L’ELEZIONE DI ZELENSKY E QUELLE PROMESSE TRADITE AGLI OCCHI DEL MONDO, di Marco Giuliani

L’ELEZIONE DI ZELENSKY E QUELLE PROMESSE TRADITE AGLI OCCHI DEL MONDO

Correva il 2019. Quando il conflitto poteva ancora essere evitato, il leader ucraino remò contro

Nel 2019, una volta eletto presidente ai ballottaggi con il 73% dei voti, Volodymyr Zelensky ha trasformato la sua natura di comico d’avanspettacolo televisivo in cruda realtà, soprattutto quella legata alla sorte futura dei suoi connazionali (malgrado loro). Nel puntualizzare le promesse disattese di questo personaggio, in primo luogo di fronte alla comunità internazionale, è opportuno ripercorrere analiticamente il processo politico che, dal punto di vista di Kiev, ha provocato la tragedia militare in corso da quasi cinque mesi nell’Est europeo. Processo che, come ormai noto a tutti, sta mutando gli equilibri geopolitici di mezzo mondo.

Quali furono i presupposti per la candidatura di Zelensky alla presidenza della Rada ucraina? Quale programma elettorale determinò la sua vasta popolarità nel paese che decise di dargli fiducia? Procediamo per ordine. Oltre alle promesse di “smontare” gli establishments oligarchici che di fatto imperversavano nella cosa pubblica e nell’amministrazione ucraine dando luogo a vasti fenomeni di corruzione, i primi slogan, in politica estera, si ispirarono alla volontà di avvicinare il paese alla zona euro e all’impegno simultaneo di pacificare le aree russofone e quelle a maggioranza ucrainofona, in guerra da decenni (e non dal 2014, come l’informazione convenzionale ripete da tempo). Opzioni entrambe fallite, vuoi per dolo, vuoi per inconsapevole negligenza. Sappiamo che tra le lobbies che sostennero l’ex comico gravitavano personaggi poco limpidi – il controverso banchiere Ihor Kolomoisky, miliardario e vicino agli ambienti neonazisti ucraini, ne è un esempio – ma non è questo il punto. Il problema si è ingigantito a seguito del rifiuto ai posteri di instaurare un dialogo con il Cremlino circa le questioni Crimea-Donbass, dove la popolazione è per circa il 60% a maggioranza russa da secoli, e dove le leggi nel Donetsk contro la libertà di espressione e contro la lingua da parte degli ucraini si sono susseguite negli anni e inasprite – guarda caso – proprio con Zelensky. Il quale Zelensky, soggiogato (ma soprattutto foraggiato) dalla Nato e dai governi occidentali filostatunitensi, non ha fatto altro che provocare il muro contro muro. E di conseguenza, altri morti. Lo ha fatto di fronte alla comunità internazionale, che nonostante tutto, ha iniziato ad appoggiarlo con lo scopo di cercare un casus belli per scontrarsi con Putin.

Non bisogna dimenticare – contrariamente a quanto fanno oggi i leaders e i media mainstream euro-atlantici – che nel 2010, alle presidenziali indette da Kiev, i candidati filorussi presero il 90% dei voti. Dopo di che, dal 2019 a oggi, che corre la metà del 2022, le condizioni nell’Ucraina sudorientale sono precipitate. Non solo a causa dell’attacco russo, ma anche perché smentendo quanto garantito nel suo programma politico preelettorale, l’ex comico ha fatto l’opposto di ciò che sarebbe stato opportuno e sacrosanto per evitare la guerra, o quanto meno interromperla: complicità in quelle che si possono definire vere e proprie leggi razziali ai danni delle minoranze russofone, il rifiuto per qualsiasi tipo di trattativa per giungere ad accordi bilaterali che ratificassero la carta di Minsk, e in ultimo, la svolta atlantista e guerrafondaia che nel tempo ha attirato a sé tutta una serie di movimenti neonazisti ben armati e sfruttati militarmente in chiave antirussa. Salvo farli passare da molti per “eroi della resistenza”.

La recrudescenza del sentimento di contrapposizione a coloro che ormai vengono considerati da Biden & c. come i nemici da abbattere senza compromessi, ha pochi precedenti, se non dal 1945; detta condizione, legata alla paventata e stupida idea di fornire armi non più difensive ma a lungo raggio a Kiev (promossa dal deposto Johnson e non scartata dal governo italiano “dei migliori”), a conflitto ormai in corso e ferme restando le colpe di Mosca, suggerisce che c’è premeditazione. Da un lato gli alleati atlantici, che hanno trasformato l’Europa in una propria succursale senza proporre compromessi bensì rimpinguando lo scontro, e dall’altro un governo che in pieno terzo millennio usa mezzi vecchi e spicci per risolvere controversie internazionali. Chi è senza peccato scagli la prima pietra.

 

MARCO GIULIANI

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA & SITOGRAFIA

 

  1. Sciuto, Quegli strani neonazisti europeisti e atlantisti in Ucraina, articolo del 7 marzo 2022 in Micromega –

www.analisidifesa.it

www.balcanicaucaso.org

www.iltempo.it, pagina del 2 giugno 2022

www.ukrcensus.gov.ua., censimento della popolazione ucraina effettuato nel 2001 –

 

 

 

 

 

 

 

PERCHÉ L’UCRAINA NON PUÒ VINCERE CONTRO LA RUSSIA?_di Roberto Buffagni

PERCHÉ L’UCRAINA NON PUÒ VINCERE CONTRO LA RUSSIA?

Che cosa vuole dire che “l’Ucraina non può vincere contro la Russia”?

Vuole dire che:

  1. Le risorse strategiche russe (popolazione, “potenza latente” economica, “potenza manifesta” militare, ossia truppe mobilitate e mobilitabili + armamenti e materiali + arsenale atomico tattico e strategico) sono di gran lunga superiori alle risorse strategiche ucraine, nonostante gli aiuti militari e finanziari occidentali.
  2. Il contesto delle ostilità in Ucraina è la strategia statunitense: prolungamento della guerra a tempo indeterminato, dissanguamento e destabilizzazione politica della Russia, regime change, frammentazione politica della Federazione russa, in vista del contenimento del nemico principale, la Cina. In sintesi, i dirigenti ucraini hanno noleggiato la loro popolazione, il loro Stato, le loro FFA per il perseguimento di questa strategia statunitense.
  3. La strategia statunitense rappresenta una chiara minaccia esistenziale per la Federazione russa, che non può permettersi di perdere il confronto militare con l’Ucraina, che è una sineddoche del confronto Russia/USA-NATO.
  4. Ciò implica che l’Ucraina non può fare ricorso all’unica strategia politico-militare possibile per il debole nei confronti del forte: rendere sfavorevole, per il forte, il rapporto costi/benefici del conflitto con il debole.Tu mi puoi sconfiggere e conquistare, ma ti costerà più di quel che ti rende.” È il criterio ordinatore della strategia di “dissuasion du faible au fort” elaborata dal gen. Gallois per l’istituzione della force de frappe nucleare francese voluta da de Gaulle.
  5. Mi spiego meglio. Il debole, in questo caso l’Ucraina, può infliggere gravi perdite umane, materiali e politiche al forte, la Russia. Se la posta in gioco fosse limitata, ad esempio una controversia territoriale, patendo l’accanita resistenza del debole il forte potrebbe, in base a un calcolo costi/benefici, accettare un compromesso, riducendo le sue esigenze politiche a quanto ritiene strettamente necessario; o addirittura rinunciare a combattere e ritirarsi, come fecero gli Stati Uniti in Vietnam.
  6. Se invece il forte, come nel presente caso, non può permettersi di perdere la guerra, perché una sconfitta decisiva mette a rischio la sua sopravvivenza politica, esso sarà disposto a sopportare qualsiasi costo del conflitto, e impiegherà tutte le sue risorse strategiche per vincerlo. Al debole, dunque, non basterà infliggere ripetute sconfitte tattiche al forte, né infliggergli gravi perdite, anche superiori alle proprie, per spezzare la sua volontà di combattere.
  7. Dunque, paradossalmente, è proprio l’unanime schieramento occidentale a sostegno dell’Ucraina a garantire che l’Ucraina sarà sconfitta dalla Russia.
  8. Infatti, il sostegno occidentale all’Ucraina non può spingersi fino a un conflitto diretto NATO-Russia, per l’elevato rischio di una escalation nucleare, tattica ma anche strategica, delle ostilità, che metterebbe a rischio lo stesso territorio statunitense. Dunque, lo schieramento NATO non può riequilibrare i rapporti di forza tra le risorse strategiche ucraine e le risorse strategiche russe.
  9. Lo schieramento NATO in appoggio all’Ucraina, invece, sortisce l’effetto paradossale di alzare la posta del conflitto fino al cielo, per la Russia, perché ne minaccia la sopravvivenza politica e dunque la costringe a vincere ad ogni costo, perché per la Russia, qualsiasi costo delle ostilità sarà sempre minore della propria distruzione.
  10. Questa maestosa eterogenesi dei fini fa sì che l’Ucraina sia matematicamente condannata alla sconfitta. Scrivo “matematicamente” perché se l’Ucraina non può adottare la strategia “du faible au fort”, rendendo sfavorevole per la Russia il rapporto costi/benefici del conflitto, ad operare sarà la semplice proporzione matematica tra le risorse strategiche ucraine e le risorse strategiche russe, più che sufficiente a predeterminare l’esito del conflitto.

