TRE CONSIGLI GRATUITI, di Antonio de Martini ma … PER ANDARE DOVE?, di Pierluigi Fagan

TRE CONSIGLI GRATUITI

( e leggete le tre frasi che scrisse Bovio ai piemontesi che calavano a Roma)

Con la fine del fascismo, nel 1943, si bruciò la classe dirigente monarco-piemontese di origini nobiliari e alto borghesi, che, per durare, si era alleata sul finale con una classe pseudo-militar-borghese sorta dallo scontento provocato dai risultati non ottenuti con i sacrifici della prima guerra mondiale.

Nel secondo dopoguerra, è subentrata la classe dirigente cattolica, allevata dalle organizzazioni ecclesiali nei residui spazi di libertà lasciati dal regime precedente.

La sua indulgenza verso la corruzione – forse stimolata dal sacramento della confessione che ha inculcato il principio che tutto può essere perdonato – l’ha spinta con gli anni a emarginare il fondatore don Sturzo e ogni elemento motivato da afflato etico ed infine a cooptare nell’area del potere – sempre per durare- la classe dirigente alternativa sorta in seno al proletariato, emasculandola. ( nell’ordine: prima i socialisti, poi il sindacato, comunisti e infine persino i fascisti residuali).

Con l’arrivo delle crisi petrolifere che richiedevano competenze estranee alla cultura cattolica, siamo anche andati alla ricerca di una qualche forma di commissariamento affidandoci alla scuola economica sorta dagli uffici studi di Bankitalia. ( Ciampi, Dini, Draghi ).

Poi l’imprenditoria grande e piccola con Berlusconi, De Benedetti e imitatori minori.

Il passaggio dell’affidarsi alla magistratura e ai cosiddetti ” professori” è stato il più recente tentativo e di gran lunga il peggiore.( da Di Pietro a Monti a Grasso).

Con questo ultimo tentativo di ieri, abbiamo fatto ricorso ai borghesi piccoli piccoli di Monicelliana memoria.
Lo scontento per i risultati non ottenuti coi sacrifici del decennio scorso è stato il motore della nuova ondata.

Permeata di buon senso pratico, questa nuova ondata di governanti si è presentata con un fritto misto in cui sono rappresentate schegge di tutte le precedenti esperienze.

Questo fenomeno inusitato, ha provocato un moto di sorpresa che ha, in qualche senso, placato la pubblica opinione che ha visto con favore il cadere di alcuni steccati ideologici, sociali e di età che avevano condizionato le precedenti esperienze di selezione.

C’è una sola certezza: porteranno al vertice istanze e i malumori popolari dato che provengono dagli strati più bassi della popolazione.

Che riescano a dominare la situazione, identificare e risolvere i problemi, è tutto un altro argomento e dipenderà in larga parte dalla insensibilità al fascino dell’arricchimento personale.

Ai nuovi arrivati, tre consigli: evitate di farvi cooptare dalle vecchie classi dirigenti. Se fossero stati bravi, non sareste dove siete.
Guardatevi dalla arroganza e circondatevi di individui competenti, sostituendoli senza pietà al minimo sospetto di mala fede.

Se comincerete con udienze papali e cene nelle terrazze romane, finirete molto peggio di coloro che state sostituendo perché sarete giudicati usurpatori.

Abbiamo tutti una sola speranza. Fare peggio dei predecessori è praticamente impossibile.
Dimostratecelo.

PER ANDARE DOVE DOBBIAMO ANDARE, PER DOVE DOBBIAMO ANDARE?

Negli spostamenti progressivi della inquadratura del “problema”, stiamo piano-piano scoprendo che nel mondo grande e terribile (Gramsci), ci sono almeno due variabili di cui tenere conto. Lo si vede nelle oscillazioni tra economisti e geopolitici, entrambi -diciamo così- “critici”.

I primi giustamente intenzionati ad alzare il livello di frizione con la Germania, a costo di far finta di non vedere l’interessata amicizia americana (e britannica) sempre pronta col divide et impera a rompere la sfera di potenza tedesca che è l’euro-UE ed usarci così per giochi geopolitici. I secondi giustamente allarmati dal fatto che scappar da Berlino per mettersi nella mani di Washington, fa un po’ trama di film di Romero tipo “La notte dei morti viventi”, lì dove scappi da uno zombie per finire in braccio a quello che pensi un amico e che poi si rivela un mostro ben peggiore del primo.

Il punto è la sovranità. Non quella elementare e spezzettata nei vetri triangolari del caleidoscopio della nostra immagine di mondo che o parla di economia o parla di geopolitica, ma quella che riunisce in sé l’economia, la geopolitica, la cultura, la demografia ed ogni altro aspetto del tutt’uno di cui è fatta una società: la sovranità politica. Abbiamo scoperto che non abbiamo sovranità economica ma se è per questo non l’abbiamo neanche militare e tasse ed esercito sono i presupposti per fare Stato, quindi non abbiamo sovranità politica o quantomeno ne abbiamo una molto debole.

La cosa non solo dovrebbe preoccuparci per il senso di minorità oggettiva che ciò comporta, cosa di per sé grave, ma anche per il fatto che se invece che dal presente andare al passato (ah, non dovevamo firmare Maastricht, ah non dovevamo diventare una colonia americana dal dopoguerra in poi) andiamo al futuro, il nuovo mondo denso, complesso e multipolare con 10 miliardi di individui, darà carte da gioco viepiù peggiori tanto meno “potenza” (in senso completo, quindi politico come somma di tutti gli altri aspetti) si avrà. Lo studio PWC The Long View prevede che, nel 2050, noi italiani saremo la 21° economia la mondo. Va un po’ meglio ai francesi (12°) ma non tanto da potersi ancora definire una potenza e difendere il seggio al Consiglio di Sicurezza ONU, ma va anche peggio a gli spagnoli (26°), per non parlare di greci e portoghesi.

Servirebbe allora un piano, non solo un Piano B tattico per districarci nei rapporti di forza all’interno della gabbia del sistema euro-UE, ma un piano forte per districarci all’interno dell’affollato cortile-mondo di cui diventeremo una frazione trascurabile che sulla sovranità potrà al massimo scrivere libricini lamentosi su quanto era bello quando c’era Giulio Cesare o il Rinascimento, lira più o lira meno.

Trattandosi di un problema non semplice, mi dispiace non potervi offrire soluzioni a slogan facili, immediati, intuitivi e confortanti. Così è quando si deve passare dalla tattica alla strategia, dall’oggi alla prospettiva, dalla mono-variabile al gomitolo di variabili intrecciate tipi fili delle cuffiette dell’I-pod che sembrano studiate apposta per intrecciarsi tra loro (intrecciate-plexus, assieme-cum = cum-plexus).

In breve, sembrerebbe consigliabile cominciare a prendere in serio esame il fatto che c’è un unico modo di scavallare il problema del nanismo delle tanti parti, cominciare a pensare di metterci assieme per fare un totale maggiore della somma delle parti.

Portogallo, Spagna, Francia, Italia, Grecia, siamo 200 milioni e saremmo la terza economia del mondo, il bilanciere perno tra USA e Cina, l’arbitro giocatore del mondo multipolare. Avremmo atout non disprezzabili in molti campi produttivi e finalmente potremmo fare investimenti di ricerca significativi per darci un futuro. Avremmo l’atomica ma anche tanto soft power ed anche il papa di una credenza che scalda i cuori di 2 miliardi di con-terranei. Potremmo lanciare una Dottrina Monroe su Mediterraneo ed Africa e fare affari con i parlanti ispano-portoghesi del Sud e Centro America. Anche a quelli del Vicino Oriente potremmo dare qualche bacchettata per farli smettere di incasinarci la vita ogni tre per due. Amici di tutti ma servi di nessuno. Sovrani sì ed anche eccitati del poter decidere in autonomia finalmente un bel mucchio di cose. Con quel sistema politico anticamente fondato dagli amici greci che i cugini anglosassoni hanno trasformato in un nobile paravento dietro a cui si fanno i più sporchi affari (loro hanno fatto “società” secoli fa e con molta fatica, solo per quello, per fare affari, è la loro antropologia).

Utopia è il non luogo [οὐ (“non”) e τόπος (“luogo”)], chissà mai se potrà esistere, quando, a quali condizioni questa idea. Sta di fatto che se non hai una meta nel cammino, come fai a capire verso cosa stai camminando? A meno non preferiate rimanere nel flipper dell’indecidibile a rimbalzare tra “ma in fondo la Merkel è meglio di Trump” o mettere like nella pagina degli “amici di Putin” o rivalutare la simpatica sbruffoneria stelle e strisce o la massoneria britannica (lei sì che sa “costruire il mondo”) o iscrivervi ad un corso di mandarino. Fate voi

Post-democrazia e crisi italiana: Mattarella e il “governo del cambiamento”, di Alessandro Visalli

Tratto dal blog https://tempofertile.blogspot.com/

Post-democrazia e crisi italiana: Mattarella e il “governo del cambiamento”.

Il Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, ha oggi chiuso una lunga crisi istituzionale con una decisione drastica che fa fare alla crisi politica italiana un salto di qualità di enormi proporzioni.

È davvero difficile immaginare come la crisi istituzionale evolverà: probabilmente avremo un presidente del consiglio incaricato del tutto privo di legittimazione elettorale, direttamente designato dal Presidente della Repubblica con la quasi certezza che non potrà avere i necessari voti di fiducia; quindi questi, dopo rituali consultazioni e il probabile appoggio del PD e FI (magari di LeU), formerà la sua lista dei ministri e probabilmente giurerà. A questo punto un governo senza appoggio politico adeguato in Parlamento (un “governo di minoranza”, si dice, ma senza l’astensione delle altre forze) andrà a chiedere la fiducia e non la otterrà. Il Presidente potrebbe o dovrebbe nominare un altro presidente per verificare se c’è un’altra maggioranza, ma lui sa già che c’è. Dunque lo farà entrare in esercizio e si riserverà di sciogliere le camere, io credo.

Di qui il terreno si farà ancora più scivoloso, perché un governo senza alcuna legittimazione elettorale, di minoranza, ma contro una maggioranza politica alla quale è stato impedito di esprimere un suo governo, si troverà a prendere decisioni di grandissimo momento in Europa e in Italia. Proverà, magari, ad arrivare alla legge finanziaria di fine anno, quindi non sciogliendo un Parlamento ostile che gli boccerà aspramente tutte le leggi che passano. Questo governo si esprimerà solo attraverso decretazioni di urgenza.

Ma la crisi politica è più grave della crisi istituzionale.

Già da tempo, in tutto l’occidente, è in corso un riorientamento degli assi politici dal tradizione asse sinistra/destra, che appare ai più sempre più obsoleto, ad un asse élite/popolo la cui definizione è oggetto dei più aspri scontri. Questo riorientamento ha visto nelle elezioni di marzo italiane un enorme acceleratore e contemporaneamente una plastica rappresentazione. Per la prima volta da decenni la maggioranza dei votanti (sia pure di misura) ha garantito consenso a Partiti contrari all’establishment percepito (ovvero ai duellanti della seconda Repubblica: PD e FI).

