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Salti di paradigma, salti nel vuoto_di Roberto Buffagni
Salti di paradigma, salti nel vuoto
Gli Stati Generali del regno di Francia vengono convocati dal re di Francia e di Navarra Luigi XVI l’8 agosto 1788. Essi chiamano a consigliare il sovrano i rappresentanti dei tre Stati o Ordini in cui è tradizionalmente suddiviso il regno di Francia. Adalberone, vescovo di Laon (947 ca. -1030) nel “Carmen ad Rodbertum regem” li ripartisce in Oratores, Bellatores, Laboratores, riferendosi analogicamente alla Divina Monotriade. La tripartizione in Ordini rispecchia l’antichissima tripartizione indoeuropea in caste, ad esempio la tripartizione hindu tra bràhmana (sacerdoti), kshàtrya (guerrieri), vàisya e shùdra (contadini, artigiani, commercianti, etc.).
All’interno di ciascun Ordine – tra pari – le deliberazioni vengono prese a maggioranza, per testa; il voto finale degli Stati Generali, che approva i suggerimenti da porgere al sovrano, viene espresso per Ordini, nonostante il rapporto numerico tra componenti il Primo e Secondo Stato e componenti il Terzo sia, all’incirca, del 3% rispetto al 97%.
Il 6 maggio 1789, all’ Hotel des Menus Plaisirs di Versailles, nella sala ribattezzata per l’occasione Sala dei Tre Ordini, i rappresentanti del Terzo Stato deliberano all’unanimità il voto finale per testa. Si uniscono a loro 47 rappresentanti (su 270) del Secondo Stato, la nobiltà, e 114 rappresentanti (su 291) del Primo Stato, il clero. Il voto pone termine all’ultima forma politica sopravvissuta che rispecchi il più antico carattere distintivo della civiltà indoeuropea.
La risultanza politica del voto del 6 maggio 1789 – un evento puntuale, che si consuma in pochi minuti – è stata preceduta da secoli di dibattito metafisico, filosofico, teologico, antropologico, e da secoli di storia in cui si infrange la Cristianità, si scontrano e decadono Chiesa e Impero, i due “Soli” del “De Monarchia” dantesco; e sorgono, proponendosi come Terzo Sole dell’umanità – parola che esprime un concetto nuovo e un nuovo programma culturale e politico – i Lumi. L’alto numero di rappresentanti del Primo (39%) e del Secondo Stato (17%) che, contro gli interessi del proprio Ordine, votano con i rappresentanti del Terzo, illustra meglio d’ogni analisi quale sia il senso comune prevalente nel regno di Francia, che all’epoca è culturalmente egemone in Europa.
Ecco: questo è un salto di paradigma.
Un salto di paradigma anzitutto metafisico, filosofico, teologico, antropologico; e per logica conseguenza, anche politico. L’aspetto della realtà formalmente espresso e politicamente tradotto dalla tripartizione indoeuropea – le diverse facoltà dell’animo umano, la gerarchia interiore in cui vanno ordinate perché l’uomo si individui compiutamente, l’ordine politico che la rispecchia in quanto “la polis è l’uomo scritto in grande” – non cessa per questo di esistere: sopravvive nel linguaggio e nelle inclinazioni personali, oltre che, ovviamente, nelle biblioteche. Viene però disattivata, nell’effettualità politica e nella coscienza che le società inaugurate da quel voto hanno di sé. C’è, ma non si dice e non si pensa. A volte, si attiva: ad esempio quando si combatte, e nel soldato come tecnico delle armi spunta il guerriero; o quando dal sacerdote come burocrate dell’istituzione ecclesiastica e assistente sociale spunta l’uomo di preghiera; o quando dall’artigiano e dal lavoratore spunta l’artista.
Segnalo ai naviganti che c’è in vista un altro salto di paradigma, al confronto del quale il salto di paradigma datato 6 maggio 1789 sembrerà il saltello di un bambino di due anni.
Lo segnalo adesso, mentre è ancora in discussione in DDL Zan, perché se verrà varato, discuterne dopo potrebbe dar luogo a spiacevoli conseguenze per il sottoscritto (i processi costano e possono finir male).
Lo so che sembra assurdo, ridicolo, paradossale tirare in ballo parole ed eventi così grossi – “salto di paradigma”, ”rivoluzione francese” – per una leggina come il DDL Zan, che magari nemmeno passerà al Senato. Ho letto in questi giorni i commenti in proposito di molte persone intelligenti, spesso di sinistra ma anche di destra, che si possono riassumere così: “Quanto rumore per nulla, i problemi dell’Italia sono ben altri” (segue elenco problemi, a volte ben ragionato). Penso che queste persone intelligenti si sbaglino. È più che comprensibile che si sbaglino, perché da un canto gli altri problemi ci sono eccome, e sono molto grandi e gravi; dall’altro, è sempre difficile individuare in tempo reale gli eventi puntuali che segnano svolte qualitative nella storia. Un uomo non geniale ma tutt’altro che stupido o incolto come Luigi XVI, la sera della presa della Bastiglia scrisse nel suo diario: “Oggi, niente.”
Qual è insomma questo salto di paradigma che, secondo me, si profila all’orizzonte? Non faccio il misterioso e ve lo dico subito. È il concetto di “genere”, impiegato come ordinatore principale e anzi esclusivo del concetto di “uomo”. Scrivo “anzi esclusivo” perché il concetto di “genere” non si limita più a combattere con altri e incompatibili ordinatori del concetto di “uomo” nel Kampfplatz filosofico. Ha condotto e continua a condurre questa battaglia nel teatro d’operazioni filosofico, con esiti alterni: non si profila, per esso, una vittoria schiacciante o sicura. Esso ha però trasposto la battaglia per l’egemonia dal campo filosofico al campo giuridico, sociale e politico, e in questo diverso teatro di operazioni ha trovato alleati molto potenti.
Il concetto di “genere”, nelle sue varie declinazioni a me note, presenta un minimo comun denominatore: è sempre riconducibile alla soggettività dell’individuo. A quel che l’individuo desidera (il suo orientamento erotico) all’idea che l’individuo si forma di sé (la sua identità, il nome segreto con cui si chiama) a quel che l’individuo vuole divenire (ad esempio, trasformarsi da maschio in femmina e viceversa). In sintesi, il concetto di “genere” presuppone la sovranità assoluta dell’individuo su se medesimo, la sua totale libertà di decidersi, insomma la sua radicale autonomia, nel senso fortissimo di libertà d’essere norma a se medesimo, e persino di mutare ad libitum la norma che lo definisce e lo identifica, in buona sostanza lo crea. Il concetto di “genere” prefigura, insomma, un “uomo-individuo autocreatore”.
Nel passaggio dal Kampfplatz filosofico al campo di battaglia dell’effettualità sociale e politica – ove si propone l’obiettivo di divenire l’ordinatore esclusivo del concetto di “uomo” – il concetto di “genere” prende correttamente di mira il suo nemico principale. Il suo nemico principale è il più antico e potente ordinatore del concetto di “uomo”, ossia l’insieme concettuale “maschio – femmina”.
L’insieme concettuale “maschio – femmina” è indissolubile, perché “maschio” si definisce in rapporto a “femmina”, e “femmina” si definisce in rapporto a “maschio”. Nessuna delle due parole, e delle realtà che designano, ha significato se non in rapporto all’altra. “Maschio-femmina” è l’ordinatore logicamente e cronologicamente più antico del concetto “uomo”.
“Uomo” è sempre “uomo maschio” oppure “uomo femmina”, “uomo femmina” oppure “uomo maschio”. Ciò che non è né maschio né femmina è “neutro”, ossia, etimologicamente, “né l’uno né l’altro”: e non è “uomo”. Tutti i linguaggi umani di cui abbia notizia si formano sulla base dell’antichissimo ordinatore “maschio-femmina”. Così si formano i generi grammaticali – maschile, femminile, neutro – e così si formano le parole e l’ innumerevole foresta di metonimie e metafore grazie alle quali comunichiamo, comprendiamo, cantiamo, sogniamo.
Salvo errore (non sono onnisciente) ciò avviene in tutte le culture e le lingue dell’uomo, senza riguardo alla latitudine e all’epoca. Ovviamente, il fatto che l’uomo si pensi e comprenda se stesso in conformità all’insieme “maschio-femmina” implica anche, per conseguenza logica, che l’uomo si pensi e senta in rapporto necessario, primordiale, a un Altro/Altra che, rispetto alla sua individualità empirica, è sempre distinto e separato: non meno diverso che uguale, tanto alieno quanto identico; un fatto curioso ed enigmatico che egli vede rispecchiato, nella sua vita quotidiana, sia dal fatto imperativo che tutti gli uomini, maschi e femmine, nascono dall’incontro sessuale di un uomo-maschio e un uomo-femmina, sia dalla forza altrettanto imperativa dell’attrazione erotica per l’altro sesso: quando la prova, ovviamente, come è normale che sia, nel senso più forte della parola “norma”: perché se l’attrazione erotica per l’altro sesso non fosse norma, l’uomo si sarebbe estinto da un pezzo.
Anche da questo minimo sunto che ho abbozzato, risulta chiaro come il sole per quale motivo il concetto di “genere” debba designare come proprio nemico principale l’insieme concettuale “maschio-femmina” che ordina il concetto di “uomo”: perché esso è radicalmente incompatibile con la sovrana, assoluta libertà dell’individuo di essere norma a se stesso, di mutarla a suo piacimento, e insomma di crearsi da sé. Se il concetto di “uomo” comprende l’uomo-maschio e l’uomo-femmina – i due avatar dell’uomo che nella realtà si presentano sempre come individui separati – nessun singolo individuo potrà mai coincidere con l’intero concetto di “uomo”, compierlo, esaurirlo, esperirlo per intero; nessun individuo empirico potrà mai essere tutto l’uomo, l’individuo assoluto capace di sovrana, perfetta libertà di conoscersi, esperirsi, compiersi, autodeterminarsi e autocrearsi.
Ecco allora che il concetto di “genere”, nella sua battaglia per farsi ordinatore esclusivo del concetto di “uomo”, propone – e tenta di imporre per via politica – un nuovo concetto di “uomo”: quello di un individuo empirico, un singolo quidam de populo, che conquista il diritto, garantito dall’imperio della legge positiva, di essere al contempo sia maschio sia femmina, più tutto il fluido ventaglio delle posizioni intermedie tra maschio e femmina; e di sanzionare il proprio nemico, l’insieme “maschio-femmina”, ove voglia esercitare il proprio antico privilegio di esclusivo ordinatore del concetto di “uomo”: ad esempio, nel matrimonio, ma persino nel linguaggio.
