Guerra e pace in Donbass, di Max Bonelli

 

Guerra e pace in Donbass

 

Riflessioni durante il mio ultimo viaggio a Donetsk

 

Metà ottobre ed è una bella giornata di sole che batte su questa terra di confine anticamente denominata Novarussia. Terra contesa tra i cosacchi del Don (alleati a Mosca) e quelli della Zaparogia ucraini contrapposti al potere russo; anche nel diciottesimo secolo era la stessa storia, guerra senza fine e massacri a spese dei civili.

 

Siamo al posto di frontiera di Uspenka tra la Repubblica popolare di Donetsk(DPR) e la Russia. La lunga fila di macchine e camion che trasportano merci dalla Russia indugia con i loro autisti rassegnati ad ingannare il tempo fumando sigarette in successione.

I giovani soldati con l’AK 74 in mano, osservano annoiati la lunga fila; il controllo del mio passaporto per entrare nel territorio della Repubblica è una seccatura, porta via una mezzora in più rispetto alla media. Il loro sguardo è interrogativo: “un “italianets” che vuole entrare, per fare cosa?”

Certo la presenza della mia compagna di Donetsk che parla russo con accento locale semplifica la procedura e fornisce una plausibile spiegazione. Quando il nostro taxi riparte siamo tutti più sollevati, soprattutto il taxista, un uomo molto robusto come spesso sono i russi,quasi calvo, una pancia  dovuta a qualche birra di troppo ma complessivamente in buona forma per la media locale, dove il misto alcool, fumo e qualche anno di lavoro in  miniera invecchia precocemente le persone. Guida una macchina con due persone da Rostov a Donetsk.

Quattro ore di guida,quando va bene per poco più di 50 euro. Tolta la benzina e la percentuale all’agenzia se ne mette la metà puliti in tasca, qualcosa arrotonda con medicinali comprati a buon prezzo in Russia e portati per qualche conoscente, ma dubito che chiuderà la giornata con più di 30 euro di guadagno. Parla allegro con la mia compagna, hanno scoperto di vivere nello stesso quartiere, di essere andati alla stessa scuola.

Sono nati a metà degli anni settanta quando l’URSS garantiva buone scuole,parchi puliti assistenza sanitaria gratuita; “byli haroscije vremenà” -”si erano bei tempi”.

L’uomo è contento, oggi guadagna bene, buona compagnia che si può chiedere di più alla vita?

Li osservo nella loro allegria, allegria di chi ha superato indenne una guerra e sa gustare appieno anche i semplici raggi di un sole inusitatamente caldo in ottobre.

Guardo il paesaggio che scorre dal finestrino su una strada asfaltata perfettamente e cerco istintivamente i segni di una guerra che proprio ai lati di questa arteria era feroce in quell’ottobre del 2014. Ma vedo solo i segni di una vita semplice e laboriosa; anche qui campi arati di fresco oppure stoppie del mais appena raccolto,case nuove o parzialmente ricostruite per cancellare i segni dei colpi della mitraglia e del mortaio. L’unico segno tangibile degli scontri è una distesa di croci diverse per la forma a distinguere gli ortodossi (prevalenti ad est dell’Ucraina) dai cattolici(di rito ortodosso che riconoscono il Papa) dell’ovest dell’Ucraina. La distesa sarà lunga un chilometro e larga due-trecento metri, fiori sulle tombe in questa giornata di sole portati da qualche “mamocka” che piange un figlio che non c’e’ più, morto in una  guerra fratricida senza senso pagata e voluta da un potere che vive distante oltre un oceano, così distante dal Donbass da sembrare a chi vive qui essere di un altro pianeta.

Sanno solo che gli americani non sono tanto diversi dai tedeschi della seconda guerra mondiale; vogliono le loro terre e spezzettare l’unità dei popoli di tutte le Russie. Come i tedeschi hanno aizzato gli ucraini dell’ovest in un odio forsennato contro il mondo russo.

I loro fratelli ucraini sono caduti in questa trappola e sparano loro addosso.

Lì, dall’altra parte, separati da trincee e dai campi minati c’è  un nemico che parla spesso russo, la lingua prevalente nell’esercito ucraino. Sono solo i battaglioni galiziani che parlano in prevalenza ucraino.

La sera a Donetsk, arrivati nell’appartamento di Anna, in televisione sul canale Novarussia (uno dei quattro canali televisivi della Repubblica) viene trasmessa la storia di un combattente dall’apparente età di cinquanta anni, elmetto calcato sui capelli bianchi, il passo lento tra i sacchetti di sabbia che sono la sua casa. Intervistato sulla sua vita in trincea mostra le foto in bianco e nero di due ragazzini, biondi magri. Parla con le lacrime agli occhi.

Penso che siano i suoi figli e chiedo conferma ad Anna: “sono i figli?”

Il suo bel volto si fa di ghiaccio, gli occhi celesti si stringono in una fessura da cui brilla un luccichio.

“Parla di suo fratello, sono le foto di quando erano bambini e giocavano

insieme; ora il fratello combatte con gli Ucraini dall’altra parte del fronte”

Le sue labbra traducono meccanicamente dal russo all’italiano:

“dopo la strage di Odessa si telefonarono, il fratello pro ucraina gli disse:

“kazapi” “caproni” vi veniamo a prendere”.

Lui gli rispose: “non venire, la tua vita finisce a Donetsk”; da allora non si sono più sentiti.

Sotto, la trasmissione passa in cirillico il bollettino di guerra della giornata

12 colpi di mortaio sparati su Gorlovka, 4 sull’ex aeroporto e via di seguito con altre località delle quali già non ricordo il nome. Poi la televisione trasmette il resoconto di una gara di rally alla presenza  anche del presidente della Repubblica Denis Pushilin, quello che ha preso il posto dell’eroico Zakarchenko, morto in un attentato fatto al centro di Donetsk.

L’esplosione che gli ha tolto la vita è avvenuta ormai più di un anno fa, nel centro di Donetsk, in un ristorante vicino a piazza Lenin.

La lampadina di un anticamera di un ristorante nascondeva una videocamera collegata via internet ad agenti dei servizi ucraini; qualche decina di grammi di plastico ed appena il video ha trasmesso l’immagine dell’ingresso di “Zaka” l’invio del segnale per l’esplosione.

Nulla da fare per lui e la sua guardia del corpo; i frutti dell’addestramento made in CIA s’incominciano a raccogliere;

possono abbattere un simbolo ma non la forza di questa gente che lavora per 120 euro al mese e che vuole vedere la bandiera russa sventolare sulla centrale piazza Lenin.

Durante il passeggio domenicale non mancano i fiori per questo martire di Donetsk.

 

La mattina sono appena le quattro quando vengo svegliato dal freddo; i riscaldamenti non sono accesi ma la temperatura cala in fretta nella steppa. Sento due tuoni molto lontanti; la mattina dopo il bollettino riporta due colpi di mortaio pesante da 120mm su Marika. Siamo lontani 15-20 km ma il vento soffia da lì ed ha portato il rombo, il triste annuncio. Quando andiamo a fare la spesa al mercato rionale pieno di gente e di ogni prodotto nessuno ne parla dei due tuoni nella notte, tutti sono occupati nella spesa del giorno. Questa è la guerra e pace in Donbass.

 

Max Bonelli

 

 

 

 

Poroshenko fuori, Zelensky dentro. Cambieranno le cose in Ucraina? Di Tom Luongo

Dopo Israele ci avviciniamo alle porte di casa. E’ la volta dell’Ucraina. Si vedrà se l’avvicendamento in Ucraina si risolverà in un mero regolamento di conti interno alla oligarchia imperante dovuto ai veri e propri espropri operati da Poroshenko ai danni di altri personaggi della sua stessa risma oppure si rivelerà il prodromo di una svolta politica essenziale per la sopravvivenza di quel paese_Giuseppe Germinario

 

Poroshenko fuori, Zelensky dentro. Cambieranno le cose in Ucraina?

Di Tom Luongo

 

Il danno incalcolabile che è stato procurato alla area geografica dell’Europa Orientale per cinici obiettivi geopolitici non potrà mai essere azzerato, ma può essere fermato.

Come quell’arte che imita la vita, le elezioni presidenziali in Ucraina si sono concluse con Volodymyr Zelenski, un personaggio televisivo, che ha raccolto una maggioranza straripante rispetto a Petro Poroshenko. Quindi, arrivo subito al punto: Queste elezioni cambieranno qualcosa?

L’Occidente ha investito una marea di risorse di tempo e denaro puntando decisamente su Poroshenko. Ma era già ovvio da molti mesi che non avrebbe conseguito un secondo mandato, indipendentemente da quello che Poroshenko si sarebbe inventato. Con Poroshenko uscito di scena, ora spetta a Zelensky mettere insieme un piano che va ben oltre il voto di protesta contro l’evidente corruzione del Presidente uscente. Il problema è che non abbiamo idea se sia; 1) capace di attuare questo piano;  2) se sia abbastanza forte da implementare una qualsiasi cosa ritenga necessaria.

Con il suo partito al disotto della soglia del 30%, è chiaro che questo responso non era un mandato a favore di Zelenski, quanto piuttosto un voto di protesta contro Poroshenko. È alta la probabilità che Zelensky non sarà in grado di formare un governo con maggioranza stabile e duraturain grado di sopravvivere almeno una anno, se la sua elezione si rivelerà, non una rivoluzione politica, quanto piuttosto un capriccio anti-Poroshenko da parte dell’elettorato Ucraino. Speriamo nel primo caso; dato però il profondo legame degli Stati Uniti con Poroshenko e Yulia Tymoshenko, scommetterei, sfortunatamente, su l’ultima opzione.

Quindi, i prossimi passi saranno importanti. E i problemi che dovrà affrontare sono seri: Dal Donbass, con il quale ha sempre auspicato una riconciliazione in contrasto con la bellicosità di Poroshenko, per finire con la Crimea. Zelensky dovrà affrontare un’enorme pressione politica nel risolvere questi problemi in modo realistico e pragmatico. Ciò significa riallacciare con la Russia legami distrutti da Poroshenko; legami che Zelensky afferma di voler ripristinare. La domanda da porsi è se Zelensky sia consapevole che gran parte del voto anti-Poroshenko è legato al rapporto Russia-Ucraina e quindi di conseguenza si renda cnto di quanto debole sia la sua posizione da presidente. Tutto ciò significa che avrà bisogno di guardare verso sud-est, in Pakistan, dove un uomo fuori dagli schemi tradizionali e presunto neofita politico, Imran Khan, sta affrontando problematiche equivalenti ad quelle di un campo minato in politica e geopolitica. Khan sta cercando di unire le armate civili e quelle militari pakistane sotto la guida di una unica entità; di conseguenza tutti sotto lo stesso ombrello amministrativo. Non è un compito da poco. Finora Khan si è comportato bene. Ha siglato accordi sia con l’Arabia Saudita per l’energia che con l’Iran sulla sicurezza delle frontiere / terrorismo. È sopravvissuto fino ad ora a provocazioni incendiarie con l’India e con l’Iran; operazioni cronometrate di depistaggio mirate a creare il massimo caos e a paralizzare il suo governo comprese le eventuali riforme che sta cercando di attuare.

In breve, Zelensky dovrà elevarsi a vero leader. Questo significherà parlare con Putin. Significherà rinunciare a qualcosa per mettere sotto scacco gli avvoltoi occidentali, sia negli Stati Uniti che in Europa. E ha bisogno di farlo in un modo che sia antitetico a quello di Poroshenko. Se Zelensky desidera sopravvivere politicamente e portare l’Ucraina fuori dal caos in cui si trova, dovrà rendersi conto che il riavvicinamento con la Russia è la strada da seguire.

Significa avere il coraggio di non fare richieste irragionevoli a Putin. Poroshenko ha trascorso l’ultimo anno della sua presidenza seminando trappole dietro di sé , trappole poste per chiunque gli sarebbe succeduto. Due di queste, le più evidenti sono: rompere il trattato di amicizia e attaccare il ponte sullo stretto di Kerch. Zelensky deve fermare le  operazioni militari nel Mare di Azov e accettare la responsabilità dell’incidente in cambio della liberazione dei marinai che la Russia detiene.

È inoltre necessario porre fine al bombardamento del Donbass, disimpegnarsi dalle linee di contatto e ritirarsi in linea con il trattato Minsk; smettere di mentire sulla reale situazione bellica. Questo farebbe già molto per stabilire una base di partenza per ridare un senso di fiducia a un rapporto seriamente compromesso. Ed è un passo facile da fare: Gli Ucraini, al di fuori della folle diaspora americana, lo desiderano fortemente. Non è rimasto neanche molto tempo perché il 2019 sta scivolando via e molti problemi rimangono irrisolti. Putin, la scorsa settimana, ha inasprito il blocco delle esportazioni di carbone e petrolio in Ucraina, collocando il paese in una posizione molto vulnerabile nel prossimo inverno. In aggiunta dalla fine di quest’anno scade l’accordo sul trasporto di gas.

Zelensky non manca di qualche asso nella manica da usare contro l’UE. Una UE che ha trascinato i piedi sulle approvazioni finali del gasdotto Nordstream 2. Questo è un momento cruciale: Gazprom e la Russia sono impegnate a fondo per il progetto, ormai quasi completo, ma l’UE sta cercando di lasciarlo incompiuto per infliggere il massimo danno alla Russia.

L’economia ucraina sta collassando. La produzione di carbone è in calo dell’8% su base annua. Putin lo sa e può stringere Zelensky in una morsa mortale.

Angela Merkel non ha fatto mistero di quanto sia importante il transito del gas attraverso l’Ucraina per convincere l’UE a cambiare le sue politiche nei confronti della Russia. E Vladimir Putin non parteciperà a negoziati su nuovi accordi finché l’Ucraina non cambierà linea.

Quindi, tutti questi eventi concomitanti stanno arrivando al culmine nei prossimi due mesi. Nel frattempo, tra un mese, ci saranno le elezioni parlamentari europee che potrebbero facilmente cambiare l’intera dinamica politica dell’Unione europea.

Gli euroscettici come Matteo Salvini potrebbero finalmente spingere per la fine delle sanzioni contro la Russia se Putin e Zelensky seppellissero l’ascia di guerra su alcune delle problematiche lasciate in eredità da Poroshenko. Il ritorno dei marinai Ucraini potrebbe far venir meno la ragione delle ultime sanzioni. Ritirare l’esercito ucraino dalla linea di contatto in conformità con l’ormai simbolico accordo di Minsk II potrebbe sciogliere la resistenza dell’UE alla revoca delle sanzioni.

Infine, il compimento di queste cose, aprirebbe la strada a un contratto di transito del gas tra Gazprom e Naftogaz che finirebbe per aggirare l’opposizione a Nordstream 2, in tanto che la Merkel spinge la Germania e la Danimarca a convalidare i permessi finali.

Ci sono ancora tanti punti interrogativi, lo so, ma questa è la strada che si apre di fronte a Zelensky se è seriamente intenzionato ad apportare sostanziali cambiamenti alla dinamica politica in Europa orientale. Il danno incalcolabile che è stato fatto alla regione per cinici obiettivi geopolitici non potrà essere annullato, ma può essere bloccato

 

https://www.strategic-culture.org/news/2019/04/25/poroshenko-out-zelensky-in-will-things-change-in-ukraine/

 

Poroshenko Out, Zelensky In. Will Things Change in Ukraine?

 

 

La morte di Alexander Zakharcenko. Cui prodest?, di Max Bonelli

 

 

La morte di Alexander Zakharcenko

Cui prodest?

 

Il 31 agosto muore Alexander Zakharcenko(1)  per trauma cranico in seguito ad

una esplosione nel caffè “separ” situato sul viale Puskin  in centro città.

Insieme a lui muore la sua guardia del corpo e viene ferito il suo braccio destro

Alexander Timofeev, ministro dell’economia fondatore insieme a

Zakharcenko della organizzazione “oplot”(2) che poi ha dato il nome alla

brigata meccanizzata, incentrata sui fedelissimi di Zakharcenko.

 

Non ho conosciuto personalmente Zakharcenko ma parlando, durante i miei

viaggi  in Donbass con gente che ha avuto questo onore, mi riferivano di una

persona dedita al suo popolo, alla causa dei russi e dei russofoni

dell’Est ucraina. Era tenuto a freno a stento da Mosca, da cui il Donbass dopo

il blocco commerciale imposto dagli ucraini, dipendeva per l’esportazione

della sua produzione. La voglia di rispondere alle continue provocazioni

ucraine era palese nei suoi discorsi. Piaceva al popolo perché andava a

combattere insieme ai soldati non curandosi della sua carica di presidente della

Repubblica. Fu ferito a Debaltzevo nel 2015 ad un piede e zoppicò per molti

mesi per i postumi della ferita. Aveva subito molti altri attentati e la protezione

intorno a lui era stretta. Per questo ho aspettato molto prima di scrivere

qualcosa sull’argomento. Sia perché aspettavo lo sviluppo delle indagini da

parte delle forze di sicurezza della Repubblica coadiuvate sicuramente da

consiglieri russi, sia perché in questi casi per trovare i colpevoli bisogna spesso

vedere chi si avvantaggia dalla eliminazione del leader.

 

A due settimane si sa poco o niente sulla dinamica dell’attentato, a parte che

era un esplosivo al plastico dentro una lampada, probabilmente attivato da un

sistema detonante ad attivazione telefonica. Il locale “separ” risulta aperto

nella fine del 2017 e pensare che agenti del SBU ucraina piazzano in tempi non

sospetti esplosivo in un locale appetibile per la dirigenza di DNR ed aspettano

pazientemente che un pomeriggio ci arriva la dirigenza per attivare la trappola,

mi sembra improbabile. Presuppone in ogni caso una spia nello stretto cerchio

di persone intorno al presidente  o dei gestori del locale.

Viene sollevata nell’intervista di Stealkov (l’eroe di Slaviansk) ,intervista

che vi allego (3), l’ipotesi della pista interna con o senza l’apporto della  SBU

ucraina. La sua ipotesi è che Zakarchenko fosse diventato un personaggio

scomodo, non solo per la sua caratterialità poco incline ad essere manipolato

ma anche perché dietro la sua ombra si nascondevano personaggi come il suo

braccio destro Alexander Timofeev anche lui ferito nell’attentato.

Personaggio questo sicuramente meno limpido di Zakarchenko. Timofeev

aveva mani in pasta in molti affari economici non senza ombre come

abusi sulla tassazione di alcolici, espropriazione di aziende e simili.

Il presidente non intervenne con la sua pistola come “si mormora a Donetsk”

fece con un altro personaggio simile di Novoazosk nel 2015 . Questo aveva

fatto nascere malumori, accentuati dall’annullamento della data delle  elezioni,

una settimana prima dell’attentato.

Tutto questo non è leggenda e lo prova che il ministro dell’economia

Timofeev(4) si presenta ferito dai postumi dell’esplosione al funerale di

Zakarchenko e quello stesso giorno scappa in Russia dopo essere destituito di

tutti i suoi titoli.

Strani provvedimenti da riservare ad uno scampato all’attentato dei nazisti

ucraini. Lo stesso provvedimento usato contro Plotinsky, l’ex presidente della

repubblica di Lugansk gemellata a Donetsk in questa ribellione filorussa,

anche lui esiliato in Russia.