Spinge questa crisi un insieme di fattori economici, tecnologici e sociali che rendono instabili e altamente confusi tutti i fattori di stabilità politica che faticosamente erano stati costruiti nel corso dei due secoli che seguono alla fine dell’ancien régime: le relazioni sociali, il discorso pubblico, i valori centrali, i partiti, le forme della politica, le forme dell’azione pubblica, le istituzioni. Come avevamo già scritto, probabilmente alla radice di questa trasformazione non è solo l’economia, con la prevalenza del sogno neoliberale (incubo per la maggioranza delle persone non dotate di robuste dotazioni di capitali), ma anche una profonda disintermediazione nella stessa costruzione del discorso, pubblico e privato, e quindi della capacità e possibilità di accesso alla formazione della verità.

Ma certamente in questa crisi viene rimesso in questione, e sempre più profondamente, anche se incoerentemente l’assetto soffocante per troppi che aveva trovato forma dalle ‘riforme’ avviate negli anni ottanta e poi rinforzate con una piega imperiale (e neocoloniale) negli anni novanta. Questa è la dimensione di crisi della politica, ovvero di una democrazia politica incapace da tempo di svolgere la propria funzione di ottenere giustizia per i più deboli (i forti se la ottengono da sé). Precisamente per coloro che sono deboli a causa della posizione strutturale in cui si ritrovano nel sistema globale dei rapporti produttivi e quindi nell’accesso alle risorse che questi consentono (risorse economiche, sociali, culturali e quindi anche politiche).

Nel corso degli anni ottanta, e poi novanta, c’è stata una inavvertita rotazione dell’asse istituzionale: da orientato ad un compromesso, premessa di pace sociale e lealtà, si è trovato ad essere indirizzato a proteggere i profitti e le rendite. Tutto il sistema istituzionale contro il quale si è espresso il voto di marzo, anche quando non se ne accorge, vede il mondo dal punto di vista di chi ottiene i profitti e di chi detiene i risparmi (ovvero i capitali) e ne vuole trarre rendite. Ovvero di chi dispone del denaro nella forma del capitale (poco o tanto) e ‘compra’ lavoro. Il lavoro, peraltro, è inquadrato essenzialmente come una merce come ogni altra, della quale fare economia, da ridurre al suo minor prezzo. Dimenticando, tra le altre cose, che è il lavoro che consente di comprare le altre merci, di dare il loro valore. Lo sguardo miope del capitale scava sotto le proprie fondamenta.

Nel 2003 tutto questo viene messo sotto accusa da un fortunato libro del politologo Colin Crouch: “Postdemocrazia”. La crescente influenza di sempre più piccole lobbies economiche e di élite politiche sempre più autoreferenti ed il riferimento costante alla capacità di azione libera degli agenti, ma anche il sistematico depotenziamento del sistema di regole volto ad impedire che il mero potere economico si traduca in politico produce una forma politica nella quale si comincia ad andare oltre l’idea del governo del popolo. Ovvero oltre la sovranità popolare.

Ascoltiamo ora il discorso di Mattarella.

https://www.youtube.com/watch?time_continue=3&v=tx4TEKC6ni4

Ne riprendo alcuni stralci:

Come del resto è mio dovere” … “avevo fatto presente che per alcuni ministeri avrei esercitato un’attenzione particolarmente ampia sulle scelte da compiere”. Infatti, “il Presidente della Repubblica svolge un ruolo di garanzia”.

Fin qui si può dire poco, ma subito continua:

la designazione del Ministro dell’Economia costituisce sempre un messaggio immediato, di fiducia o di allarme per gli operatori economici e finanziari. Ho chiesto per quel ministero un autorevole esponente politico di maggioranza, coerente con l’accordo di programma, un esponente che, al di là della stima e della considerazione della persona non sia visto come portatore di una linea più volte manifestata che possa portare probabilmente, o addirittura inevitabilmente, la fuoriuscita dell’Italia dall’Euro. Cosa ben diversa da un atteggiamento vigoroso nell’ambio della UE dal punto di vista italiano”.

Il Presidente della Repubblica, nella non rituale ma essenziale presentazione alla sfera pubblica delle ragioni per le quali ha inteso respingere la lista dei Ministri che ai sensi della costituzione il Presidente del Consiglio incaricato, nell’esercizio delle sue prerogative, gli aveva sottoposto per la ratifica, porta un solo argomento: può allarmare gli operatori economici e finanziari.

Di per sé potrebbe anche non essere trovato gravissimo se il Presidente della Repubblica, che, come dice la Costituzione “nomina i ministri” su “proposta” del Presidente del Consiglio, come in altri casi è successo, avesse solo consigliato di cambiare un nome. Ma di fronte all’irrigidimento del Presidente incaricato, pienamente appoggiato dalle forze politiche che hanno la maggioranza in Parlamento, avendo vinto le elezioni su chiaro mandato, e considerando le conseguenze su cui ci siamo soffermati in avvio, è grave e pericoloso decida di procedere alla rottura. Bocciano quindi un “Governo del cambiamento” che aveva il certificato consenso della maggioranza del paese.

Scrive Habermas nel 1990 in “La rivoluzione recuperante” (in ‘La rivoluzione in corso’, p.197): il problema lasciato dal crollo del sistema del socialismo reale, e delle sue speranze di governo amministrativo, può essere affrontato attraverso un “contenimento protettivo” ed una “guida indiretta” della crescita capitalistica. Un problema che può trovare soluzione “solo in un nuovo rapporto tra sfere pubbliche autonome da un lato e campi di azione mediati dal denaro e dal potere amministrativo dall’altro”. Il potere sovrano, “connotato in senso comunicativo”, si deve a questo punto (almeno) far sentire attraverso la capacità di influire senza intenti egemonici sulle premesse dei processi di valutazione e di decisione dell’amministrazione. Insomma, il potere comunicativo “gestisce il pool di motivazioni con cui il potere amministrativo può operare in modo strumentale ma che non può ignorare nella misura in cui si richiama allo stato di diritto”.

L’unica ragione di non allarmare gli operatori economici, quando a fronte di questa considerazione, pur dotata di una sua qualche forza, c’è l’enormità di mandare inespressa la volontà sovrana appena manifestata dagli elettori, non credo proprio passi il test di Habermas.

Continua il Presidente:

l’incertezza sulla nostra posizione sull’euro ha posto in allarme gli investitori e i risparmiatosi, italiani e stranieri, che hanno investito nei nostri titoli di stato, italiani e stranieri. L’impennata dello spred, giorno dopo giorno, aumenta il nostro debito pubblico e riduce le possibilità di spesa dello Stato per nuovi interventi sociali. Le perdite in borsa, giorno dopo giorno, bruciano risorse e risparmi delle nostre aziende e di chi ha investito, e configurano rischi concreti per i risparmi le nostre famiglie e per i cittadini italiani, con pericoli per gli interessi per i mutui e per le aziende. In tanti ricordiamo come prima dell’unione europea gli interessi bancari sfioravano il 20%”.

In questa compatta spiegazione, che funge da esplicazione dell’allarme degli operatori, si trovano diverse affermazioni di fatto e l’esplicazione di diversi meccanismi tecnici causali di cui si chiede implicitamente la correttezza:

  1. l’allarme è ricondotto, tra i molti possibili fattori (non ultimo la vittoria di forze inattese e mai provate), alla sola posizione sull’euro;
  2. l’impennata dello spread (peraltro già molte volte verificatasi e sempre ricondotta) è accusata di “aumentare il debito pubblico” e di “ridurre la capacità di spesa dello Stato”, questa relazione causale sarebbe possibile se lo spread restasse alto a lungo, trascinandosi sui tassi e quindi impattando nel tempo sul servizio del debito che va alimentato da risorse fiscali. Ma sarebbe possibile che nel caso temuto di uscita dall’Euro questi effetti possano essere neutralizzati, ma non senza costi, da una nuova Banca d’Italia sotto controllo del Tesoro (ovvero revocando la più strutturale delle riforme degli anni ottanta, che ha generato il debito);
  3. allargando il discorso si passa alle oscillazioni delle quotazioni della borsa, qualificate come “perdite” (quando sono solo valori nominali che si determinano in perdite per qualcuno e guadagno per qualcun altro solo se sono vendute) e che addirittura, con linguaggio giornalistico fuorviante in bocca ad un Presidente che sta svolgendo l’alto ufficio di fornire motivazioni alla sfera pubblica politica su una decisione così grave, vengono descritte attraverso la metafora del “bruciare”;
  4. Allargando ancora queste perdite potenziali si potrebbero riverberare, in un successivo anello, addirittura in “rischi concreti” per i risparmi delle famiglie e in innalzamenti dei tassi di mutui ed aziende (evidentemente in caso di crisi generalizzata);
  5. Da ultimo viene ricordato che gli interessi bancari senza euro erano al 20% (ma questo accadeva quando l’inflazione era alta quasi altrettanto e dunque gli interessi reali erano bassi come ora, o comunque vicini).

Insomma, il Presidente ha esercitato un crescendo retorico il cui vero obiettivo era illustrare i rischi che immagina per l’uscita dall’Euro.

Ma il ministro in pectore non minacciava affatto l’uscita, intendeva solo assumere una posizione forte di tipo negoziale (impossibile se ci si preclude in via definitiva il piano “B”).

La chiusa è interessante:

È mio dovere nello svolgere il compito di nomina dei ministri che mi affida la costituzione essere attento alla tutela dei risparmi degli italiani. In questo modo si riafferma concretamente la sovranità italiana, mentre vanno respinte al mittente inaccettabili e grotteschi giudizi sull’Italia.” … “Quella dell’adesione all’euro è una scelta di importanza fondamentale per le prospettive del nostro paese e dei nostri giovani, se si vuole discutere va fatto apertamente e con il necessario approfondimento, anche perché non è stato al centro della recente campagna elettorale”.

È dovere del Presidente essere attento alla tutela dei capitali (ovvero dei “risparmi”), in questo poggia la sovranità italiana.

Facciamo un passo indietro: scrive Guido Carli nel 1993 che quello che chiama “il significato sociale e politico del debito pubblico”, a causa della sua ‘capillare diffusione nel pubblico’ (ovvero, vale la pena ricordarlo subito, nella media e alta borghesia), ipocritamente attribuito anche agli strati sociali meno abbienti (come se avere, eventualmente, uno o due bot sia la stessa cosa di averne migliaia), è che questo viene trasformato nella democrazia stessa. Dice, infatti, Carli: “la sintesi politica di tutto ciò è evidente: il permanere del debito pubblico nei portafogli delle famiglie italiane, per una libera scelta, senza costrizioni, rappresenta la garanzia per la continuazione della democrazia” (in ‘Cinquant’anni di vita italiana’, p.387). Ne segue, incredibilmente, che per Carli “chi mira ad intaccare quella fiducia, quella libera scelta, mira in ultima analisi ad interrompere la continuità democratica”. Infatti il debito pubblico è niente di meno che la connessione delle “famiglie”, ed “intima”, con il “grande” ed “efficiente” (due parole che non possono certo essere sottovalutate nella loro potenza simbolica) “mercato”. Il debito pubblico, continua Carli, è il tramite della scelta culturale dell’apertura delle frontiere.

A chi propone (all’epoca Visentini) forme di ristrutturazione forzosa (che oggi sarebbe implicita in una fuoriuscita dalla gabbia europea, ma anche in una sua forte messa in discussione, attraverso operazioni di “monetizzazione”), Carli risponde che “oggi le strade della coercizione finanziaria sono precluse a qualsiasi classe dirigente che non voglia far correre al Paese antistoriche avventure autoritarie”. Insomma, risponde che al debito non si può sfuggire, e nemmeno si deve.

