GAETANO MOSCA E LA “DISPARITÁ DELLE ARMI”, di Teodoro Klitsche de la Grange

GAETANO MOSCA E LA “DISPARITÁ DELLE ARMI”

Anche nelle recenti norme per i sostegni al COVID-19 abbiamo avuto la conferma, perfino da un governo non cosi scrauso come quelli che l’hanno preceduto (da Monti in poi), di quanto la “parità delle armi” tra cittadini e pubbliche amministrazioni sia invisa alle burocrazie italiane (e non solo a loro).

Vi si legge infatti che qualora sia richiesto ed ottenuto dal privato un contributo non spettante l’Agenzia delle Entrate recupera il contributo irrogando le sanzioni in misura corrispondente a quelle previste dall’art. 13, comma 5 del D.lgs. n. 471/1997, e applicando gli interessi dovuti dall’art. 20 del D.P.R. n. 602/1973 (interessi nella misura del 4%); ma se il contributo è percepito in misura superiore a € 3.999,30, è sanzionato anche penalmente con la reclusione da 6 mesi a 3 anni. Fin qui nihil novi; come al solito, la p.a. fruisce del privilegio di autotutela (e autodichia), cioè di accertare (tra l’altro) che il fatto sia avvenuto, che sia un illecito, nonché la misura della sanzione da applicare. Tutte cose che ad un privato – e giustamente – sono inibite, di guisa che è costretto a pagare all’uopo l’avvocato per rivolgersi al giudice.

L’enorme disparità tra le parti è evidente: al privato che sbaglia (o imbroglia) si applicano le sanzioni; ma se a farlo è il funzionario non c’è una sanzione specifica che il legislatore si sia preoccupato di istituire nel decreto sostegni. Ne è facile ricondurre la consueta pigrizia della p.a., a specifiche ipotesi di reato.

A tale proposito è il caso di ricordare quanto scriveva Gaetano Mosca sull’Habeas Corpus. Sosteneva che tale legge “tutela i cittadini inglesi contro gli arresti arbitrari e contro le lunghe detenzioni preventive in attesa di giudizio in modo così pratico ed efficace che non è stato possibile in nessun altro paese, e neppure nel secolo XIX, fare di meglio” e la norma di chiusura dell’Habeas corpus sanziona “ogni ufficiale di polizia, magistrato o carceriere, che violi in qualunque modo l’Habeas corpus, deve pagare, ognuno per contro proprio, un indennizzo di cinquecento sterline alla parte lesa”1. E notava come “efficacissimo strumento di tutela della libertà individuale si è sempre dimostrata la disposizione contenuta nel comma quarto, che stabilisce la responsabilità diretta e pecuniaria dei pubblici funzionari”.

Tale considerazione del grande scienziato politico è da valutare seriamente anche oggi: se proprio non è possibile (ma almeno in parte lo è) evitare, o almeno ridurre, le sanzioni (unilaterali) a carico dei privati; almeno ne siano previste di corrispondenti per comportamenti analoghi dei dipendenti pubblici. In fondo, scriveva Carnelutti, la funzione della sanzione nel diritto è “rendere inviolabile e perciò avvalorare qualche cosa; ciò che viene avvalorato, in quanto si cerca di impedirne la violazione, è il precetto, in cui l’ordine etico si risolve”. Per cui a contrario se non si sanziona il comportamento del funzionario ciò significa che non lo si vuole disincentivare, o, quanto meno che il problema non interessa (ai governanti).

Anzi, preme il contrario: il funzionario che non risponde della proprie azioni od omissioni, è più incline a comportamenti “in linea” con il vertice politico che non sempre sono conformi al diritto vigente.

D’altra parte ci sono voluti secoli per abolire la tutela del funzionario attraverso la “garanzia amministrativa” (su cui ironizzava Tocqueville), cancellata dalla Corte Costituzionale solo negli anni ’50 del secolo passato; e non aspettiamoci che norme così favorevoli ai governanti e al loro aiutantato (Miglio), possano essere abolite o ridimensionate senza una lotta dura (e lunga).

La quale deve partire dalle idee; ho ricordato Mosca, come in altri articoli Orlando o Pareto, e non a caso. Se Mosca e Pareto sono considerati (o almeno tra) i padri della scienza politica moderna, sarebbe il caso di seguirne i consigli. E soprattutto non cadere nel sacco delle argomentazioni contrarie (usuali in casi del genere): che così non si può più governare, che i funzionari non firmeranno niente, ecc. ecc.

Non si capisce, se fosse vero ciò (fino ad un certo punto lo è, e l’ho spiegato altrove), per quale ragione stiano ottimamente in forma altri Stati, in primis la Gran Bretagna che delle disparità tra governanti e governati hanno fatto un uso tutto sommato moderato.

A sentire certi sermoni – e se questi fossero veri – la Gran Bretagna avrebbe dovuto essere da secoli una provincia della Francia (o della Spagna), perché impossibilitata a mantenersi come Stato (indipendente). Invece, malgrado l’Habeus corpus e il Bill of rights ha costruito e gestito un grande impero ed è sempre stata in-dipendente. Anche negli ultimi anni con la Brexit ha dato prova di volere un destino nazionale. E che gli istituti a tutela delle libertà individuali non impediscono – almeno nel lungo periodo – indipendenza nazionale ed efficienza pubblica.

Teodoro Klitsche de la Grange

 

1 V. Appunti di diritto costituzionale, Milano 1912, pp. 46-47.

Semiconduttori: la ricerca della sovranità (2/5), di Gavekal

I semiconduttori rappresentano la principale sfida tecnologica per gli anni a venire. Sono essenziali per lo sviluppo della tecnologia digitale e dell’industria, e quindi dell’economia. La Cina è in ritardo rispetto a Stati Uniti e Taiwan. Catturare il mercato dei semiconduttori è quindi una sfida importante per la sovranità dei paesi.

ultimo di cinque articoli 

 

Traduzione di conflitti Articolo di Dan Wang originariamente pubblicato sul sito web di Gavekal

2. La politica di supporto dei semiconduttori

 

Non è per mancanza di tentativi che la Cina occupa una posizione modesta nell’industria globale dei semiconduttori. Dagli anni ’80, il governo ha attuato varie politiche per promuovere i semiconduttori. All’inizio degli anni 2000, Pechino ha sovvenzionato le fonderie nazionali, tra cui Semiconductor Manufacturing International Corp. con sede a Shanghai, per competere con TSMC. Questa politica di promozione delle fonderie non ha avuto successo: SMIC è solo un decimo delle dimensioni di TSMC ed è stata superata da Samsung diversi anni fa e la quota della Cina nei ricavi globali delle fonderie è rimasta al di sotto del 10%. Ma non ha nemmeno completamente fallito. SMIC è la quinta fonderia al mondo e, pur non essendo mai stata al passo con il progresso tecnologico, ha mostrato tenacia nel non restare indietro.

Da leggere anche:  Semiconduttori: la guerra fredda di Pechino e Santa Clara

Altre politiche non erano mirate direttamente ai semiconduttori, ma hanno contribuito a creare un mercato dinamico e un ambiente di produzione per l’elettronica. Questi includono la campagna di “informatizzazione” iniziata nei primi anni ’90 e finalizzata all’informatizzazione di tutte le funzioni del governo e alla costruzione di moderne reti di telecomunicazioni. Questo orientamento verso le reti e la prima focalizzazione sulla telefonia mobile hanno contribuito all’ascesa di aziende nazionali di apparecchiature per le telecomunicazioni, guidate da Huawei, che è passata dall’essere un grande acquirente di chip ad essere un importante acquirente di chip. sistemi attraverso la sua controllata HiSilicon. La Cina era probabilmente condannata ad avere comunque una grande industria elettronica. Ma nella misura in cui la politica del governo ha svolto un ruolo, questo sviluppo dell’ecosistema ha avuto un impatto maggiore rispetto al supporto specifico per i semiconduttori, che è stato piuttosto inefficace.

 

Attraversa il Rubicone

 

La politica dei semiconduttori ha preso piede nel 2014, con la pubblicazione di linee guida per promuovere lo sviluppo dell’industria nazionale dei circuiti integrati. Qualcosa del genere era probabilmente inevitabile dato il desiderio di lunga data della Cina di essere indipendente e di occupare una posizione di leader nelle tecnologie di base, ma il pungiglione immediato potrebbero essere state le rivelazioni di Edward Snowden nel 2013 sulla raccolta di spionaggio informatico statunitense, che ha reso i cinesi Il governo comprende il rischio per la sicurezza nazionale di un’eccessiva dipendenza dall’hardware tecnologico delle società statunitensi.

Le linee guida nazionali IC stabiliscono obiettivi di produzione per l’industria dei chip e stabiliscono un piccolo gruppo guidato dal governo per supervisionare lo sviluppo del settore. Ancora più importante, hanno creato un ampio meccanismo di finanziamento e incoraggiato le aziende cinesi a effettuare acquisizioni internazionali in modo aggressivo.

Leggi anche: Taiwan: la piattaforma dei semiconduttori

Il fondo di finanziamento più ovvio è stato il National Integrated Circuit Fund da 139 miliardi di RMB (20 miliardi di dollari USA), istituito nel 2014 dal Ministero delle finanze e dal Ministero dell’industria e della tecnologia, con il contributo di otto gruppi di imprese pubbliche. Una filiale della China Development Bank è stata nominata per gestire il fondo. Il Fondo nazionale CI ha raccolto una seconda tranche di 200 miliardi di RMB (29 miliardi di dollari USA) nel 2018. Molti governi locali hanno istituito i propri fondi CI, che sono più difficili da tracciare ma possono avere un capitale totale più importante del fondo nazionale. Questo modello di “fondo di orientamento industriale” gestito dallo stato si è diffuso rapidamente in altri settori. Grazie a questo generoso finanziamento,

 

I fondi di orientamento non sono l’unico meccanismo di sostegno pubblico. Le sovvenzioni dirette sono un altro, e sono state particolarmente importanti per lo SMIC, che ha registrato 300 milioni di dollari in contributi pubblici nel 2019, una cifra equivalente al 10% del suo reddito totale e superiore all’utile netto dell’anno. Nel complesso, tuttavia, Pechino fa molto meno affidamento su sussidi espliciti che su supporto implicito, principalmente consentendo alle aziende di accedere a finanziamenti azionari e di debito a un costo inferiore rispetto al mercato. Parte di questo aiuto è fornito dai fondi di orientamento CI, ma alcuni non lo sono, come i prestiti a basso costo o l’acquisto di obbligazioni da parte delle banche statali.

