EDOARDO ALBINATI E I SEMICOLTI, di Elio Paoloni

 

 

EDOARDO ALBINATI E I SEMICOLTI

Elio Paoloni

 

Avrei potuto prendere in considerazione altri scrittori, amici che apprezzo e seguo da decenni, tutti dotati di acume, ironia, inesauribile capacità di osservazione del costume. Ma non pensate che abbia scelto Albinati per il cinismo della famigerata frase, registrata e diffusa da tutti i media per l’indignazione di molti: “Io ho pensato, ho desiderato che morisse qualcuno sulla nave Aquarius. Ho detto: adesso, se muore un bambino voglio vedere che cosa succede nel nostro Governo”.

No, il cinismo non mi inquieta. In politica il cinismo è la più apprezzabile delle doti, si tratti dell’ironia bonaria di Andreotti o dei sanguinari auspici del Migliore, che all’appello per il salvataggio dei prigionieri italiani in Russia rispondeva: “Se un buon numero dei prigionieri morirà, in conseguenza delle dure condizioni di fatto, non ci trovo assolutamente niente da dire, anzi… Il fatto che per migliaia e migliaia di famiglie la guerra di Mussolini, e soprattutto la spedizione contro la Russia, si concludano con una tragedia, con un lutto personale, è il migliore, è il più efficace degli antidoti”.

“Nelle durezze oggettive che possono provocare la fine di molti di loro – concludeva Togliatti – non riesco a vedere altro che la concreta espressione di quella giustizia che il vecchio Hegel diceva essere immanente in tutta la storia.”

 

Cosa volete che sia, dunque, in vista delle magnifiche sorti della Rivoluzione contro il criminale governo gialloverde, la morte di un bambino? No, tuttalpiù mi sorprende che Albinati si abbandoni al cinismo immediatamente dopo aver abbracciato le parole d’ordine buoniste. Mi sorprende ancor più che non abbia sognato neppure un ferito di fronte all’avvento golpista del governo Monti, di fronte alla macelleria Fornero, di fronte al taglio dei contributi per i malati di SLA, di fronte all’appoggio per l’assassinio del freschissimo alleato Gheddafi. E non si sia augurato almeno un contuso di fronte alla cessione di quel po’ di mare nostrum residuo ai cugini francesi senza alcuna contropartita evidente che non fosse il conferimento della Legion d’Onore (medagliette, paccottiglia immancabile, insieme agli specchietti, del corredo di ogni bravo colonizzatore) a quasi tutti gli esponenti PD.

 

Perché, insomma, mi soffermo su Albinati? Lo seguo da decenni, da quando qualche nostro pezzullo si incrociò su Nuovi Argomenti. Nel 2016 ha vinto lo Strega con La scuola cattolica, l’unico Strega meritato da decenni a questa parte, un romanzo come dovrebbero essere tutti i romanzi, ricco di digressioni, di riflessioni, di dissezioni. Di Memoria. Un libro di tale peso e intensità da costargli, tra l’altro, un anno di psicofarmaci. Se l’aggettivo non fosse inflazionato lo definirei proustiano. Il libro vorrebbe essere contro la borghesia, la classe ‘produttrice’ dei macellai del Circeo di cui il libro si occupa, ma non c’è pagina dalla quale non traspaia l’amarezza per il mondo regalatoci dalla rivoluzione antiborghese: “la libertà è come una di quelle immense spiagge atlantiche da cui la marea si è ritirata, lasciando la sabbia piena di residui, e quella distesa te la ritrovi a disposizione senza aver fatto nulla, e nulla potrai fare quando il mare se la riprenderà”. E ancora: “Come in ogni epoca rivoluzionaria, veniva compiuto l’elogio dell’infamia”. Quasi un reazionario! Per dare un’idea della sintonia che ho con quest’uomo, in meno di metà del libro (sono a pag. 400) la mia copia conta già una novantina di orecchie.

 

Ora, non c’è nulla di strano nell’avere opinioni politiche differenti da quelle di un artista che si apprezza. Ma qui non si tratta di semplici divergenze d’opinione: siamo di fronte a una visione del pianeta profondamente distorta, a una narrazione sentimentalista, menzognera, patologica. Per quest’uomo chiunque presti ascolto al popolo, chiunque non si prefigga l’estinzione dello stesso, chiunque avversi la tratta dei bambini a favore di ricchi invertiti, chiunque sostenga che la politica (quello Stato fino all’altro ieri idolatrato) debba opporsi ai disegni dell’alta finanza, del turbocapitalismo, del mondialismo, chiunque intenda, opponendosi alle mafie, regolare e distribuire i flussi migratori, rappresenta il Male. Va fermato. Giacché l’Italia va dissolta, fin dal nome. Naturalmente dovrebbero poi dissolversi tutte le realtà sovrane, ma noi ci portiamo avanti col lavoro. In questo, e solo in questo “prima gli italiani”.

 

Le inversioni di rotta dei politici sinistri, in realtà ultraliberali, la loro acquiescenza criminale allo strangolamento del paese sono perfettamente comprensibili in termini di poltrone e regalie. Ma non dubito dell’onestà di Albinati. Non è in cerca di prebende che lo scrittore si è accodato alle missioni dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Certo, Otto giorni in Niger saranno stati pochi per comprendere cosa davvero succede in Africa. Sbalzato nel cuore del continente nero dai quartieri bene della Capitale ha fatto appena in tempo a rendersi conto che il Niger è uno stato e la Nigeria un altro; non poteva certo comprendere su due piedi chi sia, per davvero, razzista, neocolonialista, predatore, egoista e vomitevole.

 

Ora, è del tutto naturale che Albinati provi pena di fronte alle persone in difficoltà. Quando abbiamo di fronte un uomo, non stiamo a chiedergli la carta d’identità, non indaghiamo su ciò che lo ha portato davanti a noi. Specie se si tratta di veri profughi, se abbiamo di fronte i deboli, le donne, i bambini, i vecchi. Siamo cristiani, sempre, volenti o nolenti, portiamo in noi gli imperativi della sollecitudine verso chi soffre. Qualcuno si offenderà nel sentirsi definire cristiano e vorrà semplicemente definirsi umano (come se l’aggettivo umano avesse una accezione positiva). Ma non ha importanza. Il primo impulso, mio, di Albinati, di tutti noi, è quello dell’aiuto immediato, personale, incondizionato. Il secondo è quello di appellarsi alla comunità perché nessuno può aiutare da solo un continente. E qui arriva il punto.

 

Una persona ragionevole si chiede innanzi tutto se sia opportuno trapiantare il sofferente in paese straniero. Il buon senso, e il Papa Emerito, non lo trovano opportuno. Ma ammettiamo che lo sia. Viene naturale chiedersi chi debba farsene carico.

 

La prima risposta dovrebbe essere: chi ha provocato lo sfacelo. Ovvero i paesi coloniali, che molti si ostinano a definire “ex”: la Francia, soprattutto, anche se il responsabile principale è sempre lo Zio Sam, senza il quale nulla è permesso. Ma nella mente confusa di Albinati – sempre per il mantra antifascista – l’unico paese che deve scontare il suo colonialismo è l’Italia, ovvero il più tardivo e residuale tra i conquistatori d’Africa. Mentre, sempre secondo Albinati, la Francia è da quelle parti per “pacificare” l’area.

 

In secondo luogo dovrebbero venire i paesi europei ricchi, solidi; la Germania, per prima.

 

In terzo luogo paesi ancora più ricchi e vocati, per affinità religiosa e un certa prossimità dei confini: l’Arabia Saudita, prima di tutto, che non ne ha accolto neppure uno.

L’Italia ne ha accolti più di tutti ma se anche ne accogliesse decine di milioni non sfuggirebbe alle accuse di razzismo dei nostri intellettuali: sempre per il mantra suddetto, l’italiano, avendo ottant’anni fa accettato (all’italiana, cioè disattendendole) le scellerate leggi razziali, è intrinsecamente, irrimediabilmente razzista. Ecco, anch’io, come Albinati, ho un sogno: vorrei che i barconi fossero carichi di bei caucasici biondi e con gli occhi azzurri. Così, finalmente, privati dell’unica arma di discussione (si fa per dire) brandita finora sull’argomento, i paladini dell’accoglienza indiscriminata, senza se e senza ma, sarebbero costretti a discutere di sostenibilità, di quote, di opportunità. Capirebbero finalmente, che gli invasori – come i crumiri – non hanno colore.

 

Cosa c’è di disgustoso in queste banalissime considerazioni? Cosa fa inalberare Albinati? Va tenuto presente che ho accettato fino ad ora la premessa dei fautori dell’accoglienza indiscriminata, ovvero che siamo di fronte a profughi sofferenti, a stuoli di donne, bambini, vecchi. In questo caso sarebbe più comprensibile l’ansia accaparratrice di costoro (non sia mai qualcuno chieda ospitalità altrove! quale offesa! cosa manca in Italia che debbano cercare in altri paesi?).

 

Ovviamente i poveri profughi si contano sulle dita di una mano. Anche tra loro, a ogni modo, considerando che più che paesi in guerra in Africa vi sono aree in guerra, molti potrebbero trovare scampo in aree dello stesso paese, presso conterranei, oppure in paesi limitrofi. Ma gli scrittori odiano questi dettagli, amano le immagini, e gli hanno propinato quelle giuste: mamme e bambini. Praticamente inesistenti sulle navi negriere delle ONG, le mamme e i bambini campeggiano nel giornalume quotidiano del radical-chic, sono l’input infallibile che scatena il riflesso pavloviano. Albinati si è catapultato in Niger ma non ha dato neppure un’occhiata ai filmati sui barconi, veri e propri mezzi da sbarco da D-Day, con plotoni di giovani muscolosi, tutti della stessa taglia e della stessa età, muniti di Smartphone (che non si bagna mai, al contrario dei documenti). Ignora le riprese delle centinaia di giovanotti ben piantati che hanno assalito e scardinato le barriere di Ceuta. Gente che non può essere partita per gravi motivi economici, dato che ha sborsato somme ingenti, e, se scappa dalla guerra, andrebbe impiccata per diserzione. Lui, che intervista tutti, si è guardato bene dall’intervistare i marinai delle nostre navi militari o i militari di guardia ai centri di accoglienza, per lo meno quelli che hanno il coraggio di parlare.

 

Ovviamente, non potendo sostenere a lungo la bufala dei profughi, ci si è aggrappati alla figura del migrante ‘economico’, categoria vaga quanto colossale (in effetti quasi nessuno, da quelle parti, potrebbe essere escluso dalla categoria). Non so se Albinati sia al corrente dell’ultima categoria di stranieri che necessita accogliere ad ogni costo: la ‘picchiata dal marito’, categoria venuta alla ribalta in relazione a una naufraga ormai notissima. E, se ne è al corrente, ha realizzato che, in questo caso occorrerebbe trapiantare nel Bel Paese, oltre a quasi tutta la popolazione dell’Africa, anche tutta quella del Medio Oriente e di buona parte dell’Asia e del Sud America?

 

L’antirazzista in servizio permanente effettivo è, quasi immancabilmente, un autorazzista. Questo sono quasi tutti gli scrittori italiani, autorazzisti: spregiatori di se stessi, del proprio retaggio, della propria patria; dell’Europa stessa. Il loro invocare continuamente l’Europa è in verità un impetrare l’affossamento dei valori fondanti dell’Europa, sostituiti da una religione di presunti nuovi diritti.

Che lottino per l’estinzione dei nostri geni è palese – vedi l’accanito dileggio delle famiglie vere con prole autoprodotta – e forse perfino auspicabile. Ma come possono buttare a mare una intera civiltà, il loro – e sottolineo loro –  patrimonio culturale? Come possono aborrire la Chiesa oscurantista e lisciare il pelo alle donne velate, regalando loro assessorati alla Cultura? E’ gente che insegna, che trae la sua identità dal mondo delle Lettere. Come faranno ad apprezzare – e far apprezzare – Virgilio e Dante e Alfieri e Leopardi e Manzoni e Verdi e Carducci e D’Annunzio? O – dato il coté – il Gramsci che rimproverava agli intellettuali italiani la mancata costruzione di un epos nazionale, cosicché il popolo italiano, lasciato in balia del romanzo storico-popolare francese, “si appassiona per un passato non suo, si serve nel suo linguaggio e nel suo pensiero di metafore e di riferimenti culturali francesi ecc., è culturalmente più francese che italiano”?

 

Oscuratosi il fascino d’Oltralpe, i nostri scrittori son tutto fumo di Londra. Si sentono cosmopoliti perché accettano ogni moda straniera, ogni parola d’ordine, ogni frase infarcita d’inglesorum, e sono solo dei provinciali abbagliati dal gran mondo. Vogliono distruggere la Nazione, abbatterne i confini, sputando su coloro che per quei confini sono morti – compresi quelli che ai confini non credevano e sono morti ugualmente. Ma idolatrano le Nazioni che presidiano saldamente i loro confini, anzi si affannano ad espanderli. Ritengono superiori i francesi e gli inglesi, per non parlare dei dem statunitensi, che ci esortano ad abbattere i muri e a decrescere felicemente, tenendosi stretti i loro muri, la loro potenza, la loro crescita e la loro determinazione a mettere a ferro fuoco il pianeta. I nostri autori sognano – anzi minacciano – di trasferirsi in questi civilissimi paesi per aiutarli a diffondere la democrazia.

 

Cosa è successo a questa gente? Certo, sono da decenni accaniti lettori di Repubblica e L’Espresso nonché del Manifesto. Se proprio va bene leggono il Corriere. Ma anche in questi giornalacci si possono trovare, tra le pieghe, le notizie necessarie a comprendere chi sia, per esempio, il filantropo Soros. Possibile che, tra un’ode agli eroi delle ONG e una riverenza alla Bonino non siano riusciti a informarsi sui motivi delle condanne che pendono sul loro mandante – a morte in Malesia e all’ergastolo in Indonesia? Davvero non sanno nulla dell’attacco speculativo del 1992? Ma cliccare su qualche sito serio, così, per curiosità, per caso, per sbaglio?

 

Nonostante le sue capacità critiche, dunque, Albinati sembrerebbe rientrare nella categoria che abbiamo imparato a definire ceto medio semicolto (Cmsk), cioè quel ceto di una «certa kual kultura» che prende forma nel ’68 radicandosi nella deriva universalista e pacifista di certo marxismo nonché nell’ideologia dei «diritti umani» risalente alla rivoluzione francese. Il semicolto (con “quattro letture”, mostre a iosa, organizzazione di visite di istruzione per le scuole ad Auschwitz e qualche altro viaggio in ambienti esotici alle spalle) è preda della forma pseudo-culturale “di sinistra” del politicamente corretto, alfiere di un pacifismo semplicistico, sprovvisto di qualsivoglia nozione geopolitica e soprattutto, vittima di una vacua presunzione di “cultura” rispetto agli “incolti”, pretesa del tutto ingiustificata, vista la sua manifesta incapacità di comprendere i problemi del tempo e di imbastire una discussione propriamente politica (il suo approccio alla politica assume infatti quasi unicamente i modi del “disgusto estetico”). Si appella di continuo ai presìdi morali della tradizione umanistica (ridotta spesso alla versione “umanitaria”) ma introietta e diffonde, in realtà, istanze nichilistiche e relativistiche del tutto incompatibili con l’umanesimo vero.

