Nazione, nazionalismo, etnia, popolo, razza, razzismo, impero, imperialismo, globalizzazione, cosmopolitismo (2), di Fabrizio Mottironi
Gli alti lai hanno raggiunto alla fine l’Olimpo; sono riusciti a smuovere la magnanimità dell’Onnipotente. Per quattro anni gli orfanelli hanno smarrito la guida; hanno dovuto sopportare smarriti le bizze dell’impostore. Hanno avuto davanti a sé l’uscio maliziosamente socchiuso verso le incertezze della libertà; non dovevano far altro che liberarsi dei guardiani arcigni, ma privi di una guida. Non hanno nemmeno avuto il coraggio di sbirciare il nuovo mondo dai pertugi. Hanno tramato invece per il ritorno del vecchio padrone aspirando nient’altro che al ripristino delle sicurezze di una strada obbligata scelta da altri. Joe Biden, il nuovo messia, li ha accontentati prontamente. Ha indicato loro la strada obbligata con piglio fermo e modi cortesi; ma la direzione indicata non è proprio la medesima percorsa per trenta anni. Biden, però, impersona più l’umanità e le debolezze delle divinità greche, che la purezza del dio cristiano; il prezzo chiesto agli alleati è stato quindi piuttosto salato e guidato da una tattica levantina.
I recenti vertici del G7 e della NATO tenutisi a giugno non possono infatti essere considerati nella ordinaria routine diplomatica.
Il G7 ha certamente assunto la funzione politica di allineare preliminarmente il gruppo di paesi determinanti per lo svolgimento degli indirizzi; nella divisione dei compiti ha assunto il compito politico-culturale di offrire nuovamente al mondo, in particolare nelle zone critiche di competizione con la Cina e la Russia, il modo di vita, i valori e la generosità occidentali. Ben più corposi i due vertici successivi della NATO e con Putin.
Mi ero ripromesso di scriverne a ridosso. Non è stato possibile, ma il tempo trascorso non è passato invano.
Tra la piaggeria e il lirismo prevalenti, non sono mancati commenti e analisi più avveduti; tra questi la constatazione che nell’assemblea NATO i diversi punti di vista, gli interessi strategici potenzialmente divergenti hanno spinto l’egemone statunitense ad una salomonica divisione dei compiti tra gli alleati eurorientali impegnati a sostenere gli USA nel fronteggiare la Russia e i fondatori originari, in particolare Italia, Francia e Germania impegnati nel loro sostegno ai propositi americani di arginare la Cina nel Pacifico con alcune varianti legate al comportamento britannico. In pratica una fotografia se non una interpretazione sin troppo letterale del contenuto dei colloqui e dei testi finali concordati.
Eppure quei documenti, i finali ed i preparatori, in particolare quelli della NATO, rivelano qualcosa di ben più complesso ed articolato.
LA NATO, QUESTA (S)CONOSCIUTA
Già soffermandosi sulla constatazione “fotografica” dei testi non è sufficiente ricondurre la dicotomia (schizofrenia?) al classico schema delle divisioni e differenze tra alleati senza considerare quindi l’acceso conflitto e le incertezze ormai, con l’uscita di Trump, tutte interne alla amministrazione americana in primo luogo, ma anche in particolare e in subordine in quella francese.
Una prima chiave di interpretazione di questa complessità la si trova in alcune frasi apparentemente anodine a partire da pag 77 del documento preparatorio dell’Assemblea NATO*: “a partire dal 2014 la NATO ha adattato con successo le proprie strutture militari e la propria postura di potenza. Continua a farlo alla luce delle nuove sfide (Depuis 2014, l’OTAN a adapté avec succès ses structures militaires et sa posture de forces. Elle continue de le faire à la lumière des nouveaux défis.)”; ancora: “tuttavia il braccio politico della NATO che permette al segretario generale e all’Organizzazione stessa di adattarsi e posizionarsi in un ambiente securitario in rapida trasformazione, deve ancora evolvere (Cependant, le bras politique de l’OTAN, qui permet au secrétaire général et à l’Organisation ellemême de s’adapter et de se positionner dans un environnement de sécurité en rapide transformation, doit encore évoluer).
La riproposizione in ambito NATO della pratica funzionalista brillantemente adottata nell’ambito della Unione Europea.
Niente di originale in un caso come nell’altro. Tutto rientra da sempre nei normali canoni dell’azione politica dei centri decisionali più avveduti capaci di occupare i posti chiave, di innescare le inerzie degli apparati e di creare una situazione di fatto propedeutica alla sanzione politica o quantomeno in grado di contrastare e rendere improbabili eventuali scelte alternative. Nella fattispecie imporre di fatto con un livello di integrazione addirittura maggiore quello che gli statunitensi non riuscirono a sancire per decisione esplicita negli anni ‘50 con la CED (Comunità Europea di Difesa).
Il filo conduttore del documento è sin troppo chiaro ed esplicito e si traduce in pochi indirizzi strategici della NATO:
deve affermarsi sempre più come un centro di decisione politica in quanto detentrice della forza militare;
deve diventare una sede privilegiata di incontro, di consultazione e di coordinamento non solo dei ministri della difesa, ma anche degli esteri e degli altri ambiti che abbiano implicazione con la difesa e la sicurezza della alleanza e dei singoli appartenenti, in particolare la ricerca scientifica, le comunicazioni, l’energia; devono essere ulteriormente rafforzati i legami e il coordinamento con le strutture della UE (Unione Europea);
deve decidere, operare e comunicare in maniera univoca evitando progressivamente sovrapposizioni delle altre istituzioni nazionali e comunitarie concorrenti sino a curare la stessa formazione culturale e tecnica del personale e dei collaboratori nonché dell’ambiente operativo;
deve agire statutariamente in ambiti operativi e spazi geopolitici più ampi e globali rispetto a quelli fondativi della fase bipolare di confronto sul fronte occidentale con la Unione Sovietica ipotizzando, anche se non ancora esplicitamente, l’allargamento ad una “NATO mondiale” e praticando l’estensione dei rapporti di collaborazione;
deve stabilire una linea di comando più efficace che superi su più temi l’obbligo della unanimità nelle decisioni, che attribuisca maggiori poteri al Segretario Generale, compresa la maggiore autonomia nell’utilizzo delle risorse disponibili e la verifica della effettiva esecuzione delle decisioni, che stabilisca tempi certi nelle decisioni, che attribuisca infine al Comando Generale maggiori poteri nella preparazione degli interventi in situazioni di emergenza anche in anticipo e propedeutici alle decisioni politiche.
