUR di un modello di notizia obsoleto per rivendicare il merito dell’attacco a nome di ISIS-K, che, secondo le loro corrette previsioni, lo avrebbe opportunisticamente utilizzato per ottenere un certo peso. Così facendo, però, hanno segnalato che il gruppo stesso non ha avuto un ruolo nell’organizzazione di quanto accaduto, altrimenti sarebbe stato usato il loro modello più moderno. Nel loro insieme, questi tre errori hanno screditato la narrazione dei media mainstream e attirato l’attenzione sul GUR.

Se a ciò si aggiungono i suoi trascorsi terroristici e i suoi legami con gruppi islamici radicali, che dimostrano rispettivamente la capacità e l’intenzione di compiere l’attacco Crocus e le conoscenze necessarie per impersonare estremisti online a scopo di reclutamento, tutto ciò rende il GUR il principale sospettato. Ha imparato tutto sul terrorismo dalla CIA, ma poiché è ancora un’imitazione, ha commesso una serie di errori sciatti che hanno portato a incriminare l’Ucraina invece di dare falso credito alla narrazione dell’ISIS-K.

La battuta di Sikorski sul fatto che Polonia e Ucraina sono state un unico Paese per 400 anni è fuorviante

Tutte queste terre costituivano il territorio della sciolta Unione polacco-lituana dopo Krewo nel 1385 e del più stretto Commonwealth dopo Lublino nel 1569, ma Varsavia ebbe il dominio diretto sull’Ucraina orientale solo per meno di un secolo, su parti dell’Ucraina occidentale per 230-360 anni e sulla Galizia orientale per oltre 420 anni.

Il Ministro degli Esteri polacco Radek Sikorski ha recentemente dichiarato all’ agenzia di stampa tedesca dpa che “l’Ucraina e la Polonia sono un unico Paese da 400 anni. [Un intervento convenzionale in Ucraina fornirebbe carne da macello alla propaganda russa. Pertanto, dovremmo essere gli ultimi a farlo”. La sua battuta sulla storia di questi due Paesi è tuttavia fuorviante, poiché sia la durata della loro unione che la natura delle loro relazioni sono discutibili.

Per quanto riguarda la prima, l’Unione di Krewo del 1385 portò alla creazione dell’Unione polacco-lituana, che fu il precursore del più stretto Commonwealth polacco-lituano che emerse dall’Unione di Lublino del 1569. Nei quasi due secoli che intercorsero tra queste due unioni, la stragrande maggioranza dell’odierna Ucraina fu sotto il controllo del Granducato di Lituania, ad eccezione della Galizia orientale e della Podolia occidentale, all’interno delle quali si trovano la nota città di Lwow e la città di Kamieniec Podolski.

Il Regno della Corona di Polonia assunse il controllo delle regioni ucraine dell’odierno Granducato di Lituania solo dopo la creazione del Commonwealth, il che significa che la maggior parte di quella che oggi è conosciuta come Ucraina fece parte della Polonia stessa per meno di 230 anni, e non 400. Meno di un secolo dopo, il Trattato di Andrusovo del 1667, che pose fine alla guerra polacco-russa scatenata dalla Rivolta di Khmelnitsky pochi anni prima, vide San Pietroburgo strappare a Varsavia il controllo di Kiev e della maggior parte dell’Ucraina orientale.

La Polonia perse poi la Galizia occidentale a maggioranza polacca (con l’eccezione di Cracovia) e la Galizia orientale a maggioranza ucraina a favore dell’Austria poco più di 100 anni dopo, durante la prima spartizione del 1772. La Podolia occidentale e la maggior parte delle restanti regioni occidentali dell’Ucraina seguirono poco più di due decenni dopo, dopo che la seconda spartizione del 1793 le consegnò alla Russia. La terza spartizione, avvenuta appena due anni dopo, nel 1795, vide la Russia appropriarsi del resto delle terre polacche a maggioranza ucraina.

Lwow, in Galizia orientale, faceva parte della Corona polacca dal 1349, Kamieniec Podolski, in Podolia occidentale, vi aderì ufficialmente nel 1430 ma passò di mano al Granducato di Lituania per decenni prima, dallametàdel XIV secolo, mentre il resto delle regioni occidentali dell’Ucraina passò sotto il suo controllo nel 1569. Di conseguenza, la prima è stata parte della Polonia per oltre 420 anni, la seconda per almeno 360 anni, anche se forse più a lungo a seconda di come la si misura, e l’ultima per meno di 230 anni.

Va inoltre ricordato che il Trattato di Hadiach del 1658, mai attuato, avrebbe triforcato il Commonwealth polacco-lituano ritagliando un ducato “ruteno” (termine vecchio stile per indicare gli odierni ucraini) dalla maggior parte delle terre polacche precedentemente lituane, ad eccezione della Volhynia. Questo è rilevante nel contesto della battuta di Sikorski, poiché dimostra che alcune delle élite ucraine rimaste sotto il controllo di Varsavia dopo la Rivolta di Khmelnitsky volevano un’identità politica separata.

Lo scopo della condivisione di questi fatti è quello di dimostrare che la storia polacco-ucraina non è così semplice come lui la dipinge a livello geopolitico, per non parlare di quello locale, come dimostrano la Rivolta di Khmelnitsky del 1648-1657 e la “Koliivshchyna” del 1468-1769, entrambi bagni di sangue anti-polacchi. Sikorski voleva dare un segnale di sostegno all’Ucraina, ma nel farlo potrebbe aver fatto arrabbiare qualcuno con la sua affermazione fuorviante che trascura l’autonomia storica della Lituania dal 1385 in poi.

Il Granducato era un membro paritario del Commonwealth insieme alla Corona polacca, non una provincia o un vassallo di quest’ultima come spesso ritengono gli osservatori esterni. Pur facendo tecnicamente parte dello stesso Paese, i due Stati funzionavano de facto come Stati a sé stanti, grazie all’ampia autonomia di cui godevano nell’amministrare i propri affari interni; ecco perché l’idea che l’Ucraina moderna, controllata dalla Lituania, fosse “parte” della Polonia non è quella che la maggior parte delle persone potrebbe immaginare.

Tutte queste terre costituivano il territorio della sciolta Unione Polacco-Lituana dopo Krewo nel 1385 e del più stretto Commonwealth dopo Lublino nel 1569, ma Varsavia ebbe il dominio diretto sull’Ucraina orientale solo per meno di un secolo, su parti dell’Ucraina occidentale per 230-360 anni e sulla Galizia orientale per oltre 420 anni. Per tutto questo tempo si è formata un’identità ucraina separata, le cui radici hanno gettato le basi per l’interpretazione fascista che è sorta negli anni tra le due guerre e che è stata ripresa dopo il 2014.

Semplificando eccessivamente la dimensione geopolitica della storia polacco-ucraina, come ha fatto Sikorski affermando che i due Paesi “sono stati un unico Paese per 400 anni”, non si tiene conto dei fatti chiave toccati in questo articolo che spiegano lo stato attuale degli affari socio-politici in questa ex Repubblica sovietica. Induce gli osservatori esterni casuali a pensare che i legami bilaterali siano molto migliori di quelli attuali grazie alla loro storia comune, che in realtà è più complicata di quanto egli lasci intendere e viene vista in modo molto diverso da entrambi.

È importante dissipare l’illusione che Sikorski abbia rafforzato, poiché distrae dalla campagna di infowar anti-polacca che dura da tre mesi e che è stata descritta qui a metà marzo. Certo, non c’è più una crisi nei legami bilaterali come quella che hanno attraversato per un breve periodo lo scorso anno sotto il precedente governo conservatore-nazionalista polacco, ma i problemi sono ancora in agguato. Gli osservatori esterni, consapevoli del fatto che la loro storia non è così semplice come sembra, possono valutare meglio le dinamiche che si stanno sviluppando.

Nelle relazioni tra Romania e Ucraina sta nascendo una controversia religiosa

Dal punto di vista di Kiev, la creazione di una chiesa ortodossa separata per una delle tante minoranze etniche del Paese potrebbe essere considerata una minaccia latente all’unità nazionale, in quanto potrebbe incoraggiare altre persone a seguirne l’esempio se le autorità approvano questa, motivo per cui potrebbe essere respinta per motivi politici.

Balkan Insight (BI), una piattaforma mediatica regionale filo-occidentale, ha sorpreso gli osservatori pubblicando un articolo critico su come “Larivalità religiosa minaccia la stretta partnership tra Romania e Ucraina“. L’articolo richiama l’attenzione su come il sostegno della Chiesa ortodossa rumena (BOR), il mese scorso, alla creazione di una chiesa separata per l’etnia rumena in Ucraina potrebbe causare problemi nei loro legami. Secondo BI, non ci sono intenzioni anti-ucraine dietro questa mossa, anche se Kiev potrebbe non vederla in questo modo.

La maggior parte dei 400.000 rumeni di questa ex repubblica sovietica appartiene alla Chiesa ortodossa ucraina (UOC), un tempo legata alla Russia, che non riconosce la “Chiesa ortodossa in Ucraina” (OCU), che ha ricevuto lo “status di autogoverno” con una mossa controversa mezzo decennio fa. La BOR non riconosce pienamente l’OCU e teme che la repressione di Kiev nei confronti dell’UOC, a cui appartiene la maggior parte dei rumeni nel Paese, possa causare problemi ai suoi co-etnici.

BI ha riferito che “il giro di vite si è allargato fino a includere perquisizioni nei locali dell’UOC in una diocesi della regione di Chernivtsi, nell’ovest del Paese, dove vive la maggior parte della comunità religiosa rumena dell’Ucraina, con un metropolita di lingua rumena che ora sta affrontando un processo per presunto ‘incitamento all’odio religioso'”. I romeni etnici “si sono anche lamentati di diversi recenti incidenti ‘sospetti’, con autori non identificati che hanno incendiato diverse chiese o minacciato membri del clero”.

Dato che i media mainstream non hanno riportato questi incidenti, si dovrebbe dare per scontato che non ci sia nemmeno la più piccola prova che li colleghi alla Russia, il che suggerisce di default che i colpevoli sono probabilmente ucraini ultranazionalisti. I romeni etnici sono probabilmente un danno collaterale degli attacchi di questi estremisti contro l’istituzione precedentemente legata alla Russia, ed è probabilmente per questo che la BOR ritiene che dovrebbero avere una propria chiesa in modo da differenziarsi per sicurezza.

A tal fine, dovranno registrare le loro parrocchie come organizzazioni religiose, ma un esperto citato da BI ha ipotizzato che Kiev potrebbe respingere la loro richiesta per motivi politici. Non ha approfondito i possibili pretesti dietro questo scenario e ha solo ribadito di essere sicuro che qualsiasi controversia sarà risolta in modo amichevole, ma se ciò dovesse accadere, quasi sicuramente sarà dovuto al fatto che le autorità vogliono fare pressione sui rumeni etnici affinché si uniscano all’OCU del loro regime, che ha riti quasi identici a quelli dell’UOC.

Il precedente condiviso da BI alla fine dell’articolo, riguardante gli sforzi della BOR per incoraggiare le defezioni dalla Chiesa ortodossa moldava (MOC), legata alla Russia, verso la propria diocesi locale autonoma, nota come Metropolia di Bessarabia, aggiunge un ulteriore contesto al motivo per cui Kiev potrebbe respingere questa richiesta. Hanno informato il pubblico che “anche la Chiesa ortodossa rumena ha appoggiato questa decisione offrendo generosi stipendi e altri benefici ai sacerdoti disertori”.

In altre parole, sono stati corrotti per motivi etno-politici legati al desiderio della Romania di portare sotto l’influenza religiosa della sua Chiesa un maggior numero di coetanei nel Paese vicino, e questo approccio potrebbe prevedibilmente essere emulato anche in Ucraina nel prossimo futuro. La BOR non riconosce pienamente l’OCU e ha già avuto successo nel “braccare spiritualmente” alcuni fedeli moldavi dalla MOC legata alla Russia, per cui ne consegue naturalmente che potrebbe almeno tentare cautamente di farlo anche in Ucraina.

Dal punto di vista di Kiev, la creazione di una chiesa ortodossa separata per una delle tante minoranze etniche del Paese potrebbe essere considerata una minaccia latente all’unità nazionale, in quanto potrebbe incoraggiare altri a seguirne l’esempio se le autorità approvano questa, motivo per cui potrebbe essere respinta per motivi politici. Se ciò dovesse accadere e gli “incidenti sospetti” continuassero a colpire i romeni di etnia etnica, per non parlare dell’aumento della frequenza e forse anche dell’intensità, si potrebbe assistere allo scoppio di veri e propri disordini di base.

