Le città americane bruciano. Domani potrebbe toccare alle nostre di Daniele Scalea

Qui sotto un interessante articolo di Daniele Scalea sui disordini sempre più aspri che stanno interessando le città americane. Il connotato razziale delle dinamiche sociopolitiche statunitensi ha da sempre assunto una notevole rilevanza sino a sovrapporsi e conformare spesso il conflitto sociale spesso nei suoi aspetti più deleteri. Sta di fatto, però, che negli ultimi cinquant’anni e progressivamente il collante ideologico del “melting pot”, del crogiolo e della fusione delle diverse comunità razziali si è trasformato nel suo opposto; nella affermazione ermetica della propria identità razziale sino a sfociare nella aperta contrapposizione ostile. Questo a dispetto anche della cruda realtà ben evidenziata da Daniele Scalea. L’altro apparente paradosso è che, se gran parte delle forze politiche hanno assecondato questa tendenza, i democratico-progressisti ne sono diventati i più accesi alfieri e gli ostaggi più ingabbiati nei propri stessi stereotipi e nelle proprie dinamiche di acquisizione del consenso. Una trappola che rischia di risucchiare lo stesso Trump in questo gioco al massacro. Da qui il cedimento progressivo sino agli atti di delegittimazione ed autodelegittimazione vera e propria delle locali forze dell’ordine. Atti che stanno provocando scoramento e dissenso in gran parte di esse.

 Un atto agli antipodi di un riconoscimento delle responsabilità dirette e personali legate alla morte di George Floyd. E’ un ulteriore passo che sta conducendo quel paese alla guerra civile, cioè al regolamento diretto dei conti tra i cittadini. I crudi video allegati rendono più di mille parole. Da tre giorni le città dell’american redoubt zone sono infatti presidiate da milizie civili.

 Una dinamica che sta interessando con qualche tempo di ritardo le città europee e l’Italia. Basta osservare la progressiva chiusura e regolazione interna delle diverse comunità etniche presenti in città come Torino, Milano, Bologna con la tendenza a diffondersi anche nei centri più piccoli. Come pure analogo è lo scivolamento su posizioni integraliste e compiacenti della sinistra progressista. Il recentissimo accordo governativo con il Qatar, con il quale si lascia ampio spazio alle forze più radicali per le loro attività esterne di proselitismo religioso e organizzazione interna delle comunità islamiche sono la conferma di questa cecità spesso confortata da veri e propri mercimoni. L’esperienza francese delle banlieu, dei quartieri ghetto, non ha evidentemente insegnato alcunché o forse troppo. Si continua piuttosto a chiudere un occhio se non due sulla azione promozionale e sulle attività di finanziamento di figure filantropiche come Soros di squadre dedite ad alimentare la natura e la virulenza di queste dinamiche. E’ il paradosso, l’ennesimo, dei paladini dei cittadini del mondo. Buona lettura_Giuseppe Germinario

Le città americane bruciano. Domani potrebbe toccare alle nostre

di Daniele Scalea

https://www.centromachiavelli.com/2020/06/01/rivolta-usa-george-floyd-violenza-sinistra-disinformazione/

Da una settimana le grandi città degli USA sono in preda al caos, dopo che le manifestazioni anti-polizia sono rapidamente degenerate in rivolte e saccheggi, con danni ingenti, morti e feriti. Ciò che sta accadendo Oltreatlantico ha a che fare con dinamiche proprie della società americana, retaggio d’un passato segnato da schiavismo, segregazione razziale e un presente di forte sperequazione sociale tra afroamericani e resto della società. Eppure, ha molte più similitudini di quel che pensiamo con le nostre società europee, e offre inquietanti anticipazioni d’un futuro che potrebbe riguardare anche noi.

Ma andiamo con ordine. Partiamo riepilogando succintamente ciò che è accaduto, perché non sempre l’informazione giunta in Italia è stata ricca di dettagli (e men che meno equilibrata). Il 25 maggio George Floyd, un pregiudicato (rapina a mano armata) afro-americano, è stato arrestato dalla polizia di Minneapolis per aver circolato una banconota falsa. Nel corso dell’arresto, al quale secondo i poliziotti avrebbe opposto resistenza, Floyd ha perso la vita. Sono circolati filmati realizzati dai passanti in cui si vede l’uomo a terra lamentarsi di non poter respirare, mentre un poliziotto lo tiene lungamente immobilizzato col ginocchio sul collo. Il comportamento della pattuglia coinvolta è subito apparso eccessivamente violento e inconscientemente pericoloso, e malgrado l’autopsia abbia escluso l’asfissia come causa della morte, è difficile non crederla collegata alle modalità dell’arresto.

David Patrick Underwood, agente federale ucciso dai “manifestanti”

La morte di George Floyd è diventata l’innesco per manifestazioni e proteste contro il “razzismo sistemico” che interesserebbe la polizia e le istituzioni americane in genere. Le forze dell’ordine sono state attaccate con violenza: un agente (nero!) è stato ucciso con colpi d’arma da fuoco. Altri sono stati feriti in scontri a fuoco che si stanno facendo sempre più frequenti. La Casa Bianca è sotto assedio dei manifestanti anti-Trump, malgrado Minneapolis sia una città amministrata dai democratici (e la polizia “normale” negli USA dipende dall’amministrazione comunale o statale, non da quella federale). Fin qui c’è una logica, per quanto illegale, in ciò che fanno i “manifestanti”. Impossibile invece legare alla morte di Floyd e alla “lotta al razzismo” i saccheggi che si stanno sistematicamente svolgendo in decine di città americane; colpiti sono non solo i negozi delle grandi catene ma anche i piccoli esercizi a gestione familiare (inclusi quelli di afro-americani e latini). La polizia, che ricordiamo dipendere dall’amministrazione cittadina (in tutte le grandi città interessate dalle rivolte afferente al Partito Democratico) il più delle volte non interviene. Negozianti e cittadini si stanno organizzando autonomamente per difendere le loro proprietà e i loro quartieri, ma spesso hanno la peggio e sono vittime di aggressioni d’indicibile brutalità, come attestato nei video seguenti [VIDEO CON CONTENUTI SENSIBILI: non guardare se facilmente impressionabili]:

ELIJAH
@ElijahSchaffer

BREAKING: man critically injured at Dallas riots It appears he attempted to defend a shop with a large sword Looters ran at him, then he charged rioters They then beat him with a skateboard and stoned him with medium sized rocks I called an Ambulance and it’s on the way
ELIJAH

@ElijahSchaffer

Kicked in the head laying lifeless on the street

A man had his teeth literally knocked out by Portland rioters

Reporter @farleymedia shows how vicious these riots have become

Nobody is safe

No business is exempt from destruction

https://twitter.com/i/status/1267022974542102528

Patrol_Investigations_RPD @PatrolRpd

Do you know any of these men❓Yesterday, May 30, these men violently attacked a store owner & her husband who were trying to protect their business from being looted. Please look at the video & still images. If you know any of them, please call Crime Stoppers @ 423-9300.

https://twitter.com/i/status/1267202275895803904

Teddy Suh @suhteddey

I saw some violence and looting and confusion in .

https://twitter.com/i/status/1267215081265217537

Daily Caller

@DailyCaller

MSNBC reporter says “I want to be clear on how I characterize this. This is mostly a protest. It is not generally speaking unruly.”

As a building burns in the background…

https://twitter.com/i/status/1266223410008514562

Malgrado i “manifestanti” abbiano assaltato anche la sede della CNN ad Atlanta, i media progressisti stanno facendo i salti mortali per giustificare le rivolte e caratterizzarle come “pacifiche”, talvolta con esiti comici (nel video seguente c’è un cronista che dichiara: “Si tratta di proteste che, parlando in generale, non sono indisciplinate”. Nel frattempo, sullo sfondo, si vede un edificio dato alle fiamme, e la grafica informa che il fuoco è stato appiccato anche alla stazione di polizia).

Ovviamente i politici di Sinistra non sono da meno. I tumulti avvengono in città da loro amministrate, con la polizia che non vuole o non può frenarli. Il Presidente Trump sta offrendo la Guardia Nazionale per sedare i disordini, ma per ora poche città l’hanno accettata, malgrado la situazione sia fuori controllo da giorni. Del resto, politici democratici stanno partecipando ai cortei pacifici, mentre i loro rampolli partecipano ai tumulti più violenti. La figlia del sindaco di New York Bill De Blasio è stata arrestata. La figlia della deputata Ilhan Omar su Twitter ha organizzato una colletta di “beni di prima necessità” per i manifestanti, tra cui barre di compensato da usare come scudi e …mazze da hockey. Poco male: i progressisti hanno già trovato dei capri espiatori. Le rivolte sarebbero opera, niente meno, che dei suprematisti bianchi e, ovviamente, dei Russi, che nella paranoia maccartista dei democratici stanno bene ovunque.

Ultima annotazione: la Sinistra, anche in America, ha fatto propria la causa del lockdown. Le amministrazioni democratiche sono state implacabili nel chiudere in casa i cittadini. Improvvisamente, in nome della lotta al “razzismo” e a Trump, cortei e assembramenti divengono leciti ed anzi encomiabili: che il coronavirus abbia preferenze ideologiche e colpisca solo i conservatori? Lo scopriremo fra un paio di settimane, tempo di incubazione e peggioramento dei sintomi della Covid-19.

Completato questo doveroso quadro, spostiamoci ora alla visione contestuale e alle lezioni da trarne.

1. Esiste una storia problematica di brutalità della polizia contro gli afro-americani; ma l’America del 2020 non è quella del 1991-92, del pestaggio a Rodney King e della rivolta di Los Angeles. All’epoca i poliziotti responsabili furono prosciolti. La vicenda di George Floyd è forse più grave di quella di King, ma anche le conseguenze sono state assai differenti.
Il capo della Polizia, Medaria Arradondo, un nero d’origine messicana nominato dal sindaco democratico di Minneapolis, dopo un solo giorno dagli eventi ha licenziato in tronco tutti e quattro i componenti della pattuglia. Dopo quattro giorni è stata formulata l’accusa d’omicidio per il maggiore responsabile. Addirittura, tanta è stata l’esecrazione generale, che la moglie dell’ex poliziotto si è affrettata a chiedere il divorzio dando pubblicità alla cosa. Dov’è il “razzismo sistemico” in tutto ciò? La vicenda assomiglia semmai a quanto accadde nel 2016 al bianco Tony Timpa, un soggetto con problemi psichiatrici immobilizzato in una posizione pericolosa dai poliziotti che lui stesso aveva chiamato (tra i quali un nero), e che ci lasciò la pelle. Anche in questo caso abbiamo un video dell’accaduto, nessun agente coinvolto è stato punito, eppure non si sono viste mobilitazioni di piazza.
Certo: gli afro-americani hanno più probabilità di essere uccisi dalla polizia (anche se la maggior parte delle vittime è d’etnia bianca). Ma è vero anche il contrario: gli agenti hanno una più elevata probabilità di essere uccisi da criminali afro-americani (tra 2004 e 2015 responsabili del 43% delle uccisioni pur essendo il 13% della popolazione; dei 48 agenti uccisi nel 2019 il 35% è stato ucciso da neri – dati FBI). Uno studio statistico recente non ha rilevato pregiudiziali anti-neri nelle uccisioni a fuoco da parte di forze dell’ordine; al contrario si è visto (qui e qui) che sono gli agenti neri e ispanici a premere il grilletto con maggior facilità. Più che un problema di razzismo, sembrerebbe trattarsi di disparità etnica nella partecipazione ad attività criminali. Gli afro-americani, che compongono la parte economicamente più povera, più spesso si dedicano ad attività criminali e più spesso hanno a che fare con la polizia: sia come vittime sia come carnefici.

2. Chiaramente un commentatore progressista ricondurrà anche le predette disparità sociali al “razzismo sistemico”, ed è esattamente ciò che fanno per rinfocolare la rivolta. Se lo Stato e le istituzioni sono intrinsecamente razziste, tutti i dati e argomenti presentati al punto 1 sono fatui: qualsiasi cosa sia avvenuta, se una minoranza etnica è implicata, a monte ci saranno sempre l’ingiustizia e lo sfruttamento da parte dei bianchi. Il neomarxismo post-operaista, egemone nelle università e nella cultura, identifica nelle minoranze il nuovo soggetto rivoluzionario capace di scardinare ciò che resta dell’ordine sociale tradizionale. Centinaia di corsi, articoli, talk show e serie Tv hanno spiegato che “il Sistema” è intrinsecamente razzista, che il benessere e la prosperità dell’Occidente bianco dipendono dallo sfruttamento del resto del mondo “colorato”, che non si può scendere a patti con quest’ordine sociale ma che va distrutto alle fondamenta. Così si soffia sul fuoco della rivolta e la si legittima anche nelle sue estreme manifestazioni. Gli antifa, estremisti di sinistra dediti alla violenza politica, sono i grandi protagonisti dei tumulti assieme alle gang afro-americane.

