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Lettera ai Professori_a cura di Luigi Longo
LA LETTERA DEGLI STUDENTI DI BERGAMO: ESEMPIO DI PENSIERO CRITICO ARGOMENTATO, CHIARO ED EFFICACE
a cura di Luigi Longo
Leggendo la lettera degli studenti dell’Università di Bergamo, riportata subito dopo, mi sono ricordato del bel film del 2007, ispirato ad una storia vera, diretto e interpretato dal vincitore del premio Oscar Denzel Washington, The Great Debaters. Il potere della parola.
E’ “la storia di Melvin B. Tolson, professore universitario e poeta degli anni ’30 ’40, in prima linea nella lotta contro i pregiudizi razziali e gli abusi culturali nei confronti della comunità afroamericana negli Stati Uniti. Dalla sua cattedra nel college di Wiley nel Texas, frequentato da ragazzi di colore, Tolson, spronò i suoi studenti a fondare il primo gruppo di discussione dell’Istituto. Sfidando pareri contrari e la generale opinione pubblica, portando il suo team a sfidare quello di Harvad nel campionato nazionale di dibattito”.
La lettera degli studenti dell’Università di Bergamo è un esempio di pensiero critico argomentato, chiaro ed efficace. Se gli studenti e i docenti riuscissero a intrecciare relazioni significative per mettere in discussione il degrado sociale rappresentato sia dalla costruzione della cosiddetta pandemia da covid-19 che nulla a che fare con la salute della popolazione ma molto con le relazioni conflittuali di riorganizzazione della società dentro il sistema cosiddetto capitalistico, sia dal degrado delle Università che da luoghi di saperi sono state ridotte a luoghi di stupidità.
Affido la conclusione di questa riflessione all’intervento di Samantha Booke tenuto contro l’università di Ohlahoma così come dal film surriportato: “il tempo per la giustizia, il tempo per la libertà e il tempo per l’uguaglianza è ogni giorno, è adesso!”
La lettera degli studenti dell’Università di Bergamo
LA LETTERA DEGLI STUDENTI DELL’UNIVERSITÀ DI BERGAMO AI DOCENTI, AL RETTORE, AL PERSONALE UNIVERSITARIO
Alla cortese attenzione dei docenti tutti I ricercatori e i dottorandi
I componenti del Senato Accademico
Il Magnifico Rettore Remo Morzenti Pellegrini
Il personale tecnico e amministrativo
I responsabili delle Biblioteche di Dipartimento
Gli uscieri dell’Università degli Studi di Bergamo
Gentili tutti, vorremmo iniziare col ricordarvi alcuni presupposti eletti a linee-guida della nostra Università, così ben esposti nel manifesto disponibile sul sito della stessa: La mission della nostra università è già tutta racchiusa nel suo nome: universĭtas. Apertura, pluralità, libertà, incontro, appunto: “universalità”. Sapere vuol dire sfidare i tempi, saperli scuotere. Un’interpretazione preconfezionata non è mai buona: ogni interpretazione pretende infatti una mente critica. Dunque: apertura, pluralità, libertà, incontro, universalità, capacità di porsi criticamente rispetto ai tempi e di sfidarli. Insieme a voi, crediamo e vorremmo continuare a credere in questi valori, che il biglietto da visita della nostra università – come di molte altre università d’Italia e del mondo – dichiara esplicitamente di tenere in alto grado.
Ma oggi, alla luce del D.L. 111/2021 del 6 agosto (Misure urgenti per l’esercizio in sicurezza delle attività scolastiche, universitarie, sociali e in materia di trasporti), si impone un principio di discriminazione, legittimato da motivazioni presentate come medico-scientifiche, che ci appare agli antipodi di quella stessa inclusività posta sin dall’etimo a fondamento dell’istituzione universitaria. Con questo provvedimento discriminante e divisivo vengono di fatto esclusi dal diritto allo studio e dai servizi erogati dall’Università – o ne viene gravemente limitata l’accessibilità ‒ tutti coloro che per legittima scelta personale non intendono prestarsi a trattamenti sanitari invasivi e a proprie spese, quali i tamponi PCR, né aderire alla campagna vaccinale sperimentale, consapevoli di come sulla reale attendibilità dei primi e, soprattutto, sulla validità e sulla sicurezza della seconda manchi ad oggi un accordo scientifico risolto e unanime.
Com’è possibile accettare che strumenti sanitari di dubbia efficacia condizionino i principi di apertura, libertà e indipendenza dell’insegnamento universitario? Ancora in piena emergenza pandemica, il nostro stesso Rettore aveva avuto modo di ribadirci alcuni obiettivi essenziali dell’Istituzione che è chiamato a rappresentare, promettendo di mantenere l’Università saldamente imperniata sui principi di inclusione (garantire un sapere condiviso e relazionale, email del 31 marzo 2020; siamo una comunità dove studiano e lavorano tante persone, dove ognuno deve essere rispettato tanto nei propri doveri quanto nei propri diritti, email del 29 aprile 2020) e di coesione (l’obiettivo dell’UniBg di farvi provare sempre e comunque la forza coesiva che deve caratterizzare un Ateneo […] crediamo fortemente nel nostro procedere uniti, nonostante le difficoltà che possono presentarsi, email del 14 ottobre 2020). Non ha dimenticato nemmeno di sottolineare l’impegno dell’Università nel garantire un sostegno costante (senza mai permettere che il vostro e, anzi, il nostro percorso verso le conoscenze possa essere interrotto, email del 4 novembre 2020). Questa promessa, però, sembra ora venir meno, con la comunicazione del 10 agosto 2021 agli studenti: tutti coloro che accederanno, per motivi di studio o lavoro, alle sedi universitarie dovranno essere infatti in possesso del cosiddetto green pass. Non un cenno a chi non si adegua a questo aut-aut, scegliendo di non sottoporsi ai tamponi diagnostici, il cui alto tasso di inattendibilità è certificato dallo stesso Istituto Superiore di Sanità (cfr. rapporto ISS Covid-19 n. 46/2020), né all’inoculazione dei vaccini sperimentali a mRna o a Dna ricombinante, la cui efficacia nell’arginare i contagi è presentata come relativa, ad esempio, nello stesso foglietto illustrativo della “Pfizer: potrebbe non proteggere completamente tutti coloro che lo ricevono 1 e la durata della protezione non è nota (dalla nota informativa 1 del modulo di consenso vaccinale Comirnaty).
Considerato che lo stesso vaccinato può contagiare ed essere a sua volta contagiato, ci si chiede quale possa in effetti essere la funzione del Green Pass, e se essa sia realmente di natura sanitaria o eminentemente politica. Anche la garanzia di non nocività dei vaccini sperimentali è alquanto dubbia: come esplicitato dal punto 10 del consenso informato (non è possibile al momento prevedere danni a lunga distanza), non si escludono possibili effetti collaterali a lungo termine, anche gravi. Che ne sarà allora delle promesse di inclusione, di coesione e di sostegno per tutti gli studenti che sceglieranno di non aderire acriticamente e incondizionatamente alla sperimentazione vaccinale di massa o al tracciamento sanitario via Green Pass, dispositivo di controllo sociale e amministrativo in aperta violazione del diritto alla privacy dei propri dati? Proprio a Bergamo, come se i molti lutti non fossero bastati, osiamo mettere in discussione quella che viene attualmente presentata come l’unica soluzione in grado di contenere il contagio? Sì, proprio a Bergamo, la città più colpita dalla pandemia. Come in tutt’Italia, ci si prepara ora a perdere anche l’universale diritto all’istruzione e alla cultura (sancito dalla nostra Costituzione all’art. 34) o quantomeno a vederne compromessa la fruibilità. Proprio a Bergamo, la città in cui – com’è noto – il direttore del dipartimento di anatomia patologica dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII, mettendo in discussione le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e del Ministero della Salute che sconsigliavano di eseguire le autopsie sui corpi deceduti a causa del Covid, scoprì il ruolo decisivo della formazione dei trombi nell’aggravarsi della malattia, evidenziando la necessità dell’utilizzo dei farmaci anticoagulanti.
Proprio a Bergamo, la città in cui il primo atto di disubbidienza in materia di pandemia si è dimostrato un primo passo verso la verità clinica. Con lo stesso spirito, siamo portati oggi a dubitare dell’utilità scientifica, della legittimità giuridica e della liceità etica di un lasciapassare sanitario formalmente preposto a contenere la diffusione del Covid-19. Questo strumento, infatti, oltre a non garantire la non-contagiosità dei suoi detentori, comporta la discriminazione nei diritti costituzionali in base allo stato di salute e all’assunzione di un prodotto sperimentale (non privo di possibili effetti collaterali gravi) per una malattia ritenuta curabile da sempre più medici con i protocolli farmacologici di terapia domiciliare (come testimoniato, ad esempio, dall’esperienza dei dottori di ippocrateorg.org e del Comitato Cure Domiciliari Covid-19, a smentire con oltre 60.000 guariti la diffusa vulgata secondo cui non esistono valide alternative mediche al vaccino). Proprio a Bergamo, dove a inizio pandemia l’abbandono dei pazienti fino all’aggravarsi della malattia e l’inopportuna pratica di ventilazione forzata precoce hanno contribuito a causare così tante morti, possiamo permetterci altri errori? Oggi chiunque critichi l’effettiva utilità sanitaria e la neutralità politica del Green Pass rischia di attirarsi quella stessa accusa di “irresponsabilità” che viene già disinvoltamente rivolta, con modi sempre più violenti e intimidatori, a chiunque decida di non farsi iniettare i vaccini genici a mRna e a Dna ricombinante (la cui fase di sperimentazione terminerà, per i diversi brevetti, tra il 2022 e il 2023). Ci si chiede quale considerazione del concetto di responsabilità abbia realmente oggi chi ci governa, laddove Stato, istituzioni e multinazionali farmaceutiche – ben lungi dall’assumersi la responsabilità delle proprie decisioni politiche e tantomeno i rischi degli effetti avversi da vaccini – li scaricano sul senso civico e sulla “libera scelta” dei cittadini stessi. La manleva di responsabilità avviene tramite consenso informato, accompagnata da forme di pressione psicologica, sociale e mediatica che giungono ora a compimento con l’imposizione del Green Pass, a una sorta di obbligo indiretto che preclude – in assenza di tamponi diagnostici o certificati d’avvenuta vaccinazione – l’accesso a servizi essenziali. Queste misure, come l’obbligo vaccinale ventilato in queste settimane, sarebbero forse più comprensibili e accettabili se il rapporto benefici/rischi della vaccinazione anti-Covid 19 fosse nettamente a vantaggio dei primi, ma anche su questo vi sono ragionevoli dubbi all’interno della stessa comunità scientifica. Al netto di una controversa ma in genere assai bassa letalità del virus (attestata secondo l’OMS allo 0,6%, senza considerare le differenze per fasce d’età e i casi di co-morbilità e patologie pregresse), si ricorda che tra gli effetti avversi a breve termine dei vaccini genici possono presentarsi gravi trombosi, danni neurologici, miocarditi e pericarditi; nel lungo termine, sono svariati gli scienziati che prospettano il serio rischio di effetti mutageni, infertilità, malattie autoimmuni e tumori. Perfino i dati ufficiali iniziano a parlare chiaro: l’Eudravigilance, la banca dati europea di farmacovigilanza dell’EMA, registrava al 31 luglio 2021 e per i soli paesi dell’Unione Europea un totale di 20.594 morti associate ai vaccini anti-Covid e un totale di 1.960.607 effetti avversi provocati dagli stessi (dei quali 968.870 gravi). In fatto di responsabilità, com’è possibile sorvolare sulle gravi reazioni che possono conseguire dalla vaccinazione anti-Covid 19, specie per una fascia d’età, quella degli studenti universitari, in cui la relativa pericolosità del virus è ulteriormente ridotta? Tornando a noi, e sempre a questo proposito, è utile a questo punto richiamare le parole del nostro Rettore, dalla citata email del 10 agosto 2021 sull’introduzione del Green Pass: Contiamo sul vostro senso di responsabilità, come abbiamo sempre fatto, convinti che provvederete quanto prima (e possibile) a farvi vaccinare: solo in questo modo avremo la speranza di “tenere a bada” il contagio e, di conseguenza, di proseguire le nostre attività in presenza tutti insieme, senza paura di danneggiarci l’un l’altro. Caro Rettore, con la presente ci sentiamo di rassicurarLa: Lei può senz’altro contare sul nostro senso di responsabilità morale, non certo nel farci “quanto prima (possibile)” vaccinare (visto che il vaccino, come sopra ricordato, non assicura affatto di poter “tenere a bada” il contagio), bensì nel non assecondare, per il bene nostro e altrui, un nuovo ordine culturale, legislativo e sociale nutrito d’irresponsabilità politica e di coartazione tecnologico-sanitaria. Da parte nostra sarebbe relativamente comodo, facile e indolore accettare il requisito del Green Pass per meglio concentrarci egoisticamente sulla nostra singola carriera universitaria, apprestandoci a vivere il mondo di domani come se non fosse un prodotto delle nostre scelte (o delle nostre reticenze) di oggi. Disgraziatamente, però, il nostro senso di responsabilità ci trattiene dal farlo. A Lei che ce ne ha ricordato l’importanza, ci permettiamo così – a nostra volta – di ringraziarLa richiamandoLa a questo stesso principio, non solo nei riguardi dell’Università di Bergamo ma di tutti gli atenei lombardi di cui è coordinatore. A porsi idealmente di fronte a tutti gli studenti, indistintamente. E a ribadire, se vorrà, queste sue stesse parole suasive e perentorie. È sicuro di volersene prendere la responsabilità? Insieme a tutti i destinatari della presente, ci chiediamo in particolare se anche i professori della nostra Università vorranno accondiscendere, foss’anche solo nel silenzio/assenso, a questa stessa sovrana attitudine alla deresponsabilizzazione, al pensiero unilaterale e semplificatorio, al silenziamento d’ogni dissenso critico, quando non già criminalizzato o patologizzato. Esattamente novant’anni fa, nel 1931, venne imposto a tutti i professori universitari l’obbligo di giurare fedeltà al regime fascista, pena la destituzione dalla cattedra di cui erano titolari. Come ben sappiamo, solo 12 professori su 1.225 rifiutarono. Oggi il personale docente e non docente presente negli istituti universitari italiani ammonta a circa 125.600 persone: quanti di questi si rassegneranno ad accettare l’inaccettabile?