Se il regime dovesse rispondere con un uso sproporzionato della forza e i filmati della repressione dovessero circolare sui social media, ciò potrebbe contribuire a peggiorare la percezione che i rumeni hanno dell’Ucraina. Il Consiglio europeo per le relazioni esteresondaggio del(ECFR), condotto a gennaio e pubblicato un mese dopo, ha rivelato alcuni risultati sorprendenti sul loro atteggiamento nei confronti del Paese vicino.

Più di due volte i rumeni pensano che il conflitto si concluderà con la vittoria della Russia anziché dell’Ucraina, rispettivamente il 18% e il 9%, mentre il 37% si aspetta un compromesso. Circa la metà degli intervistati ha inoltre affermato che l’UE dovrebbe spingere l’Ucraina a negoziare con la Russia, mentre solo il 21% ha detto che dovrebbe sostenerla nella riconquista dei territori perduti. Nel frattempo, il 35% dei rumeni ha dichiarato all’ECRF di considerare gli ucraini una minaccia per il proprio Paese, contro il 13% che li vede come un’opportunità.

Un altro dato statistico interessante è che il 44% dei rumeni sarebbe favorevole a che il proprio Paese riducesse gli aiuti all’Ucraina se gli Stati Uniti fossero i primi a farlo sotto una seconda presidenza Trump, mentre solo il 12% pensa che l’UE dovrebbe sostituire gli aiuti potenzialmente persi dagli Stati Uniti e solo il 15% pensa che in questo caso dovrebbero rimanere invariati. Infine, il 39% ritiene che l’UE abbia svolto un ruolo negativo nel conflitto negli ultimi due anni, contro il 28% che ritiene che sia stato positivo.

Questi atteggiamenti sono importanti perché la Romania facilita l’invio di armi occidentali all’Ucraina attraverso ilgreco-ucraino corridoio che attraversa il Paese e la Bulgaria. La Romania ospita anche truppe francesi e potrebbe quindi essere un trampolino di lancio per un intervento convenzionale di Parigi nel conflitto , per prendere il controllo della costa ucraina del Mar Nero ad esempio La possibilità che manifestanti di ispirazione polacca blocchino il confine in risposta a una repressione anti-rumena in Ucraina potrebbe quindi rimodellare le dinamiche del conflitto.

Per questo motivo, gli osservatori dovrebbero continuare a monitorare la disputa religiosa che sta nascendo nelle relazioni tra Romania e Ucraina, soprattutto perché la BI filo-occidentale di tutti gli organi di informazione è già molto preoccupata. Non avrebbero sensibilizzato l’opinione pubblica su questo argomento se non pensassero seriamente che potrebbe portare a qualcosa di più grande, dato che parlarne semplicemente potrebbe portarli ad essere accusati di fare propaganda. Conoscendo Kiev, non si può escludere un giro di vite anti-romeno, anche se non è chiaro quando potrebbe avvenire.

I servizi di sicurezza di tutto il mondo hanno l’obbligo di impiegare tutti i mezzi a loro disposizione se credono sinceramente che ci siano ragioni legittime per sospettare che coloro che sono sotto la loro custodia possano avere informazioni che potrebbero contrastare un attacco terroristico potenzialmente imminente contro i civili.

I quattro terroristi sorpresi a fuggire in Ucraina dopo aver compiuto l’attentato di venerdì sera L’attentato al municipio Crocus di Mosca è apparso in tribunale malconcio e contuso. Un filmato precedentemente diffuso sui social media mostrava uno di loro a faccia in giù con i capelli tirati, un altro con l’occhio fuori dall’orbita, l’altro con l’orecchio infilato in bocca e l’ultimo con i genitali scioccati. Ciò ha portato alla condanna sia della comunità dei media mainstream che di quella dei media alternativi (AMC).

Il primo ha cercato di allarmare il fatto che l’FSB avesse pubblicato questo filmato per intimidire i suoi connazionali, mentre un membro di spicco del secondo, che si trovava recentemente a Mosca per un grande evento, ha criticato queste tattiche dure definendole “medievali” e “una rottura nella catena di comando”. ”. Altri membri dell’AMC hanno condannato la tortura in generale , con i tempi dei loro post che lasciano intendere che sono collegati a quel filmato ma che si sentono a disagio nell’affrontarlo direttamente per qualsiasi motivo.

I media mainstream hanno ovviamente ulteriori motivazioni nel portare avanti la narrazione che hanno fatto mentre gli AMC erano ben intenzionati ma probabilmente fuorviati per le ragioni che ora verranno spiegate. È comprensibile che quegli attivisti, commentatori, esperti, ecc. che sono contrari a ciò che gli Stati Uniti hanno fatto ad Abu Ghraib in Iraq e continuano a fare a Guantanamo Bay, rinneghino quella che credono veramente essere la tattica simile che la Russia ha impiegato contro i quattro terroristi catturati.

Ciò è particolarmente vero per coloro che nel corso degli anni hanno sensibilizzato sugli abusi di Israele contro i palestinesi. Questi membri dell’AMC potrebbero essere veramente contrari all’uso della forza contro i detenuti per qualsiasi motivo, indipendentemente dal contesto, sia per principio o perché sono preoccupati che ciò possa screditare qualunque cosa rivelino, oppure sono preoccupati di stessi sarebbero screditati se lo sostenessero nel caso russo dopo averlo condannato nei tre casi sopra menzionati.

Qualunque siano le loro ragioni, coloro che sono preoccupati per i doppi standard non hanno nulla di cui preoccuparsi perché il caso russo è qualitativamente diverso da quelli di Abu Ghraib, Guantanamo Bay e Israele. Questi tre erano per lo più contro iracheni, musulmani del Sud del mondo e palestinesi che nella stragrande maggioranza dei casi non avrebbero realisticamente informazioni su attacchi terroristici potenzialmente imminenti a differenza dei quattro terroristi catturati dalla Russia lo scorso fine settimana.

In altre parole, i sospettati contro i quali queste dure tattiche furono tristemente applicate in questi tre casi erano per lo più vittime di sadici, che li torturavano letteralmente per ragioni personali o politiche. Il caso russo, tuttavia, riguardava il tentativo di ottenere informazioni il più presto possibile su attacchi terroristici potenzialmente imminenti, visto che questi avrebbero potuto essere pianificati come seguito immediato a quello del Crocus City Hall come parte di un ibrido a livello nazionale. Campagna di guerra contro la Russia.

I servizi di sicurezza di tutto il mondo hanno l’obbligo di impiegare tutti i mezzi a loro disposizione se credono sinceramente che ci siano ragioni legittime per sospettare che coloro che sono sotto la loro custodia possano avere informazioni che potrebbero contrastare un attacco terroristico potenzialmente imminente contro i civili. A dire il vero, ci sono quelli che a volte abusano di questo obbligo per sadici motivi personali o politici, e altri a volte subiscono il lavaggio del cervello a causa degli ideali liberali-globalisti che rifiutano volontariamente di utilizzare tattiche dure.

Entrambi screditano coloro che tra i loro colleghi utilizzano questi mezzi per il bene superiore di proteggere le persone da attacchi terroristici potenzialmente imminenti: gli abusi del primo fanno sospettare che ciò avvenga sempre per ragioni sadiche, mentre la riluttanza del secondo fa pensare che non ce ne sia mai bisogno. La realtà è che questo a volte è necessario, non importa quanto alcuni membri ben intenzionati dell’AMC possano essere contrari, e l’utilizzo da parte della Russia di queste dure tattiche è avvenuto per le giuste ragioni.

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Il disastro del Crocus, di ALEKS

Una versione già ascoltata su canali distinti e separati_Giuseppe Germinario

Il disastro del Crocus

L’attacco terroristico e le sue conseguenze

25 MARZO

introduzione

A causa degli eventi attuali, ho deciso di scrivere un breve pezzo, anche se non avevo intenzione di scrivere nel mese di marzo. Penso che non ci sia bisogno di molte presentazioni su quello che è successo al Crocus City Hall. Ma, solo per coloro che si sono nascosti dietro una roccia negli ultimi giorni… Un numero imprecisato (4?) di uomini armati (terroristi) hanno assalito il municipio di Crocus in Russia e ucciso con armi di piccolo calibro e incendi dolosi tra 100 e 200 civili, tra cui molti Di bambini.

Come potrebbe accadere? Chi è il responsabile? Quali sono le implicazioni? Cercherò di esprimere la mia opinione su quanto accaduto. Quindi, è uno scenario possibile anche se la realtà può sempre differire.

Innanzitutto, l’Occidente sostiene che sia stato l’Isis a farlo. È stato l’Isis a farlo? Penso che sì, l’Isis lo abbia fatto. Vuol dire che la colpa è solo dell’Isis? Che l’Occidente e l’Ucraina non c’entrano nulla? È vero il contrario e lo spiegherò brevemente ma comunque in dettaglio. Ma… Chi è l’Isis?

ISIS

Qui utilizzerò il mio comprovato schema di cipolla a tre strati, che ho già utilizzato per spiegare le Forze Wagner e le Forze Quds.

Ma cosa significa? Una precedente iterazione dell’ISIS era Al-Qaeda. Che è stato istituito dalla CIA per combattere i sovietici. Era organizzato in modo simile allo schema sopra menzionato. Tuttavia, l’oligarchia occidentale ha deciso di sacrificare la sua forza mercenaria per creare una scusa per invadere sempre più paesi del Medio Oriente e dell’Asia centrale. Per questo motivo, la base di Al-Qaeda, il settore dei “Merci di consumo”, è stata decimata e distrutta in modo critico negli anni 2000. Anche l’immagine è stata gravemente danneggiata per l’adesione di nuove reclute. Era necessario qualcosa di nuovo in cui ancora una volta decine di giovani si unissero per combattere per alcuni fanatici obiettivi islamici. Quindi, un califfato, ecc. L’insoddisfazione di centinaia o migliaia di ufficiali militari iracheni ha giocato a suo favore.

È stato facile per i suddetti servizi creare l’ISIS in Iraq durante l’occupazione con l’unico motivo di sottomettere sempre più territorio in Medio Oriente. Soprattutto Siria e Libano. Ma ovviamente anche i paesi di tutto il mondo, dove è possibile piazzare qualche membro dell’Isis e giustificare un’occupazione decennale da parte delle truppe americane “per combattere l’Isis”. Sono ironico, ma quanto sono incompetenti i soldati americani per aver bisogno di decenni per uccidere alcuni pastori con un AK?

Tuttavia, l’Isis è un’organizzazione mercenaria. Il livello “Consumabili” potrebbe non essere d’accordo. Sono sicuro che credono nelle stronzate del califfato, o semplicemente vogliono combattere e violentare le donne. Il Livello Comando e Controllo sa cosa sta succedendo e sta organizzando i suoi mercenari in base alle richieste del primo Livello. Per questo godono di molti privilegi. Il primo livello, essendo rappresentanti dei servizi sopra menzionati. Forniscono denaro, marketing, ordini, logistica, armi e addestramento.

Quindi, se l’ISIS afferma di aver fatto XYZ allora potrebbe essere vero, ma gli ordini all’ISIS di fare XYZ provenivano da uno dei servizi sopra menzionati. L’Isis non fa nulla di propria volontà. Non esiste un cervello dell’Isis seduto da qualche parte a pianificare le cose.

Il problema ovviamente è: quale dei quattro servizi sopra menzionati ha pianificato quale attacco? E chi ha pianificato l’attacco a Crocus? Non ne ho idea, ma offrirò in seguito alcune ipotesi.

Preparazione

Ho guardato tutti i filmati disponibili dell’attacco e sono giunto alla seguente conclusione: non si è trattato di un’azione spontanea, organizzata frettolosamente dal GUR. Presumo che il tempo di preparazione sia stato di circa due-tre mesi.

Questi ragazzi sono entrati nella sala, si sono uniti e hanno seguito un percorso ben preparato. Erano sempre insieme e si muovevano come d’abitudine.

Almeno uno, forse più degli autori del reato ha visitato la sala prima di percorrere il percorso previsto, quindi non è necessaria alcuna improvvisazione durante l’attacco. È stato ben praticato, tanto che il percorso funziona anche in condizioni di forte stress e di intenso uso di farmaci.