3. Il controllo dell’informazione mainstream permette di controllare il sentire comune. Mostrando le immagini della morte di George Floyd si è suscitata una giusta indignazione contro alcuni poliziotti violenti. Inquadrando la vicenda nel presunto razzismo di gran parte dei poliziotti si è incanalata la rabbia dai singoli alle istituzioni, così che nemmeno le pronte misure prese contro i rei possano placare gli animi: la questione non è più “giustizia per George Floyd” (più che licenziare e incriminare i responsabili che si può fare?), ma la lotta contro Trump, il “razzismo sistemico dei bianchi” e via dicendo. Nascondendo le immagini delle peggiori violenze dei rivoltosi, si evita che nasca indignazione anche contro di essi.

4. Tutti gli elementi predetti ci sono già, in nuce, anche in Italia. Da noi non c’è una comunità minoritaria che discende da una storia di schiavismo, ma c’è una crescente componente allogena che, da quando i flussi sono divenuti caotici e incontrollati (cioè dal 2011), sempre meno è assimilata o anche solo integrata dalla società italiana. Anche nelle nostre città, come già accaduto in quelle francesi o tedesche, si stanno creando comunità dall’identità separata, con proprie reti sociali sganciate dal resto della popolazione, economicamente svantaggiate e socialmente emarginate. Su tali svantaggi lucrano gli agitatori di professione, coloro che da varie cattedre e pulpiti raccontano che l’Italia è razzista e ciò sta all’origine di tutti i problemi delle minoranze. In America le violenze sono state perpetrate da gang criminali ed estremisti di sinista (gli Antifa). Anche in Italia con l’immigrazione di massa è arrivato il crimine organizzato di matrice etnica e anche da noi esistono realtà estremiste, come gli anarco-insurrezionalisti e certi “centri sociali”, che praticano la violenza politica e sognano una rivoluzione manu militari. Tutti i fattori del caos americano sono presenti anche da noi. La rivolta delle banlieue francesi ci ha svelato anni fa che certi fenomeni non sono più esclusiva degli USA, ma fanno parte anche della realtà europea. Oggi il fuoco divampa Oltreatlantico, presto potrebbe farlo da noi, se non sapremo prendere contromisure. Quali? Contrastare con una narrazione alternativa la propaganda estremista della Sinistra; tornare a un’immigrazione controllata e regolata che permetta di assimilare culturalmente e socialmente i nuovi arrivati; estirpare i fenomeni d’illegalità estremista e violenza politica che ancora sussistono quasi indisturbati nel nostro Paese.

Daniele Scalea

Fondatore e Presidente del Centro Studi Machiavelli. Laureato in Scienze storiche (Università degli Studi di Milano) e Dottore di ricerca in Studi politici (Università Sapienza), è docente di “Storia e dottrina del jihadismo” e “Geopolitica del Medio Oriente” all’Università Cusano. Dal 2018 al 2019 è stato Consigliere speciale su immigrazione e terrorismo del Sottosegretario agli Affari Esteri Guglielmo Picchi.

Attenti a quei due, di Giuseppe Germinario

La videoconferenza del duo Merkel-Macron del 18 e la relazione della von der Leyen al Parlamento UE del 27 maggio scorso rappresentano probabilmente un punto di svolta nelle linee di condotta della Unione Europea, almeno nelle intenzioni dei due principali protagonisti dell’agone comunitario. Un punto di svolta, ma nella continuità. Lo stile adottato nelle due iniziative non poteva essere più stridente. Alla esposizione asciutta, insolitamente sintetica rispetto alla ricorrente tentazione logorroica di Macron, dei primi, confacente al pragmatismo di due capi di stato ha corrisposto la stucchevole e rozza retorica intrisa di lirismo della seconda, nelle vesti consapevoli di una facente funzioni. Paradossalmente l’iniziativa non ha goduto del clamore di tanti precedenti dal tono ben minore. È l’indizio che è in corso una battaglia politica vera tra i vari paesi europei e all’interno degli schieramenti politici nazionali; battaglia la cui virulenza sta affievolendo la antica sicumera delle classi dirigenti più europeiste. In Italia la reazione degli schieramenti politici dominanti all’evento è stata più chiassosa, ma ha confermato una volta di più l’attendismo e la passività del ceto politico e della relativa classe dirigente nostrani. Gli uni hanno plaudito soddisfatti con la sola riserva della sollecitazione sui tempi di attuazione troppo lunghi; gli altri hanno mostrato scetticismo sulla sincerità e sulla attuabilità della proposta, visti il contesto politico dell’Unione e la tempistica legata alle procedure e ai canali di finanziamento e distribuzione. Toccare moneta per credere!

Il tempo in effetti è un fattore di grande importanza. Lo è per i paesi particolarmente più esposti con il debito pubblico, privi di sovranità monetaria e legata ai vincoli dei trattati e delle decisioni comunitarie, l’Italia in primo luogo. L’urgenza espressa dal nostro paese rientra nell’ordine dei mesi colti dalle dita di una mano o poco più. La crisi di liquidità delle imprese, l’interruzione istantanea della rete di relazioni economiche in un contesto in cui la fluidità dei circuiti era già compromessa dagli sconvolgimenti geopolitici e dalle innovazioni tecnologiche stanno compromettendo l’esistenza di un numero enorme di aziende non necessariamente decotte. Il tempo richiesto dall’impegno finanziario del “recovery fund”, del “sure”, dei finanziamenti della BEI (Banca Europea degli Investimenti), con l’eccezione non casuale del MES, rientra nell’ordine degli anni (sei) con elargizioni per di più rateizzate e legate al rispetto e verifica dei protocolli. Un criterio quest’ultimo, per altro, particolarmente virtuoso nelle procedure rispetto a quelle di concessione ed esecuzione dei lavori adottate dalle amministrazioni pubbliche italiane così come illustrate in particolare a suo tempo da Fabrizio Barca.

Lo è anche per i centri decisionali europei di quei paesi che detengono il pallino della definizione e del controllo dei meccanismi europei. Il fattore tempo è uno strumento fondamentale nel confronto geopolitico e geoeconomico, nella ridefinizione quindi delle gerarchie e delle posizioni. Lo è anche per un altro motivo, probabilmente ancora più importante. La sopravvivenza della Unione Europea nella sua attuale conformazione e progressione dipende in gran parte dall’esito del confronto politico negli Stati Uniti con i suoi riverberi in Europa; in subordine dall’acceso confronto politico interno agli stessi paesi motori del processo di integrazione, Francia e Germania.

Agli occhi dei critici più o meno istituzionali assume per la verità importanza sostanziale un altra caratteristica dell’intervento europeo: la grave insufficienza degli stanziamenti rispetto alle necessità, solo in parte mitigata dagli interventi provvidenziali ma circoscritti sulla liquidità corrente della BCE.

Sarebbero due ambiti di critica realmente dirimenti se fossero fondati i presupposti sui quali poggiano. Che la finalità dell’Unione Europea sia quella di garantire la coesione e lo sviluppo equilibrato delle economie e delle regioni in un ambito di cosiddetto libero mercato; che gli strumenti normativi, procedurali ed amministrativi di cui dispone la UE siano idonei al perseguimento di quegli obbiettivi.

La finalità ultima e dirimente della UE è in realtà il processo di integrazione all’interno del quale si predeterminano gerarchie, controlli e controllori sulla base di scontri, confronti, occupazione ed infiltrazione nei posti di comando che vedono regolarmente gli stessi deus ex-machina, attori principali e comparse. Le compensazioni previste sono solo una forma di redistribuzione parziale che non intaccano minimamente le dinamiche. Le rendono in realtà più tollerabili ed agevolano la fluidità del circuito domanda/offerta del mercato; le istituzionalizzano e le perpetuano con l’indebitamento.

Gli strumenti, compresi i fondi strutturali, sono stati tutti indistintamente costruiti in funzione di quella dinamica principale.

Il duo Merkel-Macron, da comprimari quali sono, a differenza di gran parte della nostra classe dirigente e del nostro ceto politico che le ignora o finge di ignorale, conoscono benissimo questa narrazione e le susseguenti implicazioni.

Sanno benissimo che passano attraverso un indebolimento progressivo delle prerogative e delle capacità di controllo e di intervento degli stati nazionali di cui sono essi stessi vittime rispetto agli altri attori geoeconomicopolitici; ma in misura molto minore, è questo infatti il loro ambito di azione prioritario, rispetto ad altri quali la Spagna e l’Italia. Di fatto l’UE agisce strutturalmente per garantire la libera circolazione finanziaria e per impedire la formazione di grandi imprese paragonabili in dimensioni e qualità a quelle americane ed ora cinesi, specie nei settori strategici dell’alta tecnologia e della difesa. I pochissimi settori nei quali Francia e Germania si sono ritagliati uno spazio, come nell’aereonautica (Consorzio AIRBUS), lo hanno acquisito a dispetto della UE e ora rischiano di perderlo grazie al mercimonio dei tedeschi i quali, forti della loro supposta “integrità morale”, dopo aver acquisito il controllo di una tecnologia francese a loro estranea, hanno recentemente cercato si svenderla agli americani in cambio di un loro benestare nell’acquisizione nel campo della chimica. Acquisizioni in cui sono compresi fardelli legali e risarcitori talmente pesanti da rivelarsi fatali per il colosso tedesco della Bayer. Il riferimento è alla ex-americana Monsanto. Altri, come il progetto Galileo, hanno goduto di un sostegno europeo parziale ma con pesanti limitazioni legate all’uso esclusivamente civile di una tecnologia di fatto superiore a quella americana. La conferma ulteriore di come i vincoli politici dai quali è legata la costruzione europea determinano le dinamiche e le scelte economiche.

Se il duo ha tanto insistito nel loro discorso sul carattere a fondo perduto di buona parte del “recovery fund”e sul “sure” e sull’interlocuzione diretta della UE con i beneficiari e le regioni, ma glissando elegantemente sulle necessarie garanzie pubbliche, è perché conoscono benissimo la frammentazione del panorama politico, lo scarso attaccamento alla nazione e allo stato nazionale di buona parte dello zoccolo duro dell’elettorato leghista e la propensione assistenzialista della componente grillina e progressista. Come le sirene con Ulisse, il loro di fatto è un richiamo alle origini di una Lega, possibilmente dimentica delle sue ambizioni di partito nazionale e nuovamente attratta dalle suggestioni di un polo eurobavarese, proprio nel momento in cui tra l’altro questo avrebbe meno da offrire.

Non è un caso altresì che il duo, accompagnato dieci giorni dopo dalla loro ventriloqua, abbia insistito sull’uso del canale dei fondi strutturali nella gestione del fondo. Non ostante l’ampia letteratura a disposizione, in Italia non riesce ad insinuarsi nemmeno il sospetto che quei fondi possano costituire il principale veicolo dell’integrazione, piuttosto che della coesione. Potenzialmente un veicolo di ulteriore esposizione alle dinamiche di squilibrio e di dipendenza delle zone depresse o a sviluppo intermedio rispetto ai centri politicoeconomici. Con il criterio del cofinanziamento vincolano, se non tutti, almeno la gran parte dei fondi statali al rispetto dei criteri europeistici, di quelle regole di concorrenza che impediscono il sorgere, con il necessario sostegno e la copertura pubblica in qualche maniera protezionistica, di realtà imprenditoriali autoctone. Una dinamica tanto più consolidata quanto meno sono disponibili risorse nazionali aggiuntive ed autonome per gli investimenti, quanto meno è presente l’ambizione a scelte autonome di una classe dirigente. Una ulteriore spinta al regionalismo, vecchio cavallo di battaglia della UE e di tante forze politiche non farebbe che accentuare tale predisposizione. È una tendenza fattiva che ha trovato tanto spazio e compromesso, nelle modalità di esercizio, paesi come l’Italia e la Spagna con i risultati ormai evidenti, ha intaccato la solidità della Francia, ha assunto una maschera simile ad una finzione nei paesi dell’Europa Orientale, indossata con il solo scopo di poter accedere ai fondi europei. La lezione degli anni ‘90 che ha portato, contestualmente al trasferimento all’Europa Orientale di gran parte dei fondi europei, allo smantellamento repentino in Italia delle agenzie nazionali e di tutto il relativo apparato tecnico-amministrativo in grado di progettare opere strategiche e processi di industrializzazione, nonché del sistema di incentivi non è stata appresa, pur considerando le grandi pecche di quel sistema. Solo la Germania è sembrata immune dalle conseguente di tali scelte, ma solo perché, risorta sotto impulso americano con una impronta federalista, esentata in quanto paese occupato da scelte di politica estera dirimenti e perché in possesso di una rete associativa e corporativa, direttamente coinvolta nelle scelte, tale da garantire sufficiente omogeneità politica tra i laender della federazione; soprattutto perché, grazie al suo progressivo e certosino controllo diretto ed indiretto delle leve politiche e burocratiche della UE, in questo ben avvallato dalla paterna accondiscendenza degli USA sino ad un paio di anni fa, ha saputo prepararsi e predeterminare gli indirizzi e la gestione di essa.