QUANTO COSTA LA BONTA’?_di Roberto Buffagni

QUANTO COSTA LA BONTA’?

Non so se noi italiani abbiamo capito che la strategia americana sull’Ucraina (prolungare la guerra, dissanguare la Russia, provocarne la destabilizzazione e la frammentazione politica in vista del contenimento della Cina) ha un effetto collaterale garantito, per noi: rapida fine del welfare, per quel che ne resta, che non è poco (sanità e istruzione pubbliche anzitutto).

Sono molto ignorante in economia, se qualcuno che se ne intende correggerà gli errori che certo commetterò gliene sarò grato. In logica però me la cavo. La logica che propongo è la seguente.

La strategia americana implica questi presupposti:

  1. Finanziare a tempo indeterminato l’Ucraina, uno Stato in guerra con una grande potenza dotata di risorse strategiche di molto superiori; uno Stato la cui economia è già devastata, e lo sarà progressivamente sempre di più. Dunque non solo finanziare le FFAA ucraine, ma un intero paese grande il doppio dell’Italia che già ora non è in grado di provvedere autonomamente ai bisogni elementari della sua popolazione e delle sue istituzioni, e lo sarà sempre meno.
  2. L’Europa mediterranea non conta più nulla, conta soltanto l’Europa Orientale e Scandinava, che deve diventare l’hub logistico della guerra contro la Russia, fornire truppe, prendere posizioni politiche utili (es., adesione alla NATO di Finlandia e Svezia).
  3. Qualcuno deve pagare i conti al punto 1 e 2 + tutti i conti accessori, ad es. quel che chiede e chiederà la Turchia, un elemento chiave nella strategia USA. C’è un limite anche alle possibilità americane di erogare denaro con la bacchetta magica della FED. Chi paga il resto? Secondo me paga l’Europa mediterranea, e in prima fila l’Italia, il Bel Paese dove il sì suona ancor prima che gli americani pongano le domande.

Morale: non solo perdiamo mercati per noi molto importanti come il mercato russo, ma dobbiamo pagare il conto stratosferico della strategia che ce li fa perdere. Da dove usciranno questi soldi? Qualcosa mi suggerisce che usciranno dal risparmio degli italiani + dalle casse dello Stato italiano. Il quale non ha la bacchetta magica della FED, non può erogare a debito neanche un euro senza il permesso della UE che ormai coincide con la NATO, e dunque taglierà progressivamente il welfare, obiettivo: welfare zero.

Le classi dirigenti italiane cercheranno di indorare la pillola con cantafavole sulla battaglia della democrazia contro le autocrazie, con la promessa che domani si farà credito, con provvedimenti assistenziali tipo cerottino sulle ferite da mitragliatrice, con la difesa dei diritti inalienabili dell’individuo tipo il suicidio assistito. Quando il confronto tra realtà della vita quotidiana e cantafavole le polverizzerà, si verificheranno vari disordini e proteste che però, non trovando organizzazione e direzione politica adeguate, saranno spente con il vecchio sistema del bastone (manganellate in piazza, denunce e processi a raffica, accertamenti fiscali ai riottosi, etc.).

Sintesi: se vogliamo evitare il peggio, c’è un cambiamento preliminare che noi italiani dovremmo tentare. Il cambiamento è: smettere di identificarci con gli americani, perché almeno oggi, identificarci con gli americani = identificarci con l’aggressore (così funziona la sindrome di Stoccolma).

La subalternità dell’Italia agli USA è un fatto incontestabile, perché l’Italia è stata sconfitta nella IIGM, e assegnata, a Yalta, alla zona d’influenza statunitense. Sino all’implosione dell’URSS, questa subalternità è stata gestita in modo sostanzialmente favorevole, o almeno tollerabile, per l’Italia: per gli USA l’Italia era strategicamente importante, e le classi dirigenti italiane si ritagliavano un margine di autonomia politica per realizzare, nei limiti del possibile, l’interesse nazionale.

Oggi, l’Italia non ha importanza strategica, per gli Stati Uniti. Ce l’avrebbe solo in negativo, ossia se manifestasse serie intenzioni di rompere il fronte NATO – UE e quindi di intralciare o compromettere la strategia antirussa e anticinese americana. Dunque l’Italia passa dalla condizione di Stato satellite alla condizione di colonia vera e propria, da cui estrarre valore politico (adesione perinde ac cadaver alla politica estera USA) e valore economico (pagare il conto della strategia USA), e basta. Se le condizioni sociali della colonia Italia vanno in malora, agli Stati Uniti interessa il giusto: cioè molto, molto poco.

Come si reagisce a queste condizioni poco simpatiche? Anzitutto, fare un esame di realtà e rendersi conto che non possiamo MAI PIU’ ragionare come se l’interesse statunitense e l’interesse italiano coincidessero. Può avvenire, ma sarà sempre una rara eccezione, mai la regola. Poi, imparare a contrattare, e a giocare su più tavoli: come hanno imparato a fare i paesi africani, le ex colonie occidentali che l’esame di realtà, e molto severo, l’hanno dovuto fare prima di noi.

Bisogna anche smettere di identificarsi emotivamente e culturalmente con gli americani. Non è facile, perché il soft power statunitense ha lavorato a lungo e a fondo, e siccome per la cultura eccezionalista americana gli americani sono sempre i Buoni, identificandoci psicologicamente con loro ci sentiamo anche noi Quasi Buoni, sulla via di diventare – domani, quando il Progresso farà credito – Buoni del tutto, Buoni d.o.c..

È bello, sentirsi buoni. Però il presupposto di ogni esame di realtà è riconoscere che anche noi, e non solo gli altri, abbiamo qualcosa che non va: che anche una parte di noi è cattiva, meschina, ignobile. È difficile, è umiliante, lo so. Ma la Bontà, purtroppo, la Bontà non ce la possiamo più permettere. That’s all, folks.

Ucraina, il conflitto_ 9a puntata Con Max Bonelli

Ad ogni assedio di città, la capacità di resistenza dell’esercito ucraino si affievolisce costantemente. I primi segni di cedimento cominciano ad essere evidenti. E’ evidente che il regime ucraino è disposto a sacrificare la propria popolazione in una azione di resistenza senza prospettive. Ben presto si potrà toccare con mano il livello di popolarità effettiva del regime ben lontano dalla rappresentazione romantica offerta dalla stampa occidentale. Un regime che si alimenta delle risorse offerte da uno stato di guerra permanente per conto terzi sino a compromettere l’integrità di quel che resterà del Paese. Si avviano intanto i preparativi per la grande abbuffata della ricostruzione dell’Ucraina. Ogni paese occidentale ha premurosamente adottato un territorio. Dovranno provvedervi i contribuenti europei con oltre settecento miliardi di investimento. Sapete quale regione è toccata all’Italia? Il Donestk, ovvero come far festa senza l’oste. La grande novità prodotta da questo conflitto sarà di rilevanza sconvolgente: il ruolo di hub della Turchia nelle forniture energetiche all’Europa e di grande cerimoniere di Erdogan nell’area mediterranea. Non a caso, il nostro eroe nazionale insediato a Palazzo Chigi ha scelto di fare mesta anticamera immediatamente al cospetto del sultano. Ha superato di gran lunga l’eroe della commedia italiana, Arlecchino. Altro che servo di due padroni; siamo arrivati ad ossequiarne e contentarne cinque contemporaneamente. Meraviglie di un funambolismo straordinario che meriterà sicuramente il prezzo salato del biglietto che gli italiani saranno costretti a pagare. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v1bgrfp-ucraina-il-conflitto-9a-puntata-con-max-bonelli.html