 

Bene, conosco molti individui che corrispondono perfettamente a questa descrizione. Ma non penso che Albinati possa essere arruolato nella categoria; e neppure molti dei suoi colleghi. Queste persone hanno letto ben più che quattro libri, sono colte, non semicolte.   Potremmo definirle ipercolte. E conosco spregiatori di ‘populisti’ che non si sono limitati a un viaggetto esotico alternativo e solidale ma sono stati a lungo nei teatri di guerra e di guerriglia. Allora? Cosa li distingue dai propriamente colti? Si occupano poco di storia, di geopolitica? Non sempre, anzi quasi tutti leggono almeno Internazionale. Sottilmente orientato, certo. Ma per quanto possa essere orientato, non può esimersi dal tratteggiare un mondo in cui esistono guerre, conflitti, interessi nazionali. In cui è già aperta una guerra economica micidiale nell’avanzato e pacifico mondo occidentale. Un mondo in cui le nazioni non solo esistono, ma continuano a nascere – o a sforzarsi di nascere – e sgomitano, si difendono, aggrediscono. Un mondo in cui esisterebbero addirittura nazionalismi ‘giusti’, come quelli kosovari, catalani, ucraini. Infatti, ogni volta che i poveri curdi vengono sobillati dagli esportatori di democrazia per destabilizzare le aree di pertinenza (finendo poi – quasi sempre – abbandonati al loro destino) gli intellettuali cantano emozionati la fierezza dei patrioti curdi (più spesso delle avvenenti patriote). Perché, quando è curda, l’Identità non li fa vomitare? Forse perché le soldatesse titillano in loro il dogma politicamente corretto dell’uguaglianza dei sessi?

 

Perfino dalle pagine del ‘selettivo’ Internazionale, in fondo, si dispiega un mondo in cui l’ammucchiarsi di etnie e di culture non produce alcun melting pot, ma unicamente miseria e massacro. Certo, vi si tratteggia un mondo in cui il fascismo campeggia eterno, nel quale chiunque resista all’Impero è un malvagio dittatore, ma se il mero semicolto si lascia incantare, costoro (che ripeto, colti sono, e manifestamente capaci di esercitare senso critico) dovrebbero essere in grado di ricorrere almeno alle armi dell’analfabeta intelligente, che la fuffa la avverte da lontano, a naso, grazie al cinismo popolare, al retaggio di secoli di soprusi ammantati dal latinorum (oggi englishorum).

 

Cosa gli manca? In quale momento, precisamente, hanno deciso di adagiarsi nelle narrazioni mainstream? Davvero il riflesso pavloviano che li coglie alla semplice menzione del termine fascismo li costringe ad accettare qualsiasi ‘alternativa’? Possibile che la loro intelligenza non si senta insultata dal continuo ricorso a questo spauracchio e ai suoi succedanei, razzismo, populismo, omofobia? Richiamano sempre il volgo all’etica e al rigore, ma qualsiasi atteggiamento fermo, rigoroso, severo, ovvero giusto, fa scattare la fobia (questa sì, fobia vera) dell’“autoritarismo”. Gli hanno inserito un microchip sottopelle che scatta ad ogni manifestazione di buon senso? E quando? Al superamento dell’esame di laurea? Al primo contratto editoriale?

 

Gli scrittori del passato univano alla conoscenza sofferta dell’animo umano la capacità di cogliere l’essenza della storia, degli sconvolgimenti sociali, delle guerre. Cento ponderosi saggi non riuscirebbero mai a rendere l’idea dei caratteri eterni dell’italiano, delle costanti storiche – e delle nuove forme che assumono – così come li rendono I promessi sposi, Il Gattopardo, I viceré. L’immagine del vaso di coccio tra vasi di ferro rappresenta l’Italia nei secoli dei secoli, non c’è trattato che tenga. Pasolini non si lasciava incantare dalle distinzioni dei sociologi: coglieva il filo comune tra il ragazzotto e il pariolino e al contempo distingueva i veri proletari, i poliziotti, dai rivoluzionari figli di papà. E ancor oggi uno Houellebecq mantiene uno sguardo profetico. Mi è rimasta perciò la convinzione che un narratore di vaglia DEBBA avere una visione del mondo autonoma, DEBBA comprendere l’idiozia degli slogan imposti dai poteri mondialisti, dai circoli finanziari, dalle classi dominanti, DEBBA, dopo averci scartavetrato gli attributi per decenni appellandosi a Orwell, avvertire immediatamente il dominio del Grande Fratello, DEBBA, dopo aver citato anche troppo l’Ignazio Buttitta difensore della lingua atavica, rabbrividire di fronte ai vocaboli della neo-lingua, in particolare di fronte al suffisso –fobo appiccicato ovunque per stigmatizzare chi nutra anche soltanto la minima perplessità rispetto ai dogmi del pensiero unico.

E, ogni santa volta, sbatto contro l’evidenza: c’è stata una scissione tra le due capacità di visione, quella affettiva, introspettiva, speculativa, e quella esterna, sociale, storica.

 

Questi intellettuali – ma anche il loro principale demone, Salvini – ci costringono a disperdere le nostre energie sul problema immigrazione. Che è l’ultimo dei nostri problemi. Last but not the least: in effetti è sintomatico di tutto ciò che non va nel nostro paese. Basta inquadrare il fenomeno: le frasi rubate ai francesi sullo scaricarci le vittime dei loro traffici, la potenza di Soros dietro alle navi negriere, la felicità di certi imprenditori nell’accaparrarsi schiavi per l’agricoltura (come può Albinati non completare, da esperto di comunicazione, le frasi apparentemente pragmatiche come “fanno i lavori che gli italiani non vogliono più fare” con la logica chiusa: non vogliono più fare a quelle condizioni, dopo decenni di lotte contro il caporalato che solo ora qualche povero schiavo nero sta tentando invano di riaccendere?); il disegno più volte dettagliatamente esplicitato da diversi circoli sovranazionali, di rimescolare popoli ed etnie con lo scopo dichiarato di favorire il multiculturalismo e quello non poi tanto occulto di fomentare guerre tra poveri e dissolvere, insieme alla famiglia, alle forze sindacali, a ogni genere di istituzione, le comunità che possono opporsi ai poteri finanziari transnazionali.

 

Ebbene, tutto questo fa della questione migrazioni l’emblema della nostra disfatta. Perché ci permette di osservare sotto una lente di ingrandimento l’abdicazione dello stato, la debolezza di fronte a ogni genere di sopruso, di bullismo, di crimine, di razzia. Il reagire al delitto con la soppressione giuridica del delitto (vedi abolizione del reato di clandestinità). O, all’opposto, il rendere delittuosi i più elementari diritti umani: perché il sarcastico Albinati non ha ironizzato sulle intenzioni dei progressisti quando volevano limitare la difesa della vita alle ore antelucane? Perché non si è augurato che un aggredito morisse alle prime luci dell’alba, mentre l’aurora di bianco vestita carezza dei fiori lo stuol?

 

L’ultimo dei nostri problemi, dicevo, dal punto di vista puramente economico. I nostri problemi son ben altri (e non si tratta del famigerato benaltrismo). Anzi è uno solo: il fiscal compact, che – senza alcun obbligo giuridico –  gli alti traditori hanno infilato a forza, col favore delle tenebre mediatiche, nella nostra magnifica e intoccabile Costituzione. Ho pensato più volte di lanciare un sondaggio tra gli scrittori italiani, compresi quelli che ripetono pappagallescamente tutti i mantra economicisti pidioti, per capire quanti di loro siano a conoscenza di questo ritocchino costituzionale e, soprattutto, se siano in grado di rendersi conto dell’impossibilità di riparare il nostro debito con le finanziarie lacrime e sangue, che, deprimendo l’economia, contraggono il PIL e rendono il debito sempre crescente, all’infinito, fino al collasso. Ma anche senza sondaggio, già lo so: non lo sanno, e se lo sanno lo hanno già accettato come si accettano i terremoti, le inondazioni, le locuste. Come se i trattati, mai analizzati, mai seriamente discussi, fossero le tavole della Legge, incise nella pietra. Come se non fossero già stati abbondantemente diffusi i dettagli tragicomici dell’adozione, casuale, estemporanea, farsesca, del muro del 3%.

 

Ma in fondo gli scrittori se ne fottono dell’economia. Tutto quello che hanno diligentemente imparato è che i Mercati (una sorta di divinità cieca, come la Giustizia) non hanno padrone, non sono politica. Accettano qualsiasi panzana e non hanno mai saputo perché lo spread, dopo un’impennata, sia improvvisamente calato mentre si costituiva l’ultimo governo. Bizzarrie del mercato! Lo scrittore orecchia i temi economici e passa avanti disgustato. Non sono temi degni della sua penna, del suo j’accuse. Vuoi mettere i bambini morti? Quelli affogati, s’intende, che’ quelli squartati nell’utero non li riguardano, men che meno quelli venduti alle coppie sodomite.

 

Il punto è che non sono in grado di guardare al quadro complessivo. Le questioni (le ‘problematiche’) vengono sottoposte loro singolarmente. I profughi vanno accolti. Il debito va ripianato. Gli invertiti non vanno discriminati. Il sostegno alle nascite è roba da fascisti, e poi siamo troppi (sull’intero pianeta, ma noi, ricordiamolo, dobbiamo sempre portarci avanti: gli altri possono essere più prolifici dei conigli, noi saremo virtuosi). Le energie fossili inquinano, via gasdotti e trivelle. Il nucleare fa male, zero centrali (Italia prima, anzi unica). I Mercati non vogliono. Il pianeta non regge all’industrializzazione, dobbiamo distruggere le nostre industrie strategiche (anche in questo prima gli italiani). L’INPS ha i conti in rosso (non la parte previdenziale, ma non approfondiamo). La difesa del cittadino è compito dello stato, noi non siamo il far west. I singoli interventi della magistratura sono dovuti (mai che si rendano conto che a reati simili a quelli perseguiti, anzi molto più gravi, non viene dato alcun seguito e che i magistrati sono usi ad archiviare ben altro).

Ogni singolo provvedimento, affrontato dalla parte giusta, sembra logico, naturale, inevitabile. Quello della inevitabilità è il mantra principale. La possibilità di governare gli avvenimenti è stata cassata dal loro pensiero. Non ci si può opporre a questo, non ci si può opporre a quell’altro. Il Mercato, il Progresso, la Globalizzazione, le Migrazioni. Questa ovina rassegnazione viene meno quando occorre opporsi a figure esteticamente svantaggiate, ovvero ai “populisti”. Allora, guai se non ti opponi. Allarmi, siam antifascisti. Pur di scongiurare l’incubo del nazirazzifascioleghismo, atei cinici e promiscui, adusi a squittire contro le “intollerabili ingerenze del Vaticano nella politica italiana” e a rimestare in ogni scandalo sessuale delle tonache, citano ormai a ogni piè sospinto Papa Francisco e la sua compagnia di tango, sventolandosi con Famiglia Cristiana.

 

Costoro volano basso. Rimbalzano come palline di flipper sui funghi disseminati dalla comunicazione mainstream; non riescono a librarsi sopra il cristallo sporco e osservare la mappa. Ci sono studiosi, filosofi, economisti, blogger, che evidenziano gli scenari planetari, i flussi, le connessioni, gli organigrammi. Diranno fesserie anche loro, individueranno forse il nemico sbagliato, ma qualche analisi pragmatica la espongono. Possibile che mai nessuna di queste narrazioni non sentimentali, non farisaiche, non ricattatorie, siano giunte alle orecchie di Albinati? Sì, gli scrittori, i critici, i giornalisti, i docenti hanno i loro siti, i loro circuiti, le loro facoltà, tutti, inevitabilmente orientati. Ma lui mi è sempre sembrato un appartato, con le sue ossessioni e le sue idiosincrasie. L’immagine di una persona libera. Nel suo caso non posso neppure prendermela con la scuola de sinistra, zeppa di semicolti allo stato brado: lui è stato educato alla scuola cattolica (quella vecchia, tra l’altro).

 

Gli scrittori hanno un sesto senso per le coincidenze. Sia quando intendono evitarle come la peste, ritenendole un indegno espediente da romanzo d’appendice, sia quando intendono corteggiarle, come amavano fare Sciascia e Kundera. “Le coincidenze – scriveva Douglas Coupland – sono talmente rare che quando in effetti accadono, allora vengono notate. Anzi, le coincidenze sono talmente rare che è quasi come se l’universo fosse progettato unicamente per impedirle. Così quando nella vita vi capita una coincidenza, vuol dire che qualcuno o qualcosa si è dato parecchio da fare per realizzarla, ed è per questo che dobbiamo sempre farci caso”. Che preferisca appellarsi al Caso piuttosto che al Destino, alla Beffa piuttosto che al Castigo, uno scrittore è allenato a notare le coincidenze. Possibile che non attraversi mai la loro mente un’ombra di sospetto di fronte alle date (anzi agli orari) di consegna di un avviso di garanzia? Nessun soprassalto quando su ogni scena terroristica campeggia, immancabile (e indistruttibile) il passaporto dell’autore? Il gas nervino usato a capocchia contro i propri cittadini da chiunque sia stato schedato di recente come cattivodittatore? E davvero è possibile che ancora non abbiano scoperto la verità su Regeni (quando la sa ogni bambino a cui abbiano messo in mano uno smartphone)?

 

Guareschi regalava tre narici ai progressisti del suo tempo. Gli scrittori d’oggi invece, andrebbero disegnati senza narici. Hanno completamente perduto il naso, quell’istinto che permetteva ai loro antenati di individuare all’istante la retorica e le banalità ideologiche. Sono a-nariciuti.

Manca loro è la capacità di guardare. Si tratta, come diceva Husserl, di guardare, semplicemente di guardare, anche se lo sguardo immediato deve essere accompagnato da una teoria che lo sostenga nella sua esplicitazione. “In questo caso – ricorda il filosofo Renato Cristin – guardare direttamente significa cogliere l’essenza delle cose senza i veli delle opinioni, dei dogmatismi o, peggio ancora, degli strumentalismi con cui una propaganda di tipo immigrazionista, anti-identitario e sostituzionista cerca di sviare l’attenzione e confondere il giudizio degli individui e, quindi, dei popoli”.

 

Questo sguardo limpido, sgombro, non appartiene più ai nostri scrittori. E la loro avversione per l’identità nazionale è solo il riflesso dell’avversione per l’identità individuale. L’uomo deve essere fluido, plasmabile, privo di radicamenti familiari, di avi e di progenie, di identità culturale e sessuale, pronto a dissolversi. Logica conseguenza dell’indifferentismo al potere, della dittatura del relativismo, premessa essenziale all’instaurazione in Europa dell’uomo nuovo teorizzato dal marxismo, vagheggiato dal sessantottismo, auspicato dalla teologia della liberazione (e dai suoi cascami in Santa Marta), ma altrimenti disegnato dai teorici della liquidità e accuratamente programmato dagli ideologizzati burocrati dell’ONU per la finanza speculativa. L’incubo che speravamo dissolto con il crollo del comunismo si ripresenta con forza decuplicata, incistato nel cuore del mondo occidentale.

 

Quest’uomo nuovo, secondo i nostri intellettuali, non può, non deve, essere bianco (gli antirazzisti sono intrisi di un profondo razzismo). Cogliendo qui, finalmente, una verità: l’europeo è finito, imbelle, svirilizzato, sterile; non ha più slancio vitale, non può avanzare. Ma fanno finta di non capire che la causa della nostra decadenza non è soltanto nel benessere (ormai relativo, molto relativo) ma nell’aver accettato ogni disvalore, professando un pacifismo acritico e morboso e abbattendo ogni caposaldo del senso comune. Come si possono difendere fino allo stremo il relativismo, il multicuturalismo, e una serie di presunti – e stranamente non relativizzabili bensì inalienabili – diritti, accogliendo nello stesso tempo, schizofrenicamente, milioni di estranei che non comprendono, non rispettano, non accettano – e mai accetteranno – quei principi? Hanno mai approfondito, i nostri coltissimi scrittori, le pratiche sacrificali e cannibaliche della religione Yoruba, quella professata dai poveri migranti nigeriani? L’abbaglio della integrazione li acceca. L’integrazione può avvenire per piccoli gruppi, in lunghissimo tempo, in società fortemente strutturate e con valori – e pensiero – forti; deve essere auspicata da chi si insedia, cosa avvenuta – a volte – negli Stati Uniti. Da noi non ci sarà. Ci attende l’annichilimento.