È arrivato il momento di chiarire un altro aspetto della natura particolare dell’azione delle strutture della UE in funzione dei due interventi oggetto di attenzione. Si parla costantemente di leggi e giurisprudenza europea. La produzione della Commissione Europea è fatta in realtà di norme frutto di trattative e pressioni degli Stati Nazionali ed espressione della immane attività lobbistica di aziende ed associazioni accettata e riconosciuta dagli organismi comunitari senza nemmeno i bilanciamenti che l’analoga legislazione americana, alla quale si è ispirata, ha creato a tutela dei cittadini e delle decisioni politiche; suscettibile quindi delle più svariate pressioni, interpretazioni e modifiche. Una dinamica che penalizza fortemente gli attori del panorama economico italiano. Che la UE non goda di uno statuto internazionale particolare è dimostrato dal fatto che organizzazioni internazionali come l’OMC non la riconoscano. Due aspetti che mettono all’angolo una volta per tutto il lirismo europeista della nostra classe dirigente utile a nascondere la propria assenza di protagonismo ed autorevolezza e il proprio fallimento; l’assenza di sagacia nelle continue contrattazioni in sede europea.

Alla luce di quanto detto le due novità più importanti degli interventi del duo e del commissario europeo assumono una luce particolare. La prima è che, almeno nelle intenzioni, la Unione Europea potrà diventare soggetto di imposta e quindi esattore diretto. La seconda è che comincia a farsi strada il concetto di tutela ed autonomia della produzione industriale. Due tabù cominciano ad essere messi in discussione. Il primo è l’acquisizione di una prima prerogativa statuale della UE, la riscossione delle tasse. Saremmo ben lontani dall’acquisizione della massa critica di risorse, stimata in un 20% del PIL, tale da dare corpo alla prerogativa; ma è un principio che comincia ad insinuarsi. La seconda appare una messa in discussione della verità assoluta del dogma del libero mercato. In quanto dogma, ben lungi ed impossibile da essere praticato coerentemente nell’azione quotidiana, quando si tratta in effetti di tradurlo in norme, comportamenti e sanzioni. Ma un’arma comunque necessaria da brandire alla bisogna in mano al censore investito e abilitato. Apparentemente parrebbe finalmente un sussulto di ambizione verso i potenti del globo. Non bisogna dimenticare però che uno dei protagonisti, Macron, è stato il cofautore della crisi del complesso nucleare francese, della cessione del settore delle turbine alla americana GE, strategico nel settore navale e nucleare, della produzione dei treni alla Siemens e di pericolosi tentennamenti nella vicenda AIRBUS. La seconda appare come la paladina di un primato industriale su prodotti maturi disposta a mantenere questa posizione sacrificando settori strategici altrui. Di una esposizione rischiosissima ai venti speculativi della finanza. Per non parlare della permeabilità esterna del proprio apparato istituzionale. Una coppia quindi molto poco credibile. Tanto più che l’obbiettivo strategico dell’economia verde può risolversi tranquillamente in un paravento per nascondere la residualità e la subordinazione nelle scelte strategiche, quello più corposo del 5G allo stato appare del tutto velleitario.

Allo stato l’iniziativa potrebbe assumere due significati non necessariamente alternativi.

Il primo potrebbe essere quello di gettare il cuore oltre l’ostacolo visto l’incalzare degli avversari interni ed esterni al progetto europeo e i punti fermi ormai stabiliti dalla Corte Federale tedesca che inibiscono ulteriori traccheggiamenti. Il secondo è che il vero obbiettivo è un riassetto definitivo degli equilibri interni che prevedono l’annichilimento definitivo di alcuni stati europei, l’Italia in primis; la definizione della Francia come partner politico-economico sostitutivo dell’Italia, come fornitore quindi dell’indotto, vista la crisi della sua grande industria. Un progetto però ancora tutto da definire e da costruire con parecchi terzi incomodi all’interno, soprattutto tra i paesi dell’Europa Orientale, legati del tutto strumentalmente ed opportunisticamente alla costruzione europea e molto più sensibili politicamente alle sirene americane; con numerosi e particolarmente influenti osservatori esterni, in primis gli Stati Uniti. I due potrebbero coltivare l’illusione, con la sconfitta di Trump, ad un ritorno al passato. Speranza mal riposta. Con il direttore d’orchestra che comincia a perdere colpi, il loro appare certamente un progetto foriero di conflitti distruttivi nel continenti piuttosto che un sussulto capace di costruire un nucleo politico di paesi europei in grado di partecipare attivamente alle dinamiche geopolitiche. Più che un oggetto di contesa, il nostro paese, con la sua attuale classe dirigente, appare in proposito, in questo contesto, una pallina da ping pong sballottata a piacimento senza alcuna considerazione. Dal punto di vista storico, in Europa ogni tentativo interno di posizione egemonica o di dominio continentale diretto si è risolto in catastrofi foriere di nuovi equilibri sempre precari. Non è detto che la storia si ripeta pedissequamente, ma gli ingredienti per una nuova disfatta si intravedono tutti.

https://www.elysee.fr/emmanuel-macron/2020/05/18/initiative-franco-allemande-pour-la-relance-europeenne-face-a-la-crise-du-coronavirus

https://ec.europa.eu/info/live-work-travel-eu/health/coronavirus-response/recovery-plan-europe_it

https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/about_the_european_commission/eu_budget/2020.2139_it_04.pdf

https://ec.europa.eu/info/live-work-travel-eu/health/coronavirus-response/recovery-plan-europe_it#documents

https://ec.europa.eu/info/live-work-travel-eu/health/coronavirus-response/recovery-plan-europe_it

Un’altra medicina di famiglia, di Gavino Maciocco

Non è facile trovare nella storia della medicina scelte di politica sanitaria che abbiano avuto effetti così catastrofici sulla salute della popolazione.  Ci voleva un evento eccezionale, una pandemia appunto, per rivelarne in tempi brevissimi tutta la sua magnitudo.

Nei prossimi 5 anni mancheranno 45 mila medici di base, ma chi va più dal medico di base, senza offesa per i professionisti qui presenti? (…) Tutto questo mondo qui, quello del medico di cui ci si fidava anche, è finita anche quella roba lì”.  Siamo al Meeting di Comunione e Liberazione, Rimini domenica 25 agosto 2019, e Giancarlo Giorgetti, ancora sottosegretario e numero due della Lega, si esprime così sul destino della medicina di famiglia, tra il serio e faceto, come Arlecchino che dice la verità burlando.

Quella roba lì, la medicina di famiglia in particolare e le cure primarie in generale, è da anni che in Lombardia tentano di annientarla, in parte riuscendoci. Infatti tutti i servizi sanitari e socio-sanitari territoriali di comunità, dall’assistenza infermieristica a quella riabilitativa, sono stati esternalizzati e privatizzati. La medicina di famiglia è stata in parte protetta dal contratto nazionale di categoria, e i cittadini lombardi hanno potuto continuare a scegliere il loro medico di fiducia. Tuttavia la struttura organizzativa del territorio si è fortemente indebolita e non sono mancati negli anni ripetuti tentativi per renderla più precaria e inefficiente.

Con l’acronimo “CReG” (Chronic Related Group) la Regione Lombardia lancia nel 2011 un progetto il cui obiettivo dichiarato è quello di migliorare le condizioni di vita dei cittadini affetti da patologie croniche. Gli obiettivi “non dichiarati” erano altri:

  • a) tenere fuori dalla partita della cronicità i medici di medicina generale (MMG), ritenuti non idonei allo scopo;
  • b) portare dentro la partita ogni tipo di provider, con un occhio di riguardo ai provider privati, in grado di gestire percorsi assistenziali complessi remunerati attraverso un sistema di budgettizzazione forfettaria simile ai DRGs ospedalieri.

Il progetto fallisce, ma la Regione Lombardia ci riprova qualche anno dopo con un nuovo titolo “Presa in carico del paziente cronico, ma con l’idea fissa di sostituire il medico di famiglia, “quella roba lì”, con provider privati e portare a termine l’originario progetto di annichilimento delle cure primarie. Ma il progetto ancora una volta fallisce per due motivi:

  • a) i provider privati (SanRaffaele&Co) non hanno alcuna voglia di accollarsi l’assistenza di masse di pazienti cronici, poco remunerativa e poco qualificata per centri di eccellenza come i loro;
  • b) i pazienti cronici, cui spetta la scelta di indicare il provider a cui affidarsi, si rifiutano di portare al mercato la loro malattia e decidono di non scegliere.

Di fallimento in fallimento nessuno si occupa nel frattempo seriamente della salute delle persone anziane, le più fragili delle quali vanno ad affollare le Residenze Sanitarie Assistenziali, di cui la Lombardia ha il record italiano per numero di strutture e di posti letto.

Poi arriva la pandemia e sono dolori. La Lombardia con i suoi 15 mila morti contribuisce per la metà al computo nazionale dei decessi da Covid-19.  Ma è un dato certamente sottostimato, come dimostrano i dati Istat (Rapporto del 4 maggio 2020) sull’eccesso di mortalità nel periodo 20 febbraio-31 marzo 2020 confrontato con la mortalità nello stesso periodo degli anni 2015-2019. Lo studio registra livelli di mortalità quintuplicati nei comuni della provincia di Bergamo, quadruplicati nei comuni della provincia di Cremona, triplicati nei comuni della provincia di Brescia.  Livelli di mortalità tra i più alti al mondo. E il mondo rimane ammutolito nel vedere un disastro del genere verificarsi in una regione così ricca di denaro, di imprese e di strutture sanitarie. “La tempesta perfetta: il disastro dell’epidemia nella regione italiana della Lombardia è una lezione per il mondo”: questo il titolo di un articolo pubblicato il 26 aprile sul Los Angeles Times in cui, tra l’altro, si legge: “Alle carenze dell’assistenza sanitaria si sono aggiunti gli interessi politici e commerciali al punto di esporre 10 milioni di cittadini lombardi all’epidemia di Covid-19 in una misura mai vista altrove, in particolare i più vulnerabili nelle residenze per anziani”.

Le falle dell’assistenza territoriale della Lombardia sono ben descritte sul Corriere dalla penna di Milena Gabanelli e Milena Ravizza: “La rete dei medici di base e dei distretti, cruciale nell’intercettare un paziente all’esordio dei sintomi ed evitare che degenerino, è stata smontata nel corso degli anni. L’arrivo in ospedale di casi già troppo gravi scandisce i racconti delle cronache lombarde degli ultimi 50 giorni. I medici di base sono lasciati andare allo sbaraglio per settimane intere: chi segue scrupolosamente i pazienti lo fa rischiando la vita (e spesso rimettendocela), gli altri lasciano i malati a loro stessi, con il consiglio dei virologi di prendere la tachipirina e restare a casa.”

I primi a proporre il tema del ‘territorio abbandonato’ sono stati colleghi di Codogno, che si sono trovati per 2 settimane soli nel pieno della tempesta virale, pagandone il prezzo in termini di vite perdute”. Con questa frase inizia una drammatica lettera di denuncia delle politiche regionali firmata da 60 medici di famiglia lombardi: “Il tentativo di riproporre le logiche concorrenziali sul territorio, ad esempio mettendo in antagonismo cure primarie ed ospedaliere per la presa in carico della cronicità, ha mostrato i limiti del quasi mercato e di una gestione centrata sulle cure ospedaliere. La “filosofia” del quasi mercato ha ispirato le politiche regionali, come dimostrano alcune scelte sintomatiche del disinteresse per le cure primarie, ad esempio la mancata attivazione delle forme associative della Medicina Generale e l’abbandono del territorio con la chiusura dei presidi distrettuali”.

Non è facile trovare nella storia della medicina scelte di politica sanitaria – quali quelle adottate pervicacemente dalla Regione Lombardia – che abbiano avuto effetti così catastrofici sulla salute della popolazione.  Ci voleva un evento eccezionale, una pandemia appunto, per rivelarne in tempi brevissimi tutta la sua magnitudo. Nel ricostruire la catena di cause che hanno prodotto l’ecatombe lombarda non possono mancare, come fattori di rilevanza nazionale, la latitanza di un Piano pandemico nazionale e –  riguardo alle infezioni e alla mortalità del personale sanitario – gli evidenti errori e i ritardi dell’Istituto superiore di sanità (e dell’OMS). Qualcuno risponderà di tutto ciò? 