Il matrimonio, la più antica istituzione simbolica volta alla riproduzione della specie e alla sua integrazione nella cultura, non deve più essere riservato all’uomo-maschio e all’uomo-femmina, ma dev’essere esteso all’uomo-individuo autocreatore, e a lui adeguato. Se all’uomo-individuo autocreatore non è biologicamente possibile riprodurre la specie, gli è disponibile il surrogato della tecnica, o l’ausilio servile di uomini-maschio e uomini-femmina. Questo obiettivo, di eccezionale importanza per il rilievo simbolico impareggiabile del matrimonio, è già stato raggiunto nel paese egemone dell’Occidente, con la sentenza della Corte Suprema federale del 2015 ( caso Obergefell vs. Hodges).
Più difficile, lunga e complicata la riforma del linguaggio, che in ogni suo frammento reca l’impronta del nemico, ma l’opera è iniziata con la battaglia sui pronomi, volta ad escludere e vietare per legge il maschile e il femminile in quanto “discriminatori”: ciò che in effetti sono, perché “discriminano”, ossia “differenziano” l’uomo-maschio e l’uomo-femmina.
I possenti alleati che il concetto di “genere” e l’uomo-individuo autocreatore che esso intende affermare hanno trovato nel mondo sono molti. Il più forte sul piano della comunicazione è l’accesso, ormai assicurato, al ruolo simbolico di “vittima”, che gli garantisce forza contrattuale sul piano simbolico ed efficacia propagandistica.
Si tratta di una trascrizione del ruolo – chiave della vittima sacrificale nel cristianesimo, che trasferendosi sul piano secolare si inverte di 180°. Nel cristianesimo, la vittima sacrificale per antonomasia è una delle Persone della SS. Trinità, la Quale, sacrificandosi e rinnovando il proprio sacrificio nella Messa fino alla fine dei tempi, risarcisce e riscatta la colpa dell’umanità. Il colpevole è l’uomo, la vittima è Dio, che amandolo si sacrifica per la sua salvezza. Nella trascrizione secolarizzata, vittima sacrificale è chi sia stato discriminato e oppresso dal Potere, riflesso terreno dell’unico attributo divino del quale è impossibile ridere. Colpevole è dunque il Potere-Dio, vittima l’uomo defraudato che esige di eguagliarsi a Lui, e in quanto sua vittima esige risarcimento e riscatto. In questo senso, direbbe de Maistre, l’intera civiltà moderna post rivoluzione francese è un’espressione di risentimento contro Dio; e l’uomo-individuo autocreatore, per l’evidente ragione che sta mirando a ricrearsi daccapo e da sé, sarebbe la manifestazione più patente di questo risentimento, e della conseguente volontà di risarcimento e rivincita.
Sul piano sociale, il più potente alleato dell’uomo-individuo autocreatore è la logica del capitalismo liberale, che tende a dissolvere tutti i legami sociali e comunitari, e giustifica la propria dinamica mediante due argomenti soli: 1) performatività (ossia, perché funziona) 2) conferisce sempre maggiore libertà agli individui (e solo agli individui). Entrambi questi suoi tratti caratteristici manifesterebbero la sua superiorità e insuperabilità, in un orizzonte di indefinito progresso: verso dove non si sa, ma non è importante sapere. S’intravvede oltre l’arcobaleno un “uomo nuovo”, radicalmente trasformato, più bello, longevo, felice, buono, vitale; ma saggiamente, come un tempo Marx si rifiutava di scrivere il menu per le osterie dell’avvenire, anche il capitalismo liberale evita di dettagliare il menu per il ristorante del transumano, anche perché alcun anticipazioni di cui si chiacchiera toglierebbero l’appetito ai più affamati.
La logica capitalistico-liberale, poi, intende l’individuo nella forma semplificata dell’ homo oeconomicus, ossia di un autonomo centro di interessi (se considerato dall’esterno, oggettivamente) e di un centro di bisogni e desideri (se considerato dall’interno, soggettivamente). A regolare sia interessi, sia bisogni e desideri dell’individuo, è preposta la sola legge positiva, indefinitamente modificabile per via procedurale, e alla quale è proibito rifarsi a fondamenti valoriali o metafisici capaci di dare giudizi assiologici in merito alle proprie modificazioni, o di porvi limiti. Quel che non c’è nel kit dell’ homo oeconomicus spetta alla scienza studiare e definire come “uomo biologico”; e lì c’è tanto lavoro analitico da fare, che può fattivamente occupare gli scienziati fino alla fine dei tempi.
Non è difficile capire quanto simili e affini siano il concetto di uomo-individuo autocreatore e l’individuo come lo intende la logica capitalistico-liberale. Da queste somiglianze e affinità nasce una produttiva e possente alleanza, che ormai si traduce sul piano politico statale al più alto livello, come ostendono eventi pubblici clamorosi quali l’illuminazione della Casa Bianca con la luce arcobaleno per festeggiare la sentenza sul matrimonio same-sex della Corte Suprema, e di recentissimo, la luminaria con i colori della medesima cauda pavonis alchemica che accende gli stadi ove si giocano, alla presenza delle autorità, i campionati europei di calcio.
Ecco descritto, nei suoi tratti minimi essenziali, il salto di paradigma che si profila a un orizzonte non molto lontano. Le sue conseguenze sfidano l’immaginazione più esaltata. Anche perché, almeno a parere di chi scrive, questo salto di paradigma è un salto verso un concetto di uomo che, alla lettera, non esiste nella realtà: esso, infatti, non descrive la realtà, ma la prescrive; e tanto peggio per la realtà, se si ribella.
Ci si può impegnare, ed effettivamente ci si sta impegnando a fondo, per farlo esistere: ma non esiste ora, né potrà esistere mai. Via via che la prescrizione implicita in questo nuovo salto di paradigma sarà implementata, essa dovrà, con sempre maggior coerenza e caparbietà, derealizzare porzioni sempre più ampie di realtà: della realtà dell’uomo, e dunque della realtà del mondo.
Si tratta insomma – sempre a mio avviso – di un salto di paradigma che è anche un vero e proprio salto nel vuoto. Non so se abbiamo il paracadute.
Passi diplomatici, di Roberto Buffagni
E DOPO CHE SI FA?_ di Pierluigi Fagan
SURTOUT PAS TROP DE ZÈLE, di Teodoro Klitsche de la Grange
SURTOUT PAS TROP DE ZÈLE
I miei (pochi) lettori mi consentano di ritornare su un argomento da me assai frequentato: la disparità delle armi tra pubblica amministrazione e privati nelle controversie (meglio nel contenzioso) tributario, amministrativo e civile. Disparità incrementata dalla c.d. “seconda Repubblica”, a dispetto del fatto che la “parità delle armi” (processuali) è stato costituzionalizzata nel 1999 con la novella all’art. 111 della Costituzione. Prima e dopo la suddetta novella, il legislatore ha fatto tutto il possibile per contraddire a livello legislativo, quanto solennemente introdotto in quello costituzionale. Fin qui nulla di nuovo, se non lo straripante tasso d’ipocrisia ma ancor più di disinformazione, onde il problema, che riguarda tutti i cittadini italiani è costantemente sottovalutato o occultato nel dibattito pubblico.
Piuttosto occorre chiedersi se il sistema usuale e normale per riottenere il riequilibrio delle armi, ossia: a) l’istituzione di mezzi, soprattutto giudiziari, di difesa idonei a compensare almeno in parte lo squilibrio; b) la loro indipendenza; c) la parità, o almeno la non eccessiva disparità tra pubblico e privato, siano sufficienti in una situazione largamente compromessa come quella attuale.
A tale proposito è bene andare a quanto ne pensava Vittorio Emanuele Orlando. Com’è noto la tutela del privato verso le pretese dell’amministrazione fu attuato dalla classe dirigente liberale soprattutto con due leggi. La legge abolitiva del contenzioso amministrativo (del 1865) e la legge istitutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato (1889). Ma in particolare la prima attirò le considerazioni negative di Orlando sull’accoglienza che aveva ottenuto dalla magistratura dell’epoca. Scrive il giurista siciliano “Ciò che davvero importa, in questa materia, è di non lasciarsi sviare dalle incertezze della giurisprudenza. L’abbiamo detto più volte, e l’osservazione non è nostra soltanto: la legge del 1865 fu troppo liberale, e non trovò le condizioni ambientali idonee al suo sereno e completo svolgimento. Il sentimento autoritario era ed è ancora troppo radicato in noi, popolo nato ora alla libertà. Sicché, tutte le volte che essa ha potuto, la giurisprudenza ha allontanato da sé il calice amaro di agire come freno e limite del potere esecutivo. E così avviene, per una coincidenza che dopo l’anzidetto non sembrerà del tutto accidentale” (voce “Contenzioso amministrativo” del Digesto Italiano, Torino 1895-1898, il corsivo è mio). E sulla “timidezza” del potere giudiziario nei confronti di quello governativo-amministrativo ritorna più volte (nel saggio citato e altrove).
C’è da chiedersi se la “timidezza” attribuita da Orlando alla magistratura a lui contemporanea sia (o sia ritornata) ad essere connotato di quella attuale, magari non qualificabile così, ma piuttosto sodalizio, ansia, timore per le pubbliche finanze; ma il cui esito, comunque è di agevolare, ancor più di quanto non abbia fatto il legislatore, le pubbliche amministrazioni litiganti.
Prendiamo un paio di statistiche come esempio. Quella dell’Agenzia delle Entrate del 2020 evidenzia un “indice di vittoria” (per l’Agenzia) pari al 76,2% delle liti. Solo che a leggerlo risulta che a tale lusinghiero risultato hanno contribuito…anche le cause perse. Infatti la P.A. ha calcolato a proprio favore nell’indice anche quelle “parzialmente favorevoli” cioè quelle altrettanto “parzialmente favorevoli” al contribuente.
A un lettore attento piuttosto che tale criterio ad usum delphini, probabilmente apparirebbe più conforme alla realtà calcolare, salomonicamente, gli esiti parzialmente favorevoli in ragione della metà (a favore dell’Agenzia) e non tutti a favore. Quel che più conta e che (a tacer d’altro) dall’esperienza personale di difensore, e da quella di altri colleghi, quasi tutti i ricorsi totalmente o parzialmente favorevoli al contribuente si concludono con la compensazione delle spese (cioè il contribuente, pur vittorioso, paga per intero il proprio difensore), mentre nel caso contrario (di soccombenza totale) il Giudice tributario pone quasi sempre a carico dello stesso le spese di giustizia. Mezzo semplice ed efficace per disincentivare il contenzioso… a carico delle parti private.