“Una società che si decompone interamente è evidentemente meno adatta ad accogliere, senza troppi scontri, una gran quantità di immigrati – notava Guy Debord, che i nostri intellettuali dovrebbero aver letto. Ci si compiace (On se gargarise) – continuava – della ricca espressione “diversità culturali”. Quali culture? Non ce ne sono più. Né cristiana, né socialista, né scientista. Non è sicuro che il melting-pot americano funzioni ancora a lungo (per esempio con gli Chicanos che hanno un’altra lingua). Ma è certo che qui non può funzionare nemmeno per un momento… Gli immigrati hanno tutto il diritto di vivere in Francia. Essi sono i rappresentanti dello spossessamento; e lo spossessamento è a casa sua in Francia, tanto vi è maggioritario, quasi universale. Gli immigrati hanno perso la loro cultura e il loro paese e, com’è noto, senza trovarne altri. E i Francesi sono nella stessa situazione, solo più segretamente”.

 

Si parla qui dei francesi, alfieri dell’illuminismo. Ma nipotini dell’illuminismo siamo ormai tutti, e nella contorta mentalità dei nostri pensatori, l’uomo nero è il buon selvaggio di Rousseau. Buono per definizione. L’Europa decade perché i principi dell’illuminismo hanno obnubilato – grazie anche alla collaborazione dei nostri scrittori – le radici dell’Europa, il nucleo ebraico-cristiano che si è insediato sulle fondamenta greco-romane e che ha accompagnato lo sviluppo del pensiero europeo moderno.

L’Europa fondava la sua identità sulla cacciata dei Mori, sulla battaglia di Lepanto, sulla resistenza di Vienna all’assedio di Solimano. Gli scrittori meridionali hanno passato intere estati all’ombra di torri costiere erette a difesa dalle scorrerie saracene. Mamma, li turchi! era il grido riecheggiante lungo tutte le coste della penisola. Ora l’Islam approda e sciama sotto mentite spoglie. Senza alcuna riflessione, o abbracciando un revisionismo tortuoso e imperioso, i letterati a largo raggio – e corta memoria – vengono a spiegarti perché ‘infedeli’ non voglia dire precisamente infedeli e come Jihad indichi un concetto complesso che troppo semplicisticamente viene tradotto con guerra santa (e dal loro tono sembra che l’abbia tradotto tu). Si lanciano in estesi elogi dell’astuzia, attributo divino insieme a Baran (sotterfugio) Kayd (stratagemma) Khad (inganno) e Makr (insidia). All’immancabile locuzione d’esordio, l’indiscussa tolleranza dell’Islam, vorresti afferrare lo studioso per i capelli e infilargli la testa nell’ossario della Cattedrale di Otranto, tenendocela fino a che non abiura questa sciocca credenza.

Troppo guerreschi e sanguinari, i nostri miti fondanti? Troppo murari? Le mura permettono la formazione e la sopravvivenza di ogni comunità. Non sono invalicabili: le porte sono aperte agli stranieri rispettosi, nelle ore e nei modi opportuni.

 

Concludo: nell’acquiescenza alle parole d’ordine del pensiero unico nulla distingue un ipercolto da un semicolto. Risulta evidente, dunque, che non è l’incompletezza culturale la causa dell’abdicazione dell’intellettuale italico. Lo sprezzante appellativo ‘semicolto’ è fuorviante: porta a immaginare che una “maggior dose” di cultura guarirebbe il soggetto dall’obnubilamento. Ma questa non è altro, in fondo, che l’illusione illuminista: più luce, più enciclopedie, più trattati, e tutto si sistemerà; giunto alla piena cultura l’Uomo comprenderà, finalmente, e la verità splenderà su un mondo felice. Non è così. La lucidità non dipende dal grado di cultura. Da qualsiasi morbo siano affetti i nostri acculturati, non sarà una dose massiccia di letture a guarirli. E neppure la frequentazione delle Università e delle case editrici del Bel Paese.

 

 

L’importanza dell’informazione in una democrazia, di Max Bonelli

 

 

Quanto vale la libertà d’informazione in Italia?

Meno di un uovo di gallina.

 

Il gigantesco gruppo mediatico che fa capo a Repubblica e Corriere per almeno due giorni ha messo in prima pagina il volto tumefatto dall’impatto

di un uovo lanciato da un commando di razzisti contro la cittadina italiana di origine nigeriana ,discobola  di caratura nazionale, Daisy Osakue. Anche il lettore meno arguto riusciva a fare il suo bravo collegamento neanche tanto sub liminare con il capo del “Ku Klux Klan italiano” il ministro dell’interno Salvini.

“Il clima di odio verso gli stranieri, i migranti di cui il paese ha tanto bisogno sta portando i suoi drammatici frutti” era uno dei tanti commenti che si poteva leggere sulle voci della democrazia sopra citate. Ad un attento lettore quasi sfuggiva una riga in quarta, quinta battuta dove si leggeva “i carabinieri escludono per ora il movente razzista”.

Questo atteggiamento inspiegabile delle forze dell’ ordine di fronte a tanto evidente gesto razzista risulta spiegabile al lettore italico con le proverbiali ironie sulla benemerita oppure che il comando dei carabinieri di  Moncalieri ,dove si sono svolti i fatti, sia ossequioso al nuovo corso “razzista” del Viminale.

 

Avendo sviluppato un sesto senso per le polpette avvelenate democratiche

somministrate fin dalle prime rivoluzione arancione o primavere arabe che siano,  vado ad informarmi nei meandri di internet.

A Moncalieri , verosimilmente, la stessa banda di teppisti si è allenata nei giorni precedenti al lancio dell’uovo contro tre ragazze e contro un pensionato tutti con una pigmentazione cutanea in linea con la media nazionale.

Di questi episodi non si trova traccia od informazione su Corriere e Repubblica ma probabilmente vale anche per il resto della stampa e televisione.

I nostri bravi carabinieri, famosi per essere pignoli, questi due episodi li avevano registrati e da qui l’esclusione del movente razzista.

Altrettanto pignoli non si possono dire i media sopra citati che invece bucano inspiegabilmente un fatto di cronaca contemporaneo a quello capitato alla nostra discobola.

Nella stessa regione a Torino un immigrato somalo aggredisce due agenti della polizia ferroviaria che per fermarlo hanno dovuto usare la pistola d’ordinanza ferendolo alle gambe dopo che uno dei due aveva avuto la peggio nella colluttazione seguita ad un controllo dei documenti.

Per i particolari rimando ad uno dei pochi quotidiani on line riportante

i fatti:

https://www.ilprimatonazionale.it/cronaca/immigrato-somalo-aggredisce-agenti-polfer-a-torino-90444/

 

Come bucano il giorno dopo una donna rapinata di 300 euro a Roma da tre nordafricani con una siringa come arma

 

https://www.ilprimatonazionale.it/cronaca/roma-aggredita-rapinata-siringa-africani-90577/

 

e la maxirissa a Vittoria nata per impedire ai carabinieri l’arresto di uno spacciatore

 

https://www.ilprimatonazionale.it/primo-piano/vittoria-spacciatore-tunisino-aggredisce-carabinieri-e-una-coppia-di-italiani-90552/

 

Mi scuso con i lettori se utilizzo sempre la stessa fonte d’informazione ma sui giornali più quotati di questi gravi fatti di cronaca non si trova traccia.

 

La riflessione sullo stato dell’informazione in Italia sorge spontanea.

Di fatto siamo alla censura dei principali organi d’informazione delle notizie che non si adattano al messaggio mediatico globalista-mondialista propagandato dai finanziatori di queste testate.

Perchè solo andando a  guardare nei bilanci di questi media troveremmo la risposta ad una informazione così a senso unico. Questa superficiale analisi fatta su  due giorni d’informazione può tranquillamente essere un campione statistico da riportare su tutto l’anno. Solo allora capiremmo l’ampiezza di questo pensiero unico mediatico.

La speranza che due nomi quotati del giornalismo italiano indipendente come Marcello Foa o Giampaolo Rossi possano presiedere alla Rai è un alito di democrazia dopo anni di censura od autocensura atlantico-globalista. Per capire la caratura dei due personaggi vi invito ad ascoltare

una splendida intervista fatta da Bio Blu a Foa

https://www.youtube.com/watch?v=px0FaA0K35w

 

 

ed un ottimo articolo di Rossi sulla politica USA in  Ucraina

https://blogdellanarca.wordpress.com/2014/03/19/victoria-e-henry-i-due-volti-della-politica-estera-americana/

 

Il nostro paese ha bisogno di giornalisti “teste pensanti” che non hanno nel loro vocabolario la parola “assertivo” al sistema.

Il gruppo Espresso li chiama sovranisti perchè hanno dimenticato il significato di “giornalisti indipendenti “e non assertivi della vulgata globalista.

Mentre scrivo apprendo che il nome Foa non ha raggiunto il quorum sufficiente in commissione vigilanza. Lo stato profondo dei sudditi atlantisti Forza Italia e PD uniti nella battaglia per difendere gli interessi del loro padrone. Mai potranno permettere una voce democratica che persegue l’intento di una libera ed obbiettiva informazione. Oggi è Foa domani Rossi l’obbiettivo è unico: tappare la voce al dissenso che cresce nel paese.

 

Max Bonelli

 

 

 

 

 

Il gioco del poker geopolitico: dov’è la porta d’uscita? Di Alastair Crooke

un articolo di cinque mesi fa ancora significativo

Il gioco del poker geopolitico: dov’è la porta d’uscita? Di Alastair Crooke

Grazie9

Fonte: Sic Sempre Tyrannis, Alastair Crooke , 29-03-2018

29 marzo 2018

Al centro della presidenza di Trump c’è la nozione di arte della negoziazione . Trump ha detto che poche convinzioni, ma la sua concezione di come negoziare – con un grosso bastone, un effetto leva massimo e “minacce” credibili che induce timore- è al centro della sua presidenza. È alla base del suo programma di dazi statunitensi e protezione dell’occupazione; la sua sregolatezza fiscale, che deve continuare a fornire un offset per i programmi sociali in cambio d’imposta per l’escalation di spesa per la difesa “grosso bastone” [ “grosso bastone”, si riferisce alla politica estera condotta dal presidente Theodore Roosevelt all’inizio del XX esecolo) e mirando a far assumere agli Stati Uniti il ​​ruolo di una vera forza di polizia internazionale; e – ovviamente – è alla base di tutto il suo approccio geopolitico, soprattutto per quanto riguarda l’aumento della posta in gioco con Cina, Corea del Nord e Iran.

Questo concetto alla base della “negoziazione” è essenzialmente transazionale, la migliore pratica è un’operazione one-to-one piuttosto che multilaterale. Ma nel campo della geopolitica, non è così facile. Nei prossimi mesi, ma culminando in maggio (a parità di condizioni), Trump metterà alla prova la sua teoria del trading in un contesto molto diverso rispetto a quello immobiliare di New York. Il summit nordcoreano dovrebbe tenersi in quel momento; il verdetto sull’accordo nucleare con l’Iran dovrebbe essere pronunciato in quel momento; la dichiarazione israelo-palestinese di determinazione degli Stati Uniti è prevista per maggio; il ruolo degli stati sunniti nel contenimento dell’Iran deve essere corretto; e tutte le tariffe punitive contro la Cina saranno decise e promulgate.

E sullo sfondo, ovviamente, ci sarà sempre la determinazione dell’establishment dell’intelligence occidentale per abbattere il presidente Putin e la Russia (l’affare Skripal di Salisbury) e, dando a Putin un pestaggio, fare del male a Trump, naturalmente.

La Russia ha detto che risponderà proporzionalmente alle espulsioni collettive di diplomatici. Chiaramente, alcuni membri della profonda fraternità di stato sperano che la reazione della Russia servirà da pretesto per un nuovo round di denunce del presidente Putin, con l’ulteriore possibilità di estromettere la Russia dal sistema di trasferimento interbancario SWIFT. [Società per le telecomunicazioni finanziarie interbancarie mondiali]

Quindi questa è la confluenza dei problemi, ma cosa succede se qualcuno indica il bluff? (Possiamo ignorare la Corea del Sud che si arrende allo scambio). Cosa sta succedendo, ancora più importante, se il bluff viene mostrato per quello che è – un bluff, ampiamente e pubblicamente?

Cosa succede se i cinesi, i nordcoreani, gli iraniani e i russi afferrano le nozioni dietro l’ arte della negoziazione e sanno anche che gli Stati Uniti non sono realmente in grado di condurre alle conseguenze il loro bluff – per quanto riguarda le clamorose minacce delle azioni militari e commerciali – almeno? Trump potrebbe essere pronto a “twittare” una dimostrazione di forza come i 57 missili Tomahawk lanciati in Siria. Ma è improbabile che i principali attori del mondo tremino. I tempi cambiano. Il potere militare americano è ora percepito sia attraverso queste capacità sostanziali che per i suoi limiti.

Trump non è probabilmente l’unico a sapere come giocare a poker in giro per grandi temi: non si diventa né il leader indiscusso della Cina, né della Russia, né sanno nulla senza i problemi di dimensione o il rischio.

Ci sono anche altri problemi nella strategia dell’Arte della Negoziazione [il libro di Trump tradotto in francese con il titolo: Trump di Trump]. Il presidente Trump ha formato un gruppo di guerrafondai in termini di politica estera e aggressivo in termini di commercio. È stato descritto da alcuni come “gabinetto di guerra”. Potrebbe essere stato in parte reso per rivestire il presidente di un muscoloso cappotto di nazionalismo americano mentre si sta preparando contro Robert Mueller e le accuse contro di lui di slealtà agli interessi americani. Ma è anche chiaramente inteso a dare peso all’immagine dell’America “che brandisce un grosso bastone”.

Come sostiene la linea dura John Bolton è certamente convincente, tuttavia, è possibile che lo stesso atteggiamento belligerante può minare le credenze di altre parti che l’America è sincero quando si sta negoziando, ma invece di promuovere l’idea che L’America passa solo attraverso le proposte di negoziato principalmente per garantire che un successivo attacco preventivo appare in qualche modo più “legittimo”.

Bolton è una scelta che – correttamente o erroneamente – parla di “cambio di regime” in una luce favorevole (Bolton li augura per la Corea del Nord, l’Iran e la Russia). Non può essere menzionato per la Cina, ma la Cina comprende appieno che è in cima alla “lista dei desideri” di Bolton-Pompeo-Trump, e che la sua “La principale minaccia allo status quo” gode del sostegno bipartisan negli Stati Uniti.

Il rafforzamento dei “falchi” dell’altra parte è il vero pericolo di questo tipo di tattica “big stick”. In effetti, non è facile immaginare il consiglio che il signor Bolton può dare al presidente per il suo vertice con il leader della Corea del Nord (supponendo che tale incontro abbia luogo). Bolton ha ripetutamente affermato di non credere che la Corea del Nord lascerà volontariamente le sue armi nucleari (e potrebbe avere ragione a riguardo) e come risposta alla domanda su quali “carote” Gli Stati Uniti potevano offrire, Bolton non ha certamente affermato alcun trattato di pace, né riduzioni delle pressioni economiche.