Da leggere anche:  Cina contro Alibaba. La formica e le cicale

L’importanza del capitale a buon mercato

 

Uno studio dell’OCSE sui sussidi globali ai semiconduttori ha rilevato che durante il periodo 2014-18, i sussidi diretti a quattro importanti società cinesi di circuiti integrati hanno rappresentato il 5% o meno dei loro ricavi. Una stima bassa suggerisce che l’accesso al capitale a buon mercato ha almeno raddoppiato il livello di sostegno pubblico per tutte le imprese. Secondo l’alta stima dell’OCSE, l’accesso al capitale a buon mercato avrebbe potuto aumentare il sostegno statale per il salario minimo e Tsinghua Unigroup rispettivamente al 40% e al 30% del loro reddito.

 

Questi livelli di supporto sono molto più alti, in relazione ai ricavi aziendali, rispetto a qualsiasi altro gruppo di società CI nel mondo. Per le altre 17 società non cinesi nello studio dell’OCSE, il sostegno statale da tutte le fonti è compreso tra l’1% e il 5% delle entrate e difficilmente proviene da capitali a basso costo. Al di fuori della Cina, la stragrande maggioranza degli aiuti pubblici assume la forma di agevolazioni fiscali: crediti per spese o investimenti in ricerca e sviluppo, aliquote ridotte dell’imposta sulle società, ecc.

Ma date tutte le preoccupazioni sul sostegno statale cinese ai semiconduttori, vale la pena notare che l’OCSE ha affermato che i maggiori beneficiari di agevolazioni fiscali e sussidi diretti, in dollari assoluti, erano tutti non cinesi: Samsung (8 miliardi di dollari), Intel ( $ 7 miliardi), TSMC (US $ 4 miliardi), Qualcomm (US $ 3,8 miliardi) e Micron (US $ 3,8 miliardi) US). Gran parte di questo sostegno non proviene dai governi dei paesi di origine delle società: queste multinazionali sono abili nell’ottenere incentivi dai governi dei vari paesi in cui operano, compresa la Cina.

Leggi anche:  In Cina, vaccinazione alla velocità della luce

Per Tsinghua Unigroup e SMIC, il sostegno diretto al budget attraverso sovvenzioni e crediti d’imposta è stato molto inferiore: 1,5 miliardi di dollari e 1 miliardo di dollari rispettivamente. Tuttavia, l’accesso al capitale a buon mercato è stato in grado di aumentare il sostegno effettivo totale rispettivamente a $ 10 miliardi e $ 6 miliardi. Il massiccio sostegno della Cina alle sue società nazionali può quindi essere inteso in parte come uno sforzo di recupero in un settore in cui gli operatori storici, enormi e potenti, operano su scala globale, possono trarre vantaggio dai regimi di sovvenzione in molti paesi. molti paesi e hanno significative basi di reddito da cui finanziare le loro spese di investimento e ricerca e sviluppo.

 

Un mandato di fusione e acquisizione

 

Fin dall’inizio, i politici cinesi hanno riconosciuto che anche con un forte sostegno pubblico, i produttori di chip nazionali avrebbero difficoltà a crescere rapidamente in molti segmenti. Quindi hanno esortato le aziende cinesi ad acquistare società straniere la cui tecnologia non potevano replicare. Ciò ha portato a una serie di tentativi di acquisizione tra il 2015 e il 2018, con offerte cinesi su Micron, Western Digital, Aixtron e altre società di semiconduttori negli Stati Uniti, in Europa e in Asia. Praticamente nessuna di queste acquisizioni ha avuto successo, con molte bloccate dai governi dei paesi target. Il loro impatto principale è stato quello di provocare una reazione protezionista, soprattutto negli Stati Uniti.

Leggi anche:  Tra Asia ed Europa, tra Russia e America

Un ultimo pezzo della politica sui semiconduttori che ha ricevuto molta più attenzione di quanto dovrebbe essere una serie di obiettivi di quota di mercato digitale pubblicati nei piani Made in China 2025.e varie roadmap tecniche di supporto. Questi includono l’obiettivo del 40% di autosufficienza nazionale in “componenti di base” entro il 2020, che salirà al 70% nel 2030, e obiettivi di quota di mercato per i produttori cinesi di circuiti integrati. in Cina (41-49% entro il 2020, 49- 75% entro il 2030) e nel mondo (15-21% nel 2020, 21-34% nel 2030, o anche di più). Questi obiettivi dovrebbero essere presi sul serio – come una dichiarazione dell’intenzione generale che le aziende cinesi dovrebbero migliorare la loro tecnologia e aumentare la loro quota di mercato – ma non letteralmente. Nei documenti originali, spesso non viene specificato quali siano i valori di riferimento, né se gli obiettivi si riferiscono alla produzione basata in Cina (indipendentemente dalla proprietà) o alla produzione di imprese di proprietà cinese. La domanda per l’industria cinese dei semiconduttori non è se sta raggiungendo questi obiettivi arbitrari e mal definiti, ma quanto velocemente sta migliorando le sue capacità e in quali segmenti.

https://www.revueconflits.com/2-semi-conducteurs-la-quete-de-la-souverainete/

Cina, Russia e la strategia dell’indirizzamento, di George Friedman

Cina, Russia e la strategia dell’indirizzamento

Di: George Friedman

L’Europa è stata il principale campo di battaglia della Guerra Fredda. La NATO ha adottato una strategia difensiva perché non vedeva alcun valore nella conquista dell’Europa orientale e della Russia occidentale. I sovietici, tuttavia, avevano interesse a garantire la penisola europea per proteggere la sua frontiera occidentale e sfruttare la tecnologia e le capacità navali dell’Europa occidentale. Mosca però non potrebbe mai lanciare un attacco. I suoi satelliti occidentali erano imprevedibili. La lunga linea logistica necessaria per supportare un’offensiva corazzata era incerta e vulnerabile agli attacchi aerei. Inoltre, i sovietici non sapevano cosa esattamente avrebbe innescato una risposta nucleare americana. Rischiare uno scambio nucleare non valeva alcun vantaggio possibile che si potesse ottenere da un’offensiva su vasta scala. Quindi, per oltre 40 anni, c’è stata una situazione di stallo in Europa.

I sovietici hanno sostenuto costi che non potevano essere sostenuti poiché limitavano lo sviluppo economico. Né potevano modificare la loro posizione militare senza conseguenze politiche significative in patria o nell’Europa orientale. Così si sono mossi per integrare la loro posizione in Europa con una strategia di indiretto. Il fulcro di questa strategia era creare minacce a basso costo per il potere americano a cui gli Stati Uniti dovevano rispondere e che costringessero gli Stati Uniti a disperdere le forze e invitare a contraccolpi politici.

Il primo grande esempio fu la Corea, dove i sovietici incoraggiarono sia l’invasione del sud che, in seguito, il coinvolgimento cinese. Ci sono stati molti calcoli sull’invasione della Corea del Sud da parte di Russia e Cina, ma alla fine ha creato un problema per gli Stati Uniti: se avesse rifiutato il combattimento, la sua credibilità tra gli alleati sarebbe stata persa, e se si fosse impegnato in un combattimento, avrebbe deviare le forze su un campo di battaglia in cui aveva poco interesse oltre a difendere la propria credibilità. La guerra di Corea ha effettivamente sottratto risorse all’Europa e ha sollevato dubbi sul giudizio e sulla capacità di Washington di rafforzarsi di fronte a un attacco sovietico. La guerra costò al presidente Harry Truman una grande popolarità, costringendolo a non candidarsi nel 1952 e aiutando a incoraggiare l’indebolimento della fiducia maccartista nel governo.

La Corea era l’essenza dell’attacco indiretto. Il costo per i sovietici era basso, le conseguenze politiche e psicologiche alte. Non aveva lo scopo di spezzare il potere americano, ma di indebolirlo e diffonderlo.

I sovietici crearono molti problemi indiretti per gli Stati Uniti in Africa, America Latina e, soprattutto, Vietnam. La parola d’ordine negli Stati Uniti era credibilità, e quella era la forza che costringeva gli Stati Uniti in Vietnam: cedere il Vietnam del Sud avrebbe indebolito la credibilità degli Stati Uniti in Europa, il principale teatro delle operazioni. Quindi i sovietici, insieme alla Cina, fornirono materiale ai nordvietnamiti nel tentativo di indebolire gli Stati Uniti

Gli americani hanno affrontato insurrezioni o regimi sostenuti dai sovietici in tutto il mondo. Hanno anche affrontato gruppi terroristici sostenuti dai sovietici in Europa e altrove. L’intelligence statunitense è stata costretta a una posizione globale piuttosto che mantenere un focus laser sui sovietici. Le azioni degli Stati Uniti in questi paesi hanno portato a fallimenti umilianti e successi catastrofici, in cui il costo politico ha ampiamente superato la minaccia. I sovietici rimasero in una posizione statica nella principale area di combattimento mentre si assumevano rischi minimi per portare gli Stati Uniti fuori posizione nella battaglia principale. Alla fine non sono riusciti a trasformare l’indiretto in una strategia vincente, ma hanno impedito agli Stati Uniti di concentrare le proprie forze direttamente su di loro.