Giova ricordare a tutti noi – che conosciamdo così male la Storia – quanto ancora rischiamo di ripeterne gli orrori?
Cari professori: anche noi, come il Rettore nei nostri confronti, sappiamo di poter contare sul suo e sul vostro senso di responsabilità, certi “che provvederete quanto prima (e possibile)” a levare finalmente una voce contraria e non sottomessa dinanzi a questo provvedimento incostituzionale e inqualificabile, come alcuni vostri colleghi stanno già coraggiosamente iniziando a fare, da Andrea-Sigfrido Camperio Ciani (ordinario di Etologia, Psicobiologia e Psicologia evoluzionistica all’Università di Padova) a Francesco Benozzo (associato di Filologia e linguistica romanza all’Università di Bologna, candidato al Nobel per la Letteratura dal 2015). Forse non sarete tutti, forse sarete solo una piccola parte, ma ci basterà per essere fieri, una volta di più, di essere o essere stati vostri studenti. Ci sarà sufficiente per non incrinare la fiducia che in questi anni di studio abbiamo avuto e tuttora abbiamo in voi. Per non dover mettere in discussione, alla radice, il senso del vostro stesso insegnamento. Se poi vorrete, spazientiti, sbirciare già alla fine di questo messaggio ben poco smart, social friendly o parcellizzabile in slogan pronti ad essere confutati con ottusa disinvoltura dai sedicenti fact-checker, troverete un nuovo motivo di delusione.
Vedete, non ci firmiamo “Studenti contro il Green Pass”. Nemmeno “Studenti contro i sieri genici sperimentali a mRna e Dna ricombinante”, o “Studenti contro il terrorismo mediatico, il tracciamento sanitario e la digitalizzazione totalitaria”. Siamo, semplicemente, studenti dell’Università di Bergamo. Spiacenti di aggiungere un’inerte constatazione in un momento già governato dal consenso tautologico e dal culto dell’identico, ma, sapete, questo non è niente di più e niente di meno di quello che effettivamente siamo. Siamo parte della comunità universitaria. Ci siamo regolarmente iscritti, pagando le tasse universitarie. Abbiamo frequentato le lezioni, abbiamo sostenuto gli esami, anche con medie eccellenti. Durante il nostro percorso universitario, come tutti, siamo stati colpiti dai lutti e dalle restrizioni. Infine siamo tornati in Università, per riprendere, terminare o proseguire i nostri studi. E ora? Ora, con il D.L. 111/2021 e la conseguente comunicazione del Rettore, chi è deciso a non accettare l’illegittima imposizione del Green Pass non sembra venir nemmeno contemplato nella vita universitaria, sia pure con altre modalità di partecipazione (senza curarsi del considerando n. 36 del regolamento 953/2021 del Consiglio d’Europa e dell’Unione Europea sull’uso del Green Pass, dove si sancisce che anche coloro che hanno scelto di non essere vaccinati non possono essere oggetto di discriminazione, diretta o indiretta). Neppure un riferimento alla possibilità – comunque moralmente discutibile e insoddisfacente – di svolgere gli esami a distanza, ricorrendo a una modalità partecipativa così sistematicamente e agilmente adottata nell’anno e mezzo di emergenza pandemica. Ed eccoci esclusi, come accaduto ad altri studenti Unibg nel curioso caso di occultamento dei 192 commenti – in larghissima parte critici – sottoscritti al post di Facebook con cui l’Università di Bergamo informava dell’introduzione del Green Pass, lo scorso 23 agosto: fuori dal testo, fuori dal diritto, fuori dalla comunità. Confidiamo in una dimenticanza, in un refuso, a cui auspichiamo si rimedi presto, come a livello governativo si è fatto con quel celebre “per scelta” curiosamente omesso e poi reintegrato nella traduzione italiana dello stesso 953/2021. Perché questo è quello che siamo: studenti dell’Università di Bergamo, a rappresentanza di pressoché tutte le sue facoltà. Non ci qualifichiamo, non ci quantifichiamo. Potremmo essere 10, 100, 1000, 10000… Ma anche se fossimo solo in due, come erroneamente e grottescamente riportato dal Corriere della Sera-Bergamo in data 18 agosto 2021 riguardo ai primi due giorni di raccolta firme a Bergamo per la petizione indetta dal Prof. Granara, dovrete fare i conti con la nostra presenza. E con le nostre domande.
Da aspiranti filologi e filosofi, ci chiediamo come sia ammissibile una massificazione tanto violenta e un depauperamento tanto sistematico e su larga scala del linguaggio e del pensiero critico.
Da aspiranti pedagogisti, ci domandiamo se tutto ciò non sottintenda un preoccupante stravolgimento dei concetti stessi di istruzione, di educazione e di insegnamento.
Da aspiranti psicologi, ci interroghiamo su quanto sia legittimo ed eticamente accettabile l’abuso di tecniche di condizionamento mentale da parte di mass media e istituzioni nel promuovere la campagna vaccinale.
Da aspiranti ingegneri, ci chiediamo quanto sia effettivamente fondato e corretto un utilizzo mediatico e strumentale di statistiche e dati, volti a giustificare restrizioni e norme politico-sanitarie.
Da aspiranti giuristi, ci interroghiamo su quanto siano tollerabili nel nome dell’emergenza sanitaria la drastica riduzione e il graduale smantellamento delle libertà fondamentali sancite dalla Costituzione Italiana e dell’ordinamento democratico del nostro Paese.
Da esseri umani, ci domandiamo quanto sia sostenibile questa china tecnocratica e disumana che si va profilando, e a quale idea di futuro autoritario e biomedicalizzato ci stiamo progressivamente adattando. Per paura, indifferenza o conformismo. Ci chiediamo tutto questo, e lo chiediamo a voi. A ciascuno di voi. Cosa deciderete di fare? In un contesto di pianificato caos normativo e statistico dove di osservabile e verificabile sembra rimanere ben poco, e dove a dettare legge sono spesso gli scienziati più autoritari in luogo dei più autorevoli, avanziamo il sospetto che l’Università tutta rischi oggi di trovarsi davanti a un bivio cruciale.
Può darsi, a ben vedere, che non siamo lontani dalla concreta, drammatica possibilità di regredire dai moderni principi del metodo scientifico sperimentale – che delle Università rinnovarono, illuminarono e affinarono lo spirito – all’opacità di un nuovo, restaurando dominio del principio d’autorità, sclerotizzato in granitica e incontestabile Scienza. Per riconoscere la direzione più giusta e probabilmente più sana, può darsi che la strada da percorrere non sia all’insegna della paura e del controllo, bensì del coraggio e della libertà, debitamente scrostati dalle sedimentazioni propagandistiche di questi mesi.
E può darsi che al netto di tutti i ricatti morali e occupazionali del caso, non siamo altri che noi – mittenti e destinatari di questa lettera, insieme – i primi artefici del futuro che ci aspetta.
Da oggi stesso, ognuno di noi, individualmente, ne sarà responsabile.
Grazie dell’attenzione,
Studenti dell’Università di Bergamo
Bergamo, 1 Settembre 2021
Stati Uniti! Dalla farsa alle comiche verso il dramma_ Con Gianfranco Campa
La tentazione di ridurre la storia a grandi trame o all’inconsapevolezza dei protagonisti è sempre ricorrente. La vicenda disatrosa della ritirata statunitense e della NATO dall’Afghanistan ci dice qualcosa di più. La volontà di piegare a qualche scadenza simbolica il corso degli eventi per trarne un qualche beneficio immediato in termini di immagine può ritorcersi pesantemente ed accelerare inesorabilmente la crisi e la resa dei conti.. E’ quanto è successo a Joe Biden; è l’epilogo di un lungo processo che a portato all’emersione di un ceto politico mediocre circondato da un gruppo dirigente accondiscendente a prescindere. Così la rovina politica di un uomo, la sua evidente decadenza fisica rischiano di portarsi dietro una intera classe dirigente e con esso il loro paese. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
https://rumble.com/vlzriz-stati-uniti-biden-dalla-farsa-al-dramma-con-gianfranco-campa.html
TALEBANI E RIVOLUZIONE PASSIVA, di Teodoro Klitsche de la Grange
TALEBANI E RIVOLUZIONE PASSIVA
Mentre Kabul cadeva dinanzi all’offensiva dei talebani, molti ricordavano come la “dottrina” dell’espansione del modello democratico occidentale con la forza fosse stata condivisa – a quanto si leggeva – da almeno tre Presidenti U.S.A.: Clinton, Bush jr. e Obama e i loro consiglieri sia di destra che di sinistra.
Taluni ritenevano – non infondatamente, che fosse una derivazione degli interessi di potenza – politica ed economica – degli U.S.A. soprattutto, se non dell’intero mondo occidentale.
Nessuno – che mi risulti – ha ricordato, come da oltre due secoli, in varie formulazioni e declinazioni quella concezione è stata ripetuta. Esportava gli immortali principi dell’89, facendo la guerra alle monarchie europee (ed alle classi dirigenti) già la Convenzione francese nel 1792, sintetizzandola in una frase efficace: “guerra ai castelli, pace alle capanne”, con il decreto del 15/12/1792.
Il che a prescindere dalle buone intenzioni (e dalla buona fede) era nient’altro che un programma di guerra civile europea. Che infatti infiammò il continente per quasi un quarto di secolo: le armate rivoluzionarie e poi napoleoniche trovavano molti alleati nei paesi conquistati, ma anche un “nuovo” nemico: i combattenti partigiani controrivoluzionari. I quali, ebbero un ruolo non secondario nella caduta di Napoleone. Fabrizio Ruffo, Empecinado, Andreas Hofer furono l’altro volto di una ostilità “irregolare” quanto profonda che, nel pensiero di Clausewitz, l’avvicinava alla guerra assoluta. Il richiamo agli immortali principi dell’89, servì a suscitare nemici almeno quanto a trovare alleati-seguaci, e fu comunque fertile nel provocare e aggravare l’ostilità. Non tanto perché presentarsi a casa d’altri con le baionette inastate e i cannoni rombanti non è propriamente il modo migliore e più rassicurante per farlo; ma soprattutto perché quegli immortali principi erano poco o punto condivisi dalle popolazioni invase.
Già lo aveva capito Vincenzo Cuoco il quale spiegava la breve esistenza della Repubblica partenopea (quattro mesi) col concetto di “rivoluzione passiva” destinato ad una notevole fortuna nel pensiero politico italiano (a cominciare da Gramsci). Scriveva il pensatore napoletano che le idee importate dalla rivoluzione francese erano lontane ed astratte dagli usi e dai bisogni delle popolazioni meridionali, onde queste le consideravano estranee; per di più condivise da minoranze afrancesade: “le vedute de’ patrioti e quelle del popolo non erano le stesse: essi avevano diverse idee, diversi costumi e finanche due lingue diverse”. In questa situazione mancava il principale fattore aggregante dell’unità politica: l’idem sentire de re publica.