 

Chi si avvantaggia? Difficile dirlo con certezza, ma torniamo sui fatti concreti.

Denis Pushilin (5) prende il comando della repubblica di Donetsk fino alle elezioni prontamente rifissate a novembre 2018.

Lui è il mediatore imposto da Surkov(6)  il plenipotenziario di Mosca per Ossezia, Abkazia ed Ucraina.

Pushlin è poco amato dal popolo di Donetsk ed è ancora ricordato come affarista senza scrupoli che fece soldi con una finanziaria piramidale a sistema Ponzi che svuotò le tasche a tanti cittadini russi ed ucraini negli anni ‘90.

Sembra che si presenti alle elezioni ma dovrebbe avvenire una pesante

ingerenza russa per vederlo eletto.

La linea diplomatica imposta da Surkov era manifestatamente osteggiata dal

popolo di Donetsk; prendersi le cannonate e non rispondere non fa piacere a

nessuno, specie se te lo impone un diplomatico affarista che vive a Mosca ma “ubi maior minor cessat” e gli aiuti di Mosca fanno comodo di fronte al blocco

economico ucraino. Ma il popolo del donbass sopporta a denti stretti.

La popolarità del partito diplomatico presso i militari è descritta bene

dall’ultimo nome dei militari protagonisti della vittoria sugli ucraini 2014-2015

ancora vivo, il colonello in pensione delle FSB russa Igor Strelkov,

protagonista della resistenza di Slaviansk.

In ogni sua intervista parla di Surkov come di un traditore della Russia ed esprime il pensiero dei militari che hanno combattuto una guerra vittoriosa contro il mal diretto esercito ucraino nel 2015 e si sono visti la vittoria rubata con gli accordi di Minsk, quando sentivano di poter arrivare con le armi a Mariupoli e Kharkov.

 

Un altro personaggio che potrebbe emergere in questa vicenda è Alexander

Khodakovsky (7) ex comandante della FSB ucraina di Donetsk, uomo in amicizia con l’oligarca Rinat Akhmetov. Comandante della brigata Vostok. Era lui che comandò il primo disastroso assalto all’aeroporto di Donetsk che costo 70 morti ai filorussi. Uno che lavorava  nei  servizi segreti ma non sapeva che nell’aeroporto della sua città c’erano contractors baltici, polacchi ed americani a difenderlo!

A luglio 2014 rilascia una intervista alla Reuters in cui affermava che i filorussi avevano un sistema missilistico Bulk e subito il “bravo” giornalista trasformò questa affermazione in una confessione di abbattimento del volo MH17. Fu mandato per premio a difendere l’altura Savur- Mohyla  che sovrasta la steppa del Donbass fino al Mar Azov, li sotto le cannonate si comportò meglio e riprese quota politicamente. Anche lui si presenterà alle elezioni di novembre. Potrebbe essere il punto di compromesso fra il partito dei diplomatici (Surkov-Pushilin) ed i militari con una strizzatina d’occhio all’oligarca Akmetov al quale Zakarchenko aveva nazionalizzato lo stadio dello Shakhtar Donetsk. Mettendo all’opposizione l’ala dura dell’Oplot che si affiderà forse ad una canditatura di bandiera, la moglie di Zakarchenko Natalia.

In questo panorama il coraggioso popolo del Donbass continuerà a pregare per

il suo pantheon di eroi uccisi a tradimento: Mozguvoj, Motorola, Givi,

Zakharchenko, vittime del nazismo ucraino supportato dalla oligarchia

neoliberista USA-Ucraina ma con il sicuro apporto di una rete di traditori locali

che fornisce orari, informazioni senza le quali sarebbe impossibile compiere

questi attentati.

Anche in Donbass vale il detto “dagli amici mi guardi Iddio che dai nemici mi

guardo io”

 

 

Max Bonelli

Autore del libro

Antimaidan

 

 

(1)

https://it.wikipedia.org/wiki/Aleksandr_Zacharčenko

 

(2)

https://ru.wikipedia.org/wiki/Оплот_(батальон)

 

 

 

 

 

(3)

https://www.youtube.com/watch?v=7-nsog17IZw

 

(4)

https://ru.wikipedia.org/wiki/Тимофеев,_Александр_Юрьевич

 

(5)

https://en.wikipedia.org/wiki/Denis_Pushilin

 

(6)

https://en.wikipedia.org/wiki/Vladislav_Surkov

 

(7)

https://en.wikipedia.org/wiki/Alexander_Khodakovsky

 

 

 

 

 

 

 

Sergey Lavrov e i punti fermi della politica estera russa_a cura di Germinario Giuseppe

Qui sotto una intervista, tradotta in italiano, al Ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov. Offre una interpretazione delle dinamiche geopolitiche da un punto di vista quasi del tutto ignorato e travisato dai facitori di opinione di area occidentale. Molto interessanti le motivazioni dell’approccio “paziente” nei confronti dell’Amministrazione Americana

Intervista del ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov concessa al quotidiano Kommersant

Visione russa degli eventi attuali. Da prendere, come sempre, con criticità e senno di poi.

Fonte: Ministero degli Affari esteri della Federazione Russa, Kommersant , 21-01-2018

Domanda: Oggi tutti attendono con impazienza la pubblicazione di due rapporti dell’Amministrazione americana: il “Rapporto del Cremlino” sui leader e gli oligarchi vicini ai leader russi, e quello sulla necessità di introdurre nuove dure sanzioni economiche contro Mosca. Se tutti questi testi portassero al rafforzamento della politica di sanzioni di Washington, quale sarebbe la reazione di Mosca?

Sergey Lavrov: Questa domanda è ipotetica. Abbiamo già indicato in diverse occasioni che non aspiriamo in alcun modo allo scontro. A nostro avviso, l’introduzione di sanzioni non ha basi ragionevoli. Per quanto riguarda gli obiettivi annunciati di queste misure, non hanno alcun senso in quanto, poiché queste sanzioni sono in vigore da molti anni, i loro autori avrebbero certamente potuto rendersi conto che queste iniziative non modificano in alcun modo la politica onesta e aperta della Russia. La nostra posizione indipendente e autonoma negli affari internazionali si basa sui nostri interessi nazionali e non può essere modificata sotto la pressione esterna. È definita dal presidente russo sulla base di interessi che soddisfano i bisogni del popolo russo. La popolarità considerevole della nostra politica estera in seno alla sociatà è, a mio parere, la prova migliore dell’inutilità di ogni tentativo di modificarla facendo pressione sulle élites e su alcune imprese.

Anche se non abbiamo alcun interesse a rafforzare la spirale dello scontro, naturalmente non possiamo ignorare i tentativi di punire la Russia – questo riguarda la nostra proprietà, le sanzioni che hai citato o i tentativi di usare lo sport per questi scopi. Ci sono molte prove che riguardo ai casi molto reali di doping dei nostri atleti, così come di molti altri paesi – questi sono ben noti ma nessuno fa rumore, li analizziamo secondo le procedure stabilite – fanno parte di una campagna controllata basata sul principio già utilizzato in altri settori della vita internazionale per quanto riguarda la comunicazione con la Russia e i suoi partner intrapresa contro di noi. Se non mi sbaglio, Richard McLaren ha indicato nel suo rapporto che non c’erano prove e che non sapeva come era stato fatto tutto, ma che gli autori sapevano come si poteva fare. Nessun tribunale normale in nessun paese accetterebbe mai accuse di questo tipo. Queste affermazioni piuttosto esotiche servono come base per le decisioni di privare il nostro paese dei Giochi Olimpici.

Questo contesto ricorda la situazione intorno al Boeing malese: tre giorni dopo questa tragedia gli Stati Uniti hanno chiesto di avviare un’indagine affermando che conoscevano i colpevoli e che erano certi che gli esperti avrebbero confermato il loro punto di vista.

Possiamo anche notare il caso più antico di Alexander Litvinenko. All’epoca, le autorità britanniche sostenevano che l’inchiesta avrebbe confermato ciò che già sapevano. Questa mancanza di obiettività che si tinge di russofobia è davvero senza precedenti. Non avevamo visto nulla di simile durante la Guerra Fredda. All’epoca esistevano regole e standard di condotta reciproci. Oggi tutti questi standard sono stati rigettati.

Domanda: la situazione è peggiore rispetto al periodo della Guerra Fredda?

Sergey Lavrov: Riguardo agli standard di condotta, è possibile. Ma se confrontiamo le reali manifestazioni dello scontro, le opinioni divergono. Da un lato, c’era allora una stabilità negativa tra due blocchi rigidi, tra due sistemi globali – socialista e imperialista. Oggi non c’è divergenza ideologica. Tutti hanno adottato l’economia di mercato e la democrazia. Nonostante i diversi atteggiamenti che si possono adottare nei confronti di questi ultimi, in tutti i casi si hanno le elezioni, le libertà ed i diritti fissati nella Costituzione.

Inoltre, la competizione rimane presente anche in assenza di differenze ideologiche, il che è perfettamente normale. Ma la competizione deve essere onesta. Tutti i paesi hanno ovviamente i propri mezzi per promuovere i loro interessi, i loro servizi segreti, i loro lobbisti impiegati, le loro ONG che promuovono questo o quel programma. È normale. Ma se ci viene detto che la Russia è obbligata ad evitare qualsiasi pressione sulle ONG finanziate dall’estero, ma non ha il diritto di rispondere ad azioni simili contro le proprie ONG all’estero, questo suona come un “Doppio standard”.

Vorrei anche sottolineare un altro elemento. Anche senza differenze ideologiche promuoviamo la crescita materiale del potenziale militare. Che non era il caso al tempo della Guerra Fredda.

Domanda: ma abbiamo avuto la corsa agli armamenti …

Sergey Lavrov: La corsa agli armamenti è rimasta confinata al quadro geopolitico adottato da entrambe le parti. C’era una certa linea di demarcazione tra la NATO e il Patto di Varsavia, che sviluppò le loro braccia su entrambi i lati di quest’ultima. Di conseguenza, l’URSS ha esaurito le sue forze in questa corsa. Le “Star Wars” e altre invenzioni simili hanno avuto un ruolo, anche se quest’ultimo non è stato decisivo. L’URSS si è dissolta perché il paese stesso, le sue élite, inizialmente non sentivano il bisogno di riforme. Poi, quando hanno iniziato le trasformazioni, queste ultime non hanno preso la strada giusta. Ma nell’attuale contesto dell’ampliamento della NATO verso l’Oriente, non c’è davvero alcuna regola. Non abbiamo più un limite da porre come una “linea rossa”.

Domanda: E il confine della Federazione Russa?

Sergey Lavrov: Se dicessimo di non avere alcun interesse nella regione, nell’area euro-atlantica, allora sì: il confine della Federazione Russa sarebbe questa “linea rossa”. Ma abbiamo interessi legittimi perché  popolazioni russe si sono ritrovate all’estero a causa della dissoluzione dell’URSS, perché abbiamo stretti legami culturali, storici, personali e familiari con i nostri vicini. La Russia ha il diritto di difendere gli interessi dei suoi compatrioti, specialmente se sono perseguitati come avviene in molti paesi, o se violano i loro diritti come in Ucraina, laddove annunciavano immediatamente dopo il colpo di stato che la lingua russa doveva essere limitata.

Domanda: Ma hanno indietreggiato …

Sergey Lavrov: Sì, ma è stato ancora detto. Dopo il colpo di stato, la prima iniziativa del Parlamento è stata quella di mostrare “il suo posto” alla lingua russa. Doveva posizionarsi in secondo piano, secondo i parlamentari. Due giorni dopo fu dichiarato che i russi sarebbero stati espulsi dalla Crimea perché non avrebbero mai onorato Stepan Bandera e Roman Shukhevich.

Dopo la mia conferenza stampa, un quotidiano tedesco ha scritto che “Sergei Lavrov aveva cambiato i fatti” e ha presentato una “manifestazione pacifica dei tatari di Crimea davanti al Consiglio supremo della Crimea come un tentativo di espellere i russi dalla penisola”. È sufficiente, tuttavia, guardare i video dell’epoca in cui il Consiglio Supremo era circondato da giovani furiosi, per non parlare dei “treni di amicizia” che Dmitrij Iaroch aveva inviato in Crimea.

Questa storia ucraina è quella del colpo di stato, il tradimento del diritto internazionale da parte dell’Occidente: l’accordo firmato dai ministri degli Esteri dei principali paesi dell’Unione europea è stato semplicemente calpestato. Poi l’UE si è prodigata a persuaderci che questo evento era perfettamente logico e che nulla poteva essere fatto. Francamente, è un peccato per l’Europa. Prendiamo atto di questa realtà storica, ma scegliamo l’implementazione degli accordi di Minsk anziché l’isolamento.

Ma torniamo alle “linee rosse”. Era una “linea rossa”, proprio come nel caso di Mikhail Saakashvili che aveva attraversato un’altra “linea rossa” lanciando un attacco contro l’Ossezia del Sud, dove erano schierate le forze di mantenimento della pace. Russo, osseto e georgiano. Le truppe georgiane furono ritirate, tuttavia, poche ore prima dell’inizio di questa offensiva assolutamente illegittima e provocatoria.

La Russia ha i suoi interessi e gli altri devono tenerne conto. Lei ha le proprie “linee rosse”. A mio parere, i politici seri in Europa comprendono la necessità di rispettare queste “linee rosse” proprio come durante l’era della Guerra Fredda.

Domanda: Ma torniamo agli americani. Secondo i media statunitensi, nel marzo 2017 la Russia ha inviato proposte agli Stati Uniti nel formato “non cartaceo” per quanto riguarda la standardizzazione delle relazioni su più punti. Queste proposte rimangono in vigore data la crescente pressione delle sanzioni da parte americana e tutto ciò che è successo nelle relazioni russo-americane nell’anno passato?

Sergey Lavrov: le proposte sono ancora in vigore. Non assumiamo mai un atteggiamento indignato, ma cerchiamo di capire il contesto delle azioni intraprese dagli americani o da altri colleghi. In questo caso, comprendiamo pienamente che un cocktail di fattori ha provocato questa aggressione senza precedenti dell’establishment americano, come si suol dire.

Il fattore principale è che i democratici non possono accettare la loro sconfitta dopo aver fatto così tanti sforzi, soprattutto per estromettere Bernie Sanders – che al momento si preferisce dimenticare. È una manipolazione diretta delle elezioni e una grave violazione della Costituzione degli Stati Uniti.

Il secondo fattore è che la maggior parte dei repubblicani ha ereditato un presidente fuori dal sistema che non aveva legami con nessun livello dell’establishment repubblicano, ma aveva ottenuto i suoi voti nel campo repubblicano alle primarie. Qualunque sia il tuo atteggiamento nei confronti delle azioni del presidente degli Stati Uniti Donald Trump o la tua visione delle sue azioni non molto usuale per diplomatici e politologi tradizionali …

Domanda: rompe tutti gli accordi internazionali come un elefante in un negozio di porcellana.

Sergey Lavrov: Qualunque sia il vostro atteggiamento nei confronti delle sue azioni, stiamo attualmente parlando delle ragioni per l’indignazione senza precedenti dei politici americani. I repubblicani non apprezzavano davvero l’avvento al potere di un uomo che aveva dimostrato che il sistema esistente da decenni – oltre 100 anni – in cui due parti avevano definito le regole del gioco – io prendo oggi il potere per 4 anni e poi ancora 4, e tu aspetti nel settore degli affari per poi scalare la cima, mentre mi rioriento verso il business – era crollato a causa della vittoria di Donald Trump. Il suo arrivo non è spiegato dal suo carattere messianico, ma dal fatto che la società è stanca e non vuole tollerare questo cambiamento tradizionale di leader, senza alcun significato nella realtà.

Se guardiamo alla struttura della società americana, comprendiamo che quest’ultima affronta processi demografici molto interessanti. Non è un caso che gli elementi etnici stiano attualmente provocando lunghi e profondi dibattiti sul risveglio o il rafforzamento del razzismo, che è sempre stato latente o aperto nella politica americana. Questi sono processi molto complicati che richiedono molto tempo. Ancora una volta, la prima ragione è la disfatta dei democratici, che non possono sempre accettare. La seconda ragione è il crollo del sistema bipartisan. Questa procedura “amichevole” era presente durante molte campagne elettorali. Il terzo elemento – tra molti altri – che vorrei sottolineare è il senso della perdita della capacità di influenzare tutti i processi globali nell’interesse degli Stati Uniti. Potrebbe sembrare paradossale, ma è la realtà. Sentiremo ancora gli effetti per molto tempo.

Anche al tempo della Guerra Fredda gli Stati Uniti erano molto più potenti, grazie in parte alla sua partecipazione all’economia mondiale e al suo ruolo assolutamente dominante nel sistema monetario mondiale, perché l’euro non esisteva ancora e nessuno sapeva nulla dello yuan, per non parlare del rublo. Oggi gli Stati Uniti forniscono dal 18% al 20% del PIL mondiale. Non è più la metà come in passato, soprattutto considerando i numeri dopo la seconda guerra mondiale.

Questa sensazione che tutto non è più deciso da un singolo centro è evidente anche nella campagna russofoba. Ci sono ancora la Cina e altri paesi importanti, molti dei quali preferiscono ignorare le derive americane. Per noi è difficile da fare perché i primi due motivi – la sconfitta dei democratici e il collasso del sistema – ci fanno puntare le dita. Ci sono stati contatti tra alcune persone e rappresentanti delle élite politiche statunitensi, o tra l’ambasciatore russo negli Stati Uniti Sergei Kisliak e il consigliere del presidente Donald Trump sulla sicurezza nazionale Michael Flynn. Questo è assolutamente normale e non avrebbe dovuto causare reazioni di questo tipo soprattutto per la scarsa rilevanza rispetto a ciò che i diplomatici americani fanno in Russia e a quello di cui si tenta di incriminare l’ambasciatore e l’ambasciata russa negli Stati Uniti,

Ma poiché non abbiamo reagito alle misure ostili e coercitive prese contro l’ambasciatore russo che ha rifiutato di cambiare il suo atteggiamento, rinunciare alla sua indipendenza e scusarsi per eventi che non sono mai accaduti, la loro agitazione peggiorò. Naturalmente, siamo stati accusati di tutti gli errori e i fallimenti americani. Siamo usati come una specie di parafulmine di fronte a quello che è successo in Messico, in Francia …

Domanda: anche a Malta …

Sergey Lavrov: Ovunque: Russia, Russia e Russia. È molto semplice e facile per una propaganda “stupida”. Gli elettori ascoltano gli slogan molto semplici della CNN: “La Russia si è ingerita ancora una volta …” Se la ripetiamo mille volte, essa si radica nello spirito.

Domanda: Sembra che tu personalmente giustifichi le scelte del presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Ma nessuno lo ha costretto a firmare la legge sulle consegne di armi in Ucraina o la legge sulle sanzioni lo scorso agosto.

Sergey Lavrov: Non provo a romanticizzare nessuno. Ovviamente, quando si adottano provvedimenti di legge con una maggioranza di voti – il 95% in questo caso – il Presidente non riflette sulla realtà, la legalità, la legittimità o la correttezza della legge, ma riflette sul fatto che il suo veto sarà superato in tutti i casi.