I cinesi ei russi sono entrambi in questa posizione oggi. La marina cinese è con le spalle al muro nella costa orientale della Cina e in una serie di nazioni a poche centinaia di miglia di distanza. Deve sfondare, ma ha poco spazio di manovra, indipendentemente dall’hardware che ha costruito. I cinesi possono o non possono avere successo, ma il risultato è troppo importante perché una nazione rischi la sconfitta.

I russi stanno lottando per riconquistare i confini che avevano più o meno detenuto dal 18° e 19° secolo. Minacciare nuovi territori è una cosa. Cercare di recuperare il territorio perduto è un altro, soprattutto quando il territorio è vasto, come va dall’Ucraina all’Asia centrale. Ciò che è stato perso in un anno impiegherà generazioni a riprendersi. È più vulnerabile di quanto sembri. Ha perso così tanto che riconquistare l’Europa dell’Est è un sogno e deve resistere ai tentativi americani di contenerla sulla sua linea attuale.

Quando una forza principale non può essere applicata con sicurezza, è necessaria una strategia indiretta. Si è parlato di un’alleanza russo-cinese. È difficile immaginare come i due paesi possano coordinare le loro forze armate, e un’alleanza economica non ha alcun significato data la debolezza economica russa e il potere della Cina. Ma un’alleanza è molto concepibile: un’alleanza segreta intesa a deviare e diffondere il principale nemico di entrambi, gli Stati Uniti, e quindi ridurre la pressione di Washington su di loro.

Cina e Russia non sono mai state particolarmente vicine e infatti erano nemiche negli anni ’60. Tuttavia, hanno collaborato alle guerre di Corea e Vietnam, l’ultima delle quali ha danneggiato gli Stati Uniti. La collaborazione non è stata decisiva nel futuro a lungo termine di nessuno dei due paesi, ma ha liberato alcune pressioni occidentali e creato alcune opportunità. Hanno avuto una certa esperienza nella guerra indiretta contro gli Stati Uniti.

Con questo tipo di esperienza nella guerra indiretta, ci sono molte aree in cui uno o entrambi potrebbero agire. I cinesi hanno una strategia economica progettata per legare i destinatari degli investimenti alle relazioni politiche con la Cina. Il difetto inerente a questa strategia è stato riscontrato dagli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale, quando i regimi sponsorizzati dai sovietici hanno semplicemente nazionalizzato le risorse statunitensi. Gli interessi degli Stati Uniti avevano molte risorse ed erano pesantemente investiti a Cuba, per esempio. Ma la proprietà è un pezzo di carta che può essere rapidamente abolito con l’arrivo delle truppe. Quindi la Cina può “possedere” il Canale di Panama, ma lo fa senza l’obiezione di Washington. Se mai si oppone, un battaglione di Marines può cambiare tutto.

Quello che i cinesi ei russi devono fare è creare insurrezioni politico-militari e governi sparsi in tutto il mondo nella speranza che gli Stati Uniti, mantenendo un’alleanza contro Cina e Russia, possano essere costretti a rispondere. Più vicini agli Stati Uniti, maggiore è la necessità di rispondere. Ecco perché l’America Latina era un terreno fertile per i sovietici. Se gli Stati Uniti prevengono, iniziano ad accumulare costi militari e politici. In caso contrario, il pericolo sono enormi costi politici.

Una strategia dell’indiretto è una strategia dell’opportunismo. Squadre di intelligence sono inserite in luoghi che sono già ostili agli Stati Uniti La chiave è creare così tante minacce percepite e incognite che l’intelligence statunitense è costretta a contrastare, ma contrastarle tutte è quasi impossibile anche se fosse politicamente accettabile.

I cinesi ei russi affrontano lo stesso problema in linea di principio. Le opzioni militari convenzionali contro gli Stati Uniti potrebbero funzionare, ma c’è una reale possibilità che non lo facciano, e nessuno dei due può permettersi le conseguenze interne del fallimento. Non riescono a trovare accordi soddisfacenti con gli americani e sono quindi lasciati con una posizione strategica di cui gli Stati Uniti potrebbero trarre vantaggio. Questo scenario deve essere evitato, quindi una strategia indiretta è ovvia. La strategia economica cinese va bene a breve termine, ma è molto vulnerabile ai cambiamenti di governo. La creazione di stati antiamericani è fondamentale. Una strategia indiretta è più prudente, e Russia e Cina sono nazioni prudenti. Devono esserlo.

https://geopoliticalfutures.com/china-russia-and-the-strategy-of-indirection/?tpa=N2RkOGNjNTAxMDg4NjI0MTAzNTM4ODE2MjU2NzIyODhiMzQ2ODY&utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_term=https%3A%2F%2Fgeopoliticalfutures.com%2Fchina-russia-and-the-strategy-of-indirection%2F%3Ftpa%3DN2RkOGNjNTAxMDg4NjI0MTAzNTM4ODE2MjU2NzIyODhiMzQ2ODY&utm_content&utm_campaign=PAID+-+Everything+as+it%27s+published

Un commento di Emilio Ricciardi

Per un disguido legato al mal funzionamento del sistema di registrazione pubblichiamo come articolo un commento di Emilio Ricciardi all’intervista a Gabriele Levy del 26 giugno_La Redazione

Sin dall’inizio della conversazione, mi è parso subito evidente che già le prime affermazioni dell’intervistato fossero innervate da una rara devozione, direi un culto, per la verità dei fatti, mai peraltro disgiunti – tali devozione e culto – dall’esercizio di uno spiccato spirito critico nei confronti dello Stato d’Israele.

Che è comunque, e bene ha fatto l’intervistato a ribadirlo, uno Stato Democratico, ad ordinamento giuridico pluralista, che garantisce a tutti i propri cittadini, quali che siano le loro etnie, nazionalità, religioni ed appartenenze linguistiche, e segnatamente alla più cospicua delle minoranze, ossia quella arabo-palestinese, piena uguaglianza.

Certo, taluno, probabilmente accecato da faziosità, obietterà che, se gratti appena un po’ la crosta dell’uguaglianza formale, eruttano lievi differenze di trattamento sostanziale, non proprio a favore della sullodata minoranza, riguardo, ad es., la pianificazione urbanistico-territoriale e l’accesso alla proprietà immobiliare (nel cui ambito imperversa e detta legge, di fatto, quella curiosa entità denominata Fondo nazionale ebraico), ed insomma emerge, più in generale, una pratica concreta istituzionale, costituita più da costanti e reiterate decisioni amministrative che da roboanti leggi, la quale sovente conculca interessi individuali e collettivi degli israeliani arabo-palestinesi.

Ma l’intervistato, assennatamente, ha buon gioco nel ribattere e ricordare, ed anzi a rivelare una Verità che molti si ostinano a non vedere: l’esistenza di “due entità statali palestinesi“, ossia l'”Autorità nazionale palestinese” (“che domina in tutti i territori…“) e “Hamas“.

Chiaro? Due entità statali, proprio come entità statale è Israele, posta, difatti, dal’intervistato, da questo punto di vista, sullo stesso piano delle presunte altre due.

Meno male, quindi, che l’intervistato ricorda ai distratti che ciascuna delle suddette due organizzazioni, ossia l’ANP ed Hamas, è uno Stato (qualsiasi cosa voglia significare questa invero patafisica asserzione): ciascuna di esse, quindi, esercita effettivamente, secondo l’intervistato, la piena sovranità politica, monetaria e militare sui territori su cui ognuna sarebbe insediata e che dominerebbe.

Tuttavia, prosegue l’illuminato e saggio intervistato, l’ANP ed Hamas sono Stati (ripeto, proprio ciò afferma l’intervistato) dittatoriali e corrotti, in cui non si celebrano Le Elezioni.

Mica come Israele, stato democratico, liberale, pluralista, dove tutti godono di piena agibilità politica.

Insomma, nel cuore del Vicino Oriente c’è una Democrazia, che combatte la propria diuturna guerra contro i Corrotti Dittatori Arabi.

Ecco, questa è la conclusione, tanto inaudita, arguta ed originalissima, quanto, però, semplicemente vera, del lucido e mai banale intervistato. Il quale, peraltro, in tal modo finisce per riecheggiare la storica posizione dei radicali pannelliani, preveggenti e tante volte purtroppo ingiustamente biasimati.

Né, a proposito dell’Eden pluralista che Israele rappresenta anche per la minoranza dei cittadini israelo-palestinesi, varrebbe ribattere che esso è definito, dalla dichiarazione del 1948 e da una successiva recente legge del 2018, uno Stato ebraico, e, come dispone espressamente tale legge, “la casa nazionale del popolo ebraico“.

Difatti, l’ipotetico, ma superficiale, contraddittore che opponesse il testé riferito argomento, trascura che ebraico è sinonimo di Universale: tanto più si è ebrei, e dunque difensori di Eretz Israel, quanto più si è arabi, perché Ebraico non può non voler significare adduttore di Bene, non solo per tutti i suoi cittadini, pure di quelli arabi, ma anche di tutti gli arabi del Vicino Oriente.

A tal proposito, ha impressionato ed anzi incantato il viso rapito ed ispirato dell’intervistato quando, alzando gli occhi al cielo onde invocare per il successo dell’impresa l’alleanza fra altare e trono, ha profetizzato che “non è lontano il giorno in cui il regime iraniano cadrà: non è lontano quel giorno, con l’aiuto di Dio [ed è proprio a questo punto dell’allocuzione che egli ha strabuzzato fulmineamente i bulbi oculari verso l’Altissimo, imprimendo loro una subitanea roteazione estatica] e di altri eserciti potenti” (cfr. dal min 27:52 del filmato).