Altro esempio: i giudizi di equa riparazione (Legge Pinto). Essendo quasi tutti gli esiti a favore delle parti private, il legislatore aveva già messo le… mani avanti, disponendo che le spese andassero liquidate in ragione della metà della tariffa ordinaria. Ma evidentemente tale zelo non appariva sufficiente. Per cui gli importi delle spese a carico delle P.P.A.A. resistenti solo calcolati dai Giudici in misura minore di guisa che è normale leggere che un processo Pinto alla Corte d’Appello, è “remunerato” con 3-400 euro o un giudizio al TAR con 2-400 euro.
E si potrebbe andare avanti, con risultati (quasi) sempre simili. Certo c’è da chiedersi se tali risultati siano dovuti più che alla “timidezza”, che non appare sempre come connotato della giustizia italiana, come confermano i processi a Ministri, non ultimi quelli a Salvini per decisioni governative (tutte) politiche, ma piuttosto ad un (malinteso) senso dell’interesse pubblico. Per cui ci si sente gratificati dal limitare gli esborsi a carico delle (disastrate) finanze italiane. L’ingenuità (almeno) di tale comportamento è che se si rende più economico il litigare al soccombente, il risultato sarà quello di aumentare il numero delle resistenze in giudizio infondate. Meglio seguire il consiglio di Talleyrand ai funzionari francesi “surtout pas trop de zèle”. Ma ancor di più l’interesse pubblico non è tanto un rapporto di dare e avere, tra incassato e speso. È in primo luogo l’affetto, la solidarietà tra cittadini della stessa comunità, compresi governati e governanti. Se la si scuote o la si svuota, con espedienti e artifizi da causidico, s’incrina e alla fine si distrugge la stessa comunità e istituzione politica. Cammino che in gran parte abbiamo già percorso.
Teodoro Klitsche de la Grange
TARDE BRICIOLE DI CONSAPEVOLEZZA, di Andrea Zhok
IL NUOVO PRINCIPE E LA NUOVA STRATEGIA DEL GIOCO DELLE PERLE DI VETRO, di Massimo Morigi
IN ACCOSTAMENTO A VERSO LA GUERRA CIVILE OVVERO IL NUOVO PRINCIPE E LA NUOVA STRATEGIA DEL GIOCO DELLE PERLE DI VETRO. FLECTERE SI NEQUEO SUPEROS ACHERONTA MOVEBO PARTE SECONDA
di Massimo Morigi
Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori,
le cortesie, l’audaci imprese io canto,
che furo al tempo che passaro i Mori
d’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,
seguendo l’ire e i giovenil furori
d’Agramante lor re, che si diè vanto
di vendicar la morte di Troiano
sopra re Carlo imperator romano.
Ludovico Ariosto, Orlando furioso, canto I, ottava 1
A long, long time ago…
I can still remember
How that music used to make me smile.
And I knew if I had my chance
That I could make those people dance
And, maybe, they’d be happy for a while.
But february made me shiver
With every paper I’d deliver.
Bad news on the doorstep;
I couldn’t take one more step.
I can’t remember if I cried
When I read about his widowed bride,
But something touched me deep inside
The day the music died.
So bye-bye, miss american pie.
Drove my chevy to the levee,
But the levee was dry.
And them good old boys were drinkin’ whiskey and rye
Singin’, “this’ll be the day that I die.
“This’ll be the day that I die.”
Did you write the book of love,
And do you have faith in God above,
If the Bible tells you so?
Do you believe in rock ’n roll,
Can music save your mortal soul,
And can you teach me how to dance real slow?
Well, I know that you’re in love with him
’cause I saw you dancin’ in the gym.
You both kicked off your shoes.
Man, I dig those rhythm and blues.
I was a lonely teenage broncin’ buck
With a pink carnation and a pickup truck,
But I knew I was out of luck
The day the music died.
I started singin’,
“bye-bye, miss american pie.”
Drove my chevy to the levee,
But the levee was dry.
Them good old boys were drinkin’ whiskey and rye
And singin’, “this’ll be the day that I die.
This’ll be the day that I die.”
Now for ten years we’ve been on our own
And moss grows fat on a rollin’ stone,
But that’s not how it used to be.
When the jester sang for the king and queen,
In a coat he borrowed from James Dean
And a voice that came from you and me,
Oh, and while the king was looking down,
The jester stole his thorny crown.
The courtroom was adjourned;
No verdict was returned.
And while Lenin read a book of Marx,
The quartet practiced in the park,
And we sang dirges in the dark
The day the music died.
We were singing,
“bye-bye, miss american pie.”
Drove my chevy to the levee,
But the levee was dry.
Them good old boys were drinkin’ whiskey and rye
And singin’, “this’ll be the day that I die.
This’ll be the day that I die.”
Helter skelter in a summer swelter.
The birds flew off with a fallout shelter,
Eight miles high and falling fast.
It landed foul on the grass.
The players tried for a forward pass,
With the jester on the sidelines in a cast.
Now the half-time air was sweet perfume
While the sergeants played a marching tune.
We all got up to dance,
Oh, but we never got the chance!
’cause the players tried to take the field;
The marching band refused to yield.
Do you recall what was revealed
The day the music died?
We started singing,
“bye-bye, miss american pie.”
Drove my chevy to the levee,
But the levee was dry.
Them good old boys were drinkin’ whiskey and rye
And singin’, “this’ll be the day that I die.
This’ll be the day that I die.”
Oh, and there we were all in one place,
A generation lost in space
With no time left to start again.
So come on: jack be nimble, jack be quick!
Jack Flash sat on a candlestick
’Cause fire is the devil’s only friend.
Oh, and as I watched him on the stage
My hands were clenched in fists of rage.
No angel born in hell
Could break that Satan’s spell.
And as the flames climbed high into the night
To light the sacrificial rite,
I saw Satan laughing with delight
The day the music died
He was singing,
“bye-bye, miss american pie.”
Drove my chevy to the levee,
But the levee was dry.
Them good old boys were drinkin’ whiskey and rye
And singin’, “this’ll be the day that I die.
This’ll be the day that I die.”
I met a girl who sang the blues
And I asked her for some happy news,
But she just smiled and turned away.
I went down to the sacred store
Where I’d heard the music years before,
But the man there said the music wouldn’t play.
And in the streets: the children screamed,
The lovers cried, and the poets dreamed.
But not a word was spoken;
The church bells all were broken.
And the three men I admire most:
The Father, Son, and the Holy Ghost,
They caught the last train for the coast
The day the music died.
And they were singing,
“bye-bye, miss american pie.”
Drove my chevy to the levee,
But the levee was dry.
And them good old boys were drinkin’ whiskey and rye
Singin’, “this’ll be the day that I die.
This’ll be the day that I die.”
They were singing,
“bye-bye, miss american pie.”
Drove my chevy to the levee,
But the levee was dry.
Them good old boys were drinkin’ whiskey and rye
Singin’, “this’ll be the day that I die.”
Don McLean, American Pie
Apparentemente parlando d’altro (e cioè del tormentato ed irrisolto rapporto di Delio Cantimori col pensiero di Carl Schmitt) il mio ultimo Delio Cantimori, Carl Schmitt, l’occasionalismo e il romanticismo politico del Repubblicanesimo Geopolitico per una lettura inattuale della Lettre à Monsieur le Président e del suo commento di Giuseppe Germinario (pubblicato su “L’Italia e il Mondo” in data 16 maggio 2021 all’URL del blog http://italiaeilmondo.com/2021/05/16/delio-cantimori-carl-schmitt-loccasionalismo-e-il-romanticismo-politico-del-repubblicanesimo-geopolitico-_di-massimo-morigi/, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20210516084255/http://italiaeilmondo.com/2021/05/16/delio-cantimori-carl-schmitt-loccasionalismo-e-il-romanticismo-politico-del-repubblicanesimo-geopolitico-_di-massimo-morigi/) cercava di fornire elementi sottotraccia (sottotraccia non perché si voglia ricorrere ad un’ “ermeneutica della dissimulazione” alla Leo Strauss ma perché un pensiero collettivo strategico al riguardo è ancora tutto da definire) per cominciare a dare concrete ed operative risposte alle problematiche sollevate dall’intervento di Giuseppe Germinario Lettera al Presidente, Lettre à Monsieur le Président di e a cura di Giuseppe Germinario (pubblicato su “L’Italia e il Mondo” in data 29 aprile 2021 all’URL del blog http://italiaeilmondo.com/2021/04/29/lettera-al-presidente-lettre-au-president_di-e-a-cura-di-giuseppe-germinario/, Wayback Machine: https://web.archive.org/web/20210430070632/http:/italiaeilmondo.com/2021/04/29/lettera-al-presidente-lettre-au-president_di-e-a-cura-di-giuseppe-germinario/?lcp_pagelistcategorypostswidget-3=4%23lcp_instance_listcategorypostswidget-3). Con un brevissimo scarto temporale dalla mia riflessione “ellittica”sulla Lettera al Presidente di Germinario e sulla lettera stessa dei generali francesi al loro presidente, sempre Germinario in data 5 maggio ha pubblicato all’URL del blog http://italiaeilmondo.com/2021/05/20/rumor-di-sciabole-di-giuseppe-germinario/, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20210520063533/http://italiaeilmondo.com/2021/05/20/rumor-di-sciabole-di-giuseppe-germinario/ Rumor di sciabole, un’acutissima riflessione su un’analoga lettera di militari, ma questa volta di massimi gradi delle forze armate USA al presidente degli Stati Uniti Biden. Nella chiusa dell’intervento di Germinario la cristallina analisi comparata delle due lettere (la cui brillantezza possiamo facilmente verificare andando alla fonte internettiana dei due documenti: URL per la lettera dei generali francesi, https://www.valeursactuelles.com/politique/pour-un-retour-de-lhonneur-de-nos-gouvernants-20-generaux-appellent-macron-a-defendre-le-patriotisme/, Wayback Machine: https://web.archive.org/web/20210430070506/https:/www.valeursactuelles.com/politique/pour-un-retour-de-lhonneur-de-nos-gouvernants-20-generaux-appellent-macron-a-defendre-le-patriotisme/, oppure https://www.place-armes.fr/post/lettre-ouverte-a-nos-gouvernants, Wayback Machine: https://web.archive.org/web/20210501034121/https:/www.place-armes.fr/post/lettre-ouverte-a-nos-gouvernants; per la lettera dei militari