Domanda: Ma che dire della legge sulle forniture di armi in Ucraina? Barack Obama non l’ha firmato …

Sergey Lavrov: La mia risposta è la stessa. Sa perfettamente che il Congresso lo costringerà a farlo. Se il presidente degli Stati Uniti Donald Trump si fosse rifiutato di seguire la volontà della stragrande maggioranza del Congresso – che attualmente esiste – il suo veto sarebbe superato. Questa è la mentalità della politica interna americana. Se il veto presidenziale viene superato – anche se è perfettamente giusto e incontra gli interessi a lungo termine degli Stati Uniti – questa è una sconfitta del Presidente. Questo è tutto.

Quando il presidente degli Stati Uniti Donald Trump mi ha accolto alla Casa Bianca, ha parlato con il presidente russo Vladimir Putin ad Amburgo e in seguito telefonicamente, non ho visto alcuna intenzione di lanciare azioni per silurare i suoi slogan elettorali nella sua aspirazione a mantenere buoni rapporti con la Russia. Ma le circostanze non sono favorevoli. La combinazione dei tre fattori – la sconfitta di Hillary Clinton, la natura fuori dal sistema di Donald Trump e la necessità di spiegare i fallimenti americani nell’arena internazionale (e non solo) – spiega la situazione attuale. Mentre gli Stati Uniti sono coinvolti in questo processo molto riprovevole e trovano una posizione pacifica della Russia che non ammette reazioni isteriche – a volte abbiamo risposto, ma entro il minimo indispensabile. Stiamo perseguendo la nostra politica di risoluzione dei conflitti e di lavoro sui mercati dai quali gli americani vorrebbero rifiutarci. Tutto ciò inizia a irritare coloro che hanno promosso un programma russofobico. È un peccato. Tuttavia, siamo incoraggiati dal fatto che alcuni membri del Congresso, politologi e diplomatici statunitensi sono stati ascoltati di recente – silenziosamente in conversazioni riservate – confermando la natura assolutamente anormale di questa situazione e la necessità di rimediare. In ogni caso, tutti riconoscono l’errore di coloro che hanno cercato di metterci ai piedi del muro, perché ovviamente non arrivano ad isolarci. Basta consultare il programma degli incontri e dei viaggi del presidente russo e dei membri del governo per rendersi conto del fallimento dei tentativi di isolamento. Secondo loro, capiscono di essersi spinti troppo oltre su questo tema, ma ci chiedono di fare il primo passo in modo che possano dire che la Russia si è “mossa”. Questa psicologia crea ovviamente la sensazione che la mentalità della superpotenza stia facendo del male agli Stati Uniti. Propongono di fare qualcosa sul dossier ucraino.

Domanda: “muoversi” significa rafforzare il controllo delle azioni separatiste nel Donbass, costringerli a smettere di sparare, assicurare il ritiro delle armi e rispettare assolutamente tutti i punti fondamentali degli accordi di Minsk?

Sergey Lavrov: Non siamo in alcun modo contrari al ritiro delle armi e al cessate il fuoco, che non dovrebbe essere assicurato da Donetsk e Lugansk ma dall’esercito ucraino. Molte testimonianze dei vostri colleghi, inclusi i giornalisti della BBC e altri media che hanno visitato la linea di demarcazione nel 2018, indicano che battaglioni come Azov non sono controllati da nessuno tranne che dai loro comandanti. L’esercito ucraino, le forze armate ucraine non hanno alcuna influenza su di loro. Non ascoltano nessuno. Ciò si riflette nel blocco che hanno lanciato nonostante le denunce del presidente ucraino Petro Poroshenko il quale aveva promesso pubblicamente di eliminare il blocco che contraddice in modo assoluto gli accordi di Minsk e ha persino inviato le forze per sollevarlo, ma non ci è riuscito. Poi decise che la soluzione migliore sarebbe stata di restituire le vesti e adottare un decreto che legalizzava il blocco. È quindi assolutamente necessario smettere di sparare e ritirare le truppe e le armi pesanti, ma da entrambe le parti.

Come ho detto in una conferenza stampa, il desiderio di ridurre l’intera gamma di questioni geopolitiche in Ucraina – ci viene chiesto di ritirare un battaglione da Donetsk o Lugansk per creare le condizioni necessarie per indebolimento delle sanzioni – è indegno di persone che occupano posizioni molto importanti, ma mantengono tali osservazioni.

Domanda: Ci saranno forze di mantenimento della pace in Donbass nel 2018?

Sergey Lavrov: Non dipende da noi. Se fosse stato così, sarebbero stati schierati lì molto tempo fa.

Domanda: quali ostacoli esistono ancora oggi? La Russia è pronta per le concessioni per eliminarli?

Sergey Lavrov: C’è un solo ostacolo: nessuno vuole guardare le nostre proposte in modo concreto.

Domanda: ma gli americani hanno proposto emendamenti. Sono studiati?

Sergey Lavrov: Nessuno ci ha offerto emendamenti, anche se avessimo voluto. Ho parlato con il ministro degli esteri ucraino Pavel Klimkin, i nostri colleghi francesi e tedeschi. Dicono che è una buona e giusta iniziativa, ma abbiamo bisogno di qualcos’altro. Quindi parliamone. Spiegaci le tue proposte e stabiliremo se sono in linea con l’attuazione degli accordi di Minsk. In ogni caso, il progetto di risoluzione sancisce il nostro assoluto impegno a favore del principio del pacchetto di misure per la concertazione di tutte le azioni di Kiev, Donetsk e Lugansk. Ci viene detto che dobbiamo pensare perché possiamo fare qualcos’altro. Ma tutto è limitato alle parole, nessuno discute con noi questi problemi. Le idee presentate al di fuori del lavoro sulla nostra bozza di risoluzione hanno un orientamento completamente diverso. Il nostro progetto sottolinea l’immutabilità degli accordi di Minsk e la necessità di proteggere la missione dell’osservatore dell’OSCE, le cui condizioni di lavoro sono talvolta pericolose. Le guardie armate delle Nazioni Unite devono seguire gli osservatori in tutti i loro movimenti. Questa è la logica legale degli accordi di Minsk. Ci viene detto che se accettiamo il concetto di forze per il mantenimento della pace, devono assumersi la responsabilità di tutti gli eventi a destra della linea di demarcazione. Lascia che assicurino la sicurezza su questo territorio al confine russo, dicono. In queste condizioni, potevano organizzare le elezioni e tutto sarebbe andato bene. Il nostro progetto sottolinea l’immutabilità degli accordi di Minsk e la necessità di proteggere la missione dell’osservatore dell’OSCE, le cui condizioni di lavoro sono talvolta pericolose.

Domanda: non è ragionevole?

Sergey Lavrov: ragionevole? Lo pensi davvero?

Domanda: le forze di pace delle Nazioni Unite sono una forza da affidare alla sicurezza della regione.

Sergey Lavrov:Gli accordi di Minsk stabiliscono che l’amnistia deve essere intrapresa per prima, l’attuazione della legge sullo status speciale della regione – che è stata adottata ma non ancora entrata in vigore – e incorporare questo ultimo alla Costituzione prima di organizzare le elezioni. I cittadini che sono attualmente soffocati da un blocco illegale e i cui cavi e servizi di telefonia mobile vengono tagliati per isolarli dal mondo esterno, almeno dallo stato ucraino, devono sapere che non sono criminali di guerra né terroristi, poiché Kiev ritiene di aver lanciato un’operazione antiterroristica sebbene nessun abitante di queste regioni abbia attaccato nessuno. Vorrei attirare la vostra attenzione sul fatto che sono stati attaccati. Queste persone hanno bisogno di sapere, in primo luogo, che non sono in pericolo e che l’amnistia copre tutti gli eventi da entrambe le parti. In secondo luogo, devono essere certi di ricevere la garanzia – che gli accordi di Minsk letteralmente prevedono – in grado di mantenere la loro connessione con la lingua russa e la cultura, il loro rapporto speciale con la Russia a prescindere dalla politica delle autorità di Kiev, la loro la polizia e la loro stessa voce per la nomina di giudici e pubblici ministeri. Questi sono i principi essenziali. Non è molto complicato. Inoltre, se non erro, circa 20 regioni ucraine hanno inviato a Kiev una proposta ufficiale 18 mesi fa per avviare negoziati sul loro decentramento, per delegare poteri e firmare accordi speciali con il centro. È quindi una normale federalizzazione. Possiamo chiamarlo “decentramento” se abbiamo tanta paura della parola “federalizzazione”. Ma quando ci viene detto che faremo tutto – varare l’amnistia, mettere in atto lo status speciale e organizzare le elezioni – ma solo dopo aver affidato la regione alle forze internazionali per dare loro il “the” non possiamo accettarlo. È una linea rossa. Tutti lo capiscono e avanzano queste proposte con l’obiettivo molto riprovevole di sfruttare l’argomento delle forze di mantenimento della pace. mettere in atto lo status speciale e organizzare le elezioni – ma solo dopo che la regione è stata consegnata alle forze internazionali per dargli “il”, non possiamo accettarla. È una linea rossa. Tutti lo capiscono e avanzano queste proposte con l’obiettivo molto riprovevole di sfruttare l’argomento delle forze di mantenimento della pace. mettere in atto lo status speciale e organizzare le elezioni – ma solo dopo che la regione è stata consegnata alle forze internazionali per poter dare il la, non possiamo accettarla. È una linea rossa. Tutti lo capiscono e avanzano queste proposte con l’obiettivo molto riprovevole di sfruttare l’argomento delle forze di mantenimento della pace.

Gli accordi di Minsk sono stati adottati dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Essi stabiliscono chiaramente che tutte le azioni necessarie devono essere concertate da Kiev e da alcuni distretti delle regioni di Donetsk e Lugansk. Confidiamo nell’ONU e nell’OSCE, che sta facendo un buon lavoro in un contesto molto serio. Ma non si può semplicemente grattare la parte politica degli accordi di Minsk. La promessa di attuarlo dopo l’acquisizione di questo territorio da parte di un’amministrazione delle Nazioni Unite sembra dubbia. Se gli autori di questa idea riescono a persuadere Donetsk e Lugansk: vai avanti, non ci opporremo. Tutto ciò è previsto dagli accordi di Minsk e approvato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Ma penso che coloro che avanzano questo concetto vogliono semplicemente strangolare questi due territori.

Vi ricorderò una cosa interessante: gli accordi di Minsk si riferiscono all’amnistia, allo stato speciale e alle elezioni. In questo ordine. Nel contesto del gruppo di contatto e del formato Normandia, tuttavia, la parte ucraina propone di capovolgerla, vale a dire garantire in primo luogo la sicurezza totale, compreso l’accesso all’estero, quindi risolvi le altre domande. Abbiamo spiegato loro per anni che il completo ripristino del controllo ucraino di questa parte del confine con la Federazione Russa è l’ultimo punto degli accordi di Minsk. In primo luogo, dobbiamo garantire ciò che abbiamo appena menzionato. Poi dicono che non possono dare uno status speciale a queste persone perché non sanno chi sarà eletto alle elezioni locali. Pertanto chiediamo loro se concederanno questo status solo a coloro che li soddisfano. Rispondono che è questo effettivamente il caso. Questa posizione non è tuttavia molto diplomatica dato che il loro presidente ha firmato un testo che prevede una serie di eventi abbastanza diversi. In ogni caso, abbiamo accettato il compromesso soprannominato “la formula di Frank-Walter Steinmeier”. Stabilisce che la legge sullo status speciale debba entrare provvisoriamente in vigore il giorno delle elezioni per diventare definitiva dopo la pubblicazione della relazione finale dell’OSCE, che dovrebbe garantire l’osservazione durante queste elezioni. Questo lavoro richiede solitamente due mesi. Gli ucraini hanno accettato questo modo di agire. I capi di Stato hanno concordato su questo punto nell’ottobre 2015 a Parigi. Abbiamo provato per un anno a mettere questa formula su carta ma gli ucraini si sono opposti. Quindi, le parti si sono incontrate nel 2016 a Berlino. Abbiamo chiesto spiegazioni sulla mancanza di progressi nell’attuazione della formula di Steinmeier e gli ucraini hanno risposto che era impossibile conoscere in anticipo il contenuto della relazione. Accetto: scriviamo che la legge sullo status speciale dovrebbe entrare provvisoriamente in vigore il giorno delle elezioni per diventare definitiva dopo la pubblicazione della relazione finale dell’OSCE, a condizione che quest’ultima confermi la legittimità e l’accuratezza delle elezioni. Tutti lo hanno accettato. Da allora è passato più di un anno, ma gli ucraini si rifiutano ancora di correggere questa formula nero su bianco. Questo è solo un esempio. Un altro è altrettanto eloquente. Il primo riguardava la politica, e quello sulla sicurezza. Le parti hanno concordato a ottobre 2016 a Berlino di procedere seriamente al ritiro delle armi pesanti e impedire il loro ritorno alla linea di contatto. Hanno scelto tre città pilota: Zoloteus, Pokrovskoye e Stanitsa Luganskaya. In Zoloteus e Pokrovskoye tutto è stato rapidamente portato a termine, ma non è ancora stato possibile farlo a Stanitsa Luganskaya. Gli ucraini dicono che hanno bisogno di sette giorni di tregua prima di lanciare il ritiro delle loro armi pesanti. Da allora l’OSCE ha visto – anche pubblicamente – più di una dozzina di periodi di tregua della durata di sette giorni o più. Gli ucraini dicono di avere altre statistiche e hanno registrato diversi colpi. I tedeschi, il francese e l’OSCE stesso capiscono perfettamente che sono insinuazioni. L’impegno politico dei nostri partner occidentali sfortunatamente impedisce loro di esercitare pressione sulle autorità di Kiev per costringerli ad attuare ciò che hanno promesso, in particolare alla Francia e alla Germania. È triste Se scommetti su un politico, il potere che si è stabilito a Kiev dopo il colpo di stato, è ovviamente molto difficile abbandonare questa posizione senza “perdere la faccia”. Lo comprendiamo e manteniamo la calma. Non siamo scandalizzati a causa della completa disapplicazione degli accordi di Minsk da parte di Kiev, ma cercheremo con calma l’adempimento degli accordi raggiunti. Troppi accordi raggiunti con così tante difficoltà sono attualmente in discussione: l’accordo di Minsk, l’accordo con l’Iran e così via.

Domanda: Rada ha adottato la legge sulla reintegrazione del Donbass giovedì. La reazione delle capitali europee è stata neutrale, mentre Mosca ha fortemente criticato questo testo. Perché? Quali potrebbero essere, secondo te, le conseguenze pratiche dell’adozione di questa legge?

Sergey Lavrov: Da un punto di vista giuridico, la legge sulla reintegrazione traccia una linea sugli accordi di Minsk approvata all’unanimità dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nella sua risoluzione adottata pochi giorni dopo l’incontro dei quattro leader del Normandy Format a Minsk. Per noi è assolutamente ovvio.

Per quanto riguarda la reazione, come ho già detto, non abbiamo dubbi – inoltre, abbiamo prove tangibili – che l’Europa e Washington comprendono appieno il gioco delle attuali autorità di Kiev che cercano di sfuggire alle proprie responsabilità dettate dagli accordi di Minsk. Spero che i rappresentanti di Berlino, Parigi, Washington e altre capitali lo dicano a Kiev in privato, faccia a faccia. Dopo aver preso le parti di questo potere che non ha la capacità di rispettare l’accordo, l’Occidente non può criticare pubblicamente le azioni dei suoi protetti. È un peccato. Capiamo perfettamente che tutto ciò è legato a un falso senso di prestigio e reputazione, ma è la vita. Cercheremo di raggiungere il pieno raggiungimento di tutti i punti degli accordi di Minsk. Tentativi di “deviare il mirino” e ingannare i dibattiti, così come di trovare nuovi ordini del giorno, metodi e forme sono inaccettabili. Difenderemo con calma, ma con fermezza, l’onesto pacchetto di misure firmato dal presidente Petro Poroshenko, nonché dai leader di Donetsk e Lugansk.

Domanda: la mia ultima domanda riguarda l’Iran che lei ha già menzionato. Il possibile fallimento dell’accordo iraniano a causa delle azioni statunitensi potrebbe rivelarsi, in un modo o nell’altro, vantaggioso per la Russia? Gli americani sembrerebbero odiosi e isolati, mentre l’Iran potrebbe diventare più conciliante su alcune questioni.

Sergey Lavrov: questa scuola di pensiero non è quella dei leader russi. Molti politologi si interrogano sulla nostra preoccupazione e difendono la peggiore strategia: secondo loro, gli Stati Uniti dovrebbero essere autorizzati a dimostrare la loro mancanza di capacità di raggiungere un accordo e la loro forza distruttiva negli affari internazionali, in Iran o in Siria, dove attualmente ci sono azioni unilaterali che hanno già scandalizzato la Turchia.

Domanda: Inoltre, l’Iran sarà più accomodante …

Sergey Lavrov: Questo non è essenziale. La distruzione del tessuto degli accordi legali concordati dai principali paesi del mondo in tale e tal altro conflitto potrebbe provocare uno scontro caotico in cui ognuno difenderà solo se stesso. Sarebbe alquanto riprovevole. Lo considero inaccettabile, che si tratti dell’Iran, della Siria, della Libia, dello Yemen o della penisola coreana, anch’esso concordato nel 2005 e che stabiliva chiaramente gli obblighi di Corea del Nord e altre parti. Poche settimane dopo la firma, gli americani “rivangarono” una vecchia storia sui conti di una banca di Macao e iniziarono a bloccare i conti nordcoreani. Possiamo discutere a lungo su questo argomento, l’accuratezza della Corea del Nord o l’errore degli Stati Uniti. I fatti rimangono gli stessi. Abbiamo raggiunto un accordo che comportava la totale cessazione dello scontro e della provocazione. Ha fallito. Pertanto, la capacità di concordare è attualmente il problema sistemico più importante.