Le condizioni di un possibile cambiamento, di Roberto Buffagni

In Italia, quando ci sarà (se ci sarà) un minimo sindacale di opposizione politica alla strategia USA in Ucraina? Conte, incoraggiato dal Vaticano, ha provato ad aprire timidamente bocca, è stato attenzionato e castigato (scissione Di Maio, sconfessione di Grillo). Ha dunque ritenuto che conviene fare (e perdere) lotta dura senza paura sul 110%, chi tocca l’Ucraina tocca i fili dell’alta tensione e se non muore stava sicuramente meglio prima.
Previsione: in Italia (forse, speriamo, in Europa) ci sarà un minimo sindacale di opposizione politica alla strategia USA in Ucraina quando si saranno verificati due fatti madornali, impossibili da nascondere con il maquillage retorico e forse anche con la chirurgia plastica. (Si parva licet: gli italiani si opposero in massa alla nostra partecipazione alla IIGM quando gli cominciarono a piovere in testa le bombe Alleate, non prima).
I due fatti madornali sono:
a) sconfitta della controffensiva che gli ucraini stanno preparando – per ragioni politiche più che militari – per il prossimo agosto-settembre. La sconfitta ucraina è probabile, perché il meglio dell’esercito ucraino sta subendo perdite gravissime nella battaglia di annientamento in corso nel Donbass, gli armamenti occidentali arrivano ma in misura insufficiente, e le truppe ucraine che saranno impiegate nella controffensiva saranno di scarsa qualità e male armate, mentre i russi avranno il vantaggio della difesa, e di una capacità di combattimento, potenza di fuoco e logistica superiore. Ci sarebbe anche il presupposto che i russi NON possono permettersi di perdere, e disponendo di risorse strategiche enormemente superiori alle ucraine prima o poi, in un modo o nell’altro vinceranno: ma questo fatto preliminare si poteva rilevare il giorno 1 dell’operazione militare speciale, e non è stato notato quasi da nessuno.
b) crisi energetica (probabilmente i russi chiuderanno i rubinetti dopo la sconfitta della controffensiva ucraina); crisi economica patente e grave: chiusura di aziende, disoccupazione che cresce, prezzi che impennano, salari che non ce la fanno, in breve ci accorgiamo che la vita quotidiana non va più avanti come prima e farci i fatti nostri diventa assai complicato.
Se si verificheranno questi due fatti madornali (probabile) il problema sarà la capacità soggettiva delle forze politiche realmente esistenti di fare un’opposizione decente, motivandola in modo da farsi capire dalla popolazione. Sarà un grosso problema. Le forze politiche realmente esistenti sono quel che sono [omissis] e la motivazione principale per opporsi alla strategia USA in Ucraina è realistica: parteciparvi è manifestamente contrario all’interesse nazionale italiano e ci può provocare danni colossali, irrimediabili.
Le argomentazioni realistiche sono decisamente indigeribili per il popolo italiano, per complesse ragioni culturali che non ho voglia di analizzare, ma che si possono riassumere in queste due frasi:
a) la prospettiva realistica non prevede alcun lieto fine, e il lieto fine piace a tutti
b) è largamente diffusa la bizzarra teoria che in Ucraina si svolge un conflitto tra autocrazie e democrazie, e “la democrazia” agli italiani piace molto, anche se ciascuno dà alla parola “democrazia” il significato che preferisce lui, di solito eleggendola a sinonimo di un suo personale Mulino Bianco, liberale, socialista, costituzionale, comunista, primorepubblicano, anni 80 con Jerry Calà & Umberto Smaila di “Colpo grosso”, etc. Rinunciare al Mulino Bianco è difficile.
C’è un altro fatto madornale che potrebbe verificarsi e aiutare: una sconfitta devastante dei Democrats alle elezioni di midterm statunitensi. I favorevoli all’attuale linea strategica USA si trovano anche nel partito repubblicano, ma l’opportunità di scaricare la colpa di tutto sull’avversario politico sconfitto potrebbe aprire qualche spiraglio di discussione negli Stati Uniti, che guidano questo treno su cui siamo incautamente saliti.
Secondo me, stiamo messi così. No, non c’è il lieto fine, mi spiace. C’è una fine tutt’altro che lieta per l’Italia se non ci sganciamo da questa strategia, questo sì. That’s all, folks.

BISCOTTI E MISSILI: IN UCRAINA IL TRIANGOLO WASHINGTON-EUROPA-RUSSIA, di Hajnalka Vincze

Al termine del confronto bipolare, l’ottimo diplomatico americano allora ambasciatore a Mosca, Robert S. Strauss, segnalava a Washington: “L’evento più rivoluzionario dell’anno 1991 per la Russia non è stato il crollo del comunismo, ma la perdita dell’Ucraina” . A trent’anni di distanza, il destino di questo Paese fratello-nemico resta, per Mosca, uno dei punti più delicati. Attraverso la NATO/America, è quindi a Kiev che si svolgono gran parte delle relazioni tra Europa e Russia. Washington sa perfettamente che, mantenendo la pressione su questo centro nevralgico, mantiene il suo posto di padrone del gioco nella sicurezza europea.

Vittoria in manovra

Nel dicembre 2013, durante le manifestazioni contro il presidente ucraino che si era rifiutato di firmare l’accordo di associazione con l’UE, il vicesegretario di Stato americano per gli affari europei è sceso in modo spettacolare nell’arena. Victoria Nuland si è unita a Independence Square con un grande sacchetto di plastica in mano, da dove ha distribuito i biscotti ai manifestanti. Lo stesso Nuland aveva spiegato al Senato degli Stati Uniti, appena un mese prima, come Washington stesse facendo pressioni sugli europei affinché offrissero questo accordo a kyiv, un accordo redatto in modo tale da poter essere visto solo come una provocazione al Cremlino. Poche settimane dopo, l’audio della conversazione telefonica tra Victoria Nuland e l’ambasciatore americano a Kiev è trapelato alla stampa; li sentiamo orchestrare la composizione del futuro governo ucraino. Fu in questo scambio che il vicesegretario di Stato pronunciò l’ormai famosa frase“Al diavolo l’Ue” , diceva in un linguaggio molto più colloquiale.

Allo stesso tempo, questo ex ambasciatore degli Stati Uniti presso la NATO ha affermato, durante una conferenza d’affari, che Washington aveva investito 5 miliardi di dollari in Ucraina per promuovere “istituzioni democratiche e altri obiettivi”. Ora sottosegretario n. 3 del Dipartimento di Stato per gli affari politici, ha detto al Financial Times che l’America ha non meno di 18 scenari nella manica se gli Stati Uniti dovessero invadere l’Ucraina attraverso Mosca. È anche lei ad affermare che il gasdotto Nord Stream 2 appena ultimato, tra Germania e Russia, verrà bloccato se necessario, anticipando allegramente qualsiasi annuncio ufficiale da parte tedesca. Incoraggia anche l’intensificazione delle consegne di armi “difensive letali”., compresi i missili antiaerei e anticarro, a Kiev, dicendo di voler rendere “una lotta molto sanguinosa” per la Russia.

Continuità americane

Capo di stato maggiore del Dipartimento di Stato sotto l’amministrazione Clinton, consigliere del vicepresidente Cheney sotto George W. Bush, Victoria Nuland incarna perfettamente il consenso bipartisan ampiamente predominante che regna su questi argomenti a Washington. Come si spiega questa coerenza quando, a 30 anni dalla fine della Guerra Fredda, la principale preoccupazione per gli Stati Uniti non è più la Russia – relegata nei documenti ufficiali allo stato di “disturber” – ma la Cina? E che, nella sua strategia di difesa nazionale, l’America non aspira nemmeno più a poter combattere due grandi guerre contemporaneamente?

In realtà, è proprio pensando alla Cina che Washington sta lavorando ancora di più per mantenere le posizioni acquisite in Europa. Perché la cosa principale, per l’America, è la sua politica di contenimento di Pechino, e la leva europea è fondamentale per raggiungere questo obiettivo. Tuttavia, senza lo spettro del pericolo russo, c’è il rischio che i suoi alleati europei gli sfuggano. D’altra parte, se la minaccia russa è forte, gli europei si schierano dietro agli Stati Uniti. In primo luogo, gli alleati orientali si precipitano sotto la loro ala protettiva, anche se ciò significa mettere, come ha detto il presidente Valéry Giscard d’Estaing,  “la fedeltà atlantista al di sopra dell’attaccamento al sistema europeo”. In secondo luogo, in un clima di animosità, essendo i legami di cooperazione gravemente ostacolati, Parigi e Berlino si trovano politicamente (ed economicamente) tagliate fuori dalla Russia. Divisi tra loro, isolati dalla Russia, gli europei sono quindi – fintanto che la questione russa resta in cima al conto – lontani anni luce dalle loro recenti ambizioni di autonomia.

L’eccellente specialista in politica estera e di sicurezza russa, Jean-Christophe Romer, parla giustamente dell’interesse degli Stati Uniti a “impedire una vera unificazione dell’Europa da Brest a Vladivostok – dove l’Ucraina avrebbe potuto fungere da ponte – e quindi un forte riavvicinamento tra l’UE e la Russia. Questa unificazione costituirebbe una competizione inaccettabile per Washington..[1] Tanto più che l’attuale status quo gli conferisce molteplici vantaggi, a cominciare dagli acquisti di armi americane da parte degli alleati, a cui si aggiungono le importazioni di gas naturale liquefatto (il cui volume aumenterebbe esponenzialmente se alcuni paesi, Germania in primis, riducessero ciò che Washington diffama come la loro eccessiva dipendenza energetica dalla Russia). Più in generale, ogni volta che una controversia commerciale contrappone l’UE agli Stati Uniti, molte voci europee si levano per spiegare che un tale fascicolo non merita di “mettere in pericolo le relazioni transatlantiche” . Non c’è da stupirsi che Washington sia soddisfatta dell’attuale stato delle cose e preferisca mantenere la Russia e l’UE il più distanti possibile.

La Nato è l’origine del male

Per realizzare questa strategia americana, la NATO è uno strumento privilegiato. Gli Stati Uniti occupano una posizione dominante innegabile lì, e questa ex controparte del tardo Patto di Varsavia irrita la Russia al massimo grado. Il peccato originale fu la rottura della promessa – a lungo negata in Occidente, ma confermata dall’apertura degli archivi – fatta a Gorbaciov, in base alla quale l’Alleanza non si sarebbe estesa “per un centimetro” verso Oriente…[2] Da allora, come se nulla fosse, il numero degli Stati membri è quasi raddoppiato, dai 16 di allora ai 30 di oggi. E per rassicurare i nuovi paesi, provenienti dall’ex blocco sovietico, la Nato ha installato sempre più le sue infrastrutture, il suo quartier generale, le sue esercitazioni ei suoi missili più a est.