americani, https://img1.wsimg.com/blobby/go/fb7c7bd8-097d-4e2f-8f12-3442d151b57d/downloads/2021%20Open%20Letter%20from%20Retired%20Generals%20and%20Adm.pdf?ver=1620909565500, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20210514081526/https://img1.wsimg.com/blobby/go/fb7c7bd8-097d-4e2f-8f12-3442d151b57d/downloads/2021%20Open%20Letter%20from%20Retired%20Generals%20and%20Adm.pdf?ver=1620909565500, URL quest’ultimo raggiungibile tramite link alla pagina all’URL https://flagofficers4america.com/opening-statement#393e50a9-590e-4cf3-a356-84bf2eec4e5b, Wayback Machine: https://web.archive.org/web/20210513103857/https://flagofficers4america.com/opening-statement, pagina del sito https://flagofficers4america.com/, Wayback Machine: https://web.archive.org/web/20210512205241/https://flagofficers4america.com/ e sottolineando, infine, che in Italia di questa lettera se ne era parlato per la prima, e per quanto ne sappiamo, unica volta, nella videointervista di Giuseppe Germinario a Gianfranco Campa Stati Uniti! Aggrappati al potere, pubblicata in data 13 maggio 2021 sull’ “Italia e il Mondo” all’URL http://italiaeilmondo.com/2021/05/13/stati-uniti-aggrappati-al-potere-lontani-dalla-realta_con-gianfranco-campa/ e sul canale YouTube del blog all’URL https://www.youtube.com/watch?time_continue=2&v=9fs2mPrHN44&feature=emb_logo, cui ha fatto seguito anche un nostro caricamento della stessa su Internet Archive, generando così gli URL https://archive.org/details/stati-uniti-aggrappati-al-potere-lontani-dalla-realtane-parliamo-con-gianfranco-campa-480p e https://ia601405.us.archive.org/11/items/stati-uniti-aggrappati-al-potere-lontani-dalla-realtane-parliamo-con-gianfranco-campa-480p/Stati%20Uniti%20aggrappati%20al%20potere%20lontani%20dalla%20realt%C3%A0ne%20parliamo%20con%20Gianfranco%20Campa_480p.mp4, un caricamento sulla massima piattaforma internazionale di preservazione digitale che è stata riservata anche per tutte le altre analoghe videointerviste di Germinario a Campa, ugualmente fondamentali – e, soprattutto, uniche, uniche perché del tutto svincolate e disincantate rispetto agli idola fori dirittoumanistici e da ascoltare in parallelo alla lettura di Verso la guerra civile, sempre di Gianfranco Campa – per comprendere la politica e la dinamiche sociali negli Stati Uniti), svela infine a noi la sua funzione euristica riguardo ad una (triste) messa a fuoco del caso italiano: «Per finire in Francia quella lettera rivela la presenza di una forte componente istituzionale resistente ai propositi di subordinazione, ma priva di una espressione e quindi di una piattaforma politica coerente, vista la crisi delle residue formazioni gaulliste e la giustificata diffidenza nei confronti del Front National-RN; negli Stati Uniti la piattaforma politica è più articolata, il radicamento negli apparati comincia ad essere tangibile ma meno compiuto, il pregiudizio ideologico però rischia di annichilire lo slancio e riportare nel vecchio alveo conservatore il movimento. É il portato di chi tende a guardare il futuro degli Stati Uniti con gli occhi di un secolo fa, piuttosto che coniugare al futuro quelle chiavi interpretative e rendere praticabili i propositi tirannicidi. Vedremo! Tutto sommato la partita è ancora aperta, tranne che purtroppo nel nostro “pauvre pays”. I soggetti qualificati ad innescare processi simili potrebbero anche esserci, ma regolarmente ai margini delle situazioni. Manca la molla che li spinga ad agire in un circo sin troppo congestionato. Una decina di anni fa ci fu un timido tentativo in proposito, fallito in poche ore; il documento in fondo alla pagina del sito avrebbe dovuto costituire una prima traccia di lavoro http://italiaeilmondo.com/2018/02/02/per-un-recupero-delle-prerogative-dello-stato-nazionale-italiano-per-la-salvaguardia-della-integrita-del-paese-verso-una-posizione-di-neutralita-vigile/ [Wayback Machine: https://web.archive.org/web/20180816234404/http://italiaeilmondo.com/2018/02/02/per-un-recupero-delle-prerogative-dello-stato-nazionale-italiano-per-la-salvaguardia-della-integrita-del-paese-verso-una-posizione-di-neutralita-vigile/, N.d.A.]. Le condizioni erano improbabili, la dabbenaggine nostra ha fatto il resto. Restano le voci nel deserto.».
In particolare, colpisce della chiusa di questo intervento, corredata con URL di rinvio alla lettera-manifesto dello stesso Germinario Per un recupero delle prerogative dello Stato nazione italiano, per la salvaguardia dell’integrità del paese verso una posizione di neutralità vigile cui noi ora abbiamo fornito anche il congelamento Wayback Machine, un sentimento misto fra la consapevolezza che ormai i vecchi percorsi dialettico-strategici ereditati dalla tradizione ottocentesca non sono più percorribili («É il portato di chi tende a guardare il futuro degli con gli occhi di un secolo fa, piuttosto che coniugare al futuro quelle chiavi interpretative e rendere praticabili i propositi tirannicidi. Vedremo!», ed è evidente che questa affermazione, almeno per noi, non può essere limitata solo alla situazione statunitense) e la speranza, anche se debolissima per la verità e quasi travolta da un profondissimo pessimismo, che ancora non tutto è perduto, anche se nel nostro paese la situazione è ancora più tragica che nel resto delle altre c.d. democrazie industriali («Tutto sommato la partita è ancora aperta, tranne che purtroppo nel nostro “pauvre pays”. I soggetti qualificati ad innescare processi simili potrebbero anche esserci, ma regolarmente ai margini delle situazioni. Manca la molla che li spinga ad agire in un circo sin troppo congestionato. […]Le condizioni erano improbabili, la dabbenaggine nostra ha fatto il resto. Restano le voci nel deserto.»).
Fra queste voci nel deserto che, nello specifico, risposero alla lettera-manifesto di Germinario, vi fu il mio post di commento alla stessa pubblicato sul blog in data 25 agosto 2017. Lo riporto qui di seguito integralmente come testimonianza di un periodo certamente non ottimista ma dove ancora ci si illudeva che, nonostante le condizioni improbabili, fossero ancora disponibili margini di manovra per i vecchi percorsi dialettico-strategici: « «Chi dice umanità, mente, se uno Stato combatte il suo nemico politico in nome dell’ umanità, la sua non è una guerra dell’umanità, ma una guerra per la quale un determinato Stato cerca di impadronirsi, contro il suo avversario, di un concetto universale per potersi identificare con esso (a spese dell’avversario) […]. Umanità è strumento particolarmente idoneo alle espansioni imperialistiche.»: Carl Schmitt, Le categorie del ‘politico’, Bologna, il Mulino, 1972, p. 139. A distanza di quattro anni la proposta politica di Giuseppe Germinario Per un recupero delle prerogative dello Stato nazionale italiano, per la salvaguardia della integrità del Paese, verso una posizione di neutralità vigile, mantiene intatta, in ogni sua articolazione, tutta la sua validità, l’unico problema non di dettaglio, ma è problema che non deriva certo dall’ottima elaborazione di Germinario ma ci è restituita direttamente dallo “stato delle cose” della situazione politica italiana, è l’individuazione (o ancor meglio, la creazione) del soggetto politico destinato a dar corpo e vita a queste proposte. Allora sotto questo punto di vista deve costituire un fondamentale contributo il ragionamento sviluppato da Carl Schmitt nelle Categorie del ‘politico’ e ripreso nell’incipit di questo commento: vale a dire che la forza politica che vorrà farsi carico del programma di Germinario dovrà, prima di tutto, prendere una decisa e cristallina posizione contro la retoriche democraticistiche, dei diritti umani e di una politica internazionale “pro umanità” lungo la direttiva espressa da Schmitt nelle Categorie del ‘politico’. Ma non ci si dovrà fermare a questa pars destruens. La pars construens cui questa formazione politica dovrà ispirare la sua parte propositiva, dovrà porre sul piedistallo dove prima si ergevano gli infranti idoli democraticistici e dirittoumanistici (che da sempre sono la principale arma di dominio agli agenti alfa-strategici) il concetto di Kultur, il che significa che il primo (se non l’unico) obiettivo di una nuova consapevole politica per la rinascita dell’Italia è l’ adamantina consapevolezza che l’Italia ha una cultura (intendendo per cultura quell’inestricabile intreccio dialettico fra cultura, arte, storia, economia, religione) che va ben oltre gli ultimi disgraziati settant’anni della sua storia “democratica”. In altre parole questa forza politica deve essere consapevole che questa Kultur deve ritrovare un suo rinnovato Lebensraum che gli dia spazio e che la faccia rinascere. Abbiamo velocemente accennato a parole e a concetti che a molti faranno correre più di un brivido lungo la schiena. Ma da questi brividi bisogna prendere congedo perché derivano dall’ affabulazione dei vincitori della Seconda guerra mondiale totalmente interessati assieme alla (giustissima) damnatio memoriae del nazismo anche alla damnatio memoriae della tradizione geopolitica tedesca (mentre all’atto pratico essa fu da loro accuratamente utilizzata e studiata soprattutto nel secondo dopoguerra) e questo non certo per il bene dell’umanità ma per potere vendere la loro merce avariata dirittoumanistica e democraticistica. C’è quindi in Italia una formazione politica che abbia il coraggio, al di là delle pur giuste ribellioni contro i singoli aspetti dell’operato delle attuali classi dirigenti “democratiche” (vedi la politica migratoria, giustamente avversata da parte di alcune forze ma senza una chiara impostazione teorica) a sostenere un dibattito serrato e sincero su questa “metanoia” teorica ancor prima che pratica della politica italiana? Questo, ovviamente, allo stato non è possibile dirlo. Quello che, tuttavia, è irrinunciabile tener ben fermo nei nostri propositi, deve essere la costante consapevolezza (e quindi la decisione) che è giunto il momento di porre pubblicamente a chi dovrebbe esserne interessato questa problematica teorica. Dalle risposte (e anche dalla nostra decisione nel porre le domande), potrebbero nascere evoluzioni molto interessanti (molto interessanti perché rivoluzionarie) del ad oggi stagnante e maleodorante “caso italiano”. Massimo Morigi – Eraclea (Policoro) 25 agosto 2017.».