Poi c’è quello che potremmo chiamare determinante distale della catastrofe sanitaria, non solo lombarda. C’è una significativa coincidenza temporale (2011) tra l’avvio dei CReG in Lombardia e l’imposizione di politiche di austerità e di smantellamento del welfare state che mettevano nel mirino i servizi sanitari nazionali, quelli finanziati dalle fiscalità generale, come quelli di Grecia, Italia, Spagna e Regno Unito. E nel mirino di queste politiche in particolare c’era proprio “quella roba lì”, le cure primarie e la medicina di famiglia. Per un motivo brutalmente ideologico: se la sanità deve diventare un business, attirare investimenti privati e produrre profitti e dividendi, devono valere tutte intere le regole del mercato: tra domanda e offerta non si può e non si deve frapporre un filtro, un gatekeeper, che si occupa di salute degli assistiti e non di mercato. In Inghilterra hanno inventato Babylon per scavalcare e rendere inoffensivi i medici di famiglia. In Italia le politiche di de-finanziamento del SSN hanno decimato le dotazioni organiche di tutti i settori, ma ancor più quelli afferenti ai servizi territoriali e ai dipartimenti di prevenzione (con paurose conseguenze nella gestione della pandemia). Nei confronti della medicina di famiglia si è praticata poi la politica più vigliacca, quella dell’inerzia di fronte al prevedibilissimo fenomeno del picco dei pensionamenti, a cui non si è voluto rispondere con un’adeguata politica di reclutamento di energie nuove. E le conseguenze si stanno già vedendo con posti vacanti di medico di famiglia che non vengono ricoperti: il fenomeno per ora riguarda le zone periferiche e i piccoli comuni, ma ben presto interesserà anche le città. La responsabilità ricade in primo luogo sulla politica, ma anche sul sindacato della medicina generale che si è occupato dei medici anziani e si è disinteressato dei giovani, penalizzati oltretutto da un corso di formazione poco qualificato e sottopagato rispetto alle specializzazioni accademiche (ciò che lo rende meno attrattivo agli occhi dei neo-laureati).

Un’altra medicina di famiglia è possibile.  Il Servizio sanitario nazionale non può fare a meno di una nuova medicina di famiglia, all’interno di un rinnovato sistema di cure primarie ricco di molteplici professionalità sanitarie e sociali, e adeguatamente dotato anche di infrastrutture fisiche (case della salute) e informatiche.

Un’altra medicina di famiglia è possibile perché ci sono energie giovani in grado di pensarla, di sostenerla e di realizzarla.

Penso ai medici di Campagna “Primary Health Care: Now or Neverche hanno recentemente scritto: È evidente che per rispondere a bisogni di cura sempre più complessi sia necessario, e più efficace, adottare un approccio socio-sanitario integrato, coordinato e comprehensive. Esempi virtuosi di integrazione e possibili soluzioni si trovano sia nel panorama internazionale sia nazionale: realtà in cui l’organizzazione del servizio sanitario è fortemente basata sui principi della Comprehensive Primary Health Care e dove le equipe multidisciplinari di assistenza primaria hanno un forte legame con un territorio specifico e con la comunità”.

Penso al Segretariato Italiano Giovani Medici (S.I.G.M.): “Vogliamo la Scuola di Specializzazione in Medicina Generale, di Comunità e Cure Primarie perché crediamo che una valorizzazione della formazione specifica in medicina generale non sia più procrastinabile e che le criticità strutturali emerse nel corso dell’emergenza non possano essere più ignorate. La Scuola di Specializzazione in Medicina Generale dovrà essere una scuola di nuova concezione che si avvalga delle conoscenze scientifiche del mondo accademico e che al contempo continui ad essere radicata sul territorio, ovvero il contesto nel quale tali conoscenze devono essere calate ed adattate. Con l’auspicio che tutte le forze intellettuali e civili del Paese colgano l’importanza di un cambiamento divenuto ormai imprescindibile per tutto il Servizio Sanitario Nazionale”.

Penso al Movimento Giotto che ha proposto le caratteristiche e le competenze specifiche della medicina di famiglia e le conseguenti proposte di cambiamento del percorso formativo post-laurea (vedi risorse), che anche l’Università farebbe bene a prendere in considerazione.

https://www.saluteinternazionale.info/2020/05/unaltra-medicina-di-famiglia/?fbclid=IwAR1bO2e8qmSE4iSYMy5bSO3-HC1gMYbpq_6MIP-VeMim6t0WYfdkquBQwY0

Iran, Cina e Russia: alleati ad hoc?, di Michel Nazet

I media occidentali sono stati ossessionati dalle posizioni anti-occidentali dell’Iran sin dalla Rivoluzione islamica del 1979 e dal suo presunto desiderio di acquisire armi nucleari. Le relazioni dell’Iran con la Russia, come con la Cina, sono quindi un po ‘il volto nascosto della politica estera iraniana e ne sono state completamente nascoste, fino ai piani per la (ri) costituzione dell’Eurasia per la Russia e la Terra Via della seta per la Cina.

 

I legami con la Cina sono attestati dai rapporti tra i Parti e i Cinesi, quindi dall’esistenza della via della seta che attraversava, dal II E  secolo prima di J. – C., tutto il nord della Persia, ed era un vettore di scambi di tutti i tipi. La Persia, la Cina e gran parte della Russia furono persino brevemente unificate dai mongoli tra il 1227 e il 1259, prima che il loro impero si spezzasse.

Quindi le relazioni con la Cina furono ridotte. Con la Russia, sono diventati sempre più difficili, la rimozione di Mosca a Persia numerosi territori nel XIX °  secolo (vedi mappa a pagina 47). Nel 1920, i comunisti incoraggiarono la creazione di una repubblica effimera di Gilan nel nord del paese; nel 1945 e nel 1946, Stalin cerca ancora di strappare l’Azerbaigian e il Kurdistan dalla Persia all’Iran. Queste minacce portano l’Iran a rivolgersi all’Alleanza occidentale e aderire al Patto di Baghdad.

L’Iran è alla ricerca di nuovi partner

La logica geopolitica contemporanea degli ultimi decenni ha avvicinato l’Iran alla Russia e alla Cina. Rompendo con gli Stati Uniti, sentendosi minacciato dall’accerchiamento delle potenze sunnite, molte delle quali sono ostili nei suoi confronti, traumatizzati dal suo isolamento durante la guerra con l’Iraq, Teheran adotta una politica estera “anti-egemonica”, neutralista e terzo mondo.

Pertanto, l’Iran si oppone principalmente agli Stati Uniti, influenti nel Golfo Persico, che si oppongono all’adesione al rango di potere internazionale dell’Iran.

Inoltre, ha sentito parlare a nome dei paesi del Sud, rifiutando il Washington Consensus (1) e facendo una campagna per un pianeta multipolare. Questo impegno si riflette in una posizione eminente all’interno del movimento non allineato, di cui Teheran è diventato il quartier generale dal 2012 e di cui Hassan Rohani è l’attuale segretario generale.

Queste posizioni hanno portato l’Iran ad avvicinarsi al suo vicino russo e alla Cina, che sono anche parte di una sfida all’attuale ordine mondiale e di una sfida a un egemonismo americano percepito come dinamico e minaccioso …

Verso un “nuovo impero mongolo”?

Di conseguenza, le relazioni tra i tre stati si sono intensificate solo a causa di molti interessi comuni (sensazione di essere circondati dagli Stati Uniti, lotta contro il terrorismo di ispirazione jihadista e traffico di droga in generale ed eroina in particolare).

L’Iran è quindi diventato, negli ultimi anni, un partner privilegiato della Russia, nell’ambito di un partenariato di cooperazione militare del 2001 rafforzato all’inizio del 2015, per gli acquisti di armi (quindi i missili antiaerei avanzati S-300 tra cui Mosca ha appena sbloccato la consegna), l’energia nucleare civile (costruzione della centrale di Bouchehr ), il settore del gas. Più recentemente, a marzo 2015, a seguito dell’embargo russo sui prodotti agricoli europei, l’Iran e la Russia hanno firmato un importante contratto che promuove le esportazioni iraniane di prodotti della pesca e dei prodotti lattiero-caseari, nonché i trasferimenti finanziari.

Allo stesso tempo, le relazioni economiche tra Iran e Cina si sono sviluppate fortemente dal 2004. Nonostante le pressioni, Pechino non applica le sanzioni imposte dalle Nazioni Unite. La Cina è quindi diventata dall’inizio del decennio il primo partner economico dell’Iran (l’Unione Europea, da tempo in prima fila, essendo caduta al quarto posto); importa principalmente idrocarburi (50% di petrolio iraniano esportato) e prodotti petrolchimici. Il commercio, che ha raggiunto i 30 miliardi di dollari nel 2010, ora supera i 40 miliardi con l’obiettivo di 100 miliardi all’anno.

 

Allo stesso modo, mentre l’Iran ha posizioni molto vicine a quelle formulate dai BRICS e vi è collusione da parte degli organi di stampa iraniani, russi e cinesi, questo paese è diventato un osservatore presso la Shanghai Cooperation Organization ( dove Pechino e Mosca siedono già) nel 2005 e potrebbero diventare membri a pieno titolo al vertice di Ufa a luglio 2015. Infine, recentemente, il 3 aprile 2015, l’Iran ha aderito come membro fondatore dell’iniziativa bancaria cinese Asian Investment Bank , la Asian Infrastructure Investment Bank , alla quale gli Stati Uniti e il Giappone hanno rifiutato di aderire …

Sembra quindi prendere forma un asse Mosca-Teheran-Pechino che Thomas Flichy di La Neuville ha descritto come “il  nuovo impero mongolo (2)” e che Zbigniew Brzezinski aveva previsto dagli anni ’90.

Un’entità improbabile …

I tre paesi, plasmati da un acuto sentimento nazionale, sono lungi dall’avere dimensioni geografiche e umane comparabili. Sentono anche il bisogno assoluto di aprirsi agli Stati occidentali che rappresentano una domanda di solventi e sono fornitori di capitale e tecnologia … La loro capacità di opporsi all’egemonia è quindi limitata e irregolare.

Hanno anche interessi che possono rivelarsi divergenti. Ognuno aspira, sulla scala del continente asiatico, un luogo strategico che, se geograficamente complementare, compete anche con quello dei suoi due partner. Questa divergenza di interessi può quindi alimentare solo ulteriori motivi e sospetti, concretizzati dalle posizioni ambivalenti di Cina e Russia, ieri durante il conflitto iracheno-iraniano, oggi sull’energia nucleare iraniana. La Russia, in particolare, può sinceramente desiderare che Teheran acquisisca armi atomiche? D’altra parte, le controversie del passato hanno perso parte del loro significato poiché i due paesi non hanno più un confine terrestre dalla rottura dell’URSS. Né esiste, per il momento, una lotta per l’influenza in Asia centrale, anche nel Tagikistan della cultura iraniana. Qui la rivalità riguarda Mosca e Pechino.

 

Infine, questi paesi hanno poco in comune culturalmente e ideologicamente. I loro sistemi sociali non hanno nulla di paragonabile.

Tutto sommato, l’Iran, la Cina e la Russia condividono indubbiamente una visione divergente del mondo da quella trasmessa dall’Occidente, mentre la loro vicinanza geografica autorizza l’implementazione di complementarità economiche e collusione strategica. Ma hanno particolarità irriducibili che, se non ostacolano un inevitabile riavvicinamento, impediscono loro di essere troppo fuse. L’Iran ha quindi il suo progetto geopolitico per diventare una potenza regionale la cui influenza si estenderebbe sia al Medio Oriente che all’Asia centrale al fine di cessare di essere “una potenza limitata”. A medio termine, questo progetto prevede migliori relazioni con l’Occidente e anche con la Turchia, la chiave per il mondo di lingua turca.

Anche se la sua realizzazione, un vasto programma, richiederà non solo una normalizzazione del potere iraniano, ma anche una pacificazione regionale attualmente fuori portata, la straordinaria diplomazia iraniana, che si dice non sia mai buona come quando opera sul precipizio, tra cui lavoro…

 

  1. I principi delle politiche liberali incoraggiate dal FMI sono così chiamati: deregolamentazione, privatizzazioni, apertura, rigore di bilancio, ecc.
  2. Thomas Flichy di La Neuville, Cina, Iran, Russia, un nuovo impero mongolo? Lavauzelle, 2013.
  3. https://www.revueconflits.com/iran-chine-russie-allies-de-circonstance-michel-nazet/

La politica dello spazio, di  Jacek Bartosiak

La politica dello spazio

La prima puntata di una serie in quattro parti che esplora la concorrenza sullo spazio.

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Mentre scrivo questo articolo, chiuso nella bellissima regione della Warmia nella Polonia settentrionale, vicino al sito della campagna invernale di Napoleone del 1806-07, le ricadute della pandemia di coronavirus sembrano intensificare la rivalità tra Stati Uniti e Cina. Ricorda un fulmine che colpisce prima di una tempesta, illuminando un campo di battaglia poco prima dell’inizio di una nuova battaglia.

I campi di battaglia tra grandi potenze di solito consistono in cose come lavoro, commercio, produzione, valuta, investimenti e tecnologia. In un’economia globalizzata, il controllo su queste aree dà a un paese la capacità di imporre la propria volontà sugli altri – che è la definizione di potere. In precedenza erano controllati da potenze regionali all’interno delle loro sfere di influenza e dal crollo dell’Unione Sovietica sono stati dominati dall’unica superpotenza del mondo – gli Stati Uniti – che possiede una marina con portata globale, una valuta globale, una proiezione di potere capacità e superiorità nei mondi tecnologici e finanziari.

Ma il fattore più importante che determina il potere strutturale di un paese nell’economia globale è il suo vantaggio tecnologico. La capacità e la volontà di abbracciare la modernizzazione è una fonte di grande profitto e potere.