In conseguenza di ciò, e dell’apertura dei mercati, “non è più possibile tornare indietro”. Come dice espressamente: “il Trattato di Maastricht è incompatibile con l’idea stessa della ‘programmazione economica’. Ad essa si vengono a sostituire la politica dei redditi, la stabilità della moneta e il principio del pareggio di bilancio” (p.389).

Il Banchiere che altrove dice apertamente “io stavo dalla parte dei capitalisti” nei conflitti distributivi, (p.269) e che ha rappresentato l’Italia nel negoziato di Maastricht, mostra, cioè, in modo del tutto chiaro chi è il sovrano.

Il sovrano è chi decide, e sono i risparmiatori, ovvero i detentori dei capitali e quindi dei debiti.

Oggi ne abbiamo avuta un’altra prova: a fronte di due forze politiche che non apprezzo, ma che hanno la maggioranza sia in Parlamento sia nei voti degli italiani, e che proponevano attraverso la corretta procedura un ministro sgradito perché foriero di mettere in questione il debito, il Presidente ha argomentato il suo rifiuto proprio in questi termini. Ha sostenuto che la scelta avrebbe danneggiato i risparmi e spaventato i mercati.

Dunque non sono sovrani i cittadini attraverso la procedura del voto (ovvero attraverso l’esercizio di quel suffragio universale, sostituitosi nel corso del novecento al voto limitato a chi dispone di capitale), ma i risparmiatori e il loro oracolo: i “mercati”.

In effetti “post-democrazia”, da oggi, è termine modesto. Bisognerà riflettere bene su questo passaggio epocale: di nuovo l’Italia apre la strada.

PRESIDENTE ZERO TITULI, di Massimo Morigi ovvero: introduzione alla guerra civile, di Antonio de Martini

PRESIDENTE ZERO TITULI

Di Massimo Morigi

Come scriveva Karl Marx nel 18 brumaio di Luigi Bonaparte, la storia si ripete sempre due volte: “la prima come tragedia, la seconda volta come farsa”. Nell’attuale crisi di sistema ed istituzionale iniziata il 27 maggio 2018 dall’avventurismo politico del Presidente della Repubblica italiana, la vicenda in questione, del tutto inedita nella storia passata dell’umanità per la tragica insipienza del suo altissimo scatenatore (se non andando alla tragica e goffa vicenda della fuga a Varenne di Luigi XVI che decretò la sua uscita violenta dalla scena della storia e del demente comportamento di Nicola II che fece da innesco alla rivoluzione russa e alla sua e della sua famiglia tragica fine e andando, volendo essere un attimo più leggeri, al falso storico dell’incendio di Roma da parte di Nerone, immortalato in un registro alto della memoria collettiva da un Petrolini che sulle ceneri della Città Eterna arringa un popolo tumultuoso ed avverso che lo ritiene responsabile di tanta rovina esprimendo di voler ricostruire Roma “più bella e più superba che pria” e con una vocina surreale e stridente di un astante davanti a tanta ridicola enfasi che risponde “bravo”, alla quale Nerone replica con “grazie”, in un esilarantissimo botta e risposta nel quale al “grazie” si risponde ogni volta con un “bravo”: ci permettiamo questa nota surreal-teatrale per dire che auguriamo al nostro beneamato presidente della Repubblica di essere ricordato ai posteri non come un protagonista tragico della storia ma come un’immagine in fondo affettuosa e appartenente alla cultura popolare simile al Nerone petroliniano, che proprio come personaggio si fa amare per la sua buffonesca, istrionica, e quanto divertente, abissale incompetenza), non ha, questa vicenda, contraddicendo quello che diceva Marx, alcuna analogia con le passate catastrofi storiche perché essa è contemporaneamente tragica ma anche farsesca ( non v’è mai stato nulla di simile se non ricorrendo all’esempio del Nerone petroliniano, il quale però fu tratto  da una letteraria finzione storica). Il fatto farsesco alla sera del 29 maggio 2018 è il seguente: Cottarelli è sul punto di rinunciare all’incarico perché c’è la verosimile possibilità che il nuovo Governo al Senato non ottenga nemmeno un voto di fiducia. Riferendosi ad un suo avversario allenatore calcio, un allenatore portoghese non molti anni fa ebbe modo di dire: “Zero tituli”. Pensiamo che anche a   noi, in veste di modesti commentatori politici, visto il grande successo che la sua iniziativa rischia di correre al Senato, riferendoci al Presidente della Repubblica, ci sia consentito di esprimerci riguardo alla massima carica della Stato come “Presidente zero tituli”. Ma visto che la storia del nostro paese ci consente anche citazioni ben più illustri che non il calcio, si ricorda per ultimo la storiella di Caligola che nominò senatore il suo cavallo. Con tutti gli absit iniuria verbis del caso –  sia verso il “Presidente zero tituli” che verso Caligola: in ogni caso non si mai… –  e con ancora ripetuto rispetto parlando del  “Presidente zero tituli”, abbiamo così trovato alla fine un altro caso in cui la tragedia è abbinato alla farsa, e contribuito, alla fine, a non smentire Marx. Con il tetro e poco tranquillizzante sospetto, però, che dopotutto il cavallo abbia fatto meno danni dell’attuale impazzimento istituzionale e con la certezza, anche, che per non cadere nelle lugubri immagini evocate dalla fuga a Varenne e dall’orrida fine della famiglia imperiale russa ad Ekaterimburg, l’unica rimedio sia ricorrere alle surreali ed anche allegre immagini evocate dal Nerone petroliniano.

 

Massimo Morigi – 29 maggio 2018

 

P.S. Ultimissime delle ore 22.30 di martedì 28 maggio. Il “Presidente zero tituli” sta pensando seriamente di fare marcia indietro e di richiamare Conte accettando anche Paolo Savona come ministro dell’economia. Siamo all’ “indietro tutta”. Ma come la presente farsa non lo rende, ahilui, né un Caligola né un Nerone (anche se glielo auguriamo in prospettiva di diventarlo, perché questi, se non altro, sono caldi ricordi scolastici di una lontana gioventù), questa ultima “indietro tutta” non riesce a renderlo popolare ed amato come quel simpatico ed anche geniale (e molto serio nel suo mestiere) comico che vestiva buffoneschi panni d’ammiraglio.

 

INTRODUZIONE ALLA GUERRA CIVILE, di Antonio de Martini

Tutti presi dagli aspetti formali della Batracomiomachia in corso stiamo trascurando quelli essenziali.

a) preservare la libertà
b) preservare il benessere
c) preservare l’Unità Nazionale

Fino a pochi anni fa e per troppi anni, abbiamo tollerato il regime democristiano e la sua corruttela perché , in fondo, era come Maradona coi napoletani.

“Con Maradona s’azzuppa ” dicevano i compaesani cui il campione permetteva di violare la legge sul “trademark” delle magliette che consentiva loro di cenare a latte e profumato con la fantasia.

Questo regime di preti in borghese ha gradatamente corrotto tutti cooptandoli al potere – impedendo quindi la nascita di alternative politiche democraticamente elette – prima i socialisti, poi i comunisti , infine i fascisti.

Nel frattempo, un numero crescente di italiani più consapevoli, si allontanava dalla politica e dal voto, dai risultati sempre più taroccati, mentre le distrazioni di massa fioccavano leggère.

Adesso che, per ragioni che andranno indagate dal controspionaggio, è nata una alternativa nuova che ha coagulato i fermenti ribellistici del Nord e del sud in una inedita “coalizione dei velleitari”, i padroni del vapore hanno perso il controllo dei nervi.

Gridano che non vogliamo l’Europa.
È falso, noi non vogliamo loro e in Europa vogliamo contare per quello che siamo veramente.

Preparano un altra “fake election” su un altro tema da guerra civile.

Intendiamoci, in questa crisi ministeriale Mattarella ha rispettato la forma, ma la sostanza del discorso ė che il sistema dei ladri che munge le mammelle dell’Italia da decenni, non vuole più spartire con nessuno.

La crisi economica e il controllo sociale hanno ridotto le disponibilità, le liti interne al PD, moltiplicato il numero di parti da fare, hanno sottovalutato Masaniello e sopravvalutato il cardinal Bassetti e i suoi belati tardivi.

Il sistema dei preti in borghese e in uniforme non vuole correre il rischio di un mutamento costituzionale che metta in forse anche il blindaggio del concordato con il Vaticano e vede il pericolo concretizzarsi a ogni giorno che passa.

Al rischio di perdere il potere e il denaro, preferiscono quello del conflitto civile.

Berlusconi che era sceso in politica ansioso di cambiare il mondo, adesso ha paura che cambi davvero e si offre insistentemente per difendere il palazzo che aveva aggredito – mi tornano a mente le parole del comunicato della vittoria- con orgogliosa sicurezza.

Hanno perso tutti la testa.

Il Presidente della Repubblica che scende nella polemica politica e si meraviglia che ” due partiti che si sono presentati divisi alle elezioni” ora provino a collaborare. Salvini che vuole imporsi pubblicamente al Presidente della Repubblica. de Maio che improvvisa “impeachement” in palcoscenico.

Il connubio tra avversari elettorali lo hanno fatto anche i suoi amici Merkel e Schultz in cinque mesi di trattative senza suscitare scandali ne critiche.
Il loro governo regge. Il suo cemento è l’interesse nazionale.

Mattarella si è anche presentato come un campione di tolleranza per aver accettato un candidato non eletto ( Conte) per poi presentare lui stesso un quidam de populo, tale Cottarelli da Velletri.
Finge di voler varare la finanziaria, ma punta a gestire le elezioni in proprio con un ” governo neutrale”. La scorsa settimana aveva detto pubblicamente che la neutralità non esiste….

Per impedire manifestazioni ” a caldo” dei 5 stelle, il PD ne ha già indetto una per il 1 giugno.
De Maio, ha risposto convocandola per il 2 giugno.

La conta delle presenze sarà da ridere, ma c’è da piangere: è già una prova generale di guerra civile.

Il tradimento della Costituzione italiana da parte di Sergio Mattarella c’è e coinvolge anche il suo predecessore Giorgio Napolitano e quel povero cretino di Ciampi. Ma vediamoli uno alla volta prima che muoiano e vengano santificati.

L’articolo 11 della Costituzione è stato violentato più volte e in entrambi i comma.
L’Italia nel ventennio scorso ha fatto più guerre che nel ventennio fascista ( Balcani, Afganistan Libia), tutte in posizione subordinata rispetto alle potenze straniere interessate e – nel caso balcanico e in quello libico- in stridente contrasto con gli interessi nazionali. I responsabili devono risponderne e Mattarella tra loro.

Napolitano ha obbedito al diktat straniero di cacciare Berlusconi nel 2011 e Mattarella oggi di rifiutare il nuovo governo giallo verde che personalmente considero velleitario e inadatto, ma che ha diritto di governare quanto la signorina Madia o Ignazio Larussa. Di certo, faranno meno danni.

Fingono di voler fare le elezioni, ma tra legge finanziaria, manovra di aggiustamento, nuova legge elettorale e, prassi – non si fanno contemporaneamente le elezioni europee e quelle italiane – se va bene se ne parlerà nell’autunno del 2019 previa “stabilizzazione” della situazione.