Senza contare che l’intervistato ha omesso di evidenziare, a proposito della democraticità ed universalismo dei valori ebraici, dunque incarnati da Israele, come quest’ultimo sia l’unico stato del Vicino Oriente a tutelare i diritti LGBT.

Vorrei soltanto manifestare una delusione, ma banale e, per così dire, causata da motivi di carattere scenografico: l’intervistato avrebbe dovuto ampliare il campo visivo della sua videocamera per mostrare in tutta la sua solennità quello che pare essere [ma se così non fosse, me ne scuso] il ritratto fotografico della superba Golda Meir, che invece si scorge appena sullo sfondo, appeso su una parete.

Ma i sionisti, com’è noto, sono anche umili e sobri.

Tragedie, lieto fine, moralisti e sciacalli_a cura di Giuseppe Germinario

Qui sotto alcune sensate considerazioni, scovate da Antonio de Martini, riguardanti la vicenda a lieto fine del bimbo ritrovato fortunosamente in una scarpata e qualche aneddoto personale.

Ho passato la mia infanzia in Puglia, in caselli ferroviari lontani chilometri da paesi, centri urbani o un pur qualche assembramento di abitazioni. Ricordo benissimo la mia prima fuga da casa, a nemmeno tre anni, mentre mia madre strigliava i panni all’aperto su un lavatoio in pietra (laturu in dialetto). Si accorse della fuga quando ero ad oltre un chilometro, lungolinea, accanto ad una locomotiva in sosta a fare il pieno di acqua. Ricordo ancora l’imponenza del mostro meccanico che sbuffava con la mia testa che non arrivava nemmeno al mozzo della ruota motrice. Mi richiamò gesticolando e prese a correre per raggiungermi. Io reagii scarpinando sino a raggiungere il casello vicino. L’avventura si concluse con mia madre che profittò dell’occasione per fare due chiacchiere con i “vicini di casa” raggiunti poco dopo mentre questi, compresa la situazione, mi intrattenevano. Da allora ho continuato a girare e cambiare dimora per una vita. Mia sorella invece, terzogenita, era invece specializzata sino ai quattro anni a giocare in mezzo ai binari o alla strada prospiciente. In assenza dei genitori, impegnati a lavoro o per incombenze nel paese più vicino a sei chilometri, avevo l’incarico di vigilare, ma senza particolare diligenza. Mi ricordo di una littorina ferma in un paio di occasioni a una decina di metri, con il conduttore che scendeva per spostare la bimba dalle rotaie; in un’altra occasione di una colonna di quattro/cinque automobili bloccate dalla spensieratezza dell’infanta. Cose che capitavano, ma che oggi paiono assurde in un mondo congestionato e ossessionato, dove i bimbi il più delle volte non conoscono la libertà e l’autonomia, ma l’abbandono e il controllo ossessivo. Altri pericoli, altra vita.

PS 1_ I mezzi a noi disponibili all’epoca per cinque persone (non eravamo benestanti, ma nemmeno poveri), erano una Vespa 125, un quadriciclo su rotaia e i treni che rallentavano a passo d’uomo al cenno di mio padre per farci salire in corsa, visto che era proibito fermarsi fuori dalle stazioni ferroviarie._Buona lettura_Giuseppe Germinario

PS 2_A scanso di equivoci e di interventi improvvidi di qualche solerte funzionario dal protagonismo patologico, i responsabili sono purtroppo deceduti da tempo

La posizione più intelligente che io abbia letto fino ad ora sulla vicenda del piccolo Nicola, l’unica lucidità che a parer mio dovremmo mantenere al momento, è quella della giornalista Deborah Dirani.
Ve la incollo qui:
“Nicola è tornato a casa, evviva!
Non è finito in un pozzo come Alfredino 40 anni fa, non è sparito nel nulla come Denise nel 2004. Nessuno lo ha rapito e non lo hanno sbranato i cinghiali.
Ha le ginocchia sbucciate e vuole solo le coccole della sua mamma.
Quando sarà più grande, magari, racconterà alla ragazza su cui vuole fare colpo, portandola a scarpinare tra gli alberi, di quella volta che era uscito di casa e si era perso ma non si era spaventato e poi lo aveva trovato un giornalista della Rai che passava di lì.
Possiamo applaudire tutti, ma tutti, per una volta? Possiamo evitare di insinuare dubbi su tre gocce di sangue e un paio di sandalini che “quando mai un bambino di 21 mesi si mette i sandali da solo? E quando mai la mamma lo mette a letto coi sandali? E quando mai un bambino di manco 2 anni si fa tre chilometri a piedi da solo?”
E quanto si può essere cattivi a sbattere sotto il naso del padre di questo bambino un microfono e chiedergli, col sussiego di una signorina Rottenmeier, “come si spiega che un bambino di 2 anni si sia allontanato da solo? Voi dove eravate?”. Che è una domanda così tanto giudicante e inquisitoria da parte di un cronista (visto che si sapeva già dove erano i genitori: a 10 metri da casa a lavorare, non al Billionaire a ballare sui tavoli sciabolando champagne) che viene pagato per raccontare, non per insinuare, che verrebbe davvero da rispondergli (al cronista) “ero a tromba’ la maiala della tu sorella”.
Perché il punto è che, ancora una volta, i protagonisti (loro malgrado) sono due ragazzi non conformi all’immagine che la società ha stabilito come conveniente per due genitori che possano definirsi “buoni genitori”. Pina e Leonardo hanno scelto di vivere in un modo, in realtà, molto più conforme alla natura dell’essere umano di quanto facciamo noi (me per prima) che ci schiantiamo gli occhi e la schiena per possedere cose di cui non abbiamo bisogno ma alle quali non sappiamo più rinunciare (pena il giudizio sociale che ci fa sentire sfigati), paghiamo rate di macchine sempre più grosse e più inquinanti, più adatte a guadare un fiume che a fare la fila in tangenziale, cacciamo centinaia di euro di mutui trentennali per case in cui ci rinchiudiamo come sardine inscatolate.
Se ci danno un tronco di legno, al massimo, lo buttiamo nel camino: Pina e Leonardo ci costruiscono qualcosa. Se vediamo un’ape fuggiamo terrorizzati: Pina e Leonardo ci fanno il miele.
Un’indagine recente ha dimostrato come molti bambini pensino che l’insalata esista solo in busta e se vedono caspo di lattuga non hanno idea di cosa si trovino davanti al naso.
Pina e Leonardo non hanno fatto male a nessuno, hanno scelto di vivere la loro vita in modo decisamente più etico e sostenibile di tre quarti dell’umanità, me compresa che ho più scarpe di quante ragionevolmente possa indossarne in una vita intera (e, nonostante ne sia più che consapevole ne ho appena puntato un paio nuovo che ha un prezzo che è uno schiaffo alla miseria e che, comunque, mi comprerò).
Pina e Leonardo non sono due genitori incoscienti perché mettono a letto un bambino coi sandalini ai piedi ed escono a lavorare, mangiano e poi si accorgono che quel bambino non è più dove lo avevano lasciato. Non sono due sconsiderati hippye (ammesso che gli hippyes lo fossero) che chissà come crescono i loro “poveri bambini e poi vedi cosa succede”.
Perché non esistono genitori infallibili, a prescindere da quanto siano patinati e consumisti. E quello che è successo a questi due ragazzi che hanno la fortuna di vivere in un posto dove non serve avere paura dell’uomo nero e i bambini, anche per questo, sono più autonomi e indipendenti, poteva capitare a chiunque. Perché basta un attimo perché succeda una tragedia.
Ma questa volta non è successa e, dunque, proviamo solo a essere felici per Pina, Leonardo e Nicola che da grande racconterà ai suoi amici di quella notte nel bosco quando lo hanno cercato anche coi droni e a trovarlo è stato uno che aveva un attacco di panico.”
// La pagina di Deborah Dirani:

la convivenza difficile tra israeliani e palestinesi_con Gabriele Levy

Cambiano le modalità nel corso dei decenni, ma la natura conflittuale dei rapporti tra israeliani e palestinesi rimane senza soluzione di continuità. Ci sono state occupazioni di terre, opportunismi e tradimenti, conflitti endemici e confronti drammatici dietro una solidarietà di facciata ed una aperta ostilità. La gran parte delle scelte politiche, una volta consolidato lo Stato di Israele, non hanno certo preparato ad una soluzione che non sia una tregua. Il problema essenziale è che sino a quando la realtà politica ed istituzionale palestinese non troverà una corrispondenza accettabile con quella socioeconomica difficilmente potrà sorgere un attore sufficientemente autorevole da poter sostenere uno scontro politico e geopolitico così aspro con la necessaria autonomia e una chiarezza di obbiettivi che renda possibile alla obbligata convivenza nella vita quotidiana quella politica ed istituzionale capace di dare espressione ad un popolo. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/vj2ywd-gabriele-levy-ci-parla-della-convivenza-difficile-tra-israeliani-e-palestin.html

Salti di paradigma, salti nel vuoto_di Roberto Buffagni

Salti di paradigma, salti nel vuoto

Gli Stati Generali del regno di Francia vengono convocati dal re di Francia e di Navarra Luigi XVI l’8 agosto 1788. Essi chiamano a consigliare il sovrano i rappresentanti dei tre Stati o Ordini in cui è tradizionalmente suddiviso il regno di Francia. Adalberone, vescovo di Laon (947 ca. -1030) nel “Carmen ad Rodbertum regem” li ripartisce in Oratores, Bellatores, Laboratores, riferendosi analogicamente alla Divina Monotriade. La tripartizione in Ordini rispecchia l’antichissima tripartizione indoeuropea in caste, ad esempio la tripartizione hindu tra bràhmana (sacerdoti), kshàtrya (guerrieri), vàisya e shùdra (contadini, artigiani, commercianti, etc.).