Il che ci porta alla domanda della “porta di uscita”. Dopo averlo minacciato con un’azione militare e aver infranto la posta in gioco, cosa succederebbe se Kim Jong Un avesse semplicemente risposto “no”. O, piuttosto, “sì”, ma solo se gli americani sono anche loro denuclearizzati: cioè ritirano il loro scudo nucleare dalla penisola coreana, e se insiste che le forze americane si ritirano completamente dal nord-est Asiatico? Cosa avrebbe fatto allora il presidente Trump? Andrebbe in guerra, uccidendo centinaia di migliaia o addirittura milioni di persone?

È possibile che Trump bluffi , ma si rivelerà una scommessa molto azzardata se Trump, spinto da Bolton, decollerà qualsiasi evasione. Quale sarà allora la “porta d’uscita” – a parte una dimostrazione di forza, inflitta militarmente su Kim Jong Un? Cina, Iran e tutto il Medio Oriente non lo guarderanno attentamente, per vedere se il signor Trump sta bluffando, o è serio? Se l’America è costretta a fare marcia indietro, il mondo arriverà alle proprie conclusioni.

Questo è il rischio del “poker” geopolitico: quest’ultimo riguarda tanto – se non di più – quello che bluffa di quello che è l’obiettivo (perché qui la posta in gioco non è bancarotta, come nelle precedenti esperienze professionali di Trump, ma il conflitto nucleare): alla fine, tutto il mondo è in bilico.

L’ editoriale di ieri (27 marzo 2018) del Global Times of China , un corpo che rispecchia fedelmente il pensiero ufficiale cinese, testimonia l’indignazione che questo approccio “del pugno di ferro” ha già creato:

“Le espulsioni di diplomatici [seguito al caso Skripal] segnala le intenzioni brutali del West … che le potenze occidentali possono incontrarsi e” condannare “un paese straniero [la Russia] senza seguire le stesse procedure che gli altri paesi rispettano, secondo i principi fondamentali del diritto internazionale, è freddo alle spalle … Queste azioni non sono altro che una forma di intimidazione degli occidentali che minaccia la pace e la giustizia globale … Il modo in cui L’Europa e gli Stati Uniti hanno trattato la Russia è più che oltraggioso. Le loro azioni riflettono la frivolezza e l’avventatezza che sono cresciute fino a caratterizzare l’egemonia occidentale, che può solo contaminare le relazioni internazionali. “

Mentre alcune élite europee accolgono con favore l’espulsione coordinata dei diplomatici russi, l’editorialista del Global Times , parlando a nome dei leader, afferma che la mossa non ha ammorbidito la Cina, ma al contrario, ha rafforzato la sua determinazione a resistere alle minacce occidentali e alle intimidazioni. Ciò ha permesso alla Russia e alla Cina di rafforzare la loro determinazione a lavorare a stretto contatto e “al di là della portata dell’influenza occidentale”. Questo editoriale particolarmente rigido implicherebbe che il “bastone” delle espulsioni – supportato solo da poco più della metà dei paesi dell’UE – abbia paradossalmente reso entrambi gli Stati meno recettivi all’influenza occidentale. (Ha anche approfondito le divisioni in Europa, dal momento che una minoranza significativa sostiene una politica di rilassamento con la Russia).

Nella loro ansia di dimostrare la loro #resistenza a Trump (e il suo cosiddetto “punto debole” per quanto riguarda Putin), i professionisti delle agenzie di sicurezza negli Stati Uniti e in Gran Bretagna hanno lavorato insieme per estrarre dal loro cappello questo sfratto concertato, sotto forma di punizione per il presidente Putin. Ex portavoce del Pentagono (nell’amministrazione Obama), l’ammiraglio John Kirby spiega che gli sfratti sono:

“… accolti a braccia aperte dai nostri alleati europei, perché, a causa di ciò che hanno o non hanno sentito da questo Presidente [cioè il presidente Trump] sul presidente russo Vladimir Putin, essi sono preoccupati che Trump possa essere tenero con Mosca. Ma questo dimostra loro che i professionisti della sicurezza nazionale con cui parlano a porte chiuse hanno tenuto duro e che la politica americana continua secondo le promesse fatte, vale a dire l’indurimento. “

Come disse un diplomatico occidentale a Robin Wright, “un forte messaggio occidentale a Vladimir Putin che non può attaccare un paese occidentale senza creare una reazione ampia da parte di tutti loro “. Indipendentemente, un altro diplomatico americano (ed ex ambasciatore in Russia), William Burns, descrive il messaggio come:

“… in molti modi, la fine di un’illusione, – l’illusione di [Trump] di una specie di grande affare con Putin, sotto il quale Trump sembra aver lavorato per molto tempo. Oggi era un insieme abbastanza completo di misure. Vedremo cosa farà la Russia in risposta “, ha detto. “Noi e i nostri alleati discutiamo costantemente di come stiamo affrontando questa minaccia strategica. Il cestino non è vuoto. “

La fratellanza anglosassone di “professionisti” della sicurezza nazionale che parlano “a porte chiuse” hanno approfittato – sotto lobbying intenso dell’UE, piuttosto che la qualità dell’evidenza – dell’avvelenamento di un ex disertore dell’intelligence russa in una “narrativa” dell’Unione europea che deve ora essere mantenuta, indipendentemente da eventuali indagini o prove successive. La prova è accanto alla domanda: questa è stata l’occasione per chiudere l’illusione di Trump di un possibile rilassamento con la Russia. La storia è tutto ciò che conta. Probabilmente non conosceremo mai l’intera storia.

E il governo britannico portò la “storia” oltre la semplice attribuzione dell’avvelenamento avvelenato di questo disertore alla Russia (e al Presidente Putin personalmente), ma formulò in termini apocalittici un attacco all’arma chimica in e sull’Europa. La Gran Bretagna ha deliberatamente cercato di suggerire un’ulteriore legame con i presunti attacchi di armi chimiche contro i civili in Siria. In breve, la signora May, nel tentativo di raggiungere l’unità nazionale del Regno Unito – di fronte alla polarizzazione e alla frammentazione della politica interna della Brexit – rischia di interrompere tutte le relazioni dell’Occidente con la Russia . L’uso di un’arma chimica, un atto di guerra, in Europa, non consente di riparare le relazioni attraverso la mediazione. L’atto è e dovrebbe essere irrimediabile.

C’è un’aria di disperazione – sia britannica che mondiale – in questa saga. La Russia non può essere trattato in questo modo, come se si trattasse di una mera “potenza regionale” con “PIL inferiore a quello della zona metropolitana di New York” minore, che può respingere, e ancora spingere indietro e spingere ancora e ancora, finché non collassa o si ritira. William Taylor, ex ambasciatore degli Stati Uniti in Ucraina, dà un esempio dicendo che l’Occidente possa in qualche modo “costringere la Russia a ripensare la sua strategia. La Russia sta affrontando una crescente crisi economica, subendo le tendenze demografiche, il costo dell’intervento militare straniero in Crimea e una diminuita posizione internazionale. Putin non può letteralmente permettersi un’altra guerra fredda. “

Con un linguaggio aggravato dalla disprezzo e #Resistance viscerale Trump (oltre verso Putin), il rapporto con la Russia peggiorerà, e può andare fuori controllo – soprattutto quando questi sforzi contro la Russia (e contro Cina, Iran e Corea del Nord) praticamente invitare (come esemplificato dal Global Times ), un rivale degli Stati Uniti di prendere in considerazione l’ arte della negoziazione come nient’altro che un bluff elaborato.

“Per ora, è una tattica intimidatoria senza via d’uscita”, ha detto Tom Pickering, un altro ex ambasciatore degli Stati Uniti in Russia. “E dobbiamo cercare l’uscita.”

Fonte: Sic Sempre Tyrannis, Alastair Crooke , 29-03-2018

CONTRO L’ECONOMICISMO, PER UNA ANALISI STRUTTURALE, di Gianfranco La Grassa

tratto da http://www.conflittiestrategie.it/contro-leconomicismo-per-una-analisi-strutturale

Ho la sensazione che spesso si confonda la polemica (giusta) contro l’economicismo con la critica, a mio avviso ingiustificata, di ogni tipo di analisi che abbia un carattere strutturale, analisi che è invece la forza di teorie del tipo di quella di Marx (ma non solo di questa).
L’economicismo prende spesso la forma che Marx definì feticismo delle merci, con la sostituzione dei rapporti tra cose (nel capitalismo le merci, appunto) ai rapporti tra uomini. In senso lato, si può secondo me parlare di economicismo quando questi ultimi vengono nascosti, in generale, da quantità definite economiche quali prezzi, profitti, quote di mercato, transazioni finanziarie, saggi di interesse e via dicendo. Un ragionamento che mi sembra francamente uno dei più banali in tal senso è, ad esempio, il seguente (assai usato dal vecchio marxismo): “Nell’anno 0 l’x % della popolazione possedeva l’y % del reddito nazionale (o invece del patrimonio nazionale, ecc.); nell’anno 0+t lo stesso x % ne possiede l’y+z %”. Se ne trae allora la conclusione di una evidente iniquità del tipo di società che permette tale crescente maldistribuzione della ricchezza, quindi un evidente sfruttamento dei miseri da parte dei più ricchi, con il corollario che si avvicinerebbe l’ora della ribellione dei primi. E’ meglio poi non diffondersi sull’attuale mito delle quotazioni di Borsa, vista come “Dio” benefico (tutti avrebbero l’opportunità di arricchirsi) o come dominio del “Maligno” (si approssima una crisi spaventosa con sofferenze inenarrabili per le più grandi masse). Credo francamente che Marx sia ben poco responsabile di simili rozzezze e grossolanità. Considerazioni del genere hanno la stessa valenza e profondità delle considerazioni di un individuo, che viva sempre chiuso in una stanza e pensi che l’intero mondo sia piatto come il pavimento della stessa (è quanto è accaduto all’umanità per migliaia e migliaia d’anni, ma ce ne siamo affrancati salvo che nelle analisi degli economisti degli ultimi decenni).
Ben diverso è il caso quando lo studioso dei rapporti tra uomini non si limita a trattarli alla stregua di una cena tra amici, di una riunione di condominio, di un raduno di alpini, di un incontro d’amore, di un incidente d’auto (con testimoni annessi), del ripararsi nel medesimo androne durante un nubifragio; o anche di una conferenza, di un seminario, di una serata di discussione nella sede del partito, dell’organizzazione di una manifestazione o di un attentato, ecc. Ad esempio, il concetto marxiano di modo di produzione definisce una intelaiatura, una mappa, di rapporti sociali a grana grossa che tende a mettere in luce alcune determinazioni decisive di date società (o, in linguaggio marxista, formazioni sociali o forme di società). Va innanzitutto ricordato che, almeno per quanto riguarda la mia interpretazione, detta intelaiatura non è la riproduzione (una sorta di fotografia) dei rapporti sociali secondo la loro presunta struttura reale in dati periodi storici (in realtà, a rigor di logica, tutto dovrebbe modificarsi in continuazione), bensì una costruzione teorica che tende a mettere ordine nel “caos” degli innumerevoli rapporti che gli individui intrattengono tra loro, cercando in definitiva di decifrare quali sembrano essere più decisivi, più influenti ai fini delle dinamiche di quella data società; si formulano così delle ipotesi circa la direzione di movimento e trasformazione di quest’ultima. Si tenga sempre ben presente che si tratta solo di ipotesi, la scienza non può dare certezze; se lo fa con presunzione e arroganza, non è scienza, solo imbroglio e desiderio di dominare altri uomini ignoranti con un finto sapere (questo è oggi l’atteggiamento riprovevole, oltre che ridicolo, di troppi presunti studiosi, soprattutto in campo economico e medico).
Nessuna ipotesi che metta “ordine” può tuttavia essere indicata se non si parte dal riconoscimento che, nella interazione reciproca tra i molti individui componenti la società, si sono andati formando quelli che vengono definiti ruoli (le “caselline” della struttura ipotizzata come la più idonea al “mettere ordine” in questione), e se non si trascelgono le funzioni ritenute principali che tali ruoli sono in grado di svolgere. Da questo punto di vista, il concetto (costrutto) di “modo di produzione” intendeva trasmettere le seguenti informazioni: a) l’esistenza, appunto, di una struttura di ruoli e di relazioni tra ruoli, occupando i quali gli agenti avrebbero formato delle classi (grossi raggruppamenti) sociali; b) l’esistenza di funzioni cui sarebbero adibiti tali agenti delle varie classi, di alcune delle quali si può predicare il dominio e di altre l’essere dominate (anche, eventualmente, con la costruzione di una serie di gradini intermedi) in relazione alle decisioni riguardanti sia gli assetti (economici, politici, ideologici) di quella data formazione sociale che le dinamiche di riproduzione degli stessi.
In mancanza di uno “schema d’ordine” – e il concetto marxiano di “modo di produzione” sperava di ottenerne uno di particolare successo – tutti i discorsi si fanno generici, confusi, rinviano a erratici flussi di potere o ad una sorta di psicologia sociale degli agenti o ad una loro formazione ideologico-culturale di incerta derivazione senza “base” alcuna; il tutto preparato, non a caso, da una presunta “critica dei fondamenti”, che apre la strada ad una serie di considerazioni di tipo sociologistico e/o politicistico, per nulla affatto ininteressanti o superflue, ma che certamente risentono in modo troppo forte delle preferenze e predisposizioni degli autori delle stesse. Per questi motivi, sono contrario a ritenere ogni discorso (eminentemente teorico) intorno alle strutture (di ruoli e funzioni) come puramente affetto da un appesantimento d’ordine economicistico o, in altri casi, definito spregiativamente scientista. L’essere scientificamente rigorosi è un pregio, non un orpello fastidioso da buttare dietro le spalle; a patto, come già rilevato, di non presumere certezze definitive poiché tutto è sempre ridiscutibile. E credo non ci sia niente di male ad invitare almeno alcuni fra i giovani, con cui si dibattono i temi della (miserabile) situazione odierna della nostra società, a dedicarsi alla fatica della scienza. So che è molto impegnativo e difficile, e bisogna perderci tanto tempo, ma è l’unico modo di arrivare “più a fondo” nella critica – l’arma della critica e non la critica delle armi, ben consapevoli che talvolta quest’ultima è inevitabile – ai gruppi sociali, di vario ordine e grado, che si ergono a difesa dell’attuale struttura di rapporti tra dominanti e dominati; anche la lotta CULTURALE contro tali gruppi verrebbe rafforzata da una rigorosa analisi delle loro funzioni. E d’altronde la stessa critica delle armi va adeguatamente preparata e valutata con tale tipo di analisi, mai in modo solo irruento e “viscerale”, che può essere soltanto la facciata per infiammare e condurre allo scontro masse d’uomini, ben sapendo che, sotto l’apparente disordine, deve sempre esserci una STRATEGIA (basata sul calcolo dei probabili rapporti di forza) molto lucida e fredda, pena il disastro e la sconfitta assicurati.
Quando, scrivendo e parlando, manifesto idiosincrasia per la “sinistra”, si fraintende spesso il mio discorso, prendendolo per umorale; se si leggesse attentamente quanto scrivo in tema di ipotesi relative alle diverse frazioni di dominanti e alle loro funzioni riproduttive dell’odierno ordine sociale, ci si renderebbe conto di quanto questa idiosincrasia – manifestata con assai maggior virulenza a parole – sia tributaria di una analisi del tutto “realistica” del “servizio” che detta “sinistra” rende alle frazioni peggiori dei dominanti in questione. Alla fine degli anni ’60 – nel mio periodo prealthusseriano e prebettelheimiano – scrissi un articolo (pubblicato solo nel ’73 nel Che fare?, rivista diretta da Francesco Leonetti) in cui delineavo la progressione futura della politica del PCI in quanto organizzazione che si sarebbe infine messa alle dipendenze di date frazioni di quella che designavo allora ancora come “borghesia monopolistica” (termine invecchiato). Al di là di un’argomentazione ancorata alla tradizione (si tratta di quasi mezzo secolo fa), mi si concederà che feci una previsione molto in anticipo sui tempi; ma potei farla solo in base ad un’analisi, pur ancora rudimentale, che non esito a definire come fondamentalmente scientifica, pur se certo con i termini e l’intelaiatura teorica (marxista) di quei tempi. Qualsiasi analisi “di superficie”, culturalistica e quasi psicologistica, conduceva la stragrande maggioranza dei critici (sessantottini) di allora a parlare, al massimo, di ideologia piccolo-borghese del PCI e cose del genere, rivelatesi del tutto errate.
Non intendo tediare oltre il lettore. Ma invito tutti – naturalmente quelli che leggeranno queste poche righe; molte solo per i lettori di questo luogo un po’ “insano” che è FB – a meditare attentamente sull’uso a volte pretestuoso che si fa di polemiche contro l’economicismo, lo scientismo, ecc. Se qualcuno non si assume la fatica e il tedio della “fredda” scienza, non faremo molti passi in avanti. E quando dico qualcuno, intendo riferirmi non al sottoscritto, che ha ormai fatto la sua parte (o almeno il 95% di essa), bensì ai giovani (pochi invero) che mantengono, quasi miracolosamente, un atteggiamento critico ma non soltanto viscerale e “istintivo”. Si abbia il coraggio di mettere il culo sulla sedia per qualche ora al giorno, e si legga e rifletta, imparando a formulare delle ipotesi teoriche da sottoporre poi ad ulteriori letture e riflessioni, dato che nel campo delle scienze sociali non vi sono laboratori con provette e reagenti o acceleratori di particelle o telescopi giganti, ecc.; e lo scienziato sociale nemmeno può fare la verifica delle sue teorie mediante impegno diretto e immediato in tutte le situazioni (nei vari periodi storici e nei vari luoghi geografico-sociali) di cui ipotizza le strutture e dinamiche. Per difendere una certa causa, non c’è sempre bisogno di mettere bombe e nemmeno di affrettarsi a immaginare ribellioni “popolari” abbellite (e ingigantite) dalla nostra capacità di fantasticare; si può anche far funzionare il cervello che ha questa specifica capacità di “costruire” strutture architettoniche in grado di mappare, di ordinare semplificando, il territorio (sociale non meno di quello naturale) in cui ci si deve muovere, cercando di accrescere l’efficacia delle nostre analisi e interpretazioni. Sempre ipotetiche e soggette alla prova, sia chiaro!