Nell’epoca delle rivoluzioni Sieyés e Thomas Paine confidarono nella condivisione di idee, valori, interessi, bisogni e costumi tra francesi e americani per sostenere la rivoluzione e le Costituzioni dei nuovi ordinamenti nonché delimitare i “confini” con chi non li condivideva (sia all’esterno che all’interno della sintesi politica). Renan ne avrebbe formulato, nel di esso concetto di nazione, una denotazione esauriente.
Il problema si presenta ancor più difficile quando nella storia moderna tale pratica si è collegata allo “scontro di civiltà”. Se a popoli facenti parte della stessa civiltà era ostico esportare certi principi, soprattutto con le armi, non era da meno, data la maggiore distanza, tra popoli di civiltà diverse; Toynbee ricorda i principali casi e personaggi che l’hanno tentato e, spesso, realizzato. In senso positivo (cioè riuscito), Pietro il Grande e gli statisti giapponesi della rivoluzione Meiji.
Tuttavia i tentativi riusciti avevano di solito due caratteri: di essere d’iniziativa interna, e spesso del potere legittimo (lo Zar o il Tenno), e non d’importazione armata. Anche se generarono rivolte e repressioni (gli Strelizzi e i Samurai) al limite della guerra civile, non c’erano “terzi interessati” a fomentare, indirizzare, sostenere i contendenti, e trasformare così il conflitto in guerra partigiana (contro il nemico esterno e interno). L’altro, che si proponevano di introdurre novità sì profonde nelle società tradizionali, ma non totali. Il fatto che fosse il potere legittimo ad introdurle era una garanzia a favore della non totalità delle innovazioni: cambia l’ordine, ma non l’ “ordinatore”. Oltretutto i cambiamenti erano comunque parziali, e volti ad acquisire ed utilizzare la tecnica e la scienza (e modelli istituzionali) occidentale, in funzione degli interessi e del sistema di valori delle nazioni in via di modernizzazione.
Questi elementi non ricorrono nella guerra afgana né nella fase anti-sovietica né in quella anti-americana, perché sia il comunismo che il capitalismo globalizzatore comportano la sostituzione del “sistema di valori” delle società tradizionali, con quello d’importazione; e così dei titolari del potere legittimo. A farne le spese è in particolare la religione, onde la guerra che ne consegue presenta un accentuato carattere di conflitto di religione, che Croce già notava nelle insorgenze anti-francesi del 1799.
I talebani, data la loro formazione di studenti di teologia, si può dire che in questo hanno un vantaggio culturale sui loro avversari, i quali pensano che la superiorità tecnico-scientifica occidentale possa sostituire (o depotenziare, anche se di molto) la fede.
Errore antico e ripetuto. Suscita stupore che, allorquando circa vent’anni fa furono decise le invasioni dell’Afghanistan e dell’Iraq, si fosse anche teorizzato il contrario, di poter esportare con la forza la democrazia e lo Stato di diritto in società così distanti da quella del cristianesimo occidentale di cui fa parte la potenza “liberatrice”; il tutto in qualche decennio e con i gendarmi alla porta.
Ma fare ciò significa pensare di ripetere in pochi lustri quanto da noi è stato concepito e realizzato in più di tredici secoli: dalla lotta per le investiture alla tolleranza, dalla Magna Charta alla dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, dall’editto di Rotari al Code civil.
Oltretutto è sopravvalutato il ruolo che un “sistema di valori”, per quanto appetibile, può avere rispetto ai fondamenti di un potere efficace ossia l’autorità o la legittimità, che non si vede come possa avere un occupante straniero, anche se liberatore.
Neanche in una società occidentale democratica il potere di un occupante– o del di esso Quisling – è legittimo perché carente di qualsiasi riferimento al popolo sia ideale che procedurale (e concreto). E non si comprende perché l’Afghanistan dovrebbe fare eccezione.
Concludendo, la caduta di Kabul induce due considerazioni.
La prima è che se gli afgani (o buona parte di essi) è riuscita a vincere due guerre partigiane con le maggiori superpotenze del pianeta, difendendo la propria in-dipendenza, non è detto che la marcia, fino a qualche anno fa (asseritamente) trionfante della globalizzazione non possa trovare altre battute d’arresto, si spera in modi meno cruenti.
La seconda che l’impresa iniziata dopo l’11 settembre era difficile. Oggi si risponde che è comodo e facile giudicare col…senno di poi.
Ma in realtà, qua si trattava di senno di prima. Cioè di valutare gli eventi del passato, le riflessioni che avevano generato da un lato (le difficoltà delle rivoluzioni passive) nel conformare (anche) le istituzioni politiche, le controindicazioni all’uso della forza, dall’altro i fatti più recenti (come la vittoria sull’occupazione sovietica). Tutti ben noti e determinanti per capire che il tentativo di esportare la democrazia e diritti umani con eserciti stranieri, quisling, collaborazionisti non sarebbe andato a buon fine. Neanche – anzi forse ancor più – se non fosse stato un ipocrita involucro per occultare la volontà ed interessi di potenza (politica ed economica). Perché, come scriveva Machiavelli, a credere questo si va appresso non alla realtà dei fatti ma all’ “immaginazione” che se ne ha – o se ne vuole avere, col risultato di trovare la ruina propria, cioè la sconfitta sul campo. Puntualmente avvenuta.
Teodoro Klitsche de la Grange
Aneddotica, di Andrea Zhok
GLI USA: CAOS E DISTRUZIONE DI PAESI SENZA COSTRUZIONE DI FUTURO, a cura di Luigi Longo
GLI USA: CAOS E DISTRUZIONE DI PAESI SENZA COSTRUZIONE DI FUTURO
a cura di Luigi Longo
Invito alla lettura di due articoli, il primo di John Pilger (noto e conosciuto giornalista di fama mondiale) apparso sul sito www.lantidiplomatico.it del 25/8/2021 con il titolo Il “grande gioco” di distruggere i Paesi; il secondo di Alberto Negri (giornalista esperto di politica internazionale e in particolare del mondo arabo) pubblicato sul sito www.ilmanifesto.it del 28/8/2021 con il titolo Il cortocircuito jihadista degli Stati uniti.
La loro lettura ha stimolato le seguenti riflessioni riguardanti il caos in Afghanistan.
La prima. Per dirla con Sun Tzu, “[…] Generalmente, il caos è il disordine esistente tra l’ultimo ordine di cui si è a conoscenza e l’ordine futuro ancora da realizzarsi. E’ una fase pericolosa e incerta, nella quale ogni elemento di solidità sembra sgretolarsi […] Sebbene il caos sia in genere una fase difficile e faticosa, è anche dinamica, una fase di grande creatività e sviluppo […]”. Per gli USA, è bene dirlo, non è una fase di grande creatività e sviluppo, di fatto stanno costruendo un ordine basato sulla distruzione, sia perchè non hanno la capacità interna ed esterna di rilanciare una nuova idea di sviluppo e di relazioni sociali, né di costruire un nuovo modello di relazioni internazionali, né, tantomeno, di pensare un nuovo futuro (per la conferma di ciò si legga l’intervento di Henry Kissinger apparso sul The Economist Newspaper Limited, London del 25-8-2021 e ripreso dal Corriere della sera del 27/8/2021), sia perchè hanno scelto, per la loro peculiare storia di potenza, la strada dell’egemonia sfruttatrice; per dirla con David Calleo << [il] sistema internazionale crolla non solo perché nuove potenze non controbilanciate e aggressive cercano di dominare i loro vicini, ma anche perché le potenze in declino, invece di adattarsi e cercare una conciliazione, tentano di cementare la loro vacillante predominanza trasformandola in una egemonia sfruttatrice >>.
La seconda. Il falso ritiro degli USA dall’Afghanistan, a mio avviso, va visto sia dal punto di vista della strategia sia dal punto di vista della tattica. La strategia iniziò, come ricorda John Pilger, con la creazione di un esercito formato da un gruppo di fanatici tribali e religiosi conosciuti come i Mujahedin con l’obiettivo di diffondere il fondamentalismo islamico in Asia centrale, per destabilizzare e distruggere l’Unione Sovietica (è da riscrivere criticamente la storia, alla luce dell’implosione dell’URSS del 1990-1991, della fase bipolare tra i due grandi poli contrapposti, del capitalismo e del comunismo); oggi, nella la fase multicentrica sempre più accelerata, l’obiettivo è duplice: boicottare il coordinamento, sempre più intenso, tra la Cina e la Russia e bloccare il grande progetto di respiro mondiale rappresentato dalle Vie della seta (sia quella terreste, sia quella marittima, con i loro corridoi economici). Lo strumento di queste mire diventa la Nato che, come ci ricorda il Generale di corpo d’Armata Vincenzo Santo (ex capo di Stato Maggiore di tutte le forze Nato in Afghanistan dal settembre 2014 al mesi di febbraio 2015), “gli americani usano la Nato come vogliono e quando vogliono” (è disarmante Sergio Romano quando sminuisce, nel suo intervento pubblicato su www.ilriformista.it del 27/8/2021, il ruolo della Nato e auspica per l’Unione Europea la Comunità Europea di Difesa).
La tattica, che iniziò con la creazione dei terroristi (un pullulare di gruppi terroristici manovrati e utilizzati alla bisogna in tutte le aree di crisi mondiale), è quella di usare, ancora oggi, questi gruppi (una grande invenzione come quella di esportare i diritti umani e la democrazia (sic) nel mondo) per creare caos [nel grande spazio asiatico, dove l’Afghanistan è un territorio strategico] distruggendo popoli, città, territori, risorse, in modo che dal disordine creato venga fuori il loro ordine. Come ricorda Alberto Negri “Quello che stiamo vedendo è l’anticipazione del caos che verrà in Afghanistan e anche in altre aree critiche del mondo”.
Riporto quanto scrissi nel 2015 (Che ci fa l’Islamic state (IS) in Libia?): L’uso strumentale dei movimenti islamisti funzionali alla strategia atlantica non terminò con il ritiro dell’Armata Rossa dall’Afghanistan. Il patrocinio fornito dall’Amministrazione Clinton al separatismo bosniaco ed a quello kosovaro, l’appoggio statunitense e britannico al terrorismo wahhabita nel Caucaso, il sostegno ufficiale di Brzezinski ai movimenti fondamentalisti armati in Asia centrale, gli interventi a favore delle bande sovversive in Libia ed in Siria sono gli episodi successivi di una guerra contro l’Eurasia in cui gli USA e i loro alleati si avvalgono della collaborazione islamista.
Per la terza riflessione ripropongo dal succitato scritto del 2015, quanto segue: si sa che gli USA non amano un ordine mondiale multipolare, ma amano un mondo a loro immagine e somiglianza, democraticamente e civilmente costruito, e che, a tal fine scatenano guerre e usano tutti i mezzi per difendere e ri-creare su basi storicamente date un nuovo ordine mondiale. La guerra è un prolungamento della politica con altri mezzi, << La guerra non è dunque solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi. >>, può cambiare modalità, strumenti, strategie, eserciti, tecniche, eccetera, ma resta l’ultima istanza nel definire la potenza mondiale egemone, la storia questo insegna.
Gli USA sono una potenza pericolosa da bloccare: stanno perdendo la capacità egemonica perché non hanno un nuovo modello di respiro mondiale da proporre e puntano solo alla distruzione per bloccare le potenze in ascesa.
IL “GRANDE GIOCO” DI DISTRUGGERE I PAESI
di John Pilger *
Mentre uno tsunami di lacrime di coccodrillo travolge i politici occidentali, la storia viene soppressa. La libertà che l’Afghanistan ha conquistato oltre una generazione fa è stata distrutta dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna e i loro “alleati”.
Nel 1978, il movimento di liberazione nazionale guidato dal Partito Democratico Popolare dell’Afghanistan (PDPA) rovesciava la dittatura di Mohammad Daud, il cugino del re Zahir Shar. Fu una rivoluzione immensamente popolare che colse di sorpresa gli inglesi e gli americani.
I giornalisti stranieri a Kabul, riferiva il New York Times, rimasero sorpresi nello scoprire che “quasi tutti gli afghani che hanno intervistato hanno dichiarato [di essere] felici del colpo di stato“. Il Wall Street Journal riportava che “150.000 persone… hanno marciato per onorare la nuova bandiera… i partecipanti sono apparsi sinceramente entusiasti“.