La tecnologia crea “nuove economie”, premiando coloro che investono in anticipo e abbracciano il cambiamento, lasciando indietro coloro che resistono al cambiamento e mantengono lo status quo. In questo modo, altera l’equilibrio del potere. Possiamo vedere questi cambiamenti di paradigma con le innovazioni in agricoltura, l’invenzione della polvere da sparo, l’addomesticamento e l’allevamento dei cavalli e i progressi nelle tecnologie di produzione e navigazione.

La rivoluzione industriale, il motore a vapore, il motore a combustione interna, l’aviazione, la metallurgia e Internet pongono i paesi occidentali ai vertici della gerarchia internazionale. È stata la capacità dell’Occidente di modernizzare che l’ha spinta verso l’alto e l’ha trasformata in un modello per gli altri che cercano di far avanzare il proprio status nel mondo.

Coloro che hanno modernizzato hanno preso parte alla corsa della civiltà; quelli che non ne sono usciti, e spesso si sono trovati divisi o colonizzati (il Commonwealth polacco-lituano e la Cina sono esempi chiave). In questo modo, la modernizzazione è uno sforzo geopolitico e una fonte di competizione senza fine tra tutte le aspiranti grandi potenze del mondo.

L’Inghilterra, un tempo povera e periferica, utilizzava la tecnologia per costruire una flotta di livello mondiale in grado di attraversare l’Atlantico. Ha sconfitto i suoi concorrenti nella corsa ai profitti della nuova economia, aprendo così la strada al suo controllo del mondo. La Cina, invece, ha avuto meno successo. Nel 15 ° secolo, prese la decisione imprudente di distruggere la propria flotta esplorando l’Oceano Indiano e la costa africana, mentre cercava di aggrapparsi al vecchio paradigma in cui molti decisori chiave cinesi erano a proprio agio. In tal modo, ha dimostrato che le cattive decisioni geostrategiche – contrarie alla modernizzazione – possono portare al collasso della propria civiltà.

In passato, epidemie e guerre hanno accelerato gli sforzi di modernizzazione. Radar britannico, bomba atomica e missili balistici tedeschi: tutte queste innovazioni sono nate dall’ultima guerra mondiale. Perfino Sputnik e i voli con equipaggio sulla luna erano in qualche modo i prodotti di quel conflitto e del programma tedesco sui missili balistici V-2. Wernher von Braun era, dopo tutto, uno dei principali architetti del V-2 e in seguito il cervello dietro al programma Apollo degli Stati Uniti.

La guerra fredda ha intensificato la competizione per la supremazia tecnologica. Le potenze hanno gareggiato per dimostrare le loro capacità in una serie di aree: razzi, aerei, radar, navi, ottica, circuiti integrati, microchip, voli spaziali e armi nucleari e termonucleari. Gli Stati Uniti hanno dimostrato la loro superiorità con iniziative come il Progetto Manhattan, il programma Apollo e la triade nucleare. Ma quando divenne evidente negli anni ’70 e ’80 che i sovietici avevano perso la corsa allo spazio, gli americani iniziarono a lasciarsi andare. Smisero di volare missioni con equipaggio sulla luna, contenti di lanciare voli verso un’orbita bassa della Terra facilmente raggiungibile, con l’aiuto di una tecnologia un po ‘migliorata sebbene datata degli anni ’60 e ’70.

60 anni di esplorazione spaziale
(clicca per ingrandire)

Era arrivata l’era della globalizzazione. Francis Fukuyama ha annunciato la fine della storia. Nuovi mercati hanno iniziato ad aprirsi. È emerso un mondo unipolare. Ma la fine della rivalità tra Stati Uniti e Unione Sovietica ha portato un forte legame strategico, certamente quando si è trattato di esplorazione dello spazio, mentre il compiacimento degli Stati Uniti ha aperto le porte alle potenze emergenti – vale a dire la Cina – per competere con uno spazio USA sempre più inefficiente e un programma sottofinanziato.

In effetti, quando si tratta di esplorazione dello spazio, non è successo molto dopo la fine dell’Unione Sovietica. I lanci dello space shuttle si sono rivelati inefficienti. Gli Stati Uniti sono diventati dipendenti da altri paesi per accedere alla stazione spaziale internazionale. La NASA è diventata un simbolo di ipertrofia burocratica e cattiva gestione finanziaria. Durante il periodo in carica del presidente Barack Obama, alcuni hanno persino suggerito che fosse completamente eliminato e che il programma spaziale fosse terminato.

La mancanza di progressi è in parte dovuta alle risorse finanziarie necessarie per mantenere un moderno programma spaziale, in modo tale che solo le nazioni più potenti con le maggiori economie possano permettersi di averne uno. Oltre ai soldi, hanno bisogno di una visione e una strategia. Un primo esempio dell’inefficienza dell’attuale programma spaziale è lo Space Launch System della NASA, un’iniziativa estremamente costosa sostenuta principalmente da legislatori di stati come la Georgia e l’Alabama dove viene prodotto il sistema.

Queste inefficienze sono un sintomo della debolezza strutturale del sistema politico americano. Pertanto, imprenditori come Elon Musk e Jeff Bezos – i moderni Cristoforo Colombo e Vasco da Gama – hanno raccolto la bandiera della causa, lanciando i propri progetti spaziali con iniziative come SpaceX e Blue Origin.

Esploratori come Musk e Bezos, o Columbus e da Gama, o la moltitudine di temerari senza nome e coloro che assumevano rischi prima, hanno affrontato enormi sfide e rotto vecchi paradigmi. Spesso tali avventurieri hanno dovuto affrontare carenze finanziarie, derisioni e attacchi costanti. Il cambiamento è dirompente e alla gente non piace l’interruzione, quindi alla gente non piace il cambiamento.

Inoltre, con la fine della Guerra Fredda è arrivata l’illusione di una fine della storia: la convinzione che il liberalismo avesse trionfato e che forse i giorni peggiori di cambiamento e distruzione fossero passati. Nel corso della storia umana, i vincitori hanno sempre ipotizzato che il loro trionfo rappresentasse la fine della rivalità geopolitica. Che la vittoria degli Stati Uniti nella guerra fredda fosse dovuta principalmente al dominio tecnologico dell’Occidente e alla promessa di modernizzazione in qualche modo sfuggì alla nostra percezione.

Invece, il sogno di belle relazioni tra le persone ha legato le mani dei leader occidentali, in particolare gli americani, e ha bloccato il percorso verso azioni più audaci in nuove aree come lo spazio. L’idea che il cosmo e le sue illimitate possibilità e risorse appartenessero a tutta l’umanità – non solo a coloro che vi arrivarono per primi – era seducente. E se non ci fosse urgenza e chiarezza su chi pagherà e su chi trarrà beneficio dai frutti dell’esplorazione, allora gli investimenti pubblici e privati ​​per finanziare l’esplorazione dello spazio potranno aspettare.

Esistono chiari parallelismi con l’esplorazione dei mari e degli oceani, a cui il cosmo è strutturalmente (dal punto di vista dell’uso e del controllo) paragonabile. Solo i grandi poteri hanno capacità spaziali. I paesi senza tali capacità assomigliano a quelli privi di sbocco sul mare. In un’era di grande competizione di potere, tali stati non avrebbero fatto liberamente uso dell’esplorazione del mare. Solo durante i periodi in cui esisteva un egemone navale che approvava i principi del movimento, tutti gli stati potevano beneficiare del potenziale del mare dato. Al momento non esiste un singolo arbitro nello spazio, almeno non ancora. Quindi seguono le implicazioni.

Discussioni simili hanno avuto luogo durante i periodi di grandi scoperte geografiche: chi possiede le terre scoperte e i loro frutti? Su quali principi viene utilizzato l’oceano mondiale? Chi possiede l’Atlantico e le linee di comunicazione della nuova economia? Tali dibattiti si sono sempre conclusi allo stesso modo: il potere decide e il potere vittorioso impone la sua volontà di diventare arbitro della nuova economia. La Gran Bretagna ha giocato il gioco in più fasi e con grande maestria, con Trafalgar come ultimo tocco della grande visione.

Nell’era della recente globalizzazione, l’Occidente voleva credere che il corso della storia potesse essere domato e controllato e che le persone fossero cambiate. Soprattutto, che questa volta sarebbe stato diverso.

Non lo sarà.

Nel dicembre 2019, gli americani hanno creato Space Force. Durante l’inaugurazione, il presidente Donald Trump ha dichiarato: “lo spazio è il più nuovo dominio di guerra al mondo. Tra le gravi minacce alla nostra sicurezza nazionale, la superiorità americana nello spazio è assolutamente vitale. E stiamo procedendo, ma non  abbastanza. Ma molto presto, saremo in testa a molti. La Forza Spaziale ci aiuterà a scoraggiare l’aggressività e controllare l’altura più elevata. “

Trump ha aggiunto nelle osservazioni successive: “L’essenza dell’uomo americano è esplorare nuovi orizzonti e domare nuove frontiere. Ma il nostro destino, oltre la Terra, non è solo una questione di identità nazionale, ma una questione di sicurezza nazionale. Così importante per i nostri militari. Così importante. E la gente non ne parla. Quando si tratta di difendere l’America, non è sufficiente avere semplicemente una presenza americana nello spazio. Dobbiamo avere il dominio americano nello spazio. “

Pertanto, nella visione di Trump, sono gli Stati Uniti ad essere il guardiano del nuovo oceano mondiale, l’arbitro dei principi che regolano i viaggi nello spazio e i flussi strategici di persone, merci, investimenti, tecnologia, dati e conoscenze . A tal fine, gli Stati Uniti vogliono controllare la proiezione della forza dallo spazio alla Terra e viceversa, e allo stesso tempo controllare i sistemi di osservazione della Terra e le comunicazioni in entrambe le direzioni.

La competizione tra gli Stati Uniti e la Cina sarà del tutto incomparabile rispetto a qualsiasi cosa precedente. Una Cina sveglia è un grande potere. Quando gli Stati Uniti divennero un paese potente, la Cina praticamente non esisteva come importante centro statale, essendo stata colonizzata e dettata da potenze straniere. Mai nella storia c’è stata una Cina potente e un potente Stati Uniti allo stesso tempo. Le voci allarmistiche affermano addirittura che non c’è posto per entrambi allo stesso tempo.

Quando le potenze europee stavano combattendo per il dominio in Europa, mentre venivano scoperte nuove rotte attraverso l’Atlantico verso l’America e verso l’Asia intorno all’Africa e cambiando le economie e il commercio, esse consumarono le risorse necessarie per combattere per il dominio sul loro vecchio mondo natio – cioè  l’Europa. Nella prossima battaglia per la supremazia sulla Terra e la sua economia globalizzata, il centro di gravità delle catene del valore e delle tecnologie esistenti sarà rapidamente bloccato in una situazione di stallo, assomigliando alle Fiandre nel 1914-18. Pertanto, la concorrenza in nuovi campi e domini passerà alle catene del valore e alle tecnologie future, che creeranno industrie e produzione nel 21 ° secolo: 5G, intelligenza artificiale, stampa 3D, produzione distribuita, produzione spaziale in un vuoto, energia solare economica e illimitata energia, comunicazione dallo spazio alla Terra, esplorazione ed estrazione di risorse spaziali, ecc. La nuova economia è tradizionalmente creata da una svolta basata sull’accesso a nuove materie prime, nuove tecnologie di produzione e nuova connettività. L’esplorazione dello spazio promette tutti e tre contemporaneamente.

La nuova civiltà riguarderà le tecnologie emergenti, ma la condizione per questo è il dominio militare. In effetti, l’uno abilita l’altro. E nello spazio non c’è premio per il secondo posto; chi ottiene il controllo dell’accesso può negare l’accesso ad altri.

Non ci può essere illusione: nessuna delle due parti si arrenderà senza combattere. Per gli americani, non c’è spazio per l’alloggio nel loro attuale modello socio-economico. Non ascolteranno gli avvertimenti di Henry Kissinger, che teme il confronto con la Cina, né ascolteranno Kishore Mahbubani di Singapore, un collega del leggendario fondatore del paese, il defunto Lee Kuan Yew. Mahbubani crede che gli Stati Uniti debbano adattarsi al potere della Cina perché gli Stati Uniti hanno già perso la battaglia.

Neanche i cinesi si arrenderanno. Accettare le richieste di Washington sarebbe visto come un accordo con le versioni moderne dei trattati ineguali che hanno portato all’età dell’umiliazione del XIX secolo. La Cina è determinata a non cambiare la sua strategia di crescita, soprattutto perché gli ultimi 40 anni sono probabilmente il periodo migliore della storia dei 4.000 anni del Regno di Mezzo. Allora perché dovrebbe cambiare qualcosa adesso, specialmente quando il Paese che richiede il cambiamento è in circolazione da meno di 250 anni, un breve periodo dal punto di vista cinese?