Dalla mia palla di cristallo_Governo gialloverde: com’è andata & come andrà_di Roberto Buffagni

Governo gialloverde: com’è andata & come andrà

Dalla mia palla di cristallo

 

Cari amici vicini e lontani, eccoci al consueto appuntamento con la mia palla di cristallo e i Superiori Sconosciuti che per mezzo suo ci fanno sgocciolare un po’ di info. Anticipo che i Superiori Sconosciuti tendono all’ellissi e hanno anche il gusto un po’ sadico della suspense, quindi non vi aspettate un bel resoconto dettagliato con tutti i puntini sulle i e i trattini sulle t. E via con le rivelazioni dal Regno Sovratemporale.

Com’è andata

La formazione del governo è stato un mezzo miracolo, forse anche un miracolo intero. Lo scorso 24 maggio la mia palla di cristallo indicava che il progetto di formazione del governo gialloverde poteva essere una “abile manovra tattica, grave errore strategico” (70% di possibilità) oppure una “abile manovra tattica seguita e raddoppiata da audacissima manovra operativa” (30% di possibilità)[1].

Grazie a Qualcuno che Lassù ama l’Italia, si è verificata la seconda e meno probabile ipotesi. La cosa buffa e altamente istruttiva è che l’ipotesi “manovra alla von Manstein” non si è verificata grazie a geniale intuizione di alta strategia dello Stato Maggiore leghista, ma grazie alla semplicità e all’assenza di pregiudizi dei medesimi. I quali hanno tratto le conseguenze immediate dalla situazione contingente: il PD aveva rifiutato l’alleanza con i 5*, Mattarella s’era rifiutato di dare l’incarico a Salvini, l’unica possibilità per formare un governo era allearsi con i 5*, la Lega si è detta “perché no?” e ci ha provato. Il feldmaresciallo von Manstein non so, ma io non ci sarei arrivato in un milione di anni, per tutte le ragioni (pur valide) illustrate nell’articolo linkato alla nota 1. Morale: una strategia che funziona è sempre semplice, e la semplicità è difficile. Chapeau!

Però, se la semplicità è una bella cosa, vita e politica sono complicate. L’audace Blitzkrieg non è stato condotto a termine, e gli enormi errori commessi dall’avversario non sono stati sfruttati a fondo come la situazione dettava. L’errore più grave commesso dal comandante in capo dell’avversario, il presidente Mattarella, è stato l’ostinato rifiuto di accettare il nome di Paolo Savona al Ministero dell’Economia. Il popolo italiano, questo naufrago che insiste a non voler annegare, si è reso immediatamente conto che a) Savona non è Lavrentij Beria o il dottor Goebbels b) Mattarella obbediva a pressioni di potenze straniere + organismi sovrannazionali e dunque non adempiva la sua funzione istituzionale di Presidente della Repubblica italiana c) se l’azione di Mattarella poteva essere legale, certo non era legittima (legittimità = chi comanda in nome di che cosa) c) tra legalità e legittimità c’è di mezzo non il mare ma la classe dirigente europeista, che considera le istituzioni dello Stato italiano come la crisalide di future altre, nuove e incompatibili istituzioni, che non rispondono al popolo italiano ma a oligarchie transnazionali d) per farla corta, che i dominanti italiani sono, secondo l’esatta definizione di Giulio Sapelli, una “borghesia compradora” incaricata di mediare il consenso, vulgo far stare buono il popolo italiano mentre viene tosato, diviso, miscelato e servito ammanettato a chi si vuole mangiare i suoi asset.

Tenendo fermo su Savona, il popolo italiano avrebbe assistito alla plastica rappresentazione della realtà effettuale, in forma di compresenza nelle medesime aule di un governo tecnico legale risibilmente minoritario, e di un governo ombra legittimo con larga maggioranza parlamentare, in grado di varare leggi perfettamente valide e di affossare con il voto i decreti del governo: una situazione prerivoluzionaria con tutti i crismi. La realtà effettuale che si sarebbe così plasticamente illustrata agli occhi di tutti gli italiani è che l’Unione Europea è una tigre di carta bollata e un sovrano privo sia della forza, sia del diritto a regnare. E dopo un corso accelerato di scienza politica come questo, si poteva passare al più presto all’incasso elettorale.

Quando l’avversario fa un grave errore, è un errore ancor più grave non approfittarne. Il modo c’era, e a portata di mano[2]. Per insipienza, inesperienza, e forse o senza forse qualche aiutino di esperti con agende divergenti, l’occasione non è stata colta, e la situazione sul campo si è stabilizzata.

L’azione di governo nei primi trenta o quaranta giorni si può riassumere in due righe: la ventata di stupore, freschezza, sollievo e fierezza levata da un vicepremier, Salvini, che fa due cose molto semplici. Anzitutto, dice con la voce di un’ istanza autorevole quel che pensa una larga maggioranza di italiani: “l’immigrazione è un pericolo e un male, basta!”; e per di più, lo dice senza avere paura di quel che penseranno a Berlino, a Bruxelles, al “New York Times” e al “Corriere della Sera”. Difficile sopravvalutare l’importanza e l’effetto salutare di queste emozioni, per un popolo che le sue classi dirigenti demoralizzano scientificamente da decenni per ridurlo all’impotenza e alla rassegnazione. Infatti, i sondaggi d’opinione parlano di un vasto consenso, indicato intorno al 30%, che la Lega si sarebbe conquistata in queste settimane di governo.

Poi, però, le cose finiscono qui.

La situazione, come dicevo, si è stabilizzata. Stabilizzata vuol dire che le classi dirigenti europeiste italiane, che sono il 90% delle classi dirigenti in tutti i settori, hanno ripreso in mano le leve di comando e controllo delle quali dispongono e che sanno usare molto bene e di concerto, com’è naturale si sono riorganizzate, e hanno cominciato a reagire: ostacolando l’azione operativa del governo, insinuando un cuneo tra gli alleati, e dando inizio alla formazione di un nuovo fronte d’opposizione. In ciò sono favorite dalle debolezze del governo e delle due formazioni che lo compongono, che non sono poche.

Nel caso dei 5*, i punti deboli principali sono:

  1. Il carattere impolitico originario di un movimento che non ha mai indicato chiaramente il suo nemico. Questo carattere impolitico ha permesso alla Lega di allearvisi e di egemonizzarlo provvisoriamente, ma costituisce anche un rischio permanente di opportunismo e veri e propri voltafaccia
  2. La cultura politica gravemente insufficiente e abborracciata, tinta di un generico progressismo con sfumature New Age
  • L’inesperienza e a volte la vera e propria insufficienza della sua classe dirigente
  1. La permeabilità a influenze non dichiarate e vere e proprie infiltrazioni, che consegue sia da quanto indicato ai punti precedenti, sia dall’origine non chiarissima (eufemismo) della sua formazione

Nel caso della Lega, i punti deboli principali sono:

  1. Il carattere reattivo della sua cultura politica. La vecchia Lega intendeva rappresentare la reazione della “comunità padana” che vedeva minacciato il suo interesse e la sua identità dallo Stato nazionale; la nuova Lega intende rappresentare la reazione della “comunità italiana” che vede minacciato il suo interesse e la sua identità dalla UE e dal mondialismo. Ma mentre le rivendicazioni della vecchia Lega potevano agevolmente tradursi in richiesta di concessioni, benefici e spazi politici dallo Stato centrale, senza metterne di fatto mai in questione la legittimità nonostante le smargiassate secessioniste e i duecentomila bergamaschi con la pallottola in canna evocati da Bossi quando alzava il gomito a Pontida, la nuova Lega si trova di fronte a un sistema politico sovrannazionale rispetto al quale le sue istanze nazionaliste sono affatto incompatibili, e finisce per essere, volens nolens, una forza antisistemica: come dimostra l’ostilità violentissima che suscita. Una forza antisistemica, se vuole sperare di vincere, non può esimersi dal delineare il nuovo sistema che intende instaurare, perché come disse Danton, che di rivoluzioni se ne intendeva, “si abbatte davvero un regime solo se lo si sostituisce”. E di delineare il nuovo sistema, la Lega (e non solo la Lega) non è ancora capace, neanche con il pensiero.
  2. Il suo rispettoso ossequio per le istituzioni italiane. Non dipende soltanto dal prestigio degli ori e della lunga storia che aleggia nelle sale del Quirinale e delle Camere, che sempre si impongono al neofita provinciale. Dipende da quanto esposto al punto precedente. La vecchia Lega non ha mai seriamente pensato di rivoluzionare lo Stato italiano, né tanto meno di abbatterlo con una secessione. Lo Stato nazionale italiano è sempre stato il suo orizzonte, l’ambito nel quale agire e pensare, certo strappandogli il più possibile, ma senza mai contestare sul serio la sua legittimità. Ora che la nuova Lega guida nei fatti il governo, e lo guida in nome della nazione, il rispetto per le istituzioni dello Stato e per chi le impersona diventa un riflesso condizionato. Purtroppo, chi di fatto dirige lo Stato italiano e ne riveste le più alte cariche, per le istituzioni e lo Stato non ha rispetto alcuno, perché, come dicevo sopra, “considera le istituzioni dello Stato italiano come la crisalide di future altre, nuove e incompatibili istituzioni, che non rispondono al popolo italiano ma a oligarchie transnazionali.” Questa dissimmetria mette la Lega in condizioni di inferiorità rispetto all’avversario, e le impedisce di cogliere preziose opportunità. Finché la nuova Lega non si persuaderà che Mattarella non è il Presidente della Repubblica italiana ma il capo dell’opposizione, non potrà cogliere le opportunità che l’avversario, usando strumentalmente le istituzioni, le ha offerto e le offrirà. In sintesi: il compito della nuova Lega non è strappare il più possibile all’Unione Europea senza contestarne la legittimità, ma quello di contestarne la legittimità e avviarne una trasformazione così profonda e imprevedibile da doversi chiamare, senza eccessi di linguaggio, rivoluzionaria. Perché l’Unione Europea, non essendo uno Stato ma un progetto irrealizzabile di Stato[3], non ha ampi margini di manovra per riassorbire le dissidenze e le rivendicazioni regionali: è un sogno politico, sa di esserlo, ed è disposta a tutto per impedire che le nazioni europee si sveglino.
  3. L’inesperienza di governo nazionale del suo personale, e le lacune in settori chiave del governo. L’inesperienza è inevitabile, e va scontata. Meno inevitabili le lacune in settori chiave del governo: per esempio, non era inevitabile mettere un prof di ginnastica al MIUR. Sono errori seri, che si spera verranno valutati come tali e corretti.

Come andrà

Come al solito, i beffardi Superiori Sconosciuti quando si viene al futuro sono sempre sbrigativi. Qualcosina però me l’hanno bisbigliato, e io fedelmente ve lo riporto.