Il Washington Post scriveva che “la lealtà afgana al governo non può essere messa in discussione“. Laico, modernista e, in misura considerevole, socialista, il governo presentò un programma di riforme visionarie che includeva la parità di diritti per le donne e le minoranze.
I prigionieri politici furono liberati e gli archivi della polizia pubblicamente bruciati.
Sotto la monarchia, l’aspettativa di vita era di 35 anni; un bambino su tre moriva durante l’infanzia. Circa il 90% della popolazione era analfabeta. Il nuovo governo introdusse l’assistenza medica gratuita. Fu lanciata una campagna di alfabetizzazione di massa.
Per le donne, i guadagni non avevano precedenti; alla fine degli anni ’80, metà degli studenti universitari erano donne, e le donne costituivano il 40% dei medici dell’Afghanistan, il 70% dei suoi insegnanti e il 30% dei suoi dipendenti pubblici.
I cambiamenti furono così radicali che rimangono vividi nei ricordi di coloro che ne beneficiarono.
Saira Noorani, una donna chirurgo fuggita dall’Afghanistan nel 2001, ha ricordato:
“Ogni ragazza potrebbe andare al liceo e all’università. Potevamo andare dove volevamo e indossare quello che ci piaceva… Andavamo nei bar e al cinema per vedere gli ultimi film indiani il venerdì… tutto ha cominciato ad andare storto quando i mujahedin hanno iniziato a vincere… queste erano le persone che l’occidente ha supportato.”
Per gli Stati Uniti, il problema con il governo PDPA era che fosse sostenuto dall’Unione Sovietica.
Eppure non è mai stato il “fantoccio” deriso in Occidente, né il colpo di stato contro la monarchia è stato “sostenuto dai sovietici”, come sostenevano all’epoca la stampa americana e britannica.
Il segretario di Stato del presidente Jimmy Carter, Cyrus Vance, scrisse in seguito nelle sue memorie: “Non avevamo prove di alcuna complicità sovietica nel colpo di stato.”
Nella stessa amministrazione c’era Zbigniew Brzezinski, consigliere per la sicurezza nazionale di Carter, un emigrato polacco e fanatico anticomunista ed estremista morale la cui duratura influenza sui presidenti americani è scaduta solo con la sua morte nel 2017.
Il 3 luglio 1979, all’insaputa del popolo americano e del Congresso, Carter autorizzò un programma di “azione segreta” da 500 milioni di dollari per rovesciare il primo governo laico e progressista dell’Afghanistan.
Questo è stato chiamato in codice dalla CIA Operation Cyclone.
I 500 milioni di dollari furono usati per corrompere e armare un gruppo di fanatici tribali e religiosi conosciuti come i Mujahedin. Nella sua storia semi-ufficiale, il giornalista del Washington Post Bob Woodward ha scritto che la CIA ha speso 70 milioni di dollari solo in tangenti. Descrive un incontro tra un agente della CIA noto come “Gary” e un signore della guerra chiamato Amniat-Melli: “Gary mise un mucchio di soldi sul tavolo: 500.000 dollari in file di banconote da 100 dollari. Credeva che sarebbe stato più impressionante dei soliti $ 200.000, il modo migliore per dire che siamo qui, siamo seri, ecco i soldi, sappiamo che ne avete bisogno … Gary avrebbe presto chiesto al quartier generale della CIA e avrebbe ricevuto $ 10 milioni in contanti.”
Reclutato da tutto il mondo musulmano, l’esercito segreto americano fu addestrato in campi in Pakistan gestiti dall’intelligence pakistana, dalla CIA e dall’MI6 britannico.
Altri sono stati reclutati in un college islamico a Brooklyn, New York, vicino a quelle Torri Gemelle che verranno poi abbattute. Una delle reclute era un ingegnere saudita di nome Osama Bin Laden.
L’obiettivo era diffondere il fondamentalismo islamico in Asia centrale e destabilizzare e infine distruggere l’Unione Sovietica.
Nell’agosto 1979, l’ambasciata degli Stati Uniti a Kabul riferì che “i maggiori interessi degli Stati Uniti sarebbero stati esauditi dalla scomparsa del governo del PDPA, nonostante qualunque battuta d’arresto che avrebbe comportato per le future riforme sociali ed economiche in Afghanistan“.
Rileggete le parole sopra che ho messo in corsivo. Non capita spesso che un tale intento cinico sia espresso in modo così chiaro. Gli Stati Uniti dicevano che un governo afghano genuinamente progressista ed i diritti delle donne afghane potevano andare all’inferno.
Sei mesi dopo, i sovietici fecero la loro mossa fatale in Afghanistan in risposta alla minaccia jihadista creata dagli americani alle loro porte.
Armati con missili Stinger forniti dalla CIA e celebrati come “combattenti per la libertà” da Margaret Thatcher, i mujahedin alla fine cacciarono l’Armata Rossa dall’Afghanistan.
Definendosi ora l'”Alleanza del Nord”, i Mujahedin erano dominati da signori della guerra che controllavano il commercio di eroina e terrorizzavano le donne rurali.
I talebani erano una fazione ultra-puritana, i cui mullah vestivano di nero e punivano banditismo, stupri e omicidi ma bandivano le donne dalla vita pubblica.
Negli anni ’80, ho preso contatto con l’Associazione Rivoluzionaria delle Donne dell’Afghanistan, conosciuta come RAWA, che aveva cercato di allertare il mondo sulla sofferenza delle donne afgane. Durante il periodo dei talebani, nascondevano le telecamere sotto il burqa per filmare le prove delle atrocità, e facevano lo stesso per esporre la brutalità dei mujahedin sostenuti dall’occidente. ‘Marina’ di RAWA mi ha detto:”Abbiamo portato la videocassetta a tutti i principali gruppi di media, ma non volevano sapere…”
Nel 1996, il governo illuminato del PDPA cadde. Il presidente, Mohammad Najibullah, era andato alle Nazioni Unite per chiedere aiuto. Al suo ritorno, fu impiccato a un lampione.
“Confesso che [i paesi] sono pezzi su una scacchiera”, disse Lord Curzon nel 1898, “su cui si sta svolgendo una grande partita per il dominio del mondo”.
Il viceré dell’India si riferiva in particolare all’Afghanistan. Un secolo dopo, il primo ministro Tony Blair ha usato parole leggermente diverse.
“Questo è un momento da cogliere“, dichiarò dopo l’11 settembre. ”Il caleidoscopio è stato scosso. I pezzi sono in movimento. Presto si sistemeranno di nuovo. Prima che lo facciano, riordiniamo questo mondo intorno a noi”.
Sull’Afghanistan aggiunse: “Non ce ne andremo [ma assicureremo] una via d’uscita dalla povertà che è la sua miserabile esistenza“.
Blair ha fatto eco al suo mentore, il presidente George W. Bush, che ha parlato alle vittime delle sue bombe dallo Studio Ovale: “Il popolo oppresso dell’Afghanistan conoscerà la generosità dell’America. Mentre colpiamo obiettivi militari, lasceremo anche cibo, medicine e rifornimenti agli affamati e ai sofferenti…”
Quasi ogni parola era falsa. Le loro dichiarazioni di preoccupazione erano crudeli illusioni per una ferocia imperiale che “noi” in Occidente raramente riconosciamo come tale.
Nel 2001, l’Afghanistan è stato colpito e dipendeva dai convogli di emergenza dal Pakistan.
Come ha riferito il giornalista Jonathan Steele, l’invasione ha causato indirettamente la morte di circa 20.000 persone poiché le forniture alle vittime della siccità sono state interrotte e le persone sono fuggite dalle loro case.
Circa 18 mesi dopo, ho trovato bombe a grappolo americane inesplose tra le macerie di Kabul, spesso scambiate per pacchi di soccorso gialli lanciati dall’aria. Hanno fatto esplodere le membra dei bambini affamati e in cerca di cibo.
Nel villaggio di Bibi Maru, ho visto una donna di nome Orifa inginocchiarsi presso le tombe di suo marito, Gul Ahmed, un tessitore di tappeti, e di altri sette membri della sua famiglia, inclusi sei bambini e due bambini che sono stati uccisi nella porta accanto.
Un aereo americano F-16 era uscito da un cielo azzurro e aveva sganciato una bomba Mk82 da 500 libbre sulla casa di fango, pietra e paglia di Orifa. Orifa era assente in quel momento. Quando tornò, raccolse le parti del corpo.
Mesi dopo, un gruppo di americani arrivò da Kabul e le diede una busta con quindici biglietti: un totale di 15 dollari. “Due dollari per ciascuno dei miei familiari uccisi“, ha raccontato.
L’invasione dell’Afghanistan è stata una frode.
Sulla scia dell’11 settembre, i talebani hanno cercato di prendere le distanze da Osama Bin Laden. Erano, per molti aspetti, un cliente americano con il quale l’amministrazione di Bill Clinton aveva fatto una serie di accordi segreti per consentire la costruzione di un gasdotto da 3 miliardi di dollari da parte di un consorzio di compagnie petrolifere statunitensi.
In massima segretezza, i leader talebani erano stati invitati negli Stati Uniti e intrattenuti dall’amministratore delegato della compagnia Unocal nella sua villa in Texas e dalla CIA nel suo quartier generale in Virginia.
Uno degli affaristi fu Dick Cheney, in seguito vicepresidente di George W. Bush.
Nel 2010, ero a Washington e ho organizzato un colloquio con la mente dell’era moderna di sofferenza dell’Afghanistan, Zbigniew Brzezinski. Gli ho citato la sua autobiografia in cui ammetteva che il suo grande piano per attirare i sovietici in Afghanistan aveva creato “alcuni musulmani agitati“.
“Hai qualche rimpianto?” Ho chiesto.
“Rimpianti! Rimpianti! Quali rimpianti?”
Quando guardiamo le attuali scene di panico all’aeroporto di Kabul e ascoltiamo giornalisti e generali in lontani studi televisivi che lamentano il ritiro della “nostra protezione“, non è il momento di prestare attenzione alla verità del passato in modo che tutta questa sofferenza non accada mai? ancora?
*Uno dei più grandi giornalisti viventi. Il film di John Pilger del 2003, “Breaking the Silence”, è disponibile per la visione su
http://johnpilger.com/videos/breaking-the-silence-truth-and-lies-in-the-war-on-terror
IL CORTOCIRCUITO JIHADISTA DEGLI STATI UNITI
di Alberto Negri
Scenari. Non governando il caos da loro stessi creato, gli americani hanno provato a usarlo in Iraq, Libia e Siria. Siamo all’anticipazione di un nuovo disordine. E non solo afghano
Ci sono jihadisti utili e altri no. I jihadisti è meglio manovrarli che combatterli, hanno pensato gli americani dopo i fallimenti in Afghanistan, Iraq, Libia e Siria. Con i talebani ci si può anche mettere d’accordo: quindi nel 2018 hanno chiesto ai pakistani, sponsor dei talebani, di scarcerare il Mullah Baradar e sono cominciate le danze di Doha. Uno spettacolo che piaceva a tutti perché nessuno durante questo tempo ha detto una parola contraria.
Certo bisognava vendere ai carnefici di prima gli afghani che avevano creduto nell’Occidente ma il pelo sullo stomaco alla Casa Bianca non manca, sia con Trump che con Biden. Del resto Trump nell’ottobre 2019 aveva venduto i curdi, valorosi alleati degli Usa contro l’Isis, alla Turchia di Erdogan: che male c’è a farlo un’altra volta? In fondo sia la Nato che gli europei digeriscono tutto.
È UNA VECCHIA STORIA. È stato usando gli estremisti islamici che gli Usa avevano iniziato la loro avventura da queste parti: foraggiando negli anni Ottanta, insieme a Pakistan e Arabia Saudita, i mujaheddin afghani contro l’Urss. Molti erano jihadisti ma allora in Occidente li chiamavamo «combattenti per la libertà». Era stato un successo: l’Urss perse la guerra e nell’89 si ritirò lasciando un governo che comunque durò altri tre anni.
Poi gli americani ci hanno provato anche in Siria, con la complicità della Turchia di Erdogan, per abbattere Bashar Assad: ma lì sono stati fermati nel 2015 dalla risorgente Russia di Putin.
Era servito, al momento, anche eliminare nel 2011 il regime di Gheddafi. Guerriglieri libici e jihadisti reduci da Iraq e Afghanistan venivano trasportati dalla Libia alla Turchia per passare in territorio siriano insieme a tunisini, ceceni, marocchini e via discorrendo. Il segretario di stato Hillary Clinton, che allora aveva in squadra Toni Blinken, attuale capo della diplomazia Usa, avevano pensato di fare un’alleanza di comodo anti-Assad con i jihadisti libici mandando l’ambasciatore Chris Stevens a Bengasi: venne fatto fuori dai salafiti di Ansar Al Sharia, era l’11 settembre 2012. E la Clinton ci rimise la Casa Bianca.