Fonte: Ministero degli Affari esteri della Federazione Russa, Kommersant , 21-01-2018

 

GEORGE SOROS, LA PARABOLA DI UN FILANTROPO_ di Gianfranco Campa e Giuseppe Germinario

Anche quest’anno George Soros ha avuto a disposizione, probabilmente si è concesso, a Davos oltre un’ora di vaticinio. Un privilegio di minuti concesso solo a numero selezionatissimo di astanti. Ad ascoltarlo e vederlo viene in mente questa frase di Melville:  «Dal cuore dell’Inferno, io ti trafiggo! In nome dell’odio, sputo il mio ultimo respiro su di te, maledetta bestia!» Ha avuto modo di prendersela con il carattere monopolistico di Google e Facebook, con la loro capacità di manipolazione, controllo e selezione dei flussi di dati e di formazione degli orientamenti personali e delle società. Un pericolo estremo soprattutto se tale propensione dovesse trovare sostegno e accondiscendenza in regimi autoritari come Russia e Cina. Giudica i Bitcoin, buon per lui, un prodotto troppo speculativo. Soros è però fiducioso: « E’ solo questione di tempo prima che il loro monopolio sia interrotto. La loro fine verrà con le regole e le tasse. E la loro nemesi sarà la commissaria Ue alla concorrenza, Margrethe Vestager» L’Unione Europea, con essa i vecchi e nuovi leader dell’Europa Occidentale, ha quindi per il momento sostituito gli Stati Uniti nel ruolo di paladina della libertà . Cosa intendano per tutela della libertà i novelli templari lo lasciano intuire la composizione e le intenzioni dei vari Comitati di Salute Pubblica in procinto di essere costituiti. Strano, perché la campagna contro la disinformazione è comunque partita dagli “ambienti più politicamente corretti” statunitensi i quali più si sono distinti nella partigianeria ossessiva. In mancanza di una sponda istituzionale solida e sicura a casa propria non resta che affidarsi, al momento, agli epigoni di qua dell’Atlantico. Non che il problema sia irrilevante. Sia Facebook che soprattutto Google, ma anche sempre più i gestori della rete stanno assumendo uno straordinario e crescente potere di manipolazione non solo dei comportamenti individuali, civili e politici, ma anche, attraverso il controllo dei flussi di dati e dei comandi, dello stesso sistema produttivo e di comunicazione. Un controllo che potrebbe limitare la libertà di movimento e di azione di altri manipolatori, come Soros, adusi ad altre e ben più diversificate pratiche, anche le più prosaiche. Le varie “primavere” sparse nel mondo sono lì a ricordarcelo. Per questo “Padre del Globalismo”, tra i tanti, si tratta però di una contingenza, di un accidente destinati ad esaurirsi rapidamente nell’onda lunga della storia “Reputo chiaramente l’amministrazione Trump un pericolo per il mondo, ma lo considero puramente un evento transitorio che scomparira` nel 2020, se non prima. Do al presidente Trump credito per il modo brillante di motivare la sua base, ma per ogni numero di sostenitori c’è un numero egualmente motivato di oppositori. Per questo mi aspetto una valanga democratica nelle elezioni di medio termine 2018″ Con i diciotto miliardi di dollari ( http://italiaeilmondo.com/2017/10/22/un-torrido-inverno-di-giuseppe-germinario/ ) attualmente messi a disposizione dalla sua Open Society, George Soros saprà dare sicuramente il suo personale contributo, con le buone o le cattive, alla “motivazione” e all’afflato ideale dei novelli fustigatori. Dovesse richiedere il sacrificio di qualche martire, tanto meglio; ogni libertà, specie la propria, richiede un tributo e un sacrificio, meglio se di altri. Da parte sua il portafogli, da altri in mancanza di questo o di altro può essere sufficiente la vita. Anche in Italia, negli ambienti più insospettabili, gli adepti non mancano e dopo le elezioni numerosi usciranno allo scoperto. Qualcuno, addirittura, trepida per le sue condizioni di salute; vedi la “Stampa” di oggi.

Qui sotto i link relativi all’intervento di George Soros_ Gianfranco Campa-Giuseppe Germinario

Svezia, un paese sempre più allineato; in tanti aspetti. Intervista a Max Bonelli

La Svezia da almeno un decennio ha rimesso in discussione e praticamente distrutto i due principali pilasti sui quali ha fondato il proprio prestigio internazionale. La condizione di neutralità che le consentiva spesso di porsi come mediatrice nei conflitti internazionali; l’applicazione estensiva del welfare in tutti gli ambiti della vita civile, accompagnata da un elevato livello di tassazione. L’instabilità e la fragilità dei regimi di alcuni paesi dell’Europa Baltica e di quella Orientale l’hanno spinta ad un livello di interventismo addirittura più spregiudicato rispetto a quello statunitense seguendo una logica di ostilità verso la Russia e di sostegno all’aggressività americana. L’avvento di Trump ha disorientato e sconvolto le certezze della classe dirigente scandinava, senza però minarne la preminenza, almeno nel breve periodo. Per il momento riesce a galleggiare, abbarbicata al deep state americano, infiltratosi saldamente in vent’anni di relazioni tentacolari; la bussola, però, non riesce più ad indicare una direzione precisa. Sarà, comunque, un paese cruciale nel caso dovesse accrescersi la conflittualità anarchica tra gli stati europei; potrebbe rivelarsi uno dei cunei tesi a rendere più difficoltoso un processo di avvicinamento alla Russia dei più importanti stati europei. Buon ascolto_ Germinario Giuseppe

PUTIN, INTERVENTO AL FORUM VALDAI 2017, a cura di Giuseppe Germinario

Qui sotto il testo di una lunga intervista a Vladimir Putin, tradotta e pubblicata al seguente link http://sakeritalia.it/sfera-di-civilta-russa/vladimir-putin/lintervento-di-vladimir-putin-al-forum-valdai-2017/  Le sue qualità di politico e di statista sono sempre meno messe in discussione tra i suoi stessi avversari e detrattori. E’ indubbio che in Russia si stia riformando una classe dirigente con un indirizzo politico coerente ed efficace nel sostenere il peso del confronto e dell’aperta ostilità, in primo luogo delle élites dominanti negli Stati Uniti. La precarietà della situazione interna, non ostante l’evidente coesione politica raggiunta, dovuta alle carenze demografiche, specie nell’area orientale debordante di materie prime, e dell’organizzazione e del livello tecnologico dell’economia, pendono ancora come una spada di Damocle sul potenziale strategico e sulla capacità di sostenere nel tempo il livello e la qualità del confronto che si va profilando. Non solo quello sempre più aperto con gli Stati Uniti, non ostante le vicende siriane e mediorientali lascino intuire una sorta di diplomazia sotterranea più accomodante certamente, ma grazie soprattutto all’efficacia diplomatica e militare messa in mostra, a volte volutamente ostentata; ma anche quella per ora latente con altre potenze emergenti, messa sottotraccia dai troppi fronti ostili aperti dalle élites americane verso troppi avversari. Basti pensare al flusso demografico di cinesi in Russia, in particolare in Siberia, in numeri assoluti ancora ragionevoli (dai tre ai cinque milioni), ma allarmanti in rapporto alla massa di popolazione locale (circa trenta milioni) e all’enorme estensione territoriale. Al momento si cerca di equilibrare il rapporto estendendo le collaborazioni ad altri paesi tecnologicamente evoluti e concorrenti della Cina, come il Giappone. Una compensazione tattica che però non la difenderebbe da eventuali sodalizi tra colonizzatori in un futura fase di policentrismo consolidato. La Cina, nel ‘800 e nel primo ‘900, fu la principale vittima di questi sodalizi predatorii; deve servire da monito ad aperture indiscriminate. L’illusione di trovare una sponda concreta nelle classi dirigenti europee, specie tedesca, francese ed italiana ha ritardato il consolidarsi di questa consapevolezza e il tentativo, in atto, di trovare con più efficacia al proprio interno le risorse e le capacità organizzative di sviluppo economico. 

Il senso della pubblicazione di questo intervento sul sito è un altro. In alcuni passi Putin parla apertamente di ricerca di egemonia condivisa; lo fa seguendo i canoni più classici del riconoscimento del ruolo degli stati nazionali. Una tesi “rivoluzionaria” rispetto alle politiche mestatorie e caotiche di impronta occidentale. Organizzare una tifoseria pro o contro Putin, come puntualmente accade da alcuni anni nel nostro paese, serve solo a consolidare una predisposizione, teorica alla sudditanza ad uno qualsiasi dei paesi dominanti, pratica a quella a preminenza americana. Contribuisce ad impedire, nel migliore dei casi ad ostacolare, la formazione di una classe dirigente capace di creare un blocco politico ed una formazione sociale sufficientemente coesa e dinamica, solida, in grado di sostenere con più autonomia ed efficacia il confronto che si va profilando. In questo solco “virtuoso”, tutt’altro che praticabile con l’attuale quadro politico, si possono tracciare due strade: la più ambiziosa e problematica, in grado di porre il paese alla pari delle altre potenze consolidate o emergenti, dovrebbe puntare a un sodalizio con Francia e Germania; una tale ipotesi presuppone il cambiamento contestuale delle classi dirigenti nei tre paesi. Quella più circoscritta prevede un ruolo significativo ed autonomo nell’area mediterranea; il presupposto necessario è il cambiamento della classe dirigente nazionale, una economia più equilibrata e controllata da forze nazionali, il consolidarsi definitivo di potenze concorrenti con gli Stati Uniti. Entrambe, ipotesi che non possono prescindere da un rapporto proficuo con l’attuale dirigenza russa. Buona lettura_ Giuseppe Germinario

Errori (domanda di Sabine Fischer, Fondazione Scienze e Politiche, Berlino).

Signor Presidente, Lei è stato molto critico verso le politiche dell’ Occidente a proposito delle sue relazioni con la Russia. A dire la verità, molti temi da Lei toccati richiedono una discussione critica approfondita. Allo stesso tempo sappiamo che in ogni rapporto (fra paesi come fra persone), entrambe le parti fanno errori. E dunque ho una domanda. Quali sono gli errori politici che, a parer Suo, ha commesso la Russia nelle relazioni con l’ Occidente nel corso degli ultimi 15 anni e cosa deve essere fatto, quali conclusioni devono essere tratte per il futuro di queste relazioni?).

Vladimir Putin – Il nostro errore più serio nelle relazioni con l’ Occidente è stato un eccesso di fiducia. E il vostro errore è stato che avete inteso la fiducia come debolezza, e ne avete approfittato. Quindi è necessario lasciarsi tutto ciò alle spalle, girare pagina e andare avanti, costruendo le nostre relazioni sulla base del reciproco rispetto e trattandoci l’un l’altro come interlocutori alla pari che esprimono valori alla pari.

Futuro della Russia

Vladimir Putin – Dobbiamo rendere la Russia molto flessibile e altamente competitiva. Flessibile in termini di forma e di metodo di governo, flessibile in termini di sviluppo di una economia che sia preparata ad affrontare il futuro, in termini di introduzione di tecnologia avanzata, di creazione di opportunità e di loro utilizzo. Inutile dire che dobbiamo rinforzare le nostre capacità difensive e migliorare il nostro sistema politico in modo da renderlo un organismo vivente e svilupparlo e tenerlo complessivamente aggiornato. E in tema di tecnologia, la persona alla mia sinistra, il fondatore di una grande compagnia globale, ha palato di Big Data. Sapete, noi non abbiamo davvero coscienza di cosa si stia parlando. Forse lo sapete, molti lo hanno sentito, di un caso recente verificatosi negli Stati Uniti, quando una società improvvisamente ha iniziato a mandare ad una ragazzina di 14 anni offerte per comprare prodotti per donne in stato interessante, il che ha offeso i suoi genitori. I due hanno scritto un reclamo alla società e la società si è scusata. Poi si è scoperto che la ragazza era davvero incinta. Né lei né i suoi genitori lo sapevano. Abbiamo saputo che sulla base di un gran numero di dati, del cambiamento negli interessi della ragazza, delle preferenze, delle domande e delle ricerche, una macchina può giungere alla conclusione di avere a che fare con una donna incinta e quindi ordinare ad un’ altra macchina di offrire prodotti per donne incinte. Siamo per la prima volta alle prese con una sorta di controllo su umani amministrati dalla tecnologia. Dobbiamo tenere conto del fatto che ci sono aspetti sia positivi che negativi in tutto questo. Dobbiamo riflettere su ciò nel nostro pese e usarlo per il bene della nostra gente. Questo è il nostro super-compito.

Guerra Fredda (nuova)

Avevamo [fra Stati Uniti e URSS/Russia] più divergenze e discordie ai tempi sovietici. In ogni caso sa di cos’altro c’era abbondanza? Rispetto. Fatico ad immaginare che ai tempi dell’Unione Sovietica si potessero ammainare le bandiere sovietiche dalle missioni diplomatiche sovietiche. E tuttavia lo avete fatto. Non è il solo segno di mancanza di rispetto. Tale mancanza si dimostra non solo in queste azioni formali, ma anche nelle questioni di sostanza. Ne abbiamo già parlato oggi, e quindi non è probabilmente il caso di tornarci. Avevamo più rispetto dei reciproci interessi. Certo, il rispetto deve essere sostento dalla potenza economica e militare, questo è chiaro. Va a noi stessi gran parte del biasimo per esserci messi da soli in questa posizione. In una posizione umiliante, come negli anni novanta, quanto vi abbiamo permesso di accedere alle nostre installazioni nucleari sperando che faceste altrettanto. Comunque non lo avete fatto, e aspettarsi qualcosa da voi è stato probabilmente una dimostrazione di stupidità da parte degli esponenti della “nuova Russia” che lo fecero. Comunque vorrei chiudere le mie osservazioni su di una nota positiva. Io credo molto che la soluzione delle questioni di reciproco interesse dipenda dal lavoro comune. Ciò dovrebbe aiutarci a rimanere concentrati sul pensiero che le nostre prospettive sono buone. Abbiamo appena parlato della Siria. Per ritornare sul tema (credo di non poter svelare i dettagli) teniamo incontri fra gruppi tematici, a livello di servizi segreti, di Ministero della Difesa, di Ministero degli Esteri, quasi su base settimanale. Abbiamo ottenuto alcuni risultati, il che significa che siamo in grado di farlo.

Multilateralismo

Il mondo è entrato in un’ era di rapidi cambiamenti. Cose che erano ancora poco fa considerate fantasiose o inattuabili sono diventate realtà e parte delle nostre vite quotidiane. Processi qualitativamente nuovi si stanno sviluppando simultaneamente in ogni sfera di attività. Veloci cambiamenti nella vita pubblica in molti paesi e la rivoluzione tecnologica sono interconnesse con cambiamenti sull’arena internazionale. La competizione per un posto nella gerarchia globale si va esacerbando. Quindi molte vecchie ricette di gestione globale, di soluzione dei conflitti e delle contraddizioni naturali non sono più applicabili, spesso falliscono, mentre non ve ne sono ancora disponibili di nuove. Naturalmente gli interessi degli stati non coincidono sempre, al contrario. Ciò è normale e naturale. E’ sempre stato così. Le potenze egemoni hanno diverse strategie e percezioni del mondo. Questa è l’ essenza immutabile delle relazioni internazionali, che sono costruite sul bilanciamento fra cooperazione e competizione. Vero è che quando questa bilancia è alterata, quando l’ osservanza o persino l’ esistenza di regole universali è messa in dubbio, quando gli interessi sono promossi costi quel che costi, le divergenze diventano imprevedibili e pericolose e portano a conflitti violenti. Non un solo problema internazionale può essere risolto in circostanze simili ed in un simile quadro e dunque le relazioni intestatali semplicemente si degradano. Il mondo diventa meno sicuro. Invece di democrazia e progresso viene lasciato campo libero ad elementi radicali e a gruppi estremisti che rifiutano la civiltà stessa e cercano di tornare ad un passato remoto, al caos, alla barbarie.

La storia degli ultimi anni fornisce una rappresentazione fedele di ciò. Basta guardare cosa è successo nel Medio Oriente, che alcuni attori hanno provato di risistemare e riformattare secondo i loro gusti, imponendo un modello di sviluppo estraneo attraverso colpi di Stato all’uopo organizzati, o semplicemente con la forza delle armi. Invece di lavorare assieme per aggiustare la situazione e portare un colpo effettivo al terrorismo, invece di condurre una lotta (nei fatti simulata ed inesistente), alcuni nostri colleghi fanno tutto il possibile per rendere permanente il caos in questa regione. Alcuni pensano ancora che si possa ancora utilizzare il caos a proprio vantaggio. Nel frattempo ci sono alcuni esempi positivi nell’esperienza recente. Come probabilmente avete capito, mi riferisco all’esperienza siriana. Dalla quale apprendiamo che esiste una alternativa a questo genere di politica arrogante e distruttiva. La Russia sta combattendo i terroristi al fianco del legittimo governo siriano e di altri stati della regione, e agisce sulla base del diritto internazionale.

Devo dire che queste azioni e i progressi che ne sono seguiti non sono stati facili. C’è un forte elemento di dissenso nella regione. Ma ci siamo rinforzati con la pazienza e, soppesando ogni mossa e ogni parola dei nostri nemici, abbiamo lavorato con tutti i partecipanti a questo processo con rispetto per i loro interessi. I nostri sforzi, il cui risultato è stato messo in dubbio dai nostri colleghi ancora recentemente, stanno ora (diciamolo con cautela) instillando una speranza. Si sono dimostrati molto importanti, corretti, professionali e tempestivi. O, prendete un altro esempio: il confronto intorno alla penisola coreana. Sono sicuro che abbiate affrontato questo argomento estensivamente. Sì, noi condanniamo senza ambiguità i test nucleari condotti dalla Repubblica Democratica Popolare di Corea e soddisfiamo completamente le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite relative alla Corea del Nord.

Colleghi, voglio sottolineare con enfasi questo aspetto in modo che non siano possibili interpretazioni soggettive. Noi osserviamo tutte le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. In ogni caso questo problema può naturalmente essere risolto solo attraverso il dialogo. Non dobbiamo spingere la Corea in un angolo, minacciare azioni di forza, inclinare alla rozza maleducazione ed all’invettiva. Piaccia o non piaccia il regime della Corea del Nord, non dobbiamo dimenticare che la Repubblica Democratica Popolare di Corea è uno stato sovrano. Tutte le controversie devono essere risolte in una maniera civile. La Russia ha sempre favorito tale approccio. Siamo fermamente convinti che anche i nodi più aggrovigliati (sia che si parli delle crisi in Siria, Libia, Penisola Coreana o, poniamo, Ucraina) debbano essere sciolti, non tagliati.

NorthStream

Una volta gli apologeti della globalizzazione provavano a convincerci che l’interdipendenza economica universale avrebbe prevenuto i conflitti e le rivalità geopolitiche. Tuttavia, questo non è accaduto. Al contrario, la natura delle contraddizioni si è fatta sempre più complicata, sviluppandosi su più livelli e lungo diverse linee. Per la verità, mentre le interconnessioni sono un fattore di contenimento e stabilizzazione, assistiamo anche ad un crescente numero di esempi di politica che entra in conflitto violento con l’ economia e con le logiche di mercato. Ci avevano messi in guardia: tutto questo è inaccettabile, controproducente e deve essere evitato.

Ora gli stessi che lanciavano avvertimenti fanno proprio loro tutto ciò. Alcuni non si preoccupano nemmeno di inventare dei pretesti politici per promuovere i loro immediati interessi commerciali. Per esempio, il recente pacchetto di sanzioni adottato dal Congresso USA è apertamente inteso ad escludere la Russia dai mercati energetici europei e a costringere l’Europa a comprare il più costoso gas liquefatto prodotto dagli Stati Uniti, sebbene la scala di questa produzione sia ancora troppo modesta. Si stanno facendo tentativi per alzare ostacoli ai nostri sforzi di creare nuove vie di approvvigionamento energetico (South Stream e North Stream) sebbene la diversificazione logistica sia economicamente efficiente, sia utile all’Europa e aumenti la sua sicurezza. Lasciate che lo ripeta: è solo naturale che ogni stato abbia interessi politici, economici e di altra natura. Il problema sono i mezzi con cui tali interessi sono tutelati e promossi.

ONU

Colleghi, come vediamo il futuro dell’ ordine internazionale e del sistema di governo globale? Per esempio, nel 2045, quando l’ ONU vedrà il suo centesimo anniversario? La sua creazione è divenuta un simbolo del fatto che l’ umanità, a dispetto di tutto, è in grado di sviluppare regole di condotta comuni e di seguirle. Non essendo poi tali regole state osservate, ne sono inevitabilmente derivate crisi e altre conseguenze negative.