Su questo mio post (che, fra l’altro, non era la mia prima espressione su come concretamente si dovesse procedere per iniziare l’edificazione di un gramsciano Nuovo Principe – essa era stata preceduta sul blog “Conflitti e Strategie” in data 3 maggio 2014 da Per una futura (e si spera non lontana) sintesi politico-culturale, post di risposta all’articolo del prof. Gianfranco la Grassa Un assaggio, una riflessione meno teorica ma ancor più – almeno nelle sue velleità – politicamente operativa della successiva pubblicata sull’ “Italia e il Mondo” ma che, ovviamente, ne condivideva gli stessi propositi rivoluzionari: «Per una futura (e si spera non lontana) sintesi politico-culturale degli sforzi di tutti coloro che ritengono completamente esaurita la fase storica della democrazia rappresentativa: 1) Concordare – ed approfondire – a livello teorico sulla natura puramente mitologica delle ideologie che hanno generato la modernità politica, prima fra tutte l’ideologia liberaldemocratica con tutti i suoi allucinatori corollari, in primo luogo l’allucinatoria narrazione dei diritti dell’uomo et similia; 2) Conseguentemente al punto 1, rendere sempre più chiaro e diffuso presso una pubblica opinione sempre più consapevole il fondamentale disvelamento del ruolo unicamente polemogeno dell’ideologia democratica e della sua insostituibile ed unica funzione nell’ambito dello scontro strategico nei suoi vari livelli (politico, economico e culturale) in cui questo si manifesta; 3) Sottolineare al contempo che un rinnovato discorso teorico-politico sulla libertà degli individui e delle sue varie aggregazioni in gruppi organizzati non deve essere lasciato morire assieme alla morte dell’allucinatoria narrazione dei diritti dell’uomo ma deve essere portato ad un livello più alto e consapevole attraverso il riconoscimento pratico e teorico di quello che concretamente significa la libertà, e cioè equilibrio dinamico dei vari livelli di potere che trova la sua espressione e manifestazione attraverso lo scontro strategico; 4) Infine, per quanto riguarda l’Italia e alla luce dei punti 1, 2 e 3 indicare nella sua progressiva neutralità come l’unico svolgimento storicamente sensato (non soluzione perché in storia non si danno soluzioni, quasi che le crisi di civiltà come la presente situazione italiana e delle altre democrazie rappresentative fosse un problema matematico) per la sua crisi politica, economica e culturale, della quale prospettare, appunto, una soluzione attraverso le ordinarie metodologie politiche e culturali indicate dall’ideologia democratica non è altro che una pratica magico-apotropaica utile solo per lasciare indisturbati al comando quegli stregoni – cioè i grandi agenti strategici – che costantemente, attraverso vuoti slogan falsamente scientifici e attraverso il martellamento dei grandi sistemi informativi di ‘distrazione di massa’, operano per insufflare e fissare nelle menti delle masse quegli schemi e risposte automatiche che sono in assoluta antitesi con il modello dello zoòn politikòn, modus operandi ed intima essenza dei quali sono del tutto simili a quella che viene definita mentalità mitico-religiosa. Massimo Morigi – Ravenna 3 maggio 2015». Alla quale seguì immediatamente l’ apprezzamento di La Grassa: «Ringrazio Massimo Morigi dell’intervento. È uno dei pochi che rifletta in termini di analisi della fase e sulla necessità di approntare nuove categorie interpretative. Per il resto, mi preoccupa il fatto che leggere i commenti in questo blog assomigli sempre più a quanto uno vive frequentando facebook. Spero si riesca a cambiare “qualcosina”.» e a cui fece seguito la mia risposta conclusiva: «5 maggio 2015 – La democrazia è un mito politico che oggi, il tempo in cui le decisioni fondamentali sono totalmente sottratte al politico, può trovare fedeli solo presso le masse incolte e nei truffatori di professione di queste masse stesse. Per iniziare quindi nuove sintesi politico-culturali, bisogna intraprendere una previa azione profilattica: denunciare appunto la natura totalmente ed unicamente mitologica della narrazione politica democratica e nel contempo additare alla pubblica esecrazione chi continua a farne truffaldinamente uso (o alla pubblica compassione chi sinceramente se ne dichiara devoto fedele…). Massimo Morigi». Il tutto visionabile e scaricabile all’URL di “Conflitti e Strategie” http://www.conflittiestrategie.it/un-assaggio-di-glg-2-maggio, congelamento WebCite https://www.webcitation.org/6YG6DKlpW, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20210521205830/https://www.webcitation.org/6YG6DKlpW, ed anche caricata autonomamente in pagina formato PDF su Internet Archive generando gli URL https://archive.org/details/PerUnaFuturaEsiSperaNonLontanaSintesiPolitico-culturaleKarlMarx_20/page/n1/mode/2up e https://ia600308.us.archive.org/34/items/PerUnaFuturaEsiSperaNonLontanaSintesiPolitico-culturaleKarlMarx_20/PerUnaFuturaEsiSperaNonLontanaSintesiPolitico-culturale.pdf), su questo mio post, dicevo, nulla da aggiungere e nulla da togliere per quanto riguarda i riferimenti culturali e per quanto riguarda l’analisi politico-filosofica dell’ideologia democraticistica e delle sue classi dirigenti italiane come quelle del resto delle c.d. democrazie industriali.
É invece necessaria, alla luce soprattutto delle ultime vicende epidemiologiche che hanno visto la maggior parte delle già instupidite ed omega-strategiche masse dalla narrazione liberal-democraticistica ora finalmente totalmente asservite, atterrite e definitivamente lobotomizzate dai terroristici ordini castrensi abbaiati dai mass-media (alle quali fanno da contraltare minoritarie ma robuste ed altrettanto poco strategiche masse che al terrore oppongono il rifiuto del pericolo; vale a dire, quando la superstizione scientifica dei primi, i.e. l’idolatria scientifico-virologica, va a braccetto con la diffidenza aprioristica, e quindi altrettanto irragionevole e quindi superstiziosa perché intrinsecamente non dialettica come la superstizione scientifica, sui ritrovati della tecnica, nel caso specifico i vaccini. Siamo generosi, tre padri nobili per quest’ultimi: il Mago del Nord Johann Georg Hamann, Heidegger e Severino, mentre per i primi Popper e Fukuyama, anche se proprio nobili non sono e anche se, con ogni probabilità, non ne hanno mai sentito parlare ma però un tronfio ed accecato pavone tuttologo televisivo ed una altrettanto televisiva vaiassa nazionale sempre col cuore oscenamente in mano non si possono negare a nessuno…), una profonda revisione dell’ottimismo che informava Per un recupero delle prerogative dello Stato nazionale italiano, per la salvaguardia della integrità del Paese, verso una posizione di neutralità vigile e le mie due analoghe considerazioni di cui si è appena detto.
In altre parole, riprendendo le parole di Germinario in Rumor di sciabole bisogna a tutti i costi evitare di «guardare il futuro degli Stati Uniti [ma anche al nostro, N.d.A.] con gli occhi di un secolo fa, piuttosto che coniugare al futuro quelle chiavi interpretative e rendere praticabili i propositi tirannicidi.», in altre parole, sviluppando il ragionamento, bisogna abbandonare l’illusione per le future azioni strategiche di mettere in campo manovre che pianificando di partire magari da piccoli numeri mobilitatori si propongano poi di interessare nell’immediato – ma anche in una dimensione temporale di medio-lungo periodo – più grosse e quindi decisive masse di manovra.
Morte de facto, quindi, del Moderno Principe? Sì se il nostro approccio dovesse rimanere quello informato alla tradizione romantico-rivoluzionaria otto-novecentesca (e non mi riferisco solo a quella marxista ma anche a quella imperniata sulle aspirazioni identitarie dei popoli, in primis a quella mazziniano-risorgimentale), no, invece, se noi di queste tradizioni rivoluzionarie vogliamo mantenere lo spirito strategico-espressivo ma passando da una dimensione tragico-eroica dove le masse si sarebbero risvegliate in breve tempo grazie all’azione di élite illuminate (Mazzini, Lenin, Gramsci e D’Annunzio le quattro massime figure archetipiche della rivoluzione, nonostante l’abissale differenza dei loro progetti sociali, condividevano questa medesima Stimmung. Ricordiamo tangenzialmente che l’impresa fiumana fu la prima e l’ultima volta che un’espressività poetica cercò romanticamente di incarnarsi direttamente e senza mediazioni nell’azione politica e che la Carta del Carnaro di Alceste de Ambris e Gabriele D’Annunzio – vera e propria stranezza ma forse non più di tanto viste le pubbliche rimozioni sulla storia contemporanea ed anche meno recente d’Italia, unico URL rilevato dove sulla Rete ci è stato dato di incontrarne il testo: http://www.dircost.unito.it/cs/pdf/19200000_Carnaro_DAnnunzio_ita.pdf, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20140910120022/http://www.dircost.unito.it/cs/pdf/19200000_Carnaro_DAnnunzio_ita.pdf – fu il primo documento di natura costituzionale che cercò, alla luce di un socialismo di stampo mazziniano, di combattere l’anomia del sistema liberal-capitalistico: si vedano gli articoli LXIII – titolo: Della edilità –, LXIV – titolo: Della musica – e LXV esclusivamente dedicati all’arte urbanistica e alla musica come mezzo per elevare il popolo, fascistica estetizzazione della politica o benjaminiana politicizzazione dell’estetica? Nel dubbio, una sola certezza: la nostra vigente costituzione non è certo la costituzione più bella del mondo…) a una più sottile, sotterraneamente più pervasiva e tesa a minare e spiazzare con inusitati ironici aggiramenti e creative metafore, dialettiche imprese, associazioni, intese ed azioni il portato politico, culturale, epistemologico e gnoseologico della presente civiltà nata dal rifiuto della tradizione aristotelica e politicamente trionfante con l’Illuminismo e, in finale stazione d’arrivo, culturalmente avvelenante ogni slancio dialettico-strategico-espressivo col positivismo ed il neopositivismo (e su come possa teoricamente svilupparsi il rifiuto di questa eredità non intendo proprio dilungarmi, avendolo fatto praticamente in ogni luogo. La presente comunicazione è stata monopolizzata dal riferimento a Carl Schmitt, chi ci ha seguito anche altrove sa bene che a questo “timido decisionista” proprio non ci si è fermati…).