Queste persone molto probabilmente avevano già avuto qualche esperienza di combattimento. Magari con l’Isis da qualche parte nel mondo. Forse in Afghanistan o Iraq/Siria. Ma questo non era sufficiente per mettere in atto un piano in cui alla fine avrebbero tentato di scappare.

Quindi, l’azione in Crocus avrebbe dovuto essere praticata con tutta la squadra su un campo di allenamento dove ci sono condizioni simili a quelle di una grande sala da concerto. Dove possono esercitarsi a muoversi insieme e a sparare e tutto questo sotto la forte influenza di molto probabilmente Captagon. Il punto è che, quando si svolge l’azione vera e propria, tutto deve esaurire la memoria muscolare. Nessun pensiero, nessuna improvvisazione, solo modalità automatica.

La domanda è: dov’era questo campo di allenamento? Penso che questa sia la domanda e l’informazione più importante che l’FSB sta ora “brindando” a questi terroristi. Per trovare questo campo di allenamento. Molto probabilmente è proprio in uno di questi “Stan” dell’Asia centrale che attirerà un’attenzione speciale da parte della Russia quando finirà per sconfiggere l’Ucraina, parti della Moldavia e alcuni altri “desiderosi” candidati.

Questi ragazzi sono stati preparati da un servizio straniero, utilizzando molto probabilmente risorse dell’Isis per addestrarli e prepararli nei suddetti “stan”. Quindi, non c’è alcuna possibilità che l’FSB possa far sapere chi sono stati i loro assistenti. Ogni servizio basterebbe ad agire tramite intermediari, proprio a questo scopo. Ma l’FSB scoprirà dove sono stati i campi di addestramento e con essi, insieme a tutta la logistica, le comunicazioni, ecc., sarà ulteriormente in grado di rintracciare le risorse dell’Isis. E con loro sapranno quale servizio straniero ha gestito questi beni dell’Isis. E poi diventerà brutto.

Presumo che ci sarà un epico bagno di sangue di cui non sentiremo mai parlare negli “stan” e anche in alcuni paesi del Medio Oriente. Alcune persone andranno a “raccogliere prove” ovunque con alcuni “metodi di interrogatorio” molto speciali. E poi si stabilirà chi sono stati i veri gestori.

Personalmente penso che l’Ucraina, in particolare la GUR, sia stata coinvolta o informata di ciò che sta accadendo. Ma chi ha gestito l’Isis e chi ha dato gli ordini?

Non penso che solo uno o due servizi possano controllare da soli l’Isis. Quindi penso che alcuni elementi canaglia della CIA abbiano guidato tutto questo. Non penso che un simile attacco terroristico sia la politica ufficiale degli Stati Uniti e penso che la Washington ufficiale sia nel panico perché un caso del genere è l’ultima cosa che vogliono che accada. Di cosa parlava Nuland a Kiev? Dov’è lei adesso? Hmm…

Tuttavia, il presidente Putin ha menzionato un cambiamento nella sua politica nei confronti della Palestina. Ciò indica che il Mossad potrebbe essere stato coinvolto. Avrebbe un movente. Ricordi le guerre di liberazione? Inoltre, è strano anche l’improvviso allarme terrorismo francese, lanciato subito dopo gli attacchi. Anche i francesi avevano qualcosa di sporco?

Non lo so. Ma il principale gestore dell’Isis in questo caso potrebbe essere stato l’MI6. È l’arma preferita degli elementi canaglia degli Stati Uniti e quindi degli oligarchi occidentali quando si tratta di attaccare la Russia senza mettere in pericolo gli Stati Uniti. Se il Regno Unito crolla, a chi importa? (Da una prospettiva americana). Nessuno lo vendicherebbe mai o andrebbe giù per questo.

Esecuzione

L’esecuzione è andata esattamente come ho descritto nella parte preparatoria.

Ma prima di iniziare, consumarono una forte dose di Captagon per poter uccidere casualmente decine di civili, soprattutto bambini. Per sopprimere tutti i sentimenti, la paura e lo stress. Quando è uscito il primo filmato del ragazzo catturato con le “polpette fritte”, si poteva vederlo tremare. Non era solo a causa della paura, ma soprattutto a causa dell’astinenza dai farmaci combinata con la paura e lo stress sempre crescente.

Il gruppo ha camminato lungo un percorso pre-preparato fino a un luogo dove hanno esplorato la migliore possibilità di accendere un fuoco che avrebbe distrutto il corridoio come distrazione. Questi ragazzi erano troppo inesperti (stupidi) per determinare da soli un posto del genere. È probabile che alcuni ingegneri militari di un servizio occidentale abbiano individuato il punto migliore possibile per accendere un incendio per abbattere la sala.

Quindi si sono sbarazzati delle armi e sono fuggiti dalla scena come civili verso la loro macchina. Naturalmente non descriverò qui le atrocità contro i civili.

Estrazione

Quando hanno raggiunto la loro macchina, hanno guidato dritto lungo un percorso preparato fino a Bryansk e al confine ucraino, dove sarebbero stati evacuati e da qualche parte sarebbe stata loro garantita una nuova vita.

Sono sicuro che questa era la storia che gli è stata raccontata. In effetti, i gestori sicuramente non si aspettavano che queste persone sarebbero sopravvissute. Quindi, l’intera storia dell’estrazione è stata solo una motivazione per mettere in atto il piano e andarsene con le loro vite.

Sono sicuro che se fossero riusciti a raggiungere il confine ucraino, gli ucraini li avrebbero uccisi sul posto e avrebbero fatto sparire i corpi per sempre per tagliare la traccia.

Tuttavia, questi ragazzi erano pesantemente drogati, come già descritto. Penso che le loro condizioni psichiche e fisiche siano peggiorate notevolmente durante il viaggio verso Brjansk. Si poteva solo provare ad immaginare cosa passasse per le loro menti malate durante il viaggio.

Il fatto che siano fuggiti con un’auto conosciuta dimostra che i loro accompagnatori volevano che fossero catturati o che semplicemente erano così pesantemente drogati e stressati che non sono riusciti a cambiare l’auto in un posto preparato. Forse sarebbero riusciti a fuggire dal Paese con un’altra macchina. Chi lo sa?

La caccia

L’FSB ha eseguito alcuni piani preparati in caso di fuga di terroristi e altri criminali. Ciò ha permesso loro di utilizzare tutti i mezzi disponibili per identificarli e rintracciarli il più rapidamente possibile, senza precedenti decisioni del tribunale, ecc.

Tuttavia, l’FSB aveva un chiaro profilo della distanza in cui avrebbero dovuto trovarsi in un determinato momento a causa del tempo trascorso. Quindi presumo che fosse in corso una ricerca, che si sviluppava ed espandeva dinamicamente insieme al passare del tempo. Le forze speciali di Akhmat sono state schierate lungo il percorso più probabile, molto probabilmente perché si sapeva che questi ragazzi erano musulmani e la Russia voleva evitare immagini di russi cristiani che torturavano musulmani per evitare problemi interetnici e interreligiosi.

Perché si sono arresi invece di uccidersi o morire combattendo? A causa della droga, ovviamente. Penso che avessero finito con tutto dopo 12 ore con i farmaci high-tech più pesanti, con quello che avevano fatto e guidando con tutto questo per 5-6 ore e pensandoci. E ovviamente senza dormire. Penso che non fossero più in grado di pensare o decidere razionalmente nulla. Se fossero stati pienamente coscienti, penso che avrebbero preferito uccidersi prima dell’arresto.

A proposito: mentre l’attacco era ancora in corso, sapevo che i russi non li avrebbero uccisi ma, se possibile, li avrebbero catturati vivi. Varrebbe addirittura la pena sacrificare dei soldati per questo scopo. Cosa che per fortuna non ce n’è stata bisogno. Con un simile attacco in atto, sarebbe criminale uccidere la migliore fonte di informazioni.

Dolore

Questa è stata la ragione principale di questo attacco. Usare musulmani (Tagikistan) per uccidere decine di russi e poi fuggire in Ucraina. Il classico schema dell’MI6 (in realtà nel Regno Unito) da secoli, per seminare discordia tra persone solitamente fraterne. I russi dovrebbero ora iniziare a odiare tutti gli immigrati provenienti dagli “Stan” dell’Asia centrale e ancor più a odiare gli ucraini, per iniziare finalmente a uccidere i civili ucraini.

L’obiettivo era una reazione eccessiva da parte dei russi. Iniziare a uccidere civili e provocare un’offensiva russa più aggressiva che reclamerebbe migliaia di russi in più del necessario.

Penso che la Russia dovrebbe reagire come dopo ogni provocazione più grande. Eliminando alcuni oggetti infrastrutturali critici (più del solito) e abbattendo decine di comandanti ucraini e agenti GUR/SBU. Il pubblico vuole il sangue e dovrebbe ottenerlo in questo modo. Ogni altra reazione eccessiva giocherebbe solo nelle mani dell’MI6/CIA. Tutto sta andando molto bene in prima linea e questo non dovrebbe essere messo a repentaglio. I veri autori saranno braccati in tutto il mondo, come ho descritto sopra, e moriranno di una morte orribile e dolorosa. Ma prima quando potranno morire. E questo può richiedere del tempo.

Si tratta in gran parte della leadership dell’Isis e questa volta sicuramente anche dei loro gestori dell’intelligence occidentale. Questo era un tabù fino ad ora. Penso che in questo caso alcune persone dell’MI6/CIA morderanno la polvere. Molto probabilmente verranno addirittura sacrificati (agnello sacrificale) per i loro stessi servizi, per calmare i russi. Si trattava chiaramente di un’operazione CONTRO gli interessi americani e contro la politica del Dipartimento di Stato.

Il che mi porta di nuovo negli Stati Uniti.

Per ora, abbiamo molti indicatori che indicano che gli Stati Uniti sono una nazione canaglia, non più guidata dal Popolo. È guidato da alcuni oligarchi che si trovano in tutto l’Occidente e dai loro servizi. L’ho descritto in dettaglio in Economics and Empires 5 .

Per ora, sono riusciti a nascondere questo fatto con il loro governo fantoccio e il congresso che è completamente controllato. Nessuno mette nemmeno in dubbio il fatto che gli Stati Uniti siano guidati da uno zombie semi-vivente, mascherato da Presidente? Voglio dire… non solo gli americani ma nemmeno noi europei lo mettiamo in discussione. In realtà noi europei lo mettiamo in discussione anche se in misura minore. Che cosa?

E ora ce lo sbattiamo in faccia. Persone come Nuland, responsabile dell’organizzazione di tutto questo disastro ucraino per i suoi oligarchi, hanno apertamente annunciato alcuni regali di addio a Kiev per il presidente Putin prima che lasciasse l’incarico. Il Dipartimento di Stato per il quale lavorava, sapendo che qualcosa stava accadendo in relazione all’Ucraina e ad un attacco terroristico a Mosca, lo aveva avvertito senza conoscerne i dettagli. Tali cose vengono pianificate e condotte dai servizi speciali che gestiscono gli Stati Uniti e cancellano completamente la costituzione e la democrazia.

La Casa Bianca ha addirittura lasciato intendere che i servizi ucraini stanno pianificando cose che vanno ben oltre gli interessi degli Stati Uniti. Penso che la Casa Bianca e il Dipartimento di Stato siano attualmente in dialogo aperto con i propri servizi che conducono una politica estera parallela e conducono operazioni indipendenti su suolo straniero senza il consenso della Casa Bianca, del Congresso, del Dipartimento di Stato o qualsiasi altra struttura “democratica”.

Questi sono sviluppi molto pericolosi poiché presumo che ora abbiamo il primo vero attacco contro civili russi coordinato e pianificato da almeno un servizio occidentale ed eseguito dalla loro forza mercenaria, chiamata ISIS. E la Russia si vendicherà… Penso che cadranno molte teste… In Medio Oriente, negli Stan e in Occidente.

Ma prima che tutto ciò accada, i quattro terroristi catturati trascorreranno una bellissima vacanza termale in uno dei “centri ricreativi” dell’FSB per buoni cittadini. Penso che questo ragazzo su X abbia detto cinicamente ma molto bene cosa succederà adesso in questi “centri ricreativi” dell’FSB.