In ogni caso, negli ultimi decenni, abbiamo assistito a diversi tentativi di sminuire il ruolo di questa organizzazione, di screditarla, o semplicemente di prenderne il controllo. Secondo noi l’ ONU, con la sua eredità universale, deve rimanere il centro del sistema internazionale. Il nostro fine comune è aumentare la sua autorità ed efficacia. Non ci sono alternative all’ONU, oggi.

Per quanto riguarda il diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza, che è a sua volta messo in discussione, bisogna ricordarsi che questo meccanismo è stato pensato e attuato per evitare confronti diretti fra gli stati più potenti, come garanzia contro l’arbitrio e la prepotenza, in modo che nessun singolo paese, nemmeno il più influente, possa rivestire le proprie azioni aggressive con una apparenza di legittimità. In ogni caso, parliamone, gli esperti sono qui, e sanno che l’ ONU ha legittimato a posteriori le azioni di singoli membri nel proscenio internazionale. Certo, è qualcosa, ma nulla che di per sé possa dare un contributo positivo. Servono riforme, il sistema dell’ ONU ha bisogno di essere migliorato, ma le riforme possono solo essere graduali, evolutive e, naturalmente, devono essere sostenute dalla maggioranza schiacciante dei membri in un procedimento internazionale all’interno della stessa organizzazione, con consenso corale. La garanzia dell’ efficacia dell’ ONU sta nella sua natura rappresentativa. Vi è rappresentata la maggioranza assoluta degli stati sovrani del mondo. I principi fondamentali dell’ ONU dovrebbero essere preservati per gli anni e i decenni a venire, visto che nessun’ altra entità è in grado di rappresentare l’ intero spettro delle politiche internazionali.

Rivoluzione d’ Ottobre

Una rivoluzione è sempre il risultato di un errore di calcolo sia di quelli che vogliono conservare, congelare in ogni modo un ordine di cose ormai superato che ha chiaramente bisogno di essere cambiato, e di quelli che aspirano a velocizzare i cambiamenti, e che devono ricorrere alla guerra civile ed alla resistenza distruttiva.

Oggi, se ci volgiamo alle lezioni di un secolo fa, per essere precisi della Rivoluzione Russa del 1917, vediamo come i suoi risultati siano stati ambigui, e come siano strettamente intrecciate le conseguenze negative e quelle positive, che pure dobbiamo riconoscere. Chiediamoci: sarebbe stato possibile seguire una via evolutiva piuttosto che passare per una rivoluzione? Avremmo potuto evolverci per graduali e sostanziali movimenti progressivi piuttosto che al prezzo di distruggere il nostro stato e di spezzare senza pietà milioni di vite umane? In ogni caso, il modello e l’ ideologia largamente utopistici che lo stato nuovamente formato tentò di realizzar subito dopo la rivoluzione del 1917 fu un potente vettore di trasformazione in tutto il mondo (il che è abbastanza evidente e deve essere riconosciuto), provocò una vasta riconsiderazione dei modelli di sviluppo, e innescò una competizione ed una rivalità il cui beneficio, direi, fu raccolto in prevalenza dall’Occidente. Mi riferisco non solo alle vittorie geopolitiche seguite alla Guerra Fredda.

Molti progressi del mondo Occidentale nel ventesimo secolo furono risposte alle sfide poste dall’Unione Sovietica. Parlo dell’ aumento della qualità della vita, alla formazione della classe media, alla riforma del mercato del lavoro e della sfera sociale, alla promozione dell’ educazione, alla tutela dei diritti umani, inclusi i diritti delle minoranze e delle donne, al superamento della segregazione razziale che, come forse ricorderete, era una vergognosa pratica di molti paesi, inclusi gli Stati Uniti, fino a pochi decenni or sono. In seguito ai cambiamenti radicali avvenuti nel nostro paese e in tutto il mondo all’inizio degli anni novanta, si è presentata una possibilità veramente unica di aprire un nuovo capitolo nella storia. Mi riferisco al periodo successivo alla fine dell’ Unione Sovietica. Sfortunatamente, dopo aver diviso l’eredità geopolitica dell’ Unione Sovietica, i nostri interlocutori occidentali si sono convinti della giustezza intrinseca della loro causa e si sono auto dichiarati vincitori della guerra fredda (come ho già accennato) e hanno preso ad interferire negli affari di paesi sovrani, ad esportare la democrazia proprio come la dirigenza sovietica aveva tentato di esportare la rivoluzione socialista al resto del mondo, a suo tempo.

Siria

La prima cosa che vorrei fare, a proposito dell’accordo sulla Siria e del processo di Astana, è ringraziare il Presidente del Kazakistan Nursultan Nazarbayev per aver reso possibile a noi ed agli altri partecipanti di questo processo incontrarci ad Astana. Il Kazakistan non è solo il posto dove ci siamo incontrati. E’ un contesto molto adatto visto che il Kazakistan mantiene la neutralità. Non interferisce nei complessi processi regionali ed è rispettato come intermediario. Vorrei notare che ad un certo punto il Presidente Nazarbayev si è preso la responsabilità di impedire alle parti di scontrarsi e ai negoziatori di abbandonare il tavolo. E’ stata una cosa molto positiva, e gli siamo molto grati per questo.

Per quanto riguarda la situazione dei negoziati, stanno procedendo lungo una direttrice positiva. Ci sono stati momenti buoni e momenti cattivi, dei quali parlerò in seguito ma, in definitiva, il processo avanza positivamente. Grazie alla posizione assunta dalla Turchia, dall’ Iran e, ovviamente, dal Governo Siriano, siamo stati in grado di ridurre le distanze nelle posizioni delle parti sul tema chiave della cessazione delle violenze e sulla creazione di zone di de-escalation. E’ il risultato più significativo che abbiamo ottenuto in Siria negli ultimi due anni, in particolare nel contesto del processo di Astana.

Devo notare che altri paesi, inclusi gli Stati Uniti, stanno dando un contributo rilevante. Sebbene non stiano partecipando direttamente ai colloqui di Astana, stanno influenzando il processo da dietro le quinte. Manteniamo una stabile cooperazione con i nostri interlocutori americani in questa sfera, su questa linea, sebbene non senza divergenze. Comunque nella nostra cooperazione ci sono più elementi positivi che negativi. Al momento abbiamo trovato un accordo su molte questioni, comprese le zone di de escalation meridionali, dove sono presenti anche interessi israeliani e giordani. Naturalmente questo processo non sarebbe stato ciò che è stato senza il contributo positivo di paesi come l’Arabia Saudita, l’Egitto, la Giordania, come di molti altri paesi, piccoli ma importanti incluso, a proposito, il Qatar. Che prospettive ci sono? Abbiamo ragione di credere (cercherò di esprimermi con cautela) che la faremo finita con i terroristi entro breve. Ma questo non è causa di particolare esultanza, non è sufficiente a dire che il terrorismo è morto e sepolto. Perché, in primo luogo, il terrorismo è un fenomeno molto radicato, radicato nell’ingiustizia del mondo contemporaneo, nei torti che molte nazioni, etnie e gruppi religiosi subiscono e nella mancanza di una educazione completa in interi paesi del mondo. La mancanza di una normale, effettiva, educazione di base è suolo fertile per il terrorismo.

Ma se liquidiamo la sacca di resistenza terrorista in Siria, di certo non significa che la minaccia alla Siria, alla regione ed al mondo nel suo complesso sia cessata, no di certo. Al contrario, bisogna sempre restare sul chi vive. Il processo, in via di definizione, fra l’ opposizione ed il governo è anch’esso fonte di preoccupazione. E’ in corso, ma procede molto lentamente, in maniera impercettibile; le parti in conflitto diffidano molto l’ una dell’ altra. Spero che sarà possibile superare questo ostacolo. Una volta stabilite le zone di de escalation, speriamo di muovere alla fase seguente. C’è un idea di convocare un congresso del popolo siriano, mettendo assieme tutti i gruppi etnici e religiosi, il governo e le opposizioni. Se riuscissimo in questo, anche con il supporto di paesi garanti e anche delle principali potenze fuori dalla regione (l’Arabia Saudita, gli Stati Uniti e l’Egitto) sarebbe un ulteriore passo, molto importante, sulla via della sistemazione politica. E a qual punto forse si potrebbe procedere alla stesura di una nuova costituzione. Ma è presto per parlarne ora. E’ un piano appena abbozzato.

(interviene il moderatore Fyodor Lukyanov): Signor Presidente, le zone di de-escalation porteranno ad una divisione della Siria?)

Vladimir Putin: un simile rischio esiste, ma come ho detto prima, non voglio che si tratti di un abbozzo di spartizione della Siria, al contrario, voglio che si crei una situazione per cui, una volta che le zone di de escalation sono stabilite, la gente che controlla queste zone entri in contatto con Damasco, con il governo. A dire il vero ciò accade già in molti posti. Per esempio a sud di Damasco, in un piccolo territorio controllato dall’opposizione, la gente va a lavorare a Damasco e torna a casa ogni giorno. Vede: la vita quotidiana incoraggia la comunicazione. Spero tanto che questa prassi evolverà nelle altre zone di de escalation così che gradualmente, passo dopo passo, la cooperazione incomincerà a livello quotidiano, il che, secondo me, dovrebbe estendersi in accordi politici di lungo termine.

Stati Uniti

(risposta all’analista americana Toby Gati che aveva chiesto: non vi importa di rinforzare ogni stereotipo negativo sugli Stati Uniti e di rendere più difficile superarli?)

Vladimir Putin: prima di tutto ciò è connesso alla reciproca disposizione critica. Vorrei segnalare alla vostra attenzione il fatto che, come sicuramente sapete, una campagna anti russa senza precedenti è stata lanciata negli Stati Uniti: è iniziata nelle ultime fasi dall’amministrazione Obama, e non è ancora finita. Non capisco perché siate sorpresi dalla mia disposizione critica verso l’ attività della precedente amministrazione USA, come verso quella dell’ attuale. Gli Stati Uniti hanno lanciato una campagna in alcun modo provocata contro la Russia. Qualcuno ha perso le elezioni contro il Signor Trump, la Russia è stata accusata di qualsiasi cosa ed è stata montata una perniciosa isteria anti Russa (non posso descriverla in altro modo). Ogni ostacolo, ogni fallimento, è attribuito alla Russia. Non è forse così? Certo, è proprio così: su ogni tema. Seguono la pista russa, e, guarda il caso, ne trovano immediatamente una. Questa è la mia prima considerazione.

Secondo: oggi ci siamo incontrati qui non per appuntarci l’un l’altro medaglie ed onorificenze. Stiamo discutendo e lo stiamo facendo con onestà e sincerità. Ho esposto la mia posizione su molti aspetti delle nostre relazioni che considero negativi. Non ho creato stereotipi: ho parlato di fatti. Per esempio: il fatto che le armi chimiche non siano state eliminate. E’ uno stereotipo o un fatto? E’ un fatto. Al posto di soddisfare i nostri impegni bilaterali li hanno cambiati unilateralmente e non stanno osservando il contenuto del trattato. Ho parlato di questo. In ogni caso questo non significa che le nostre relazioni nel passato non… Sì, a proposito, quando ho detto che abbiamo consentito a nostri interlocutori accesso a tutte le installazioni nucleari: cos’è questo, un qualche tipo di stereotipo anti americano? Ovviamente no. Ho parlato della nostra apertura, ed ho detto che quela apertura non è stata debitamente apprezzata. Poi è del tutto ovvio e devo ripeterlo: come ex direttore dell’ FSB, so per certo che c’è stato un supporto massiccio al separatismo ed al radicalismo nel Caucaso settentrionale. Non chiedetemi come lo so: lo so. Non ci sono stati bombardamenti a Belgrado? Senza approvazione del Consiglio di Sicurezza? E’ uno stereotipo? E’ un fatto. Sono gli Stati Uniti a creare questi “stereotipi”.

Comunque, ciò non significa che non vi sia nulla di buono nei nostri rapporti. Ci sono state anche cose buone, concordo con Lei: il sostegno all’adesione al WTO, è vero, e altri sviluppi positivi. Anche a livello personale abbiamo avuto discussioni e contatti proficui. Ad esempio non dimenticherò mai il sostegno di Bill Clinton quando muovevo i primi passi come Primo Ministro. Boris Eltsin mi mandò in Nuova Zelanda al suo posto e quella fu la prima volta che incontrai il Signor Clinton. Stabilimmo un rapporto umano molto positivo, buono e gentile. In altre parole, avremmo anche qualcosa di positivo di cui parlare, ma io voglio concentrarmi sull’ordine del giorno. Per cosa siamo qui: per farci complimenti? La situazione attuale lascia molto a desiderare, o no? Siete isterici, siete malcontenti, ammainate le nostre bandiere, chiudete le nostre missioni diplomatiche. Vede qualcosa di buono in tutto questo? Ed è tutto frutto di problemi accumulati. Ho spiegato da dove vengono. Dopo tutto, non siamo qui per farci complimenti e moine, ma per identificare i problemi, individuare la loro origine e pensare a come risolverli. Si possono risolvere o no? Credo di si. Lavoriamoci assieme. Aspettiamo i suoi consigli e le sue raccomandazioni.

Ucraina

Riguardo all’Ucraina Lei ha detto che, secondo gli europei, la palla è nel campo della Russia. Ebbene, noi pensiamo che la palla sia nel campo dell’Europa, perché, a causa della posizione del tutto priva di spirito costruttivo (come vedete sto scegliendo le parole in modo da non sembrare maleducato) dei precedenti componenti la Commissione Europea, la situazione si è spinta fino al colpo di Stato. Sapete che fecero. Il problema era solo relativo alla firma, da parte dell’Ucraina, di un accordo di associazione, un accordo economico con l’Unione Europea. Il Presidente Yanukovich ad un certo punto disse: “Ho un problema con questo testo, devo rivedere i tempi di sottoscrizione. Lavoriamo su questo testo ancora un po’”. Non ha mai rifiutato di firmarlo. Sono seguiti i disordini sostenuti dagli Stati Uniti (sostenuti finanziariamente, politicamente e mediaticamente) e da tutta l’Europa. Hanno sostenuto una presa di potere incostituzionale, una presa di potere sanguinosa, con morti sul terreno, ed hanno spinto la situazione verso la guerra nel sud est Ucraina. La Crimea ha dichiarato l’ indipendenza e la sua riunificazione con la Russia, e adesso pensate che siamo noi a doverci rimproverare tutto quello che è successo?

Chi è stato che ha sostenuto il colpo di Stato incostituzionale? L’attuale situazione è il risultato di una presa di potere incostituzionale in Ucraina, ed è l’Europa colpevole, perché è lei che l’ha sostenuta. Cosa sarebbe stato più facile che dirgli: “Voi avete fatto il colpo di Stato e, dopo tutto, anche voi siete garanti”? Come garanti i Ministri degli Esteri di Polonia, Francia e Germania hanno firmato un documento, un accordo fra il Presidente Yanukovich e l’opposizione. Tre giorni dopo, quell’accordo è stato calpestato, e dove erano i garanti? Chiedeteglielo: dove eravate voi garanti? Perché non gli avete detto “per favore, rimettete le cose a posto. Rimettete Yanukovich al potere e tenete elezioni democratiche e costituzionali”? Avevano ogni possibilità di vincere, il 100%. Nessun dubbio. No: hanno preferito fare un colpo di Stato. Bene. Abbiamo preso atto di questo fatto, lo abbiamo accettato e abbiamo firmato gli accordi di Minsk. A questo punto l’attuale dirigenza ucraina ha sabotato ogni paragrafo di quell’accordo, e ciascuno lo può vedere alla perfezione. Tutti quelli che partecipano al processo negoziale ne sono pienamente consapevoli, ve lo assicuro. Non un singolo passo è stato compiuto verso la realizzazione degli accordi di Minsk. E nonostante tutto questo tutti dicono: “le sanzioni non saranno tolte sino a che la Russia non realizza gli accordi di Minsk”.

Tutti quanti hanno ormai capito che l’attuale dirigenza ucraina non è in condizione di soddisfare gli accordi. Ora che la situazione in quel paese ha toccato il fondo sia in termini di economia che di politica interna, e che la polizia usa il gas contro i manifestanti, aspettarsi che il Presidente dell’Ucraina faccia il minimo passo verso l’attuazione degli accordi di Minsk è un esercizio futile. Non ho idea di come potrà farlo. Ma sfortunatamente non esistono alternative.

Comunque continueremo a lavorare nel Formato Normandia per tutto il tempo che piacerà ai nostri colleghi, e cercheremo di realizzare questi accordi di Minsk che Lei ha menzionato. Giusto di recente abbiamo sostenuto una iniziativa di inviare in loco una forza di interposizione delle Nazioni Unite. Nemmeno una forza di interposizione, ma unità armate delle Nazioni Unite con il compito di proteggere il personale dell’OSCE. Ci avevano sempre detto e chiesto di armare il personale dell’OSCE che opera sulla linea di contatto. Avevamo subito aderito a questa richiesta. Ma l’OSCE ha rifiutato di farlo. Sono sicuro che Lei ne è a conoscenza, e molti, fra il pubblico, che hanno a che fare con queste cose, ne sono a conoscenza. L’OSCE ha detto: “no, non possiamo farlo, non abbiamo le competenze, non abbiamo le armi, non abbiamo mai usato le armi nelle nostre operazioni. Inoltre temiamo che le armi ci trasformino in bersagli per le parti in conflitto”. E un no è un no. A questo punto il Presidente Poroshenko ha tirato fuori l’idea di creare condizioni adeguate per proteggere il personale OSCE con l’aiuto di unità armate dell’ONU. Abbiamo concordato e praticamente abbiamo iniziato il processo, per evitare di essere accusati di sabotare l’affare.

No: loro hanno pensato che non fosse abbastanza. Ora vogliono interpretare il tutto liberamente. Sa cosa temiamo? Glielo dirò, ammesso che si possa dire che temiamo qualcosa. Se loro non adottano la legge sull’amnistia prima di sciogliere i nodi politici e di provvedere questi territori di uno status speciale secondo quanto previsto dalla legge adottata dalla Rada ed estesa per un altro anno, chiudere il confine fra la Russia e le repubbliche separatiste porterà ad una situazione simile a quella di Srebrezniza. Ci sarà un bagno di sangue. Non possiamo permettere che succeda.

Quindi rimproverare la Russia di ogni cosa e dire che la palla e nel suo campo, e che noi dovremmo fare qualcosa, semplicemente non ha senso. Lavoriamoci assieme. Andate, ed usate la vostra influenza presso l’ attuale governo di Kiev, in modo che almeno facciano qualche passo verso una normalizzazione della situazione. Noi lavoreremo di conserva e faremo del nostro meglio per normalizzare la situazione. Abbiamo bisogno di una Ucraina democratica ed amichevole. Vedete: quando qualche impero si disintegra e qualche territorio passa di mano in mano in conseguenza di una guerra, questa è la situazione. Quando l’Unione Sovietica collassò, la Russia si privò volontariamente di questi territori. Noi abbiamo spontaneamente acconsentito che tutte le ex repubbliche sovietiche divenissero stati indipendenti. Non abbiamo pensato nemmeno lontanamente di chiedere qualcosa a qualcuno e di dividere i territori. Non dimenticatelo: abbiamo fatto tutto di nostra spontanea volontà. E nemmeno oggi vogliamo farlo. Vogliamo solo avere vicini amichevoli nei nostri confronti.