Ultimamente, sempre più esperti americani si stanno rendendo conto dei danni di questo approccio “tutto o niente” , che è andato avanti senza considerare alcuno status speciale per i nuovi membri, né limiti o garanzie particolari.[3] Lo stesso presidente del prestigioso Council on Foreign Relations, Richard Haass, ammette:“L’allargamento della NATO verso est è stata la politica più significativa e controversa del periodo successivo alla Guerra Fredda. Che la NATO continui ad esistere, o anche che si espanda, non è stato scritto in anticipo”. Da parte sua, avrebbe preferito vedere un rafforzamento del programma di Partenariato per la Pace degli anni ’90, che abbracciasse, attorno all’Alleanza Atlantica, i paesi dell’Europa orientale, compresa la Russia. La decisione del presidente Clinton di aprire le porte alla NATO ha presto eliminato tale opzione. Secondo Haass, “la scelta dell’allargamento ha avuto un ruolo nell’alienazione di Mosca” .[4]

Questa tendenza è culminata nel vertice dell’Alleanza a Bucarest nel 2008, la cui dichiarazione finale parlava del futuro del codice per l’adesione di Ucraina e Georgia, senza però dare una data precisa. Al termine di un burrascoso dibattito, il consigliere americano per la sicurezza nazionale aveva deciso: “Dobbiamo far capire alla Russia che la Guerra Fredda è finita e che l’ha persa” . La storica Mary Elise Sarotte paragona la politica americana dell’ultimo quarto di secolo, spingendo per l’allargamento della NATO, a una ruota a cricchetto: ad ogni nuova svolta, anche la più insignificante, le tacche impediscono ogni ritorno sui binari, non possiamo che continuare sempre nella stessa direzione. [5] Anche se ciò significa inimicarsi la Russia e fomentare divisioni all’interno dell’Alleanza.

Europa, parco giochi

È un ovvietà: i paesi europei hanno spesso atteggiamenti diametralmente opposti nei confronti della Russia. Da un lato i baltici, i polacchi, i romeni, i bulgari temono soprattutto una rinascita del potere russo e desiderano sfruttare gli equilibri di potere favorevoli alla NATO per creare le condizioni che lo proibiscano. Dall’altro, Germania, Francia, ma anche Spagna e Italia, sono certamente critiche nei confronti di Mosca, ma aspirano a un approccio più equilibrato. Questi paesi non credono che la stabilità del continente dipenda dal radicamento della Russia, al contrario, l’umiliazione è vista come una fonte di tensione, e sono anche più sospettosi della particolare agenda degli Stati Uniti. .

In effetti, la politica ufficiale di Washington continua ad essere guidata dal desiderio di mantenere la sua posizione di tutela in Europa – e alcuni paesi europei, credendo che l’America sia il loro unico e unico protettore, fungono da intermediari. In questo contesto, l’ambizione della presidenza francese dell’Ue, ovvero “realizzare una proposta europea che costruisca un nuovo ordine di sicurezza e stabilità” è simile alla quadratura del cerchio. Secondo il presidente Macron, intervenuto al Parlamento europeo sull’argomento: “Dobbiamo costruirlo tra gli europei, quindi condividerlo con i nostri alleati nel quadro della NATO. E poi offrilo alla Russia per la trattativa”. Solo che qualsiasi accordo che normalizzi i rapporti con Mosca, grazie a garanzie di sicurezza reciproca, ridurrebbe meccanicamente l’importanza, e quindi l’influenza, dell’America con i suoi alleati europei…

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[1]Jean-Christophe Romer, Russie-Europe: des malentendus paneuropéens, L’Inventaire, 2016.
[2]National Security Archives, NATO Expansion: What Gorbaciov ha sentito?, Washington DC, 12 dicembre 2017.
[3]ME Sarotte, Contenimento oltre la Guerra Fredda – Come Washington ha perso la pace post-sovietica, Affari esteri, novembre/dicembre 2021 ; Michael Kimmage, È ora che la NATO chiuda i battenti – L’Alleanza è troppo grande – e troppo provocatoria – per il suo bene, Affari esteri, 17 gennaio 2022.
[4]Richard Haass, Un mondo allo sbando: la politica estera americana e la crisi del vecchio ordine, Penguin Press, 2017.
[5]ME Sarotte, Not one inch – America, Russia, and the making of post-guerra fredda stallo, Yale UniversityPress, 2021.

Hajnalka Vincze, Europeans Facing the Old-New American Foreign Policy, Impegno n. 134 (primavera 2022) , ASAF (Associazione di supporto dell’esercito francese).

https://hajnalka-vincze.com/list/etudes_et_analyses/617-des_biscuits_et_des_missiles_en_ukraine_le_triangle_washingtoneuroperussie

L’espansione della NATO nel nord è davvero una grande sconfitta per la Russia?_ di Andrew Korybko

In questa narrazione ci sono alcune lacune fatali che screditano il punto esposto.

Il Western Mainstream Media (MSM) guidato dagli Stati Uniti è impegnato a promuovere la narrazione della guerra dell’informazione armata secondo cui l’invito di Finlandia e Svezia ad aderire alla NATO è presumibilmente una grave sconfitta per la Russia che contraddice l’obiettivo che il presidente Putin ha cercato di raggiungere attraverso l’ operazione militare speciale in corso del suo paese in Ucraina. Secondo loro, l’espansione a nord della NATO non sarebbe stata possibile se Putin non avesse autorizzato quella campagna; tale conseguenza presumibilmente metterebbe il suo paese più in pericolo di prima.

In questa narrazione ci sono alcune mancanze fatali  che screditano il punto esposto. In primo luogo, Finlandia e Svezia erano già membri de facto del blocco da anni, quindi la loro appartenenza ufficiale non cambia davvero nulla. In secondo luogo, la NATO non ha (ancora) stabilito infrastrutture militari clandestine come ha fatto in Ucraina negli ultimi anni. Terzo, nessuno dei due ha controversie territoriali con la Russia che potrebbero portare a una guerra con la NATO né è in grado di creare progetti anti-russi come lo è l’Ucraina.

Per quanto riguarda il primo punto, finiranno presto sotto l’ombrello nucleare degli Stati Uniti, ma questo è l’unico vero cambiamento che accadrà. Per quanto riguarda il secondo, la Russia ha già promesso di rispondere al dispiegamento delle infrastrutture militari del blocco in Finlandia e Svezia, il che significa che qualunque minaccia latente potrà materializzarsi lì è gestibile, almeno in teoria. Infine, la loro adesione alla NATO non porterà ad alcuna disputa territoriale o alla creazione di progetti anti-russi poiché per nessuno dei due è realistico data la loro situazione.

È per queste ragioni primarie che il presidente Putin ha detto mercoledì durante una conferenza stampa dopo il Vertice del Caspio ad Ashgabat che “Non c’è nulla che possa ispirare la nostra preoccupazione riguardo all’adesione della Finlandia e della Svezia alla NATO. Se lo vogliono, possono farlo”. Ha anche menzionato i punti di cui sopra in tutta la parte pertinente del suo intervento. Questa intuizione è fondamentale da tenere a mente per sfatare le ultime affermazioni di Infowar di MSM contro la Russia, il cui scopo sarà ora analizzato.

La CNN ha riferito martedì per coincidenza all’inizio del vertice della NATO che ” i funzionari di Biden dubitano in privato che l’Ucraina possa riconquistare tutto il suo territorio “. Ciò asseconda la “narrativa ufficiale” sul conflitto che si è spostata in modo decisivo nell’ultimo mese dal “porno della vittoria” sull'”inevitabile successo” di Kiev contro la Russia al “porno della paura” sulla “invasione” dei paesi della NATO da parte della Russia una volta che Kiev ha perso; l’ultima conferma di essa è con ogni evidenza in seguito al blocco parziale di Kaliningrad motivato politicamente dalla Lituania .

Quel secondo sviluppo non è stato guidato da un sincero desiderio di provocare la Russia in una guerra con la NATO, ma di plasmare la percezione tra l’opinione pubblica occidentale che questo ora sia presumibilmente più plausibile di prima, il che serve anche a distrarre dalle perdite di Kiev nel Donbass. Mentre il G7 e la NATO hanno deciso di continuare a sostenere Kiev a tempo indeterminato, è inevitabile che il conflitto finisca con la sconfitta del loro procuratore e le relative perdite territoriali, ergo il rapporto della CNN.

Considerando il fatto che un tale risultato travalicherebbe oltre l’imbarazzo dopo che Kiev ha ricevuto oltre 54 miliardi di dollari di sostegno dagli Stati Uniti e una manciata di miliardi in più da altri paesi della NATO, i quali collettivamente affermano di essere l’alleanza militare più potente nella storia umana, è importante fabbricare preventivamente una narrazione artificiale che può ancora essere interpretata come un “successo”. Questo, più di ogni altra cosa, spiega la falsa affermazione che l’espansione della NATO a nord sia una grave sconfitta per la Russia.

Non è, però, per le ragioni che sono state già spiegate, ma serve allo scopo di costituire “l’oppio per le masse” e di convincere la loro gente ad accettare che le loro decine di miliardi di dollari di fondi dei contribuenti hanno realizzato qualcosa di tangibile in loro nome anche se il procuratore della loro fazione ha perso più territorio. Questa narrativa armata ha anche lo scopo di attutire il colpo dell’inflazione alle stelle facendo sembrare che valesse la pena soffrirne per “salvare la democrazia di quegli stati scandinavi”.