James Carafano della influente Heritage Foundation con sede a Washington ha recentemente annunciato la rottura della cooperazione tra Stati Uniti e Cina, il divorzio della catena di approvvigionamento globale e la divisione del mondo in sfere di influenza: Nord America, Europa di fronte all’Atlantico e parti di Asia orientale in una zona e Cina e suoi alleati nell’altra zona. Con le parole di Slawomir Debski dell’Istituto polacco per gli affari internazionali, questo pone la Polonia, come avanzata roccaforte occidentale di fronte alla grande massa terrestre dell’Eurasia, sotto il potere della Cina.

Allo stesso modo, Andrew Michta del think tank americano del German Marshall Fund postula la necessità di un forte disaccoppiamento e fine della cooperazione con la Cina. E Wess Mitchell, ex vice segretario di stato USA per gli affari europei ed eurasiatici, fa un cenno ai paesi tra il Mar Baltico e il Mar Nero e ordina loro di schierarsi immediatamente con l’America e cessare la cooperazione economica con la Cina. L’implicazione è che, in caso contrario, quei paesi saranno esclusi dalla zona americana per impostazione predefinita.

Sebbene io personalmente conosca e apprezzi tutti questi pensatori, il confronto con la Cina sarà più complicato di quanto pensino gli americani.

Nonostante gli avvertimenti di Kissinger e le raccomandazioni del famoso leader di Singapore, gli americani intraprenderanno questa lotta – e la guerra sarà combattuta. È ora di allacciare le cinture di sicurezza.

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In ricordo di Piero Visani, di Roberto Buffagni

Di seguito un intenso e commovente ricordo di Piero Visani ad un mese dalla sua repentina dipartita. Mi ero ripromesso anch’io di ricordarlo pubblicamente. Non serve; Roberto Buffagni è riuscito ad esprimere il sentimento comune. Non siamo riusciti, io e Piero, nel paio di anni di contatti ad incontrarci fisicamente. Le nostre conversazioni si stavano però sempre più infittendo. Le nostre storie personali erano agli antipodi, ma il rispetto, il disincanto e la lucidità di analisi suoi propri avevano creato una atmosfera di grande stima reciproca. Un rapporto che prometteva di essere sempre più proficuo. In pochissimi casi la scomparsa di una persona mi ha prodotto una simile sensazione di vuoto; penso che capiti quando a lasciarci è qualcuno che avrebbe potuto dare ancora tantissimo con la giusta lucidità ed il giusto tatto_Giuseppe Germinario

In ricordo di Piero Visani,

di Roberto Buffagni

 

E’ già passato un mese dalla morte di Piero Visani. Mi capita, ogni tanto, di leggere qualcosa o sentire una notizia e pensare, “Di questo ne voglio parlare con Piero” oppure “Sentiamo che ne pensa Piero”. Poi mi ricordo che non si può, non si può più; ma non mi sono ancora completamente convinto che Piero è morto. Forse perché, nonostante ci conoscessimo da pochi anni, e fossimo sotto tanti riguardi  persone diversissime – per il carattere, le persuasioni ideali, l’esperienza di vita – con Piero ci si intendeva al volo, con la facilità umoristica e complice delle amicizie d’infanzia o di chi abbia condiviso i momenti più formativi della vita, come i compagni di scuola o i camerati che hanno servito insieme.

L’ho conosciuto attraverso Facebook. Buffo, ma è così. Ho letto quel che scriveva, ne ho stimato subito la serietà e profondità delle conoscenze, l’intelligenza brillante, il professionismo dei giudizi, l’eleganza del tratto – perché come sa chiunque l’abbia conosciuto, Piero era un uomo molto elegante. Affabile, cortese, spiritoso, pieno di tatto: un uomo che non avrebbe mai potuto offendere nessuno involontariamente, che è la miglior definizione della nobiltà di spirito e dell’eleganza d’anima che conosca.

C’era poi in Piero un tratto che me lo rendeva profondamente simpatico, e che – adesso che non mi può leggere posso dirlo – mi inteneriva, pensando a lui: la sua fedeltà alla giovinezza. E’ morto che aveva quasi settant’anni, quando l’ho conosciuto era a metà della sessantina; ma si sentiva subito, in lui, il lieto respiro, il soffio di freschezza della gioventù. Fedeltà alle persuasioni e alle esperienze e ai principi radicatisi in lui nell’infanzia e nella giovinezza, certo; una fedeltà che gli è costata molto cara, proprio in termini di soldi e carriera e onori, i premi di quella solidità borghese e adulta che non era fatta per lui, anche se quei premi li avrebbe meritati più di molti che li collezionano.

La solidità borghese e adulta non era fatta per Piero, Piero non era fatto per essa, perché Piero, uno dei più acuti e coerenti pensatori del realismo politico, uno storico militare di valore, uno studioso appassionato di Schmitt e Nietzsche, Piero era giovane cioè ingenuo. Sembra paradossale, ma se ci si pensa bene è logico. Per cogliere i premi della solidità borghese e adulta ci vuole un requisito borghese e adulto: la disponibilità al compromesso. Compromesso nel senso migliore e peggiore della parola, intendiamoci: compromesso come riconoscimento che anche noi siamo, in fin dei conti, “come tutti gli altri”, uomini soggetti all’errore, al limite, al comune destino di mortali; e compromesso come abdicazione alle immagini di bene, di grandezza, di nobiltà e di onore che hanno acceso di speranza e di illusioni i nostri anni giovanili; o come loro simulazione ipocrita.

Deve averlo profondamente ferito e amareggiato, lui che per formazione, ambiente familiare, generosità d’animo  era per così dire nato nazionalista e patriota innamorato dell’Italia, la lunga esperienza professionale all’interno dello Stato italiano, presso la Presidenza della Repubblica e le Forze Armate. Troppo grande, troppo desolante la distanza tra ideale e realtà; quella distanza non misurabile in metri lineari da cui nasce lo spleen, la malinconia; e infatti nell’umorismo di Piero, nel dominio che con garbo esercitava su di sé si avvertiva sempre l’eco lontana della malinconia: che è l’impronta lasciata da un vero amore quando lo perdiamo, e pur sapendo che non lo ritroveremo mai non lo rinneghiamo né lo dimentichiamo, e lo conserviamo così, in certe pause che interrompono i nostri discorsi, in certi sguardi che scivolano via dal presente e si perdono, per un momento, nel vuoto.

Proprio ieri mi è capitato, su Facebook, di vedere il nome di Piero, perché suo figlio e sua moglie hanno lasciato aperta la sua pagina, dove le molte persone che lo stimavano e le poche che lo conoscevano di persona e gli erano affezionate hanno lasciato e ancora lasciano un ricordo, una frase, una firma. Il nome di Piero era illuminato di quel colore azzurrino, luminescente, che segnala i link, i collegamenti alla persona che porta quel nome. Basta cliccarci sopra con la freccina del mouse, ed ecco che si apre la pagina di diario. La pagina di Piero, oggi, si apre sull’aldilà in cui non credeva, che disprezzava come illusione dei deboli e raggiro dei vili; o sui ricordi di chi l’ha conosciuto, che sono anch’essi una specie di aldilà, di grande notte punteggiata di fiammelle che ci guidano nel dedalo del nostro passato. Brucia bene, brucia limpida la fiammella dei ricordi di Piero, nella mia memoria. Ciao Piero, ci vediamo presto.

TRA CONSIGLIO EUROPEO e CORTE COSTITUZIONALE TEDESCA, a cura di Giuseppe Germinario

Qui sotto una piccola raccolta di note e considerazioni di FF e Giuseppe Masala_Giuseppe Germinario

GIUSEPPE MASALA

Davvero ma come fa qualcuno a credere che le norme del trattato istitutivo del Mes possano essere sospese/abrogate con la letterina di due commissari europei? E magari una legge dello stato italiano o direttamente una norma di rango costituzionale possono essere abrogate con una dichiarazione di Conte scritta da Casilino. Ma per favore, levate la scolarizzazione di massa, dite che all’Università possono andare solo coloro che hanno conto in banca in Svizzera, ditta con domicidio fiscale in Olanda e possibilmente doppio cognome nobiliare. Dite che dobbiamo andare a zappare e non fate più studiare nessuno. Però non provate a prenderci per il culo così. PS L’Unione Europea va abbattuta.

<<The ESM will also implement its Early Warning System to ensure timely repayment of the Pandemic Crisis Support.>> (Punto 5 Eurogrup Statement). Post sorveglianza. Ecco, l’ombrello di Altan

https://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2020/05/08/eurogroup-statement-on-the-pandemic-crisis-support/?fbclid=IwAR1pBZr0RTe3QNKjLgoCdNxG89xfMfuI12lsQtdmEOgVBJcFzPO4efNybYI

traduzione (con traduttore):

Dichiarazione dell’Eurogruppo sul sostegno alla crisi pandemica

1. Il 23 aprile 2020, Leaders ha approvato l’accordo dell’Eurogruppo in formato inclusivo del 9 aprile 2020 sulle tre importanti reti di sicurezza per lavoratori, imprese e sovrani, pari a un pacchetto del valore di 540 miliardi di EUR, e ha chiesto la loro attuazione da parte del 1 ° giugno 2020. I leader hanno anche convenuto di lavorare per istituire un fondo di risanamento e hanno incaricato la Commissione di analizzare le esigenze esatte e di presentare urgentemente una proposta commisurata alla sfida. L’Eurogruppo in un formato inclusivo continuerà a monitorare attentamente la situazione economica e preparerà il terreno per una solida ripresa.

2. L’Eurogruppo accoglie con favore gli sforzi ben avviati in seno al Consiglio sulla proposta SURE e negli organi direttivi della BEI sull’istituzione del fondo di garanzia paneuropeo a sostegno dei lavoratori e delle imprese europee e conferma l’accordo per l’istituzione di ESM Pandemic Crisis Support per sovrani.

3. Oggi abbiamo concordato le caratteristiche e le condizioni standardizzate del sostegno alla crisi pandemica, disponibili per tutti gli Stati membri dell’area dell’euro per importi del 2% del PIL dei rispettivi membri alla fine del 2019, come parametro di riferimento, per sostenere il finanziamento interno di e i costi indiretti dell’assistenza sanitaria, della cura e della prevenzione dovuti alla crisi COVID-19. Abbiamo inoltre accolto con favore le valutazioni preliminari delle istituzioni sulla sostenibilità del debito, le esigenze di finanziamento, i rischi di stabilità finanziaria, nonché sui criteri di ammissibilità per l’accesso a questo strumento. Concordiamo con l’opinione delle istituzioni che tutti i membri ESM soddisfano i requisiti di idoneità per ricevere supporto nell’ambito del supporto per crisi pandemiche. Con riserva del completamento delle procedure nazionali, prevediamo che il consiglio dei governatori del MES adotti una risoluzione che confermi questo ben prima del 1 ° giugno 2020. Seguiranno le disposizioni del Trattato MES.

4. L’Eurogruppo ricorda che l’unico requisito per accedere alla linea di credito sarà che gli Stati membri dell’area dell’euro che richiedono assistenza si impegnino a utilizzare questa linea di credito per sostenere il finanziamento interno dell’assistenza sanitaria diretta e indiretta, i costi relativi alla cura e alla prevenzione dovuti al COVID 19 crisi. Questo impegno sarà dettagliato in un singolo piano di risposta pandemica da preparare sulla base di un modello, per qualsiasi struttura concessa nell’ambito del sostegno alla crisi pandemica.

5. Concordiamo sul fatto che il monitoraggio e la sorveglianza dovrebbero essere commisurati alla natura dello shock simmetrico causato da COVID-19 e proporzionati alle caratteristiche e all’utilizzo del sostegno per la crisi pandemica, in linea con il quadro dell’UE [1] e le pertinenti linee guida ESM . Accogliamo con favore l’intenzione della Commissione di applicare un quadro di monitoraggio e monitoraggio semplificato, limitato agli impegni dettagliati nel piano di risposta pandemica, come indicato nella lettera del vice presidente esecutivo Valdis Dombrovskis del 7 maggio e del commissario Paolo Gentiloni indirizzata al presidente dell’Eurogruppo . L’ESM implementerà inoltre il suo sistema di allarme rapido per garantire il rimborso tempestivo del sostegno alla crisi pandemica.

6. Concordiamo con la proposta ESM sui termini e le condizioni finanziarie comuni applicabili a qualsiasi struttura concessa nell’ambito del sostegno alla crisi pandemica. Ciò include una scadenza media massima di 10 anni per i prestiti e modalità di prezzo favorevoli adattate alla natura eccezionale di questa crisi [2].

7. L’Eurogruppo conferma che il sostegno alla crisi pandemica è unico, dato il diffuso impatto della crisi COVID-19 su tutti i membri del MES. Le richieste di sostegno alla crisi pandemica possono essere presentate fino al 31 dicembre 2022. Su proposta del direttore generale dell’ESM, il consiglio dei governatori dell’ESM può decidere di comune accordo di adeguare tale termine. La proposta dell’amministratore delegato si baserebbe su prove oggettive sull’andamento della crisi. Successivamente, gli Stati membri dell’area dell’euro rimarrebbero impegnati a rafforzare i fondamenti economici e finanziari, coerentemente con i quadri di coordinamento e sorveglianza economica e fiscale dell’UE, compresa l’eventuale flessibilità applicata dalle competenti istituzioni dell’UE.