Il presidente Putin ha approvato l’impunità per i servizi russi, come nella seconda guerra cecena, affinché facciano ciò che è necessario e lo diano come esempio. A proposito… esattamente quello che i nazisti ucraini si aspettano non appena l’Ucraina cade…

Se nei prossimi giorni vedrete tutte le immagini e i filmati delle torture di questi ragazzi… Sono approvati dallo stesso presidente Putin e progettati per mostrare a tutti nel mondo russo (spazio ex sovietico e oltre) cosa li aspetta in questi casi. E il presidente Putin sa molto bene come gestire una simile campagna. Ho già accennato in uno dei miei articoli a come la Cecenia è stata ripulita “fisicamente” e cosa attende l’Ucraina.

Nota dell’autore: tutto ciò che ho scritto sulla tortura e su ciò che accadrà qui o là non è la mia opinione ma una secca analisi di ciò che sta accadendo.

Concluderò questo articolo con l’ultimo post su Telegram di Dmitry Medvedev :

Ecco la traduzione automatica:

“Me lo chiedono tutti. Cosa fare? Sono stati catturati. Complimenti a tutti coloro che li hanno catturati. Dovrebbero essere uccisi? Necessario. E lo sarà. Ma è molto più importante uccidere tutte le persone coinvolte. Tutti. Chi ha pagato, chi ha simpatizzato, chi ha aiutato. Uccidili tutti.”

Citazione di Dimitry Medvedev.

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La minaccia di Trump all’Europa, di Di Liana Fix e Michael Kimmage

La minaccia di Trump all’Europa
Il suo primo mandato ha messo alla prova le relazioni transatlantiche, ma il suo secondo potrebbe romperle
Di Liana Fix e Michael Kimmage
22 marzo 2024

Il candidato alle presidenziali americane Donald Trump durante un comizio elettorale a Richmond, Virginia, marzo 2024
Jay Paul / Reuters

A febbraio, l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha incoraggiato la leadership russa a fare “quello che diavolo vogliono” a tutti i membri della NATO che non spendono il 2% del PIL per la difesa. Trump ha già fatto commenti incendiari simili in passato. L’Europa dovrebbe prendere sul serio le sue minacce. È di nuovo il candidato repubblicano presunto alla presidenza degli Stati Uniti e in molti sondaggi recenti è in vantaggio su Joe Biden, il presidente in carica.

Se dovesse essere eletto per un secondo mandato, gli atteggiamenti di Trump verso l’Ucraina, la Russia e la NATO – e la sua mentalità mercuriale ed egoista – saranno determinanti per la guerra in Ucraina. Trump probabilmente sconvolgerà l’intera relazione transatlantica molto più di quanto abbia fatto durante la sua prima presidenza. Sebbene i leader europei abbiano accolto la sua elezione nel 2016 con panico, le politiche da lui perseguite sono state più o meno convenzionali. Non si è ritirato dalla NATO e la sua amministrazione ha fornito aiuti militari letali all’Ucraina, che si sono rivelati fondamentali per l’autodifesa del Paese dopo l’invasione russa. Tra il 2017 e il 2021, non ci sono state rotture definitive nelle relazioni transatlantiche.

I rischi di un secondo mandato di Trump sarebbero più pericolosi. Risiederebbero nella diminuzione degli Stati Uniti come credibile garante della sicurezza per l’Europa. Anche se Trump mantenesse il sostegno militare degli Stati Uniti all’Ucraina, cosa improbabile, la sua politica estera altamente transazionale incoraggerebbe il presidente russo Vladimir Putin e ostacolerebbe lo sforzo bellico dell’Ucraina. L’Europa non avrebbe abbastanza tempo per unirsi e armarsi per resistere a una Russia espansionistica. Con Trump alla presidenza, Putin potrebbe ottenere molto presto ciò che vuole: il controllo di ampie zone del territorio ucraino. Un simile sviluppo avrebbe effetti a catena in tutto il continente, lasciando agli europei un controllo sempre minore sul proprio destino geopolitico.

I timori per un secondo mandato di Trump si cristallizzano spesso intorno alle decisioni concrete che potrebbe prendere. Potrebbe decidere di uscire dalla NATO. Potrebbe decidere di gettare l’Ucraina sotto l’autobus. Potrebbe decidere di perseguire la partnership con Putin di cui ha spesso parlato con affetto. La realtà, però, è che Trump non è deciso. Raramente dà seguito alle sue idee più avventate. Ma è la natura mercuriale di Trump, più che i suoi ideali, che potrebbe creare scompiglio. Senza dubbio impasterebbe il suo gabinetto, e persino i vertici militari degli Stati Uniti, con dei lealisti.

E il mondo è più infiammabile ora di quanto non lo fosse nel 2016. Una guerra alle porte dell’Europa, una guerra in Medio Oriente e la possibilità di un grande conflitto in Asia farebbero da sfondo a una seconda presidenza Trump. Uomo volubile, Trump si fa convincere da altri leader, tra cui Putin, Kim Jong Un della Corea del Nord e Xi Jinping della Cina. Ha trasformato il Partito Repubblicano a sua immagine e somiglianza, cosa che non è avvenuta nel 2016. Tra i repubblicani sono rimasti sempre meno atlantisti. All’interno del partito, l’idea che gli Stati Uniti non debbano essere responsabili della sicurezza dell’Europa è diventata mainstream. Le minacce che emergono dal comportamento di Trump perseguiteranno l’Europa anche se Trump non dovesse vincere a novembre.

QUASI IMPOSSIBILE
Dopo l’elezione di Trump nel 2016, molti leader stranieri hanno fatto delle scommesse, anticipando un cambiamento nella politica estera degli Stati Uniti, ma anche operando in una modalità di attesa. La possibilità che gli atteggiamenti di Trump si rivelassero un’eccezione allo spirito tradizionale della politica statunitense era molto reale. È vero, Trump è stato eletto. Ma aveva perso il voto popolare. Questa copertura era saggia. Nelle elezioni di midterm del 2018, il Partito Democratico ha fatto breccia e, per tutta la durata della sua presidenza, l’amministrazione di Trump ha trovato il modo di sfidare le direttive meno gradite del presidente.

I cosiddetti adulti nella stanza – funzionari come il Segretario alla Difesa Jim Mattis, il Consigliere per la Sicurezza Nazionale H. R. McMaster e il Segretario di Stato Rex Tillerson – hanno smorzato gli impulsi più dirompenti di Trump. Sebbene la retorica di Trump sia stata spesso anti-NATO – ha dichiarato l’alleanza “obsoleta” nel gennaio 2017 – la NATO non è appassita durante il suo primo mandato, ma è cresciuta. Trump ha fatto entrare nell’alleanza due nuovi Paesi, il Montenegro e la Macedonia del Nord. Insieme al comportamento bellicoso della Russia, la continua messa in discussione da parte di Trump dell’impegno degli Stati Uniti nei confronti dell’Europa ha stimolato i Paesi europei ad aumentare leggermente le spese per la difesa.

La Russia ha gettato un’ombra sulla prima presidenza Trump. Il Cremlino si è intromesso nelle elezioni del 2016, cercando di far pendere la bilancia a favore di Trump. Scandali, cause giudiziarie e un’indagine di un procuratore indipendente hanno mantenuto la relazione tra Trump e la Russia nei titoli dei giornali. Alcune parti di questo spettacolo mediatico sono state coltivate da Trump, che ama fare la vittima, mentre altri aspetti sono stati alimentati dal sospetto, discusso all’infinito durante la sua presidenza, che Trump fosse un agente russo. In effetti, Trump è stato più amico di Putin di quanto non lo sia mai stato nessuno ai vertici della politica statunitense. Ma non si è mai verificato alcun cambiamento nelle relazioni degli Stati Uniti con la Russia: nessun accordo per accettare l’annessione della Crimea da parte della Russia, nessun accordo per porre fine alla guerra nell’Ucraina orientale alle condizioni della Russia, nessun accordo per espandere l’influenza della Russia sull’Europa. Trump non ha revocato le sanzioni contro la Russia imposte dalle precedenti amministrazioni presidenziali. Durante la sua presidenza, i legislatori repubblicani hanno votato per ampliarle.

Tra gli atti più significativi della presidenza Trump c’è stata l’assistenza militare letale fornita all’Ucraina. Le sue motivazioni erano tutt’altro che pure. Aiutare l’Ucraina con armi letali era qualcosa che il presidente Barack Obama si era rifiutato di fare, e Trump non è mai stato così felice come quando ha potuto rovesciare una politica dell’era Obama. Nel 2017, Trump ha dato il via libera agli aiuti militari letali all’Ucraina, tra cui i missili anticarro Javelin, un atto che riteneva positivo per l’industria della difesa statunitense. Nel 2019, ha bloccato le consegne mentre i suoi inviati sollecitavano il governo ucraino a infangare la reputazione di Biden. Ma alla fine gli aiuti hanno continuato ad arrivare. Nelle prime settimane dopo l’invasione russa del 2022, i sistemi anticarro Javelin avrebbero giocato un ruolo cruciale nella capacità dell’Ucraina di difendersi dall’avanzata della Russia verso Kiev.

COSTI DI TRANSAZIONE
Questi precedenti, tuttavia, dovrebbero fornire poche rassicurazioni. Un secondo mandato di Trump sarebbe quasi certamente più radicale. Trump e i suoi accoliti sanno bene come governare il ramo esecutivo. La sua squadra ha preparato una revisione del governo federale progettata per installare i lealisti di Trump in posti per lo più occupati, durante il suo primo mandato, da funzionari pubblici e incaricati apartitici che non avevano una forte affinità ideologica con il trumpismo. Gli elettori delle primarie repubblicane e i funzionari del partito si sono schierati a favore di Trump come candidato per il 2024, il che significa che i capricci e le idee di Trump, che possono cambiare di giorno in giorno, avrebbero maggiori probabilità di essere eseguiti se egli dovesse riprendere il potere.

Un secondo mandato di Trump dimostrerebbe che i principi alla base della politica estera degli Stati Uniti sono davvero cambiati. Con Trump incoronato come presunto candidato repubblicano alle presidenziali del 2024, questo cambiamento di percezione è già iniziato. La sua rielezione rappresenterebbe un cambiamento radicale nella politica interna ed estera: un allontanamento duraturo dalla costruzione di alleanze e dalla convinzione che gli Stati Uniti siano l’alleato naturale e il garante della sicurezza dell’Europa. Trump probabilmente perseguirebbe una serie caleidoscopica di partnership a breve termine, la maggior parte delle quali con Paesi extraeuropei e alcune con Paesi ostili all’Europa. Egli considera l’atlantismo come una sciocca preoccupazione dei democratici, e questo non può più essere inteso come un’anomalia temporanea. Al contrario, il capitolo iniziato nel 1945 si sarebbe chiuso. Diventerebbe storia. La Russia concluderebbe sicuramente che l’atlantismo è un punto di vista moribondo.

Il transazionalismo è stato l’unico filo conduttore coerente del primo mandato di Trump. Un secondo mandato di Trump si orienterebbe probabilmente su un transazionalismo meno contenuto, lasciando la politica estera americana subordinata all’interesse personale di Trump e ai suoi tentativi di dominare i cicli di notizie statunitensi in rapida evoluzione. Una caratteristica distintiva della prima presidenza Trump è stata l’assenza di guerre su larga scala in Europa o in Asia. Per quattro anni, la retorica incendiaria di Trump ha trovato poca carne al fuoco. Ma questa prospettiva globale è cambiata. Nel gennaio 2025, il miglior risultato che si potrebbe plausibilmente ottenere nella guerra tra Israele e Hamas sarebbe un cessate il fuoco nervoso. Non è da escludere che prima di allora scoppino crisi legate alla Corea del Nord o a Taiwan.

E soprattutto, la guerra in Ucraina quasi certamente non sarà finita. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha spinto gli europei a investire maggiormente nella propria difesa. Entro il prossimo anno, 18 Stati membri della NATO raggiungeranno finalmente una spesa per la difesa pari al 2% del PIL. Agli occhi di Trump, questi investimenti sono destinati a non essere all’altezza.