Una chiarezza, una puntualità ed una sicumera inedite ampiamente corroborate e indotte da due situazioni:
la progressiva affermazione pratica e ormai sempre più adozione concettuale del modello di guerra ibrida e in subordine asimmetrica che estende compiutamente il classico confronto militare diretto con armi da fuoco ai più diversi ambiti e spazi dell’agire umano e lo “diluisce” di fatto nell’ambito del più generale confronto geopolitico; una dinamica innescata inesorabilmente dall’avvento dell’economia industriale e resa organica dalle nuove potenzialità tecnologiche e dalla capacità operativa e di influenza delle grandi potenze. Un modello che implica un salto qualitativo della visione strategica e della capacità operativa e una mole immane di risorse necessarie;
l’accelerazione ormai trentennale dei processi di integrazione militare, innescata dalla prima Guerra del Golfo, proseguita con l’allargamento delle adesioni all’Allenza Atlantica e non ancora compiuti. Una integrazione che ha riguardato il rapporto tra le forze territoriali e le unità mobili centrali, l’integrazione e velocizzazione delle reti di mobilità e comunicazione, l’integrazione delle reti energetiche, quella dei centri di comando e la creazione di centri operativi e logistici (17?) a direzione NATO nei diversi ambiti compreso quello tecnologico. Tutti processi che stanno svuotando di fatto la capacità e le prerogative dei singoli stati nazionali europei in materia di difesa e di influenza geopolitica.
In questo quadro vengono definiti i punti dichiarati di attacco dell’alleanza: quello in atto contro la Russia, dovuto bontà loro al carattere estremamente aggressivo sul fronte europeo pur riconoscendo capacità operative non comparabili con quelle della Unione Sovietica; quello in divenire con la Cina, paese le cui ambizioni vanno contenute ma con il quale ci sono margini di trattativa e collaborazione.
In sintesi, più che l’individuazione pur indispensabile degli avversari colpisce, a parere dello scrivente, il tentativo articolato di allargare ed approfondire il campo di azione e le prerogative “statuali” su base oligarchica di una alleanza sino ad ora statutariamente definita “militare” e basata nominalmente sulla pari dignità degli aderenti. Non a caso prendono piede proposte tali quali la costituzione di una DARPA atlantica, di una agenzia quindi in grado di sviluppare l’uso civile e militare delle applicazioni tecnologiche frutto della ricerca scientifica con tutto quello che ne consegue nei rapporti con le università e con gli apparati industriali; l’uso ventilato delle forze militari a fini di sicurezza interna nei paesi dell’alleanza in risposta alle minacce del terrorismo, ma anche di fenomeni politici emergenti.
L’esigenza di rispondere tempestivamente alle dinamiche multipolari sempre più complesse e imprevedibili sono certamente un impulso potente all’accentramento politico. Un proposito più facilmente perseguibile in una struttura chiusa come la NATO nel quale il personale è selezionato sulla base della fedeltà alla missione. Più complicato e meno dissimulabile nelle intenzioni reali e nelle contraddizioni intrinseche quando deve essere adottato coerentemente dai paesi e dagli stati nazionali europei.
Su questo ci offre lumi particolari il documento conclusivo dell’assemblea, altrettanto articolato di quello preliminare; meno compassato, decisamente più pervaso piuttosto da enfasi propagandistica ed ideologica.
A prima vista ha colpito il furore con il quale si scaglia contro il pericolo ru(o)sso, reo di revanscismo, di militarismo, di autoritarismo ai danni delle democrazie dei paesi vicini; una sfrontatezza tale da rimuovere e ribaltare la realtà della delusione della fine dello spolpamento della Russia, dell’aggressività continua perpetrata ai suoi danni, dell’impronta russofoba dell’adesione alla NATO e alla UE dei paesi dell’Europa Orientale, dei colpi di mano perpetrati in Ucraina ed altri paesi; in particolare della rimozione vergognosa della questione del trattamento riservato alle popolazioni russe e russofone rimaste intrappolate nei nuovi stati frutto dell’implosione dell’URSS, tanto più grave in quanto perpetrata dai sedicenti paladini dei diritti umani.
Del tutto ignorato al contrario l’insolito lirismo, un vero e proprio panegirico di numerose pagine, riservato al decisivo contributo offerto dalla UE e dalla sua Commissione al processo di integrazione intensiva e allargamento della NATO. Un cappello addirittura imbarazzante nella sua evidenza tale da mettere in dubbio impietosamente l’immagine di relativa autonomia politica costruita intorno alla costruzione europea. Un florilegio che manca il punto qualificante e più paradossale di questo altruismo comunitario: quello dell’apprezzamento di un documento della Commissione Europea sulla politica estera e di difesa autonoma europea che prevede la costruzione di una forza militare per le missioni estere, in realtà di supporto e che ignora del tutto la creazione di una forza militare autonoma posta a difesa dei confini territoriali europei.
“Italia e il Mondo”nel proprio piccolo, grazie in particolare agli articoli di Luigi Longo, ha cercato di smontare nel merito questa immagine sottolineando in particolare la coincidenza dei progetti infrastrutturali europei con gli interessi strategici e di riorganizzazione della NATO; ci stanno ora pensando in grande gli stessi artefici principali della costruzione europea a demolirla assieme al giocattolo stesso. Un gioco rischioso che intanto di fatto mette in imbarazzo e erode ogni sponda a quella componente europeista, di impronta radicale e progressista, che fonda la propria fedeltà al progetto sul carattere endogeno della formazione e sul potenziale offerto di autonomia politica dell’istituzione rispetto a tutte le grandi potenze, compresi gli stessi Stati Uniti.
LO STATO dell’ARTE
Un gioco rischioso appunto, che rischia di creare problemi ben più gravi di quanti ne possa risolvere, ma non per questo meno sagace ed articolato.
Gli Stati Uniti, i loro centri decisori in particolare, hanno diversi problemi strategici di fondo da risolvere:
la individuazione e la scelta del nemico principale da affrontare con una strategia coerente. Questo nemico sta diventando oggettivamente la Cina in uno scenario nel quale sta emergendo e riemergendo l’intraprendenza di numerosi attori regionali ed alcuni “quasi globali”, come la Russia; in una situazione però nella quale gli Stati Uniti hanno grosse collusioni e interdipendenze nella Cina stessa e della cui ascesa a potenza sono di fatto uno dei principali responsabili assieme alla geniale abilità della classe dirigente mandarina;
il baricentro politico e militare statunitense è orientato ancora prevalentemente in Europa, area da cui trae la maggiore forza politico-economica e la maggiore capacità pervasiva; lo rimarrà per altro ancora per molto tempo. La resilienza ormai settantennale di questo enorme coagulo di potere ha consentito la formazione di potenti ed imprescindibili centri decisionali e di apparati di potere in grado di condizionare e decidere degli orientamenti e dello scontro politico interno agli Stati Uniti, come si è visto apertamente durante i quattro anni di presidenza Trump; centri difficili da scalzare, ridimensionare e riorientare a seconda delle necessità e delle condizioni;
gli Stati Uniti dispongono, in termini relativi, non assoluti, di una minore quantità di risorse materiali e umane rispetto ai numerosi fronti che si stanno aprendo e al peso degli avversari in lizza ferma restando la ancora sostanziale superiorità tecnologica, economica ed operativa. Sono ancor meno in grado di sostenere più di un confronto militare diretto e di gestire soprattutto l’esito dello scontro;
gli Stati Uniti, sfortunatamente per i loro centri decisori ancora prevalenti, fortunatamente per il resto del mondo, stanno vivendo una situazione interna nella quale gran parte, forse la maggioranza della popolazione è nettamente contraria ad ulteriori impegni militari diretti sul terreno e dotata di una superiore consapevolezza, rispetto agli europei, delle implicazioni interne della collocazione e delle scelte geopolitiche del paese. Questo grazie soprattutto alla evidenza e alla violenza dello scontro politico in atto, alla pesantezza in termini di squilibri delle conseguenze delle dinamiche concrete della globalizzazione; alla formazione infine di una sorta di platea magmatica particolarmente inquieta e manipolabile sempre più legata ad una visione assistenziale dei diritti.