NON GOVERNANDO il caos che loro stessi avevano creato, gli americani provarono a usarlo contro i rivali. In Iraq gli Usa si erano ritirati con Obama nel 2011, lasciando il Paese al suo destino dopo averlo invaso nel 2003 con la bugia delle armi di distruzione di massa: il Paese precipitò nelle mani di Al Qaeda e poi dell’Isis.
Questi jihadisti erano utili per impantanare l’Iran, sponsor del governo locale: nel 2014 pasdaran e milizie sciite dovettero intervenire per fermare il Califfato alle porte di Baghdad. Bloccare la Mezzaluna sciita e metterla sottopressione era il vero obiettivo geopolitico di Washington. A missione compiuta gli americani mollarono i curdi al massacro dei turchi, fecero fuori Al Baghdadi e il 3 gennaio 2020 uccisero a Baghdad con un drone il generale iraniano Qassem Soleimani.
ORA GLI USA SE NE VANNO, per la seconda volta, anche dall’Iraq lasciando il posto alla Nato con un contingente al comando dell’Italia. E dopo la disfatta di Kabul dobbiamo incrociare le dita, visto che di solito lasciano dietro terra bruciata.
GLI ACCORDI DI DOHA dovevano riconsegnare l’Afghanistan ai talebani, complici di Al Qaeda nell’11 settembre 2001, ma anche eredi dei prediletti mujaheddin anti-sovietici. Insomma una bella operazione per sfilarsi e riportare «ordine» dopo avere preso atto del fallimento di esportare la democrazia liberale.
Nel momento in cui si sono messi a negoziare in Qatar, a Washington erano consapevoli che avrebbero smontato alla «bolla» filo-occidentale in un Afghanistan già controllato al 50% dai talebani. Bastava una ventata e tutto sarebbe crollato in mano loro. Il 2 luglio gli Usa chiudono di notte la base di Bagram, senza avvertire l’esercito afghano, tagliando luce e acqua: Kabul era già perduta allora. Il messaggio è stato devastante sul morale dei soldati afghani che si sono anche trovati senza copertura aerea perché avevano ritirato tecnici e contractors. Sono quindi stati calcolati male i tempi e gli Usa e la Nato sono finiti nel caos dell’aereoporto e in un’evacuazione più caotica di quella di Saigon 1975, dove per altro non c’erano attentatori suicidi da affrontare.
L’ISIS-KHORASSAN non spunta dal nulla. Fondato nel 2015 ha portato una settantina di attentati e l’8 maggio ha fatto una strage di 55 studenti a Kabul. Per combatterlo si erano mobilitati americani, esercito afghano, talebani e persino Al Qaeda. Con l‘attentato di Kabul l’Isis-K ha colto 4 obiettivi: 1) colpire gli Usa 2) minare la credibilità dell’”ordine” talebano 3) colpire la rivale Al Qaeda 4) lanciare un messaggio alla Jihad globale dall’Asia al Nordafrica, dal Medio Oriente al Sahel. Il ritiro americano può provocare un effetto domino sulla sicurezza internazionale.
Quello che stiamo vedendo è l’anticipazione del caos che verrà in Afghanistan e anche in altre aree critiche del mondo. Adesso accorciare i tempi e fuggire lascerebbe bloccati in territorio ostile, secondo la maggior parte delle stime, centinaia di cittadini statunitensi e migliaia di collaboratori afgani. Tutti candidati a diventare ostaggi. Ma restare più a lungo sarebbe un invito a ulteriori attacchi terroristici all’aeroporto da parte dell’Isis-K e, dopo il 31 agosto, da parte anche degli stessi talebani. Il cortocircuito jihadista, innescato 40 anni fa dagli Usa, fulmina e incenerisce i suoi maldestri manovratori.
Stati Uniti! In Afghanistan strategia e tattica stridono_con Gianfranco Campa
La gran parte vede la ritirata statunitense come un disastro epocale tale da compromettere irrimediabilmente l’egemonia americana; altri, la minoranza, come una mossa tattica tesa ad incastrare in quel pantano le forze emergenti nello scenario geopolitico. Quello che sta avvenendo è il combinato disposto tra le spinte esterne nello scenario geopolitico e i contrasti interni ai centri decisionali americani che ne determinano la direzione. Le carte in mano agli americani sono tante; la qualità dei giocatori sul campo lascia sempre più a desiderare; non è ancora in vista un allenatore in grado di amalgamare una realtà così complessa e disarmonica come quella statunitense. Non sono i soli ovviamente ad avere questo tipo di problemi; sono quelli che li manifestano con una particolare gravità ed in una fase discendente della loro storia. Buon ascolto_Giuseppe Germinario
https://rumble.com/vlub8q-stati-uniti-e-afghanistan-con-gianfranco-campa.html
FONDAMENTI DI STORIA AFGANA (4 di 4), di Daniele Lanza
Cosa vogliono veramente i talebani?_di Cheryl Benard
L’articolo qui tradotto è particolarmente significativo. E’ una prima metabolizzazione della svolta americana. Le tesi sostenute sono certamente condizionate dagli interessi, dai punti di vista acquisiti e dalle inerzie della pletora di apparati di organizzazioni umanitarie e culturali collaterali agli strumenti più coercitivi e diretti in azione nelle dinamiche geopolitiche. Poggiano tuttavia su di un importante fondamento di realtà che ne sostiene l’autorevolezza:
- i tempi e gli strumenti di sedimentazione di un bagaglio culturale e di visione del mondo, del “mondo vitale” direbbe Habermas, necessari a garantire solidità ed autorevolezza ad una condizione egemonica sono diversi da quelli propri dell’azione politica diretta dei centri decisionali in un particolare contesto. Sono importanti per garantire solidità ed autorevolezza agli imperi; non sono in grado di impedire contrasti aspri e distruttivi nelle dinamiche politiche e geopolitiche, come insegna la storia europea. Quelli dettati dai centri americani iniziano a stridere visibilmente in modo preoccupante e a confliggere apertamente;
- la realtà afghana non si può ridurre allo stereotipo contrabbandato in questi anni nella narrazione occidentale. In essa vi è una componente più laica e modernizzatrice sedimentata negli anni della monarchia e soprattutto dei regimi giacobini sostenuti dall’Unione Sovietica, ma che godevano di un certo radicamento andatosi via via esaurendo politicamente, grazie anche alle faide interne, senza però estinguersi.
- Le componenti più tradizionaliste non sono rappresentate solo dai talebani, ma anche in quelle componenti claniche e tribali all’occasione presentati opportunisticamente come paladini della libertà. I talebani, se proprio si vuole, rappresentano il tentativo di costruzione nazionale di queste istanze, distinguendosi in questo dall’ISIS nelle sue varie sembianze.
- è in questo contesto che si inseriscono in maniere determinante le dinamiche geopolitiche e l’azione di tre attori globali, Stati Uniti, Cina e Russia, di almeno quattro attori regionali, Iran, Turchia, Pakistan e India e numerosi locali. L’intervento militare statunitense, paradossalmente e probabilmente al di là delle intenzioni, ha favorito di fatto questa realtà di competizione e cooperazione ad alto rischio conflittuale. In questa fase, i centri decisionali prevalenti, hanno semplicemente scelto di scaricare assieme ai benefici almeno i costi e i rischi di questa competizione sui nuovi attori cercando di riservarsi comunque il ruolo di arbitro-giocatore. Le modalità di svolgimento di questa operazione comporterà un prezzo pesante in termini di immagine, di autorevolezza e credibilità degli Stati Uniti, grazie anche alla qualità al ribasso della sua classe dirigente e all’asprezza dello scontro politico interno. Rimangono per altro ancora tante carte importanti da giocare su più tavoli, compresa, probabilmente, la presenza nella compagine provvisoria talebana di numerosi ministri ospiti delle carceri occidentali e sui quali realisticamente sarà stata compiuta una qualche efficace operazione di addomesticamento. Nel repertorio sono compresi ovviamente lasciti generosi ai talebani ed avvertimenti (ISIS). Una condizione della quale i talebani sembrano consapevoli e della quale vogliono essere parte attiva. Parte insulsa, destinata a pagare un caro prezzo, ancora una volta gli europei. Non è detto per altro che quest’ultimo sia un semplice corollario involontario delle scelte americane.
Buona lettura_Giuseppe Germinario
Cosa vogliono veramente i talebani?
Dobbiamo ricordare cosa stavamo cercando di ottenere in Afghanistan: tutte le persone che abbiamo istruito e tutte le cose che abbiamo fatto per raggiungere tale obiettivo, e non portare il capitale umano risultante, i valori incorporati e le opportunità economiche fuori da quel paese con il carico aereo, su ali di paura.
Prevedo che tra cinque o dieci anni saranno condotti studi e scritti libri sulla Great American Afghanistan Hysteria del 2021.
Come è stato possibile, ci chiederemo in retrospettiva, che una superpotenza abbia messo a freno i fatti, la ragione, il proprio interesse nazionale, la ricerca della pace, le considerazioni geopolitiche e il semplice buon senso? E invece impegnato in azioni sconsiderate e perfettamente controproducenti mentre sguazzava nel panico e nelle voci.
Mentre scrivo, leggo che “i talebani danno da mangiare ai cani i corpi delle donne” e guardo un video di una donna che si riprende mentre scappa dal nulla in una zona deserta mentre urla “Le donne afghane stanno correndo per salvarsi la vita”. Sto leggendo che “i talebani stanno sparando tra la folla.” L’ex presidente George W. Bush è in TV a parlare di stupro. Il generale David Petraeus, che non è riuscito a intaccare i talebani quando era al comando, è sul Wall Street Journal che chiede all’esercito americano di rientrare. La ragione è fuggita e i fatti non contano.
Ma proviamo. Proviamo a guardare alcuni fatti.
I talebani hanno affermato che chiunque di una religione diversa potrà praticarlo indisturbato. Che cosa hanno fatto? Secondo i leader sciiti, gli individui locali sciiti e il vitigno sciita internazionale, di fatto hanno reso possibile la celebrazione sicura della principale festa religiosa sciita dell’Ashura , a Mazar-i-Sharif, con la partecipazione delle donne, per la prima volta dopo molti anni. In passato il governo di Ghani non è stato in grado di garantire protezione agli sciiti che sono stati regolarmente attaccati , con vittime, da estremisti sunniti o dall’ISIS.
Allo stesso modo, la minoranza indù è stata visitata e rassicurata da una delegazione talebana che sarà al sicuro e dovrebbe restare.
Donne
A questo proposito, abbiamo avuto una serie di preoccupazioni principali: il loro diritto all’istruzione, il loro diritto di essere in pubblico e di partecipare alla vita pubblica, il loro diritto al lavoro e la loro protezione contro stupri, matrimoni forzati e abusi. I talebani sono registrati su alcuni di questi con dichiarazioni, su altri con le loro azioni finora ad ora compiute, e su altri ancora, è troppo presto per dirlo. In materia di istruzione, si sono rivolti in modo specifico alle studentesse e le hanno incoraggiate a proseguire gli studi. Sul lavoro, hanno inviato delegazioni negli ospedali e hanno incontrato medici e personale femminile, lodandoli per il loro lavoro e chiedendo loro di continuare. Nella vita pubblica, non hanno interferito con le giornaliste, comprese le conduttrici di telegiornali, che sono in onda e riferiscono e intervistano Taleb. Sul matrimonio forzato e lo stupro, molte di noi hanno contattato i gruppi di donne nel paese, e queste storie non hanno fondamento. Un mio amico è associato a un’organizzazione che gestisce rifugi proprio per queste vittime in tutto il paese: non ne hanno visto nessuno. Il matrimonio forzato è fortemente proibito dal Corano, così come lo stupro. Il comportamento scorretto sessuale è stato rigorosamente sanzionato dai talebani in passato e non c’è motivo di credere che le loro opinioni siano cambiate. Sarei ancora preoccupato per le loro opinioni sull’adulterio, che in precedenza punivano come prescrive il Corano, cioè con la fustigazione nel caso dei non sposati e la morte nel caso dei sposati. Non è ancora successo questa volta, ma potrebbe. Questo, insieme a tutte le altre cose che speriamo di evitare, è molto più probabile che accada se perdiamo la nostra influenza su di loro o se concludono che non importa se si comportano bene, perché li condanneremo e faremo pace storie su di loro comunque.