Le sue lamentele sul fatto che gli alleati europei “sono in ritardo” rispetto agli Stati Uniti nella spesa militare non sono mai state sincere. In realtà, egli non vede affatto il valore della partecipazione degli Stati Uniti alla NATO. Le sue bordate contro l’alleanza non riguardano solo disaccordi politici, ma sono anche teatro populista per il consumo interno. Se questo teatro sembrava essenzialmente innocuo nel suo primo mandato, sarà molto più pericoloso nei prossimi quattro anni. Un semplice cenno di approvazione verso le ambizioni destabilizzanti della Russia al di là dell’Ucraina potrebbe essere disastroso per l’Europa. Nel 2016, la Russia rappresentava una presenza militare indesiderata in Ucraina, ma i contorni delle sue ambizioni globali erano solo vagamente visibili. Ora, una Russia iperattiva a livello internazionale vuole rifare l’intera architettura di sicurezza dell’Europa attraverso la guerra.

ROULETTE RUSSA
Scrivendo su Foreign Affairs di febbraio, un gruppo di leader e analisti europei ha sostenuto che una seconda amministrazione Trump potrebbe avviare la transizione dell’Europa verso la piena autonomia strategica. I Paesi europei hanno la possibilità di emettere un debito congiunto per incrementare la produzione di difesa del continente, come hanno fatto durante la pandemia COVID-19. Ma tali sforzi, anche se tutte le parti necessarie li accettassero, richiederebbero tempo. L’Europa avrebbe bisogno di almeno un decennio per prepararsi a difendersi con successo contro una Russia che aumenta continuamente il suo budget per la difesa.

Trump potrebbe anche costringere i singoli Paesi europei ad andare per la loro strada invece di unire le forze, provocando un momento di divisione e di “ricerca del rifugio”. Rendendosi conto che gli Stati Uniti si stanno allontanando dall’Europa, ogni Paese europeo potrebbe reagire alla minaccia russa in modo diverso. Un secondo mandato di Trump potrebbe dividere l’Europa invece di rafforzarla, proprio l’esito che la Russia vorrebbe vedere.

Trump non può distruggere l’UE, ma può minare drasticamente la NATO. Non è necessario che si ritiri dall’alleanza, cosa che sarebbe disordinata dal punto di vista procedurale. Potrebbe riempire le posizioni di vertice con lealisti che disprezzano l’atlantismo, erodendo la fiducia degli alleati europei degli Stati Uniti. (Una di queste figure è Richard Grenell, suo ex ambasciatore in Germania, che potrebbe diventare Segretario di Stato). In qualità di presidente, Trump avrebbe il potere di ridurre il numero di truppe statunitensi di stanza in Europa e di minacciare che Washington potrebbe non onorare gli impegni assunti ai sensi dell’articolo 5. Il piacere che Trump prova nell’annullare le conquiste dei suoi predecessori è eloquente: si è divertito a ritirarsi dall’accordo con Obama sull’Iran e dagli accordi di Parigi sul clima del 2015. Nel 2025, Trump potrebbe cercare di annullare proprio i metodi che l’amministrazione Biden ha utilizzato per rassicurare l’Europa dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, come lo stazionamento di ulteriori truppe in Europa e l’aiuto a coprire i paesi europei che stavano fornendo attrezzature militari all’Ucraina.

Un secondo mandato di Trump renderebbe molto più facile per la Russia minare la NATO dall’interno.
L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia non ha disturbato Trump. A volte la definisce una prova della debolezza americana, colpa diiden. Altre volte, invece, elogia l’aggressione di Putin. Piuttosto che ritirare immediatamente gli aiuti militari e di intelligence degli Stati Uniti dall’Ucraina, Trump potrebbe cercare di contrattare con Putin se pensa che la Russia possa offrirgli qualcosa in cambio, materialmente o politicamente: una “pace nel nostro tempo” per la quale potrebbe prendersi il merito o una proposta più banale come un prezzo del petrolio più basso. Trump potrebbe quindi affermare di stare difendendo il popolo americano. Potrebbe sostenere, in modo accurato o impreciso, che i soldi un tempo destinati all’Ucraina saranno spesi per mettere in sicurezza il confine meridionale degli Stati Uniti. Trump potrebbe anche cercare di usare gli aiuti statunitensi all’Ucraina come leva sull’Europa, da dare o togliere in proporzione a quanto l’Europa può dare agli Stati Uniti.

Nel complesso, un’Ucraina in guerra non ha nulla di concreto da offrire né alle aziende di Trump né alla sua posizione politica. Trump non crede che l’Ucraina aiuti gli Stati Uniti difendendosi, rafforzando la sicurezza europea o incrementando la produzione di armi statunitensi. Non ha argomenti sul valore intrinseco della sovranità, dell’integrità territoriale e della sicurezza europea dell’Ucraina. Per lui, questi principi sono solo materia di negoziazione.

Se il futuro dell’Ucraina dovesse diventare la merce di scambio di Trump, ciò potrebbe provocare una serie di effetti a catena sconvolgenti. Se la Russia consolida il suo controllo sull’Ucraina, un’incursione in Moldavia sarebbe una scelta naturale. Trump si preoccupa della Moldavia tanto quanto dell’Ucraina, cioè molto poco. La minaccia per gli Stati orientali dell’Europa aumenterebbe esponenzialmente. E se Trump togliesse il tappeto da sotto i piedi alla NATO, Putin potrebbe sviluppare ambizioni espansionistiche anche oltre la Moldavia e l’Ucraina. Potrebbe mettere alla prova la risolutezza della NATO lanciando incursioni non attribuite di truppe senza insegne, ad esempio, negli Stati baltici o in Polonia, non per conquistare il territorio della NATO, ma per instillare paura nei membri della NATO dimostrando che l’alleanza è vuota.

Senza il forte sostegno degli Stati Uniti alla NATO, tali mosse del Cremlino rappresenterebbero un terribile dilemma per Francia, Germania, Regno Unito e altri alleati della NATO. Per paura, alcuni Stati europei potrebbero essere tentati di placare la Russia invece di rispondere a queste incursioni con la forza militare. Paesi come l’Ungheria potrebbero addirittura schierarsi con la Russia pur rimanendo nella NATO, passando informazioni a Mosca, deridendo l’idea di un’alleanza unificata e intralciando le decisioni europee che si basano sul consenso. In questo modo, la Russia potrebbe minare la NATO dall’interno.

EFFETTI DI CARATTERE
Più probabile di un attacco diretto della Russia alla NATO sarebbe un accordo siglato da Trump che dia a Putin il controllo di ampie zone dell’Ucraina e, attraverso il ritiro delle truppe statunitensi di stanza in Europa, una voce non banale nella sicurezza europea. Con un accordo di questo tipo, Putin cercherebbe una partecipazione permanente alla sicurezza europea, riportando ad esempio la NATO alla sua configurazione del 1997, come ha chiesto nel dicembre 2021. Per aumentare la pressione sull’Europa, la Russia potrebbe anche minacciare attacchi nucleari contro l’Europa. Lo ha già fatto in passato. Questa volta, le sue minacce avrebbero un peso maggiore, perché l’Europa non potrebbe più dipendere dall’ombrello nucleare statunitense. Trump potrebbe quindi ricattare gli europei con l’influenza che ha acquisito sulla loro sicurezza, chiedendo che la protezione degli Stati Uniti sia pagata con concessioni sul commercio o sull’approccio dell’Europa alla Cina.

Trump non ha la pazienza di portare a termine la maggior parte dei suoi programmi diplomatici. La sua tendenza è quella di sommergere le sue reali intenzioni in una marea di dichiarazioni contraddittorie. È improbabile che riesca a imporre una nuova architettura di sicurezza europea o una soluzione alla guerra in Ucraina di sua iniziativa. Non ne ha la visione.

Tuttavia, i suoi piani saranno meno importanti del suo carattere. Profondamente amorale, Trump farà tutto ciò che pensa possa attirare l’attenzione, fargli guadagnare soldi o rafforzare il suo potere e la sua posizione. Poiché sarà più svincolato in un secondo mandato, poiché gli sforzi dei Paesi europei per rafforzarsi sono stati insufficienti e poiché l’audacia di Putin sta crescendo, in un batter d’occhio Trump potrebbe distruggere le relazioni transatlantiche. Se riuscisse a vendere come una vittoria la distruzione dei legami storici degli Stati Uniti con l’Europa, lo farebbe, lasciando gli ucraini e gli europei nei guai, improvvisamente vulnerabili alle ambizioni incontrollate della Russia. L’Europa si troverebbe intrappolata tra la Scilla di una Russia aggressiva e la Cariddi di Stati Uniti ambivalenti, incerti se preferire ignorare o sfruttare l’Europa. Non è una fantasia che, invece di una pace perpetua – e anzi, persino di una cortina di ferro – il caos possa nuovamente scendere su un continente fin troppo familiare con la guerra.

  • LIANA FIX is a Fellow for Europe at the Council on Foreign Relations and an Adjunct Professor at the Center for German and European Studies and the Center for Eurasian, Russian, and East European Studies at Georgetown University.
  • MICHAEL KIMMAGE is Professor of History at the Catholic University of America and a Nonresident Senior Associate in the Europe, Russia, and Eurasia Program at the Center for Strategic and International Studies. He is the author of Collisions: The War in Ukraine and the Origins of the New Global Instability.

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Russia, strage al Krokus! Con R. Buffagni, G Gabellini, Max Bonelli, Flavio Basari, Dmitry Kuznetsov

Fonti dell’amministrazione statunitense e l’intera stampa occidentale continuano a sottolineare con enfasi sospetta che gli unici dati certi dell’attentato al Crucus di Mosca sono le vittime e la natura islamica della strage. L’accusa al Cremlino di strumentalizzazione del fatto è implicita e, spessp, esplicita. Dobbiamo necessariamente andare avanti per ipotesi, ma i punti oscuri ed ambigui della vicenda già emersi sono troppi per un giudizio così inequivoco. Ci soffermiano a lungo in proposito nella discussione. Più che di matrice islamica, sono ambiguità che spingerebbero a definire l’atto a coloritura islamica. Sono tesi che, comunque, non escludono, non sono incompatibili con ispirazioni, contributi, pianificazioni ed operatività di ben più alto livello strategico e respiro geopolitico. Comprovata la reiterata connivenza e il contributo di settori dell’intelligence statunitense e britannica sin dagli albori, ma anche di altri paesi europei a noi prossimi operanti in Africa, nella formazione e nella copertura delle formazioni islamiste più militanti e radicali. Probabilmente la completa verità resterà solo nelle mani degli ispiratori e potrebbe essere svelata, per opportunità e in tempi da definire solo dalle parti in causa vittime e/o protagoniste di queste scelte. Dobbiamo affidarci ad ipotesi e, al solito, all’interrogativo: cui prodest? I partecipanti alla conversazione cercano con arguzia di approfondire, ma la risposta appare verosimile e credibile, destinata a pesare, se confermata, come un macigno sul futuro delle dinamiche geopolitiche. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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È tempo che la Russia chiuda la sua politica di frontiera aperta con l’Asia centrale?_di ANDREW KORYBKO

Questo accordo è economicamente vantaggioso ma espone la Russia a rischi per la sicurezza.

Il fatto che sia stato un terrorista venerdì sera L’attacco al Crocus City Hall di Mosca commesso da migranti tagiki ha fatto sì che alcuni si chiedessero se sia giunto il momento per la Russia di chiudere la sua politica di apertura delle frontiere con l’Asia centrale. I cittadini di questi paesi possono entrare in Russia senza visto per 90 giorni, dove molti di loro trovano poi lavoro manuale e/o poco qualificato per soddisfare le esigenze del mercato del paese ospitante. In cambio, le loro rimesse mantengono a galla i paesi in difficoltà, evitando così che essi scivolino verso stati falliti.

Questo accordo è economicamente vantaggioso ma espone la Russia a rischi per la sicurezza. Il più ovvio è che i terroristi possono facilmente sfruttare questa politica di frontiera aperta per entrare nel paese con un controllo minimo, mentre un rischio correlato è che possano radicalizzare i migranti indigenti che sono già lì. Meno ovviamente, quei migranti che rifiutano di seguire il consiglio del presidente Putin di integrarsi e assimilarsi contribuiscono alle tensioni etniche, minacciando così l’unità nazionale.

Nel 2012, durante la sua campagna per il ritorno alla presidenza dopo il mandato di primo ministro, il leader russo ha pubblicato un dettagliato manifesto sull’immigrazione, che può essere letto in inglese qui , dove spiega l’importanza che i nuovi arrivati ​​rispettino i loro ospiti incorporandosi pacificamente nella società. Il patriarca Kirill aveva avvertito a novembre che “ l’intero mondo russo è minacciato ” a causa del fallimento di questa politica, che però un mese dopo, a suo dire, “ minaccia la pace e l’armonia interreligiosa e interetnica ”.