In tale contesto, in attesa che lo scontro politico interno, nient’affatto sopito, si delinei e risolva più chiaramente, nella sua sostanza quindi sciolga il dilemma tra una delimitazione della propria sfera d’influenza accettando la condizione multipolare oppure la conferma della propria ambizione egemonica mondiale, ai centri decisori americani non resta che rifugiarsi sempre più nel modello egemonico britannico del secolo XIX teso a giocare sulle rivalità e a creare un equilibrio nel quale fungere da arbitro-giocatore senza eccessive esposizioni militaresche.
Da questo punto di vista il gioco europeo assume caratteristiche particolarmente complesse e sofisticate; di questo vissuto si alimenta anche la Alleanza Atlantica.
ESEMPI DI PERVICACIA
Le dinamiche in corso, compreso il manifesto programmatico appena illustrato, accrediterebbero la parvenza di autonomia istituzionale e di esercizio di sovranità della NATO; un accredito sempre in voga tra i fautori e gli esorcisti del governo mondiale.
Niente di più ingannevole.
La NATO rimane una alleanza militare con precise gerarchie interne attraverso le quali la potenza egemone americana esercita uno stretto controllo sugli alleati; le uniche libertà che possono esercitare entro certi limiti i paesi subalterni sono quelle di astenersi dalle azioni, ma mai e poi mai di agire in contrasto.
Si tratta però di un esercizio molto sofisticato, dai meccanismi assunti ormai quasi naturalmente e dove l’uso dell’imposizione esplicita pende sulla testa, ma solo come estrema ratio; un esercizio che agisce soprattutto per vie interne o sfruttando i dualismi presenti in un continente così affollato e variegato o ancora attraverso il sistema di relazioni bilaterali dirette.
Già di per sé sarebbe sufficiente osservare la localizzazione della sede di comando militare (Norfolk-USA) e il centro di elaborazione strategica della NATO e a chi deve rispondere direttamente il comandante militare.
Per chi non dovesse accontentarsi vi sono numerosi esempi di tecniche avvolgenti a conforto:
si parla di creare un complesso industriale-militare europeo a sostegno delle forze militari europee con il patrocinio della UE ed un primo significativo sforzo di 17 miliardi di euro? Arriva la batteria di paesi filogermanici che riescono a ridurre l’investimento a 7 miliardi e la cancelliera Merkel che esorta ad essere “inclusivi” e ad inserire le industrie americane nel pool;
alcuni paesi europei si avventurano a creare con successo un sistema di posizionamento satellitare simile e più efficiente del GPS (Galileo)? Il bon ton non consente sgarbi e dinieghi di principio; il prezzo dell’accoglienza è però il divieto di utilizzo del sistema a fini militari;
qualcosa di analogo accade con AIRBUS, nato con la contrarietà della Commissione Europea, sviluppatosi per altro quasi esclusivamente nel settore civile, incappato nello spionaggio industriale americano grazie alla posizione equivoca del proprio ex-amministratore delegato tedesco, successivamente nelle grinfie delle sanzioni economiche statunitensi per quegli stessi finanziamenti pubblici dei quali fruiscono le imprese aeronautiche americane dal proprio governo;
si tratta di sviluppare tecnologia “atlantica”, di creare addirittura una DARPA ( agenzia per le applicazioni miste civili-militari delle tecnologie) della NATO? L’Alleanza decide di creare il centro più importante a ridosso di quello francese, a controllarne ed assorbirne le attività. Tutto questo dopo che il governo francese, lo stesso Macron, ha consentito la cessione di ALSTOM energia, una azienda strategica nel settore nucleare civile e militare, alla General Electric americana e quest’ultima, a pochi mesi dall’acquisizione, ha annunciato la chiusura del suo centro ricerche nei pressi di Parigi con il suo corredo di novecento dipendenti altamente qualificati;
la NATO decide di creare qualche decina di centri operativi e logistici sparsi per l’Europa? Guarda caso chi riesce a far man bassa degli incarichi di direzione, in particolare i più strategici, è la Germania con il corollario dei paesi più germano-americanofili; il paese più debole militarmente e più occupato e infiltrato, in termini assoluti e relativi alla potenza economica, soprattutto nei settori della sicurezza, della difesa, dell’intelligence e della comunicazione;
Francia e Germania decidono a più riprese di creare una forza militare comune, una prima volta a ridosso dell’intervento nei Balcani negli anni ‘90? Puntualmente queste iniziative non riescono a decollare, mentre funzionano le collaborazioni tedesche con olandesi, cechi ed altri;
Francia e Germania decidono di incontrare Putin a ridosso del G7, vista l’analoga iniziativa di Biden? Puntualmente arriva la retromarcia per l’opposizione vivace di paesi dell’Europa Orientale russofobi, debitamente incoraggiati e sostenuti da inglesi, americani e tedeschi.
L’elenco potrebbe proseguire. Le costanti sono il ricorrente cedimento pubblico di tutti e il tornaconto politico ed economico della propria subalternità che riesce ad ottenere la classe dirigente tedesca, compresa qualche fregatura di successo come le acquisizioni in America della Bayer tedesca. È accaduto all’inizio del periodo esaminato con la guerra nei Balcani; è riconfermato appena adesso con il clamoroso via libera americano al Northstream II, dopo la beffa al diniego del Southstream all’Italia di cinque anni fa. Un chiaro messaggio a Putin di garanzia almeno temporanea di statu quo e la concessione di un ulteriore strumento di controllo tedesco, per conto terzi, della platea europea utilizzando lo strumento strategico della rete energetica.
RIMOSTRANZE e DETERMINAZIONE
Non si tratta di proseguire nelle rimostranze più o meno violente nei confronti degli americani. Le rimostranze sono comunque un segno di subalternità e di debolezza. Le classi dirigenti e i centri decisori statunitensi fanno semplicemente il loro mestiere; riescono ancora a sfruttare egregiamente in Europa il successo politico-militare ottenuto nella seconda guerra mondiale e con l’implosione della Unione Sovietica; sono stati capaci di proporsi positivamente, offrendo in cambio di subordinazione politica, un modello economico e culturale altrettanto subordinato ma di successo e proficuo anche per i subordinati pur con evidenti segni di crisi e decadenza. Modelli in larga misura adottati da quegli stessi paesi che si stanno ergendo ad alternativa geopolitica.