Le elezioni nazionali le vogliono fare all’insegna di EUROPA SI, EUROPA NO per deviare ancora una volta l’attenzione dai loro loschi affari.

UNA ALTRA RAGIONE DI MESSA IN STATO DI ACCUSA è il fatto di aver consentito che la RISERVA AUREA NAZIONALE, depositata presso la Banca d’Italia e da questa affidata fiduciariamente alle allora Banche d’interesse nazionale, sia stata ” dimenticata” lì quando le banche furono privatizzate e le si autorizzò – con protesta della BCE- ad iscriverle a patrimonio di queste ultime.
Una ennesima truffa anche ai danni della “caraeuropa”.
Cacciamo Mattarella e saremo rispettati dal mondo intero. Teniamocelo e finiremo come la Grecia.

 

 

Dalla mia Palla di Cristallo: Governo Ombra!, di Roberto Buffagni

Dalla mia Palla di Cristallo: Governo Ombra!

 

Stamani, in un fortunoso collegamento con il Regno Sovratemporale, tra le linee dei possibili ne ho scorto una molto interessante: il Governo Ombra.

Sarà legale il governo Mattarella – pardon, il governo Cottarelli? Certo che sarà legale, e dunque gli si dovrà tributare il rispetto e l’obbedienza che la legge impone. Non avrà la fiducia della maggioranza parlamentare, ma sono dettagli. E allora perché Lega e 5*, che saranno  all’opposizione anche se la maggioranza parlamentare ce l’hanno – ma, ripeto, sono dettagli – non riprendono un bella istituzione della più antica democrazia parlamentare del mondo, la britannica?

A Westminster, il Governo Ombra o Shadow Cabinet[1] consiste di un gruppo di rispettati portavoce dell’opposizione, i quali, guidati dal leader dell’Opposizione di Sua Maestà, formano un gabinetto dei ministri alternativo a quello in carica, i cui membri sono l’ombra o il riflesso speculare di ciascun membro del governo.

A Roma, avremmo il vantaggio che la lista dei ministri del Governo Ombra è già pronta, con il suo bel programma di governo già laboriosamente concordato tra i partiti. Purtroppo, il Governo Ombra italiano non potrebbe essere guidato dal prof. Conte, che non è un parlamentare. Ma potrebbero guidarlo, magari a turno, i due leader della maggioranza parlamentare, Salvini e Di Maio: e per ogni iniziativa del governo Mattarella – pardon, Cottarelli – proporre al parlamento e agli italiani una critica, e una controproposta costruttiva.

Certo, il Governo Ombra italiano non sarebbe identico allo Shadow Government britannico: perché nella Perfida Albione, c’è la radicata abitudine di far governare solo chi ha la maggioranza parlamentare, e di mettere all’opposizione chi non ce l’ha. D’altronde, negli ultimi 66 anni l’Inquilina di Buckingham Palace non risulta aver posto il veto su alcun ministro propostoLe dal premier, neanche quando il ministro era di fede repubblicana o socialista. L’attuale Inquilino del Quirinale, invece, sì: chissà, forse la residenza nell’antica sede del Papa Re, un monarca assoluto per diritto divino (anche se eletto), suggerisce interpretazioni più misticamente sfumate del proprio ruolo.

A me sembra una buona idea. Piuttosto che organizzare manifestazioni oceaniche che si risolvono in gigantesche scampagnate, magari funestate da qualche incidente che può inquietare gli italiani più prudenti e sedentari, perché non far vedere agli italiani che cosa avrebbe potuto fare il governo Lega – 5*? O meglio: che cosa potrebbe fare anche oggi, anche domani, se il Presidente della Repubblica italiana sobriamente si ispirasse all’esempio di Sua Maestà britannica Elisabetta II, regina per grazia di Dio del Regno Unito e dei quindici realms del Commonwealth, e Difensora della Fede?

Formare un Governo Ombra non impegnerebbe a una riedizione dell’alleanza Lega e 5*. Mentre il governo Mattarella – ahem, Cottarelli – resta in carica, il Governo Ombra si limiterebbe a presentare agli italiani un test su strada senza impegno di acquisto di quel che poteva essere ma chissà come non è il governo italiano. Gli italiani, parlamentari e cittadini, giudicherebbero con calma nel merito, e si farebbero un’idea: per esempio, potrebbero valutare serenamente se davvero il professor Paolo Savona è un pericoloso babau che mette in pericolo i loro risparmi, come si sostiene dalle parti del Quirinale, dei partiti di minoranza, di quasi tutti i giornali, della Cancelleria di Berlino e della Banca Centrale di Francoforte.

Nel frattempo, in attesa di nuove elezioni, liberi tutti i partiti, di maggioranza e minoranza, di ridiscutere programmi e alleanze: chi da dato ha dato, chi ha avuto ha avuto, e con le immortali parole di Rossella O’Hara, domani è un altro giorno e via col vento.

Certo: il governo Mattare…- scusate: il Governo Cottarelli sarebbe il governo legale, mentre il Governo Ombra sarebbe legittimo. E’ un po’ imbarazzante, quando legalità e legittimità non coincidono: ma sono dettagli. In caso di dubbi e confusioni ci si può sempre rivolgere, per l’interpretazione autentica, al Presidente della Repubblica, che ha dimostrato di non esserne avaro.

That’s All, Folks.

[1] https://en.wikipedia.org/wiki/Shadow_Cabinet

Che cos’è e come funziona il “Piano B” per l’uscita dall’euro,di Roberto Buffagni

 

Che cos’è e come funziona il “Piano B” per l’uscita dall’euro

 

Il piano B per l’uscita dall’euro funziona esattamente come la strategia du faible au fort elaborata dal generale Pierre Gallois su incarico di De Gaulle, che condusse alla costruzione della force de frappe nucleare francese. Semplificando: si tratta di una strategia difensiva e DISSUASIVA, che rende impervio il rapporto costi/benefici per l’aggressore, anche molto più forte, che volesse attaccare la Francia. In caso sia minacciato un interesse vitale della nazione, essa dispone di un’arma che può causare danni politicamente insostenibili all’aggressore. Lo scopo della strategia du faible au fort è dissuasivo, vale a dire che è rivolto a EVITARE il conflitto, prevenendolo. Logicamente, perché la deterrenza e la dissuasione si verifichino è indispensabile che a) tutti sappiano che la force de frappe nucleare esiste sul serio b) tutti sappiano che il responsabile politico, in questo caso il Presidente francese, ha il potere e la volontà di usarla in caso di necessità.

Il “piano B” per l’uscita unilaterale dall’euro funziona allo stesso identico modo. Averlo rappresenta certamente una minaccia per l’avversario, e quindi non istituisce con lui un rapporto di amichevole cordialità. Non ha senso averlo clandestinamente, a meno che il piano B non sia in effetti il piano A, cioè a meno che non si sia deciso in via preliminare che qualsiasi trattativa è inutile e controproducente, e dunque non si voglia senz’altro uscire dall’euro nei tempi più brevi possibili e nel modo più netto e brutale compatibile con le esigenze operative. Chi ha chiesto al prof. Savona di abiurare pubblicamente ogni ipotesi di “piano B” gli ha chiesto, magari senza accorgersene, di rinunciare a ogni alternativa tranne a) nelle trattative con la Ue, non chiedere nulla più che briciole octroyèes b) uscire unilateralmente senza trattativa alcuna (o solo fingendo di trattare in attesa dell’ora X).

Un  “piano B” pubblicamente annunciato rappresenta dunque un elemento decisivo e DISSUASIVO essenziale in ogni progetto inteso a una modifica NON COSMETICA E NON TRAUMATICA dei rapporti tra uno Stato membro dell’eurozona e la UE. Paradossalmente  – ma la strategia si fonda su paradossi sin da quando la saggezza romana sentenziò “si vis pacem para bellum” –  la possibilità di una trattativa, aspra quanto si voglia, ma con possibilità concrete di giungere a un compromesso accettabile per tutte le parti, si fonda proprio sulla presenza effettuale e a tutti nota del “piano B”, che né a caso né a torto anche il linguaggio giornalistico chiama “opzione nucleare”.

In rapporto alla UE, l’Italia si trova nella situazione in cui si trovarono Saddam Hussein e Muhammar Gheddafi in rapporto agli USA. Lusingandoli con promesse, minacce e prebende, gli USA persuasero i due oggi defunti Capi di Stato a rinunciare ai propri programmi nucleari, e persino ai loro arsenali di “bombe atomiche dei poveri”, le armi biologiche. Il ragionamento proposto dagli USA fu, terra terra: “Se non rinunciate ai vostri programmi di dissuasione militare, escalate il conflitto, e dato che noi siamo infinitamente più forti, non vi conviene”. S’è visto com’è finita. Se Gheddafi e Saddam non ci fossero cascati, oggi si troverebbero nella situazione del dittatore Nord Coreano, certo non invidiabile ma direi migliore della morte per impiccagione o per linciaggio.

Esemplare, nel contesto UE, il caso di Tsipras, non defunto fisicamente ma zombificato politicamente. Egli fu incastrato da due fattori: 1) NON aveva il piano B (e anzi nel Ministero dell’Economia c’era fior di gente che lavorava proUE dietro alle spalle di Varoufakis) 2) Pensava che la trattativa con la UE avrebbe avuto migliori prospettive NON avendo il piano B, appunto perché  averlo costituisce una minaccia che escala il conflitto. Come si vede, si sbagliava.

That’s all, folks: stiamo in campana.

Sovranisti e “servilisti” , di Teodoro Klitsche de la Grange

Sovranisti e “servilisti”

di Teodoro Klitsche de la Grange

Da qualche anno, da quando sono stati coniati i neo-logismi sovranismo e sovranista (probabilmente dal francese) il pensiero “politicamente corretto” (e relativi pensatori) si è lanciato in una, per esso abituale, opera di screditamento e demonizzazione. Sovranismo sarebbe un’ideologia guerrafondaia (??), passatista, dittatoriale, egoista e così via. I sovranisti poi demagoghi, ignoranti, cattivi, maleducati e cafoni (oibò!)

Sarebbe facile screditare questa ennesima campagna di (preteso) discredito con cui la classe dirigente in decadenza cerca di arrestare il volgere degli eventi, tutt’altro che propizi a quella, quanto favorevoli alle élite cafone. Un paio di perché – e un suggerimento (ripreso da fonte autorevole) – vorrei comunque proporre.

Il primo: a leggere la Treccani il significato di sovranismo è di “Posizione politica che propugna la difesa o la riconquista della sovranità nazionale da parte di un popolo o di uno Stato, in antitesi alle dinamiche della globalizzazione e in contrapposizione alle politiche sovrannazionali di concertazione”.  A seguirlo, bisogna cominciare con lo svalutare del tutto il nostro Risorgimento, e buona parte della storia moderna. I costruttori dello Stato nazionale italiano (da Cavour a Garibaldi, da Vittorio Emanuele II a Mazzini), forse non erano dei damerini (il Savoia era anche un po’ grossier) ma sicuramente non avrebbero acconsentito – il Piemonte prima, l’Italia poi tanto da fare quattro guerre all’uopo – che in nome di qualche idea, si fosse limitata l’indipendenza dell’Italia. Se per Metternich l’Italia  era un’ “espressione geografica” per loro era una comunità politica. E per esserlo doveva avere l’indipendenza (dalla volontà) e dagli interessi di altre potenze (e popoli). Del pari non avrebbero mai preteso di occupare Vienna, Praga, Lubiana o Zagabria (tant’è che neppure con lo sfascio dell’Impero asburgico lo fecero), neppure con la giustificazione di qualche ideale cosmopolita. Dato che, a ben vedere, il cosmopolitismo rientra nella classe delle alternative al patriottismo.