Ha aggiunto che “il desiderio di ottenere manodopera a buon mercato per il bene di benefici economici soprattutto a breve termine non dovrebbe attirare nella nostra madrepatria un numero enorme di persone appartenenti a una cultura diversa, che spesso non parlano russo e non hanno rispetto per la Russia e i popoli che vivono qui”. Lui è stato cauto con le sue parole perché l’articolo 282 del codice penale russo vieta l’istigazione all’odio etnico-religioso, ma alcuni suoi connazionali esprimono questi stessi punti in modo crudele e quindi violano la legge.

L’articolo di cui sopra è fondamentale per preservare l’esistenza della Russia come paese multinazionale poiché la proliferazione incontrollata di discorsi di incitamento all’odio rischia di catalizzare innumerevoli conflitti di identità. Tuttavia, la sovrabbondanza di cautela che molti adottano quando discutono di questioni legate ai migranti, per paura che le loro parole possano accidentalmente violare la legge, spiega perché la dimensione di sicurezza di questo argomento non è stata ampiamente discussa, anche se l’intervento del Patriarca Kirill e l’attacco al Crocus potrebbero cambialo.

Per essere assolutamente chiari, i tagiki sono per lo più laboriosi, pacifici e laici, ma hanno anche delle mele marce nella loro società, proprio come tutti. Detto questo, tre fattori distinguono la marmaglia del Tagikistan da tutti gli altri paesi che hanno l’esenzione dal visto per recarsi in Russia: l’eredità persistente della guerra civile di ispirazione islamica degli anni ’90; vicinanza geografica all’Afghanistan in cui opera l’ISIS-K; e la presenza di più tagiki in Afghanistan che nello stesso Tagikistan.

Nell’ordine in cui sono stati condivisi, questi portano a: un segmento considerevole della popolazione che è predisposto al radicalismo religioso; i suddetti hanno l’opportunità di ottenere facilmente formazione in preparazione di futuri attacchi; e i membri radicalizzati della diaspora afghana sono in grado di sfruttare le connessioni etno-linguistiche per influenzare le controparti del loro omonimo stato-nazione. Questi rischi non sono teorici ma hanno già preso forma tangibile, secondo il ministro della Difesa ad interim dei talebani.

Alla fine dell’anno scorso ha rivelato che “dopo che l’Emirato islamico è salito al potere, gli attacchi contro moschee, monasteri, studiosi di religione e incontri pubblici sono stati tutti compiuti da stranieri, in particolare cittadini del Tagikistan. Decine di cittadini tagiki sono stati uccisi nelle nostre operazioni e dozzine di altri sono stati arrestati… Ora in alcuni paesi vicini ci sono centri di produzione, contrabbando e vendita di armi”.

Stando così le cose, il mantenimento della politica di frontiere aperte della Russia con il Tagikistan la espone oggigiorno a un rischio per la sicurezza senza precedenti, anche se non può essere chiusa senza fare lo stesso per le altre repubbliche dell’Asia centrale che hanno gli stessi diritti di viaggio senza visto o sarà destabilizzante. La ragione è che escludere solo il Tagikistan da questo accordo potrebbe causare un diffuso risentimento che i terroristi potrebbero sfruttare per radicalizzare più tagiki e indurli a compiere ulteriori attacchi terroristici.

Allo stesso tempo, rimane la logica economica reciprocamente vantaggiosa che è responsabile in primo luogo di questa politica, il che significa che ci sarebbero dei costi per entrambe le parti se la Russia la abbandonasse. Dovrebbe quindi essere raggiunta una via di mezzo in cui ciascuno possa ancora trarre benefici economici, anche se forse a un livello relativamente inferiore rispetto a quello attuale, ma con maggiori misure di sicurezza in atto per impedire ai terroristi di sfruttare i privilegi di viaggio senza visto di questi cittadini verso la Russia.

In ogni caso, non c’è mai stato un momento migliore di questo per i membri responsabili della società russa per avviare un dialogo atteso da tempo e molto schietto su questo argomento, soprattutto dopo l’intervento del Patriarca Kirill e l’attacco al Crocus. Coloro che vi partecipano devono però sempre tenere presente l’articolo 282, per evitare di catalizzare inavvertitamente innumerevoli conflitti di identità in questo paese storicamente cosmopolita che faciliterebbero il divide et impera dell’Occidente . Trame di guerra .

Questa teoria del complotto è screditata dal fatto documentato che egli ordinò all’FSB pochi giorni prima dell’attacco di intensificare gli sforzi antiterroristici “in modo significativo” e ricordò loro quanto pericolose potrebbero essere tali minacce se fossero collegate a Kiev e/o i suoi mecenati occidentali, come ha lasciato intendere.

L’ultima teoria cospirativa che circola sull’attacco terroristico al Crocus City Hall di Mosca è che il presidente Putin abbia minimizzato le minacce dell’ISIS-K nel periodo precedente, con la presunta prova che era ciò che aveva detto all’FSB diversi giorni prima. Lui ha detto: “Vorrei anche ricordare le recenti dichiarazioni provocatorie di una serie di strutture ufficiali occidentali riguardo a potenziali attacchi terroristici in Russia. Tutte queste azioni assomigliano a un vero e proprio ricatto e all’intenzione di intimidire e destabilizzare la nostra società”.

Questa citazione è stata decontestualizzata da questo media per far sembrare che avesse respinto con arroganza l’avvertimento dell’ambasciata americana su un imminente attacco contro “grandi raduni a Mosca, compresi concerti”, nelle 48 ore successive all’arresto da parte dell’FSB di una cellula dell’ISIS-K a Mosca. primi di marzo. Una fonte dei servizi speciali ha confermato sabato che la Russia ha ricevuto informazioni “di carattere generale, senza particolari” dagli Stati Uniti. Ciò che questa teoria tralascia, tuttavia, è il resto di ciò che il presidente Putin ha detto all’FSB:

“Chiedo al Servizio di sicurezza federale, insieme ad altri servizi speciali e forze dell’ordine, di intensificare i loro sforzi antiterrorismo in tutti i settori in modo significativo, con il Comitato nazionale antiterrorismo che svolge il suo ruolo di coordinamento.

Dobbiamo capire che abbiamo a che fare con un avversario formidabile e pericoloso che ha nella manica un’ampia gamma di strumenti informativi, tecnici e finanziari.

Non commettiamo errori, sappiamo di cosa sono capaci in tutti questi settori, anche in termini di raccolta di informazioni, e siamo consapevoli anche dei metodi terroristici che utilizzano. Basti citare il bombardamento dei gasdotti Nord Stream nel Mar Baltico. Farebbero ricorso a qualunque cosa”.

Leggendo tra le righe, stava insinuando che Kiev e/o i suoi sostenitori occidentali potrebbero essere in qualche modo collegati alle minacce dell’ISIS-K che hanno preceduto l’attacco terroristico di venerdì sera, ecco perché ha ordinato ai servizi di sicurezza di “intensificare i loro sforzi antiterrorismo in tutte le aree in modo significativo”. La cattura dei terroristi il ​​giorno successivo ha dato credito a questi sospetti dopo che è stato rivelato che stavano cercando di fuggire in Ucraina dove avrebbero avuto contatti.

Lungi dal riposare sugli allori, il leader russo stava cercando proattivamente di contrastare le minacce dell’ISIS-K, che secondo i suoi servizi di sicurezza potevano essere in qualche modo collegate a Kiev e/o ai suoi sostenitori occidentali. Considerando che l’area metropolitana di Mosca conta circa 20 milioni di abitanti, è impossibile proteggere preventivamente tutte le principali aree pubbliche, inoltre ogni serio tentativo in tal senso sconvolgerebbe la vita quotidiana e rischierebbe di provocare il panico.

Il fatto di non istituire controlli di sicurezza dettagliati e di non posizionare guardie armate ai loro ingressi non è la prova che il presidente Putin stesse minimizzando queste minacce poiché non è realistico aspettarsi che un leader lo faccia in risposta alle informazioni di intelligence su un possibile attacco imminente. La sua critica alle dichiarazioni occidentali all’inizio del mese non ne è una prova, poiché avrebbe potuto provocare il panico (come intendevano fare) e suggerire che loro ne sapessero di più su questi piani di quanto ne saprebbe l’FSB se li avesse approvati.

Il leader russo ha affermato che “tutte queste azioni assomigliano a un vero e proprio ricatto e all’intenzione di intimidire e destabilizzare la nostra società” perché hanno falsamente lasciato intendere che quei paesi in realtà sanno di più su un possibile attacco imminente rispetto al suo. Nelle situazioni in cui un Paese condivide tali informazioni con un altro, anche se sono solo “generali” e “senza dettagli” come hanno fatto gli Stati Uniti, la norma diplomatica è di non rilasciare dichiarazioni pubbliche al riguardo a meno che il proprio partner non lo faccia prima.

Facendo quello che hanno fatto, volevano chiaramente provocare il panico e screditare i servizi di sicurezza russi, motivo per cui il presidente Putin li ha criticati duramente nel suo incontro con l’FSB nei giorni precedenti l’attacco. Se avesse davvero minimizzato le minacce dell’ISIS-K nel periodo precedente a quello che è successo, allora non avrebbe ordinato loro di intensificare i loro sforzi antiterrorismo “in modo significativo” e non avrebbe ricordato loro quanto pericolose potrebbero essere tali minacce. se sono collegati a Kiev e/o ai suoi mecenati occidentali, come ha lasciato intendere.

Non è quindi altro che una fake news affermare che lui o qualcuno dei servizi di sicurezza del suo paese sia responsabile di questo attacco terroristico perché avrebbero trascurato in anticipo tutti gli avvertimenti. Coloro che diffondono questa teoria del complotto lo fanno per scopi di guerra dell’informazione, che in alcuni casi includono affermazioni secondo cui il presidente Putin ha lasciato che ciò accadesse come parte di un “complotto sotto falsa bandiera” per giustificare la trasformazione dell’operazione speciale in una guerra secondo gli standard legali della Russia, e non dovrebbe essere ascoltato.

Congetture ragionevoli come chiedersi se l’Ucraina e/o gli Stati Uniti fossero coinvolti va bene visto che stanno conducendo una guerra contro la Russia, ma è inaccettabile sfruttare questo incidente per vomitare teorie cospirative su una falsa bandiera, Trump, lo Yemen o qualsiasi altra cosa. .

Un piccolo gruppo di terroristi pesantemente armati ha ucciso almeno cinque dozzine di persone e ne ha ferite più di 100 in un attacco presso la sede del municipio Crocus, fuori Mosca, venerdì. Sebbene l’ISIS-K abbia rivendicato la responsabilità , RT India ha twittato che “L’immagine ampiamente condivisa di quella che sembra essere una dichiarazione del gruppo che si assume la responsabilità dell’incidente utilizza un modello di notizie che l’ISIS apparentemente ha abbandonato molti anni fa”. Non è quindi chiaro chi si celi dietro questo attacco finché le autorità russe non condivideranno la conferma.

L’ISIS-K resta tuttavia il principale sospettato, dal momento che l’FSB ha sventato l’attacco pianificato contro una sinagoga di Mosca all’inizio di questo mese e fonti dell’intelligence americana hanno detto alle agenzie di stampa americane che “non c’è motivo di dubitare” della loro rivendicazione di responsabilità. Anche l’ambasciata americana a Mosca ha rilasciato una dichiarazione all’inizio di questo mese in cui afferma che “sta monitorando i rapporti secondo cui gli estremisti hanno piani imminenti per prendere di mira grandi raduni a Mosca, compresi concerti, e i cittadini statunitensi dovrebbero essere avvisati di evitare grandi raduni”.

Sebbene il loro avvertimento fosse valido solo per le 48 ore successive al 7 marzo, esso coincise con l’arresto da parte dell’FSB della cellula terroristica dell’ISIS-K, anche se molti sui social media hanno interpretato la loro dichiarazione come una presunta prova che l’America era a conoscenza in anticipo che si stava preparando un altro grande attacco. accadere. Altri, come l’ex presidente e vicepresidente in carica del Consiglio di sicurezza Dmitry Medvedev, hanno ipotizzato che Kiev fosse coinvolta, anche se le autorità non hanno ancora condiviso alcuna prova che indichi in quella direzione.