Una proposta positiva, proattiva che non si è ancora esaurita.
Gli indirizzi di movimento geopolitico non sono solo una presa d’atto e un utilizzo, a mo’ di constatazione, dei dualismi geopolitici presenti in Europa con i paesi dell’Est impegnati in prima linea contro la Russia e la triade italo-franco-tedesca distolta dalle tentazioni di pacificazione con i russi e indotta a limitare le potenziali relazioni strategiche con la Cina, trascinata com’è, con la complicità britannica, nella partecipazione militare marittima e in futuro aerea nel Pacifico. La Francia e la Gran Bretagna, per inciso, hanno ancora corposi interessi in quell’area.
Si tratta di qualcosa di più propositivo e complesso. Si tratta di assecondare e vellicare, in condizioni di aperta dipendenza politico-militare, le ambizioni politiche e geopolitiche della triade, soprattutto di Francia e Germania, nelle loro aree tradizionali di influenza, il Vicino Oriente, il Mediterraneo, l’Africa Sahariana e Sub-sahariana, in modo tale da evidenziare il loro contrasto di interessi con la Cina e la Russia in quelle aree. L’impressione è che sia ancora la Germania il fulcro sul quale gli statunitensi agiranno principalmente per mantenere le redini del gioco. Sta di fatto che gli Stati Uniti devono risolvere un problema di fondo ancora più complicato. La NATO nel Pacifico per ovvi motivi logistici e di geografia potrà svolgere una funzione pur importante di supporto; lo zoccolo duro delle alleanze e il teatro delle operazioni dovrà essere costruito soprattutto con gli stati e i paesi posti sul Pacifico con dinamiche affatto diverse da quelle adottate in un continente simile culturalmente e particolarmente frammentato politicamente. Non sarà semplice condurre rigorosamente al proprio gioco giganti come l’India e i paesi del Sud-est asiatico i quali si sono guadagnati recentemente l’indipendenza a scapito degli occidentali e tessono rapporti importanti con il vicino rivale.
Il nodo da sciogliere e l’ostacolo da affrontare sono le classi dirigenti, i centri decisionali e i ceti politici unionisti e dei singoli paesi europei; soprattutto la doppiezza di quelli tedeschi. Non tanto quelli politico-economici particolarmente adatti a sfruttare gli spazi ed interstizi offerti dalle congiunture politiche e ad adagiarvisi; non ha caso in questi i tedeschi non conoscono rivali. Quanto quelli presenti negli altri ambiti, particolarmente in quelli prettamente politico-istituzionali. Coaguli abbarbicati inesorabilmente a questo sistema di relazioni dal quale traggono forza e ragion d’essere.
Basterebbe ricordare la determinazione e il sollievo con i quali hanno contribuito a chiudere la parentesi di Trump, ovverossia della finestra e dell’occasione più eclatante di potersi ritagliare la propria autonomia.
L’evolversi delle dinamiche interne alla NATO cercheranno di accrescere l’incisività della sua azione, ma porteranno in seno alla alleanza militare competenze e funzioni in parte esorbitanti la missione propria dell’organizzazione e con la corrispondenza in senso sempre più univoco delle sue relazioni con gli stati nazionali e soprattutto con le strutture della UE la priveranno sempre più di uno scudo ed una maschera sino ad ora particolarmente efficaci ma in via di logoramento.
Cogliere queste dinamiche e approfittare degli spazi che inevitabilmente si apriranno in forme inedite comporta l’evaporazione di due illusioni ben radicate sia nelle componenti più servili per giustificare le proprie implorazioni che in quelle “sovraniste” più o meno presenti nei paesi europei, ma particolarmente strutturate in Francia in settori chiave, che confidano nella facilità di strade aperte generosamente dai liberatori:
che saranno gli statunitensi ad allontanarsi di buon grado dall’Europa e dagli europei
che gli sforzi di autonomia ed indipendenza politica e geopolitica comporta una sagacia e degli sforzi economici e socio-politici non particolarmente impegnativi e difficilmente perseguibili senza una particolare coesione politica.
In questo contesto è comunque possibile una azione politica interna a queste organizzazioni; deve servire però ad inibire ulteriori processi di subordinazione e soprattutto di integrazione tali da perpetuare a costi inferiori il predominio e rendere sempre più difficoltoso l’eventuale districarsi dal groviglio, piuttosto che puntare su velleitarie riforme ormai storicamente rivelatesi un fattore di paralisi o di mistificazione opportunista. Su queste basi sarà possibile determinare su basi più paritarie e di confronto i rapporti con la Cina e la Russia, ma anche con gli stessi Stati Uniti.
Contribuirebbe certamente a far uscire gli Stati Uniti da una impasse e una incertezza particolarmente rischiose per il mondo e favorevole ad incontrollati colpi di mano di centri decisori fuori controllo. Di seguito offriremo la traduzione di un articolo di “Foreign Affairs” particolarmente illuminante in proposito.
https://www.consilium.europa.eu/media/50361/carbis-bay-g7-summit-communique.pdf
file:///C:/Users/admin/Downloads/OF0116825FRN.fr.pdf
https://www.nato.int/cps/en/natohq/news_185000.htm
https://www.foreignaffairs.com/articles/united-states/2021-08-04/right-way-split-china-and-russia
https://www.startmag.it/mondo/cina-russia-cyber-e-non-solo-ecco-cosa-scrive-la-nato/
Questo articolo, del quale avevamo già annunciato la traduzione http://italiaeilmondo.com/2021/08/12/stati-uniti-nato-e-unione-europea-lillusione-di-un-addio-il-miraggio-dellautonomia_di-giuseppe-germinario/ rappresenta la perfetta fotografia delle contraddizioni e della confusione imperante nei centri decisori statunitensi. Della serie: “conosciamo i problemi dei nostri avversari; contiamo sul fatto che saranno dirimenti nel creare fratture insanabili; agiremo per questo; non abbiamo nulla da offrire a uno dei due contendenti perché ciò avvenga”. Può darsi che i due ci caschino; mi pare però che prevalga in entrambi, giustificatamente, la diffidenza riguardo l’affidabilità del presunto portatore di carte. A meno che la classe dirigente statunitense non abbia la certezza di un’ulteriore implosione della Russia. A quel punto non resterebbe che spartirsi il bottino con una Cina strettamente contenuta sul Pacifico e con una valvola di sfogo a nord-ovest. Non pare una ipotesi fondata e nemmeno auspicabile dagli stessi avversari visto l’arsenale disponibile e la dimensione del “che fare” dopo. Buona lettura, Giuseppe Germinario
Mentre Washington cerca una strategia efficace per gestire l’ascesa della Cina, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha ragione a fare affidamento su uno dei vantaggi più evidenti degli Stati Uniti: la sua rete globale di alleanze. Ma anche se Biden costruisce una coalizione per domare Pechino, deve anche lavorare dall’altra parte dell’equazione indebolendo le partnership internazionali della Cina. Non può fermare l’ascesa della Cina, ma può limitarne l’influenza cercando di allontanare dalla Cina il suo principale collaboratore: la Russia.