La seconda: le più interessanti e centrate definizioni di ciò che è la libertà, politica in specie, l’ha date S. Tommaso.

Come ho scritto in un precedente articolo per Rivoluzione liberale (Sovranismo e libertà politica) l’Aquinate sosteneva che è libero chi è causa di se (del suo): liber est qui causa sui est; e per chiarire ulteriormente definiva  servo chi è di altri (servus autem est, qui id quod est, alterius est).

Applicando queste due asserzioni di S. Tommaso non sono né libere, né comunità perfette quelle che giuridicamente e politicamente dipendono da altri e pertanto non hanno la piena disponibilità di determinare i propri scopi né i mezzi per conseguirli.

Per cui liberarsi da quella condizione di dipendenza è il requisito minimo per poter decidere del proprio destino. L’inverso è sopportare che lo decidano gli altri: come spesso capitato nella recente storia nazionale. Dato che né Di Maio né Salvini vogliono occupare, neppure Tripoli e Tirana, ma solo evitare di subire troppi condizionamenti in casa nostra, non sono dei pericolosi aggressori e guerrafondai.

Ciò stante passiamo al suggerimento.

Diceva Vittorio Emanuele Orlando in un famoso discorso pronunciato alla Costituente, chiedendo che l’assemblea non ratificasse il Trattato di pace: “considerate almeno questo lato della decisione odierna, il significato di questa accettazione, che avviene in un momento in cui essa non è necessaria; onde il vostro voto acquista il valore di un’accettazione volontaria di questa che è una rinuncia a quanto di più sacro vi è stato confidato dal popolo quando vi elesse: l’indipendenza e l’onore della Patria… Questi sono voti di cui si risponde dinanzi alle generazioni future: si risponde nei secoli di queste abiezioni fatte per cupidigia di servilità”.

Seguendo l’indicazione del Presidente della vittoria, non sarebbe il caso di cominciare a chiamare gli anti-sovranisti, mutuando l’espressione di Orlando: “servilisti”?

Teodoro Klitsche de la Grange

Dalla mia palla di cristallo: governo Lega-5* eccetera, che accadrà?, di Roberto Buffagni

altri articoli sull’argomento:

IL GUARDIANO DELLA (AUGURABILMENTE DEFUNTA) COSTITUZIONE REALE, di Massimo Morigi

http://italiaeilmondo.com/2018/05/21/il-contratto-di-governo-di-giuseppe-germinario/

Dalla mia palla di cristallo: governo Lega-5* eccetera, che accadrà?

 

Nessun piano operativo può spingersi, conservando un minimo di certezza, oltre il primo scontro con il grosso delle forze nemiche. E’ solo il profano che, mentre una campagna si sviluppa, crede di vedere la sistematica realizzazione del piano originale fino alla sua conclusione predeterminata.”

von Moltke il Vecchio, Trattato per lo Stato Maggiore Generale tedesco sulla guerra franco-prussiana del 1870/1

 

Consultata la mia Palla di Cristallo, debitamente Vi informo dei suoi responsi: tutti espressi in forma molto sintetica, perché i collegamenti con il Regno Sovratemporale costano un occhio della testa, e nel caso Ve lo foste scordati, qua si lavora gratis et amore Dei (et Italiae).

Anzitutto, ecco i responsi riguardanti il Passato, spesso non meno enigmatico del Futuro.

  1. Il contenuto del “contratto di governo”, formulazione infelicissima che la mia Palla di Cristallo, una parruccona cruscante, depreca, ha importanza strategica molto vicina allo zero, v. la citazione in exergo del Feldmaresciallo conte von Moltke il Vecchio.
  2. Il contenuto strategico del piano sta invece tutto nell’alleanza politica Lega-5*, una manovra di grande audacia che può dare risultati proporzionali ai suoi rischi, entrambi molto grandi.
  • Il problema che si poneva allo Stato Maggiore dell’unica forza politica italiana coerentemente antiUE (la nuova Lega) all’indomani delle elezioni era infatti il seguente: come sfruttare al meglio il perentorio successo elettorale, che le garantiva sì l’egemonia nel centrodestra, ma non l’automatica designazione a formare un governo (insufficienza di seggi vinti dalla coalizione)?
  1. La soluzione del problema era complicata da un’incognita: l’incerta lealtà di Silvio Berlusconi, che prigioniero delle sue sconfitte politiche e dei suoi vizi personali – anzitutto la viltà – accarezzava da tempo il piano B di un’alleanza neomacroniana insieme a Renzi.
  2. La soluzione più semplice e prudente sarebbe stata la seguente: lasciare che si formasse un governo tecnico che traghettasse la nazione sino alle elezioni politiche ed europee del 2019, fargli una vivace opposizione, consolidarsi, e lucrare un allargamento dei consensi l’anno venturo. Questa scelta, però, da un canto dava tempo all’incerto alleato di preparare la sua defezione, e dall’altro “There is a tide in the affairs of men, / Which, taken at the flood, leads on to fortune; / Omitted, all the voyage of their life/ Is bound in shallows and in miseries[1].
  3. Lo Stato Maggiore della Lega ha dunque scelto l’audace manovra “alleanza con i 5*”, contando sui seguenti fattori favorevoli: a) l’ambiguità costitutiva e la carente strutturazione del Movimento 5* ne hanno fatto, secondo le intenzioni dei suoi promotori occulti, il principale fattore di paralisi del sistema politico italiano, e il principale collettore incapacitante del dissenso rispetto alla UE. Ma lo straordinario successo elettorale, e la collocazione sociale dei suoi votanti, il “popolo degli abissi” secondo l’icastica definizione che Giulio Sapelli mutua da Il tallone di ferro di Jack London, gli imponevano di scegliere pro o contro la UE, perché il posizionamento rispetto alla UE, essendo la linea principale del conflitto politico attuale, è ineludibile per qualsiasi forza acceda al governo della nazione. Il M5* ha lungamente oscillato, ma l’indisponibilità del PD renziano a un’alleanza ha deciso per esso. Il M5* doveva, o rinunciare al governo e scontare una grave delusione e progressiva perdita di fiducia del suo elettorato, o cercare l’unica forza politica disponibile a correre il grave rischio di allearsi con un socio politicamente indecifrabile ed elettoralmente molto più forte b) La Lega dunque ha corso il rischio. Elementi a suo favore: la maggiore strutturazione del partito, la maggiore esperienza del suo personale, e soprattutto la coerenza della sua strategia politica, che chiaramente designava il proprio avversario nella UE e nei suoi rappresentanti italiani (anzitutto il PD). In termini militari, la Lega ha scommesso sulla superiorità di una compagine meno numerosa ma di miglior qualità che conduce una guerra di manovra (colpire i centri di comando e controllo con rapide manovre) contro un avversario più numeroso e più scadente che sa condurre soltanto una guerra d’attrito (logorare gli avversari prendendo più voti, fino all’utopico 51%)
  • L’audace manovra ha avuto, sinora, un grande successo. Le reazioni negative degli alleati del centrodestra dimostrano a posteriori quanto incerta e pericolosa fosse l’alleanza, e dunque quanto poco prudente fosse, in realtà, la manovra “prudenziale” descritta al punto V. Sono stati loro a prendersi la responsabilità di rompere l’alleanza, così perdendo il “moral high ground” , la “superiorità morale”; e se appena il governo Lega – 5* riuscirà a tenersi in vita senza commettere errori strategici gravi, all’interno di Forza Italia e Fratelli d’Italia il dissenso già presente rispetto alla linea di opposizione al governo si allargherà e alzerà la voce, costringendo anche queste forze politiche a scegliere dove collocarsi rispetto alla linea del conflitto principale, eventualmente spaccandosi.
  • Perché l’evento più importante, che la mia Palla di Cristallo non esita a definire “storico”, segnato dalla nascita di questo governo, è proprio l’emersione in luce della linea di conflitto politico principale, sinora sommersa nella nebbia, che verte sulla UE. Questo evento di capitale importanza ridisegnerà, in tempi molto più brevi del previsto (da me), tutte le posizioni culturali, politiche e partitiche, italiane e non solo italiane.
  1. La Lega, insomma, punta a egemonizzare politicamente l’alleato 5* sfruttando il suo punto debole: l’assenza di una chiara designazione del nemico, e dunque l’ impoliticità. Punto debole politico e strategico che è anche, si noti bene, il suo punto forte elettorale, perché gli ha consentito di raccogliere consensi provenienti da culture e posizioni politiche anche opposte e affatto incompatibili. La pura e semplice alleanza con la Lega, che designando come proprio nemico principale la UE ha invece una chiara strategia politica, costringe di fatto il M5* a schierarsi, e a schierarsi sulla strategia dell’alleato minore: certo, a patto che la Lega mantenga ferma la bussola strategica. Il riposizionamento strategico che il M5* è costretto a fare provocherà certo molte reazioni al suo interno: pressioni, dissensi, eventuali spaccature, abbandono di una parte dell’elettorato; sommovimenti tutti vantaggiosi per l’alleato minore, che così aumenterà il proprio peso relativo nell’alleanza e vedrà aprirsi nuove possibilità di radicamento nel Meridione, bacino elettorale principale del M5* e terreno che per la Lega è indispensabile conquistare, per trasformarsi in forza politica autenticamente nazionale.
  2. E veniamo al Futuro (prossimo). La mia Palla di Cristallo afferma che il governo Lega-5* si insedierà, perché i “paletti” che il Presidente della Repubblica vorrebbe mettergli sono paletti di gomma. Molto semplicemente, Mattarella non ha spazio di manovra. Il piano B neomacroniano di un’alleanza Renzi-Berlusconi è molto acerbo, i suoi leader sono sconfitti, logorati, nel caso di Berlusconi affatto impresentabili all’elettorato. Una sua probabile riedizione con nuovi leader richiede un tempo di maturazione che Mattarella non ha. Un “governo neutro”, secondo l’impagabile formulazione mattarelliana, che ripetesse i nefasti montiani, passerebbe una palla gol elettorale alla Lega e ai 5* (ammesso che trovasse una maggioranza in parlamento). Un rifiuto ostinato da parte del Presidente della Repubblica di nominare i ministri meno graditi perché meno ubbidienti alla UE, in primo luogo il prof. Savona, provocherebbe una crisi istituzionale di prima grandezza e consegnerebbe un’altra, macroscopica palla gol elettorale a Lega e 5* (l’odierna dichiarazione dell’indisponibilità di Giorgetti a sostituire Savona al Ministero dell’Economia suffraga il responso della mia Palla di Cristallo).
  3. Dunque il governo si insedierà. Come andrà, in Futuro? La mia Palla di Cristallo mi e ci ricorda che anche visto dal Regno Sovratemporale, il Tempo è fluido e gravido di possibilità: solo l’Onniscienza divina scioglie il mistero dell’intreccio tra libertà umana e predestinazione. Essa dunque si limita a indicarci alcune linee di tendenza, e a rivolgerci alcune raccomandazioni.
  • Linea di tendenza principale: l’opposizione delle forze proUE al nuovo governo italiano, per quanto unanime e accanita, non potrà essere risolutiva e travolgente, perché uno scontro campale decisivo tra il governo italiano e la UE rappresenta un rischio esistenziale per entrambi. L’opposizione proUE punterà invece a usurare il governo, a sfruttare i suoi errori, e alla costruzione di un nuovo schieramento politico proUE.
  • Raccomandazione al nuovo governo della mia Palla di Cristallo: evitare lo scontro campale decisivo. Non è ancora giunta l’ora di una Valmy. Non cercare grandi vittorie ma piuttosto scongiurare grandi sconfitte. Anzitutto, perché la nuova alleanza e l’alleato minoritario che la guida non hanno ancora avuto il battesimo del fuoco, cioè del conflitto diretto, nazionale e internazionale, con il proprio nemico principale: e in una guerra, niente può sostituire l’esperienza personale del conflitto. Poi, stabilire rapporti con i settori dell’amministrazione statale senza i quali nessun governo può veder eseguite le proprie direttive (amministrazione, FFOO e in particolare l’Arma dei Carabinieri, servizi di informazione). Infine, prendere iniziative simboliche e dare esempi, per far capire con chiarezza a tutti gli italiani quel che è già manifesto sul piano politico, vale a dire dov’è la linea del conflitto principale, e dove si situano i campi contrapposti. In conclusione: sapere che in questa fase, non perdere è già vincere. Il resto si vedrà, perché:
  • Nessun piano operativo può spingersi, conservando un minimo di certezza, oltre il primo scontro con il grosso delle forze nemiche. E’ solo il profano che, mentre una campagna si sviluppa, crede di vedere la sistematica realizzazione del piano originale fino alla sua conclusione predeterminata.”