L’ultima osservazione da fare è che l’Occidente guidato dagli Stati Uniti continuerà a raddoppiare la sua falsa affermazione che la Nuova Guerra Fredda e la successiva ” Grande Biforcazione ” riguardano tutte “le democrazie contro autoritarismo”. Questo non è altro che un disperato meccanismo narrativo di replica per trasformare l’inevitabile sconfitta di Kiev come una “vittoria” fondata sull’espansione della NATO verso nord come risultato del conflitto. La realtà, tuttavia, è che questa non è una grave sconfitta per la Russia, ma solo un mezzo per distrarre dalla constatazione del declino dell’egemonia unipolare degli Stati Uniti.

https://oneworld.press/?module=articles&action=view&id=3035

Qui sotto il testo del trilaterale sottoscritto da Turchia, Svezia e Finlandia, presentato come atto definitivo per l’integrazione nella NATO dei due paesi scandinavi, in realtà un protocollo ancora tutto da definire e mettere in atto. Sullo sfondo rimangono le garanzie degli Stati Uniti per il riconoscimento del ruolo geopolitico della Turchia nel mar Egeo e nel Mediterraneo centro-orientale e il ripristino delle forniture di armi americane alla Turchia. I beoti italici al governo non avranno sicuramente nulla da obbiettare; rimane da attendere la reazione della Grecia e dell’Egitto. Con quest’ultimo Erdogan ha appena iniziato a ricucire la tela. Mi scuso per la traduzione difettosa. Provvederò appena possibile a migliorarla. Giuseppe Germinario

MEMORANDUM TRILATERALE
1. Oggi i rappresentanti di Turkiye, Finlandia e Svezia, sotto il
auspici del Segretario generale della NATO, hanno convenuto quanto segue.
2. La NATO è un’Alleanza basata sui principi della difesa collettiva e della
indivisibilità della sicurezza, nonché sui valori comuni. Turkiye, Finlandia e
La Svezia afferma la propria adesione ai principi e ai valori sanciti dal
Trattato di Washington.
3. Uno degli elementi chiave dell’Alleanza è la solidarietà incrollabile e
cooperazione nella lotta al terrorismo, in tutte le sue forme e manifestazioni,
che costituisce una minaccia diretta per la sicurezza nazionale degli Alleati così come
alla pace e alla sicurezza internazionale.
4. In quanto potenziali alleati della NATO, Finlandia e Svezia estendono il loro pieno sostegno
a Turkiye contro le minacce alla sua sicurezza nazionale. A tal fine, Finlandia e
La Svezia non fornirà supporto a YPG/PYD e all’organizzazione
descritto come FETO in Turkiye. Turkiye estende anche il suo pieno sostegno a
Finlandia e Svezia contro le minacce alla loro sicurezza nazionale. Finlandia e
La Svezia respinge e condanna il terrorismo in tutte le sue forme e manifestazioni, in
i termini più forti. Finlandia e Svezia condannano tutto senza ambiguità
organizzazioni terroristiche che perpetrano attacchi contro Turkiye, ed esprimono
la loro più profonda solidarietà con Turkiye e le famiglie delle vittime.
5. La Finlandia e la Svezia confermano che il PKK è un terrorista proscritto
organizzazione. La Finlandia e la Svezia si impegnano a prevenire le attività del PKK
e tutte le altre organizzazioni terroristiche e le loro estensioni, nonché le attività
da individui in gruppi o reti affiliati e ispirati a questi collegati
organizzazioni terroristiche. Turkiye, Finlandia e Svezia hanno deciso di intensificare
cooperazione per prevenire le attività di questi gruppi terroristici. Finlandia e
La Svezia rifiuta gli obiettivi di queste organizzazioni terroristiche.
6. Oltre a ciò, la Finlandia fa riferimento a diversi emendamenti recenti del suo Criminal
Codice in base al quale nuovi atti sono stati emanati come reati di terrorismo punibili.
Le ultime modifiche sono entrate in vigore il 1° gennaio 2022, con le quali il
è stato ampliato il campo di partecipazione all’attività di un gruppo terroristico.
Allo stesso tempo, l’istigazione pubblica relativa ai reati terroristici è stata
criminalizzato come reato separato. La Svezia conferma che un nuovo, più duro,
La legge sui reati terroristici entra in vigore il 1° luglio e che il governo
sta preparando un ulteriore inasprimento della legislazione antiterrorismo.

7. Turkiye, Finlandia e Svezia confermano che ora non ci sono armi nazionali
embarghi in atto tra di loro. La Svezia sta cambiando la sua nazionale
quadro normativo per le esportazioni di armi in relazione agli alleati della NATO. In futuro,
le esportazioni di difesa dalla Finlandia e dalla Svezia saranno condotte in linea con
Solidarietà dell’alleanza e in conformità con la lettera e lo spirito dell’articolo 3 del
il Trattato di Washington.
8. Oggi Turkiye, Finlandia e Svezia si impegnano a compiere i seguenti passi concreti:
• Istituire un dialogo congiunto e strutturato e un meccanismo di cooperazione a
tutti i livelli di governo, anche tra le forze dell’ordine e
agenzie di intelligence, per rafforzare la cooperazione in materia di antiterrorismo,
criminalità organizzata e altre sfide comuni che decidono loro.
• Finlandia e Svezia condurranno la lotta al terrorismo
determinazione, deliberazione e in conformità con le disposizioni dell’art
documenti e politiche NATO pertinenti e prenderà tutto il necessario
misure per rafforzare ulteriormente la legislazione nazionale a tal fine.
• Finlandia e Svezia affronteranno l’imminente espulsione di Turkiye o
richieste di estradizione di sospetti terroristi in modo rapido e completo,
tenendo conto delle informazioni, prove e intelligence fornite da
Turkiye e stabilire i quadri giuridici bilaterali necessari per
facilitare l’estradizione e la cooperazione in materia di sicurezza con Turkiye, in
secondo la Convenzione europea di estradizione.
• Finlandia e Svezia indagheranno e vieteranno qualsiasi finanziamento e
attività di reclutamento del PKK e di tutte le altre organizzazioni terroristiche
e le loro estensioni, nonché affiliati o gruppi o reti ispirati
come indicato al paragrafo 5.
• Turkiye, Finlandia e Svezia si impegnano a combattere la disinformazione e
impedire che le loro leggi nazionali vengano abusate a proprio vantaggio o
promozione di organizzazioni terroristiche, anche attraverso attività che
incitare alla violenza contro Turkiye.
• Finlandia e Svezia assicureranno che i rispettivi cittadini
i quadri normativi per le esportazioni di armi consentono nuovi impegni
alleati e riflette il loro status di membri della NATO.

• Finlandia e Svezia si impegnano a sostenere il più possibile
coinvolgimento di Turkiye e di altri alleati non UE nell’esistente e
iniziative prospettiche della Sicurezza Comune dell’Unione Europea e
Politica di difesa, inclusa la partecipazione di Turkiye al progetto PESCO
sulla mobilità militare.
9. Per l’attuazione di queste fasi, Turkiye, Finlandia e Svezia faranno
istituire un meccanismo congiunto permanente, con la partecipazione di esperti
dai Ministeri degli Affari Esteri, dell’Interno e della Giustizia, nonché
Servizi di intelligence e istituzioni di sicurezza. Il giunto permanente
Il meccanismo sarà aperto alla partecipazione di altri.
1 O.Turkiye conferma il suo sostegno di lunga data alla politica della NATO Open Door,
e accetta di sostenere al Vertice di Madrid del 2022 l’invito della Finlandia
e la Svezia per diventare membri della NATO.
~-‘~· Sua Eccellenza
Signor Mevlut <;avu~oglu
Ministro degli Affari Esteri della Repubblica di Turkiye
Ankara
Sua Eccellenza
Signor Pekka Haavisto
Ministro degli Affari Esteri della Repubblica di Finlandia
Helsinki
d. . /~rle … t.!.~ … ……… .
Sua Eccellenza
Signora Ann Linde
Ministro degli Affari Esteri del Regno di Svezia
Stoccolma
Madrid, 28 giugno 2022

https://www.nato.int/nato_static_fl2014/assets/pdf/2022/6/pdf/220628-trilat-memo.pdf

L’impatto a lungo termine del conflitto in Ucraina e la crescente importanza della parte civile della guerra, di Anthony H. Cordesman

Qui sotto due importanti articoli. Il primo edito dal CSIS, un importante centro studi direttamente collegato agli ambienti governativi di Washington; il secondo edito dal sito italiano Arianna Editrice e ripreso dal sito francese reseauinternational.net. Entrambi importanti non solo per individuare le possibili implicazioni e la funzione di catalizzatore del conflitto ucraino nelle dinamiche geopolitiche e nella caduta definitiva della rappresentazione lirica dei processi di globalizzazione; temi ormai ampiamente trattati su questo sito. Quanto soprattutto per decifrare le capacità interpretative e le conseguenti strategie dei centri decisori implicati. Buona lettura, Giuseppe Germinario

6 giugno 2022

Il conflitto in Ucraina sta già fornendo una vasta gamma di lezioni sul ruolo delle moderne forze militari nella guerra moderna, ma fornisce anche lezioni altrettanto importanti sul futuro della parte civile della guerra. A parte alcuni enormi cambiamenti politici in Russia, il conflitto è un avvertimento che la parte civile della guerra sta diventando molto più pericolosa. Inoltre, è un altro esempio del fatto che il tipo di conflitti e crisi civili emersi dalla guerra Iran-Iraq, dalle guerre civili siriana e yemenita e dalle guerre che gli Stati Uniti e i loro alleati hanno combattuto contro gli estremisti in Iraq e Afghanistan sono ora la regola e non l’eccezione.