Non per essere più chiari ma però nel proposito di iniziare il percorso degli spiazzanti inusitati ironici aggiramenti e creative metafore, dialettiche imprese, associazioni, intese ed azioni, si tratta di passare dalle tragiche ma anche ironiche Weltanschauung da Le confessioni d’un italiano di Ippolito Nievo o da L’armata a cavallo di Isaac Babel ad aspettative e tentativi di espressività strategica che possono trovare nel Gioco delle perle di vetro di Hermann Hesse il loro specchio riflettente altrettanto ironico ma nel contempo anche creativamente deformante proprio per la momentaneamente sospesa – e quindi, in ultima analisi, ancora più dirompente in prospettiva di lungo periodo – attiva tragicità storica.
Pur nelle loro profonde differenze rilevate da Germinario, le due lettere dei militari francesi e statunitensi così brillantemente da lui discusse, denotano, assieme ad una volontà di azione, pure una totale mancanza totale lucidità sulla natura della crisi di civiltà che ha pur suscitato la loro volontà di azione ed espressione presentandosi perciò come l’ultimo e più elitario frutto (elitario non nel senso di una apprezzabile elaborazione teorica ma nel senso di interpretazione di un sentimento di massa più generale – cioè di un sentimento condiviso da un gran numero di agenti omega-strategici e che attraverso questa condivisione definiscono la loro identità sia subalterna ma anche di contrapposizione all’esistente – da parte di agenti quasi alfa-strategici che per convinzione e/o tornaconto danno voce a questo sentimento) della più vasta e di massa volontà di azione e di rifiuto di omologazione, che si accompagna ad una ottenebrata e non chiara visione culturale della posta in gioco, di quella parte dell’America profonda e soprattutto rurale ma anche di (ormai ex) aristocrazia operaia ed artigiana che oggi si riconosce politicamente in Donald Trump è che è stata meravigliosamente descritta da Gianfranco Campa in Verso la guerra civile (documento all’URL http://italiaeilmondo.com/2020/05/16/verso-la-guerra-civile-il-tramonto-dellimpero-usa_2a-parte-di-gianfranco-campa/, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20210201075858/http:/italiaeilmondo.com/2020/05/16/verso-la-guerra-civile-il-tramonto-dellimpero-usa_2a-parte-di-gianfranco-campa/), una Stimmung quella di questa America profonda che con ardente spirito anche se non con adeguati strumenti conoscitivo-teorici (il risibile mito da parte di costoro di un ritorno allo spirito originario della Costituzione federale del 1789) si oppone – anche se fino ad ora inanamente a quanto pare, ma il futuro è nelle mani di Dio e anche nelle loro e perché no? anche nelle nostre se dialetticamente ed espressivamente ispirate: vedi il progetto ove «Separatist Group Seeks To Move Oregon Border To Create ‘Greater Idaho’», all’URL https://www.opb.org/news/article/move-oregon-border-greater-idaho-petition/?fbclid=IwAR3KVUbaOrEQCYmmM21wE0ZLuLWxSEZa28cXylp_kjdxIN3xuIQI4bschcU, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20200224151627/https://www.opb.org/news/article/move-oregon-border-greater-idaho-petition/ e, al riguardo, vedi anche l’ultima videointervista di Giuseppe Germinario a Gianfranco Campa, pubblicata sull’ “Italia e il Mondo” in data 29 maggio 2021, Stati Uniti! Il Gran Cavaliere, il Grande Idaho, il caro estinto, all’URL del blog http://italiaeilmondo.com/2021/05/29/stati-uniti-il-gran-cavaliere-il-grande-idaho-il-caro-estinto_con-gianfranco-campa/, all’URL del canale YouTube del blog https://www.youtube.com/watch?v=2L6Np7j6RcY&feature=emb_logo e infine agli URL del nostro congelamento Internet Archive https://archive.org/details/stati-uniti-il-gran-cavaliere-il-grande-idaho-il-caro-estinto-480p e https://ia601505.us.archive.org/19/items/stati-uniti-il-gran-cavaliere-il-grande-idaho-il-caro-estinto-480p/Stati%20Uniti%20Il%20gran%20cavaliere%20il%20Grande%20Idaho%20il%20caro%20estinto_480p.mp4 – all’anomia e alla conseguente progressiva erosione degli spazi di libera strategicità dell’individuo e delle formazioni sociali in cui questo si riconosce tipiche di questa tarda società liberal-capitalista, una Stimmung fra l’altro molto simile a quella descritta da Delio Cantimori nella sua analisi sulla Germania di Weimar e sulla reazione contro questa costituita dalla Konsevative Revolution e dai gruppi giovanili di destra e/o rossobrunisti che, con idealità confuse ma grande ardore nei propositi, fecero da mosche cocchiere alla presa del potere da parte del nazionalsocialismo, argomento per il quale si rinvia al già citato Massimo Morigi, Delio Cantimori, Carl Schmitt, l’occasionalismo e il romanticismo politico del Repubblicanesimo Geopolitico per una lettura inattuale della lettre à Monsieur le Président e del suo commento di Giuseppe Germinario e sottolineando che la fascinazione-distanziamento del grande storico italiano verso questi movimenti può anche essere stato un tratto certamente nicodemico ma anche atteggiamento euristicamente utile e dialetticamente creativo qui ed ora nelle nostre prossime mosse del gioco delle perle di vetro. (Scriveva Delio Cantimori su questi movimenti: «Questo mondo è caotico e convulso, violento e fremente nella Germania di questi ultimi anni. Fra i più agitati ed estremisti perché in sommovimento, radicali perché non fiduciosi nella storia, anarchici per nostalgia d’ordine assoluto, ha trovato fortuna lo Schmitt. Per tutti ricorderemo il più vigoroso e onesto fra gli scrittori che hanno rappresentato e alimentato con eloquenti parole tale stato d’animo: lo Jünger. Accanto a lui il Salomon, A. E. Günther, il Niekisch, e con lui, più vecchi, il Moeller van den Bruck, Hans Grimm, e infiniti altri: uomini ora, venuti su durante la guerra, che hanno costituito, come è stato detto, “una generazione di giovani usi all’agire e impreparati al pensare quant’altri mai nell’era moderna”: irosi, al ritorno dalla guerra o all’ascoltare i maggiori raccontare di quelle esperienze terribili che ne avevan fatto il carattere e segnato indelebilmente la mente, contro la società “borghese” nella quale tornavano: il mondo della Germania del dopo guerra, con gli inetti e timidi politici della socialdemocrazia, pavidi contro le forze della ribellione delle plebi, e perciò strumento in mano degli antichi avversari politici, con la disgregazione morale e materiale di un paese in disfatta, vivente, per quanto riguarda la vita spirituale, sugli avanzi di convinzioni dimostrate vane dalla storia, su vaghe speranze o atroci determinazioni, caotico, in continuo sommovimento, pieno d’incertezza. In quel mondo, quegli uomini non potevano inserirsi, a meno di rinunciare a se stessi, di cedere alla sua ipocrisia, a quelle convenzioni che l’inesperienza giovanile, questa volta indurita e incapace di svolgimento per aver compiuto l’immane impresa della guerra, non era capace di accettare per superare. Essi che cercavano certezza non potevano trovarla in quel disfacimento: e si misero ad accelerarlo con la loro opera di distruzione, nei campi opposti, ma sullo stesso piano, del comunismo estremista e del radicalismo nazionalista: nella ribellione. Che era una ribellione di disperati, di “figli della borghesia”, della borghesia prussiano-guglielmina, che a tanti prima della guerra mondiale appariva come modello di salde virtù. Lavoro, dovere, senso dello stato, della famiglia, amore della cultura…: chi non ricorda le apologie del Treitschke per quel mondo, dal quale i giovani già negli anni precedenti alla guerra cercavano di sfuggire con il movimento così ingenuo oggi ai nostri occhi, della Jugendbewegung? Tutte quelle certezze, la sicurezza di quell’ordine costituito, che questi giovani ricercavano al ritorno della terribile esperienza, non c’erano più: scomparsi nel dissolvimento della sconfitta, nella esagitazione delle ribellioni, mentre gli occhi della mente fissi per tanto tempo agli strumenti di guerra e alle stragi non riuscivano a scorgere sotto il tumulto degli affetti della dolorosa pace le fila nascoste da seguire, i frammenti e le rovine su cui edificare, le luci su cui orientarsi per riconquistare una sicurezza, una certezza.»: Delio Cantimori, La politica di Carl Schmitt, “Studi Germanici”, 1, 1935, citato da Luisa Mangoni (a cura di), Delio Cantimori, Politica e storia contemporanea. Scritti (1927-1942), Torino, Einuadi, 1991, pp. 246-247 ma citabile anche da Massimo Morigi, Flectere si nequeo superos acheronta movebo. Delio Cantimori, Carl Schmitt, l’occasionalismo e il romanticismo politico del Repubblicanesimo Geopolitico per una lettura inattuale della Lettre à Monsieur le Président e del suo commento di Giuseppe Germinario, cit.. Mondo caotico e convulso, violento e fremente di coloro che volevano abbattere la Repubblica di Weimar e mondo caotico e convulso, violento e fremente di coloro che negli Stati Uniti non accettano la sconfitta di Trump e dei Proud Boys che attaccano Capitol Hill. Persino troppo facile parlare di corsi e ricorsi, in specie per quanto riguarda la cenere e i diamanti di questo lungo secondo dopoguerra… .).