  • Come si svilupperà l’offensiva dell’avversario. L’avversario agirà con una manovra a tenaglia, nell’intento di realizzare una replica della battaglia di Canne. La manovra si articolerà in due movimenti principali: a) spaccatura del Movimento 5* b) sterminio delle risorse economiche + isolamento della Lega. Vediamoli nei dettagli.
  • Spaccatura del Movimento 5*. Che cos’è andato a fare Di Battista negli USA? Turismo non credo proprio, anche perché non mi risulta che Dibba sia ricco di famiglia, né appare disporre di reddito personale ottimo e abbondante, e sei-otto mesi di turismo negli States con famigliola al seguito costano un minimo di 50.000 $, se non dormi in tenda. Quindi qualcuno paga, e siccome non esistono pasti gratis e neanche gite annuali premio, il qualcuno che paga vorrà qualcosa in cambio. Ha detto Dibba in TV che Mondadori gli ha versato un anticipo di 400.000 (quattrocentomila) euro per il suo libro di viaggio in USA. Non ho motivo per dubitarne, anche se anticipare quasi mezzo milione a un autore esordiente, per quanto personaggio noto, è una scelta economicamente avventurosa. I conti sono presto fatti: di solito l’autore incassa intorno al 10% del prezzo di vendita. Se il libro verrà messo in commercio a 20 euro, Mondadori dovrà vendere 200.000 (duecentomila) copie per rientrare dell’anticipo a Dibba. A meno che Dibba non si riveli uno scrittore prodigioso, difficilmente il suo libro di viaggio sarà un long seller: o vende subito, o resta in magazzino e poi va al macero. In Italia, non mi risulta sia mai esistito un libro di autore esordiente che abbia venduto 200.000 copie in una stagione[4]: qua si entra in classifica dei libri più venduti con 5.000 (cinquemila) copie vendute. Per sperar di arrivare intorno a quel volume di vendite, un libro italiano deve avere ottimi, anzi fantastici contratti di traduzione su altri mercati, in particolare – to’ ! – sul mercato anglosassone, che ha 400 MLN di lettori. E’ così? Non possiamo saperlo, e in ogni caso facciamo i migliori auguri a Dibba e a Mondadori, queste due preziose risorse culturali italiane. Ma questa digressione economicista è tutta mia, e me ne scuso (sarò invidioso?). I Superiori Sconosciuti, invece, che problemi di soldi non ne hanno, mi hanno fatto notare una certa analogia tra il viaggio in USA di Renzi e il viaggio in USA di Dibba. Analogie tra i due viaggiatori, entrambi giovani politici ambiziosi e promettenti che avrebbero voglia di spiccare il volo; analogie tra le tappe del viaggio; per tacere della destinazione, che è proprio identica (perché poi, con tutti i posti belli e istruttivi che ci sono al mondo, proprio negli USA bisogna andare?). Colgo il suggerimento dei Superiori Sconosciuti, e sottopongo alla vostra attenzione la seguente ipotesi. E se il tour manager di Renzi fosse lo stesso di Dibba? Cioè i democrats USA e i mondialisti che li innervano? Se così fosse, in questi mesi Dibba è stato sottoposto a un corso intensivo con teachers competenti in rivoluzioni colorate e affini, provenienti sia dagli abissi del Deep State USA sia dalla futuristica Scientology, che cura l’addestramento mediatico dell’alunno con la programmazione neurolinguistica, così fa bella figura nei dibattiti e si inventa begli slogan tipo “rottamazione”, “i gufi”, etc., scemenze che però in TV funzionano. In cambio, al suo ritorno Dibba dovrà consegnare una merce pregiata: la spaccatura del M5*, del quale si proporrà come il neo Che Guevara sociale e futuristico, e che dovrà trasformare nella base di un new & improved modello di “partito desinistra/Altraeuropa alla Tsipras-Varufuffa”  al quale si aggregheranno tutti i frustoli e residui dei moribondi partiti desinistra vecchio modello, dai Leucociti + frange PD in giù. Non sarà facilissimo, ma è tutt’altro che impossibile, vista la cultura politica progressista e vagamente fantascientifica/New Age dei 5*. A questo “partito desinistra/Altraeuropa alla Tsipras-Varufuffa”  si affiancherà un partito minore “di centrosinistra moderato” guidato dal vincitore della riffa in corso nel PD, che dovrebbe attirare parte di Forza Italia e forse lo stesso Silvio B., i radicali della Bonino, e insomma tutte “le persone serie” (questo flagello d’Italia) che si prefiggeranno di formare il corpo ufficiali del fronte desinistra/centro antiLega.
  • Sterminio delle risorse economiche + isolamento della Lega. Non so come tecnicamente sarà eseguito, ma sarà eseguito. Se qualcuno spera che non ci si arriverà sul serio, che Mattarella interverrà per evitare il vulnus alla democrazia o analoghi, si sbaglia di grosso. I Superiori Sconosciuti affermano con la massima chiarezza che gli europeisti sanno di correre un rischio esistenziale, e del fair play, di Montesquieu, della democrazia e altre cantafavole domenicali non si curano: si curano invece assai di sopravvivere e tenersi stretto quel che hanno, che non è poco.
  • Quindi per concludere: al ritorno di Dibba, presumibilmente intorno a settembre-ottobre prossimi, scatterà la manovra a tenaglia, con l’obiettivo strategico di arrivare all’appuntamento delle elezioni europee del 2019 con un Movimento 5* diviso e in larga maggioranza “desinistra/Altraeuropa alla Tsipras-Varufuffa”, un “partito di centrosinistra di persone serie” che fa un po’ di polemica con il giovane scapestrato Dibba ma alla fine vi si allea contro i fasciorazzisti della Lega, e una Lega isolata tranne la povera Giorgia Meloni, senza un centesimo in tasca, che non ha consegnato la merce economica promessa (flat tax, rilancio di investimenti e consumi), e che dunque perde un buon dieci per cento del 30% di consensi odierni. Sintesi: i tour manager di Dibba + la borghesia compradora italiana vogliono aggiornare il classico schieramento antifascista ad excludendum il partitaccio antisistema che tante soddisfazioni ha dato in Francia con il Front National; solo che stavolta lo slogan dirimente sarà “contro i razzisti-nazionalisti disumani”, e l’antifascismo, un po’ sdrucito dopo tanti decenni di onorato servizio, servirà solo per gli elettori più anziani e più disagiati.
  • Che può fare la Lega per battere la manovra a tenaglia? Secondo i Superiori Sconosciuti, le mosse sono obbligate, e sono due.
  • Prima contromossa: spaccare il M5*. Trovare un antagonista di Dibba, e portargli via almeno un terzo del M5*
  • Seconda contromossa. Chiudere la Lega usandola come bad bank alla quale addebitare l’esproprio della magistratura, e aprire un nuovo partito conservatore che si prefigga lo scopo di a) nascere nazionale, inserendo in posizioni di rilievo gli eletti più rappresentativi della Lega al Sud b) calamitare il meglio di Forza Italia c) calamitare la parte dei 5* che non si lascerà risucchiare da Dibba d) attirare una parte di astensionisti e) consolidare il consenso guadagnato con l’azione di governo f) prendere tanti voti alle europee.
  • I Superiori Sconosciuti aggiungono che il tempismo dell’operazione è essenziale. Non che ci volessero i Superiori Sconosciuti per arrivare a questo truismo, ma tant’è, così mi hanno detto e così vi riferisco.

Di mio, aggiungo solo che è comodo fare i Superiori Sconosciuti solennemente assisi in poltrona tra le nuvole del Regno Sovratemporale: quaggiù, nella spigolosa realtà effettuale, queste due contromosse non sono mica tanto facili, eh?

Comunque, tanto vi dovevo. In bocca al lupo all’Italia, e stay tuned!

 

 

 

 

 

[1] https://italiaeilmondo.com/2018/05/12/governo-lega-m5stelle-come-andra-a-finire-di-roberto-buffagni/

[2] Per esempio questo: https://italiaeilmondo.com/2018/05/29/dalla-mia-palla-di-cristallo-governo-ombra-di-roberto-buffagni/

[3] V.  http://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2016/12/la-politicaitaliana-secondo-shakespeare.html

[4] http://www.lastampa.it/2017/03/04/cultura/i-libri-diventano-un-best-seller-con-mila-copie-PXKsG0krrjpA7BQfOuLfoJ/pagina.html

Putin mette a nudo la distopia americana, di Paul Craig Roberts

Putin mette a nudo la distopia americana

Paul Craig Roberts

Dobbiamo concederlo a Putin. Lui è il migliore che ci sia. Notare la facilità con cui ha regolato il confronto con quell’idiota di Chris Wallace. https://www.rt.com/usa/433447-putin-interview-fox-wallace/

Cosa c’è che non va nel sistema dei media statunitensi il quale non riesce a produrre un secondo giornalista competente che faccia compagnia a Tucker Carlson? Perché i restanti giornalisti americani, come Chris Hedges, ora sono nei media alternativi?

Tutto quello che posso dire, e Putin probabilmente lo sa già, è che c’è qualcosa di più importante in corso di presstitute che tiene in ostaggio la relazione tra la Russia e gli Stati Uniti rispetto alla lotta politica interna tra il Partito Democratico e il Presidente Trump. Non è solo che i media corrotti degli Stati Uniti servono come propagandisti per il Partito Democratico contro il Presidente Trump. Gli uffici stampa stanno servendo l’interesse del complesso militare / di sicurezza, che ha interessi di proprietà nei media statunitensi altamente concentrati, per mantenere la Russia posizionata come il nemico che giustifica l’enorme budget di $ 1.000 miliardi del complesso militare / di sicurezza. Senza il “nemico russo”, qual è la giustificazione di uno spreco di denaro quando così tanti bisogni reali sono sottofinanziati e non finanziati?

In altre parole, i media americani non sono solo stupidi, sono corrotti oltre ogni misura.

Oggi alle 12:40, ora di New York, la NPR aveva una raccolta di trump-basher che facevano del loro meglio per impedire all’appuntamento di Trump / Putin di produrre una normalizzazione delle relazioni tra i due governi. Ad esempio, come sa ogni persona informata, la comunità dei servizi segreti degli Stati Uniti non ha certamente concluso che la Russia ha interferito nelle elezioni presidenziali. Questa conclusione è stata raggiunta da alcuni membri selezionati di 3 delle 16 agenzie di intelligence ed è stata espressa non come un fatto provato ma come “altamente probabile”. In altre parole, non era altro che un parere orchestrato dato da agenti cooperativi i quali senza dubbio si aspettano delle promozioni in cambio.

Nonostante questo fatto noto, la squadra di propaganda dell’NPR ha detto che Trump aveva creduto a Putin piuttosto che a un rapporto unanime di intelligence dei fatti degli Stati Uniti che provava le interferenze della Russia. I denigratori di Trump-basher hanno detto che aveva creduto al “teppista Putin” e non ai suoi stessi esperti americani. I sostenitori NPR di Trump hanno continuato a confrontare il “raccordo con Putin” con l’opinione di Trump che la violenza di Charlottesville fosse stata alimentata da entrambe le parti. I criticoni di NPR hanno equiparato la dichiarazione fattuale di Trump sulla violenza da entrambe le parti con lo “schierarsi con i neonazisti” a Charlottesville.

Il punto di NPR è che Trump si schiera con nazisti e teppisti russi ed è contro gli americani.

Quello che Trump disse in effetti riguardo alle presunte interferenze elettorali era che se c’era o non c’era interferenza elettorale, essa non aveva alcun effetto come hanno ammesso Comey e Rosenstein, e non assume la stessa importanza della possibilità che due potenze nucleari vadano d’accordo ed evitino le tensioni in grado di provocare una guerra nucleare. Si potrebbe pensare che persino un idiota NPR possa capirlo.

Il trionfo su NPR è andato avanti per tutto il giorno mescolato a un occasionale attacco della Russia per aver ucciso civili siriani in attacchi aerei contro i jihadisti supportati da Washington che, secondo le istruzioni di Washington, cercano di aggrapparsi a un po ‘di Siria in modo che Washington e Israele possono ricominciare la guerra. Ci si meraviglia della stupidità di coloro che danno soldi all’NPR in modo che l’NPR possa mentirgli tutto il giorno. Come George Orwell aveva previsto, le persone sono più a loro agio con le bugie del Grande Fratello che con la verità.

Una volta la NPR era una voce alternativa, ma è stata rotta dal regime di George W. Bush ed è diventata completamente corrotta. NPR continua a fingere di essere “ascoltatore supportato”, ma in realtà ora è una stazione commerciale proprio come ogni altra stazione commerciale. NPR cerca di mascherare questo fatto usando “con il supporto di” per introdurre gli annunci a pagamento dalle aziende.

“Con il sostegno di” è come NPR ha tradizionalmente riconosciuto i suoi donatori filantropici. La vera domanda è: come fa NPR a mantenere il suo status di esenzione fiscale 501c3 quando vende pubblicità commerciale? Non c’è bisogno che NPR si preoccupi. Finché l’entità presstitute serve l’élite dominante a spese della verità, manterrà il suo stato di esenzione fiscale illegale.

È ovvio che le incriminazioni dei 12 ufficiali dei servizi segreti russi immediatamente precedenti alla riunione di Trump / Putin avevano lo scopo di minare l’incontro e di offrire ai giornalisti maggiori opportunità per i colpi più disonesti ai danni del presidente Trump. Ai miei tempi, i giornalisti sarebbero stati abbastanza intelligenti e avrebbero avuto abbastanza integrità per capirlo. Ma i comunicati stampa occidentali non hanno né intelligenza né integrità.

Quante prove vuoi? Ecco la stampa di Michelle Goldberg che scrive sul New York Times che “Trump mostra al mondo che è il lacchè di Putin.” La giornalista dice di essere “sconcertata dalla prestazione servile e schifosa del presidente americano.” Apparentemente Goldberg pensa che Trump avrebbe dovuto picchiare Putin.

Il Washington Post, in passato un giornale, ora uno scherzo malato, sosteneva che “Trump si era appena colluso con la Russia. Apertamente.”

Non sono solo i presstitutes. Sono i cosiddetti esperti, come Richard Haass, presidente del Consiglio per le relazioni estere, un gruppo auto-importante, finanziato dal complesso militare / di sicurezza, che presiede la politica estera americana. Haass, aderendo alla linea ufficiale di sicurezza / sicurezza, ha dichiarato erroneamente: “L’ordine internazionale per 4 secoli si è basato sulla non interferenza negli affari interni degli altri e sul rispetto della sovranità. La Russia ha violato questa norma sequestrando la Crimea e interferendo con le elezioni americane del 2016. Dobbiamo affrontare la Russia di Putin come lo stato canaglia che è “.

Di cosa sta parlando Haass? Quale rispetto per la sovranità ha Washington? Sicuramente Haass ha familiarità con la dottrina neoconservatrice dominante dell’egemonia mondiale degli Stati Uniti. Sicuramente Haass sa che i problemi orchestrati con Iraq, Libia, Siria, Corea del Nord, Russia e Cina sono dovuti al risentimento di Washington per la loro sovranità. Qual è l’unilateralismo di Washington sul fatto che Washington rispetti la sovranità dei paesi? Perché Washington vuole un mondo unipolare se Washington rispetta la sovranità di altri paesi? È precisamente l’insistenza della Russia su un mondo multipolare che la pone nel mirino della propaganda. Se Washington rispetta la sovranità, perché Washington rovescia i paesi che ce l’hanno? Quando Washington accusa la Russia di essere una minaccia per l’ordine mondiale, significa che la Russia è una minaccia per l’ordine mondiale di Washington. Haass sta dimostrando la sua idiozia o la sua corruzione?

Come i media americani hanno definitivamente dimostrato non hanno indipendenza ma sono un portavoce dei democratici e degli interessi delle multinazionali; dovrebbero essere nazionalizzati. I media americani sono così compromessi che la nazionalizzazione sarebbe un miglioramento.

Anche l’industria degli armamenti dovrebbe essere nazionalizzata. Non solo è un potere più grande del governo eletto, ma è anche molto inefficiente. L’industria degli armamenti russi con una minima frazione del budget militare statunitense produce armi di gran lunga superiori. Come ha detto il presidente Eisenhower, un generale a cinque stelle, il complesso militare-industriale è una minaccia per la democrazia americana. Perché la feccia dei media è così preoccupata per l’inesistente interferenza russa quando il complesso militare / di sicurezza è così potente da poter realmente sostituirsi al governo eletto?

Ci fu un tempo in cui il Partito Repubblicano rappresentava gli interessi degli affari, e il Partito Democratico rappresentava gli interessi della classe operaia. Ciò ha tenuto l’America in equilibrio. Oggi non c’è equilibrio. Dal momento che con il regime di Clinton, l’uno per cento ricco è diventato molto più ricco, e il 99 per cento è diventato sempre più povero. La classe media è in serio declino.

I democratici hanno abbandonato la classe operaia, che i democratici ora liquidano come “Trump deplorables” e sostengono invece la divisione e l’odio di IdentityPolitics. In un momento in cui il popolo americano ha bisogno di unità per resistere a mire guerrafondaie e avidità, non c’è unità. Alle razze e ai sessi viene insegnato a odiarsi l’un l’altro. È ovunque tu guardi.

Rispetto all’America in cui sono nato, l’America di oggi è fragile e debole. L’unico sforzo per l’unità è creare unità che la Russia sia il nemico. È proprio come nel 1984 di George Orwell. In altri aspetti l’attuale distopia americana è peggiore di quella descritta da Orwell.

Cerca di trovare un’istituzione pubblica o privata americana che sia degna di rispetto, che sia onorevole, che rispetti la verità, che sia compassionevole e che cerchi la giustizia. Quello che trovi al posto della compassione e della richiesta di giustizia sono leggi che puniscono se critichi il genocidio israeliano dei palestinesi o perdi informazioni che mostrano i crimini commessi dal governo degli Stati Uniti. Con tutte le loro istituzioni corrotte, anche il popolo americano viene corrotto. La corruzione è ciò in cui i giovani sono nati. Non sanno niente di diverso. Che futuro si riserva per l’America?