È anche chiaro che, anche se la guerra può concludersi con una sorta di compromesso, accordo o cessate il fuoco – ma qualsiasi conclusione decisiva dei combattimenti ora sembra incerta – è probabile che sia un importante catalizzatore nel plasmare uno scontro civile duraturo tra la Russia e NATO, UE e Stati Uniti.

La guerra quasi certamente assicurerà che la Russia sia un fulcro strategico per gli Stati Uniti tanto quanto la Cina, e la concorrenza statunitense ed europea con la Russia rimarrà molto più vicina allo scontro di quanto fosse probabile che si verificasse prima dell’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. È probabile che la guerra spinga anche la Russia ad allinearsi più strettamente e visibilmente alla Cina, e potrebbe incoraggiare la Russia a trovare modi politici ed economici per sfruttare ogni tensione e opportunità in Asia, Africa e America Latina, oltre a cercare nuove basi e opportunità per ottenere l’influenza militare.

Gli impatti civili della guerra in Ucraina

La guerra in Ucraina è diventata una guerra di logoramento militare che ha portato a un massiccio sostegno militare statunitense ed europeo all’Ucraina. Questa, tuttavia, è solo una parte della storia. La guerra si è anche evoluta in un grande conflitto politico ed economico tra l’Occidente e la Russia, che alla fine potrebbe avere un impatto molto maggiore sulla stabilità globale e sulla strategia statunitense ed europea rispetto ai combattimenti effettivi.

I combattimenti sembrano essersi limitati all’Ucraina orientale ed è diventata una lotta militare per il controllo del Donbass e del trasporto marittimo globale. Allo stesso tempo, ha portato a un’escalation costante degli attacchi russi all’intera economia civile e alla popolazione civile dell’Ucraina, e ha guidato gli sforzi russi per convertire efficacemente il cuore industriale dell’Ucraina in parti della Russia sia a livello politico che economico. In risposta, la NATO, l’UE e gli Stati Uniti sono andati ben oltre la fornitura di aiuti militari all’Ucraina. Stanno conducendo una “guerra delle sanzioni” in costante escalation contro la Russia, mentre la Russia ha risposto cercando di trovare i propri modi per esercitare pressioni politiche ed economiche sull’Europa e utilizzare una combinazione di forza e pressione politica per condurre una guerra economica contro il grano ucraino esportazioni e commercio marittimo.

Il risultato finale è che l’aspetto civile della guerra ora si estende ben oltre le aree mostrate nella prima mappa in cui si sono verificati conflitti militari e attacchi alle città ucraine durante le prime fasi della guerra. La guerra ha ora rimodellato i costi energetici internazionali su base globale, ha contribuito a creare una massiccia carenza di cibo a livello mondiale, ha gravemente danneggiato l’intera economia russa e ha contribuito a innescare un massiccio aumento del tasso di inflazione a livello globale.

Mappa uno: Mappa del Ministero della Difesa britannico della parte militare della guerra in Ucraina

L’impatto militare completo rimane poco chiaro. La Finlandia e la Svezia hanno presentato domanda per entrare a far parte della NATO e la NATO ha reagito collettivamente pianificando importanti aumenti delle sue capacità militari, ma non ci sono ancora piani chiari che abbiano mostrato quali saranno effettivamente le 30 nazioni della NATO, e forse le 32 nel prossimo futuro nel tempo, come rimodelleranno e modernizzeranno le loro capacità di combattimento, come miglioreranno la loro prontezza e interoperabilità e come ridefiniranno la loro capacità di colpire la Russia e fornire una deterrenza estesa.

Al contrario, l’UE ha già dimostrato che potrebbe non essere il forum ideale per un’azione militare collettiva, in particolare rispetto alla NATO, ma può essere un forum efficace per condurre guerre economiche e politiche, può cooperare strettamente con gli Stati Uniti e uno che può intensificarsi a livello politico ed economico con molti meno rischi rispetto all’uso della forza militare direttamente contro la Russia.

Allo stesso tempo, un corpo in costante crescita di video diretti e immagini satellitari mostra che la Russia ha costantemente intensificato il suo uso di moderne armi militari contro obiettivi civili ucraini e in modi che hanno un enorme impatto sulla sua economia e popolazione. La risposta russa alla guerra urbana è diventata un assedio combattuto con missili e artiglieria moderni che sono stati lanciati contro una gamma sempre più ampia di obiettivi civili, distruggendo gran parte dell’economia, delle infrastrutture, delle strutture civili e degli alloggi nell’Ucraina orientale.

Il risultato finale è stato anche quello di creare l’equivalente di ostaggi civili, prigioni politiche, rifugiati e sfollati interni (IDP). Solo una piccola parte di questi attacchi alla Russia si qualifica per quelli che sono formalmente definiti “crimini di guerra”, ma l’effetto netto – come è avvenuto nella seconda guerra mondiale – è l’equivalente di bombardamenti strategici di obiettivi civili con molta più letalità e capacità di concentrarsi sugli obiettivi politici ed economici più critici.

I combattimenti ora includono guerre politiche ed economiche indipendenti e nuovi modelli di azione militare che hanno un impatto diretto sulla popolazione civile e riducono le “leggi di guerra” a qualcosa che si avvicina a gesti vuoti. Avvertono che la dimensione nucleare – e la distruzione reciproca assicurata – sono solo un aspetto di una rivoluzione negli affari militari che può arrecare danni enormi alla popolazione civile e all’economia.

La Russia ha fornito una serie di dimostrazioni tangibili che avvertono che i moderni missili armati convenzionalmente di attacco di precisione, le capacità di guerra informatica, l’analisi dell’intelligence dei sistemi civili e degli obiettivi e un’ampia gamma di altre capacità di attacco militare in evoluzione possono causare immensi danni potenziali a livello locale e regionale obiettivi e capacità civili.

A differenza delle armi di distruzione di massa, queste forme avanzate di attacco non nucleare possono essere usate in combinazione con armi politiche ed economiche, e possono essere usate con notevole flessibilità e molto meno rischio delle armi nucleari che forniscono un certo grado di distruzione reciproca assicurata. Se non altro, il possesso reciproco di armi nucleari da parte della Russia e della NATO tende a scoraggiarne l’uso da entrambe le parti, creando al contempo una situazione in cui entrambe le parti possono ora utilizzare un’ampia gamma di armi armate convenzionalmente e nuove tecnologie per aumentare il loro livello di conflitto civile.

Una guerra che pone fine a tutta la pace civile?

Il crescente impatto civile della guerra mostra anche che sta diventando sempre più difficile porre fine a un conflitto in modi che possano creare una pace duratura. Ora sembra fin troppo possibile che l’Ucraina non riconquisti il ​​suo territorio a est, non otterrà i livelli di aiuto di cui ha bisogno per ricostruire rapidamente, dovrà affrontare continue minacce dalla Russia a est che limiteranno la sua capacità di ricreare un’area industrializzata, e dovrà affrontare gravi problemi in termini di commercio marittimo. Sembra anche fin troppo probabile che qualsiasi pace o cessate il fuoco lascerà un’eredità di rabbia e odio che impiegherà un decennio o più per finire, e un’acuta tensione politica sarà la norma tra la Russia e la maggior parte dell’Europa, così come tra ucraini e russi.

La fine dei combattimenti non porrà fine ai suoi impatti umani economici e civili. L’Ucraina ha già perso gran parte della sua base economica e urbana, delle sue infrastrutture e del suo governo locale e regionale funzionante. Funzionari ucraini hanno parlato di 500 miliardi di dollari da recuperare e ricostruire, ma tali numeri sono nella migliore delle ipotesi, e presumono che la guerra finirà con una pace politica ed economica significativa e stabile che garantisca all’Ucraina almeno il territorio che aveva quando è iniziato il conflitto e consente alla sua economia di funzionare su una base simile al suo livello prebellico.

Inoltre, il continuo livello di tensione politica tra Russia e NATO/UE/Stati Uniti limiterà il commercio, gli investimenti, gli scambi tecnologici e culturali degli Stati Uniti e dell’Europa fintanto che la Russia avrà il suo attuale regime. Sembra più che possibile che la Russia non sarà in grado di ricostruire i suoi livelli passati di commercio di energia e i suoi più ampi legami economici con l’Europa e l’Occidente, e sceglierà di rivolgersi alla Cina e ad altri stati dell’Asia e dell’Africa.

Anche la NATO e la Russia sembrano probabilmente coinvolte in importanti potenziamenti militari per mezzo decennio o più che aumenteranno le loro spese militari di diversi punti percentuali del PIL e che avranno un impatto aggiuntivo sulle loro economie creando al contempo una massiccia corsa agli armamenti ciò amplierà notevolmente la loro capacità di minacciare la popolazione e l’economia dell’altra parte. L’effetto netto della guerra in Ucraina potrebbe essere quello di portare avanti le armi ipersoniche e altre armi d’attacco avanzate, creare armi cibernetiche e spaziali del mondo reale e creare l’equivalente dei piani operativi strategici integrati convenzionalio SIOP. Tali piani di emergenza comporteranno diversi livelli di escalation, ma saranno resi possibili dalla capacità continua delle forze nucleari strategiche statunitensi e russe di creare livelli molto più dannosi di distruzione reciproca assicurata.