All’interno di ciascun Ordine – tra pari – le deliberazioni vengono prese a maggioranza, per testa; il voto finale degli Stati Generali, che approva i suggerimenti da porgere al sovrano, viene espresso per Ordini, nonostante il rapporto numerico tra componenti il Primo e Secondo Stato e componenti il Terzo sia, all’incirca, del 3% rispetto al 97%.

Il 6 maggio 1789, all’ Hotel des Menus Plaisirs di Versailles, nella sala ribattezzata per l’occasione Sala dei Tre Ordini, i rappresentanti del Terzo Stato deliberano all’unanimità il voto finale per testa. Si uniscono a loro 47 rappresentanti (su 270) del Secondo Stato, la nobiltà, e 114 rappresentanti (su 291) del Primo Stato, il clero. Il voto pone termine all’ultima forma politica sopravvissuta che rispecchi il più antico carattere distintivo della civiltà indoeuropea.

La risultanza politica del voto del 6 maggio 1789 – un evento puntuale, che si consuma in pochi minuti – è stata preceduta da secoli di dibattito metafisico, filosofico, teologico, antropologico, e da secoli di storia in cui si infrange la Cristianità, si scontrano e decadono Chiesa e Impero, i due “Soli” del “De Monarchia” dantesco; e sorgono, proponendosi come Terzo Sole dell’umanità – parola che esprime un concetto nuovo e un nuovo programma culturale e politico – i Lumi. L’alto numero di rappresentanti del Primo (39%) e del Secondo Stato (17%) che, contro gli interessi del proprio Ordine, votano con i rappresentanti del Terzo, illustra meglio d’ogni analisi quale sia il senso comune prevalente nel regno di Francia, che all’epoca è culturalmente egemone in Europa.

Ecco: questo è un salto di paradigma.

Un salto di paradigma anzitutto metafisico, filosofico, teologico, antropologico; e per logica conseguenza, anche politico. L’aspetto della realtà formalmente espresso e politicamente tradotto dalla tripartizione indoeuropea – le diverse facoltà dell’animo umano, la gerarchia interiore in cui vanno ordinate perché l’uomo si individui compiutamente, l’ordine politico che la rispecchia in quanto “la polis è l’uomo scritto in grande” – non cessa per questo di esistere: sopravvive nel linguaggio e nelle inclinazioni personali, oltre che, ovviamente, nelle biblioteche. Viene però disattivata, nell’effettualità politica e nella coscienza che le società inaugurate da quel voto hanno di sé. C’è, ma non si dice e non si pensa. A volte, si attiva: ad esempio quando si combatte, e nel soldato come tecnico delle armi spunta il guerriero; o quando dal sacerdote come burocrate dell’istituzione ecclesiastica e assistente sociale spunta l’uomo di preghiera; o quando dall’artigiano e dal lavoratore spunta l’artista.

Segnalo ai naviganti che c’è in vista un altro salto di paradigma, al confronto del quale il salto di paradigma datato 6 maggio 1789 sembrerà il saltello di un bambino di due anni.

Lo segnalo adesso, mentre è ancora in discussione in DDL Zan, perché se verrà varato, discuterne dopo potrebbe dar luogo a spiacevoli conseguenze per il sottoscritto (i processi costano e possono finir male).

Lo so che sembra assurdo, ridicolo, paradossale tirare in ballo parole ed eventi così grossi – “salto di paradigma”, ”rivoluzione francese” – per una leggina come il DDL Zan, che magari nemmeno passerà al Senato. Ho letto in questi giorni i commenti in proposito di molte persone intelligenti, spesso di sinistra ma anche di destra, che si possono riassumere così: “Quanto rumore per nulla, i problemi dell’Italia sono ben altri” (segue elenco problemi, a volte ben ragionato). Penso che queste persone intelligenti si sbaglino. È più che comprensibile che si sbaglino, perché da un canto gli altri problemi ci sono eccome, e sono molto grandi e gravi; dall’altro, è sempre difficile individuare in tempo reale gli eventi puntuali che segnano svolte qualitative nella storia. Un uomo non geniale ma tutt’altro che stupido o incolto come Luigi XVI, la sera della presa della Bastiglia scrisse nel suo diario: “Oggi, niente.”

Qual è insomma questo salto di paradigma che, secondo me, si profila all’orizzonte? Non faccio il misterioso e ve lo dico subito. È il concetto di “genere”, impiegato come ordinatore principale e anzi esclusivo del concetto di “uomo”. Scrivo “anzi esclusivo” perché il concetto di “genere” non si limita più a combattere con altri e incompatibili ordinatori del concetto di “uomo” nel Kampfplatz filosofico. Ha condotto e continua a condurre questa battaglia nel teatro d’operazioni filosofico, con esiti alterni: non si profila, per esso, una vittoria schiacciante o sicura. Esso ha però trasposto la battaglia per l’egemonia dal campo filosofico al campo giuridico, sociale e politico, e in questo diverso teatro di operazioni ha trovato alleati molto potenti.

Il concetto di “genere”, nelle sue varie declinazioni a me note, presenta un minimo comun denominatore: è sempre riconducibile alla soggettività dell’individuo. A quel che l’individuo desidera (il suo orientamento erotico) all’idea che l’individuo si forma di sé (la sua identità, il nome segreto con cui si chiama) a quel che l’individuo vuole divenire (ad esempio, trasformarsi da maschio in femmina e viceversa). In sintesi, il concetto di “genere” presuppone la sovranità assoluta dell’individuo su se medesimo, la sua totale libertà di decidersi, insomma la sua radicale autonomia, nel senso fortissimo di libertà d’essere norma a se medesimo, e persino di mutare ad libitum la norma che lo definisce e lo identifica, in buona sostanza lo crea. Il concetto di “genere” prefigura, insomma, un “uomo-individuo autocreatore”.

Nel passaggio dal Kampfplatz filosofico al campo di battaglia dell’effettualità sociale e politica – ove si propone l’obiettivo di divenire l’ordinatore esclusivo del concetto di “uomo” – il concetto di “genere” prende correttamente di mira il suo nemico principale. Il suo nemico principale è il più antico e potente ordinatore del concetto di “uomo”, ossia l’insieme concettuale “maschio – femmina”.

L’insieme concettuale “maschio – femmina” è indissolubile, perché “maschio” si definisce in rapporto a “femmina”, e “femmina” si definisce in rapporto a “maschio”. Nessuna delle due parole, e delle realtà che designano, ha significato se non in rapporto all’altra. “Maschio-femmina” è l’ordinatore logicamente e cronologicamente più antico del concetto “uomo”.

“Uomo” è sempre “uomo maschio” oppure “uomo femmina”, “uomo femmina” oppure “uomo maschio”. Ciò che non è né maschio né femmina è “neutro”, ossia, etimologicamente, “né l’uno né l’altro”: e non è “uomo”. Tutti i linguaggi umani di cui abbia notizia si formano sulla base dell’antichissimo ordinatore “maschio-femmina”. Così si formano i generi grammaticali – maschile, femminile, neutro – e così si formano le parole e l’ innumerevole foresta di metonimie e metafore grazie alle quali comunichiamo, comprendiamo, cantiamo, sogniamo.

Salvo errore (non sono onnisciente) ciò avviene in tutte le culture e le lingue dell’uomo, senza riguardo alla latitudine e all’epoca. Ovviamente, il fatto che l’uomo si pensi e comprenda se stesso in conformità all’insieme “maschio-femmina” implica anche, per conseguenza logica, che l’uomo si pensi e senta in rapporto necessario, primordiale, a un Altro/Altra che, rispetto alla sua individualità empirica, è sempre distinto e separato: non meno diverso che uguale, tanto alieno quanto identico; un fatto curioso ed enigmatico che egli vede rispecchiato, nella sua vita quotidiana, sia dal fatto imperativo che tutti gli uomini, maschi e femmine, nascono dall’incontro sessuale di un uomo-maschio e un uomo-femmina, sia dalla forza altrettanto imperativa dell’attrazione erotica per l’altro sesso: quando la prova, ovviamente, come è normale che sia, nel senso più forte della parola “norma”: perché se l’attrazione erotica per l’altro sesso non fosse norma, l’uomo si sarebbe estinto da un pezzo.

Anche da questo minimo sunto che ho abbozzato, risulta chiaro come il sole per quale motivo il concetto di “genere” debba designare come proprio nemico principale l’insieme concettuale “maschio-femmina” che ordina il concetto di “uomo”: perché esso è radicalmente incompatibile con la sovrana, assoluta libertà dell’individuo di essere norma a se stesso, di mutarla a suo piacimento, e insomma di crearsi da sé. Se il concetto di “uomo” comprende l’uomo-maschio e l’uomo-femmina – i due avatar dell’uomo che nella realtà si presentano sempre come individui separati – nessun singolo individuo potrà mai coincidere con l’intero concetto di “uomo”, compierlo, esaurirlo, esperirlo per intero; nessun individuo empirico potrà mai essere tutto l’uomo, l’individuo assoluto capace di sovrana, perfetta libertà di conoscersi, esperirsi, compiersi, autodeterminarsi e autocrearsi.

Ecco allora che il concetto di “genere”, nella sua battaglia per farsi ordinatore esclusivo del concetto di “uomo”, propone – e tenta di imporre per via politica – un nuovo concetto di “uomo”: quello di un individuo empirico, un singolo quidam de populo, che conquista il diritto, garantito dall’imperio della legge positiva, di essere al contempo sia maschio sia femmina, più tutto il fluido ventaglio delle posizioni intermedie tra maschio e femmina; e di sanzionare il proprio nemico, l’insieme “maschio-femmina”, ove voglia esercitare il proprio antico privilegio di esclusivo ordinatore del concetto di “uomo”: ad esempio, nel matrimonio, ma persino nel linguaggio.