Nella stessa dichiarazione, l’ex leader russo ha anche affermato che dovrebbe esserci un “ giro di vite sulle famiglie [dei terroristi]”, il che fa eco a ciò che ha scritto poco dopo il bombardamento del ponte di Crimea l’estate scorsa. Allora aveva chiesto che “bisogna far saltare in aria le loro case e quelle dei loro parenti”, anche se è improbabile che il presidente Putin segua il suo consiglio di punire collettivamente le loro famiglie, dato che non è così che la Russia ha mai agito quando ha condotto attività antiterrorismo.

La reazione emotiva di Medvedev è comprensibile, ma sicuramente si renderà conto una volta che si sarà calmato che la sua soluzione rischia solo di generare altro terrorismo creando rimostranze legittime che possono essere sfruttate dai radicali per manipolare le vittime affinché svolgano ulteriori attacchi. Invece di reprimere le famiglie dei colpevoli, la Russia continuerà con le sue indagini, che le consentiranno di determinare esattamente cosa è successo e la reale portata del coinvolgimento straniero.

Anche se l’ISIS-K è il principale sospettato, non si può escludere che il gruppo possa essere stato indirettamente guidato da servizi di intelligence ostili ad attaccare la Russia, il che è possibile se avessero un informatore di alto livello o un suo gruppo tra le loro fila. Il presidente dell’Associazione internazionale dei veterani alfa dell’FSB, Sergei Goncharov, ad esempio, ritiene che il capo dell’intelligence militare ucraino Kirill Budanov fosse coinvolto. Al momento non esistono prove per confermarlo, ma è anche prematuro respingere questa teoria.

Ciò che si può dire con certezza, tuttavia, è che questo attacco terroristico non aveva lo scopo di inviare un segnale a Donald Trump o è collegato allo Yemen in alcun modo, a differenza delle teorie cospirative diffuse da un importante influencer di Alt-Media su X. Quell’individuo ha ipotizzato il primo sulla base del fatto che il proprietario del Crocus City Hall è un amico dell’ex presidente, che una volta vi ha organizzato un concorso “Miss Universo”, mentre il secondo è stato guidato da notizie secondo cui gli Houthi avevano accettato di non prendere di mira le navi russe nel Mar Rosso.

È deludente che una persona così importante introduca nel discorso congetture così ridicole poiché ciò rischia di screditare per associazione i loro stimati partner. Sono stati ospitati da un importante think tank russo, hanno un programma regolare su una delle piattaforme in lingua straniera dei suoi media internazionali, sono apparsi in un importante talk show russo e hanno intervistato un commissario dell’Unione economica eurasiatica, oltre ad altre pretese di fama. Nessuno di questi partner si diletta nelle teorie del complotto.

Si dà il caso che si tratti della stessa persona che in precedenza aveva scritto che: la Russia stava prendendo in considerazione un convoglio navale per rompere il blocco con Turkiye che sarebbe stato protetto dalle sue risorse militari in Siria; c’è un “ quasi consenso ” tra gli Stati profondi russi sul fatto che “Israele potrebbe essere un nemico di fatto” del loro Paese; La Russia “ sta ruotando verso la Palestina ”; il suo aiuto a Gaza coinvolge lo “ spettro militare ”; e si sta preparando a perseguire Israele per crimini di guerra. Le loro ultime teorie del complotto sono altrettanto ridicole e chiaramente false.

Quella su Trump non ha senso dal momento che ci sono modi più diretti per mandargli un segnale che attaccare un luogo in cui è apparso una volta più di dieci anni fa dall’altra parte del mondo, mentre questa analisi qui si basa sulle dichiarazioni ufficiali russe per sfatare la pretesa di un’alleanza con gli Houthi. La Russia ha un dialogo con quel gruppo, che comprensibilmente vuole il suo sostegno politico al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ma lo è anche ha condannato i loro attacchi contro navi civili e sostiene il governo riconosciuto dalle Nazioni Unite.

Teorie di cospirazione infondate come quelle diffuse da quel grande influencer di Alt-Media screditano l’intera comunità dei media non mainstream e i prestigiosi partner di quella persona all’interno della Russia. Una cosa è chiedersi se siano coinvolti coloro che il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha descritto come in guerra contro la Russia, un’altra è scrivere che “non è difficile fare i conti” per vedere che questo attacco è legato a Trump e allo Yemen. Il primo è ragionevole mentre il secondo è ridicolo.

I fatti oggettivamente esistenti sono che l’ISIS-K ha rivendicato la responsabilità utilizzando un modello che avevano abbandonato anni fa, ecco perché la veridicità di questa affermazione è stata messa in dubbio da RT India, e l’FSB ha arrestato i loro membri all’inizio di questo mese prima che potessero attaccare una sinagoga a Mosca. . Successivamente gli Stati Uniti hanno anche avvertito i loro cittadini di evitare grandi raduni come concerti per le prossime 48 ore e le loro fonti di intelligence hanno successivamente detto ai media americani che non dubitano del coinvolgimento dell’ISIS-K in questo attacco.

L’indagine determinerà tutti coloro che hanno avuto un qualsiasi ruolo in quanto appena accaduto, ma poiché ovviamente è appena iniziata e richiederà ancora tempo per concludersi, le persone condivideranno naturalmente le proprie teorie su questo attacco terroristico. Congetture ragionevoli come chiedersi se l’Ucraina e/o gli Stati Uniti fossero coinvolti va bene visto che stanno conducendo una guerra contro la Russia, ma è inaccettabile sfruttare questo incidente per vomitare teorie cospirative su una falsa bandiera, Trump, lo Yemen o qualsiasi altra cosa. .

Questo dovrebbe essere visto come il segnale più chiaro del Cremlino che risponderà allo scenario di un intervento occidentale convenzionale colpendo le forze opposte in linea con le leggi internazionali che governano questa forma di conflitto.

Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha dichiarato al quotidiano Argumenti I Fakty: “Siamo in guerra. Sì, è iniziata come un’operazione militare speciale, ma non appena si è formato questo gruppo, quando l’Occidente collettivo ha preso parte a questa operazione a fianco dell’Ucraina, per noi è già diventata una guerra”. Ciò non ha precedenti poiché la legislazione sulla sicurezza nazionale vieta l’uso della parola “guerra”, che è considerata una descrizione errata del modo in cui la Russia sta conducendo quella che definisce un’operazione speciale.

La distinzione è importante indipendentemente da ciò che affermano i commentatori occidentali, poiché un’operazione speciale è un’azione militare volontariamente limitata mentre una guerra è limitata solo dalle leggi internazionali che la governano (e solo allora se sono rispettate o applicate esternamente). Inoltre, combattere ciò che è legalmente designato dallo Stato come una guerra invece che come un’operazione speciale spinge le autorità a rispondere di conseguenza alla partecipazione dell’Occidente a questo conflitto, aumentando così il rischio di escalation.

Il cambiamento retorico di Peskov avviene mentre la Francia si prepara a farlo in modo convenzionale intervenire nel conflitto NATO-russo La guerra per procura in Ucraina, che il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha inavvertitamente rivelato è già una guerra calda non dichiarata ma limitata, che finora è rimasta gestibile grazie al rispetto di “regole” non ufficiali da parte di ciascuna parte. Formalizzando e poi espandendo la presenza delle truppe francesi sul campo di battaglia, tuttavia, il presidente Emmanuel Macron rischia di esacerbare il dilemma della sicurezza NATO-Russia fino a raggiungere proporzioni incontrollabili.

La descrizione senza precedenti di Peskov del conflitto ucraino come una “guerra” dovrebbe quindi essere vista come il segnale più chiaro finora dato dal Cremlino che risponderà allo scenario di un intervento occidentale convenzionale colpendo le forze opposte in linea con le leggi internazionali che governano questa forma di guerra. conflitto. Il motivo per cui è stato reso pubblico questo intento è quello di indurre la Francia e gli altri stati come il Regno Unito , la Polonia e gli Stati baltici , che potrebbero anch’essi contemplando un intervento convenzionale, a riconsiderare i propri piani.

I loro decisori e le loro società ora sanno come la Russia risponderebbe a questa provocazione, e ciò potrebbe portare a un ciclo incontrollabile di escalation che culminerebbe nella Terza Guerra Mondiale per errori di calcolo. Per essere chiari, la Russia avrebbe il diritto legale e morale di colpire le forze opposte che entrano nel campo di battaglia, quindi la responsabilità di mettere in moto questa pericolosa sequenza di eventi ricade interamente sulle spalle dell’Occidente.

L’unica ragione per cui il blocco sta prendendo in considerazione questa possibilità è perché teme che la possibile imminente svolta russa, che il Comitato di intelligence ucraino ha recentemente avvertito, potrebbe materializzarsi entro quest’estate, potrebbe infliggergli una sconfitta strategica che screditerebbe i suoi politici in patria e all’estero. Hanno esaltato il mondo aspettandosi la sconfitta strategica della Russia durante la controffensiva della scorsa estate , ma quella manovra è fallita totalmente, rimodellando così le dinamiche del conflitto riportando Kiev sulla difensiva .

Invece di accettare una totale sconfitta strategica, alcuni in Occidente ora vogliono “intensificare l’escalation” lanciando un intervento convenzionale che possa prevenire una svolta russa o rispondervi immediatamente, il che potrebbe quindi consentire loro di influenzare la partita finale. In particolare, vogliono preservare la loro prevista “ sfera di influenza ” in Ucraina attraverso la sua spartizione asimmetrica tra NATO e Russia, per non parlare di ridurre le dimensioni della zona cuscinetto auspicata da Mosca in quel paese.

Il Cremlino vuole dissuaderli dal farlo, il che spiega il cambiamento retorico senza precedenti del suo portavoce, avvenuto nel mezzo del più grande attacco mai visto contro la rete energetica ucraina , con queste mosse diplomatiche-militari intrecciate che segnalano cosa accadrebbe alle truppe della NATO se fossero coinvolte. Mantenere la loro guerra calda non dichiarata ma limitata è molto più gestibile che costringere la Russia a rispondere a un intervento convenzionale della NATO che giustamente teme possa essere l’inizio di un’invasione più ampia.

Le leggi internazionali che regolano la guerra verrebbero quindi applicate per fermare questa minaccia sul nascere, con la conseguenza che l’Occidente sarebbe costretto a reagire almeno in modo “occhio per occhio” per non “perdere la faccia” in patria e all’estero, soprattutto dopo che i suoi soldati in uniforme sono stati uccisi. Sebbene la Russia abbia appena effettuato i suoi più grandi attacchi di sempre contro la rete energetica ucraina, secondo Peskov sta ancora combattendo ufficialmente un’operazione speciale che limita volontariamente le sue azioni militari invece di una guerra totale.

Poco dopo il rilascio della sua intervista ha chiarito che “Questa è un’operazione speciale de jure, ma di fatto per noi si è trasformata in una guerra dopo che l’Occidente collettivo ha aumentato sempre più il livello del suo coinvolgimento nel conflitto”. Ciò è servito a dimostrare che la Russia si sta ancora trattenendo, il che ha lo scopo di impedire ai suoi avversari di avviare un intervento convenzionale con il falso pretesto che la Russia avrebbe già rimosso tutte queste restrizioni dopo che Peskov ha descritto il conflitto come una “guerra”.

Il primo ministro ungherese Viktor Orban ha espresso shock per come la retorica di Macron abbia catalizzato quest’ultima “spirale di guerra”, come l’ha definita lui, che “sembrava assurda e impensabile solo due mesi fa” nelle sue parole, ma non ha l’influenza necessaria per fermare o aiutarli a gestire quest’ultima escalation. Il Papa e/o l’India sono gli unici attori con la capacità di mediare tra le parti in guerra a tal fine grazie alla loro reputazione neutrale e alla fiducia di cui godono con tutte le parti.

Anche la Cina è neutrale, proprio come quei due, ma non gode della fiducia dell’Occidente, il cui leader americano lo è Già preparandosi a “ ritornare verso l’Asia ” con lo scopo di contenere la Repubblica Popolare dopo che il conflitto ucraino inevitabilmente finirà. Spetta quindi al Papa e/o all’India intervenire diplomaticamente se le parti in conflitto sono d’accordo, cosa che sembrano piuttosto ricettive quando si tratta del secondo dopo che il primo ministro Narendra Modi ha appena parlato giovedì con i presidenti Putin e Zelenskyj.