Come possono la Russia, la Cina, l’Iran, la Corea del Nord raggiungere un compromesso con un governo che non conosce il significato della parola, un governo che richiede la sottomissione e quando la sottomissione non viene segue la distruzione come abbiamo imparato in Afghanistan, Iraq, Libia, Siria e Yemen.

Chi sarebbe così sciocco da fidarsi di un accordo con Washington?

Invece di perseguire un accordo con Trump, che si sta preparando ad essere rimosso, Putin dovrebbe preparare la Russia alla guerra.

La guerra sta sicuramente arrivando.

TRUMP E ERDOGAN: PRIMO INCONTRO IN AMBITO N.A.T.O. DOPO IL FALLITO GOLPE, di Antonio de Martini

TRUMP E ERDOGAN: PRIMO INCONTRO IN AMBITO N.A.T.O. DOPO IL FALLITO GOLPE.

Ahmet Insel, gia titolare di cattedra alla Sorbona e editorialista di Cumhurriet, ha finalmente ammesso quel che scrivo da quattro anni: Erdogan è – mutatis mutandis- il nuovo Ataturk.

Ha vinto la sfida interna, sconfiggendo i golpisti e i seguaci di Gulen, ha sfidato gli USA, uscendone indenne e
adesso ruba la scena a Trump alla riunione NATO nella sua prima uscita estera dopo la rielezione.

Tutti gli analisti guardano a lui e liquidano le ingiunzioni del presidente USA, che è gia pronto ad offrire i saldi di stagione, agli alleati che ormai lo guardano con la preoccupata compassione riservata ai ripetitori di poesiole già logorate dalla Corea che resta nucleare.

Mezza Asia è intervenuta alla cerimonia di insediamento del “very powerful president” e poco contano gli assenti.
La Turchia assume sempre più i propri connotati asiatici e riesuma il passato che Ataturk aveva rinnegato per marciare verso l’Europa.

Il più grande scrittore Kirghiso, Cenghiz Aytmatov, – il terzo scrittore più letto al mondo con 70 milioni di copie vendute, amico e consigliere di Gorbaciov- viene commemorato ufficialmente da tutta la Turchia che gli ha dedicato l’intero l’anno 2018.

Ecco un avvicinamento in più tra russi e turchi, visto che Aytmatov era cittadino sovietico ( e ambasciatore URSS presso la NATO) e che oltre che in Kirghiso ha scritto in lin lingua russa.

In vista del suo primo incontro con Erdogan dopo il tentato golpe di ispirazione USA, Trump ha ostentato disinteresse per la sorte della NATO con l’intento di attutire il potere contrattuale di Erdogan, ma, in realtà, preoccupa solo se stesso. Erano anni che il massimo rappresentante USa non partecipava a un vertice N.A.T.O. e questa presenza suona smentita alle dichiarazioni fatte.

Il presidente USA, credendo di intimidire i turchi rimbrottando gli europei, si è inimicato l’intera UE e anche questo non mi pare un successo.

Il metanodotto verso l’Europa si farà, diminuendo il potere contrattuale dell’Ucraina verso la Russia e il 4% di spese per la Difesa non finiranno nelle tasche dei committenti del presidente USA che vuole gestire il mondo come fosse un condominio del New England e noi dei fornitori da spremere.

NOTA: questo post è stato aggiornato.

 

Macerata vista da New York, di Roberto Buffagni

Macerata vista da New York

 

Lo scorso 7 luglio il “New York Times” ha pubblicato un lungo articolo sui fatti di Macerata a firma Jason Horowitz, responsabile per la redazione di Roma e per tutto il Sud del Mediterraneo.[1]

E’ un articolo di grande interesse per due ragioni: perché esce sul più importante e rispettato organo di stampa liberal del mondo, e perché fornisce il modulo o template dell’interpretazione liberal dei seguenti fatti di primario rilievo politico e culturale contemporaneo: l’immigrazione, la crisi/sconfitta delle sinistre liberal in tutto il mondo, la crisi dell’Unione Europea e del globalismo, l’insorgenza/vittoria dei populismi.

Intendiamoci: non vi si trovano novità analitiche, o spunti di riflessione di eccezionale qualità. Vi si trovano però, formulati molto professionalmente, i luoghi comuni liberal, gli stessi che ritroviamo e ritroveremo, mille volte ripetuti e riformulati con maggiore o minore efficacia ed eleganza, nella comunicazione politica e nei media dominanti occidentali.

Eccone una breve analisi.

Sulle 323 righe dell’articolo, 37 sono dedicate a Luca Traini, 23 a Pamela Mastropietro, 11 a Martina Borra segretaria di Forza Nuova Macerata, 47 a Salvini. C’è una foto (primo piano) di Traini, nessuna di Pamela, tranne la serigrafia col viso di sua figlia che si scorge sulla maglietta indossata dalla madre di Pamela al funerale. Luca Traini è nominato 18 volte, Pamela/Mastropietro 15. Salvini è nominato 19 volte. Fascism/Fascist ricorre 13 volte. Populist/Right-Wing 7volte.

Sull’assassinio di Pamela Mastropietro si dice l’assoluto minimo possibile: che è stata uccisa e smembrata, che sono stati ritrovati i suoi resti nei dintorni di Macerata, che è accusato dell’omicidio il nigeriano Innocent Oseghale, che “le circostanze della morte di Ms. Mastropietro sono tuttora ignote”. Viene riportata la notizia, inesatta, che Pamela si fosse ricoverata in comunità perché tossicodipendente (era invece affetta da una malattia psichiatrica, un serio disturbo bipolare, e non assumeva abitualmente droghe pesanti). Non vengono riportate le dichiarazioni del medico legale che ha eseguito la seconda autopsia sui resti di Pamela, prof. Mariano Cingolani: “Io, con gli strumenti giusti e un tavolo operatorio ci avrei messo almeno 10 ore per sezionare un corpo in quel modo, non posso credere che sia stato fatto in una vasca da bagno[2]; né il fatto che nel referto della prima autopsia, eseguita dal dr. Antonio Tombolini, si parla di “irreperibilità di alcuni organi come il cuore e parte del pube, oltre alla scomparsa della porzione di collegamento tra testa e torace, cioè del collo della ragazza.”[3] Nessun cenno a Lucky Awelima e Desmond Lucky, possibili complici di Oseghale, né alla loro spaventosa conversazione in carcere[4], tradotta la quale l’interprete nigeriana, terrificata, si è resa irreperibile. Nessun cenno all’ipotesi, pur diffusa, che possa essersi trattato di un omicidio rituale. Viene citato l’Hotel House, “il grattacielo multiculturale” con i suoi molti problemi di criminalità, e viene citata anche la fossa comune dove sono stati ritrovati resti umani: ma non vengono messi in relazione. Non si tratta di un errore del reporter, ma di una omissione intenzionale: della fossa comune si parla riferendo di un’escursione in automobile nei dintorni di Macerata insieme a Martina Borra, che indica al giornalista un “housing project”, un grande condominio popolare divenuto centro per lo spaccio di droga, che non può essere altro che l’Hotel House; la guida italiana indica a Horowitz una casetta nei pressi “dove un tempo le donne andavano a comprare le uova e dove adesso i tossici comprano droga – lì vicino la polizia ha trovato resti umani”. Dell’Hotel House, però, si riparla più di trenta righe dopo. Intenzionale anche l’omissione della scoperta che tra i resti umani ritrovati in prossimità dell’Hotel House ci sono quelli di Camey Mossamet[5], la quindicenne bengalese scomparsa nel 2010. La notizia è uscita sui giornali il 28 giugno[6], l’articolo del NYT è uscito nove giorni dopo: Horowitz aveva tutto il tempo (e l’obbligo) di informarsi, e il grande quotidiano USA ha alle sue dipendenze una schiera di redattori addetti al controllo dei fatti.

Il taglio interpretativo dell’articolo è ben riassunto dai paragrafi di apertura e chiusura:

Apertura: “Una volta Macerata era famosa per la sua tolleranza. Ma l’assassinio di una donna e una sparatoria per vendetta hanno trasformato la città in un simbolo della marea montante della destra politica.[7]

Chiusura: “Mr. Diallo, il senegalese che si impratichiva dei verbi italiani al centro della Caritas, rideva con gli amici mangiando specialità africane e italiane. Tiziana Manuale, responsabile del centro, sedeva lì accanto. Molta della gente che sta pranzando qui sarà costretta ad andarsene, disse. ‘Un tempo c’era l’idea di Macerata città accogliente,’ disse. ‘Ma certi settori della popolazione non sono pronti.’ “ [8]

Sintesi: andava tutto bene finché  un omicidio, tragico finché si vuole ma in fin dei conti legato alla droga e allo sbandamento giovanile, problemi endemici e gravi ma non legati all’immigrazione in quanto tale, è stato sfruttato dalla destra per far leva sull’arretratezza culturale dei settori di popolazione che “non sono pronti”.

Pronti per che cosa, non è specificato. Pronti a mangiare all’aperto specialità africane e italiane insieme agli immigrati? Per questo, non credo ci sarebbero problemi: quando viene la bella stagione, pranzare insieme all’aperto con parenti, amici e forestieri è un’antica tradizione popolare italiana, bella e toccante come “l’ora italiana”, gli incantevoli, lunghi momenti in cui il giorno trascolora nella sera, e lasciati i luoghi di lavoro, si passeggia serenamente per la città, diretti a casa senza fretta.

Pronti a rassegnarsi ad accettare come effetti collaterali dell’accoglienza, certo incresciosi ma inevitabili, crimini di un’atrocità terrificante? Bambine stuprate, uccise e magistralmente fatte a pezzi? O che escono per andare a scuola, spariscono, e non se ne sa più nulla finché otto anni dopo la polizia ritrova un dente in una fossa comune? E’ arretrato, chi non è pronto per questo? Vuole tornare indietro e dunque è un fascista? Vale persino questa candela, il gioco del progresso e dell’accoglienza?

Forse, se Mr. Horowitz si fosse permesso di riflettere e immaginare un po’ meglio quel che è realmente accaduto a Pamela Mastropietro e a Camey Mossamet, non avrebbe avuto bisogno di tirare in ballo Mussolini e il fascismo, e neanche Casa Pound o Salvini, per spiegarsi come mai i crollino i consensi per le sinistre liberal non solo italiane, e perché Macerata e l’Italia non siano più “famose per la loro tolleranza”.

[1] https://www.nytimes.com/2018/07/07/world/europe/italy-macerata-migrants.html

[2] https://it.blastingnews.com/cronaca/2018/02/tutti-i-particolari-sul-depezzamento-di-pamela-mastropietro-002358745.html ; v. anche https://italiaeilmondo.com/2018/06/17/fatti-di-macerata-tre-domande-senza-risposta-di-roberto-buffagni/#_ftn6

[3] http://m.dagospia.com/il-medico-legale-pamela-e-stata-mutilata-con-orrore-molti-organi-non-si-trovano-piu-166498

[4] https://www.giornalettismo.com/archives/2660597/pamela-mastropietro-intercettazione-carcere

[5] https://italiaeilmondo.com/2018/07/03/a-trenta-chilometri-da-macerata-di-roberto-buffagni/#_ftn1

[6] https://www.cronachemaceratesi.it/2018/06/29/pozzo-dellorrore-le-ossa-sono-di-cameyi/1121347/

[7] Macerata once had a reputation for tolerance. But the killing of a woman and a revenge shooting made the Italian town a symbol of rising right-wing politics.

[8] “Mr. Diallo, the Senegalese man who had practiced his Italian verbs at the Caritas center, laughed with friends as they ate African and Italian specialties. Tiziana Manuale, who managed the center, sat nearby. Many people at the lunch would be forced to leave, she said. ‘There was the notion that Macerata is a welcoming city,’ she said. ‘But some parts of the population aren’t ready.’

Subordinazione alla francese, a cura di Giuseppe Germinario

Pubblichiamo qui sotto il testo tradotto di una intervista di Leslie Varenne riguardante le ragioni dello spezzettamento e della cessione a General Electric dell’intero comparto energetico. Nell’affrontare il tema dell’elezione di Macron abbiamo già sottolineato alcuni aspetti della politica estera ed economica francese. https://italiaeilmondo.com/2018/01/06/macron-micron_-3a-parte-di-giuseppe-germinario/ Dietro i toni e la retorica nazionalista, ben inserita nel contesto europeista, si celava una condizione di subalternità deprimente, del tutto paragonabile a quella italiana. Questa intervista chiarisce nei dettagli alcuni aspetti importanti di queste dinamiche. Rivela positivamente, ancora una volta, la presenza strutturata anche se minoritaria di forze sovraniste ben radicate in alcuni centri di potere e decisionali. Soprattutto, svela come la competizione economica sia parte integrante della competizione politica e geopolitica. Uno dei meriti dell’elezione di Trump è di aver messo a nudo una verità a lungo nascosta dalle ideologie globaliste. Buona lettura_Giuseppe Germinario

10.July.2018 // The Crises

Le vere ragioni del taglio di Alstom, di Leslie Varenne

Alstom-Siemens

 

Fonte: IVERIS, Leslie Varenne , 10-10-2017

Durante una conferenza, Christian Harbulot, capo della Scuola di Guerra Economica, ha parlato del caso Alstom e dell’acquisto del suo ramo energetico da parte della General Electric, come parte della dura guerra economica tra Stati Uniti e Cina (1). Infatti, prima che il caso scoppiasse, Alstom e Shanghai Electric si stavano preparando a sottoscrivere una joint venture nel mercato delle caldaie per le centrali elettriche. Questa partnership avrebbe permesso loro di diventare il leader mondiale in questo settore. Nel luglio 2013, Alstom ha firmato un accordo di partnership con il gruppo cinese Dongfang per progetti di reattori nucleari. Per comprendere le vere cause dello smantellamento di quello che era un fiore all’occhiello dell’industria strategica francese, l’IVERIS offre un’intervista a Loïk il Floch-Prigent.

Pensi che i progetti di fusione e partnership di Alstom con i gruppi cinesi siano stati determinanti nell’acquisizione americana del business dell’energia di Alstom, e in che modo queste due attività erano strategiche?

Cos’è la globalizzazione oggi? Sostanzialmente la coesistenza di due sistemi antagonisti, gli Stati Uniti d’America con una potenza economica e militare senza precedenti e una popolazione media, e la Cina, che si è svegliata con una popolazione tre volte più alta e un’innegabile forza di volontà. È il Regno di mezzo che ha davanti a sé il futuro, il tempo, e che avanza silenziosamente sulle sue pedine sulla scacchiera mondiale. L’Europa è troppo divisa per pesare in questa avventura, e la Russia è ancora indebolita dopo settant’anni di oscurantismo sovietico. È chiaro che durante la Guerra Fredda la nostra industria era sotto una lente d’ingrandimento in modo che non venisse in aiuto all’impero sovietico. Ora è la Cina il problema numero uno negli Stati Uniti. Non vederlo, ignoralo, ignoralo,

Alstom ha avuto due specialità dopo che la Compagnie Générale d’Electricité (CGE) è stata smantellata da ideologi mediocri: il trasporto ferroviario e l’energia. La ferrovia non è un problema centrale per gli Stati Uniti, ma l’energia è una risorsa importante nella loro spinta verso il potere. Hanno dominato il petrolio sin dal suo inizio e vogliono mantenere questo fondamentale vantaggio. Negli ultimi anni, l’aumento dei prezzi del petrolio ha portato gli Stati Uniti a rendere economiche le loro riserve di petrolio non convenzionale (shale oil) e sono diventati autosufficienti almeno per i prossimi 150 anni, il che ha giustificato il loro relativo disimpegno Politica del Medio Oriente; non hanno più bisogno dell’Arabia Saudita per funzionare!