Il matrimonio, la più antica istituzione simbolica volta alla riproduzione della specie e alla sua integrazione nella cultura, non deve più essere riservato all’uomo-maschio e all’uomo-femmina, ma dev’essere esteso all’uomo-individuo autocreatore, e a lui adeguato. Se all’uomo-individuo autocreatore non è biologicamente possibile riprodurre la specie, gli è disponibile il surrogato della tecnica, o l’ausilio servile di uomini-maschio e uomini-femmina. Questo obiettivo, di eccezionale importanza per il rilievo simbolico impareggiabile del matrimonio, è già stato raggiunto nel paese egemone dell’Occidente, con la sentenza della Corte Suprema federale del 2015 ( caso Obergefell vs. Hodges).

Più difficile, lunga e complicata la riforma del linguaggio, che in ogni suo frammento reca l’impronta del nemico, ma l’opera è iniziata con la battaglia sui pronomi, volta ad escludere e vietare per legge il maschile e il femminile in quanto “discriminatori”: ciò che in effetti sono, perché “discriminano”, ossia “differenziano” l’uomo-maschio e l’uomo-femmina.

I possenti alleati che il concetto di “genere” e l’uomo-individuo autocreatore che esso intende affermare hanno trovato nel mondo sono molti. Il più forte sul piano della comunicazione è l’accesso, ormai assicurato, al ruolo simbolico di “vittima”, che gli garantisce forza contrattuale sul piano simbolico ed efficacia propagandistica.

Si tratta di una trascrizione del ruolo – chiave della vittima sacrificale nel cristianesimo, che trasferendosi sul piano secolare si inverte di 180°. Nel cristianesimo, la vittima sacrificale per antonomasia è una delle Persone della SS. Trinità, la Quale, sacrificandosi e rinnovando il proprio sacrificio nella Messa fino alla fine dei tempi, risarcisce e riscatta la colpa dell’umanità. Il colpevole è l’uomo, la vittima è Dio, che amandolo si sacrifica per la sua salvezza. Nella trascrizione secolarizzata, vittima sacrificale è chi sia stato discriminato e oppresso dal Potere, riflesso terreno dell’unico attributo divino del quale è impossibile ridere. Colpevole è dunque il Potere-Dio, vittima l’uomo defraudato che esige di eguagliarsi a Lui, e in quanto sua vittima esige risarcimento e riscatto. In questo senso, direbbe de Maistre, l’intera civiltà moderna post rivoluzione francese è un’espressione di risentimento contro Dio; e l’uomo-individuo autocreatore, per l’evidente ragione che sta mirando a ricrearsi daccapo e da sé, sarebbe la manifestazione più patente di questo risentimento, e della conseguente volontà di risarcimento e rivincita.

Sul piano sociale, il più potente alleato dell’uomo-individuo autocreatore è la logica del capitalismo liberale, che tende a dissolvere tutti i legami sociali e comunitari, e giustifica la propria dinamica mediante due argomenti soli: 1) performatività (ossia, perché funziona) 2) conferisce sempre maggiore libertà agli individui (e solo agli individui). Entrambi questi suoi tratti caratteristici manifesterebbero la sua superiorità e insuperabilità, in un orizzonte di indefinito progresso: verso dove non si sa, ma non è importante sapere. S’intravvede oltre l’arcobaleno un “uomo nuovo”, radicalmente trasformato, più bello, longevo, felice, buono, vitale; ma saggiamente, come un tempo Marx si rifiutava di scrivere il menu per le osterie dell’avvenire, anche il capitalismo liberale evita di dettagliare il menu per il ristorante del transumano, anche perché alcun anticipazioni di cui si chiacchiera toglierebbero l’appetito ai più affamati.

La logica capitalistico-liberale, poi, intende l’individuo nella forma semplificata dell’ homo oeconomicus, ossia di un autonomo centro di interessi (se considerato dall’esterno, oggettivamente) e di un centro di bisogni e desideri (se considerato dall’interno, soggettivamente). A regolare sia interessi, sia bisogni e desideri dell’individuo, è preposta la sola legge positiva, indefinitamente modificabile per via procedurale, e alla quale è proibito rifarsi a fondamenti valoriali o metafisici capaci di dare giudizi assiologici in merito alle proprie modificazioni, o di porvi limiti. Quel che non c’è nel kit dell’ homo oeconomicus spetta alla scienza studiare e definire come “uomo biologico”; e lì c’è tanto lavoro analitico da fare, che può fattivamente occupare gli scienziati fino alla fine dei tempi.

Non è difficile capire quanto simili e affini siano il concetto di uomo-individuo autocreatore e l’individuo come lo intende la logica capitalistico-liberale. Da queste somiglianze e affinità nasce una produttiva e possente alleanza, che ormai si traduce sul piano politico statale al più alto livello, come ostendono eventi pubblici clamorosi quali l’illuminazione della Casa Bianca con la luce arcobaleno per festeggiare la sentenza sul matrimonio same-sex della Corte Suprema, e di recentissimo, la luminaria con i colori della medesima cauda pavonis alchemica che accende gli stadi ove si giocano, alla presenza delle autorità, i campionati europei di calcio.

Ecco descritto, nei suoi tratti minimi essenziali, il salto di paradigma che si profila a un orizzonte non molto lontano. Le sue conseguenze sfidano l’immaginazione più esaltata. Anche perché, almeno a parere di chi scrive, questo salto di paradigma è un salto verso un concetto di uomo che, alla lettera, non esiste nella realtà: esso, infatti, non descrive la realtà, ma la prescrive; e tanto peggio per la realtà, se si ribella.

Ci si può impegnare, ed effettivamente ci si sta impegnando a fondo, per farlo esistere: ma non esiste ora, né potrà esistere mai. Via via che la prescrizione implicita in questo nuovo salto di paradigma sarà implementata, essa dovrà, con sempre maggior coerenza e caparbietà, derealizzare porzioni sempre più ampie di realtà: della realtà dell’uomo, e dunque della realtà del mondo.

Si tratta insomma – sempre a mio avviso – di un salto di paradigma che è anche un vero e proprio salto nel vuoto. Non so se abbiamo il paracadute.

That’ s all, folks.

 

 

 

 

 

 

Ciarpame mediatico, di Giuseppe Germinario

Il quotidiano “la Repubblica” del 20 giugno scorso ha pubblicato da pagina 45 un lungo articolo, a nome di Gianluca di Feo e Floriana Bulfon, dal titolo “Bergamo_virus, spie e vaccini”. L’articolo è purtroppo disponibile solo a pagamento e non può, quindi, essere riprodotto integralmente alla fonte https://www.repubblica.it/esteri/2021/06/17/news/bergamo_virus_spie_e_vaccini-306329555/?ref=RHTP-BH-I295744712-P13-S4-T1 , ma disponibile comunque integralmente su https://www.msn.com/it-it/notizie/mondo/bergamo-virus-spie-e-vaccini/ar-AAL7nOl?li=BBqg6Qc

Il 21 giugno ha risposto a stretto giro di posta l’ambasciatore russo a Roma, Sergey Razov. Qui sotto il testo della lettera aperta:

Stimato Direttore,

ha richiamato la nostra attenzione l’ampio articolo intitolato “Bergamo, virus, spie e vaccini” pubblicato sul Suo quotidiano il 20 giugno, in cui il giornale ripercorre i fatti di marzo-aprile 2020, quando un gruppo di medici virologi ed esperti disinfettatori russi ha operato nel Nord Italia.

Tre righe e mezzo dell’articolo contengono l’ammissione che “i soldati russi a Bergamo hanno fornito assistenza concreta, curando decine di pazienti, durante le ore più buie della storia recente e disinfettando decine di centri per anziani”. Le restanti quasi 500 sono una congerie di invenzioni sul contenuto reale di quella che sarebbe stata una missione militare dell’intelligence russa nello spirito delle “guerre ibride”, “una campagna di disinformazione e propaganda”, con addirittura elementi della “competizione per riscrivere la mappa geopolitica del pianeta”. Tentare un’analisi dettagliata di tutta questa serie di invenzioni sarebbe una perdita di tempo. Prendiamo in considerazione solo alcuni fatti.

Ricordo bene come un anno fa questo stesso giornale e un certo numero di altri media italiani cercò, senza alcuna prova, di individuare la natura spionistica della nostra missione che avrebbe tentato di ottenere informazioni sulle strutture militari italiane e della NATO a Bergamo e Brescia, dove erano impegnati i nostri specialisti. I chiarimenti in merito al fatto che quelle aree erano state individuate dalle autorità italiane sono stati semplicemente ignorati. C’è voluto più di un anno perché gli autori di “La Repubblica” ammettessero finalmente quello che era ovvio e cioè che le strutture militari italiane e della NATO, come è risultato, non erano l’obiettivo della nostra missione umanitaria (pare non siano avvezzi a scusarsi per la palese disinformazione, attivamente diffusa nella primavera del 2020).

Ma, come si dice, ciò che è storto non si può raddrizzare (Ecclesiaste 1:15). Ora gli scrittori di “La Repubblica” ci attribuiscono la colpa di aver inviato in Italia i nostri migliori medici virologi ed epidemiologi, dotati di grande esperienza (è vero, ne abbiamo orgogliosamente parlato fin dall’inizio), di aver utilizzato sul posto un moderno laboratorio mobile, che avrebbe analizzato “la struttura genetica del virus e inviato i dati a Mosca con il sistema satellitare di comunicazione criptata”. Sì, anche allora abbiamo parlato di questo laboratorio mobile che era impegnato esclusivamente nel monitoraggio della salute del contingente, nella messa a punto delle metodiche e delle dosi di protezione immunitaria, nell’analisi PCR e nella genotipizzazione. (A proposito, effettivamente abbiamo registrato casi di infezione da coronavirus tra i nostri militari che hanno lavorato nelle zone più pericolose d’Italia). Di quali altri compiti e possibilità nascoste di questo laboratorio possono parlare gli autori, se loro stessi ammettono che nessun estraneo ha potuto accedervi.