8. Il periodo di disponibilità iniziale per ciascuna struttura concessa nell’ambito del sostegno alla crisi pandemica sarà di 12 mesi, che potrebbe essere prorogato due volte per 6 mesi, conformemente al quadro ESM standard per gli strumenti precauzionali.

9. A seguito di una richiesta nell’ambito del sostegno alla crisi pandemica, le istituzioni dovrebbero confermare le valutazioni con il minor preavviso possibile e preparare, insieme alle autorità, il singolo piano di risposta pandemica, basato sul modello concordato.

10. Fatte salve le procedure nazionali relative a ciascuna richiesta, gli organi direttivi del MES approveranno i singoli piani di risposta pandemica, le singole decisioni di concessione dell’assistenza finanziaria e gli accordi relativi alle strutture di assistenza finanziaria, in conformità dell’articolo 13 del trattato MES.

[1] In particolare il considerando 4 del regolamento (UE) n. 472/2013: “l’intensità della sorveglianza economica e di bilancio

FF

Molti si chiedono che avrebbe da guadagnare la Germania a sfasciare l’UE.
Per rispondere a questa domanda si dovrebbe tener presente che gli strateghi tedeschi del capitale ragionano in modo simile ai generali tedeschi della I e della II guerra mondiale, ossia nessuna autentica strategia ma solo efficienza tattico-operativa. Perfino Erich von Manstein, considerato il miglior generale tedesco della II guerra mondiale, nelle sue memorie, “Vittorie Perdute”, e che pure ambiva a dirigere tutte le operazioni sul Fronte orientale, si occupa solo del settore del Fronte di cui era responsabile. Di strategia e dei complessi problemi, non solo militari, di un Paese che combatteva pure nell’Atlantico, nel Mediterraneo e nel Nord Europa contro gli anglo-americani, non vi è traccia nel suo libro.
Certo, sotto il profilo tattico-operativo i tedeschi furono sempre superiori agli Alleati (ma a partire dal 1944 non ai russi, anche se questo aspetto della II guerra mondiale è poco conosciuto) in entrambe le guerre mondiali.
Anche sotto l’aspetto economico ragionano quindi soprattutto in termini di organizzazione, di efficienza e di dominio, anziché in termini di egemonia, di intelligence e perfino di mero interesse (nel senso di business).
Da qui si dovrebbe dunque partire per capire il comportamento della Germania.

GIUSEPPE MASALA

Le linee di credito sanitarie del Mes soprannominate Mes Light stanno diventando un caos completo.

Conte dice che non ne abbiamo bisogno (Renzi sì così come tutto l’apparato piddin-confindustriale) ma che lo approveremo per non far dispetto alla Spagna che lo vuole.
La Spagna oggi risponde che manco per nulla lo vuole.
La Francia oggi fa sapere che manco loro sono interessati.
Ma ieri Gentiloni ha detto che non c’è condizionalità.
Però oggi Donbrovskis dice che c’è condizionalità ma light.
Alla fine parla il Direttore Generale del Mes che dice che c’è una novità: un Meccanismo di Allerta Rapido per la restituzione tempestiva del prestito. Tasso al 0,115%. E se uno non caccia i soldi gli mandano la Banda della Magliana.

Insomma, a me pare che siamo in pieno caos. Al di là delle battute caustiche, secondo voi come potrà agire un qualsiasi governo a Roma se avrà sopra la testa una mannaia che ti impone la restituzione dei trentasei miliardi del Mes a semplice chiamata da Bruxelles e dunque con la necessità di fare a tamburo battente una manovra aggiuntiva che copra la cifra da restituire? E’ chiaro che qualsiasi governo sarà eterodiretto da Bruxelles indipendentemente da quello che sarà il voto degli italiani. E temo che tutta questa tarantella del Mes presunto Light (ma molto hard) abbia proprio quello di ingabbiare qualsiasi maggioranza che possa formarsi a Roma e renderla docile rispetto ai voleri di Bruxelles.

FF

La Germania ha chiaramente rinunciato a sfruttare la pandemia per rifondare l’UE secondo una prospettiva geopolitica ed economica autenticamente europea, preferendo invece, come sempre, una politica fondata sulla sottomissione degli altri Paesi europei anziché sulla cooperazione tra i diversi Paesi europei.
In questo contesto, il futuro del nostro Paese appare disastroso. Si prevede difatti un crollo del PIL di quasi il 10% e un debito pubblico superiore al 150% del PIL, ma nel malaugurato caso di una nuova ondata di Covid-19 la situazione potrebbe essere perfino peggiore.
E’ evidente, pertanto, che se l’Italia dovesse cercare di porre rimedio a questa recessione con gli strumenti attualmente messi a disposizione della UE, ossia eseguendo le direttive di Berlino, le conseguenze per il nostro Paese sarebbero catastrofiche.
Una classe dirigente che accettasse questi diktat non sarebbe dunque diversa da una classe dirigente che dichiara guerra al proprio Paese. Del resto, le guerre oggi non si combattono solo con le armi da fuoco. Si possono impiegare altre armi, ma gli effetti, nella sostanza, sono analoghi a quelli delle guerre in cui si impiegano le armi da fuoco.
Tuttavia, le guerre si sa come iniziano ma non come finiscano.
Di questo dovrebbe comunque essere consapevole perfino una classe dirigente di infimo livello come quella italiana notoriamente incapace di agire strategicamente, giacché da decenni si limita ad eseguire le direttive di centri di potenza stranieri, pur di difendere i propri privilegi.

In realtà la Corte Costituzionale tedesca ha posto dei limiti precisi all’acquisto dei titoli di Stato da parte della BCE lanciando a quest’ultima un ultimatum. Pertanto, perfino Repubblica ammette che “la Bce ha tre mesi di tempo per dimostrare che ‘gli obiettivi di politica monetaria perseguiti dal programma di acquisto di titoli pubblici non sono sproporzionati rispetto agli effetti di politica fiscale ed economica derivanti dal programma’. Al momento, questo il cuore del verdetto, quegli acquisti sono sproporzionati”.
In sostanza, nessuna “monetizzazione” del debito da parte della BCE o se si preferisce nessun “whatever it takes”.
In altri termini, ossia in termini politici, comanda la CC tedesca, cioè la Germania, e la BCE deve eseguire quel che Berlino ordina.

GIUSEPPE MASALA

La Frankfurter Allgemeine Zeitung ci informa che il Servizio Studi del Bundestag ha chiarito che il Governo federale e lo stesso Bundestag (che sarebbe la camera bassa del parlamento tedesco, come la nostra Camera) in ottemperanza a quanto sentenziato dalla Corte di Karlsruhe dovranno adoperarsi per controllare che la Bce si attenga a quanto stabilito. A partire dal rispetto del principio di proporzionalità negli acquisti di assets (Capital Key). Come se non bastasse il controllo – sempre per l’Ufficio Studi del Bundestag – non sarà relativo solo al piano ordinario di acquisti di assets (Pspp) ma anche a quelli straordinari dovuti all’emergenza pandemica (Pepp).

Tutto questo significa che la Politica Monetaria dell’Euro sarà fatta secondo i principi stabiliti dalla Corte di Karlsruhe e verrà controllata dal Senato tedesco. Voi avete votato i vostri rappresentanti al Senato tedesco? No? Allora avete cittadinanza presso una colonia tedesca. Tipo la Namibia e il Camerun dei tempi di Guglielmo II. Era già così da prima ma ora la condizione è cristallizzata giuridicamente.

Rimane da parte mia la stima per la Corte di Karlsruhe che ha indicato chiaramente la via d’uscita. Gli stati sono padroni dei trattati e non i trattati padroni degli stati. Ergo, chi non accetta la condizione di colonia tedesca può tranquillamente stracciare i trattati.

PS Chiaro e palese che in Italia sarebbero pronti ad accettare la condizione di colonia. Altri paesi io non credo. Traete voi la conclusione del tutto.

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-faz_bce_sotto_osservazione_rafforzata/11_34811/?fbclid=IwAR3sXHL84pA0s4Dq7JKwlOQlyWrYwdx_LdXcAyHs_ttS_ROAeSiQgbgIE1s

Il vice Presidente della Bce, lo spagnolo Luis de Guindos dice che la Banca Centrale Europea è sotto la giurisdizione della Corte di Giustizia Europea e non della Corte di Karlsruhe e che entro fine anno il programma di acquisto di titoli arriverà a 1000 mld di euro. Bene, vanno allo scontro frontale con Karlsruhe fino al punto di continuare anche se la Bundesbank decidesse di interrompere il programma. Del resto la sentenza di Karlsruhe ha prescrizioni talmente stringenti tali da rendere impossibili i soliti trucchi per aggirare trattati e sentenze varie. Sembra che Parigi sia disposta a prendersi il rischio della rottura dell’Euro nel medio periodo

Scusate se ci ritorno ancora, ma lascia abbastanza stupefatti il coro di critiche degli europeisti alla sentenza della Corte di Karlsruhe. Credo sia emblematica di come in Italia e in Europa sia completamente saltato il sistema di valori e dunque di valutazione dei fatti. Secondo i dettrattori di Karlsruhe saremmo di fronte ad una “sentenza nazionalista”. Niente di più sbagliato. Siamo di fronte ad una sentenza che ristabilisce i più elementari principi di democrazia. E che ridà ai miei occhi la massima stima dovuta al popolo tedesco e alle sue istituzioni. Se la Cancelleria ormai da qualche lustro occupata dalla Merkel ha accarezzato grazie all’Euro e all’Unione Europea di ridare vita sotto mentite spoglie al Septemberprogramm di Theobald von Bethmann-Hollweg se non direttamente al funesto piano di Walther Funk dell’epoca del Terzo Reich con una sentenza coraggiosissima la severa Corte di Karlsruhe tiene il punto. I beni primari del Popolo tedesco sono la Democrazia e la Sovranità. Beni primari da tutelare ad ogni costo. Anche a costo di perdere danaro se questo significa ricadere nell’errore secolare dell’Imperialismo tedesco di sottomettere gli altri popoli europei.

La Corte lo dice chiaramente, l’Eu non è uno stato federale conseguentemente la Corte stessa fa da guardia alla Sovranità dello Stato tedesco democratico e alle regole sancite nella sua Legge Fondamentale, di fatto, ingabbiando i demoni di epoche che speriamo siano per sempre passate alla Storia. Ogni qualvolta che le istituzioni europee non rispetteranno quanto scritto tassativamente nei trattati e porranno in essere politiche Ultra Vires la Corte interverrà con un fuoco di sbarramento. Anche se si tratta della Banca Centrale Europea. Anche se la Corte di Giustizia Europea la pensa diversamente. Karlsruhe richiamerà le istituzioni tedesche al rispetto dell’ordine costituzionale, qualunque sia il costo economico e politico.

E’ vera, nella concretezza delle cose a noi ci dice male quello che ha stabilito la Corte. Ma il rispetto della Costituzione è fondamentale: nessuno ha dato alle istituzioni UE potere di porre in essere politiche fiscali. Le politiche fiscali sono in capo ai singoli stati e la Corte lo ribadisce. Certo, dicevo, ci dice male sotto l’aspetto pratico: significa che l’Italia (ma non solo l’Italia) per sostenere la crisi in corso nell’ambito della Ue dovrà accedere al Mes, firmare un Memorandum, svendere la democrazia, e sottoporsi a sacrifici speventosi. Ma quelle sono le regole dei Trattati liberamente accettati dai contraenti. Non c’è via di scampo. La Corte forse sa che le regole dei trattati in materia di finanza pubblica sono state scritte male, o più probabilmente nascondono un patto faustiano tendente a demolire gli stati e il welfare in una logica neoliberista? Probabilmente sì. Lo sanno. Sanno anche che ciò che è stato fatto alla Grecia è un crimine. E hanno posto un punto. Un punto storico e dirimente. La Corte sottolinea con forza – lanciando di fatto un appello a tutti gli stati e popoli europei – che gli stati sono i padroni dei Trattati (testuali parole) e non i Trattati padroni degli stati e della democrazia e della libertà dei popoli. La Corte tedesca ha detto chiaro e tondo ciò che con forza finalmente qualcuno doveva avere il coraggio di dire: ogni stato è libero di uscire dalla Ue rompendo i trattati e riconquistando la libertà da una organizzazione tecnocratica, fondata sulla menzogna e sull’inganno. Questo è il punto storico. La Corte di Karlsrhue non ha emesso una sentenza nazionalista, ma una sentenza che ristabilisce la democrazia e il diritto di ogni popolo di essere artefice del proprio destino. Bello o brutto che sia, ma il proprio.