Credevate davvero che voi e l’Ucraina avreste firmato un accordo di associazione, avreste aperto tutti i mercati ed i confini ucraini, e l’Ucraina, come membro della vostra zona doganale, sarebbe stata una porta per i nostri mercati? Ve lo avevamo detto: “Ragazzi, non potete farlo, fermatevi”. Nessuno ci è stato a sentire. Ci hanno detto: “Noi non interferiamo nei vostri accordi con la Cina. Voi non interferite nei nostri accordi con il Canada. Allora state fuori dai nostri accordi con l’Ucraina”. Questo è quello che ci hanno detto, letteralmente. Che accidenti di posizione è questa? Nessuno ha mai voluto tener conto del fatto che noi abbiamo delle relazioni speciali con l’Ucraina, e che alcuni settori della nostra economica sono legati a quel paese. E allora, ritorniamo ad un dialogo costruttivo e sostanziale, direbbero i diplomatici. Siamo pronti, e siamo lieti di farlo, prima è meglio è, visto che nemmeno noi abbiamo bisogno di conflitti in corso ai nostri confini.

(…)

Spero fortemente che faremo dei progressi. Lo dico in assoluta sincerità. Ma non basta fare appello solo alla Russia: bisogna influenzare anche la posizione di Kiev. Ora hanno preso una decisione sulla lingua, essenzialmente proibendo l’uso di lingue di minoranze etniche nelle scuole. L’Ungheria e la Romania hanno avanzato riserve. Anche la Polonia ha fatto qualche commento a riguardo. Ma l’Unione Europea nel suo complesso è rimasta muta. Perché non condannate questa cosa? Silenzio. Poi hanno fatto un monumento a Petlyura. Un uomo con opinioni nazistoidi, un antisemita che uccise ebrei durante la guerra. A parte il Congresso Ebraico Sionista, tutti gli altri hanno taciuto. Avete paura di offendere i vostri pupilli di Kiev, vero? Tutto questo non è fatto per popolo ucraino, è fatto per soddisfare le esigenze delle principali autorità al potere. E perché tacete? Fino a che non viene compreso che questo problema non si può risolvere senza influenzare l’ altra parte, non succederà nulla. Spero che alla fine questa consapevolezza arriverà.

Io vedo l’interesse dei nostri interlocutori, principalmente dei nostri interlocutori europei, alla soluzione di questo conflitto. Vedo il loro interesse autentico. Angela Merkel si impegna parecchio, ci mette tempo, e sta prendendo grande confidenza con queste faccende. Sia l’ex presidente della Francia che il Presidente Macron fanno attenzione alla vicenda. Ci lavorano concretamente. In ogni caso non è sufficiente lavorarci sul piano tecnico e tecnologico, serve un intervento politico. E’ essenziale esercitare una pressione sulle autorità di Kiev, costringerle a fare almeno qualcosa. Per concludere: anche l’ Ucraina ha un interesse a che le nostre relazioni si normalizzino. Ultimamente hanno deciso di imporre sanzioni contro di noi, come ha fatto l’Unione Europa. Abbiamo risposto per le rime. Il Presidente mi ha chiesto: “Perché lo avete fatto?”. Dico: “Beh, perché voi lo avete fatto a noi.”. Allora lui (sentite, è fantastico!): “Si ma le nostre sanzioni non vi fanno nulla, mentre le vostre ci danneggiano sul serio!”. E allora? Pensavate che avreste fatto una cosa del genere senza una risposta? Sono rimasto senza parole.

Ma la situazione attuale è insostenibile e deve essere risolta, credo che ciò sia ovvio e, cosa più importante, credo che ciò sia ovvio per la stragrande maggioranza dei cittadini ucraini. A noi piace l’Ucraina, e io personalmente considero il popolo ucraino come una nazione sorella se non addirittura come la stessa nazione, parte della nazione russa. Sebbene ciò non piaccia ai nazionalisti russi, e nemmeno a quelli ucraini, questa è la mia posizione, il mio punto di vista. Presto o tardi succederà: ci sarà una riunificazione, non a livello interstatale, ma in termini di ripristino delle relazioni. Prima sarà, meglio sarà, faremo del nostro meglio per giungere a questo fine.

 

Arabia Saudita

Vladimir Putin: il mondo sta cambiando, tutti i paesi stanno cambiando e le relazioni tra gli stati stanno cambiando. In questo non c’è nulla di insolito. Infatti, ai tempi dell’Unione Sovietica, i rapporti tra l’Arabia Saudita e l’Unione Sovietica erano abbastanza buoni, ma vi erano vincoli di natura puramente ideologica. Oggi non ve n’è alcuno, e non c’è niente che possa fondamentalmente dividerci. Ora, cosa può unirci con l’Arabia Saudita o altri paesi della regione? Non vedo in realtà alcuna ragione per queste linee di divisione. Ho un rapporto personale molto buono, quasi amichevole, con quasi tutti i leader di questi stati.

La visita del Re dell’Arabia Saudita è stata un grande onore per noi. E’ stato un evento storico, tra l’altro si è trattato della prima visita del Re saudita in Russia. Da solo questo evento mostra l’atteggiamento dell’Arabia Saudita verso la costruzione di un rapporto con la Russia.

Non abbiamo assolutamente alcun problema con il fatto che questi paesi, inclusi l’Arabia Saudita, abbiano i loro particolari interessi, legami storici e relazioni d’alleanza con, tra gli altri, gli Stati Uniti. Perché dovrebbe preoccuparci? Questo non significa che ci è proibito lavorare con l’Arabia Saudita; lo faremo. Per quanto riguarda l’Arabia Saudita e gli altri paesi della regione, sceglieranno loro con chi preferiranno lavorare e su quali temi.

La Russia sta dimostrando stabilità, prevedibilità e affidabilità nella sua politica estera. E credo che questo possa interessare i nostri partners. Inoltre abbiamo interessi economici in comune – soprattutto interessi di natura globale. Ora, abbiamo coordinato la nostra posizione sul mercato dell’energia con le nazioni dell’OPEC, soprattutto con l’Arabia Saudita e il prezzo (del greggio) è rimasto stabile, circa 50 dollari (al barile). Lo consideriamo un prezzo equo; per noi è abbastanza adeguato. Questo è un risultato di sforzi congiunti.

Non ci sono altri risultati. Le prime opportunità sono emerse per la cooperazione nella tecnologia della difesa. Si, esistono contratti multi-miliardari con gli Stati Uniti. Ottimo! Sapete cosa dice la nostra gente? “I polli beccano un granello alla volta.” I nostri legami si espanderanno lentamente e forse questi contratti cresceranno.
Mi è stato anche chiesto se abbiamo paura che l’Arabia Saudita sarà nuovamente con gli Stati Uniti, non abbiamo paura di niente! Di cosa dovremmo avere paura? Sapete, è l’Arabia Saudita che dovrebbe avere paura, per così dire, che gli americani portino la democratizzazione in Arabia Saudita. Questo è ciò che dovrebbero temere. Ma cosa c’è da temere per noi? Abbiamo già la democrazia. Continueremo a lavorare.

Catalogna

La situazione in Spagna dimostra chiaramente quanto possa essere fragile la stabilità persino in uno stato prospero e consolidato. Chi se lo sarebbe aspettato, anche solo di recente, che la discussione sullo status della Catalogna, che ha una lunga storia, potesse risultare in una acuta crisi politica?

La posizione russa è nota. Tutto ciò che sta accadendo è una questione interna alla Spagna e deve essere risolta sulle basi della legge spagnola in conformità con le tradizioni democratiche. Siamo consapevoli che la leadership del paese sta prendendo misure in questa direzione.

Nel caso della Catalogna, abbiamo visto che l’Unione Europea e alcuni altri stati condannano all’unanimità i sostenitori dell’indipendenza.

Sapete, a questo proposito non posso fare a meno di notare che sarebbe stato il caso di pensarci prima. Cosa, nessuno era consapevole dell’esistenza di questi disaccordi centenari in Europa? Lo erano, non è vero? Certo che lo erano. Tuttavia ad un certo punto hanno accolto con favore la disintegrazione di un numero di stati in Europa senza nascondere la loro gioia.

Perché sono stati così sconsiderati, guidati da fugaci considerazioni politiche e dal loro desiderio di appagare il loro grande fratello a Washington, fornendogli sostegno incondizionato alla secessione del Kosovo, provocando così simili processi in altre regioni europee e nel mondo?

Ricorderete che quando la Crimea ha dichiarato l’indipendenza, e in seguito – dopo il referendum – ha dichiarato di voler far parte della Russia, tutto ciò non è stato accolto bene per qualche ragione. Ora abbiamo la Catalogna. C’è un problema simile in un’altra regione, il Kurdistan. Forse questa lista è tutt’altro che esaustiva, ma dobbiamo chiederci, cosa faremo? Cosa dovremmo pensare a riguardo?

Si scopre che alcuni dei nostri colleghi ritengono che ci siano “buoni” combattenti per l’indipendenza e la libertà, e che ci siano “separatisti” che non hanno alcuna possibilità di difendere i propri diritti, anche con l’uso di meccanismi democratici. Come diciamo sempre in casi simili, questi doppi standard – e questo rappresenta un esempio di doppio standard – costituiscono un grave pericolo allo sviluppo stabile dell’Europa e degli altri continenti, e al progresso dei processi di integrazione nel mondo.

Catalogna 2

Per quanto riguarda la “sfilata delle sovranità”, come ha affermato, e il nostro atteggiamento a riguardo… In realtà credo in una dimensione globale, la creazione di stati mono-etnici potrebbe portare a scontri nella lotta per la realizzazione degli interessi di stati mono-etnici di nuova costituzione. Questo è ciò che probabilmente accadrà.

E’ per questo che le persone che vivono in uno stato unificato all’interno dei confini comuni hanno una maggiore probabilità che il loro stato persegua una politica equilibrata. Guardate la Russia. I musulmani costituiscono circa il 10 per cento della nostra popolazione, che significa molto. Non sono stranieri o migranti. La Russia è la loro unica patria e la vedono come tale. Cosa ci ha incoraggiati a fare? Ho suggerito di puntare allo status di osservatore all’Organizzazione della Cooperazione Islamica. Ciò influenza le nostre politiche estere e domestiche, rendendo la nostra politica più bilanciata e attenta a questa parte della comunità internazionale. Lo stesso vale per altri paesi.

Per quanto riguarda la sentenza della corte delle Nazioni Unite, ce l’ho. Non l’ho citata in modo da non sprecare il vostro tempo. Ho letto la sentenza perché sapevo che avremmo affrontato la questione. Siete esperti, quindi sapete tutto a riguardo. Vorrei tuttavia ricordarvi che l’8 Novembre 2008, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la Risoluzione 63/3. Domanda: la dichiarazione unilaterale di indipendenza da parte delle istituzioni temporanee del Kosovo è conforme al diritto internazionale? Questa domanda è stata trasmessa alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia.

Il 22 Luglio 2010, dopo due anni di deliberazioni, la Corte dell’Aia ha emesso un Parere Consultivo secondo il quale la dichiarazione d’indipendenza del Kosovo, adottata il 17 Febbraio 2008, non ha violato il diritto internazionale. In linea di principio la decisione del tribunale riguarda non solo il Kosovo ma anche l’applicabilità del diritto internazionale alla dichiarazione d’indipendenza da parte di qualsiasi Stato. In questo senso avete assolutamente ragione che questa ampia interpretazione non sia applicabile al Kosovo. Era una sentenza che ha aperto la scatola di Pandora. Si, avete perfettamente ragione a questo proposito. Un centro perfetto.

Guardate cosa dice la sentenza del tribunale del 22 Luglio 2010. Il paragrafo 79: “La pratica degli Stati in questi ultimi casi non fa riferimento all’emergere di una nuova regola nel diritto internazionale che vieti la dichiarazione d’indipendenza in tali casi”. Punto 81: “Nessun divieto generale contro le dichiarazioni di indipendenza unilaterali può essere dedotto dalla pratica del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”. Paragrafo 84: “Il tribunale ritiene che il diritto internazionale generale non contenga alcun divieto applicabile alle dichiarazioni d’indipendenza. Di conseguenza, conclude che la dichiarazione d’indipendenza del 17 Febbraio 2008 non ha violato il diritto internazionale generale”. Eccolo qua, in bianco e nero.

Come hanno spinto e fatto pressioni alla Corte Internazionale dell’Aia, questi paesi Occidentali! Sappiamo per certo che gli Stati Uniti avevano una raccomandazione scritta per la Corte Internazionale. Il Dipartimento di Stato scrisse: “Il principio dell’integrità territoriale non esclude la creazione di nuovi stati nel territorio di stati già esistenti”.
Sotto: “Le dichiarazioni di indipendenza possono (e spesso lo fanno) violare la legislazione nazionale. Tuttavia ciò non significa che sia una violazione del diritto internazionale.” Inoltre “In molti casi, compreso il Kosovo, le circostanze della dichiarazione d’indipendenza possono significare un rispetto fondamentale del diritto internazionale da parte del nuovo stato”.

La Germania: “Questa è una questione di diritto dei popoli per l’autodeterminazione. Il diritto internazionale che riguarda l’integrità territoriale degli stati non si applica a tali popoli.” Decisero di dichiarare l’indipendenza, beh, bene per loro. E i loro principi di integrità non si applicano a questo stato.

L’ Inghilterra: “La secessione o la dichiarazione d’indipendenza non contraddice la legge internazionale”

La Francia: “Esso (il diritto internazionale) non la consente (la secessione o separazione) ma in generale non la vieta”.

Poi c’era la reazione alla sentenza della Corte. Ecco cosa scriveva la signora Clinton (qualcuno potrebbe aver lavorato con lei) dopo la sentenza: “Il Kosovo è uno Stato indipendente e il suo territorio è inviolabile. Invitiamo tutti gli Stati a non concentrarsi eccessivamente sullo status del Kosovo e dare il proprio contributo costruttivo a sostegno della pace e della stabilità nei Balcani. Invitiamo i paesi che non hanno ancora conosciuto il Kosovo a farlo”.

Germania: “La sentenza consultiva della Corte Internazionale conferma che la nostra valutazione giuridica della legittimità della dichiarazione d’indipendenza del Kosovo. Rafforza la nostra opinione che l’indipendenza e l’integrità territoriale della Repubblica del Kosovo siano innegabili”.

Francia: “L’indipendenza del Kosovo è irreversibile. La sentenza della Corte Internazionale, che ha terminato i dibattiti legali in materia, è diventata una pietra miliare e permetterà a tutte le parti di dedicarsi ad altre questioni importanti da risolvere”.

Ora, “altre questioni importanti” sono sorte oggi, e non è piaciuto a nessuno quando queste “altre questioni importanti” sono emerse. A nessuno! Questo è ciò che chiamo “doppi standard”. Questo esempio rappresenta la scatola di Pandora che è stata aperta e il genio a cui è stato permesso di uscire dalla lampada.
Qual’è la nostra posizione in questo caso? Ho detto, stavo dicendo, se avete ascoltato con attenzione, stavo dicendo che speravo che il problema fosse risolto sulla base della legislazione della Costituzione spagnola. Credo che questa sia la sua fine. La sua fine. Tuttavia, ovviamente, dobbiamo stare attenti a tali questioni e molto sensibili a tutto ciò che sta succedendo. Speriamo che tutto venga risolto nel quadro di istituzioni e procedure democratiche; non ci saranno più prigionieri politici e così via. Ma questo è un problema interno al paese. Credo sia sufficiente.

Cina

Come saprete durante i nostri incontri ci chiamiamo pubblicamente amici. Questo dimostra quanto sia evoluto il livello delle relazioni tra noi, sul piano umano.

Tuttavia, oltre a tutto ciò, sosteniamo gli interessi delle nostre nazioni. Come dicono i diplomatici, spesso questi interessi sono molto vicini o identici. Ha continuato ad evolversi una situazione incredibile e, volendo Dio, continuerà a farlo il più a lungo possibile: raggiungiamo sempre un consenso su ogni tema, anche apparentemente controverso; raggiungiamo sempre un accordo, cerchiamo soluzioni di compromesso e le troviamo.

In ultimo, questi accordi portano benefici ad entrambi gli stati, perché ci muoviamo in avanti, non ci fissiamo, non ci fermiamo, non conduciamo la situazione in un vicolo cieco, ma risolviamo le questioni controverse e andiamo avanti, e nasceranno nuove opportunità. Questa è una pratica molto positiva.

Quanto al congresso di partito in Cina, lo seguiamo attentamente e noto l’inusuale apertura di questo congresso. Credo che ci sia un numero di giornalisti e membri della comunità internazionale senza precedenti. Non vi è dubbio che tutto ciò che il Presidente della Cina ha detto, il suo discorso e le discussioni in corso mostrano che la Cina è focalizzata sul futuro.

Stiamo vedendo sia difficoltà che prospettive. Come accennato prima, la Cina ha prospettive economiche meravigliose: la crescita del 6-8 per cento del PIL, credo nei primi tre trimestri dell’anno. Questo sarà poco meno di prima, ma non fa differenza. Credo che i cambiamenti in corso nel mercato del lavoro e sull’economia in quanto tale siano dietro a questa crescita. Nel complesso la Cina, in linea con l’India che anche lei dimostra una crescita economica molto buona, è certamente un “trader” economico globale.

Abbiamo il più alto scambio commerciale tra stati con la Cina, ed enormi piani congiunti. Incluse alcune sfere veramente significative e importanti, come lo spazio, l’alta tecnologia e l’energia. Tutto ciò sta posando le basi per le nostre future relazioni intestatali.

Corea del Nord

Come sapete, la situazione è pericolosa. Parlare di un attacco preventivo di disarmo (abbiamo udito tali suggerimenti o persino minacce dirette) è pericoloso. L’ho detto così tante volte.

Chissà dove e cosa hanno nascosto i nord coreani, e se saranno in grado di distruggere tutto in una singolo attacco. Ne dubito. Sono quasi sicuro che sia impossibile. Anche se teoricamente sarebbe possibile, ma estremamente pericoloso.

Anche se supponiamo che siano messi alla prova per scoprire cosa hanno nascosto e dove, non tutto sarà trovato. Quindi c’è un solo modo, cioè raggiungere un accordo e trattare questa nazione con rispetto.

L’ho citato tra le mie osservazioni.

Che ruolo può giocare la Russia? In questo caso può agire come un intermediario. Abbiamo proposto una serie di progetti tripartiti congiunti che coinvolgono la Russia, Corea del Nord e Corea del Sud. Essi comprendono la costruzione di una ferrovia, trasporto tramite oleodotti e così via. Dobbiamo lavorare. Dobbiamo liberarci di una retorica belligerante, realizzare il pericolo associato a questa situazione e andare oltre le nostre ambizioni. E’ imperativo smettere di discutere. E’ così semplice.