Poi, l’affermazione forse più ridicola e sacrilega dell’articolo: “il vaccino Sputnik V è nato dal virus italiano”. (I russi hanno rubato il COVID italiano?!) Gli autori cercano di tracciare un legame causale e temporale diretto tra il lavoro della nostra missione e l’invenzione del vaccino russo. E cioè: i dati clinici acquisiti in Italia “con un’operazione di spionaggio” avrebbero permesso ai nostri specialisti di produrre un vaccino nel più breve tempo possibile. I conti non tornano. Fonti sanitarie e militari in Italia – dice il giornale – confermano che “i russi non erano autorizzati a portare campioni e provette fuori dagli ospedali dove curavano i pazienti”. Inoltre, la Russia ha iniziato a testare lo Sputnik V su volontari già a giugno e ad agosto questo vaccino è stato il primo al mondo ad essere certificato. È chiaro anche a un profano che l’invenzione del vaccino non poteva che essere il risultato di molti anni di ricerca su altre malattie virali.

È assolutamente ovvio che il lavoro eroico dei nostri militari in Italia, durato ben 46 giorni, ha fornito una certa esperienza nella comprensione del pericolo di questa malattia, della velocità e delle peculiarità della diffusione dell’infezione, arrivata in Russia, com’è noto, tre o quattro settimane dopo l’Italia. E questa esperienza è stata debitamente utilizzata per sviluppare le nostre misure contro la pandemia. Ma dove sarebbe qui il crimine?! Si tratta di un percorso di collaborazione assolutamente naturale e generalmente accettato, che peraltro prosegue ancora oggi. Al momento, l’Istituto Spallanzani di Roma sta conducendo studi clinici scientificamente importanti sul vaccino Sputnik V con la partecipazione di specialisti russi. Altre prove sono previste nell’ambito del rispettivo Memorandum di cooperazione firmato nell’aprile di quest’anno. Se il giornale Repubblica dedicasse anche solo un centesimo del suo voluminoso materiale a tale lavoro comune, volto a combattere l’epidemia, a nostro parere offrirebbe un servizio migliore e più interessante ai lettori dell’autorevole quotidiano.

E infine, un’ultima cosa. Gli autori definiscono Bergamo “un campo di prova per nuovi conflitti ibridi”. Noi invece partiamo dall’assunto che questo è il luogo in cui al popolo italiano in difficoltà i vertici e il popolo della Russia hanno disinteressatamente dato una mano. Qui sta la principale divergenza con la redazione del giornale, la cui politica provoca la nostra reazione a questo genere di informazioni.

L’Ambasciatore della Russia in Italia

21.06.2021

L’articolo è un concentrato di rara intensità di infantilismo meschino e vile in un panorama giornalistico che certamente non brilla per serietà e fondatezza di analisi.

L’ambasciatore ha avuto buon gioco quindi nel replicare con ferma diplomazia, senza neppure infierire.

Non ce n’era del resto bisogno.

Su quali comportamenti e intenzioni hanno avuto da recriminare i nostri segugi colti da sospetta crisi olfattiva?

A denti stretti hanno dovuto ammettere che lo scopo reale della missione sanitaria russa non era lo spionaggio delle installazioni militari o quantomeno non ci sono elementi sufficienti a suffragare l’ipotesi; sempre che non si possano considerare tali le inevitabili sbirciatine dai finestrini nel lungo viaggio di avvicinamento a Bergamo. Il bersaglio era però ancora più importante: catturare la Covid italiana, portarsela in Russia e carpirne i segreti; sperimentare sul campo le proprie procedure di gestione di una pandemia e di guerra batteriologica, analizzare quelle adottate da un paese occidentale, verificare l’andamento epidemiologico e patologico della sindrome. Come spiegarsi altrimenti il livello così alto e specialistico e la natura militare dei protagonisti, in particolare la loro provenienza dai laboratori chimico-biologici militari? L’accusa velata era di ricondurre il loro interesse alla logica della guerra batteriologica più che alla finalità umanitaria; accusa velata, ma strumentale e maldestra vista la analoga attività svolta da tanti laboratori americani, francesi ed inglesi civili e militari sparsi nei propri paesi e nel mondo. I missionari in colbacco del resto non hanno sentito ragioni nel condividere i dati acquisiti, la sofisticata strumentazione in possesso con gli ospitanti così smarriti in tanto tragico caos. Hanno così ingannato “Giuseppi” e l’intera compagine governativa, piombando come falchi su di un paese smarrito, prendendo alla sprovvista i custodi della sicurezza del paese, carpendo i segreti del mostriciattolo per ricavarne un efficace vaccino in colpevole anticipo rispetto agli amici occidentali, per trarne insegnamenti utili nella gestione ormai prossima a venire della pandemia nel loro paese.

Il senso di privazione che pervade i nostri due segugi è evidente, ammirevole, ma tardivo. In un quotidiano che per trenta anni ha sostenuto attivamente e con entusiasmo, pur in buona compagnia, la spoliazione e la privazione di beni del proprio paese, ai pochi giornalai di buon cuore non è rimasto che aggrapparsi al poco che è rimasto in Italia, difendendolo a denti stretti. In quel poco è rimasto evidentemente la Covid 19 italiana. I tapini non si sono accorti per altro di dare involontariamente ragione ai rivali cinesi i quali, per nascondere le proprie magagne, hanno cominciato a vendere nel mondo l’insinuazione dei virus nazionali, compreso quello tricolore.

L’angoscia da privazione non fa che fissare i pregiudizi e impedire di porre correttamente le domande e soprattutto di porle alle persone giuste.

Hanno accusato i russi di strumentalizzare a fini geopolitici e di propaganda il loro intervento; li hanno incriminati di lesa maestà per aver tentato di scombussolare l’Unione Europea; si sono risentiti, colti da un malinteso orgoglio nazionale, per i loro giudizi sferzanti sulla gestione italiana della pandemia.

Hanno dimenticato in buona sostanza di essere dei giornalisti e di porre le giuste domande:

  • come mai non ha funzionato la solidarietà europea nei momenti più acuti della crisi pandemica?

  • Da dove arriva l’ostracismo al vaccino russo e il fallimento della ricerca scientifica europea?

  • Come mai le implicazioni e il conflitto geopolitici hanno riguardato non solo i paesi dichiarati ostili (Russia e Cina), ma anche quelli “fratelli ed amici”?

  • Come mai il Governo e il paese si è affidato alla improbabile coppia costituita da un manager-finanziere di terza fila (Arcuri) e da un contabile della Protezione Civile (Borrelli), con la consulenza esclusiva di virologi impegnati più che altro ad apparire sugli schermi, piuttosto che ad una struttura composta da esperti di logistica, igienisti, manager della salute nella quale i militari avrebbero dovuto avere un ruolo di primo piano e non di serventi tuttofare?

  • Come mai il Governo non è stato in grado di concordare le modalità di intervento e di scambio delle informazioni con tutti gli interlocutori internazionali, oltre che con russi e cinesi? Anni fa ad un alto ufficiale americano fu chiesto come mai tante basi erano state spostate dalla Germania in Italia. Da buon anglosassone la risposta fu lapidaria: “in Germania per muoversi occorre compilare protocolli di almeno dieci pagine, in Italia una telefonata.”

  • Come mai si sono omesse le analisi epidemiologiche e diagnostiche che accelerassero l’individuazione dei decorsi e la definizione di terapie efficaci?

  • Come mai è quasi completamente saltata quella medicina di base e preventiva sulla quale dovrebbe fondarsi il sistema sanitario nazionale, stando almeno alle dichiarazioni fondative di principio come pure è rimasto impolverato il piano di emergenza nazionale?

  • Come mai in una situazione di grave emergenza non si è risolto rapidamente il disordine istituzionale e lo si è piuttosto strumentalizzato per scaricarsi reciprocamente le responsabilità della cattiva gestione della crisi?

Le giuste domande, ma alle persone giuste: al ceto politico italico, alla sua classe dirigente e ai suoi quadri amministrativi, agli alleati o sedicenti tali piuttosto che alla missione russa rea di aver fatto quello che avrebbero dovuto fare tutti. Le cui giuste risposte avrebbero probabilmente consentito di non pietire interventi esterni a scatola chiusa e di non porre alla radice il problema.

Si sa purtroppo che l’orgoglio nazionale serve a suscitare le migliori energie di un paese, ma anche, spesso e volentieri, a coprire le peggiori magagne e speculazioni.

La soluzione non può arrivare da segugi di tal fatta. Sono parte in causa di una categoria a pieno titolo corresponsabile di una gestione fatta e condizionata da allarmismo, disinformazione, schizofrenia, superficialità e irresponsabilità. Una gestione che ha ridotto l’emersione di un problema serio ad una manipolazione inquietante senza una soluzione di continuità prevedibile in una emergenza senza fine. Un vero e proprio ossimoro. Mario Draghi è arrivato a risolvere alcuni dei problemi posti. Probabilmente ci riuscirà, ma non sarà la gran parte del paese a giovarsi del risultato. Lo abbiamo intravisto negli ultimi due vertici mondiali del G7 e della NATO sui quali continueremo a soffermarci.

Ai due segugi, dal cuore ingrato e dall’indole meschina, non rimane che replicare a loro volta a due semplici domande: a chi, a quale pifferaio devono rispondere dei loro sproloqui infantili e mal posti? Non certo ai lettori, vista la crescente disaffezione. Siete voi stessi agenti terminali di una guerra ibrida?