Eredità culturale
Paura e panico
Tutti sul campo in Afghanistan hanno buone ragioni per essere molto nervosi. I talebani si sono impegnati in quella che la stampa definisce un'”offensiva di fascino” e hanno rilasciato molteplici dichiarazioni rassicuranti. Metto queste ultime perché sono solo parole, ma le includo perché finora i talebani le hanno onorate. Hanno chiesto a tutti i burocrati del governo di rimanere al lavoro e hanno promesso che non ci sarebbero state rappresaglie contro chiunque avesse sostenuto il precedente governo o lavorato per il regime di Ghani o per gli americani. Non ci sono notizie credibili di rappresaglie. Hanno fatto appello alla folla di giovani all’aeroporto perché tornassero a casa e restassero e aiutassero a costruire il loro paese, invece di “implorare di essere caricati sugli aerei americani come pecore” e spingersi verso terre straniere. Hanno istituito un numero e una procedura di denuncia, che trasmettono per le strade e nei mercati tramite altoparlanti, incoraggiando le persone a segnalare qualsiasi comportamento scorretto da parte dei taleb per ricevere assistenza. Questo è progettato per affrontare due probabili problemi: singoli taleb indisciplinati che si comportano male e impostori criminali che coglieranno le opportunità insite nel caos. Conosco almeno un’organizzazione di donne che ha chiamato con successo la “linea diretta” dei talebani quando qualcuno che affermava di essere talebano ha richiesto il loro veicolo. È vero che molte persone riferiscono che le loro auto sono state sequestrate. I talebani dicono che non sono loro, perché hanno un sacco di auto – e SUV e carri armati del resto – dell’esercito afghano in fuga per gentile concessione dei contribuenti statunitensi.
Facciamo un passo indietro e valutiamo. Avevamo messo tutte le nostre carte sul governo afghano, le cui elezioni abbiamo finanziato, curato e organizzato. Abbiamo costruito un costoso esercito e aeronautica che si è voltato ed è fuggito alla prima sfida. Abbiamo formato, istruito e finanziato una rete di attivisti e “leader” della società civile che si sono rivelati, come il loro esercito, dei corridori, senza nemmeno tentare di prendere posizione per i loro valori e presunte missioni, ma correndo invece verso l’aeroporto.
Quando la consapevolezza che il nostro esperimento afghano non avrebbe avuto successo ha finalmente cominciato ad affondare, sotto l’amministrazione Trump, abbiamo preso la decisione di ritirare le nostre truppe da questa guerra senza fine e infruttuosa. Abbiamo trovato un accordo con i talebani: ci saremmo ritirati, non ci avrebbero interferito o attaccato, e avrebbero avviato colloqui di pace con il governo afghano per progettare un nuovo governo di transizione in cui sarebbero stati inclusi, con elezioni per un governo permanente da tenere lungo la strada. Per due anni hanno onorato la loro parte dell’accordo. Non un solo americano è stato ucciso, nemmeno una volta che siamo stati ridimensionati e vulnerabili. Hanno stilato una serie di proposte tecniche come spunti di confronto con i loro omologhi di governo, dai quali nulla ha avuto in cambio. Ci hanno consultato e ascoltato le nostre “linee rosse” riguardo ai diritti umani, ai diritti delle donne e ad altre questioni di interesse per la comunità internazionale. Erano completamente preparati a negoziare.
Chi non si è presentato? Il governo di Ghani. Ashraf Ghani credeva che se fosse rimasto intransigente, gli Stati Uniti avrebbero invertito la rotta e avrebbero accettato di continuare a combattere. Quando quel magico risultato non si è materializzato, ha riposto le sue speranze nelle elezioni statunitensi, sicuro che Joe Biden avrebbe annullato ciò che Donald Trump aveva iniziato e avrebbe rimandato indietro le truppe. di come non avesse bisogno degli americani perché l’esercito afghano avrebbe fatto poca attenzione ai talebani. Alla fine, mentre i talebani hanno invaso gran parte del suo paese incontrando una resistenza zero da parte di detto esercito, ha accettato un accordo. Si sarebbero astenuti dall’entrare a Kabul, ci sarebbe stato un cessate il fuoco di due settimane, durante quel periodo avrebbero negoziato un accordo di condivisione del potere con il governo – anche se non sarebbe più stato l’accordo 50/50 che Kabul avrebbe potuto ottenere due anni prima – e in cambio Ghani si sarebbe impegnato a dimettersi dal suo incarico alla fine di quel periodo . Ghani ha acconsentito. Poi di nascosto ha fatto le valigie ed è fuggito nella notte, facendo naufragare l’ultima possibilità di Kabul e del suo governo per una transizione ordinata.
Con il governo in tal modo piegato e con poche alternative, gli Stati Uniti hanno tollerato che i talebani prendessero il controllo della città.
E poi, per nessuna ragione che si possa identificare, nulla essendo accaduto per metterla in moto, l’amministrazione Biden ha intrapreso una serie di decisioni fatalmente sbagliate. Avevano già chiuso prematuramente Bagram , una delle basi più sicure al mondo, una risorsa che sarebbe stata perfetta per l’evacuazione e le operazioni di emergenza in corso dell’ambasciata, e la struttura che avrebbe dovuto chiudere per ultima. Ora hanno annunciato che stavano riducendo, e poco dopo che stavano chiudendo, l’ambasciata degli Stati Uniti. Annunciarono che avrebbero inviato 3.000, poi 4.000 soldati per aiutare questa evacuazione. Hanno annunciato due programmi di visto, il primo per le persone che avevano lavorato per noi come traduttori, presto esteso a chiunque avesse lavorato per l’ambasciata o un programma governativo o militare, poi un secondo per le persone associate ai media statunitensi o alle organizzazioni non governative (ONG). Per quest’ultimo è stata messa in atto una serie di regole completamente assurde: le persone non potevano fare domanda dall’interno dell’Afghanistan, non erano ammissibili fino a quando non avevano raggiunto un paese terzo, in altre parole, avevano bisogno di andare in Pakistan o Tagikistan o Uzbekistan , cosa già impossibile a quel punto poiché i talebani controllavano i confini. E solo per aggiungere un altro livello di impossibilità, il sito web dell’ambasciata ha avvertito che tali domande richiederebbero molto tempo per essere elaborate e non aspettarsi assistenza nel frattempo.
Senza un percorso ragionevole aperto ma un programma di visti che suggerisce che credevamo che queste persone fossero altamente vulnerabili, non c’è da stupirsi che siano andate nel panico. Nel frattempo, gli elicotteri statunitensi ronzavano avanti e indietro nel cielo, l’ ambasciata è stata sgomberata e la bandiera ammainata, altre truppe stavano arrivando all’aeroporto per spingere le persone fuori e il messaggio era chiaro: gli americani si aspettano un bagno di sangue. Social media hanno fatto la loro parte. Twitter e TikTok hanno detto a tutti che c’era semplicemente bisogno di raggiungere l’aeroporto, non erano necessari documenti o carte d’identità, e gli americani ti avrebbero portato a Parigi, in Canada o negli Stati Uniti. Google ha deciso di bloccare qualsiasi messaggio talebano o qualsiasi cosa favorevole ai talebani, comprese le loro assicurazioni che non stavano pianificando una punizione, che i dipendenti pubblici potevano presentarsi tranquillamente al lavoro e che era un nuovo giorno e tutto era perdonato. Persino gli ordini ai loro comandanti che ordinavano loro di non molestare nessuno e di non requisire proprietà delle persone, che molti uffici e ONG erano pronti a svolgere per qualsiasi talebano che si fosse presentato alla loro porta, sono stati rimossi.
Abbiamo visto tutti i risultati: una folla di giovani che si è scatenata sull’asfalto e alla fine ha raggiunto un tale culmine di follia da aggrapparsi agli aerei in partenza e, in alcuni casi, resistere così a lungo che quando alla fine sono caduti, sono morti. È stata una visione scioccante, così come le immagini di una donna che consegna il suo bambino a un soldato su barriere di filo spinato. Le cattive immagini sono cattive per la politica interna e la politica di parte è negativa per le decisioni intelligenti sul nostro comune interesse nazionale. I repubblicani hanno dimenticato che è stata la loro amministrazione a dare il via al ritiro e hanno colto l’occasione per sbattere la realtà contro i democratici. I Democratici hanno dimenticato che sono contro guerre senza fine e che intervengono in altre culture e hanno deciso che ogni singolo afghano deve essere portato in America. L’amministrazione Biden, abituata all’adulazione dei giornalisti e agitata dalla cattiva stampa, ordinò subito l’evacuazione di massa. Dei primi 8.500 volati senza controlli o documenti, solo 250 si sono rivelati qualificati. Gli altri si erano semplicemente precipitati nel ponte aereo. Quanto tempo pensi che ci vorrà prima che l’ISIS colga la porta aperta in America, se non l’hanno già fatto? I giornalisti che non si prendono nemmeno la briga di verificare i fatti, che sono sotto pressione per produrre reportage drammatici e foto strazianti, dovrebbero fare la politica estera americana? Le immagini e il panico dovrebbero dettare la nostra condotta?
A Kabul, i talebani stavano visitando le ambasciate straniere, offrendo di mettere delle guardie e chiedendo loro di restare. I francesi rimasero. I russi sono rimasti. I cinesi sono rimasti. Perché non l’abbiamo fatto? O come minimo, visto che i talebani non hanno un piano evidente per attaccarci, e non l’hanno fatto per due anni quando avrebbero potuto, perché non abbiamo rivalutato la nostra decisione e siamo tornati indietro? Nessuna ambasciata significa nessun trattamento per i rifugiati, il che significa nessun modo ordinato per le persone di cercare di uscire se sono così qualificate, il che significa caos in aeroporto.
Matteo 7 ci dice: dalle loro azioni li riconoscerete. Sembriamo sicuri che i talebani non siano cambiati e non possano e non lo faranno. Non dovremmo aspettare le loro azioni? Incoraggiamoli a formare un governo moderato, responsabile e inclusivo. Comprendiamo che stiamo rendendo impossibile un Afghanistan moderato e progressista rimuovendo, potenzialmente per un milione di persone, tutti i loro cittadini istruiti , i loro anglofoni, i loro giovani uomini forti, le loro giovani donne “svegliate” e le loro minoranze. Sappiamo che un giorno, guardando indietro, vedremo che abbiamo consentito non solo una fuga di cervelli ma anche un progetto di pulizia etnica, portando via gli indù e i sikh che storicamente hanno fatto parte di quel paese, cambiando definitivamente il volto di Afghanistan averso il suo impoverimento.
Dobbiamo congelare le evacuazioni finché non avremo un processo ordinato in atto. Questo potrebbe cambiare, ma attualmente non c’è assolutamente alcun motivo per la fretta e ogni motivo per la cautela. Dobbiamo riaprire l’ambasciata e rimanere in stretto contatto con i talebani non solo per monitorarli, ma anche per cercare di modellare il loro comportamento, a cui, finora, sembrano disponibili. Dobbiamo ricordare ciò che stavamo cercando di ottenere in Afghanistan: tutte le persone che abbiamo istruito e tutte le cose che abbiamo fatto per raggiungere tale obiettivo, e non portare il capitale umano risultante, i valori incorporati e le opportunità economiche fuori da quel paese con il carico aereo, su ali di paura.
La dott.ssa Cheryl Benard è stata direttrice del programma nella divisione di ricerca sulla sicurezza nazionale della RAND. È l’autrice di Veiled Courage, Inside the Afghan Women’s Resistance; Afghanistan: Stato e società ; Democrazia e Islam nella Costituzione dell’Afghanistan ; e Garantire la salute, lezioni dalle missioni di costruzione della nazione . Attualmente è il Direttore di ARCH International, un’organizzazione che protegge i siti del patrimonio culturale nelle zone di crisi.
https://nationalinterest.org/feature/what-do-taliban-really-want-192306?page=0%2C1
Afghanistan, ultim’ora e aggiornamenti
Con le ultime informazioni delle ore 20:00 del 28 agosto chiudiamo per il momento la rubrica
Con il precipitare della situazione legata agli attentati all’aereoporto di Kabul avviamo questa rubrica di aggiornamento. Partiamo da alcune constatazioni: i talebani sono lontani dall’aver assunto un controllo stabile del paese; il governo afghano è composto da un numero un po’ troppo elevato di componenti reclusi da anni in carceri pachistane e statunitensi e rilasciati a pochi mesi dalla conquista di Kabul; la linea di condotta statunitense in apparenza prevalente prevede una collaborazione di fatto con i talebani, ma non prosegue senza contrasti interni e strategie nascoste; gli attentati, eseguiti alla scadenza della fase di evacuazione, hanno tutta l’aria di una provocazione tesa a sconvolgere l’assetto che si sta prefigurando. Vedremo le reazioni di Cina, Russia e Turchia e soprattutto l’atteggiamento delle forze di opposizione che si stanno coagulando intorno a Massud in Pansjshir_ Giuseppe Germinario
26/08/2021 Ore:18:55
Mappa Aeroporto di Kabul, per comprendere il contesto in cui si svolgono i correnti avvenimenti.