Inoltre, il ministro degli Esteri ucraino Dmitry Kuleba dovrebbe visitare l’India la prossima settimana, il primo viaggio di questo tipo da parte di uno dei massimi funzionari del suo paese dall’inizio dell’operazione speciale, e questo potrebbe aiutare l’India a far girare la palla diplomatica se esiste la volontà politica su Kiev. parte per farlo. I colloqui di pace potrebbero non riprendere presto, ma il ministro indiano degli Affari esteri, Dr. Subrahmanyam Jaishankar potrebbe ancora posizionarsi come possibile mediatore tra l’Occidente/Ucraina e la Russia.

È uno dei diplomatici più esperti al mondo, quindi sarà sicuramente in grado di gestire questo compito se richiesto, nel qual caso il suo coinvolgimento potrebbe aiutare a gestire quest’ultima escalation aiutando le parti in guerra ad avere un’idea più chiara delle linee rosse di ciascuna parte e di come stanno reagirà in vari scenari. L’importante è ridurre il rischio di una terza guerra mondiale a causa di errori di calcolo nel caso in cui un membro della NATO o un suo gruppo intervenga convenzionalmente in Ucraina dopo l’avvertimento trasmesso dalla Russia.

Tornando al cambiamento retorico di Peskov, la cosa migliore che potrebbe fare è quindi spingere l’Occidente a fare marcia indietro rispetto ai suoi piani, dopodiché le parti in conflitto potrebbero fare affidamento sulla mediazione indiana per gestire quest’ultima fase del loro dilemma sulla sicurezza. Se l’Occidente interpreta erroneamente le sue parole come un “bluff” e continua a portare avanti ciò di cui ha parlato Macron, soprattutto senza che l’India media per condividere le linee rosse di ciascuna parte e come reagiranno nei vari scenari, allora il rischio di una terza guerra mondiale per errore di calcolo sarà più alto che mai.

Il naso onnipresente di un cammello arabo

Nell’estate del 1997, al culmine dell’ennesima crisi che circondava la saga apparentemente infinita delle squadre di ispezione delle armi delle Nazioni Unite guidate dal sottoscritto che cercavano di ottenere l’accesso a siti considerati dall’Iraq sensibili alla loro sicurezza nazionale, avevo circondato il quartier generale dei servizi segreti iracheni (il Mukhabarat), e insisteva affinché mi fosse concesso l’accesso a luoghi specifici all’interno del quartier generale ritenuti rilevanti per il mandato del Consiglio di Sicurezza che regola il disarmo dei programmi di armi di distruzione di massa dell’Iraq. Il mio principale interlocutore era il generale Amer al-Sa’adi, ex capo dell’industria militare irachena e, all’epoca, consigliere speciale del presidente iracheno Saddam Hussein.

Ho informato il generale Sa’adi del mio desiderio di ottenere l’accesso a due luoghi specifici, uno nella direzione M-4 (operazioni) e l’altro nella direzione M-5 (controspionaggio). Il Generale Sa’adi mi informò che questi erano gli aspetti più delicati del lavoro del Mukhabarat e che concedermi l’accesso sarebbe stato impossibile. Tuttavia, sono stato persistente e all’epoca avevo il sostegno del Consiglio di Sicurezza, che aveva chiarito in una recente risoluzione che un rifiuto di accesso alla mia squadra avrebbe costituito una violazione sostanziale degli obblighi di disarmo dell’Iraq, aprendo la strada che gli Stati Uniti attacchino l’Iraq. Non si trattava di una minaccia vuota: nel Golfo Persico, gli Stati Uniti avevano schierato una portaerei, navi e sottomarini portamissili, supportati da cacciabombardieri dell’aeronautica americana che operavano da basi nei paesi vicini.

Dopo aver negato l’accesso alla mia squadra per diverse ore, il generale Sa’adi alla fine cedette e io portai la mia squadra negli uffici che avevamo individuato come interessanti, dove trovammo documenti che aiutarono la nostra comprensione di come l’Iraq avesse condotto l’approvvigionamento segreto di beni proscritti. elementi nei primi anni del nostro lavoro per il disarmo in Iraq. Una volta terminata l’ispezione, mi sono avvicinato al generale Sa’adi e lo ho rimproverato. “Avremmo potuto farla finita con questa faccenda ore fa, e senza alcun dramma”, ho detto.

Scott discuterà di questo articolo nell’Ep . 145 di Chiedi all’ispettore . Guarda la prima ora in diretta su Rumble , X , Facebook , Twitch o Locals . La seconda ora (a partire dalle 21:00 ET) sarà trasmessa in streaming solo su Rumble, X e Locals e conterrà la musica di Bob Dylan. I nostri ospiti speciali venerdì sera sono Malcolm Burn, conduttore di The Long Way Around , che ha registrato e mixato l’album Oh Mercy di Dylan , e Hank Rosenfeld , autore di The Jive 95 .

Nelle prime ore della giornata, mentre la mia squadra era parcheggiata ai vari ingressi del complesso di Mukhabarat, impedendo qualsiasi uscita di personale, veicoli e/o documenti, le forze di sicurezza irachene preposte alla nostra protezione hanno intercettato un cittadino iracheno infuriato che, armato di un Fucile automatico AK-47, stava progettando di effettuare un attacco drive-by contro me e la mia squadra. È stato fermato a meno di 50 metri da dove ci trovavamo io e la mia squadra di comando.

“Sig. Scott”, rispose il generale Sa’adi, “non ci piace che tu ficchi il naso dove non dovrebbe”.

“Lei stesso ha visto che le informazioni che abbiamo trovato erano pertinenti al nostro mandato”, ho risposto. “Stiamo semplicemente facendo il nostro lavoro”.

“Sì”, ha osservato Sa’adi. “Era rilevante. Ma solo come storia. Non abbiamo più le armi che cerchi. Abbiamo dichiarato tutto. E ora sei impegnato in un esercizio accademico che mette a rischio la nostra sicurezza nazionale”.

Mi sono offeso per i suoi commenti. “In passato vi avevamo chiesto del rapporto tra il Mukhabarat e l’approvvigionamento di armi. Hai negato che ci fosse stato un collegamento. Avevamo informazioni che dicevano che c’era. Pertanto, avevamo il dovere di presumere che le vostre smentite fossero di fatto una prova del fatto che queste attività di appalto continuavano”.

Indicai l’edificio del quartier generale, dove avevamo condotto le perquisizioni. “E i documenti che abbiamo scoperto hanno dimostrato che avevamo ragione: c’era un collegamento tra il Mukhabarat e l’approvvigionamento segreto di armi”.

“Sì”, rispose il generale Sa’adi, “avevi ragione. Ma lo eravamo anche noi. I documenti hanno anche dimostrato che questa attività di approvvigionamento è stata interrotta anni fa. Proprio come avevamo detto che fosse stato.

“Allora perché non lasciare entrare la mia squadra e chiudere la porta a questo capitolo? Perché ritardarci e molestarci?

Il generale Sa’adi si voltò verso di me e sorrise. “C’è un detto tra le tribù beduine. “Se il cammello riesce a mettere il naso nella tenda, presto il suo corpo lo seguirà.” Questa”, ha detto Sa’adi, indicando il complesso di Mukhabarat, “è la nostra tenda. Non possiamo permetterti di mettere il naso sotto il lembo della tenda. Se lo facciamo, non ti fermerai finché non sarai dentro. E una volta dentro, non te ne andrai mai più”.

“Ma sono entrato”, ho detto.

“Sì, ma l’abbiamo reso il più scomodo possibile per te. E ora te ne vai. E se torni, lo renderemo ancora più scomodo”.

Fece una pausa, fissandomi. “Non vogliamo il cammello dell’UNSCOM nella tenda irachena. Perché con l’UNSCOM arriva l’America. E con l’America arrivano morte e distruzione”.

Generale Amer al-Sa’adi

Ho spesso riflettuto sulle parole del generale Sa’adi quel giorno e sulla loro preveggenza: l’UNSCOM, alla fine, è riuscito a infilarci il naso sotto la tenda irachena.

E con noi è arrivata l’America.

E la morte seguì.

L’espressione “non lasciare il naso del cammello sotto la tenda” è diventata parte del mio lessico personale, da pronunciare ogni volta che pensavo che una presenza sgradita stesse cercando di farsi strada nel mio universo.

La scorsa settimana, il presidente francese Emmanuel Macron ha dichiarato che non esistono “linee rosse” per quanto riguarda la prospettiva dello schieramento di truppe francesi in Ucraina. I primi rapporti indicavano che l’esercito francese si stava preparando ad accelerare il rafforzamento di una task force delle dimensioni di un battaglione (circa 700 uomini) attualmente dispiegata in Romania in una brigata (circa 2.000 uomini). La Francia si stava preparando a intraprendere questa azione nel 2025, ma il precipitoso crollo dell’esercito ucraino in prima linea nella guerra in corso con la Russia ha costretto Macron ad accelerare l’operazione in previsione dell’invio di questa brigata in Ucraina.

Nel grande schema delle cose, un contingente militare francese di 2.000 uomini non altererà, di per sé, l’equilibrio strategico del potere sul terreno in Ucraina. Nella migliore delle ipotesi, il gruppo tattico francese sarebbe in grado di dare il cambio a un’unità ucraina di dimensioni simili in servizio con funzioni di sicurezza in modo che gli ucraini possano essere ridistribuiti al fronte, dove ci si potrebbe aspettare che vengano annientati nel giro di pochi giorni.

I francesi hanno cercato di confondere ulteriormente le acque affermando che un contingente francese, se schierato in Ucraina, lo farebbe nello status di truppe “neutrali”.

La domanda è fino a che punto la Russia consentirebbe un simile dispiegamento di forze straniere sul suolo ucraino, anche se queste truppe non fossero direttamente impegnate in combattimento.

Le truppe francesi si schierarono in Romania

La risposta?

La Russia non consentirebbe un simile dispiegamento. In primo luogo, l’idea che la Francia assuma una posizione “neutrale” in un conflitto in cui hanno già etichettato i russi come loro “avversario” è ridicola. Gli avversari, per definizione, non possono essere neutrali.

Ma la ragione principale per cui la Russia non può consentire nemmeno un limitato dispiegamento militare francese in Ucraina è questa: “Se una volta il cammello mette il naso nella tenda, il suo corpo lo seguirà presto”.

Questi 2.000 soldati sono solo il naso di un cammello più grande della NATO. La Francia ha già dichiarato di essere pronta a schierare fino a 20.000 soldati in Ucraina, avanguardia di una coalizione di forze provenienti dai paesi della NATO che potrebbe complessivamente contare fino a 60.000 uomini.

E una volta che 60.000 soldati saranno dispiegati in Ucraina, la NATO utilizzerà inevitabilmente l’articolo 4 della Carta della NATO per definire una situazione di grave importanza per la sicurezza nazionale per il collettivo NATO e convertire quelle 60.000 truppe in una forza NATO sostenuta dal pieno potere della NATO.

Il cammello sarà completamente sistemato all’interno della tenda ucraina.

E affinché la Russia possa rimuovere il cammello, dovrebbe entrare in guerra contro la NATO.

Non una guerra per procura, come quella attualmente condotta utilizzando l’Ucraina come strumento dell’Occidente collettivo, ma piuttosto un conflitto su vasta scala che porterà inevitabilmente all’uso di armi nucleari, dapprima sul suolo europeo, e poi come parte di un conflitto nucleare generale tra la Russia e l’Occidente collettivo.

In breve, la fine del mondo come lo conosciamo.

Non è del tutto noto fino a che punto gli Stati Uniti siano coinvolti nei piani della Francia e dei suoi partner europei. L’amministrazione Biden si è costantemente espressa contro qualsiasi escalation che potrebbe sfociare in un “intervento americano sul terreno” per paura di permettere che la situazione vada fuori controllo, provocando una terza guerra mondiale che si trasformerebbe rapidamente in una guerra nucleare.

La Russia, tuttavia, non fa differenza tra stivali francesi e stivali americani: sono tutti stivali NATO.

Se la Russia lascia entrare il naso del cammello francese nella tenda ucraina, il collo della NATO verrà dopo, accompagnato dal corpo americano.

E la morte seguirà.

Test nucleare sovietico, ottobre 1961

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