FF

Da ascoltare attentamente l’intervista al prof. Pastrello, che spiega bene la sentenza della CC tedesca e le disastrose conseguenze che può avere per l’Italia

GIUSEPPE MASALA

Davvero è stucchevole questa polemica sul Mes. Non se ne può più. Eppure è giusto controbattere con le povere armi che abbiamo al profluvio ignobile di menzogne da parte di chi vuole a tutti i costi rinchiuderci in questa gabbia.
Ricapitoliamo:

➡️La cifra di 37 miliardi è sovradimensionata per le spese sanitarie, ed è buona solo per consentire ad una banda di malfattori di prodursi in una operazione di saccheggio. Allo stesso tempo è una cifra risibile per rimettere in carreggiata un’economia da 1800 mld di euro di pil.

➡️Tema delle condizionalità ovvero di come ti fregano con le parole. I gerarchi del regime dicono che non ci sono condizionalità tranne quella banale di spendere i soldi nel settore sanitario. Vero e falso contemporaneamente. L’Eu intende per “condizionalità” una richiesta di “aggiustamenti preventivi” all’erogazione della cifra richiesta. Bene questi aggiustamenti preventivi non sono richiesti perchè ieri l’Eurogruppo ha sancito che tutti i debiti dei paesi europei sono sostenibili. Dove sta il trucco? Il trucco sta nel fatto che sono previste azioni correttive ovvero aggiustamenti su deviazioni future che per ora non ci sono ma che sicuramente ci saranno. Secondo voi ci saranno scostamenti rispetto a quanto ad oggi previsto in un’economia che crolla del -9,5% del pil (stima Commissione Europea)? Si andrà molto peggio, per esempio Uk prevede un -14% e i dati che escono sono terrificanti e -9,5% per noi sarà un miracolo irrealizzabile.

➡️Cosa succederà quando ci saranno queste deviazioni rispetto alle previsioni ottimistiche (si, per quanto possa sembrare strano un -9,5% è ottimistico)? Si attiverà (come da comunicato di ieri dell’Eurogruppo) un Early Warning System ovvero un meccanismo di controllo stringente delle politiche fiscali del nostro Governo da parte del Mes (che è una società di diritto privato lussemburghese). In pratica le scelte di governo saranno dettate non dalla volontà democraticamente espressa dal popolo ma da questo Moloch lussemburghese.

➡️Non basta, tenete anche conto che dopo la sentenza della Corte di Karlsruhe la possibilità della Bce di chiudere gli spread e calmierare i tassi sui titoli del debito pubblico di paesi come l’Italia, nella migliore delle ipotesi, si riduce notevolmente.Quindi entreremo in crisi finanziaria netta.

➡️Entrare in crisi finanziaria significa che dovremmo fare una scelta: rimanere appesi all’Unione Europea che ci condannano alla fame pur avendo fondamentali sanissimi (Niip, Saldo partite correnti, Bilancia Commerciale) per dover rispettare regole ideologiche ormai fuori tempo massimo e condannate dalla storia e avendo come unica colpa quella di esserci indebitati in Euro, una moneta straniera che ha i principi di politica monetaria dettati dalla Corte Costituzionale tedesca e controllati dal Bundestag tedesco, oppure dire – una volta per tutte – leviamo il disturbo e magari accettiamo la il Memorandum propostoci dagli Usa.

➡️Ecco, questo bocconcino da 37 miliardi che tanto ingolosisce i nostri politici serve a legarci una volta per tutte al Moloch Europoide.

➡️Evito di ironizzare peraltro sul fatto che 14 miliardi di questi 37 li abbiamo dati noi al Mes qualche anno fa. In realtà si stanno comprando (conncedendoci un prestito netto da 23 miliardi da restituire in comode rate decennali) giusto il tempo per farci ingoiare la riduzione a Romania post caduta del comunismo.

➡️Faccio infine notare che da questa crisi sono in arrivo altri 5 milioni di poveri assoluti che si aggiungono ai 5 milioni creatisi dopo la manovra di aggiustamento strutturale del governo Monti. Bene, si tenga conto che a questi 10 milioni di persone nessuno potrà chiedere di farsi espiantare un rene da vendere al mercato degli organi per risanare (sic) i conti dello stato. A questo giro l’onere dell’aggiustamento non ricade sui disgraziati ma sull’eletta schiera delle classi medie generalmente benpensanti e garantite.

Per quel poco che vale questo è quanto.

Sahel: e se fosse lo sviluppo la causa della guerra?, di Bernard Lugan

Il più grande merito dello storico ed analista Bernard Lugan, grande studioso delle vicende politiche del continente africano, è stato nel corso degli anni quello di aver smontato sistematicamente la costruzione retorica ed ideologica degli aiuti umanitari e di sostegno allo sviluppo legati ad una condizione di sottosviluppo. Questo breve articolo ci offre un ulteriore tassello della sua costruzione analitica e della sua denuncia politica. Il conflitto politico in Africa non è dovuto in prevalenza al sottosviluppo, ma ai colossali cambiamenti socioeconomici indotti da interventi esterni e con nuovi grandi attori i quali stanno spingendo sempre più i paesi africani nel circuito commerciale internazionale delle materie prime; ma anche a dinamiche interne a quei paesi quali quelle illustrate in questo articolo.Buona lettura_Giuseppe Germinario

Sahel: e se fosse lo sviluppo la causa della guerra?
I conflitti nel Sahel centrale non sono una conseguenza della scarsità di risorse alimentari
poiché, tra il 1999 e il 2016, la produzione di cereali è ivi aumentata di tre volte a seguito dell’incremento del 25% della superficie coltivata. Allo stesso tempo, il terrorismo ha travolto la regione.
Perché?
Se le risorse alimentari si sono moltiplicate per tre, è perché le aree coltivate sono aumentate del 25%. Un risultato ottenuto essenzialmente per la messa a coltivazione dei terreni da pascolo. Quindi a spese dei pastori. Sulle loro antiche terre di transumanza, i Fulani hanno visto così l’insediamento di coloni non nativi i cui antenati, prima della colonizzazione, erano vittime a loro volta di razzie. Minacciati nel loro modo di esistenza, loro si sono rivolti ai jihadisti.
Più in generale, se osserviamo i microfenomi e non più unicamente i macrofenomi,
scopriamo che non è tanto attorno ai vecchi punti di acqua che avvengono gli scontri,
quanto attorno ai nuovi pozzi
scavati dalle ONG e alle superfici irrigate grazie alle sovvenzioni dell’Unione Europea. Alcuni progetti di bonifica realizzati dai “salvatori del pianeta” equivalgono a veri e propri fattori di guerra. Recintano zone umide ora vietate ai pastori ma che sono vitali per loro.
La religione dello “sviluppo” quindi sconvolge i sottili equilibri tradizionali di quella terra. Da qui il motivo della maggior parte degli attuali scontri etnici a Macina, Soum
e a Liptako.
Come spiego nel mio libro “Le guerre del Sahel dalle origini Oggi”, a causa dell’etnomatematica elettorale, gli Stati
del Saheliani controllati con il sostegno degli agricoltori sedentari favoriscono questi a spese dei pastori.
Le persone arricchite e sedentarie investono nel bestiame, competendo così direttamente con i pastori.
Questo è particolarmente vero nel Soum-Macina. Da qui lo scontro tra Peul e Dogon.
Il risultato di questa doppia espropriazione dei pastori comporta che il sedentario arricchito e possidente di bovini, assume come
pastori i giovani proletari Peuhl.
Pertanto, è gioco facile per i jihadisti suggerire loro di uscire dalla loro condizione umiliante con la legge delle armi. La stessa dei loro antenati quando erano dominanti.
Un altro esempio, il Soum dove, come non ho smesso di scrivere da tempo per anni, l’introduzione della coltivazione del riso avvenuta a spese della pastorizia è una delle chiavi di comprensione dell’attuale jihadismo.
Questa novità ha davvero attratto nuove popolazioni nella regione. I coloni coltivatori di riso mossi o fulsé-kurumba hanno inizialmente cacciato i pastori Peuhl dalle terre di transumanza. In nome dell’etno-matematica, perché localmente più numerosi
dei Fulani hanno combattuto contro i loro capi-clan per cambiare le regole di assegnazione del territorio.
Anche qui lo sviluppo ha quindi aperto una autostrada ai jihadisti …

http://bernardlugan.blogspot.com/

38° podcast_Il bersaglio grosso, di Gianfranco Campa

Quando, ormai quattro anni fa, apparve sulla scena politica statunitense un personaggio politico apparentemente estraneo ai circoli che ci avevano assuefatti ormai per decenni, le sue filippiche contro il multilateralismo, il globalismo e il principale beneficiario degli assetti mondiali ad essi conseguenti, la Cina, apparivano ancora come fastidiose e rozze dissonanze. Eppure già allo scadere della presidenza Obama qualche disorientamento e la crescente situazione di stallo già spingevano per un cambio di paradigma. Quelle affermazioni apparentemente estemporanee avevano però un limite nella loro vulgata o sottintendevano qualcosa di più essenziale. Puntavano l’attenzione sul dito piuttosto che sulla luna; probabilmente nascondevano la luna dietro il dito; ancora meglio, il lato luminoso della luna impediva di conoscere quello più oscuro e intrigante. Il problema di fondo non era l’emersione di un rivale temibile, la Cina, quanto il fallimento del progetto egemonico mondiale americano e gli enormi scompensi nelle formazioni sociali, nella fattispecie quella americana, creati dai processi di globalizzazione ad esso connessi. Il successo duraturo di Trump, a prescindere dalla stessa eventualità di una sua rielezione, non è altro che la constatazione dell’avanzare di un mondo multipolare, dell’emersione quindi di più potenze. “L’America prima di tutto” comporta quindi la rinnovata capacità di una nuova classe dirigente statunitense di giostrare tra queste contraddizioni e tra le logiche e gli interessi di questi paesi emergenti per riaffermare e mantenere la propria potenza e, soprattutto, consolidare la propria coesione sociale e politica. L’esito positivo non è ancora scritto nel finale di spartito, ma la posta in palio inizia ad essere più definita e circoscritta. Il podcast di Gianfranco Campa si presta a due interpretazioni. Uno più emotivo e forse semplicistico, tende a ridurre il confronto ai due giganti riservando al resto il ruolo di comparse o figuranti. L’altra, di più difficile lettura, è che, comunque, l’emersione di nuovi soggetti crea situazioni di rivalità, di conflitto e di affinità mutevoli tra tutti i protagonisti prima che il processo arrivi a consolidarsi e cristallizzarsi in sodalizi più stabili. Gli scompensi, i dissesti, le tragedie e le riconformazioni riguarderanno tutte le formazioni sociali, non solo quella americana. La Cina, quindi, oltre ad essere un soggetto assoluto di competizione, inizia ad apparire anch’essa un oggetto. Il prevalere di una o dell’altra interpretazione non dipende dall’autore ma dall’atteggiamento manicheo, dogmatico o pragmatico del lettore. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

Le turbolenze della vita continuano, di Giuseppe Germinario

La crisi pandemica del coronavirus ha portato ad una netta accelerazione ed intensificazione del confronto geopolitico e delle trasformazioni politiche ed economiche delle formazioni sociali. Ha conquistato, però, la pressoché totale esclusiva attenzione dell’opinione pubblica sia istituzionale che informale. Passano in secondo piano o vengono del tutto ignorate notizie come questa del Presidente statunitense Trump il quale, attraverso due tweet, annuncia di aver dato ordine alla flotta presente nel Golfo Persico di aprire il fuoco e colpire le imbarcazioni e i barchini che dovessero avvicinarsi alle navi americane.

 

La attività di controllo e spesso di provocazione dei navigli iraniani non è in realtà mai cessata, anche se ultimamente sta registrando una relativa intensificazione. Quali possono essere, quindi, i motivi che hanno spinto Trump ad una decisione così allarmante? Non tutto è riconducibile direttamente a l’asprezza del confronto iraniano-statunitense. Corrono voci di un crescente distacco e insofferenza tra le gerarchie dell’esercito iraniano e la suprema autorità politico-religioso Khamenei. Un più alto livello di allarme potrebbe servire a rinserrare i legami. Nel versante statunitense l’azione potrebbe servire a destabilizzare l’area petrolifera del Medio Oriente e bloccare la corsa al ribasso dei prezzi del petrolio, particolarmente nefasta per le sorti della produzione petrolifera americana, resa già precaria dalla esposizione debitoria di gran parte dei produttori di petrolio da “fracking”. I timori e le inquietudini americani circa la possibilità di un accordo tacito tra sauditi e russi mirante a destabilizzare l’industria petrolifera americana, ormai loro diretta concorrente e a rendere nuovamente dipendente la potenza statunitense dalle importazioni, senza averne peraltro più il totale controllo dei flussi, sono sempre più manifesti. Emergono addirittura voci di un possibile blocco del greggio saudita ai porti texani a esso esclusivamente dedicati. In sostanza due conferme: gli Stati Uniti sono sempre meno il deus exmachina delle dinamiche geopolitiche e geoeconomiche, ma ne rimangono ancora il principale attore; da questa dinamica di relativizzazione della potenza ci sarà da aspettarsi una reazione sempre più vivace piuttosto che una rassegnata constatazione. Una vastissima gamma di opzioni del resto è ancora disponibile e non è detto che il fronte degli avversari sia in realtà così solido e compatto.

Giuseppe Germinario

 

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