26/08/2021 Ore:19:04
“L’Emirato Islamico condanna fermamente l’attentato che ha colpito i civili all’aeroporto di Kabul, avvenuto in una zona dove la sicurezza è nelle mani delle forze americane. L’Emirato Islamico attribuisce grande importanza alla sicurezza e alla protezione della sua gente e respingerà severamente i crimini dei circoli malvagi.”
Dr. M.Naeem; portavoce dell’Ufficio Politico dell’Emirato islamico dell’Afghanistan.
26/08/2021 Ore:19:11
Secondo fonti del Dipartimento di Stato Americano; sarebbero almeno 40 i morti e oltre 120 i feriti, la maggioranza in condizioni critiche, a seguito degli attentati terroristici a Kabul.
26/08/2021 Ore:21:24
L’ISIS rivendica gli attacchi mortali vicino all’aeroporto di Kabul:
– 2 attentati suicidi vicino all’aeroporto
– Almeno 60 morti, incluso bambini
– 12 militari degli Stati Uniti uccisi
– Più di 150 feriti
26/08/2021 Ore:21:39
Secondo l’agenzia di stampa Afghana; https://asvakanews.com/en/ , qualche minuto fa ci sarebbe stata la settima esplosione a Kabul. La citta e` in questo momento, letteralmente parlando, sotto un massiccio attacco. La notte si preannuncia tragica…
#Breaking, a huge & Shocking explosion, waves shake #Kabul 6th explosion. And another 7the explosion while I’m writing this. Two explosions pic.twitter.com/di1TpyTcN5
— Aśvaka – آسواکا News Agency (@AsvakaNews) August 26, 2021
26/08/2021 Ore: 22:00
Il presidente Biden parlerà della situazione in Afghanistan dalla Casa Bianca alle 17:00 ora di Washington.
26/08/2021 Ore: 22:06
Dichiarazione di Donald J. Trump, 45esimo presidente degli Stati Uniti d’America:
“Melania ed io inviamo le nostre più sentite condoglianze alle famiglie dei nostri brillanti e coraggiosi membri del servizio il cui dovere nei confronti degli Stati Uniti ha significato così tanto per loro.”
“I nostri pensieri sono anche con le famiglie dei civili innocenti morti oggi nel selvaggio attacco di Kabul.
“Questa tragedia non avrebbe mai dovuto accadere, il che rende il nostro dolore ancora più profondo e più difficile da capire.
“Che Dio benedica gli Stati Uniti.”
26/08/2021 Ore: 22:16
Oggi è stato il giorno più funesto, per le truppe statunitensi, dall’attacco ad un elicottero avvenuto il 5 agosto 2011. In altre parole; l’attacco più mortale in più di un decennio sostenuto contro le truppe americane. Trump sarebbe stato colui che non sapeva quello che faceva…
26/08/2021 Ore: 23:10
Le facce del fallimento militare americano in Afghanistan:
26/08/2021 Ore: 23:22
Mentre Kabul e nel caos, lo strano silenzio sulle vicende in Afghanistan della Kamala Harris continua, qui pone i fiori alla lapide di ricordo di John McCain ad Hanoi, in Vietnam, dove prosegue il suo diplomatico viaggio oltre oceano.
“Oggi, nel terzo anniversario della sua scomparsa, ho reso omaggio a un eroe americano, il senatore John McCain. In questo sito nel 1967, l’allora tenente comandante McCain fu abbattuto con il suo aereo. Onoriamo il suo sacrificio in Vietnam e il sacrificio di tutti i nostri uomini e donne in uniforme.”
Intanto su Twitter imperversa la frase: ”Presidente Harris” Nei prossimi giorni ne vedremo delle belle…
Today, on the three-year anniversary of his passing, I paid my respects to an American hero, Senator John McCain. At this site in 1967, then-Lieutenant Commander McCain was shot down. We honor his sacrifice in Vietnam, and the sacrifice of all our men and women in uniform. pic.twitter.com/rrxJ8RUxQJ
— Vice President Kamala Harris (@VP) August 25, 2021
27/08/2021 Ore: 01:17
Mentre osserviamo gli avvenimenti in Kabul, frutto dell’incompetenza della amministrazione Biden, vogliamo ricordare l’establishement politico, incluso i Repubblicani, che pur di sbarazzarsi di Trump, si sono allineati con un uomo che soffre di demenza senile e che per oltre 4 decenni è stato l’emblema del potere burocratico di Washington. I repubblicani sono colpevoli quanto i democratici di questa catastrofe Afghana.
Per non dimenticare: “Sarà un comandante in capo sul quale la migliore forza combattente nella storia del mondo potrà fare affidamento, perché Biden sa cosa vuol dire mandare un figlio a combattere.”
Tweet di Cindy McCain moglie del guerrafondaio John Mccain del 22 Settembre 2020…
He will be a commander in chief that the finest fighting force in the history of the world can depend on, because he knows what it is like to send a child off to fight.
— Cindy McCain (@cindymccain) September 22, 2020
27/08/2021 Ore: 02:00
Massiccio spostamento ieri di aerei dell’aviazione americana dall’Islanda alla base USAF Fairford in Inghilterra. Si sono visti tra l’altro i B-52 Stealth Bomber e gli U2-Spy Plane. Destinazione finale? Obbiettivi? I Telebani? ISIS? Probabilmente Biden avrà un obiettivo da colpire per salvare la faccia…
27/08/2021 Ore: 03:34
Terminata la conferenza stampa di zio Joe. Una conferenza stampa surreale, dove Biden, nonostante le domande soft della stampa amica è sembrato a volte quasi smarrito. Una conferenza stampa senza sussulti che lascia più dilemmi che risposte. Un punto chiave è stato quando, dopo il discorso, Biden ha aperto il giro di domande con la frase “Signore e signori, mi hanno dato una lista qui. La prima persona che mi è stato chiesto di chiamare è Kelly O’Donnell della NBC…“
27/08/2021 Ore: 03:49
Durante la conferenza stampa di Joe Biden, in diretta sul canale youtube della CNBC, i “non mi piace” erano tre volte più dei “mi piace”. Vogliono farci credere che Biden è stato il presidente più votato della storia politica americana, 82 milioni di votanti…
27/08/2021 Ore: 04:01
Il generale Dean Milner (in pensione), che è stato l’ultimo comandante canadese in Afghanistan racconta al The Toronto Sun che le forze talebane e dell’ISIS stanno ora pilotando elicotteri Blackhawk e hanno il controllo di centinaia di veicoli da battaglia terrestri. “La comunità internazionale (Joe Biden?) ha fatto un casino…”
27/08/2021 Ore: 04:07
Il generale Scott Miller non credeva che chiudere la base aerea di Bagram fosse la strategia giusta…E iniziata la corsa allo scarica barile…
27/08/2021 Ore: 05:19
Secondo un sondaggio condotto da Rasmussen; solo il 34% degli americani ritiene di potersi “fidare” di Joe Biden e dei suoi funzionari sulle informazioni riguardo la situazione in Afghanistan. Sono numeri da morto che cammina…
27/08/2021 Ore:15:56
La Kamala Harris e` rientrata dal suo viaggio in Vietnam, si attendono sviluppi nei prossimi giorni. Si alzano sempre di più insistenti le voci che vogliono Biden dimettersi per elevare la Harris a presidente.
27/08/2021 Ore:16:12
Nonostante gli attentati, le evacuazioni sono proseguite senza sosta, nelle ultime 24 ore ci sono state:
– 12.500 persone state evacuate da Kabul.
– 35 voli militari statunitensi (29 C-17 e 6 C-130) hanno trasportato 8.500 sfollati e 54 voli della coalizione che hanno trasportato più di 4.000 persone.
– 105.000 evacuati dal 14 Agosto.
27/08/2021 Ore:16:20
Il bilancio delle vittime dell’attacco all’aeroporto di Kabul è salito a 170 persone, tra cui 32 uomini, 3 donne e 3 bambini. Quasi 200 i feriti.
27/08/2021 Ore:16:51
Le forze della NATO hanno iniziato a ritirarsi dall’Afghanistan. Ma esperti civili turchi potrebbero rimanere nel paese per aiutare i talebani a gestire l’aeroporto di Kabul, possibilmente tenendo aperta una via d’uscita.
27/08/2021 Ore:17:00
L’Afghan Taekwondo Federation conferma che Mohammad Jan Soltani, membro della squadra nazionale di taekwondo, è stato ucciso ieri in un attacco suicida a Kabul.
27/08/2021 Ore:17:08
Secondo l’Agenzia di stampa Afghana AsvakaNews, i video che oggi mostrano caos intorno all’aeroporto di Kabul non sono veri. La reale situazione e che i Talebani hanno bloccato le strade che portano all’aeroporto di Kabul, di conseguenza la situazione intorno all’aeroporto stesso e relativamente tranquilla.
Today!
The videos showing Chaos near the #kabulairport are not true. This is the real situation in eastern gate Baron Hotel side. #Talibans have blocked the roads leading to the Kabul airport.
Stay with #AsvakaNews for the latest updates. pic.twitter.com/xfr0H5vScp— Aśvaka – آسواکا News Agency (@AsvakaNews) August 27, 2021
27/08/2021 Ore:18:02
C’è sempre molta confusione per quanto riguarda le notizie che descrivono i responsabili degli attacchi suicidi a Kabul. ISIS-K avrebbe rivendicato gli attacchi. Chi sono gli ISIS-K?
“La provincia dello Stato islamico del Khorasan, nota anche con gli acronimi ISIS-K, ISKP e ISK, è l’affiliata ufficiale del movimento dello Stato islamico che opera in Afghanistan, come riconosciuto dalla leadership principale dello Stato islamico in Iraq e Siria.
ISIS-K è stata fondata ufficialmente nel gennaio 2015. In un breve periodo di tempo, è riuscita a consolidare il controllo territoriale in diversi distretti rurali nel nord e nord-est dell’Afghanistan e ha lanciato una campagna letale in Afghanistan e Pakistan. Nei suoi primi tre anni, ISIS-K ha lanciato attacchi contro gruppi minoritari, aree pubbliche, istituzioni e obiettivi governativi nelle principali città dell’Afghanistan e del Pakistan.
Secondo il Global Terrorism Index della Institute for Economics and Peace, nel 2018 era diventata una delle quattro organizzazioni terroristiche più letali al mondo.
Ma dopo aver subito gravi perdite territoriali, di leadership e di base come risultato delle operazioni militari della coalizione guidata dagli Stati Uniti e i suoi partner afghani che sono culminate nella resa di oltre 1.400 dei suoi combattenti e delle loro famiglie al governo afghano tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020, l’organizzazione fu dichiarata, da alcuni, sconfitta. (Amministrazione Trump-Come dimenticarsi del famoso Moab lanciato constro ISIS-K da Trump nell’Aprile 2017? https://www.nbcnews.com/news/world/why-america-dropped-mother-all-bombs-isis-afghanistan-n746481),
SIS-K è stata fondata da ex membri dei talebani pakistani, dei talebani afgani e del Movimento islamico dell’Uzbekistan. Nel corso del tempo, però, il gruppo ha pescato da militanti di vari altri gruppi.
Uno dei maggiori punti di forza del gruppo è la sua capacità di sfruttare l’esperienza locale di questi combattenti e comandanti.
La strategia generale di ISIS-K è stabilire una testa di ponte per il movimento dello Stato Islamico per espandere il suo cosiddetto califfato nell’Asia centrale e meridionale.
ISIS-K mira a consolidarsi come la principale organizzazione jihadista nella regione, in parte cogliendo l’eredità dei gruppi jihadisti che l’hanno preceduta. Ciò è evidente nel messaggio del gruppo, che fa appello ai combattenti jihadisti veterani e alle popolazioni più giovani nelle aree urbane.
ISIS-K vede i talebani afghani come suoi rivali strategici. Marchia i talebani afghani come “sporchi nazionalisti” con l’ambizione di formare un governo confinato ai confini dell’Afghanistan. Ciò contraddice l’obiettivo del movimento dello Stato Islamico di stabilire un califfato globale.