La partnership sino-russa accresce significativamente la sfida che l’ascesa della Cina pone agli Stati Uniti. Il lavoro di squadra tra Pechino e Mosca amplifica l’ambizione e la portata della Cina in molte regioni del mondo, nella battaglia per il controllo delle istituzioni globali e nella competizione mondiale tra democrazia e alternative illiberali. Appoggiarsi al crescente potere della Cina consente alla Russia di superare il suo peso sulla scena globale e dà energia alla campagna di Mosca per sovvertire il governo democratico in Europa e negli Stati Uniti.
Il legame tra Cina e Russia sembra essere forte, ma ci sono crepe sotto la superficie. È una relazione asimmetrica, che associa una Cina ascendente, fiduciosa e egocentrica con una Russia stagnante e insicura. Questa asimmetria offre a Biden un’apertura: per mettere distanza tra i due paesi, la sua amministrazione dovrebbe sfruttare i dubbi della Russia sul suo status di partner minore della Cina. Aiutando la Russia a correggere le vulnerabilità che le sue relazioni con la Cina hanno messo in netto rilievo, in effetti, aiutando la Russia ad aiutare se stessa, Biden può incoraggiare Mosca ad allontanarsi da Pechino. Separare la Russia dalla Cina metterebbe fine alle ambizioni di entrambi i paesi,
Cina e Russia possono essere in un matrimonio di convenienza, ma è molto efficace. La Cina generalmente va da sola sulla scena internazionale, preferendo rapporti transazionali e di libera concorrenza con altri paesi. Eppure fa un’eccezione per la Russia. Oggi Pechino e Mosca hanno stretto un rapporto che è “simile ad un’alleanza”, per usare il termine del presidente russo Vladimir Putin. Comprende l’approfondimento dei legami economici, compresi gli sforzi per ridurre il dominio del dollaro USA nell’economia globale; l’uso congiunto della tecnologia digitale per controllare e sorvegliare i cittadini cinesi e russi e seminare il dissenso all’interno delle democrazie mondiali; e la cooperazione in materia di difesa, come esercitazioni militari congiunte e il trasferimento di sistemi e tecnologie d’arma avanzati dalla Russia alla Cina.
L’inclinazione della Russia verso la Cina ha accompagnato il suo allontanamento dall’Occidente, che si è approfondito con l’estensione della frontiera orientale della NATO al confine occidentale della Russia. Il contatto di Mosca con Pechino si è intensificato dopo che l’Unione Europea e gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni alla Russia a seguito dell’annessione della Crimea del 2014 e dell’intervento militare nell’Ucraina orientale. Pechino ha ricambiato, appoggiandosi a Mosca per amplificare l’influenza della Cina nel mezzo della crescente rivalità economica e strategica con gli Stati Uniti. Da quando Xi Jinping è diventato presidente della Cina nel 2013, lui e Putin si sono incontrati o si sono parlati al telefono circa 40 volte.
La relazione sino-russa è fondata su una visione realistica del mondo, ed entrambi i paesi ne traggono benefici reciproci e individuali. Il lavoro di squadra diplomatico porta avanti il loro obiettivo unificante di resistere a ciò che vedono come l’invadente ambizione geopolitica e ideologica dell’Occidente. La partnership consente alla Russia di concentrare la sua attenzione strategica sulla sua frontiera occidentale e alla Cina di concentrarsi sul suo fianco marittimo. La Russia ottiene notevoli entrate dalla vendita di energia e armi alla Cina, e la Cina alimenta l’espansione della sua economia e aumenta la sua capacità militare con l’aiuto delle armi russe.
Il rapporto tra Cina e Russia ha cominciato a somigliare allo stretto accoppiamento cinese-sovietico degli anni ’50.
Ma i due paesi non sono partner naturali; storicamente, sono stati concorrenti, e le fonti della loro rivalità di lunga data non sono certo scomparse per sempre. Il Cremlino è estremamente sensibile alle realtà del potere e sa benissimo che una Russia fiacca di circa 150 milioni di persone non può competere con una Cina dinamica di quasi un miliardo e mezzo di persone. L’economia cinese è circa dieci volte più grande di quella russa e la Cina è in una lega completamente diversa quando si tratta di innovazione e tecnologia. La Belt and Road Initiative (BRI) della Cina ha fatto breccia nella tradizionale sfera di influenza della Russia in Asia centrale, e il Cremlino è giustamente preoccupato che la Cina abbia anche progetti sulla regione artica.
Che la Russia sia ancora attaccata alla Cina nonostante tali asimmetrie è un potente segno della disaffezione di Mosca dall’Occidente. Eppure lo squilibrio crescerà solo nel tempo e diventerà una fonte di disagio sempre più grande per il Cremlino. Washington ha bisogno di capitalizzare su quel disagio e convincere la Russia che sarebbe meglio geopoliticamente ed economicamente se si proteggesse dalla Cina e si inclinasse verso l’Occidente.
Una mossa del genere non sarà facile da realizzare. Putin ha rafforzato a lungo la sua presa in casa giocando al nazionalismo russo e tenendo testa all’Occidente. Lui e i suoi apparatchik potrebbero dimostrarsi troppo risoluti nei loro modi e non disposti a sostenere una politica estera che non si basi su tale atteggiamento. Di conseguenza, l’amministrazione Biden deve avvicinarsi a Mosca con gli occhi ben aperti; mentre cerca di attirare la Russia verso ovest, non può acconsentire al comportamento aggressivo del Cremlino o permettere a Putin di sfruttare la mano tesa di Washington.
La sfida di Biden sarà più complicata di quella affrontata dal presidente degli Stati Uniti Richard Nixon negli anni ’70, quando si avvicinò alla Cina e riuscì a turbare le relazioni sino-sovietiche e ad indebolire il blocco comunista. Al momento della visita di Nixon in Cina nel 1972, Pechino e Mosca si erano già separate. Nixon ha avuto vita facile; il suo compito era costruire, non iniziare, una frattura. Biden affronta l’ostacolo più alto di rompere una partnership intatta, motivo per cui la sua migliore scommessa è alimentare le tensioni latenti nella relazione cinese-russa.