Quello che è stato ascoltato nel 2012-2013 da Alstom, una delle principali società di trasformazione dell’energia (carbone, gas, energia idroelettrica, nucleare)! Stava per trovare un partner russo in orbita per il suo dipartimento ferroviario, e lei si sarebbe concentrata sulle soluzioni energetiche, grazie ad un accordo con Shanghai Electric per le centrali a carbone e un altro con Dongfang per il nucleare! È questa roadmap che viene presentata alla stampa e ai sindacati dal capo del gruppo che segnala in questa occasione che, di fronte al potere della singola compagnia ferroviaria cinese, Alstom-transport non può vivere da solo poiché il mercato futuro è principalmente asiatico, ed è urgente trovare un partner in questo settore per avere la libertà di rimanere nel cuore industriale di Alstom,

Poche settimane dopo, un dirigente di Alstom domiciliato in Asia viene arrestato durante uno dei suoi viaggi negli Stati Uniti, e l’amministratore delegato del gruppo annuncia il trasferimento del dipartimento energia al conglomerato americano General Electric, che dovrebbe consentire di effettuare il trasporto ferroviario Alstom una pepita globale!

Una piccola prospettiva, una buona conoscenza della geopolitica mondiale, e abbiamo capito … ” fai le tue sciocchezze nel trasporto, non ci riguarda ma l’energia siamo noi e serviamo le tue conoscenze ai cinesi, non le domande“! Questa non è la prima volta che gli Stati Uniti ci avvertono che sono i padroni del mondo nella politica energetica, possiamo fingere di ignorarlo, combattere contro i mulini a vento con tremoli nella voce, s ‘ all’indignazione, sarebbe comunque necessario fornire i mezzi, e il gruppo Siemens con il quale si sarebbe potuto discutere era appena uscito indebolito in modo duraturo da un caso analogo in cui aveva dovuto separarsi da tutto il suo gruppo dirigente per le stesse ragioni che Alstom: corruzione di stati esteri con dollari, e quindi punita dall’emittente della valuta, gli Stati Uniti.

Questa è la storia che abbiamo vissuto. Non volevamo guardare in faccia, volevamo credere alla terribile corruzione del nostro campione nazionale, ma in questo settore tutti hanno agito nello stesso modo. Ciò che era insopportabile è che Alstom si impegna in una politica di alleanza con la Cina senza l’esplicita autorizzazione del padrone di energia del paese, gli Stati Uniti.

Dovremmo vedere un legame con la severa condanna negli Stati Uniti di Frederick Pierucci ai sensi della legge anti-corruzione poiché era il vicepresidente della divisione mondiale delle caldaie e che avrebbe dovuto prendere l’iniziativa? joint venture?

È chiaro che l’immediata detenzione di Frédéric Pierucci, la costituzione della joint venture con Shanghai Electric nel carbone, ma anche il centro delle trattative con la Cina, è stata chiarissima perché c’era un grande numero di altri dirigenti Alstom che hanno partecipato agli atti illeciti, in particolare l’amministratore delegato. La detenzione di Frédéric Pierucci era sia un avvertimento che un ricatto contro il management team del gruppo, che era già stato raggiunto con Siemens qualche anno prima. Sappiamo anche che i politici europei sono cauti non appena compare la parola ” giustizia “. Possiamo dire che gli americani hanno giocato molto bene!

Il processo a Frederic Pierucci si è svolto il 25 settembre e il verdetto è sconcertante: trenta mesi di carcere mentre eseguiva solo gli ordini dei suoi superiori e non beneficiava di un arricchimento personale. Ottiene la stessa punizione del CEO di Halliburton, mentre quest’ultimo ha ricevuto una tangente da $ 10 milioni. Questo dirigente di Alstom è chiaramente un ostaggio economico, non è anche lui una vittima della guerra USA / Cina?

Certo, ma è stato anche abbandonato dalla compagnia che gestiva, e questo è semplicemente sconcertante.

Quindi l’FCPA (American Corruption Act (2)) è anche un’arma della guerra economica condotta da questi due stati per il dominio economico mondiale? Airbus, che è attualmente sottoposto a una procedura negli Stati Uniti, si assume dei rischi quando firma un contratto di 20 miliardi di euro sull’A330 con la Cina?

L’FCPA, ovvero la capacità di agire in tutto il mondo per la giustizia degli Stati Uniti non appena un dollaro ha cambiato le sue mani, è un’arma formidabile con cui i politici europei hanno familiarità. Non vogliono andare in prima linea, e capiamo, ma quando lasciano i leader industriali da soli nel caos, possiamo chiederci a cosa giocano. Nessun commentatore si preoccupa. Abbiamo sperimentato questo tipo di rassegnazione collettiva e cecità nel nostro paese in altri momenti della sua storia. L’FCPA è un problema fondamentale per la sopravvivenza della grande industria del nostro continente. Vedremo come si sistemeranno gli affari di Airbus!

Nell’affare ” Alstom “, che è davvero uno scandalo di stato, c’era un rapporto, un libro, un documentario, le audizioni all’Assemblea nazionale. I ministri hanno parlato sull’argomento, eppure nessuno ha visto che Alstom era il bersaglio degli americani a causa dei suoi progetti con gruppi cinesi. Perché? Non è questo il segno del fallimento del pensiero strategico francese? Non siamo tutti collettivamente responsabili della situazione di Alstom oggi?

Non possiamo scacciare il nostro sguardo sull’ombelico, è una malattia che abbiamo visto la devastazione con la COP 21 e la recente necessità di dare ” l’esempioProibendo l’esplorazione e la produzione di idrocarburi in Francia! Pensiamo che sogniamo! La nostra produzione nazionale annua rappresenta metà della produzione giornaliera del mondo! Quale esempio, quale impatto, su chi? Il mondo continuerà la sua esplorazione e sfruttamento degli idrocarburi perché gli Stati Uniti e la Cina non fermeranno la loro crescita per soddisfare sia il loro desiderio di potere che la loro popolazione. La nostra possibilità, con Alstom, era quella di essere in prima linea per un uso più pulito del carbone, che rimane il più grande produttore di elettricità del mondo, per essere all’avanguardia dell’idroelettrico, che è la grande opportunità del continente. raddoppierà la sua popolazione in 25 anni, sulla punta dei turbo-alternatori « Arabelle Che equipaggia oltre la metà delle centrali nucleari del mondo. Dovevamo dimostrare la nostra determinazione a mantenere il controllo del nostro destino ed evitare di prestarci alle critiche volendo combinare con la Cina (3)! Non lo abbiamo ancora capito e il nostro paese, i nostri team, i nostri ingegneri stanno pagando il prezzo oggi senza capire veramente cosa sia successo. Alcuni stanno ancora soffrendo, altri godono di giorni felici, ma il nostro Paese soffre di non vedere e non capire che una politica energetica è necessaria, e che passa attraverso una revisione senza concessioni della nostra realtà. In noi ‘ spargimento“Alstom abbiamo perso il controllo della nostra industria nucleare già minata da molta incompetenza. Abbiamo anche perso il controllo sulla nostra idraulica e non rappresentiamo nulla in quelle che chiamiamo ” nuove energie “, cioè energia solare ed eolica. La nostra politica energetica è una politica di scarabocchi, che può solo rallegrare gli Stati Uniti e la Cina. Ci rifiutiamo di vederlo. Abbiamo avuto molti altri errori in passato e i risultati sono stati piuttosto scoraggianti.

Nel mondo in cui viviamo, stiamo sistematicamente fallendo. Le continue informazioni, i dibattiti concordati tra i cosiddetti esperti su tutti i temi attuali ci impediscono di prendere un po ‘di altezza. Reagiamo nell’immediatezza mentre i commentatori e gli attori politici praticano in larga misura la negazione della realtà.

Patrick Kron, l’ex amministratore delegato di Alstom, ha negoziato con gruppi cinesi per il settore dell’energia e con i russi per il settore dei trasporti. Questa strategia non era rischiosa? Ha ignorato così tanto le relazioni di potere? Cosa avrebbe dovuto fare per evitare di cadere nelle trappole e di essere in grado di proteggere il suo gruppo ei suoi dipendenti?

Patrick Kron non ha avuto la strategia vincente per Alstom, è un fatto acquisito ora. Lascio ad altri di analizzare le singole azioni. Ho detto quello che pensavo della nostra cecità collettiva, è molto più serio.

(1) Questa conferenza è stata dedicata all’ultimo libro di Christian Harbulot, intitolato ” American Economic Nationalism “, pubblicato da VA nella raccolta ” War of Information “.

(2) https://www.iveris.eu/list/compterendus_devenements/114-apres_alstom_a_which_the_tour__

(3) https://www.iveris.eu/list/tribunes_libres/61-the_turbine_arabelle_or_the_independence_technology_francaise

Fonte: IVERIS, Leslie Varenne , 10-10-2017

 

STRATEGIE DELLA TENSIONE NEGLI STATES, di Giuseppe Germinario per conto della redazione

I lettori ricorderanno della strage efferata compiuta a Las Vegas la domenica del 1° ottobre 2017. Quel giorno il sessantaquattrenne Stephen Paddock tra le 22.05 e le 22.15, appostato al trentaduesimo piano dell’hotel Mandalay Bay, falciò la folla radunata in un concerto country. Sparò a raffica più di millecento proiettili lasciando sul terreno cinquantotto morti ed oltre ottocentocinquanta feriti. Una efficacia letale prodigiosa anche per un esperto tiratore come Stephen.  Potrebbe essere catalogata come una delle tante stragi che periodicamente flagellano in maniera più o meno casuale gli Stati Uniti.

Tutte hanno avuto la giusta rilevanza nella stampa e nel sistema mediatico. Lo stesso sistema inquirente è quasi sempre riuscito a scoprire gli aspetti più reconditi di questi atti efferati. La strage di Las Vegas, la più sanguinosa tra queste, sin dall’inizio non ha meritato la stessa rilevanza nel sistema di informazione e le stesse indagini si sono soffermate apparentemente sull’unico protagonista accertato finendo inspiegabilmente oscurate da una cortina di silenzio protratta sino ad oggi https://files.acrobat.com/a/preview/51a4c2da-15ed-473d-8cf3-ab50062f06e2.

Una dinamica che ha generato una serie di teorie complottistiche che continuano a circolare nei siti web ma che comunque non hanno fatto breccia nel sistema mediatico.

Le tre tesi più inquietanti poggiano su alcuni fatti ed indizi poco esplorati, almeno in apparenza.

In quell’albergo, infatti, era presente Mohammed Bin Selman, l’erede di Casa Saud attualmente reggente della dinastia regnante in Arabia Saudita; aveva occupato gli ultimi due piani dell’edificio.

La possibilità che fosse il bersaglio di quella azione terroristica, militarmente così efficace, è quindi molto concreta.

Probabile che, grazie alla attenta vigilanza e all’efficace sistema di protezione dell’eminente personaggio, l’azione abbia assunto un carattere indiscriminato e si sia rivolta verso la massa sottostante l’edificio.

In quel momento, infatti, furono ricorrenti le voci di un atto terroristico compiuto dall’ISIS. L’attacco in effetti fu rivendicato dall’organizzazione, senza per altro ricevere credito.

Va ricordato che l’ISIS è sempre stato attendibile nelle proprie rivendicazioni; a maggior ragione desta sorpresa l’immediatezza della smentita dei vertici del FBI.

Sta di fatto che l’efficacia delle indagini ha sofferto pesantemente di un conflitto istituzionale che in altre situazioni simili i corpi inquirenti hanno saputo affrontare in maniera costruttiva. Il pesante intervento del FBI più che dare una spinta all’accertamento della verità, ha contribuito a minimizzare la portata dell’azione e a neutralizzare il lavoro di indagine delle forze di polizia locale indirizzato già verso direttive ben precise.

Non solo! FBI ha ritardato colpevolmente la consegna alle parti offese dei referti legali. Una prassi altrimenti sollecita in quel paese.

Non è la sola ipotesi sul campo. Ve ne è un’altra non necessariamente in conflitto con la prima; quella di una azione destabilizzatrice nel pieno di un conflitto politico durissimo sul quale il blog ha offerto una gran quantità di informazioni e valutazioni.

Va sottolineato che i frequentatori dei concerti country appartengono nella stragrande maggioranza al bacino elettorale e politico più militante del Presidente Trump. Segue all’attentato del giugno 2017 ai deputati repubblicani della Camera avvenuto nei pressi di Alexandria, in Virginia.  Circa due dozzine di deputati, i più radicali del movimento, rimasero feriti; tra essi Steve Scalise ebbe la peggio, rimanendo temporaneamente paralizzato. L’autore fu James Hodkinson, a sua volta eliminato dalla polizia nel corso dell’azione. Hodkinson era un fan sfegatato di Bernie Sanders.

In quel periodo avvenne anche l’uccisione di un attivista democratico a Charlottesville, investito proditoriamente dall’auto di un attivista di Trump dopo una intera giornata di provocazioni con la accertata presenza attiva di agenti di intelligence.

Qualche dubbio suscita anche l’episodio del ferimento del senatore repubblicano Rand Paul, ricondotto ufficialmente ad una controversia tra vicini di casa.

Il contesto di questi eventi sembra suggerire la presenza di una vera e propria strategia della tensione tesa a provocare reazioni inconsulte nei settori politici più radicali e difficilmente incontrollabili e a giustificare interventi repressivi verso la nuova maggioranza politica in via di formazione negli States.

La diffusione di un recente rapporto della polizia di Las Vegas non aiuta a costruire unaversione definitiva attendibile di quell’evento. Alimenta piuttosto numerosi dubbi.

La società di trasporto Uber ha accertato la presenza di una donna a fianco di Paddock nel suo tragitto verso l’albergo. La testimonianza fu raccolta tre giorni dopo l’attentato, ma non fu recepita nei rapporti giudiziari. Lo stesso autista avrebbe raccolto dichiarazioni di Paddock riguardanti l’eventualità di un prossimo attentato. Una informazione sino ad ora tenuta riservata. Nell’irruzione della polizia nell’appartamento occupato da Paddock, con l’attentato ancora in corso, gli agenti hanno riscontrato la presenza di tre donne. Le generalità delle donne furono accertate ma depennate nel rapporto finale. La stessa compagna di Paddock, Marilou Damley, al momento dell’attentato era nelle Filippine, ma numerose sue impronte digitali sono state riscontrate sulle munizioni utilizzate. Tra i seguaci della donna sul suo sito facebook c’erano numerosi sostenitori dell’ISIS. Dopo l’attentato la pagine è stata prontamente riimossa.

Tutti elementi che favorirebbero la tesi di una manipolazione della fragile psiche di Paddock per istigarlo all’azione. I componenti dell’ISIS sarebbero entrati contestualmente per eliminare Paddock ed utilizzare le sue armi per compiere la strage e attentare alla vita di Ben Selman.

Rimane il fatto che FBI tarda colpevolmente a chiarire tutti questi aspetti. Le primavere arabe, il colpo di mano in Ucraina e nel Caucaso hanno del resto ormai rivelato che i cosiddetti movimenti di opposizione democratica sono stati spesso sostenuti, innescati e stravolti, coadiuvati in qualche maniera, da azioni estreme di provocazione fomentate dagli stessi paladini della democrazia. La novità assoluta sarebbe che tali sistemi siano alla fine adottati anche all’interno degli stessi Stati Uniti. Il demone da esorcizzare è questa volta, manco a dirlo, Trump. Su questo Soros, tra altri ben più eminenti, si è rivelato un profeta e non solo.

1 361 362 363 364 365 394