Fin dal suo inizio, l’ISIS-K ha cercato di reclutare membri talebani afgani, prendendo di mira anche le posizioni talebane in tutto il paese.
Gli sforzi di ISIS-K hanno avuto un certo successo, ma i talebani sono riusciti ad arginare le sfide del gruppo perseguendo attacchi e operazioni contro il personale e le posizioni dell’ISIS-K.
Questi scontri si sono spesso verificati in tandem con la forza aerea statunitense e afgana e le operazioni di terra contro l’ISIS-K, sebbene non sia ancora chiaro fino a che punto queste operazioni siano state coordinate.
Ciò che è chiaro è che la maggior parte delle perdite di personale e leadership dell’ISIS-K sono state il risultato di operazioni guidate dagli Stati Uniti e dell’Afghanistan, e in particolare dagli attacchi aerei americani…”
27/08/2021 Ore:18:09
Durante la conferenza stampa di questa sera, il funzionario stampa del pentagono ha affermato che MIGLIAIA di prigionieri dell’ISIS-K sono stati rilasciati dai talebani.
27/08/2021 Ore:18:56
Pentagono: ad oggi più di 5.000 soldati americani rimangono operativi in Afghanistan.
27/08/2021 Ore:19:01
Il segretario di stampa John Kirby afferma che il Pentagono è “preparato e si aspetta” futuri attacchi terroristici in Afghanistan.
27/08/2021 Ore:19:53
Secondo fonti locali le forze talebane sono entrate nella sezione militare dell’aeroporto di Kabul. Gli Stati Uniti potrebbero cedere il controllo dell’aeroporto già da stasera.
27/08/2021 Ore:20:02
Dalla regione di PANJSHIR: Ogni villaggio nella valle del PANJSHIR ha il proprio gruppo armato locale pronto ad unirsi alla Resistenza nazionale.
Sempre dalla regione del PANJSHIR: Forti scontri sono in corso tra le Forze della Resistenza ei Talebani nella provincia di Kapisa confinante con il PANJSHIR.
27/08/2021 Ore:20:11
Sono inziate le cronache della resitenza afghana: un ritorno al passato, come era la situazione nel paese prima dell’11 di settembre 2001: Il Pansjshir ritorna ad essere il centro della resitenza antitalebana. Il Fronte della Resistenza guidato da Amir Javan (Ahmad Massoud) chiede, tramite uno dei suoi comandati, a tutti i mujaheddin e i combattenti di riunirsi allo stesso fronte per continuare la lotta.
“Sia lodato Dio, finora la situazione nel Panjshir, centro della resistenza, è abbastanza buona, non c’è motivo di preoccuparsi. Siamo pronti al sacrificio e al martirio”
الحمدلله تاکنون در پنجشیر مرکز مقاومت وضعیت کاملاًخوب است،هیچ جای تشویش وجود ندارد.ما برای قربانی و شهادت آماده استیم
Praise be to God,so far the situation in Panjshir,the center of the resistance, is quite good,there is no cause for concern.We are ready for sacrifice & martyrdom— Hamid Saifi حامد سیفی (@HamidSaifi16) August 23, 2021
در پهلوی بحث و مذاکرات ، همه آمادگی های رزمی برای مقاومت موجود است.
Alongside Negotiation , all combat preparations are available for Resistance #panjshirResistance #Panjshir #Resistance2 #مقاومت_دوم #پنجشیر pic.twitter.com/FJuA6Igz2q— Hamid Saifi حامد سیفی (@HamidSaifi16) August 26, 2021
27/08/2021 Ore: 20:25
I deputati repubblicani alla camera introducono gli articoli di impeachment contro il Segretario di Stato Blinken. Una vittima(e) sacrificale dovrà per forza esserci…
27/08/2021 Ore: 20:47
Una di queste teste non vedrà l’arrivo dell’inverno, garantito…
27/08/2021 Ore: 22:30
Le facce dei soldati americani morti negli attacchi terroristici di ieri, il numero ufficiale è ora salito a 13:
28/08/2021 Ore: 01:41
I talebani ispezionano alcuni dei 75.000 veicoli militari donati loro da Biden in Afghanistan. Hanno anche ereditato 200 aerei e oltre mezzo milione di armi!
28/08/2021 Ore: 02:24
Un gruppo privato di veterani statunitensi chiamato “The Pineapple Express” è andato da solo in Afghanistan, senza il supporto di enti governativi e ha portato in salvo oltre 500 persone.
https://abcnews.go.com/Politics/us-special-operations-vets-carry-daring-mission-save/story?id=79670236
28/08/2021 Ore: 02:30
L’evacuazione dei civili e ora ufficialmente terminata, l’estrazione dei militari (circa 5000) e iniziata, il tutto dovrebbe concludersi entro le prossime 48 ore, dopo di che cala il sipario sulle guerra più lunga mai combatuta dagli americani.
28/08/2021 Ore: 03:00
Il famoso giornalista Chris Wallace ha affermato che la presidenza di Biden non sopravviverà al prossimo attacco terroristico perpetrato in terra americana…
28/08/2021 Ore: 05:00
Dopo l’ordine di Biden di pianificare una reazione all’attentato di Kabul, questa notte è partito un primo attacco con droni che avrebbe colpito un dirigente dell’ISIS-K nella provincia di Nangharar
28/08/2021 Ore 07:00
In una sala conferenze del lussuoso hotel The Willard, nel centro di Washington, DC , un gruppo di volontari sta cercando disperatamente di far entrare le persone nell’aeroporto di Kabul e farle salire su aerei appositamente noleggiati.
Tra coloro che lavorano venerdì sera ci sono veterani militari, il vice ambasciatore dell’ambasciata afgana, ex appaltatori militari e altro ancora. I volontari sono guidati da Zach Van Meter, presidente della società di private equity New Standard Holdings. Van Meter ha detto di essere stato contattato per chiedere aiuto a 3.500 orfani fuori da Kabul.
28/08/2021 Ore 09:00
Gente che va, gente che viene.
da Globaltimes
Riapre China Town in Afghanistan, non sconvolta dalle esplosioni mortali all’aeroporto di Kabul: fonti
La China Town nella capitale dell’Afghanistan, Kabul, è stata riaperta nei giorni scorsi, senza grandi disagi a causa delle esplosioni all’aeroporto di Kabul che hanno ucciso almeno 100 persone, tra cui 13 membri delle forze armate statunitensi. Ma gli imprenditori cinesi hanno dichiarato al Global Times che stanno intensificando gli sforzi di sicurezza per affrontare i conflitti armati persistenti.
28/08/2021 Ore 09:00
Dall’Iran nel 2019: https://www.tehrantimes.com/news/432382/U-S-Caught-Helping-ISIS-Commanders-Escape-from-Taliban-Prison
politica dell’usa e getta. Da verificare, ma verosimile
Gli Stati Uniti hanno aiutato i comandanti dell’ISIS a fuggire dalla prigione dei talebani in Afghanista_gennaio 2019
TEHERAN – Un gran numero di prigionieri, tutti membri anziani del gruppo terroristico Daesh (anche ISIS o ISIL), è evaso da una prigione talebana nel nord-ovest dell’Afghanistan dopo che le truppe statunitensi li hanno aiutati a fuggire attraverso un’operazione segreta.
Secondo i dispacci di Tasnim, le forze americane operanti in Afghanistan due settimane fa hanno effettuato un’operazione militare segreta nella provincia nordoccidentale di Badghis e hanno aiutato i detenuti Daesh a fuggire dalla prigione.
Il rapporto aggiunge che 40 capi daesh, tutti stranieri, sono stati trasferiti con elicotteri dopo che le truppe americane hanno fatto irruzione nella prigione e ucciso tutte le sue guardie di sicurezza.
Abdullah Afzali, vice capo del consiglio provinciale di Badghis, ha confermato la notizia.
Fonti informate hanno fornito un resoconto dettagliato dell’operazione statunitense per il salvataggio delle forze Daesh e degli sviluppi che hanno aiutato gli americani a individuare l’ubicazione della prigione nelle zone montuose.
Aminullah, un uomo dell’Uzbekistan, era uno dei comandanti Daesh tenuti prigionieri nella prigione dei talebani. Il suo successo nella fuga dal carcere ha portato al licenziamento della guardia carceraria talebana e alla sua punizione.
Aminullah è stato uno dei leader di spicco Daesh nelle parti settentrionali dell’Afghanistan.
Fonti informate suggeriscono che il cittadino uzbeko avesse stabilito stretti contatti con le forze militari americane sin dai primi giorni del suo trasferimento in Afghanistan.
Gli americani usavano Aminullah come infiltrato tra i talebani per acquisire informazioni per condurre operazioni contro i talebani nel nord dell’Afghanistan.
“L’Iran ha informazioni precise che gli Stati Uniti stanno trasferendo Daesh in Afghanistan”_gennaio 2019
TEHERAN – Yahya Rahim Safavi, uno dei massimi consiglieri militari del Leader, ha detto martedì che l’Iran ha “informazioni precise” che gli Stati Uniti stanno trasferendo militanti Daesh in Afghanistan.
In una cerimonia tenuta per celebrare il 40esimo anniversario della vittoria della Rivoluzione Islamica, Safavi ha anche affermato che il potere degli Stati Uniti e del regime sionista è in declino “ma il potere dell’Iran sta aumentando e ora siamo una potenza regionale”.
Il leader della Rivoluzione Islamica, l’Ayatollah Ali Khamenei, ha dichiarato nel gennaio 2018 che gli Stati Uniti stanno cercando di giustificare la propria presenza nella regione trasferendo Daesh dall’Iraq e dalla Siria in Afghanistan.
“Sono stati sconfitti, in precedenza, in Iraq e in Siria. Ora, cercano di riaccendere il terrore in Afghanistan”, ha detto il leader, secondo khamenei.ir.
28/08/2021 Ore 16:47
I neocons rialzano la testa: John Bolton: ” …questo ritiro è stato pasticciato ed è uno dei motivi per cui siamo ora in grave pericolo, ma esprime anche l’aspetto fondamentale dell’errore del ritiro stesso. “
28/08/2021 Ore 17:00
Messaggio di Tulsi Gabbard: “Dopo l’attacco terroristico di al-Qaeda, l’11 settembre 2001, i nostri coraggiosi militari e forze speciali si erano prontamente schierati per sconfiggere al-Qaeda in Afghanistan, completando la loro missione in modo rapido ed efficace. In quel momento saremmo dovuti tornare a casa” (non 20 anni dopo…)
28/08/2021 Ore 17:03
Joe Biden ha dato al Pentagono il “via libera” per colpire qualsiasi obiettivo affiliato all’ISIS-K, il gruppo responsabile dell’attacco mortale di questa settimana a Kabul, senza chiedere l’approvazione della Casa Bianca.
28/08/2021 Ore 17:10
Il generale Kenneth McKenzie, comandante del Comando Centrale degli Stati Uniti, ha rivelato l’esistenza di un’operazione di condivisione di intelligence tra Stati Uniti e Talebani. Secondo McKenzie, i Talebani e gli Stati Uniti condividono lo “scopo comune” di portare a termine la missione di evacuazione in corso entro il 31 agosto.
McKenzie ha detto di non credere che i talebani abbiano intenzionalmente permesso che si verificassero gli attacchi di giovedì, ma ha ammesso di non saperlo con certezza.
28/08/2021 Ore 17:14
Pentagono: Due obiettivi ISIS “di alto profilo” sono stati uccisi nell’attacco con droni nell’Afghanistan orientale, un altro terrorista ferito, le forze statunitensi “continueranno” la caccia ad altri obiettivi.
28/08/2021 Ore 18:02
Il portavoce del Pentagono John Kirby afferma che gli Stati Uniti non rilasceranno i nomi dei due membri dell’ISIS “di alto profilo” uccisi in un attacco di droni in Afghanistan…(Perche`?)
28/08/2021 Ore 19:13
Foto dell’attacco americano che ha colpito una casa nel 7° distretto di Qala-e-Naghrak, provincia orientale di Nangarhar. L’esercito americano afferma che un membro chiave del gruppo dello Stato Islamico è stato ucciso in un attacco aereo che era la mente dell’attacco all’aeroporto di Kabul.
28/08/2021 Ore 19:29
I talebani condannano l’attacco dei droni statunitensi contro i militanti dello Stato islamico. “E’ stato un chiaro attacco al territorio afghano“, ha detto il portavoce del gruppo Zabihullah Mujahid.