La Cina e la Russia hanno a lungo gareggiato per il territorio e lo status. Il confine terrestre tra i due paesi attualmente corre per più di miglia 2,600 e le loro controversie sul territorio, l’influenza nelle regioni di confine e il commercio risalgono a secoli fa. Durante i secoli XVII e XVIII, la Cina ha avuto il sopravvento e generalmente ha prevalso. La situazione è cambiata nel diciannovesimo e ventesimo secolo, con la Russia e altre potenze europee che ricorrono a un mix di predazione militare e diplomazia coercitiva per strappare il controllo del territorio alla Cina e imporre condizioni di sfruttamento dello scambio.
L’avvento al potere del Partito Comunista Cinese (PCC) nel 1949 ha aperto la strada a un periodo storicamente senza precedenti di cooperazione strategica tra Cina e Unione Sovietica. Basandosi sul loro comune impegno per il comunismo, i due paesi conclusero un’alleanza formale nel 1950. Migliaia di scienziati e ingegneri sovietici si trasferirono in Cina, condividendo tecnologia industriale e militare e persino aiutando i cinesi a sviluppare un programma di armi nucleari. Durante la guerra di Corea, i sovietici fornirono alla Cina rifornimenti, consiglieri militari e copertura aerea. Il commercio bilaterale è cresciuto rapidamente, rappresentando il 50 percento del commercio estero della Cina entro la fine del decennio. Il leader cinese Mao Zedong ha affermato che i due Paesi avevano “un rapporto stretto e fraterno.
Sembra che il compagno di Xi non giochi bene in casa per Putin.
Ma l’alleanza si è presto erosa con la stessa rapidità con cui si era formata. Mao e Krusciov iniziarono a separarsi nel 1958. Il loro litigio derivava in parte da differenze ideologiche. Mao cercò di mobilitare i contadini, alimentando il fervore rivoluzionario e lo sconvolgimento sociale in patria e all’estero. Krusciov, al contrario, sostenne la moderazione ideologica, il socialismo industrializzato e la stabilità politica in patria e all’estero. I due paesi hanno iniziato a competere per la leadership del blocco comunista, con Mao che ha osservato che Krusciov “teme che i partiti comunisti . . . del mondo non crederà in loro, ma in noi».
Tali differenze sono state amplificate dal disagio della Cina per le asimmetrie di potere che hanno decisamente favorito l’Unione Sovietica. In un discorso del 1957, Mao accusò l’Unione Sovietica di “sciovinismo delle grandi potenze”. L’anno seguente, si lamentò con l’ambasciatore sovietico a Pechino che “pensi di essere in grado di controllarci”. Secondo Mao, i russi consideravano la Cina “una nazione arretrata”. Krusciov, da parte sua, incolpò Mao per la scissione. Dopo che le truppe cinesi e indiane si scambiarono il fuoco attraverso il confine conteso nel 1959, Krusciov commentò che Pechino “desiderava la guerra come un gallo da combattimento”. A una riunione dei capi di partito del blocco comunista, ha deriso Mao definendolo “un ultra-sinistra, un ultra-dogmatista”.
Questa rottura tra i due leader ha portato al disfacimento della collaborazione sino-sovietica. Nel 1960, i sovietici ritirarono i loro esperti militari dalla Cina e interruppero la cooperazione strategica. Nei due anni successivi, il commercio bilaterale è crollato di circa il 40%. Il confine è stato remilitarizzato e i combattimenti scoppiati nel 1969 hanno quasi innescato una guerra su vasta scala. All’inizio degli anni ’70, Nixon ha capitalizzato e ha esacerbato la spaccatura raggiungendo la Cina, un processo che è culminato nella normalizzazione delle relazioni tra Stati Uniti e Cina nel 1979. Solo dopo il crollo dell’Unione Sovietica le relazioni tra Mosca e Pechino si riprenderebbe.
Dopo la fine della Guerra Fredda, Cina e Russia hanno cominciato a sistemare le cose. Nel corso degli anni ’90, i due paesi hanno risolto una serie di controversie sui confini rimanenti e nel 2001 hanno firmato il Trattato di buon vicinato e cooperazione amichevole. Hanno gradualmente approfondito la cooperazione militare e i legami commerciali, con il primo oleodotto dalla Russia alla Cina completato nel 2010. Pechino e Mosca hanno anche iniziato ad allineare le loro posizioni presso le Nazioni Unite e hanno collaborato a iniziative volte a contrastare l’influenza occidentale, come la creazione dello Shanghai Organizzazione per la Cooperazione nel 2001 e il cosiddetto raggruppamento economico BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) nel 2009.
Questi passi incrementali verso la cooperazione bilaterale si sono approfonditi e accelerati sotto Xi e Putin, alimentati dalla rottura di Mosca con l’Occidente a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina e della crescente rivalitàtra Stati Uniti e Cina. Negli ultimi anni, il rapporto tra Cina e Russia ha iniziato a somigliare allo stretto accoppiamento cinese-sovietico degli anni ’50. Basandosi sulla cooperazione militare iniziata negli anni ’90, la Russia ha aiutato la Cina ad affrontare le sue principali priorità di difesa fornendo caccia a reazione, sistemi di difesa aerea all’avanguardia, missili antinave e sottomarini. Negli ultimi anni circa il 70% delle importazioni di armi cinesi è arrivato dalla Russia. La vendita di petrolio e gas alla Cina sostiene l’economia russa e riduce la dipendenza della Cina da rotte di approvvigionamento marittimo più vulnerabili. La Russia ora rivaleggia con l’Arabia Saudita come principale fornitore di petrolio della Cina e la Cina ha sostituito la Germania come principale partner commerciale della Russia. Sotto Xi e Putin, Cina e Russia hanno unito le forze per contrastare le norme liberali negli organismi internazionali e diffondere un marchio di governance basato sul governo autocratico e sul controllo statale delle piattaforme di informazione. In molte parti del mondo, le campagne di disinformazione e le operazioni di intelligence russe si stanno combinando con la leva coercitiva offerta dagli investimenti cinesi per sostenere i regimi illiberali.
Questa cooperazione su più dimensioni è impressionante e consequenziale. Ma poggia su una base fragile e manca di un fondamento di fiducia reciproca, come ha fatto il partenariato sino-sovietico all’inizio della Guerra Fredda. Negli anni ’50, gli stretti legami tra la Cina e l’Unione Sovietica erano altamente personalizzati, rendendoli vulnerabili ai capricci del rapporto tra Mao e Krusciov. Oggi, la cooperazione sino-russa dipende fortemente dalla relazione imprevedibile tra due individui, Xi e Putin. Durante il primo decennio della Guerra Fredda, Mosca ha cercato stabilità in patria e all’estero, mentre Pechino ha favorito la rivoluzione continua. Oggi Pechino punta sulla stabilità interna e internazionale per accelerare la sua ascesa, mentre Mosca mostra i muscoli oltre i suoi confini per favorire il disordine. Durante gli anni Cinquanta, Il dominio di Mosca sulla partnership ha alimentato il risentimento a Pechino. Oggi la Cina ha il sopravvento e le forti asimmetrie di potere assalgono la Russia.
