Il gioco delle maschere, di Giuseppe Masala e Andrea Zhok

GIUSEPPE MASALA

Intanto un Palamara totalmente impazzito su #La7 definisce i processi a Berlusconi “un tema da sviluppare”. Lasciando intendere che l’abbiano perseguitato, non che ci voglia molto a capirlo. Chiaro che Palamara sta mandando messaggi del tipo:<<O mi tirate fuori o vuoto il sacco e crolla tutto>>, una sorta di Opzione Sansone la sua.
Ho sempre avversato Berlusconi non condividendo nulla delle sue idee politiche, ma un altro conto è sapere che parti della Magistratura lo perseguitavano giudiziariamente per farlo fuori dalla politica con accuse false e pretestuose così da consegnare il paese all’altra parte politica. Questo è un’attentato alla democrazia e alla Costituzione.

Noi abbiamo vissuto per trenta anni in una fiction. Un teatrino preordinato dove ci hanno fatto apparire un innocente come un criminale e una banda di criminali come dei galantuomini. E tutto parte da quelle maledette bombe del 1992 quando uccisero Falcone e Borsellino. Lì è iniziata la tirannide conosciuta come Seconda Repubblica. E anche lì tentarono – lo dico da anni – di buttare le colpe a Berlusconi come “mandante occulto” anche grazie all’incessante campagna di stampa del Gruppo L’Espresso-Repubblica (che il qui scrivente, all’epoca ragazzetto, prendeva come oro colato). No, cari, simili attentati li fa chi controlla i gangli vitali dello Stato (a partire dai Servizi) e per controllarli devi essere dentro lo Stato e dentro il Governo. Berlusconi entrò in politica nel 1994, dunque dopo che avvennero i fatti che deviarono la traiettoria della Storia nazionale.

Tutto parte in quell’anno maledetto e bisogna ragionare su chi allora stava al Governo (idem per le bombe stragiste dell’anno successivo).

ANDREA ZHOK

Il tema dei rapporti politica-magistratura, scoppiato col caso Palamara, è complicato, intricato, coinvolge personalità potenti e influenti, implica poteri fondamentali dello Stato, capaci di distruggere qualunque eventuale avversario, e menziona situazioni, incontri informali, accordi privati che per loro natura non verranno mai completamente alla luce.

In questo senso, la speranza, che “un’inchiesta faccia completa luce sulle responsabilità” fa la sua bella figura accanto alla speranza che Babbo Natale scenda dal camino o che gli asini spicchino il volo.
Semplicemente non avverrà mai.
Verranno cambiati alcuni suonatori nella stessa orchestra, con lo stesso spartito.

Esiste un’unica posizione che è possibile tenere su questo tema, se si vuole salvare una qualche credibilità istituzionale.

Il potere giudiziario è uno dei tre poteri fondamentali dello Stato (accanto a legislativo ed esecutivo).

L’indipendenza dei poteri fondamentali è la garanzia per un minimo funzionamento democratico, e nello specifico l’indipendenza tra potere giudiziario e i due poteri politici (legislativo ed esecutivo) è il livello di separazione di gran lunga più importante e decisivo.

Ergo, il potere giudiziario deve essere totalmente, integralmente ed irrevocabilmente estraneo al posizionamento politico.

E’ semplicemente folle che soggetti chiamati a decidere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, soggetti che hanno potenzialmente un potere di ricatto infinito rispetto a qualunque cittadino, si organizzino apertamente secondo linee di appartenenza politica (come le correnti dell’ANM).
E’ uno scandalo, che dura da troppo tempo.

Si dice: “Ma i magistrati, dopo tutto, non sono cittadini come gli altri? E non devono avere come tutti i cittadini il diritto ad organizzarsi politicamente?”

E la risposta è: “No, i magistrati non sono cittadini come tutti gli altri. Sono quei cittadini particolari chiamati a giudicare secondo equanimità e giustizia ogni altro cittadino. Sono i rappresentanti di un potere fondamentale dello Stato, capace di mettere in scacco ogni altro rappresentante di altri poteri fondamentali, e a maggior ragione ogni altro cittadino qualunque. Nessun altro singolo soggetto in una democrazia ha un potere simile.”

L’organizzazione dei magistrati secondo linee politiche, e la stessa esplicitazione pubblica di posizioni politiche, deve essere semplicemente vietata ad un magistrato, fino a che indossa quelle vesti.

Si vuol dire che poi comunque, privatamente, ciascun magistrato le proprie opinioni politiche le avrà comunque? Certo, ma almeno – e non è poco – non potrà utilizzare la sfera delle opinioni politiche come fattore utile a pervenire ad accordi intersoggettivi con altri suoi pari. Un’opinione coltivata meramente nel proprio foro interiore è infinitamente meno potente di un’opinione intorno a cui si possono esplicitare accordi.

Se un magistrato decide di entrare esplicitamente in politica, cosa che costituzionalmente non gli può essere negato, deve uscire definitivamente dal suo ruolo come magistrato.

Ogni altra mediazione è democraticamente inaccettabile.