Terminato il 24 maggio 2018, ore 13

 

 

 

 

[1]C’è una marea nelle faccende degli uomini che, colta al suo apice, conduce alla fortuna; una volta persa, tutto il viaggio della vita è destinato a miserie e avversità.” Julius Caesar, Atto IV, Scena III

IL GUARDIANO DELLA (AUGURABILMENTE DEFUNTA) COSTITUZIONE REALE, di Massimo Morigi

IL GUARDIANO DELLA (AUGURABILMENTE DEFUNTA) COSTITUZIONE REALE

 

Di Massimo Morigi

 

Nel momento in cui sto scrivendo questa breve nota, per l’esattezza il pomeriggio di mercoledì 23 maggio 2018, non è dato ancora sapere se il nostro Presidente della Repubblica e banale dicitore in servizio permanente effettivo convocherà al Quirinale il prof. Giuseppe Conte e, dettaglio ancor più importante, alla fine si acconcerà di accettare il molto più sostanzioso e (inquietante dal  punto di vista della massima carica dello Stato) prof. Paolo Savona a guidare lo strategico ministero dell’economia. Si tratta indubbiamente di una penosa situazione di stallo che, per farla breve, non contribuisce certo a livello di pubblica opinione interna ed anche di credibilità internazionale, a dare una buona immagine dell’attuale presidenza della Repubblica (questo  soprattutto per quanto riguarda l’opinione pubblica italiana) e a restituire un profilo minimamente decentemente democratico-rappresentativo del nostro sistema politico, che si deve (o meglio si dovrebbe) confrontare con i grandi agenti strategici internazionali, siano questi altri stati nazionali o agenti strategici di natura privata ma che detengono un potere reale pari o superiore agli stati nazionali. Ma tant’è questo è lo stato dell’arte dell’attuale politica italiana e piuttosto che inveire, cercare quindi di far ascoltare (invano) i nostri modesti ragli al Cielo e sperare che, alla fine, un minimo di buonsenso politico prevalga nella nostra massima carica dello Stato, meglio è analizzare, appunto, con un occhio un po’ più distaccato e reso acuto da una prospettiva logico-teorica e storica, questa misera situazione andando così al di là delle indubbie manchevolezze sia sul piano retorico che sul piano della  più elementare phronesis politica è solito mostrare il capo dello Stato italiano. E quindi per spezzare una lancia a suo favore, bisogna immediatamente dire che nell’attuale comportamento dilatorio il nostro capo dello Stato fa veramente (e giustamente dal suo punto di vista) valere le sue prerogative costituzionalmente garantite, ma non nel senso da lui sostenuto che, in ultima istanza, spetta a lui nominare il Presidente del Consiglio dei Ministri (art. 92. Cost.: «Il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei Ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei Ministri. Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri.»), articolo 92 in cui l’ambiguità del dettato dà ragione a qualsiasi comportamento il Presidente della Repubblica voglia adottare nella specifica circostanza, ma le fa pienamente valere riguardo non a questo ambiguo dettato formale ma riguardo ad un altro articolo della costituzione, l’articolo 11 che, per la sua importanza, citiamo anch’esso per intero: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa della libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.» Cosa c’entra l’articolo 11 della Costituzione Italiana con il rispetto delle prerogative del Presidente della Repubblica? Apparentemente nulla: nella sostanza tutto: e diciamo tutto, perché, al di là della retorica sulla Costituzione italiana come la costituzione più bella del mondo, “bellezza” che  retoricamente trova una delle sue massime espressioni nel ripudio della guerra, l’articolo 11 è il riassunto della condizione coloniale dell’Italia dopo il secondo conflitto mondiale, una condizione dove formalmente veniva mantenuta la piena statualità dell’Italia ma dove questa piena statualità non era altro che una fictio iuris perché in Costituzione veniva riconosciuta (ed anzi incoraggiata con retorica pacifista) la possibilità che lo Stato italiano potesse cedere quote della sua sovranità. Il presidente della Repubblica, quindi, ostacolando in tutti i modi l’assunzione delle responsabilità governative da parte delle cosiddette forze populiste e sovraniste, non fa altro che cercare mantenere integro e pienamente vigente il vero nucleo palpitante della nostra Costituzione (che ha giurato di rispettare, e quindi egli col suo comportamento delatorio e ostile verso queste forze non fa altro che fare il suo dovere), vera e propria teleologia costituzionale che dice che l’Italia ha perso definitivamente e per sempre la sua sovranità. Del resto che il nodo della Costituzione scritta italiana nonché di quella materiale sia quello della sovranità (negata e conculcata) ce lo suggerisce non solo la storia del  settantennio postfascista della Repubblica Italiana ma anche quel minimo di logica giuridica che dovrebbe essere impiegata in materia di diritto, e questo minimo di logica giuridica ci suggerisce l’elementare verità che quando disposto dall’articolo 11 in materia di sovranità è, de iure, un processo irreversibile per il semplice fatto che una volta ceduta la sovranità ad un altro soggetto è quest’altro soggetto il detentore della stessa e quindi è impossibile tornare indietro qualora non si sia contenti del comportamento del nuovo detentore della sovranità. In altre parole l’articolo 11 della Costituzione italiana configura la situazione di un patto hobbessiano, dove sì gli uomini conferiscono a un sovrano le loro illimitate prerogative derivategli dal diritto di natura ma questo conferimento, al contrario che nel patto lockiano in cui il sovrano può essere revocato o rovesciato se non compie il suo dovere di difendere e rispettare le libertà  e le proprietà dei sudditi,  non è più reversibile anche se il sovrano, ahimè, si dovesse rivelare un tiranno nemico del popolo. Nel Leviatano recita infatti il patto hobbessiano: «Io autorizzo e cedo il mio diritto di governare me stesso a quest’uomo o a questa assemblea di uomini, a questa condizione, che tu gli ceda il tuo diritto, e autorizzi tutte le sue azioni in maniera simile. Fatto ciò, la moltitudiine così unita in una persona viene chiamata uno stato, in latino civitas. Questa è la generazione di quel grande Leviatano o piuttosto –  per parlare con più riverenza –  di quel Dio mortale, al quale noi dobbiamo, sotto il Dio immortale, la nostra pace e la nostra difesa». Nel Leviatano l’irrevocabilità del patto è quindi prima di tutto  all’interno della logica stessa di quel tipo di patto, caratterizzato dal fatto che i cittadini non si sono accordati fra loro di nominare un sovrano – come invece in buona sostanza accade in Locke e alla luce di una teleologia del patto stesso legata ai risultati che sarà in grado di conseguire il sovrano –  ma si sono accordati fra loro di cedere la propria sovranità per arrivare alla costruzione del sovrano e logicamente, una volta ceduta la sovranità a favore di un terzo, non è più possibile tornare indietro. Siccome nella realtà dell’articolo 11 l’impossibilità di tornare indietro dalla cessione della sovranità non viene palesemente espressa alla luce di una argomentazione logica (difficilmente si potrebbe farlo in una costituzione, il cui compito è enunciare principi e le principali linee guida dello Stato e non certo di giustificarle in dottrina), potrebbe sembrare che questa digressione hobbessiana sia forse interessante ma forse non pienamente attinente al giudizio che si deve fornire sul comportamento del Presidente della Repubblica nei confronti delle forze populiste e sovraniste che vogliano andare al potere e sul (pietoso) stato della sovranità del nostro Paese. In realtà, oltre che una puntualizzazione logico-giuridica in merito alla irreversibilità de iure del processo della cessione della  sovranità contemplata dall’articolo 11 della Costituzione, la digressione ci consente anche di fare il punto in merito all’attuale stato pietoso dell’attuale scienza politica italiana. Attuale stato pietoso della scienza politica italiana, della cui condizione pensiamo possa essere preso a simbolo il magistero di Gianfranco Pasquino, che riguardo all’articolo 11, con totale cecità e manipolazione storica (e totale ridicola assenza di  ragionamento logico-giuridico) è arrivato a scrivere:  «L’elaborazione della nostra Costituzione è avvenuta nel difficilissimo periodo dei primi anni del dopoguerra e della ricostruzione quando bisognava risollevare il paese sia materialmente che moralmente. Il nostro paese si impegna a partecipare alle organizzazioni internazionali che promuovono la pace e la giustizia fra i popoli. L’impegno che si è assunto la nostra Repubblica, fin dalla sua nascita, è stato di partecipare alla creazione di un ordinamento mondiale più giusto, che potesse esprimere quei valori fondamentali, considerati come cardine della vita democratica. In tale prospettiva, l’Italia aderisce all’Organizzazione delle Nazioni Unite, nel dicembre del 1955. L’ONU, costituitosi ufficialmente il 24 ottobre del 1945 sulla disciolta Società delle Nazioni, ha nel suo statuto, come programma, quello di garantire alle nazioni del mondo, la pace e il progresso della democrazia come pure l’affermazione del rigoroso rispetto per i diritti e le pari dignità di tutti gli stati, sia grandi che piccoli. L’articolo 11 della Costituzione fu scritto e pensato anche per consentire l’adesione dell’Italia all’ONU che richiedeva, come condizione essenziale per tale adesione, che lo stato si fosse dichiarato “amante della pace.” Questo articolo si configura come essenziale anche per l’adesione alla Comunità Europea (1951 – anno di nascita della Comunità Europea e 1957 – Trattato di Roma). Nel preambolo della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea, proclamata in occasione del Consiglio di Nizza del 7 dicembre 2000, si dichiara che i popoli europei, nel creare tra loro un’unione sempre più stretta, hanno deciso di condividere un futuro di pace fondato su valori comuni. Diversamente da alcune costituzioni di altri paesi europei, l’articolo 11 non ha subito modifiche riguardanti l’inserimento di una esplicita clausola europea. Il mutato ordinamento politico mondiale, dopo la fine della “guerra fredda”, ha portato la comunità internazionale ad un diverso orientamento, volto a legittimare l’intervento, anche militare, nei confronti di stati in cui siano emerse emergenze umanitarie, con palese violazione dei diritti umani. (deportazioni, genocidi, stupri etnici). Tuttavia, le azioni di forza dovrebbero essere sempre condotte sotto l’egida di un’organizzazione internazionale e impedite a quegli stati che decidano l’azione di forza unilateralmente, anche se per fini umanitari.» Gli URL originari di queste perle di wishful thinking e affabulazione mitologica espresse in un linguaggio apparentemente avaloriale, che noi non commentiamo lasciando questo allegro esercizio ai lettori dell’  “Italia e il mondo”, sono https://gianfrancopasquino.com/tag/limitazioni-di-sovranita/ e https://gianfrancopasquino.com/2015/11/19/guerra-e-pace-nella-costituzione-gli-strumenti-per-una-pace-giusta/   (documento  che noi perché queste perle non vengano vanificate dalla volatilità delle fonti internet abbiamo anche provveduto a caricare  presso gli URL https://archive.org/details/LimitazioniDellaSovranita,https://ia601500.us.archive.org/15/items/LimitazioniDellaSovranita/LimitazioniDiSovranitGianfrancopasquino.html,https://archive.org/details/GuerraEPace e https://ia601503.us.archive.org/13/items/GuerraEPace/GuerraEPace.NellaCostituzioneGliStrumentiPerUnaPaceGiustaGianfrancopasquino.html): quello che a noi preme sottolineare con questa citazione è l’attuale pochezza dell’attuale pensiero politologico mainstream (di cui l’illustrissimo professore dello Studio bolognese è uno dei massimi rappresentanti), dove questa (pavida) pochezza è uno dei non minori aspetti in cui storicamente si è dipanata ed evoluta la progressiva perdita di sovranità dell’Italia avvenuta in seguito alla sconfitta militare nel secondo conflitto mondiale e certificata dalla “costituzione più bella del mondo”, in specie attraverso l’articolo 11. In conclusione: tutta la nostra umana simpatia al nostro caro Presidente della Repubblica che col suo comportamento dilatorio ed ostruttivo contro le forze populiste e sovraniste non fa altro che portare doveroso rispetto alle sue prerogative di custode della costituzione scritta e materiale italiana che all’art. 11 implica che progressivamente l’Italia perdendo la sua sovranità sia ridotta a pura colonia ma anche una ancor più grande solidarietà ed incoraggiamento al popolo italiano perché de facto, cioè con tutte le dinamiche conflittuali contemplate da una vitale Res publica, cioè detto in una parola, con la politica, sappia sbarazzarsi di tutti quei veri e propri orrori che de iure non lasciano alcuna via di scampo per la dignità del nostro paese. Con i migliori auguri quindi, oltre che di buona salute e felice vecchiaia, a che il nostro beneamato Presidente della Repubblica continui ad essere il “guardiano della Costituzione” ma di una ormai defunta costituzione, la cui difesa sia ormai affidata solo al suo solito “banale dire” –   in questo supportato dalla grande scienza politica italiana mainstream – e non alle sue augurabilmente sventate e tutt’altro che banali (e deleterie) azioni.