Certamente sono convinto che questa America profonda, rurale e trumpiana – ad oggi ancora persa ed ottenebrata nei suoi antistorici ed antidialettici miti di una incorrotta purezza originaria da mantenere a tutti i costi inalterata – non saprebbe proprio cosa farsene di un Nuovo Principe e della sua nuova strategia del gioco delle perle di vetro (lo sciamano Jake Angeli però è un bel segnalatore d’incendio che nel mito dello spirito originario della Costituzione degli Stati Uniti si stanno innestando elementi extravaganti che sono in diretta antitesi con la mentalità ed i propositi dei padri fondatori i quali, fra l’altro, ponendo come massimo obiettivo la sola felicità individuale così come la poteva concepire un capitalista o aspirante tale del Diciottesimo secolo, avevano costruito lo strumento ideologico di matrice illuminista per la disumanizzazione e quindi l’annientamento e lo sterminio delle popolazioni native, che questa felicità individuale – vera e propria Urform dell’attuale individualismo metodologico – proprio non riuscivano nemmeno a concepire essendo mosse da una totalitaria mentalità comunitaria ed animista. (A questo proposito, si veda che in quella stessa Declaration of Indipendence del 4 luglio 1776 dove, dopo che con alate parole fra le verità di per sé evidenti venivano poste l’uguaglianza, la vita, la libertà e la ricerca della felicità – «We hold these Truths to be self-evident, that all Men are created equal, that they are endowed by their Creator with certain unalienable Rights, that among these are Life, Liberty, and the Pursuit of Happiness–» –, veniva messo in stato di accusa il re della Gran Bretagna Giorgio III e uno delle accuse più gravi era quella di avere utilizzato gli spietati nativi contro i coloni: «The History of the present King of Great-Britain is a History of repeated Injuries and Usurpations, all having in direct Object the Establishment of an absolute Tyranny over these States. To prove this, let Facts be submitted to a candid World. […] He has excited domestic Insurrections amongst us, and has endeavoured to bring on the Inhabitants of our Frontiers, the merciless Indian Savages, whose known Rule of Warfare, is an undistinguished Destruction, of all Ages, Sexes and Conditions.», dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti citata dalla pagina all’URL https://www.constitutionfacts.com/content/declaration/files/Declaration_ReadTheDeclaration.pdf, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20101226182606/https://www.constitutionfacts.com/content/declaration/files/Declaration_ReadTheDeclaration.pdf. Curiosa ma non superflua nota a margine. «According to Joint Resolution 175 of the 103rd Congress: the phrase in the Declaration of Independence ‘All men are created equal’, was suggested by the Italian patriot and immigrant Philip Mazzei.» – da Wikipedia all’URL https://en.wikipedia.org/wiki/Philip_Mazzei#Mazzei_letter, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20210530073318/https://en.wikipedia.org/wiki/Philip_Mazzei e qui di seguito anche l’URL della pagina che riporta la Joint Resolution 175 of the 103rd Congress, https://www.govinfo.gov/content/pkg/BILLS-103hjres175eh/pdf/BILLS-103hjres175eh.pdf, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20200928183532/https://www.govinfo.gov/content/pkg/BILLS-103hjres175eh/pdf/BILLS-103hjres175eh.pdf. Soprassalto di orgoglio nazionalistico nel sottolineare che la frase della dichiarazione d’indipendenza “tutti gli uomini sono creati uguali” è, in questa specifica formulazione, da attribuirsi all’italiano Filippo Mazzei? Può darsi, ma sarebbe meglio dire che, piuttosto, siamo sempre dalle parti della cenere e dei diamanti. Filippo Mazzei, originariamente di professione medico, si era trasferito dall’Italia alla Virginia per coltivare colà la vite, ulivi, agrumi e seta. Come dotazione di capitale per iniziare questa avventura imprenditoriale – nel corso della quale aveva potuto crearsi amicizie altolocate, fra cui il padre fondatore degli Stati Uniti Thomas Jefferson: la sua «tenuta (“Colle”) nella contea di Alberarle non [era] distante da quella (“Monticello”) di Thomas Jefferson.», fonte: Toscana Medica. Mensile di informazione e dibattito per i Medici toscani a cura dell’Ordine dei Medici e degli Odontoiatri di Firenze, all’URL https://www.toscanamedica.org/106-toscana-medica/frammenti-di-storia/363-filippo-mazzei-un-toscano-illustre-che-fu-anche-chirurgo, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20200922234039/https://www.toscanamedica.org/106-toscana-medica/frammenti-di-storia/363-filippo-mazzei-un-toscano-illustre-che-fu-anche-chirurgo – si era portato dall’Italia degli endentured servant, qualcosa di poco meno che schiavi. Cenere e diamanti… .).
Ma, poco importa. Come promesso, col nostro nuovo gioco delle perle di vetro, saremo noi a vedere cosa potremo farcene dello sciamano accostandoci così, seppur non nei tempi da noi desiderati e con assai diverso ed inferiore stile rispetto ad un Principe di Machiavelli o a un Che fare? di Lenin (ma, non diversamente da loro, con immutati propositi sempre all’insegna della virgiliana strofa ‘Flectere si nequeo superos, Acheronta movebo’) a Verso la guerra civile e alla sua (e si spera anche nostra) Epifania Strategica.
P.S. La scarcerazione di Giovanni Brusca proprio perché avvenuta su disposizione delle vigenti leggi e quindi esito inevitabile e necessitato dal principio di legalità ma una legalità concepita da un sistema politico marcio e criminale alle radici pone definitivamente fine alla legittimità della repubblica nata il 2 giugno 1946 (liberazione di Brusca che, oltre alle micidiale azione disgregatrice a livello cultural-antropologico e di quel poco che rimaneva del senso del bene comune, ci colloca ad un livello di civiltà analogo a quello delle società che praticano il cannibalismo e/o i sacrifici umani: non hanno considerato i balordi stenterelli dell’odierno italico realismo politico d’accatto – non certo gli eredi di Machiavelli e Gramsci ma semmai di Pulcinella, ma a questi sempiterni eroi del politicamente corretto manca la popolaresca tragicomica forza di questa maschera napoletana conservandone solo il meschino opportunismo e vigliaccheria – che magnificano questo accaduto come un prezzo che si doveva pagare per sconfiggere (?) la mafia che questa vicenda getta l’Italia nel più profondo discredito internazionale?, con i suoi conseguenti pesantissimi ed irrimediabili danni reputazionali, politici e, in ultima istanza, economici?, innnescanti in prospettiva strategica e dei rapporti di forza fra il de facto protettorato euroatlantico che va sotto il nome di Italia e gli agenti alfastrategici di questo protettorato relazioni ancora più vessatorie e coloniali di quelle già sfavorevolmente peggiorate dalla crisi del Coronavirus e fra le grandi potenze che non appartengono a questo perimetro di forze aggravanti ulteriormente comportamenti falsamente amichevoli ma, in realtà, giustamente sprezzanti ed aggressivi verso un paese che ha dimostrato in maniera così vergognosa di non possedere alcuna spina dorsale morale prima ancora che politica). Ad di là di tutti gli spiazzanti inusitati ironici aggiramenti e creative metafore, dialettiche imprese, associazioni, intese ed azioni di cui abbiamo detto, solo partendo dall’ assai poco metaforico esplicito e pubblico riconoscimento di questa catastrofe che ha incenerito la legittimità storica, politica e morale di questa repubblica, sarà possibile la costruzione di un dialettico percorso di nuova e strategica pubblica artistica e creativa espressività (un tempo avremmo detto ‘di rinascita nazionale’, oggi la nostra pubblica definizione identitaria deve ironicamente evolversi dai romantici stilemi herderiani e mazziniani da dannunziano Manuale del Rivoluzionario ma mantenendone inalterato il nocciolo). Flectere si nequeo superos, Acheronta movebo.
Massimo Morigi – giugno 2021
INTERVISTA AD ORLANDO (VITTORIO EMANUELE), di Teodoro Klitsche de la Grange
INTERVISTA AD ORLANDO (VITTORIO EMANUELE)
Nubi minacciose si addensano sulla legge Severino: lega e radicali la vogliono – dice la stampa- abrogare per referendum. Un’invadenza inammissibile e sguaiata della volontà popolare in una materia (e vicenda) riservata alle élite. Allo scopo di farcela chiarire, abbiamo chiesto un’intervista ad Orlando, cioè a Vittorio Emanuele (e non al ministro PD) autorevolissimo statista e giurista. Ci è parso il più titolato a discuterne. E gentilmente ce l’ha concessa.
Caro Presidente che ne pensa della giurisdizione “politica” (e ordinaria) nei confronti delle massime autorità dello Stato?
Che ho scritto proprio della massima, cioè, ai miei tempi, quella del Re. Questi è inviolabile e ciò “significa che la persona del monarca non è soggetta ad alcuna giurisdizione; o, in altri termini, non esiste nello Stato alcuna autorità o potere capace di esercitare un’azione coercitiva sulla persona del Re. Il che importa, pure, che Egli non può sottostare al comando di alcuna autorità, non potendosi dare, nel campo del diritto, un comando che non sia assicurato da sanzioni coattive”. Se c’è un potere che “comanda” al Re o a similari “organi sovrani” significa il sovrano è colui che giudica e non chi è giudicato.
Ma così si crea un potere irresponsabile.
Ed è inevitabile: “un aspetto della nozione di inviolabilità dà luogo al concetto di irresponsabilità politica…Quanto poi a tutta la giurisdizione penale, poiché essa dà sempre luogo, in atto o in potenza, ad una coazione fisica, esercitata sulla persona, la norma dell’inviolabilità importa che il Re non può mai esservi sottoposto. Il che significa che, astrattamente, il Re potrebbe commettere un reato e restare impunito… ” per cui il principio onde il Re è sottratto ad ogni giurisdizione è imposto da una assoluta necessità; “poiché ognun vede come quell’autorità (per es., un giudice istruttore), che potesse disporre con un suo ordine della libertà e della persona del Capo dello Stato, avrebbe virtualmente un potere superiore; non sarebbe possibile distinguere l’arresto del Re dalla destituzione di esso. Il che importerebbe una contraddizione anarchica, poiché il Re non sarebbe più un Organo Supremo, ed anzi il Capo dello Stato il quale, per ciò stesso, non può nello Stato ammettere alcun superiore”.
Potrebbe spiegarcela più in dettaglio?
Certo. L’irresponsabilità può “considerarsi innanzi tutto da un punto di vista di ordine politico e poi da un punto di vista giuridico. Politicamente pare che abbia un’elevata ragione e risponda ad un interesse pubblico gravissimo il sottrarre la persona” del “sovrano” sia a censura diretta che ad “attriti pericolosi fra i più elevati poteri pubblici, che potrebbero poi degenerare in un dissidio irreparabile, col danno o della libertà dei cittadini o della forza dello Stato”. E poi vi sono altre forme di responsabilità che già Benjamin Constant considerava più consone alla natura del rapporto e della funzione.
Ma oltre che al Re, come Lei ha scritto, si applica anche agli “organi sovrani” dello Stato, al Parlamento per primo.