Qualcosa che ho già menzionato qui. Siamo stati d’accordo ad un certo punto che la Corea del Nord avrebbe fermato i suoi programmi di armi nucleari. No, i nostri partner americani pensavano che non fosse abbastanza e, poche settimane dopo credo, dopo l’accordo, hanno imposto nuove sanzioni, dicendo che la Corea dovrebbe fare meglio. Forse può, ma non ha assunto tali obblighi. Inoltre si ritirò da tutti gli accordi, e riprese a fare tutto ciò che faceva prima. Dobbiamo utilizzare moderazione in tutte queste azioni. Allora abbiamo raggiunto un accordo, e penso che potremmo farlo di nuovo.

Disarmo

Poche ore fa mi è stato detto che il Presidente degli Stati Uniti ha detto qualcosa sui social media riguardo la cooperazione Russia-USA nell’importante ambito della cooperazione nucleare. E’ vero che questa è la sfera più importante dell’iterazione tra Russia e Stati Uniti, tenendo presente che la Russia e gli Stati Uniti hanno una speciale responsabilità nei confronti del pianeta, essendo le due più grandi potenze nucleari.

Tuttavia vorrei usare questa opportunità per parlare più in dettaglio di quanto è accaduto negli ultimi decenni in questa area cruciale, per fornire un quadro più completo. Ci vorranno almeno due minuti.

Negli anni ’90 sono stati firmati diversi accordi bilaterali. Il primo, il programma Nunn-Lugar è stato firmato il 17 Giugno 1992. Il secondo, il programma HEU-LEU è stato firmato il 18 Febbraio 1993. L’uranio a basso arricchimento, quindi HEU-LEU.

I progetti del primo accordo si sono concentrati sull’aggiornamento dei sistemi di controllo, la contabilità e la protezione fisica dei materiali nucleari, lo smantellamento e la rottamazione dei sommergibili e i generatori termoelettrici a radioisotopo.

Gli americani hanno fatto – e si prega di prestare la massima attenzione su questo punto, non è una informazione segreta, semplicemente pochi ne sono a conoscenza – 620 visite di verifica in Russia per verificare la nostra conformità agli accordi. Hanno visitato i più sacri complessi di armi nucleari russe, vale a dire le imprese impegnate nello sviluppo di testate nucleari e munizioni, plutonio per armamenti e uranio. Gli Stati Uniti hanno ottenuto l’accesso a tutte le infrastrutture segrete in Russia. Inoltre l’accordo era di natura quasi unilaterale. Sotto il secondo accordo, gli americani hanno visitato i nostri impianti di arricchimento altre 170 volte, visitando le aree con accesso limitato, come le unità di miscelazione e le strutture di stoccaggio. L’impianto di arricchimento nucleare più potente al mondo – la Ural Eletrochemical Combine – aveva persino un presidio d’osservazione americano. Lavori permanenti erano creati direttamente presso i laboratori dove gli specialisti americani andavano a lavorare quotidianamente. Le stanze dove queste persone sedevano, in queste strutture segrete russe, avevano bandiere americane, come sempre.

Inoltre è stata redatta una lista di 100 specialisti americani di 10 diverse organizzazioni statunitensi che avevano il diritto di effettuare ispezioni supplementari in qualsiasi momento e senza alcun avvertimento. Tutto questo è durato per 10 anni. Secondo questo accordo 500 tonnellate di uranio per armamenti sono state rimosse dalla circolazione in Russia, equivalente a circa 20.000 testate nucleari.

Il programma HEU-LEU è diventato una delle misure più efficaci del vero disarmo nella storia dell’umanità – lo dico con piena fiducia. Ogni passo sul lato russo è stato attentamente monitorato dagli specialisti americani, in un momento in cui gli Stati Uniti si sono limitati a riduzioni del loro arsenale nucleare molto più modeste e lo han fatto su una pura base di buona volontà.

I nostri specialisti hanno anche visitato le imprese del complesso degli armamenti nucleari statunitensi, ma solo a loro invito e a condizioni stabilite dagli Stati Uniti.

Come si vede, il lato russo ha dimostrato un’apertura e una fiducia assolutamente senza precedenti. Per caso – e parleremo probabilmente di questo in seguito – tutti sanno cosa ne abbiamo ricavato da tutto ciò: sono stati totalmente trascurati i nostri interessi nazionali, è stato dato sostegno al separatismo nel Caucaso, azioni militari che hanno circonvenuto il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, come il bombardamento della Jugoslavia e di Belgrado, l’introduzione di truppe in Iraq e così via. Ebbene, è facile da capire: una volta che la condizione delle forze armate e del complesso nucleare erano state osservate, la legge internazionale pareva inutile.

Negli anni 2000 la nostra collaborazione con gli Stati Uniti è entrata in una nuova fase di collaborazione veramente equa. E’ stato caratterizzato dalla firma di un certo numero di trattati strategici e di accordi sugli usi pacifici dell’energia nucleare, noto negli Stati Uniti come Accordo 123. Ma nonostante tutti gli intenti e gli scopi, gli Stati Uniti hanno interrotto l’accordo unilateralmente nel 2014. La situazione attorno al Plutonium Management and Disposition Agreement (PMDA) del 20 Agosto  2000 (firmato a Mosca) e del 1 Settembre (firmato a Washington) fa pensare ed è allarmante. Secondo il protocollo di questo accordo, le parti dovevano intraprendere passi reciproci per trasformare in modo irreversibile il plutonio degli armamenti in combustibile di ossido misto (MOX) e bruciarlo in centrali nucleari, in modo da non poter essere più usato per scopi militari. Qualsiasi modifica in questo metodo è stata consentita solo tramite il consenso delle due parti.

Questo è scritto nell’accordo e nei suoi protocolli.

Cosa ha fatto la Russia? Abbiamo sviluppato questo combustibile, abbiamo costruito un impianto per la produzione di massa e, come ci siamo impegnati nell’accordo, abbiamo costruito un impianto BN-800 che ci ha permesso di bruciare questo combustibile in sicurezza. Vorrei sottolineare che la Russia ha adempiuto a tutti i suoi impegni. Cosa hanno fatto i nostri partner americani? Hanno cominciato a costruire un impianto sul sito del fiume Savannah. Il suo prezzo iniziale era di 4,86 miliardi di dollari, ma hanno speso quasi 8 miliardi, sono arrivati al 70% della costruzione e poi han congelato il progetto. Ma a nostra conoscenza la richiesta di bilancio per il 2018 include 270 milioni per la chiusura e l’arresto di questa struttura. Come al solito ci si pone una domanda: dove sono i soldi? Probabilmente rubati. O hanno pianificato male qualcosa durante la costruzione. Queste cose succedono. E qua capitano troppo spesso. Ma questo non ci interessa, non ci riguarda. Ci interessa ciò che accade all’uranio e il plutonio. A che punto siamo con lo smaltimento del plutonio? Si propone la diluizione e lo stoccaggio geologico del plutonio. Ma questo contraddice completamente lo spirito e la lettera dell’accordo, e soprattutto non garantisce che la diluizione non sia riconvertita in plutonio da armamenti. Tutto questo è una sfortuna ed è sconcertante.

E ancora. La Russia ha ratificato il Trattato Globale di Blocco dei Test Nucleari più di 17 anni fa. Gli Usa non lo hanno ancora fatto.

Si sta sviluppando una massa critica di problemi nella sicurezza globale. Com’è noto, nel 2002 gli Stati Uniti sono usciti dal Trattato Anti-Missili Balistici. E pur essendo i promotori della Convenzione sul divieto delle armi chimiche e della sicurezza internazionale – essi stessi hanno avviato l’accordo – non riescono a rispettare i loro impegni. Restano ad oggi l’unico e più grande detentore di armi di distruzioni di massa. Inoltre gli Stati Uniti hanno posticipato la scadenza per eliminare le loro armi chimiche, dal 2007 al 2023. Non sembra opportuno per una nazione che sostiene di essere un campione di non proliferazione e controllo.

Al contrario, in Russia il processo è stato completato il 27 settembre di quest’anno. In questo modo il nostro Paese ha contribuito significativamente al rafforzamento della sicurezza internazionale. A tale proposito, i media occidentali preferivano tacere per non notarlo, v’è stata una menzione da qualche parte in Canada ma è stato tutto, poi il silenzio. Nel frattempo l’arsenale delle armi chimiche immagazzinato dall’Unione Sovietica è sufficiente da uccidere la vita sul pianeta più volte. Credo sia giunto il momento di abbandonare un programma obsoleto. Mi riferisco a ciò che era. Senza dubbio dobbiamo guardare avanti, dobbiamo smettere di guardare indietro. Sto parlando di tutto questo per capire le origini dell’attuale situazione che sta prendendo forma.

Disarmo 2

Se mi chiedete se il disarmo nucleare è possibile o no, direi, sì, è possibile. La Russia vuole un disarmo nucleare universale o no? Anche qui la risposta è sì, la Russia lo vuole e lavorerà per raggiungerlo. Questa è il lato buono.

Tuttavia, come sempre, ci sono problemi che fanno pensare. Le moderne potenze nucleari ad alta tecnologia stanno sviluppando altri tipi di armi, con maggiore precisione e solo leggermente inferiori alle armi nucleari nella loro forza distruttiva. Le armi nucleari includono bombe e missili che colpiscono grandi aree, trasportando una potente carica che colpisce un territorio enorme con il potere dell’esplosione e delle radiazioni. Le moderne forze armate ad alta tecnologia cercano di sviluppare e mettere in servizio armi ad alta precisione, che si avvicinano alle armi nucleari nel loro potere distruttivo; non proprio, ma vicino. Penso che se lo prendiamo questo problema seriamente – vedo cosa sta succedendo nel mondo: quelli che dicono di essere pronti sono pronti quanto hanno progredito nello sviluppo e nella distribuzione di nuovi sistemi d’arma. Devo subito dire che saremo pronti anche per questo mentre seguiremo attentamente ciò che sta succedendo nel mondo, non appena il nostro Paese avrà nuovi sistemi non nucleari, anche quelli non nucleari.

Disarmo 3

Non torniamo agli anni ’50. Sono stati fatti tentativi per rimandarci indietro. Avete citato alcuni accordi. Ci sono tre accordi in cui abbiamo sospeso la nostra partecipazione. Perché l’abbiamo fatto? Perché i nostri partner americani non stanno facendo nulla.

Non possiamo fare tutto da soli. Abbiamo preso una decisione unilaterale per eliminare le nostre armi chimiche e le abbiamo eliminate, come ho detto nei commenti di apertura. Ma i nostri partner americani han detto che non faranno ancora la stessa cosa, perché non hanno i soldi per questo.

Non hanno i soldi? La zecca americana sta stampando dollari, ma non hanno soldi. Abbiamo trovato i soldi per costruire gli stabilimenti per la distruzione delle armi chimiche. Credo abbiamo costruito otto impianti, investendo enormi fondi nella costruzione e nell’addestramento di personale. E’ stato un lavoro titanico. Stiamo pensando adesso ad altri modi per utilizzare queste strutture.

Come ho detto quando parlavo del plutonio, abbiamo creato un sistema per trasformare il plutonio degli armamenti in combustibile in combustibile ad ossido misto. Sono serviti oltretutto soldi e sforzi, perché la questione riguarda gli investimenti. Abbiamo costruito un reattore e coordinato il metodo per distruggere questo plutonio con gli americani. Ma poi hanno intrapreso un passo unilaterale in violazione dell’accordo senza neanche avvisarci, come si dovrebbe fare tra partner. Come lo sappiamo? Lo abbiamo appreso da una presentazione del bilancio al Congresso. Hanno chiesto milioni di dollari per finanziare un nuovo metodo di utilizzazione e hanno posticipato il processo per un periodo non specificato.

No, non dovrebbe essere così. Con questo nuovo metodo americano il plutonio può essere convertito in armi. Non ci siamo ritirati da questi accordi ma li abbiamo sospesi, aspettando una reazione normale dai nostri partner.

Speriamo riprendano i negoziati.

Per quanto riguarda il trattato anti-missilistico sono d’accordo con voi, l’ho detto molte volte, e altri l’han fatto – tutti gli esperti sono d’accordo su questo –, che questo trattato era la base della sicurezza internazionale nel campo delle armi strategiche. Ma no, anni di negoziati con i nostri amici americani non sono riusciti a convincerli a rimanere nei limiti del trattato.

Ora veniamo a conoscenza che anche il nuovo trattato START non funziona. Non ci stiamo ritirando dal trattato, anche se qualcosa può non funzionare con noi. Questo fa sempre parte di un qualche tipo di compromesso. Tuttavia è meglio avere alcuni accordi piuttosto che nessuno. Se lo capiamo, faremo qualsiasi cosa per rispettare i nostri impegni, e li rispetteremo.

Ora torniamo al trattato INF, sui missili a medio e breve distanza.

Hanno sempre detto, beh, non sempre, ma recentemente abbiamo sentito molte accuse, la Russia avrebbe violato questo trattato accampando qualche scusa. Saremmo tentati di farlo se solo non avessimo missili per aria e per mare. Ora li abbiamo. Gli Stati Uniti avevano tali missili, noi no.

Quando abbiamo accettato di eliminare i missili a medio e corto raggio, l’accordo riguardava i missili Pershing, che sono situati a terra, e i nostri sistemi missilistici.

Tra l’altro, quando i nostri missili intermedi e a corto raggio sono stati eliminati il nostro ingegnere capo si è suicidato, perché credeva di tradire il suo paese. Questa è una storia tragica, cambiamola.

Tuttavia gli Stati Uniti hanno ancora missili trasportabili per aria e per mare. Infatti questo è stato un disarmo unilaterale anche per il lato sovietico, ma ora abbiamo missili sia per aria che per mare. Avete visto quanto sono efficaci i missili Kalibr: dal Mar Mediterraneo, dal Mar Caspio, dall’aria o da un sommergibile, qualunque cosa si possa desiderare.

Abbiamo inoltre altri sistemi missilistici oltre al Kalibr che ha una portata di 1.400 km, molto potenti con una portata operativa di 4.500 km. Crediamo di aver solo bilanciato la situazione. Se a qualcuno non piacesse e desiderasse ritirarsi dal trattato, per esempio i nostri partner americani, la nostra risposta sarebbe immediata, vorrei ripeterlo come avvertimento. Immediata e reciproca.

Elezioni presidenziali Russe del 2018

Fyodor Lukyanov: si tratta delle elezioni. Ha intenzione di …?

Vladimir Putin: È giunto il momento di concludere …

Fyodor Lukyanov: Ecco perché non stiamo ponendo questa domanda. Tuttavia, vorrei dirlo in modo indiretto.
Innanzitutto, il Club di Valdai ha difficoltà ad immaginare come dovremo incontrarci se prenderà una decisione diversa. Ci siamo abituati. Lei è come un talismano per noi. Sarà difficile.

Vladimir Putin: Significa che non mi inviterà? O che mi cancellerà immediatamente dalla lista dei prodotti alimentari come un soldato smobilitato?

Fyodor Lukyanov: Va bene siamo s’accordo.

In secondo luogo, l’unico a cui mancherebbe tanto quanto a noi – per fortuna o purtroppo, non c’è niente che possiamo fare a riguardo – sarebbe il pubblico mondiale, in particolare il pubblico occidentale. Perché attualmente sta svolgendo una funzione molto importante.
Quando tutto è detto e fatto, lei è un polo – un polo del male probabilmente che consolida e mobilita. Non riesco semplicemente ad immaginare come potrebbero andare avanti senza di lei. Quindi mi sembra che dovrebbe pensare molto prima di prendere una decisione. Il mondo ha bisogno di lei!

Vladimir Putin: Guardai Petr Aven e mi vennero in mente i nostri oligarchi. In chiusura, vi racconterò una storia meravigliosa.
Un oligarca è andato in bancarotta (non Aven, sta andando bene, parleremo ancora dello sviluppo di Alfa Group, ma cose simili capitano) e sta parlando con sua moglie. Questo è una vecchia barzelletta- così vecchia che gli è cresciuta una barba – probabilmente più lunga della sua. Così le dice: “Sai, dovremo vendere la Mercedes e comprare una Lada.” “Bene.” “Dobbiamo spostarci dalla casa Rublyovka al nostro appartamento a Mosca.” “Okay.” “Ma mi amerai ancora? “E lei:” Ti amerò moltissimo, e mi mancherai tanto “. Quindi non credo che mancherò loro molto a lungo.

Fyodor Lukyanov: Anche a noi mancherà, fino alla prossima riunione del Club Valdai.

Un grande grazie a tutti i partecipanti. Grazie a tutti i nostri colleghi. Credo che oggi abbiamo coperto moltissimi temi, forse abbiamo registrato un record.
Grazie mille. Vi auguro il meglio.

DALLE PRIMAVERE AGLI INVERNI DI SOROS. SARANNO CALDI, MOLTO CALDI di Giuseppe Germinario

UN TORRIDO INVERNO

Questo insolito tepore ottobrino, così siccitoso, lascia presagire un torrido ed infuocato inverno.

Dal punto di vista meteorologico potrebbe essere una previsione troppo azzardata; previsioni del tempo attendibili riescono a coprire un arco di tempo ancora troppo breve, di pochi giorni.

È la temperatura politica del pianeta, in particolare negli Stati Uniti e in Europa, che pare surriscaldarsi sino a sfiorare pericolosamente il punto critico di formazione di tempeste distruttive e roghi devastanti.

Provo a collegare, più o meno avventurosamente, quattro episodi apparentemente avulsi tra essi.

  1. Il discorso di Trump all’ONU_ Il 19 Settembre scorso Trump ha pronunciato il suo primo e per ora unico discorso all’ONU. Sul sito ne abbiamo già parlato con dovizia http://italiaeilmondo.com/2017/09/24/httpssoundcloud-comuser-159708855podcast-episode-13/

http://italiaeilmondo.com/2017/09/27/massimo-morigi-a-proposito-del-podcast-episode-13_-lo-smarrimento-dei-vincitori-di-gianfranco-campa/  ; allo stato attuale, potremmo arricchire e corroborare le nostre valutazioni con una ulteriore supposizione. Quel discorso così apparentemente contraddittorio e paradossale potrebbe essere in realtà un tentativo particolarmente sofisticato e pericoloso di mettere a nudo le debolezze, l’inconcludenza e l’avventurismo delle strategie di quello staff militare dal quale è ormai circondato e che sta cercando di erigere una vera e propria barriera in grado di filtrare rigorosamente i contatti del presidente americano. Sembra voler dire: “volete lo scontro con la Russia e la Cina, l’Iran e la Corea del Nord? Ve lo offro su un piatto d’argento e vediamo se avete la reale intenzione e capacità di portarlo avanti, con quali rischi e a che prezzo!”

Il recente viaggio degli esponenti del ramo prevalente dei Saud, dei regnanti quindi dell’Arabia Saudita, in Russia può essere d’altro canto letto non solo come un sussulto di autonomia di quella classe dirigente di fronte allo stallo della politica di destabilizzazione in Medio Oriente e al recupero di autorevolezza della Russia di Putin; ma anche come una sorta di diplomazia parallela e per interposta persona che le forze fautrici dell’avvento di Trump alla Presidenza Americana continuano a portare avanti. Le aperture ben più esplicite dei generali egiziani alla Russia da una parte e i contatti di Bannon, il mentore ufficialmente disconosciuto e reietto, in realtà ancora costantemente e discretamente consultato dal Presidente, con la dirigenza cinese sembrano confermare l’esistenza di questi doppi canali di comunicazioni e di relazioni.