Il divario di potere è particolarmente difficile da ingoiare per il Cremlino; sembra che il compagno di Xi non giochi bene in casa per Putin, il cui marchio politico si basa sul suo tentativo di riportare la Russia allo status di grande potenza. Ma la disparità tra i due paesi è lampante e crescente. Il commercio con la Cina rappresenta oltre il 15% di tutto il commercio estero della Russia, mentre il commercio con la Russia rappresenta circa l’1% del commercio estero della Cina. E questo squilibrio sta aumentando con l’avanzare del settore high-tech cinese. Nell’Estremo Oriente della Russia, circa sei milioni di russi vivono oltre il confine da circa 110 milioni di cinesi nelle tre province della Manciuria, e la regione sta diventando sempre più dipendente da beni, servizi e manodopera cinesi. Dmitri Trenin, un importante analista russo,
La Russia ha aiutato e favorito la modernizzazione militare della Cina, forse a proprie spese.
È passato molto tempo da quando i due paesi hanno litigato apertamente per il territorio e l’influenza nelle regioni di confine. Ma il nazionalismo e l’etnocentrismo sono profondi in entrambe le culture politiche e potrebbero riaccendere dispute territoriali di vecchia data. Il South China Morning Post ha recentemente pubblicato un commento sostenendo che “il corteggiamento di Mosca da parte di Xi non ha senso perché ignora l’animosità che ha definito le relazioni sino-russe dal . . . XVII secolo”. E il sentimento anti-cinese in Russia continua a prendere piede, alimentato, come altrove, dalle origini cinesi del COVID-19. Ma tali pregiudizi sono antecedenti alla pandemia, sostenuti in parte dagli stessi pregiudizi razziali di cui Mao si lamentò circa sei decenni fa.
La crescente dipendenza economica della Russia dalla Cina la rende sempre più esposta alla leva coercitiva di Pechino e approfondisce la dipendenza della Russia dall’esportazione di combustibili fossili, la cui vendita rappresenta oltre i due terzi delle entrate delle esportazioni russe e un terzo del bilancio federale. Questo difficilmente rappresenta una buona scommessa sul futuro mentre il mondo si rivolge a fonti di energia rinnovabili. La BRI cinese sta diffondendo investimenti e infrastrutture in tutta l’Eurasia, ma l’iniziativa aggira principalmente la Russia, fornendole pochi vantaggi. Negli ultimi anni sono stati aperti solo pochi nuovi valichi di frontiera e gli investimenti cinesi in Russia sono stati irrisori.
I russi prevedono di collegare la propria Unione economica eurasiatica alla BRI, ma i due sistemi competono più che complementari. Nel 2017, l’EAEU ha proposto alla Cina 40 progetti di trasporto e Pechino li ha rifiutati tutti. Il ministro degli Esteri russo non si è presentato a una riunione ad alto livello sulla BRI lo scorso anno, indicando, secondo Ankur Shah, un analista che si concentra sulle relazioni russo-cinese, che Mosca “non si sente più obbligata a inchinarsi davanti alla cintura di Pechino e Strada.” La Cina ha di fatto sostituito la Russia come potenza economica dominante in Asia centrale e l’interesse di Pechino a sfruttare lo sviluppo economico e nuove rotte marittime nell’estremo nord, quella che la Cina chiama “la via della seta artica”, pone una chiara sfida alla strategia della Russia nel regione. I piani della Cina per l’Artico sono apparentemente complementari a quelli russi,
Nel frattempo, il rapporto di difesa tra Cina e Russia ha perso parte del suo slancio precedente. L’esercito cinese ha beneficiato dei trasferimenti di armi e tecnologie russe e Mosca ha accolto con favore le entrate e la cooperazione militare risultanti. Tuttavia, i progressi nell’industria della difesa cinese, resi possibili in parte dal furto della tecnologia bellica russa da parte delle aziende cinesi, stanno rendendo la Cina meno dipendente dalle importazioni russe. Anche l’acquisizione da parte della Cina di missili a raggio intermedio (apparentemente destinati a contrastare la presenza avanzata degli Stati Uniti) rappresenta un’ipotetica minaccia per il territorio russo. E Mosca sta senza dubbio monitorando da vicino l’arsenale in espansione della Cina di missili intercontinentali e la costruzione di nuovi silos di lancio nella Cina occidentale. La Russia ha aiutato e favorito la modernizzazione militare della Cina, forse a proprie spese.
Se la Russia deve essere attirata verso ovest, non risulterà dalle aperture o dall’altruismo di Washington, ma dalla fredda rivalutazione del Cremlino sul modo migliore per perseguire il proprio interesse personale a lungo termine. Un’offerta di Washington per ridurre le tensioni con l’Occidente non avrà successo da sola; dopotutto, Putin fa affidamento su tali tensioni per legittimare la sua ferrea presa politica. Invece, la sfida che deve affrontare Washington è quella di cambiare il più ampio calcolo strategico del Cremlino dimostrando che una maggiore cooperazione con l’Occidente può aiutare la Russia a correggere le crescenti vulnerabilità derivanti dalla sua stretta collaborazione con la Cina.
Il primo passo di Washington dovrebbe essere quello di abbandonare la definizione della strategia statunitense “democrazia contro autocrazia”. Gli Stati Uniti e i suoi partner ideologici, ovviamente, devono assicurarsi di poter offrire ai propri cittadini e superare le alternative illiberali. Ma definire la competizione in termini apertamente ideologici serve solo a spingere la Russia e la Cina più vicine. Invece, l’amministrazione Biden dovrebbe avere una discussione sincera con Mosca sulle aree in cui gli interessi nazionali a lungo termine degli Stati Uniti e quelli della Russia si sovrappongono, anche quando si tratta della Cina.A dire il vero, Russia e Stati Uniti rimangono in disaccordo su molti fronti. Ma piuttosto che accontentarsi di un continuo allontanamento, Washington dovrebbe cercare di trovare un terreno comune con Mosca su una vasta gamma di questioni, tra cui la stabilità strategica, la sicurezza informatica e il cambiamento climatico. Questo dialogo, anche in assenza di rapidi progressi, segnalerebbe a Mosca che ha opzioni diverse dall’allineamento con la Cina.
L’amministrazione Biden dovrebbe spingere i suoi alleati democratici ad avere conversazioni simili con la Russia; anche loro possono sondare aree di reciproco interesse ed evidenziare come la crescente forza della Cina vada a scapito dell’influenza e della sicurezza della Russia. Dati i legami di lunga data dell’India con la Russia e la sua visione scettica delle intenzioni cinesi, Nuova Delhi potrebbe essere particolarmente abile nel riportare a Mosca i meriti del mantenimento dell’autonomia strategica e i potenziali pericoli di avere un rapporto troppo stretto con Pechino. Per incoraggiare l’India ad aiutare ad allontanare la Russia dalla Cina, Washington dovrebbe rinunciare alle sanzioni attualmente pendenti contro l’India per il suo acquisto del sistema di difesa aerea S-400 della Russia.