La guerra in Ucraina potrebbe anche bloccare seri sforzi per modernizzare e rafforzare qualsiasi forma di controllo degli armamenti nucleari o convenzionali. Potrebbe spingere Putin a schierare tutti i sistemi avanzati di armi nucleari che ha pubblicizzato, indurre gli Stati Uniti a creare missili da crociera nucleari a basso rendimento e altri sistemi teatrali e indurre Gran Bretagna e Francia a ristrutturare le loro strutture di forza nucleare per concentrarsi sulla Russia.

Dall’Ucraina alla Cina e al mondo

Nessuno di questi sviluppi può essere disaccoppiato dall’attenzione che gli Stati Uniti, gli stati europei e i loro partner strategici in Asia stavano ponendo sulla Cina prima che la Russia invadesse l’Ucraina. È fin troppo possibile che un risultato della guerra in Ucraina possa essere quello di spingere la Russia costantemente più vicina alla Cina in un momento in cui la strategia statunitense si sta ancora concentrando tanto sulla Cina quanto sul riemergere della Russia.

In pratica, la “competizione” di grande potere sta diventando “confronto” di grande potere. Inoltre, la Cina ha le risorse economiche e militari per competere direttamente con gli Stati Uniti e per sfidare altre potenze asiatiche in termini militari, nonché la capacità degli Stati Uniti e dell’Europa di proiettare potere in Asia.

La Cina sta già sfidando gli Stati Uniti e partner strategici come Australia, Giappone, Corea del Sud e Taiwan. Come minimo, reagirà alla guerra in Ucraina sviluppando ogni capacità possibile per contrastare qualsiasi tentativo degli Stati Uniti al tipo di guerra politica ed economica contro la Cina che ora sta usando contro la Russia. Anche la Cina, tuttavia, potrebbe ora vedere la Russia come un potenziale partner la cui economia debole, base tecnologica in declino e alienazione dall’Europa la rendono molto più dipendente dalla Cina.

Più in generale, la guerra in Ucraina – e le reazioni a lungo termine di USA, NATO, UE e Russia – influenzerà i piani e le azioni di Corea del Nord, Pakistan e India, Iran e Stati arabi, Turchia e altri importanti potenze militari come Israele e l’Egitto. Il confronto de facto tra la Russia e gli Stati Uniti e l’Europa è quasi certo che si svolgerà tanto nel terzo mondo quanto in Europa, sia in termini di trasferimenti di armi, assistenza alla sicurezza, basi militari, investimenti economici, accordi commerciali e sostegno politico. Ciò sarà particolarmente vero se si verifica un aumento dell’azione combinata o coordinata di Russia e Cina.

A un certo livello, poiché il ruolo decisivo dei droni nei combattimenti tra Armenia e Azerbaigian ha già mostrato come i progressi selettivi nella tecnologia militare possano cambiare radicalmente i risultati politici ed economici. Ad un altro livello, la “guerra delle sanzioni” guidata dagli Stati Uniti contro l’Iran e altri stati ha dimostrato che il lato civile della guerra può influenzare i ruoli delle superpotenze nel trattare con le potenze minori, e le attività di investimento cinesi negli stati con porti chiave ed esportazioni strategiche hanno dimostrato che non vi è alcuna distinzione pratica in alcuni casi tra l’acquisizione di basi militari e il controllo o l’influenza economica.

Questi aspetti dello “spillover” della guerra in Ucraina si verificheranno anche in un ambiente globale vulnerabile. Almeno a breve termine, l’impatto combinato di Covid-19, cambiamento climatico, inflazione globale, pressione demografica e un elenco quasi infinito di tensioni settarie, etniche e tribali – insieme alle ambizioni di molti leader e al fallimento del governo – offrire opportunità dopo opportunità a Russia e Cina.

La vera natura del “globalismo”

Non c’è ancora modo di determinare quanti di questi modelli emergeranno e in quale forma. È, tuttavia, pericoloso per gli Stati Uniti, la NATO, l’UE e la più ampia gamma di partner strategici americani concentrarsi sulle dimensioni militari della guerra in Ucraina e fallire nel concentrarsi sui suoi modelli civili e politici in evoluzione e sulla quasi certezza di uno scontro duraturo almeno con la Russia e con una combinazione di Russia e Cina.

La guerra in Ucraina non è la causa principale di queste tendenze, ma è molto probabile che sia un importante catalizzatore nel peggiorarle. Sembra anche fin troppo probabile che l’ottimismo che ha plasmato l’approccio al globalismo fosse basato più su illustrazioni confortanti che sulla realtà.

Questo commento intitolato The Longer-Term Impact of the Ukraine Conflict and the Growing Importance of the Civil Side of War è disponibile per il download all’indirizzo https://csis-website-prod.s3.amazonaws.com/s3fs-public/publication /220606_Cordesman_Long_Impact.pdf?LayS4B8jE2cZw6OEJETgPq4fQvnf2bye

Anthony H. Cordesman detiene la cattedra emerita in Strategia presso il Center for Strategic and International Studies di Washington, DC. Ha scritto e diretto numerosi libri e studi per il CSIS; è stato insignito della medaglia per il servizio distinto del Dipartimento della Difesa; e ha ricoperto posizioni di rilievo nel Consiglio di sicurezza nazionale, nel Dipartimento di Stato, nell’Ufficio del Segretario alla Difesa, nel Dipartimento dell’Energia e nel personale del Senato degli Stati Uniti.

Il commento  è prodotto dal Center for Strategic and International Studies (CSIS),

L’Europa, dunque, è la grande perdente

di Daniele Perra – 18/06/2022

L'Europa, dunque, è la grande perdente

Fonte: Daniele Perra

Ai primi di giugno, il Center for Strategic and International Studies di Washington (Think Tank assai vicino al Dipartimento della Difesa USA ed all’industria statunitense degli armamenti dal quale viene copiosamente finanziato) ha pubblicato un articolo, a firma Antony H. Cordesman e dal titolo “The longer-term impact of the Ukraine conflict and the growing importance of the civil side of the war”, che ben descrive il nuovo approccio nordamericano al conflitto nell’Europa orientale.
In esso si legge: “sembra ora possibile che l’Ucraina non riconquisterà i suoi territori nell’est e che non otterrà rapidamente gli aiuti di cui ha bisogno per la ricostruzione”. Aiuti che sarebbero stati stimati, molto ottimisticamente, in 500 miliardi di dollari (cifra che non tiene in considerazione la perdita territoriale della sua regione più ricca). Inoltre, l’Ucraina dovrà fare i conti con una continua minaccia russa che limiterà la sua capacità di ricostruzione delle aree industrializzate e che, soprattutto in considerazione delle suddette perdite territoriali, comporterà non pochi problemi in termini di commercio marittimo (il rischio che la Russia, una volta terminate le operazioni in Donbass, possa dirigersi verso Odessa escludendo completamente Kiev dal Mar Nero rimane reale).
L’articolo riporta anche come il conflitto abbia evidenziato, da parte russa, un utilizzo coordinato ed assai flessibile di mezzi militari, politici ed economici al confronto del quale, il mero ricorso alla guerra di propaganda ed al regime sanzionatorio da parte occidentale è sembrato sostanzialmente inefficace. Fattore che, in un modo o nell’altro, ridisegnerà il sistema globale visto che l’eventuale fine dei combattimenti non significherà la fine dei suoi impatti economici e geopolitici di lungo periodo. Senza considerare che Russia e Cina stanno sviluppando una notevole capacità di attirare verso il proprio lato i Paesi africani ed asiatici (il caso recente del Mali che ha optato per l’espulsione dei contingenti francese ed italiano, in questo senso, è emblematico).
Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dalla propaganda occidentale fino ad oggi, Cordesman afferma che solo una “minuscola porzione” (tiny portion) delle azioni russe in Ucraina possono essere formalmente definite come “crimini di guerra” nonostante il loro impatto sulla popolazione civile.
Ora, a prescindere dalle considerazioni dell’Emeritus Chief in Strategy del Think Tank nordamericano (con le quali si può essere in accordo o meno), ciò che appare evidente è il cambio di paradigma nel racconto del conflitto da parte del centro di comando dell’Occidente.
Gli Stati Uniti (quelli che, secondo Kissinger, hanno solo interessi e non alleati) non sono nuovi a simili operazioni di abbandono dell’“amico” quando hanno raggiunto il loro scopo o non lo ritengono più utile (dal Vietnam all’Afghanistan, passando per Panama  e Iraq, la storia è piena di esempi simili). Resta da valutare se gli Stati Uniti abbiano realmente raggiunto i loro obiettivi per ciò che concerne il conflitto in Ucraina o se questo cambio di paradigma possa essere interpretato come una “ritirata strategica”.
In precedenza si è sottolineato come il conflitto in Ucraina stia portando a cambiamenti profondi nella struttura economica, finanziaria e geopolitica esistente a livello mondiale. Si può parlare di evoluzione verso un sistema multipolare? La rispostà è sì, anche se gli stessi Stati Uniti stanno cercando di rallentarla. Come? Oggi sono tre (in futuro potrebbero essere quattro con l’India) le principali potenze globali: Stati Uniti, Russia e Cina (considerate come potenze revisioniste del sistema unipolare). Tuttavia, il principale concorrente del dollaro sul piano globale è l’euro. Ergo, l’obiettivo nordamericano, per guadagnare tempo nella parabola discendente dell’impero nordamericano, è il suo costante indebolimento. Oltre l’Ucraina, chi è la grande sconfitta del conflitto in corso nell’Europa orientale? L’Unione Europea. L’obiettivo USA, almeno dal 1999 in poi, è quello di rendere artificialmente competitiva la propria industria distruggendo quella europea mantendo, al contempo, il Vecchio Continente in una condizione di cattività geopolitica. Questo l’élite politica europea lo sa bene ma è troppo impegnata a seguire i suoi interessi di portafoglio.
Si prenda ad esempio il caso limite dell’Italia la cui strategia energetica di lungo periodo è andata a farsi benedire con l’aggressione NATO alla Libia. Da quel momento in poi, i governi Monti, Letta e Renzi sono stati i principali responsabili della quasi totale subordinazione della politica energetica italiana al gas russo. Oggi, gli stessi Partiti che hanno sostenuto prima la necessità dell’intervento in Libia e poi i governi successivi a quello Berlusconi (responsabile del tradimento nei confronti di Tripoli) sono gli stessi che chiedono e plaudono all’embargo alle importazioni di idrocarburi dalla Russia, ancora una volta in totale spregio dell’interesse nazionale italiano. In questo contesto, l’unica soluzione per l’Italia non può che essere quella di liberarsi il prima possibile dal draghismo.
L’Europa, dunque, è la grande perdente sul piano economico e geopolitico. L’eventualità di una crisi alimentare in Africa e nel Vicino Oriente a causa del protrarsi del conflitto e, di conseguenza, della riduzione delle esportazioni di grano russe ed ucraine in queste regioni potrebbe causare nuove ondate migratorie che investiranno direttamente un’Europa in cui il problema delle forniture energetiche determinerà un’inflazione sempre più alta, una crisi economica strutturale ed un relativo abbassamento della qualità generale della vita.
Da non sottovalutare, infine, il fatto che l’àncora di salvezza per l’Europa (almeno nel breve periodo, visto che la diversificazione via Africa e Israele appare assai lontana nel tempo) sarebbe dovuto essere il gas naturale liquefatto nordamericano. Bene, una strana esplosione ha recentemente messo fuori uso l’HUB della Freeport LNG in Texas da dove partono le navi che portano il gas in Europa. L’infrastruttura sarà nuovamente operativa a partire dalla fine del 2022. Il tutto mentre Gazprom taglia le sue esportazioni in Europa come rappresaglia nei confronti dell’approvazione dell’ennesimo pacchetto suicida di sanzioni.