Passi diplomatici, di Roberto Buffagni

Sulla recente mossa diplomatica del Vaticano per la modifica del DDL Zan.
La battaglia in punto di diritto internazionale ha un suo perché ma ovviamente è una battaglia che non promette bene. E’ una battaglia obbligata. La Chiesa tenta di uscire dall’accerchiamento anzitutto culturale e usa tutto quel che ha, o meglio che le resta. Lo strumento principale che le resta è lo strumento diplomatico, ed è un gran brutto segno, perché con l’accerchiamento culturale esterno interagisce una profondissima divisione interna, in termini bellici una nutritissima quinta colonna che è sostanzialmente concorde con la cultura anticristiana e anticattolica, seccamente avversa ai “preambula fidei” ossia al “diritto naturale”, prevalente nella società. L’obiettivo che si propone la Chiesa con questa misura è preservare la libertà religiosa nella sua forma più legalistica e ristretta: libertà di predicare nelle chiese, libertà di insegnare nelle scuole cattoliche. Entrambe sono direttamente minacciate dal DDL Zan, e da qualsiasi legge tipo legge Mancino che verta sul “genere” e inserisca la “discriminazione” su base di “genere” come fattispecie di reato. Per il motivo semplicissimo che in effetti, la Chiesa (e per il vero, l’intera cultura umana degli ultimi 5.000 anni almeno) “discrimina” gli aventi diritto alla celebrazione del matrimonio secondo il sesso, ossia secondo la loro determinazione naturale. Il matrimonio, che come istituzione culturale precede la fondazione della Chiesa di alcune migliaia di anni, è la forma simbolica centrale per mezzo della quale le comunità umane (tutte) hanno sempre garantito la riproduzione della specie all’interno della cultura/e umana/e. In quanto forma, è indifferente al numero di contraenti (x donne + 1 uomo, 1 donna+x uomini, x donne + x uomini) e anche al loro orientamento erotico, che può benissimo rivolgersi all’esterno della coppia (o gruppo) di sposi, o anche verso il proprio sesso. Il requisito indispensabile è che chi si sposa possa, almeno virtualmente, assolvere contemporaneamente a due funzioni essenziali, ossia 1) riprodurre la specie 2) prendersi cura della prole e integrarla nella cultura della sua comunità. (La sterilità, ovviamente, è una patologia dell’istituto matrimoniale, che non ne muta la fisiologia). Attraverso la forma istituzionale del matrimonio viene confermata simbolicamente anche l’integrazione tra corporeo e psichico, tra riproduzione della specie umana nel senso biologico o zoologico del termine (che può benissimo darsi senza ombra di matrimonio) e la sua integrazione nella cultura, che ovviamente è un fatto anzitutto psichico. Quando si introduce il concetto di “gender”, che nelle sue varie declinazioni è sempre riconducibile alla soggettività dell’individuo (il suo orientamento erotico, l’idea che si forma di se stesso) e lo si accoppia, in un provvedimento di legge, a una fattispecie di reato che ne punisce la “discriminazione”, è banalmente logico che si prenda di mira anzitutto questa antichissima discriminazione delle persone in base al sesso (ossia in base a “quel che sei”, e non in base a “quel che vuoi essere o senti di essere o quel che desideri”). Ne consegue, sempre per logica, che non solo il cattolicesimo, ma tutte le religioni e le metafisiche tradizionali, che, tutte, riconoscono e variamente celebrano e santificano l’istituzione matrimoniale, vengono prese di mira e chiamate a rispondere penalmente di una discriminazione che effettivamente operano e non possono non operare senza scalzare i loro stessi presupposti filosofici, teologici, metafisici, insomma senza suicidarsi. E’ tragicomico e paradossale, trattandosi di una discriminazione fondativa dell’intera storia dell’umanità, ma è così. Qui non c’entra nulla l’omosessualità in quanto tale. Ci sono religioni e tradizioni culturali più o meno severe con l’omosessualità. Nella tradizione culturale dell’antica Grecia, per esempio, l’omosessualità era non solo tollerata, ma in alcune sue forme addirittura celebrata ed esaltata (v. il battaglione sacro tebano, formato da coppie di amanti che giuravano di non abbandonarsi mai sul campo di battaglia e combattevano legati l’uno all’altro). Ciò conviveva serenamente con una solidissima istituzione matrimoniale di tipo patriarcale (v. come va il ménage a casa di Odisseo). Il cattolicesimo, tradizionalmente, è molto severo sull’omosessualità; nella pratica attuale, tenerissimo. Non si può però chiedere al cattolicesimo di vidimare il matrimonio same sex, perché per farlo dovrebbe dichiarare nullo addirittura un sacramento: il matrimonio cattolico è infatti un sacramento officiato dagli sposi, non dal prete che si limita a fare da testimone. Due uomini o due donne non sono qualificati (altra “discriminazione”) a celebrare il matrimonio cattolico, come non sono qualificato io a celebrare la messa o a cresimare, confessare, dare l’estrema unzione, ordinare prete chicchessia, perché non sono ordinato sacerdote (o vescovo nel caso della cresima e dell’ordinazione). Se lo faccio, commetto un sacrilegio. Su tutto questo ambaradan filosofico-teologico-antropologico, che farebbe sudar freddo un genio multiforme dotato di linea telefonica diretta con il Paraclito, in seguito a leggi modello DDL Zan dovrebbe poi decidere il PM, il quale – sporta la querela di parte delle associazioni LGBTetc che scalpitano ai blocchi di partenza e sono già pronte con gli avvocati e i moduli – deve determinare se per l’opinione denunciata (es., un laico o un vescovo si dice contrario al matrimonio same sex o all’adozione per le coppie omosessuali o all’utero in affitto) o il comportamento denunciato (es. rifiuto di celebrare matrimoni omosessuali etc., rifiuto di ospitarli nel proprio ristorante/albergo, rifiuto di salutarli con gioia sui media, a scuola, etc.) c’è la scriminante della libertà di espressione e di religione che la depenalizza, oppure no. Se non c’è la scriminante, il PM fa un riassuntino di una paginetta degli ultimi 5.000 anni di cultura umana, le dà la sua pagella, e ti rinvia a giudizio penale; e che qualcuno te la mandi buona.

Tutte le sintonie fra Erdogan e Biden di Giuseppe Gagliano

Tutte le sintonie fra Erdogan e Biden

di

erdogan biden

Nonostante tutto, la Turchia di Erdogan si conferma importante e utile agli Stati Uniti di Biden. Ecco perché. L’analisi di Giuseppe Gagliano

 

Nonostante il presidente turco sia stato definito un autocrate da Biden, e nonostante il fatto che le istituzioni americane abbiano definito l’eliminazione degli armeni come un vero e proprio genocidio, l’incontro a Bruxelles si è concluso con un’affermazione tutt’altro che sorprendente da parte del presidente turco, affermazione secondo la quale con gli Stati Uniti non ci sono problemi che non possono essere risolti. Proprio lo stesso presidente americano d’altronde ha confermato che l’incontro col suo omologo turco è stato produttivo.

Nonostante il ruolo sempre più assertivo da parte della Turchia in Medio Oriente, nonostante l’opposizione di Ankara al sostegno degli Stati Uniti ai combattenti curdi in Siria e, infine, nonostante gli Usa abbiamo penalizzato la Turchia per l’acquisto del sistema di difesa missilistica S-400 della Russia, pare che fra i due leader sia tornato il sereno. Sarà forse per le virtù taumaturgiche della democrazia americana? O forse più realisticamente per interesse di realpolitik?

COSA FA LA TURCHIA PER GLI STATI UNITI

A cosa stiamo alludendo esattamente? Si fa riferimento alla possibilità che la Turchia possa mantenere una presenza militare in Afghanistan grazie al sostegno logistico e finanziario degli Stati Uniti; si fa riferimento al fatto naturalmente che la Turchia ha anche un ruolo potenziale da svolgere nella più ampia strategia di Biden di radunare alleati per opporsi all’influenza di Cina e Russia, nonostante il fatto che Erdogan abbia concluso un nuovo accordo di scambio di valuta da 3,6 miliardi di dollari con Pechino.

Ma stiamo anche alludendo al fatto che la Turchia è un avversario della Russia nello scacchiere siriano e libico, dove infatti i droni e le difese aeree turche sono stati fondamentali per respingere gli alleati della Russia.

Ma stiamo infine alludendo anche al fatto che la Turchia si è schierata con l’Ucraina sostenendo quindi gli Usa in funzione anti russa.

In definitiva, se la politica del presidente turco può apparire ondivaga e contraddittoria, in realtà le scelte di politica estera del presidente turco sono state sempre improntate a una vera e propria spregiudicatezza e a un calcolo politico volto a tutelare esclusivamente non solo gli interessi della Turchia e della sua proiezione di potenza, ma spesso anche gli interessi di quella ristretta oligarchia che ruota intorno al presidente turco.

APPARENZE E SOSTANZA

Quindi, al di là delle apparenze – spesso frutto di calcoli elettorali -, la sostanza delle relazioni tra America e Turchia segue le stesse linee di forza di quelle di Trump. Come d’altronde quelle con l’altro autocrate, e cioè con Mohammed bin Salman.

Nulla di sorprendente dal punto di vista storico: a conclusione della Seconda guerra mondiale – e soprattutto durante la guerra fredda – le democrazie hanno sempre avuto bisogno, per ragioni geopolitiche e geoeconomiche (leggi petrolio e non solo…), dei sistemi autocratici, sia che fossero in Medioriente, in Africa o in America latina.

Forse bisognerebbe spiegarlo anche ai vari autori dei numerosi manualetti di educazione civica diffusi nelle scuole superiori… oltre che al Miur.

https://www.startmag.it/mondo/erdogan-biden-rapporti-turchia-stati-uniti/?fbclid=IwAR0zKE07FCj3usFDUnLgzUg2HNKTywRQ1mMhFsSYC6PwXVk-WQ049dyaCOk

1 186 187 188 189 190 323