Massimo Morigi – 23 maggio 2018

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa della libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

 

L’elaborazione della nostra Costituzione è avvenuta nel difficilissimo periodo dei primi anni del dopoguerra e della ricostruzione quando bisognava risollevare il paese sia materialmente che moralmente. Il nostro paese si impegna a partecipare alle organizzazioni internazionali che promuovono la pace e la giustizia fra i popoli. L’impegno che si è assunto la nostra Repubblica, fin dalla sua nascita, è stato di partecipare alla creazione di un ordinamento mondiale più giusto, che potesse esprimere quei valori fondamentali, considerati come cardine della vita democratica. In tale prospettiva, l’Italia aderisce all’Organizzazione delle Nazioni Unite, nel dicembre del 1955. L’ONU, costituitosi ufficialmente il 24 ottobre del 1945 sulla disciolta Società delle Nazioni, ha nel suo statuto, come programma, quello di garantire alle nazioni del mondo, la pace e il progresso della democrazia come pure l’affermazione del rigoroso rispetto per i diritti e le pari dignità di tutti gli stati, sia grandi che piccoli. L’articolo 11 della Costituzione fu scritto e pensato anche per consentire l’adesione dell’Italia all’ONU che richiedeva, come condizione essenziale per tale adesione, che lo stato si fosse dichiarato “amante della pace.” Questo articolo si configura come essenziale anche per l’adesione alla Comunità Europea (1951 – anno di nascita della Comunità Europea e 1957 – Trattato di Roma). Nel preambolo della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea, proclamata in occasione del Consiglio di Nizza del 7 dicembre 2000, si dichiara che i popoli europei, nel creare tra loro un’unione sempre più stretta, hanno deciso di condividere un futuro di pace fondato su valori comuni. Diversamente da alcune costituzioni di altri paesi europei, l’articolo 11 non ha subito modifiche riguardanti l’inserimento di una esplicita clausola europea. Il mutato ordinamento politico mondiale, dopo la fine della “guerra fredda”, ha portato la comunità internazionale ad un diverso orientamento, volto a legittimare l’intervento, anche militare, nei confronti di stati in cui siano emerse emergenze umanitarie, con palese violazione dei diritti umani. (deportazioni, genocidi, stupri etnici). Tuttavia, le azioni di forza dovrebbero essere sempre condotte sotto l’egida di un’organizzazione internazionale e impedite a quegli stati che decidano l’azione di forza unilateralmente, anche se per fini umanitari.

 

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https://archive.org/details/GuerraEPace

https://ia601503.us.archive.org/13/items/GuerraEPace/GuerraEPace.NellaCostituzioneGliStrumentiPerUnaPaceGiustaGianfrancopasquino.html

Io autorizzo e cedo il mio diritto di governare me stesso a quest’uomo o a questa assemblea di uomini, a questa condizione, che tu gli ceda il tuo diritto, e autorizzi tutte le sue azioni in maniera simile. Fatto ciò, la moltitudiine così unita in una persona viene chiamata uno stato, in latino civitas. Questa è la generazione di quel grande Leviatano o piuttosto – per parlare con più riverenza – di quel Dio mortale, al quale noi dobbiamo, sotto il Dio immortale, la nostra pace e la nostra difesa…

KKKKKKKKKKKKKKKKKKKKKKKKKKKKKKKKKKKKKKKKKKKKKK

Perciò il fine grande e principale per cui gli uomini si riuniscono in comunità politiche e si sottopongono a un governo è la conservazione della loro proprietà. A questo fine infatti nello stato di natura mancano molte cose. In primo luogo manca una legge stabilita, fissa e conosciuta. In secondo luogo, nello stato di natura manca un giudice noto e imparziale, con l’autorità di decidere tutte le controversie in base ad una legge stabilita. In terzo luogo, nello stato di natura manca spesso un potere che sostenga e sorregga la sentenza, quando essa è giusta, e ne dia la dovuta esecuzione. Ma, sebbene gli uomini, quando entrano a far parte della società, rinuncino all’eguaglianza, libertà e potere esecutivo che avevano nello stato di natura, per riporre queste cose nelle mani della società, affinché il potere legislativo ne disponga nella misura richiesta dal bene della società, tuttavia, poiché ciascuno fa ciò soltanto con l’intenzione di meglio conservare per se stesso la libertà e la proprietà (dal momento che non si può supporre che nessuna creatura razionale cambi la propria condizione con l’intenzione di peggiorarla), non si può mai supporre che il potere della società, ossia il potere legislativo costituito dai membri della società, si estenda al di là del bene comune; anzi esso è obbligato ad assicurare a ciascuno la sua proprietà, prendendo provvedimenti contro quei tre difetti sopra menzionati, che fanno lo stato di natura cosí insicuro e disagevole. Perciò chiunque abbia il potere legislativo, ossia il potere supremo, di una comunità politica, è tenuto a governare con leggi stabilite e fisse, promulgate e rese note al popolo, e non con decreti estemporanei; deve servirsi di giudici imparziali e giusti, che devono decidere le controversie in base a quelle leggi; deve impiegare la forza della comunità all’interno soltanto per eseguire quelle leggi, o all’esterno per prevenire o riparare torti provocati da stranieri, e assicurare la comunità da incursioni e invasioni. E tutto ciò deve essere diretto a nessun altro fine, se non alla pace, alla sicurezza e al bene pubblico del popolo.

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GUERRA E PACE. Nella Costituzione gli strumenti per una pace giusta

NOVEMBRE 19, 2015 8:00 AM / 1 COMMENTOSU GUERRA E PACE. NELLA COSTITUZIONE GLI STRUMENTI PER UNA PACE GIUSTA

 

Il testo che pubblichiamo è il commento all’art. 11 della Costituzione italiana scritto da Gianfranco Pasquino per il suo libro La Costituzione in trenta lezioni (UTET, fine gennaio 2016)

 

La vita della maggioranza dei Costituenti italiani era stata segnata da due guerre mondiali e dall’oppressione del regime fascista nato sulle ceneri della Prima Guerra Mondiale e pienamente responsabile della partecipazione alla Seconda. In nome di un nazionalismo malposto e esasperato, il fascismo aveva causato enormi danni all’Italia entrando in una guerra di conquista e perdendola con il sacrificio di molte vite e della stessa dignità nazionale. L’art. 11 è il prodotto di una riflessione sull’esperienza storica, non soltanto italiana, e del tentativo di porre le premesse affinché sia bandito qualsiasi ricorso alla guerra ‘come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali’. Il ripudio, questo è il termine usato nell’articolo, è, al tempo stesso rinuncia e condanna della guerra, più precisamente di esplicite guerre di offesa e aggressione. Il ripudio della guerra non è in nessun modo interpretabile come l’espressione di un pacifismo assoluto e, il seguito dell’articolo lo dice chiaramente, neppure come neutralismo. Al contrario, per assicurare ‘la pace e la giustizia fra le Nazioni’, l’Italia dichiara la sua disponibilità a limitazioni di sovranità e a promuovere e favorire ‘le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo’. Naturalmente, la Costituzione riconosce che lo Stato italiano mantiene il diritto di difendere, anche con il ricorso alle armi, il suo territorio e la sua popolazione. Tuttavia, qualsiasi reazione militare deve essere proporzionata alla sfida e non deve sfociare in nessuna conquista territoriale. Coerentemente, neppure le azioni militari condotte sotto l’egida delle organizzazioni internazionali debbono mirare a e tantomeno possono concludersi, per uno o più dei partecipanti, con guadagni territoriali, ai quali l’Italia ha l’obbligo costituzionale e politico di opporsi.