  1. Lo scandalo a sfondo sessuale del produttore cinematografico americano Weinstein e le rivelazioni di wikileaks sul traffico di uranio con la Russia alimentato da personaggi politici di spicco del Partito Democratico americano hanno una cosa essenziale in comune. Entrambi colpiscono al cuore gli esponenti più importanti e decisivi della coorte che ha sostenuto e determinato in questi decenni l’ascesa e il consolidamento dell’affermazione del sodalizio tra neoconservatori e democratici americani. Più che i danni materiali e i vizi privati sbandierati sui media, risalta l’irrimediabile deterioramento di immagine e di credibilità del costrutto ideologico e mediatico sul quale si sono fondati trenta anni di politica estera e di gestione interna di quel paese.

Gli uni assestano un colpo tremendo all’ipocrisia disgustosa del politicamente corretto tanto fervido ed accorato nell’ostentare le pubbliche virtù e la coerenza del rispetto della dignità umana, quanto certosino nel coltivare nel privato della persona e nei canali riservati delle relazioni politiche i soprusi, le sopraffazioni, le meschinerie, i mercimoni più interessati.

Gli altri rivelano le relazioni e gli interessi inconfessabili di una classe dirigente così apertamente ostile alla formazione di un mondo multipolare, la quale ha individuato nella Russia di Putin il nemico acerrimo della pacificazione unipolare e globalistica, salvo intrattenere con settori di essa gli affari e i commerci più loschi. Le vittime sacrificali predestinate appaiono il produttore Weinstein e il politico Podesta, ma il capro espiatorio finale appare ben più emblematico.

  1. L’Open Society di Soros si è vista rimpolpare in breve tempo il proprio salvadanaio di ben 18.000.000.000 (diciotto miliardi) di dollari.gentiloni-soros Una cifra stratosferica in grado di impressionare manipolatori persino particolarmente adusi e avvezzi al denaro come Soros, in grado di muovere eserciti, bande armate, contestatori, manifestanti e Pussy Riot di mezzo mondo. Sino ad ora il nostro paladino delle libertà e del soccorso umanitario ha utilizzato un doppio metro di comportamento al centro e alla periferia dell’Impero, nonché nei confronti dei riottosi più ostinati esterni ad esso. Apertamente violento e destabilizzatore ai margini; più cauto e pervasivo, più suadente man mano che le trame riguardavano la geografia prossima al centro dei poteri. Qualcosa, evidentemente, comincia a cambiare in questa strategia in maniera assolutamente radicale. Come non bastasse saltano nuovamente alla ribalta organizzazioni, quasi sempre legate al filantropo e beneficiarie dei più disparati finanziamenti pubblici e privati, spesso concessi dagli stessi rappresentanti delle vittime delle loro azioni; tutte dedite, con solerzia e qualche dose inevitabile massiccia di stupidità ed ottusità, alla compilazione di liste di prescrizione foriere di una prossima caccia all’untore. Tra queste brilla ultimamente, secondo RT, https://www.rt.com/news/407347-rt-guests-list-ngo/ , l’associazione http://www.europeanvalues.net/ ,con questo documento http://www.europeanvalues.net/wp-content/uploads/2017/09/Overview-of-RTs-Editorial-Strategy-and-Evidence-of-Impact.pdf e secondo questo interessante documento fondativo, corredato da un elenco dei finanziatori sorprendente, ma non troppo http://www.europeanvalues.net/wp-content/uploads/2013/02/VZ2015_ENG_FIN.pdf L’analogia con la caccia alle streghe del Maccarthismo degli anni ’50 è inquietante. A ruoli invertiti, è probabile che le squadracce che vediamo infiltrate nelle manifestazioni di strada antisistema, prointegrazione e via dicendo, diventino lo strumento di giustizia sommaria e di fomentazione provocatoria di questi filantropi.
  2. L’investimento mortale a Charlottesville, in Virginia, di due mesi fa,riviera24-luca-botti-strage-los-angeles-390786 la drammatica strage del cecchino (dei cecchini?) a Las Vegas di due settimane fa, ancora coperta da una fitta e misteriosa coltre di nebbia da cui emergono i sussurri più inquietanti; il tentativo di secessione in Catalogna e lo stesso referendum nel quadrilatero lombardo-veneto annunciano alcune variazioni essenziali sul tema della strategia del caos perpetrata in questi ultimi anni. Le modalità di svolgimento di questi eventi apparentemente sconnessi lasciano sospettare, rispettivamente, a volte una vera e propria provocazione, altre volte una istigazione, altre ancora una manipolazione e per finire una capacità di cogliere opportunità. Non si tratta, quindi, semplicemente, di un complotto ordito a tavolino sin nei particolari; troppo semplicistico! Quanto, piuttosto, di sfruttamento di opportunità create e utilizzate in un contesto di crescente instabilità e di emersione di nuove forze antagoniste, spesso confuse e contraddittorie. Un terreno, tra l’altro, sul quale diventa particolarmente difficile ed insidioso l’intervento politico di forze sovraniste, specie quelle più sensibili alla suggestione della democrazia dal basso e della superiorità dei progetti autonomistici e localistici.

La “strategia del caos” che sino ad ora ha interessato i paesi riottosi al predominio unipolare, in particolare la Russia, ha investito le zone di confine e di contesa ai margini dell’impero, come il Nord-Africa, il Medio Oriente, in parte il Sud-Est Asiatico, l’estremità dell’Europa Orientale pare investire sempre più da vicino i luoghi e la geografia centrale dei centri di potere e delle formazioni sociali connesse attorno secondo gli stessi propositi degli attori-mestatori.

È il segno che lo scontro politico sta investendo direttamente questi centri di potere, piuttosto che essere condotto da essi per interposte persone; li sta costringendo ad un confronto diretto sempre più aspro e risolutivo.

Richiederà il sacrificio di alcuni illustri capri espiatori, alcuni dei quali particolarmente in auge nell’immediato passato.

Nel Partito Repubblicano neoconservatore abbiamo visto cadere qualche testa illustre, ma ancora senza particolare crudeltà.

Nel Partito Democratico americano, la ricomposizione che si sta tentando con buone probabilità di successo tra la componente pragmatica vicina ad Obama e la componente social-radicale prossima a Sanders, il candidato sconfitto da Hillary Clinton alle primarie, in parte lui stesso nominalmente esterno al partito, ma generosamente ricompensato con una buona presa e radicata presenza all’interno di esso, richiederà probabilmente il sacrificio ben più sanguinoso di una intera dinastia politica: quella dei Clinton. Sanguinosa riguardo al futuro delle carriere politiche, ma anche a quello degli averi e della sicurezza economica del sodalizio.

La figura che più si potrebbe attagliare a quella di Hillary Clinton, potrebbe essere metaforicamente proprio quella di Maria Antonietta, vittima predestinata della Rivoluzione Francese.

La signora Rodham Hillary C. si presenta come il capro espiatorio perfetto sul capo riverso della quale costruire le fortune di una nuova classe dirigente ansiosa di liquidare al più presto l’attuale mina vagante dello scenario politico americano: Donald Trump. Una classe dirigente ancora in grado di controllare la quasi totalità delle leve di potere e di controllo e di legarsi ai settori tecnologicamente più vivaci, ma sino ad ora incapace di dare un respiro strategico alla propria iniziativa che riesca a garantire una sufficiente coesione della formazione sociale americana e a coinvolgere in una nuova versione del sogno, buona parte del resto del mondo. Il cumularsi di errori grossolani e di una gretta difesa degli interessi di costoro e la boria legata ad un inguaribile senso di superiorità rischiano di far precipitare quel paese in una crisi analoga a quella che ha prodotto la guerra di secessione di metà ‘800, ma dagli effetti ancora più distruttivi piuttosto che creativi in un contesto di potenza declinante. Non solo, ma di lasciare i propri orfani e sodali disseminati nel mondo, soli ed esposti ad affrontare con scarso sostegno le intemperie e a cercare col tempo nuovi ripari, più per se stessi che per il gregge da accudire, come ogni buon Gattopardo o Generale Badoglio che si comandi.

 La forza e la possibile sopravvivenza delle componenti che hanno espresso Trump risiede proprio nella debolezza strategica dei suoi avversari, piuttosto che nella solidità dei propri mezzi.

Su questo “Italia e il Mondo” cercherà di concentrare la propria attenzione e le proprie scarse energie sin dai prossimi articoli con lo scopo di individuare le opportunità e gli spazi di formazione di una nuova classe dirigente così necessaria a questo nostro “pauvre pays”.

L’ORA X DELLA CATALOGNA, L’ULTIM’ORA DI PUIGDEMONT, di Giuseppe Germinario

Carles Puigdemont ha confermato la dichiarazione di indipendenza della Catalogna ed auspicato una trattativa con il Governo Centrale di Spagna

Raramente accade di una classe dirigente così platealmente votata al suicidio come quella catalana, senza nemmeno l’aura romantica che spesso riveste i predestinati al sacrificio patriottico. Un epilogo tanto tragico quanto farsesco del destino individuale di questi condottieri. Non di tutti, beninteso. I più scaltri e furbi hanno istigato, hanno saputo defilarsi e alcuni arrivano ora a proporsi come mediatori con buone probabilità di qualche riconoscimento istituzionale nel prossimo futuro.

Un gruppo dirigente evidentemente privo di qualsiasi memoria storica. La Catalogna, in epoca moderna, ha conosciuto vari moti indipendentistici conclusisi inesorabilmente tutti più o meno tragicamente nel giro di pochi giorni o mesi.

Privo di cultura istituzionale visto che non solo ha violato apertamente la legge dello Stato centrale, anche se questo è pressoché la norma nei tentativi secessionistici, pur con le recenti eccezioni legate al dissolvimento del blocco sovietico; ha forzato, violato e gestito malamente le procedure della propria istituzione regionale che hanno portato al referendum e alla proclamazione di indipendenza e dirottato apertamente risorse pubbliche a fini privati legati alla promozione mediatica e lobbistica del progetto secessionistico in particolare negli Stati Uniti.

Privo soprattutto di basilare cultura ed accortezza politiche.

Ha con ogni evidenza del tutto sottostimato le implicazioni militari di un tale atto e la capacità reattiva di uno stato e governo centrale lesi in una delle loro prerogative fondamentali. Il recente accordo tra il Governo Centrale e la Regione Basca che riconosce ad essa ulteriore ampia autonomia e addirittura la prerogativa dell’imposizione fiscale deve averli indotti a sopravvalutare gravemente l’indebolimento delle capacità di difesa delle prerogative dello Stato Centrale. Un indebolimento certamente in atto grazie al processo di integrazione militare nella NATO e politico-economico nell’Unione Europea che ne ha accentuato la subordinazione politica e ridotto l’agibilità, ma non ancora del tutto compiuto. La Spagna ha infatti pagato il proprio relativo e fragile sviluppo economico incentrato soprattutto sull’edilizia, sulla creazione di infrastrutture e sul turismo con una cessione significativa del controllo delle proprie attività industriali più importanti; al pari dell’Italia e di altri paesi europei politicamente malconci e a causa di un contesto territoriale determinato dall’esistenza di ben quattro principali grandi nazionalità, ha ceduto maggiormente alle lusinghe europeiste di una regionalizzazione sovrana in grado di agire direttamente con le istituzioni comunitarie, aggirando le prerogative, il coordinamento e gli indirizzi dello stato centrale. Il risultato è la sovrapposizione di una subordinazione storica alla potenza americana a quella franco-tedesca, analoga a quella italiana anche se parzialmente contenuta dai retaggi nazionalistici più pervasivi legati al recente passato franchista.

Ha sorprendentemente glissato sulla indispensabile compattezza quantomeno della popolazione catalana necessaria a sostenere un confronto così aspro e definitivo. Il movimento indipendentista si sta rivelando invece una realtà politica significativa ma minoritaria non solo nell’intera Catalogna, compresa quella non interessata dall’azione referendaria, ma anche nell’epicentro stesso del conflitto, la zona di Barcellona.

Riguardo all’indispensabile sostegno internazionale necessario a rompere l’isolamento e a trarre energia, aiuto militare e appoggio politico sembra aver ignorato le conseguenze dell’appartenenza della Spagna alla Unione Europea e alla NATO. I legami ed il sostegno internazionale, i quali comunque non mancano, non possono infatti manifestarsi con le stesse modalità che hanno caratterizzato le primavere arabe e i movimenti secessionisti e sovvertitori di questi ultimi anni. La grande novità dell’evento di rottura riguarda proprio la sua collocazione geopolitica; non più ai margini della sfera occidentale e nelle zone di attrito con Russia e Cina, bensì al centro dell’Europa occidentale.

Sul tavolo dei congiurati non potevano certo mancare opzioni più graduali ed avvolgenti che implicassero un’alleanza con le altre comunità nazionali di Spagna, compresa quella della costruzione di uno stato federale ormai resa verosimile e praticabile dal recente accordo già citato con i Paesi Baschi.

Quale nefasta congiunzione astrale ha determinato alla fine l’attuale piega degli eventi?

Certamente hanno assunto un ruolo importante le ambizioni e le rivalità all’interno del gruppo dirigente catalano il quale tenta alla fine di trovare una loro compensazione ed uno loro spazio nella neonata entità statale; ma queste trovano espressione solo nel particolare humus e retroterra alimentatosi nella regione.

Nella Catalogna di questi ultimi anni si è condensato un sodalizio sempre più complice tra un gruppo di politici locali, ben radicati negli interessi della comunità e con una visione megalomane della propria collocazione nel contesto internazionale, e la componente sinistrorsa e movimentista riconducibile a Podemos e Sinistra Unita.

Dei primi va sottolineata la pervicacia con la quale hanno confermato la propria collocazione nella NATO e nella UE, l’ostinazione nella ricerca di un sostegno lobbistico negli ambienti angloamericani, per la verità con ampio dispiego di risorse e scarsi risultati. Apparentemente nulla di anomalo rispetto alla necessaria ricerca di alleanze, sostegno o quantomeno neutralità che tutte le forze irridententistiche, rivoluzionarie portano avanti nella loro azione. I legami professionali e la storia di gran parte di questi dirigenti inducono però a pensare a qualcosa di deleterio.

Dei secondi, in particolare di Podemos, va rilevata con qualche attenzione in più la loro impostazione politica. La formazione di questo gruppo dirigente, in particolare di Pablo Iglesias inizia negli ambienti universitari di Los Angeles, la fucina che ha generato il movimento degli indignati e di Occupy Wall Street  http://italiaeilmondo.com/2017/10/11/dal-nostro-indignato-speciale-di-giuseppe-germinario-scritto-il-18102011/( http://italiaeilmondo.com/2017/10/11/dal-nostro-indignato-speciale-di-giuseppe-germinario-scritto-il-18102011/ )di alcuni anni fa; prosegue con un immersione, non priva di contrasti, nei movimenti culturali latinoamericani che hanno sostenuto le svolte di numerosi regimi di quel continente; si insedia nelle università di Madrid e Barcellona, in particolare negli ambienti accademici, dalle quali partono le spinte organizzative e la formazione del soggetto politico. La quasi totalità dell’impegno si fonda su tecniche di comunicazione basate su un particolare recupero del concetto gramsciano di egemonia; elude il problema del controllo degli strumenti coercitivi e punta sulla manipolazione dei sistemi mediatici, per altro nemmeno controllati direttamente. Si tratta in particolare di imporre un linguaggio e i propri contenuti. Il mondo viene schematicamente diviso tra un 1% di dominanti e un 99% di defraudati; il conflitto deve concentrarsi con azioni di partecipazione dal basso; le rivendicazioni si riducono a mere politiche di diritti e di redistribuzione. In Spagna il successo politico del movimento si basa su una campagna mediatica su scala nazionale e sull’alleanza su base locale con le forze autonomistiche e le varie opposizioni sociali.

Il movimento indipendentista catalano è figlio di queste impostazioni, in linea per altro con i tentativi passati. Fonda la propria azione politica sulla base di colpi di mano e di smaccata manipolazione mediatica degli eventi. Una esasperazione analoga a quella cui stiamo assistendo negli Stati Uniti e che sta minando progressivamente la credibilità degli artefici. La gestione strumentale ed approssimativa del referendum, la montatura della critica verso atti repressivi in realtà alquanto blandi stanno spingendo in un vicolo cieco il gruppo dirigente catalano in una azione puramente simbolica e verbale che potrà trovare alimento, probabilmente, solo in provocazioni sempre più pericolose e strumentali. Non si conoscono le effettive capacità e propensioni del governo catalano a condurre in questa maniera e sino in fondo il gioco; c’è di che dubitarne. Come c’è da dubitare delle solide convinzioni di un popolo indipendentista così lesto a smobilitare la piazza, un minuto dopo le dichiarazioni solenni del Presidente Puigdemontes, non ostante l’ombra minacciosa delle forze lealiste in campo.

La conferma della dichiarazione di indipendenza di oggi al parlamento catalano, con un dilazionamento dei suoi effetti, rappresenta una mossa disperata che non cambierà un destino personale ormai segnato dei responsabili catalani e il declino delle formazioni politiche citate già per altro in corso.

Una debolezza che rischia di spingerli sempre più sotto la protezione e il salvacondotto esterni. Non sono mancati a queste forze gli incoraggiamenti, il sostegno e il supporto dei soliti centri di potere che hanno contribuito a sconvolgere l’intera area mediterranea; nemmeno è mancato il sostegno discreto e qualche incoraggiamento altrettanto discreto di centri presenti nei paesi europei.

È mancato rumorosamente, questa volta, l’aperto e sfrontato supporto diplomatico americano messo all’opera direttamente nelle piazze in Egitto, in Ucraina, in Siria, in Kossovo nel recente passato.

Segno che il fronte non è più così compatto e che il confronto in corso negli Stati Uniti sta lasciando la propria impronta anche in Europa.

Quello in corso in Catalogna rappresenta comunque un test, probabilmente anche una forzatura determinata dalla perdita parziale delle leve di comando, di quanto la politica di destabilizzazione e del caos sia ormai esportabile in Europa. Qualche riflesso visibile lo stiamo vivendo anche in Italia con la vicenda del referendum lombardo-veneto. Friedman tempo fa ci aveva avvertiti. Il suo fallimento indurrà, probabilmente, a riproporre, ma sotto mutate spoglie, quella politica; certamente contribuirà a mettere in crisi e a far piazza pulita di queste sedicenti forze di opposizione perfettamente complementari all’azione degli attuali establishment sino a determinarne l’ulteriore sopravvivenza. Si auspica da più parti il successo di una qualsiasi politica di destabilizzazione, perché potrebbe favorire di per sé la formazione di nuove classi dirigenti più autonome e più sensibili alla costruzione di formazioni sociali più coese ed eque, adatte a sostenere il confronto che sta covando nel mondo. È invece proprio la modalità di svolgimento di questo confronto sia all’interno che tra esse che determina la qualità della formazione dei centri strategici.

Il compito faticoso degli analisti e soprattutto dei pochi politici dediti alla causa è appunto quello di discernere il grano dal loglio piuttosto che dedicarsi alla contemplazione del caos primordiale.

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