Si veda:
The longer-term impact of the Ukraine conflict and the growing importance of the civil side of the war, www.csis.org.
L’utopia di chi spera nel GNL di USA, Africa e Israele, www.ilsussidiario.net.
L’UE ed il suo settore energetico, www.eurasia-rivista.com

https://www.ariannaeditrice.it/articoli/l-europa-dunque-e-la-grande-perdente

https://www.csis.org/analysis/longer-term-impact-ukraine-conflict-and-growing-importance-civil-side-war

Perché la Turchia è improvvisamente “molto più cauta” a vendere droni a Kiev?_ di Andrew Korybko

Basandosi sul pretesto di emanare pragmaticamente un’aura di neutralità più convincente al fine di mediare, si spera, la pace tra le parti in conflitto, Ankara sembra nascondere la sua preoccupazione non dichiarata che Kiev non possa vincere contro Mosca; una realtà che il mondo intero sta cominciando sempre più a rendersi conto oltre che essere testimoniato dal decisivo spostamento della “narrativa ufficiale” nelle ultime settimane.

 Il Wall Street Journal ha citato il presidente dell’Agenzia per l’industria della difesa di Turchia, Ismail Demir, il quale ha affermato che il suo paese è “molto più attento” al momento quando si tratta di vendere droni a Kiev. Secondo lui, “La Turchia è l’unico paese che credo possa chiamare entrambe le parti e portarle al tavolo della pace. Come puoi farlo se mandi decine di migliaia di armi ad una parte?” Il suo annuncio politico coincide con la narrativa dei media mainstream occidentali (MSM) guidati dagli Stati Uniti sul conflitto che si sta spostando in modo decisivo dal “porno della vittoria” che celebra i cosiddetti “successi militari” di Kiev alla realtà che la consegna della NATO contro la Russia è vistosamente sopravanzata visti i costanti progressi di Mosca nel Donbass.

Si ipotizza che i “Tre Grandi” dell’UE – Francia, Germania e Italia – potrebbero aver lanciato durante la visita dei loro primi ministri a Kiev la scorsa settimana una proposta di cessate il fuoco che ha preceduto l’ex presidente degli Stati Uniti Trump nella sua accusa contro paesi europei, senza specificare quali, per aver fatto molto meno del necessario quando si tratta di assistere militarmente quell’ex Repubblica Sovietica. La marea del conflitto ucraino non è cambiata poiché è sempre stata a favore della Russia, ma il MSM ha mentito al riguardo fino a quando è diventato impossibile proseguire senza screditare al massimo la loro causa; da qui l’inversione narrativa delle ultime settimane. Di fronte a questa realtà e non volendo seguire il destino di una nave che affonda, la Turchia ha saggiamente deciso di cambiare tono anche lei.

Sarebbe un vero imbarazzo per il crescente complesso militare-industriale della Grande Potenza se ulteriori esportazioni dei suoi droni armati di fama mondiale non portassero Kiev ad emergere vittoriosa dopo che Ankara ha già un track record dei suoi partner regionali in Azerbaigian e Libia i quali hanno vinto le loro rispettive guerre con l’assistenza dei suoi prodotti. È proprio vero che la Turchia dovrebbe anche porre attenzione agli interessi della Russia, sia per il ruolo insostituibile di Ankara finora svolto nell’ospitare i colloqui di pace tra Mosca e Kiev, ma anche per ragioni pragmatiche legate alla regolamentazione responsabile della loro rivalità; il motivo per cui questa posizione corrente è però ora pubblicizzata, è probabilmente dovuto alla realtà innegabile emergente nel Donbass.

Una cosa è che la Turchia sia d’accordo con Kiev, dando ai suoi droni un credito parziale per la presunta “sconfitta” della Russia nella cosiddetta “Battaglia per Kiev”, che in realtà è stata solo un diversivo per tutto questo tempo e un’altra interamente per il suo partner potenzialmente d’accordo al cessate il fuoco ipotetico dei “Tre Grandi” in futuro che si tradurrà nella cessione di ulteriore territorio a Mosca mentre si fa ancora attivamente affidamento sui droni di Ankara per vincere. Il primo può essere considerato un successo sufficiente nella sfera pubblica in modo da non sollevare dubbi sul presunto impatto “rivoluzionario” dei suoi droni sui conflitti stranieri, mentre il secondo contraddirebbe quel ritrovato mito a scapito dell’esercito e del complesso industriale turco.

Basandosi sul pretesto di emanare pragmaticamente un’aura di neutralità più convincente al fine di mediare, si spera, la pace tra le parti in conflitto, Ankara sembra nascondere la sua preoccupazione non dichiarata che Kiev non possa vincere contro Mosca, dato che il mondo intero sta cominciando sempre più a rendersi conto, oltre che testimoniato dal decisivo spostamento della “narrativa ufficiale” nelle ultime settimane. Tuttavia, questo cambiamento politico implicito non avrebbe dovuto essere pubblicizzato come invece ha appena fatto Demir, cosa che potrebbe aver inteso servire al duplice obiettivo di segnalare alla comunità internazionale la serietà della situazione e di strizzare l’occhio al grande partner strategico russo, geograficamente vicino.

Ucraina, il conflitto 8a puntata con Max Bonelli

Siamo alla ottava puntata. La dinamica sul fronte orientale ucraino sta subendo una accelerazione. Ad un parziale ripiegamento in alcuni settori corrisponde la chiusura in sacche di importanti settori dell’esercito ucraino. Il prezzo pagato è comunque pesante, non solo per il numero di vittime e le perdite di materiale, quanto per le perdite tra le truppe meglio addestrate e motivate. Nel frattempo cade un altro punto fondamentale della narrazione occidentale. A giudicare dai comportamenti ormai documentati, le vere truppe di occupazione in quell’area sono quelle dell’esercito ucraino. La sorprendente selettività degli attacchi russi è in gran parte dovuta alle informazioni fornite dalla stessa popolazione. Nel frattempo emergono altre inquietanti verità dai sotterranei dell’acciaieria Azovstal di Mariupol; l’esistenza di forni crematori e la testimonianza della presenza di militari scelti americani, probabilmente cecchini, tra i corpi carbonizzati. Al momento non si può aggiungere altro. Ecco il video: https://vk.com/video-177555762_456256395 

Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v1a26rq-ucraina-il-conflitto-8a-puntata-con-max-bonelli.html

 

 

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