Gli Stati Uniti e i loro alleati dovrebbero anche contribuire a ridurre la crescente dipendenza economica della Russia dalla Cina. Sebbene la Cina sia ora il principale partner commerciale della Russia, il commercio della Russia con l’UE è molto più ampio del suo commercio con la Cina, rappresentando quasi il 40% del commercio estero della Russia. La decisione di Biden di dare il via libera al controverso gasdotto Nord Stream 2, che porterà il gas russo in Germania, è stato un saggio investimento nell’incoraggiare legami commerciali più profondi tra la Russia e l’Europa. E sebbene le sanzioni occidentali contro la Russia fossero una risposta necessaria al comportamento aggressivo di Mosca, hanno avuto l’effetto di spingere ulteriormente la Russia nell’abbraccio economico della Cina. Di conseguenza,
Il primo passo di Washington dovrebbe essere quello di abbandonare la definizione della strategia statunitense “democrazia contro autocrazia”.
Gli Stati Uniti e i suoi partner dovrebbero anche indicare che sono pronti ad aiutare la Russia a combattere il cambiamento climatico e a far passare la sua economia dalla dipendenza dai combustibili fossili. A breve termine, tale compito comporta la condivisione delle migliori pratiche per la cattura del metano, l’assistenza allo sviluppo di alternative verdi alla produzione di petrolio e gas e l’adozione di altre misure per limitare le emissioni russe di gas serra. A lungo termine, gli Stati Uniti dovrebbero aiutare la Russia a passare a un’economia della conoscenza, un passo che Putin non ha mai fatto, a scapito del suo Paese. La Cina condivide raramente la tecnologia; è un ricevente, non un donatore. Gli Stati Uniti dovrebbero cogliere l’opportunità di condividere il know-how tecnologico con la Russia per facilitare la sua transizione verso un’economia più verde e diversificata.
Gli Stati Uniti dovrebbero basarsi sulla conversazione sulla stabilità strategica che Biden e Putin hanno lanciato nel loro incontro a Ginevra a giugno. La violazione da parte della Russia del Trattato sulle forze nucleari a raggio intermedio ha spinto gli Stati Uniti a ritirarsi da esso nel 2019. Gli Stati Uniti e la Russia devono ora trovare una soluzione alla loro incombente corsa missilistica e anche spingere la Cina ad accettare un accordo successivo che porrebbe dei limiti al vasto e diversificato arsenale cinese di missili a medio raggio. Anche se un patto tripartito si rivelasse irraggiungibile, tentare di negoziare potrebbe illuminare le fessure tra Mosca e Pechino, data la tradizionale riluttanza della Cina a stipulare accordi sul controllo degli armamenti.
L’Artico è un’altra area in cui Washington può aiutare Mosca a vedere gli svantaggi strategici di favorire le crescenti ambizioni di Pechino. Il cambiamento climatico sta aumentando drasticamente l’accessibilità dell’estremo nord, suscitando un nuovo interesse russo per l’importanza economica e strategica della regione e suscitando il disagio russo con la dichiarazione della Cina che è una “potenza vicino all’Artico”. Washington e Mosca difficilmente vedono d’accordo la regione, ma attraverso sia il Consiglio Artico che il dialogo bilaterale, dovrebbero sviluppare un insieme più solido di regole della strada che regolino l’attività economica e militare nell’Artico e che affrontino le loro reciproche preoccupazioni riguardo Disegni cinesi.
Infine, Washington dovrebbe incoraggiare Mosca a contribuire a controllare la crescente influenza della Cina nelle aree in via di sviluppo, compresa l’Asia centrale, il Medio Oriente in generale e l’Africa. Nella maggior parte delle regioni, la politica russa va regolarmente contro gli interessi statunitensi; Mosca vede ancora Washington come il suo principale concorrente. Tuttavia, mentre Pechino continua ad estendere la sua portata economica e strategica, Mosca capirà che è la Cina, non gli Stati Uniti, a indebolire regolarmente l’influenza russa in molte di queste aree. Washington dovrebbe sostenere questo caso, aiutando a portare gli interessi russi e statunitensi ad un maggiore allineamento e creando opportunità per coordinare la strategia regionale.
Dato l’antagonismo e la sfiducia che attualmente affliggono le relazioni tra Russia e Stati Uniti, Washington richiederà tempo e una diplomazia mirata per cambiare il calcolo strategico di Mosca. La Russia potrebbe benissimo seguire il suo corso attuale, forse fino a quando Putin non lascerà l’incarico. Ma alla luce del ritmo impressionante e della portata dell’ascesa geopolitica della Cina, ora è il momento di iniziare a seminare i semi di una spaccatura sino-russa, specialmente tra i quadri più giovani di funzionari e pensatori russi che prenderanno le redini dopo che Putin se ne sarà andato. .
Gli sforzi degli Stati Uniti per gestire l’ascesa della Cina con successo e pacificamente saranno significativamente avanzati se la Cina dovrà affrontare una pressione strategica oltre il suo fianco marittimo e non potrà più contare sul costante sostegno militare e diplomatico della Russia. Attualmente, la Cina è in grado di concentrarsi sull’espansione nel Pacifico occidentale e oltre, in parte perché ha mano relativamente libera lungo i suoi confini continentali e gode del sostegno di Mosca. Gli Stati Uniti farebbero bene a investire in una strategia a lungo termine per cambiare questa equazione, aiutando a rimettere in gioco le relazioni della Cina con la Russia. Farlo sarebbe un passo importante verso la costruzione di un ordine pluralistico multipolare e scongiurare i potenziali sforzi di Pechino per costruire un sistema internazionale sinocentrico.
https://www.foreignaffairs.com/articles/united-states/2021-08-04/right-way-split-china-and-russia
Sono cominciati i regolamenti di conti in casa democratica. Se non è la corruzione, è il sesso se non il comportamento allusivo la buccia di banana sulla quale fare scivolare le vittime predestinate. Si eliminano pericolosi concorrenti, si rimuovono personaggi scomodi sui quali addossare le responsabilità politiche di gestioni disastrose. A New York il problema è la gestione fallimentare della pandemia. In Italia sino ad ieri, stando ai nostri diffusori di veline, Cuomo è stato presentato come un esempio di gestione contrapposto al disastroso Trump. Da oggi la musica è cambiata. Un segnale che il destino di Cuomo è segnato; vedremo se riuscirà a trascinarsi dietro qualche altro nome illustre.
NB_per vari motivi la conversazione ha assunto un ritmo troppo lento e ha dovuto essere sospesa proprio sulla parte più interessante. Appena possibile riprenderemo il filo interrotto_Giuseppe Germinario
https://rumble.com/vkx67u-stati-uniti-fuori-il-primo-con-gianfranco-campa.html