Come ho sostenuto questa è una specie particolare della “questione generale della natura dell’immunità parlamentare in relazione con la teoria degli organi sovrani”.
Ma così la giustizia non è più uguale per tutti…
Dicono nei talk-show. Ma se lo fosse non esisterebbe più lo Stato, come pensava un mio collega francese. La realtà è che ogni istituzione politica si fonda sul presupposto del comando/obbedienza, che ovviamente è un rapporto tra disuguali.
Perciò ritengo che è normale che in ogni regime politico vi sia un tale tipo di diseguaglianza. Questa è la regola e non l’eccezione e cioè “che le immunità parlamentari sono da considerarsi non come diritto di eccezione ma facciano parte, invece, del diritto comune e quindi si pongano in via di regole generali ed anzi come capisaldi di tutto l’ordinamento giuridico, dato, si intende, lo Stato rappresentativo”. Ossia quello che voi chiamate “democratico-liberale”.
E la storia dimostra che, pur contestato e anche se lesivo del principio di eguaglianza, in regimi democratici, il principio dell’immunità degli “organi sovrani” è stato sempre vigente “Questa forza di resistenza del principio… basterebbe da sola ad attestare la necessità del suo riconoscimento; possiamo aggiungere ora che vale a dimostrare che quel principio si pone come una condizione dell’istituto parlamentare, ed ha quindi in ciò il titolo di un vero e proprio diritto comune per quegli Stati il cui ordinamento su quell’istituto si fonda” come la vostra Repubblica.
E la ragione, ancor più per un regime democratico, è duplice: se non fosse la volontà popolare a decidere chi comanda, ma un ufficio giudiziario, sarebbe anche leso il principio che, in democrazia, è il popolo a eleggere (e non confermare) da chi vuol essere governato.
Per cui?
Meglio che sia il popolo e non altri a deciderlo. Come scriveva Machiavelli “i pochi sempre fanno a modo de pochi”. Per cui è meglio che lo facciano tutti.
Teodoro Klitsche de la Grange
La vena malinconica del varietà, di Roberto Buffagni
caro buffagni e tutti gli altri, complimenti ho letto il suo pezzo e mi ha affascinato, ma ci terrei a chiarire che dramma e tragedia non sono la stessa cosa: la tragedia è irreparabile, sei andato a letto con tua madre e hai ucciso tuo padre, la tragedia racconta le conseguenze di un atto irreparabile…..il dramma invece racconta come si sviluppano fatti dalle conseguenze drammatiche: t’innamori di tua sorella, le uccidi il marito. la violenti, lei si uccide per la vergogna, tu diventi pazzo, la vecchia madre rimane sola e piange……la commedia è il racconto di fatti e sentimenti normali…….la farsa o la comicità è lo svelamento di fatti tragici, drammatici o normali in forma paradossale, il buffone di corte…..la suddivisione non è accademica ma corrisponde alla vita reale, a tutti capita di vivere situazioni tragiche, drammatiche, da commedia o comiche, paradossali…….detto questo è vero gli italiani mancano del senso del tragico e rifiutano il dramma, girano tutto in commedia, infatti non abbiamo mai avuto veri comici ma commedianti border line con la comicità, vero è che perdono una guerra disastrosa, viene distrutto un sistema sociale cui la larga maggioranza aveva aderito vengono occupati da truppe straniere e fingono di averla vinta la guerra, di entrare a milano quando non c’era più nessuno ad opporsi e le truppe alleate erano ad un tiro di schioppo…..forse gli unici veri comici di quelli citati sono stati walter chiari e bramieri che facevano ridere senza essere personaggi in commedia
caro buffagni, la definizione di tragedia come conseguenze di un evento irreparabile è propria del teatro greco, quello cui lei si riferisce è il dramma, infatti lei è costretto a dire “il genere drammatico”………il resto del ragionamento fila: puoi essere attratto da tua sorella ma devi decidere da solo se soddisfare il tuo desiderio in qualsiasi modo o soffrire senza soddisfarlo…..ripeto le definizioni non sono accademia ma specchio della vita reale
Carl Schmitt, Romanticismo politico, a cura di Carlo Galli_recensione di Teodoro Klitsche de la Grange
Carl Schmitt, Romanticismo politico, a cura di Carlo Galli, il Mulino, Bologna 2021, pp. 248, 23 euro.
La grande attenzione con cui il pensiero di Carl Schmitt è stato considerato in Italia a far tempo dalla pubblicazione delle “Categorie del politico” ha (indotto e) prodotto anche una serie di ri-edizioni delle opere del giurista. A partire proprio dalle “Categorie del politico” (ora riedite da Il Mulino), dalla “Dittatura” e (a parte altro), fino ad adesso con “Romanticismo politico”. Questo viene pubblicato dal Mulino, curato come la precedente edizione (Giuffré 1981) da Carlo Galli, che vi ha premesso una nuova presentazione.
Prima di considerare quest’ultima, è bene sintetizzare quanto scriveva Schmitt sul romanticismo. Sostiene che “Il romanticismo è occasionalismo soggettivizzato: gli è infatti essenziale il rapporto occasionale col mondo, ma, al posto di Dio, è il soggetto romantico a occupare la posizione centrale. Partendo da questa, poi, trasforma il mondo, con tutto ciò che vi accade, in mero pretesto. Proprio questo spostamento dell’istanza suprema da Dio al soggetto geniale muta l’intera prospettiva, e porta alla luce l’occasionalismo nella sua purezza. Nei vecchi filosofi dell’occasionalismo, come Malebranche, era sì presente il concetto dissolvitore di occasio, ma la legge e l’ordine venivano ritrovati in Dio, l’Assoluto oggettivo”. Diversamente che nei filosofi dell’occasionalismo. “Ben diversamente avviene quando a realizzare la sua attitudine occasionalistica è l’individuo isolato ed emancipato”.
L’individuo così finisce per vagare nell’illimitato e nell’inafferrabile “L’occasione appare allora davvero come relazione con l’immaginario, e – secondo le diverse individualità dei romantici – con l’ebbrezza o il sogno, con l’avventura, la fiaba o rappresentazione magica. Da occasioni sempre nuove nascono mondi sempre nuovi, sempre occasionali, mondi senza sostanza, senza relazioni funzionali, senza sicura direzione, mondi privi di conclusione, di definizione, di decisione”.
E quando tale attitudine passa dall’estetica alla politica, ha un effetto disgregatore. Derivato dalla perdita di contatto – e quindi di “presa” sull’oggetto. Proprio da ciò consegue che il romanticismo “è al servizio di altre energie non romantiche, e la sua sublime superiorità rispetto alle definizioni e alle decisioni si rovescia in un accompagnamento servile di forze e decisioni romantiche”. Ma il tutto ha influenzato l’epoca moderna e post-romantica “Soltanto in una società minata dall’individualismo la produttività estetica del soggetto poteva porsi a sé stessa come centro spirituale della realtà”.
Scrive Galli nella presentazione che a giudizio di Schmitt “La mancanza di un rapporto causale o normativo fra soggetto e oggetto, fra romantico e mondo, dà luogo nel romanticismo a una produttività che consiste nel costruire un mondo soggettivo e fluttuante, esclusivamente estetico, elaborato con materiali presi a prestito da ogni ambito della realtà effettuale”.
Il romanticismo è “un rischio immanente alla modernità, una malattia esplosa in una fase storica determinata, ma in agguato, latente, nelle strutture profonde del pensiero moderno… Il soggettivismo moderno e la sua dialettica, la sua presunzione e la sua nemesi; il logos che è chiacchiera: tutto ciò è la posta in palio, in Romanticismo politico”.
Il pensiero borghese ne condivide i limiti “all’interno della radicata sfiducia schmittiana nel dispositivo razionale moderno che dà al soggetto il potere di disporre dell’oggetto, di concettualizzarlo pienamente, borghese è chi crede che con la libertà soggettiva si possa costituire la politica, che invece passa attraverso il conflitto e la forma”. E ancora esistono altri romanticismi, quelli contemporanei dell’uomo post-moderno nel mondo della realtà virtuale “con il suo preteso protagonismo e con la sua reale subalternità”. “C’è da chiedersi insomma se, dal tempo del romanticismo ottocentesco attraverso il tempo dell’irrazionalismo avanguardistico primo-novecentesco fino all’epoca post-moderna, il rapporto fra oggettività, ma più in generale fra razionalità e non-razionalità, ruoti su sé stesso presentando sempre, in facce diverse, la medesima indeterminatezza”.
Due considerazioni, partendo da quella di Galli sui romanticismi contemporanei, che contribuiscono a rendere di interesse anche attuale questo saggio di Schmitt, risalente a circa un secolo fa. L’attitudine romantica (ma non solo) a soggettivizzare e esteticizzare (e così de-politicizzare) l’oggetto, soprattutto politico, è evidente nella c.d. “antipolitica”, almeno in gran parte di essa. La politica ha a che fare con oggetti concreti e rapporti reali: potere e libertà, amico e nemico. Ma se un’azione, un uomo o un comportamento viene giudicato non sulle capacità di attingere alla funzione della politica, ma sull’apprezzabilità estetica (o altro), il risultato è una (cattiva) propaganda. Che Achille fosse bello e valoroso non significava che non fosse pericoloso, almeno per i troiani, né che occorre giudicare politicamente la caduta di Troia dalla poesia dell’Iliade. Cosa che nella comunicazione contemporanea è praticata in continuazione non solo confondendo la politica con l’estetica, ma anche con altre “essenze” (Freund).
La seconda: non solo la politica, ma anche il diritto si regge sul rapporto equilibrato tra soggetto ed oggetto. Anzi il problema (principale) dell’applicazione del diritto è che la decisione dell’applicatore sia conforme al rapporto giuridico ed alla normativa ad esso applicabile.
Se non vi siano istituti e norme ad assicurare tale ragionevole corrispondenza, il soggettivismo del funzionario straripa in arbitrio illimitato. Magari dal “sistema” giustificato moralmente più che esteticamente. Tuttavia è proprio il pensiero borghese ad aver creato le più raffinate forme ed istituti per garantire – per quanto possibile – la corrispondenza tra diritto e decisione concreta (come, ad esempio la distinzione dei poteri – o i controlli di legittimità). Quindi il romanticismo politico, sotto tale aspetto, appare come una degenerazione (anche) rispetto al costituzionalismo liberale, la cui diffidenza verso la soggettività di governanti (e funzionari) emerge prepotente.
Teodoro Klitsche de la Grange