Le limitazioni alla sovranità italiana derivano dall’adesione, deliberata e approvata dal Parlamento, a tutte le organizzazioni internazionali, ma, in particolare, per quello che attiene alla guerra (e alla pace), alla NATO, alle Nazioni Unite e all’Unione Europea. In seguito alla sua adesione, l’Italia si è impegnata a partecipare alle attività decise in ciascuna di quelle sedi, quindi anche ad attività che implichino il ricorso ad azioni di natura militare. Talvolta, queste azioni sono problematiche poiché in non pochi casi vanno contro il principio di non ingerenza negli affari interni di uno o più Stati. Il principio guida di questa giustificabile ingerenza è dato dai rischi e dai pericoli ai quali sono effettivamente esposte le popolazioni di quegli Stati ovvero una parte di loro. Le missioni militari ‘umanitarie’, a favore delle popolazioni, alle quali l’Italia ha il dovere di prendere parte, sono quelle deliberate nelle organizzazioni internazionali, in modo speciale, l’ONU e, quando è minacciata l’indipendenza e l’integrità di uno Stato membro, la NATO. Possono avere una durata indefinita nella misura in cui servono ad alcuni popoli e ad alcuni governanti per costruire le strutture statali indispensabili alla difesa contro pericoli esterni e alla creazione di ordine politico interno rispettoso dei diritti civili e politici dei cittadini.

Nel secondo dopoguerra, in particolare, dopo la caduta del muro di Berlino, si sono moltiplicate le occasioni, da un lato, di oppressione delle loro popolazioni ad opera dei rispettivi dittatori, dall’altro di vere e proprie guerre civili, soprattutto nel Medio-Oriente e in Africa, ma anche nei Balcani. Seppure con qualche controversia interna, tutte le volte che l’Italia è stata chiamata in causa ha risposto positivamente in applicazione degli impegni e dei compiti derivanti dalla sua appartenenza all’ONU e alla NATO. Naturalmente, la valutazione della efficacia, dei costi e degli effetti, e della costituzionalità dell’attività delle missioni militari italiane all’estero e della eventuale necessità di una loro prosecuzione rimane nelle mani del Parlamento.

Che la pace, duratura e giusta, che non significa mai puramente e semplicemente assenza di conflitto armato, possa essere conseguita soltanto fra regimi democratici, lo scrisse memorabilmente il grande filosofo illuminista prussiano Immanuel Kant nel suo breve saggio Per la pace perpetua (1795). In un certo senso, questo obiettivo di pace è stato perseguito anche dall’Unione Europea delle cui organizzazioni l’Italia ha fatto parte fin dall’inizio (1949). Nel 2012 all’Unione Europea è stato attribuito il Premio Nobel per la pace con la motivazione di avere effettuato grandi ‘progressi nella pace e nella riconciliazione’ e per avere garantito ‘la democrazia e i diritti umani’ nel suo ambito che è venuto allargandosi nel corso del tempo fino a ricomprendere ventotto Stati-membri. A sua volta ognuno degli Stati-membri dell’Unione Europea deve avere e mantenere un ordinamento interno democratico e deve accettare le limitazioni di sovranità che conseguono alla sua adesione all’Unione. Preveggente, l’art. 11 della Costituzione mette la parola fine al nazionalismo, non soltanto bellico, ma autarchico e isolazionista, aprendo la strada a molteplici forme di collaborazione internazionale e sovranazionale che costituiscono la migliore modalità per garantire la pace nella giustizia sociale.

Pubblicato il 18 novembre 2015

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TARANTO, DA POLO SIDERURGICO A POLO STRATEGICO DELLA NATO, DI LUIGI LONGO

Qui sotto un saggio di Luigi Longo sugli interessi geopolitici che in qualche maniera stanno contribuendo a determinare, in maniera determinante, assieme al conflitto intracomunitario sulla ripartizione delle quote di produzione di acciaio, il destino infausto dello stabilimento ILVA di Taranto. Il testo è apparso nel 2013 su www.conflittiestrategie.com, sito con il quale sia lo scrivente che l’autore collaboravano.Giuseppe Germinario

Taranto, da polo siderurgico a polo strategico della NATO

di Luigi Longo

 

 

Quando si giunge ai beni della terra, allora

                                                                       il bene più grande si nomina inganno e pazzia.

                                                                       Quelle passioni alte che ci hanno dato la vita,

                                                                       di pietra si fanno nel caos del mondo.[…]

\                   Johann Wolfgang Goethe*

 

Colui che disse che la vita dell’uomo è una guerra,

                                                           disse almeno tanto gran verità nel senso profano

                                                           quanto nel sacro. Tutti noi combattiamo l’uno

                                                           contro l’altro, e combatteremo fino all’ultimo fiato,

                                                           senza tregua, senza patto, senza quartiere. Ciascuno

                                                           è nemico di ciascuno, e dalla sua parte non ha altri che

                                                           se stesso.[…] Del resto o vinto o vincitore, non bisogna

                                                           stancarsi mai di combattere, e lottare, e insultare e calpestare

                                                           chiunque ci ceda anche per un momento. Il mondo è

                                                           fatto così, e non come ce lo dipingevano a noi poveri

                                                           fanciulli.[…]

.                                                                                                                      Giacomo Leopardi*

 

Essere pessimisti circa le cose del mondo e la vita in

                                                           generale è un pleonasmo, ossia anticipare quello che

                                                           accadrà […]. La situazione politica in Italia è grave ma

                                                           non è seria[…].

Ennio Flaiano*

 

 

1.Il conflitto strategico all’Ilva di Taranto.Nel mio precedente scritto sulla questione dell’Ilva di Taranto ho avanzato l’ipotesi della trasformazione di questo polo siderurgico in polo strategico della NATO (1). Oggi, con il commissariamento dell’Ilva, questa ipotesi diventa più fondata, soprattutto se analizziamo le seguenti fasi: a) il decreto di commissariamento ( nomina di Enrico Bondi a commissario straordinario e di Edo Ronchi a sub commissario per la tutela ambientale ); b) il programma di intervento finalizzato nei fatti alla chimera della bonifica ambientale e della tutela della salute degli operai e della popolazione; c) la configurazione di blocchi di potere economico-portuale ( uso e riuso del porto ), economico-ambientale ( bonifica e risanamento ) e economico-territoriale ( rigenerazione urbana e nuovo ruolo della città ); d) la trasformazione, di fatto, a comando NATO della seconda base navale nel Mar Grande ( ubicata nella zona “Chiapparo”) e la costruzione della terza base navale NATO nel Mar Grande ( localizzata nel molo polisettoriale vicino al Molo Ovest del porto utilizzato dall’Ilva) (2); e) la nuova strategia USA nel mediterraneo ( soprattutto nei paesi del Nord Africa) e nel Medio Oriente (soprattutto in Siria e Iran).

La nuova strategia USA, che fa riferimento a Barak Obama e agli agenti dominanti che lo esprimono, assegna un ruolo importante all’Italia considerata uno spazio geografico asservito con infrastrutture militari strategiche ( armi e sistemi di comunicazioni), ovviamente, per questioni di sicurezza legate all’Europa, al Medio Oriente e all’Africa e già mai per costruire con tutta l’Europa [si veda il costruendo accordo di libero scambio USA-UE ( la NATO economica)] << la testa di ponte americana sul continente euroasiatico >> (Zbigniew Brzezinski) per l’accerchiamento militare della Russia (una potenza ri-emergente), temuta sopratutto per il suo arsenale militare nucleare (3), nella fase multipolare lagrassiana che si sta facendo sempre più vivace e incalzante.

Si può affermare che la nuova strategia USA di ri-orientamento, dopo il tramonto della illusione di essere diventata l’unico centro di ordine mondiale a seguito dell’implosione dell’ex URSS ( 2001-2003, la sconfitta del Nuovo ordine mondiale o del secondo secolo americano), porta a un conflitto per l’egemonia mondiale che può sfociare in un dominio meno unilaterale ( un assestamento della fase multipolare) o in una guerra mondiale ( fase policentrica) come la storia dimostra (4).

Gianfranco La Grassa sostiene che << Si deve partire dalla configurazione che sono andati assumendo i rapporti internazionali nella nostra area, e in quella vicina africana e mediorientale, per meglio valutare che cosa stia accadendo in Italia. Sembra di poter constatare che il mutamento strategico statunitense, precisatosi soprattutto negli ultimi anni, ha ormai bisogno di accelerare date trasformazioni nella subordinazione italiana >> (5); Gianfranco La Grassa ha ragione, soprattutto in considerazione del fatto che << Le strutture statunitensi in Italia permettono una capacita’ di azione unica e sono fondamentali per la nostra possibilità di promuovere la stabilita’ nel Mediterraneo, nel Medio Oriente e nel Nord Africa. Abbiamo quindicimila uomini nelle sei basi italiane e questi insediamenti presentano alcune delle nostre più avanzate risorse schierate fuori dagli Stati Uniti [ corsivo mio] >> (6).

I segnali della suddetta accelerazione sono: 1) lo «Strategic Dialogue», una revisione complessiva della collaborazione tra Italia e Stati Uniti, che non avveniva da circa due anni, si è tenuta di recente a Roma. L’invito viene da Derek Chollet, Assistant Secretary of Defense for International Security Affairs, ossia il principale consigliere del capo del Pentagono Hagel per le questioni di sicurezza legate all’Europa, al Medio Oriente e all’Africa, che così afferma << Discutere il nostro rapporto strategico e le cose che possiamo fare insieme nel mondo. E’ un appuntamento che arriva in un momento cruciale: il quadro della sicurezza nella regione mediorientale e nordafricana sta cambiando velocemente, e l’Italia è un partner indispensabile per portare cambiamenti positivi ( corsivo mio)…L’Italia è un partner molto stretto su questa vicenda. Ha ospitato almeno un incontro degli Amici della Siria, i segretari Kerry e Panetta sono venuti da voi a parlare in varie occasioni. State dando un contributo importante con l’assistenza umanitaria, lavorando con paesi tipo la Giordania per rafforzare le loro difese, e aiutando a costruire un’opposizione coerente e capace di favorire i cambiamenti che vorremmo vedere in Siria [ corsivo mio] >> (7); 2) la nomina del nuovo ambasciatore USA in Italia, John Phillips e, soprattutto, la presenza della moglie Linda Douglass, ex portavoce della Casa Bianca sulla riforma della Sanità e una delle più quotate strateghe di Barak Obama, i quali aiuteranno il Presidente della Repubblica che garantisce la costituzione italiana fondata sulla sovranità popolare e non sulla servitù volontaria, a mettere ordine tra gli agenti sub-dominati italiani ( i cotonieri di Gianfranco La Grassa) in modo da gestire, senza eccesso di disordine, attraverso le istituzioni, l’asservimento del territorio italiano alla strategia degli agenti dominanti USA, in una fase molto delicata e in continua mutazione, soprattutto, come indica Derek Chollet, nella regione mediorientale e nordafricana (8).

Leggerò i fatti di Taranto secondo lo schema proposto per il conflitto strategico dell’Ilva.

2.Le città NATO. La città di Taranto è diventata una città importante per la strategia USA-NATO. Una città NATO. Gli agenti dominanti USA hanno bisogno della piena disponibilità del porto di Taranto (9), con i suoi Mar Piccolo e Mar Grande, per le loro infrastrutture militari strategiche ( sommergibili nucleari, armi, sistemi di sorveglianza). E’ da un decennio ( il tempo non è da leggere in maniera lineare e deterministico) che stanno lavorando a questa trasformazione che si innerva con quelle trasformazioni messe in atto in altre basi militari USA-NATO ( Napoli, Sigonella, Niscemi, Vicenza) e alla trasformazione del ruolo della NATO (10).

Nel porto di Taranto è localizzata, dalla prima metà degli anni sessanta del secolo scorso, l’Ilva che è evidentemente incompatibile con la strategia della trasformazione delle basi NATO.

Noto una certa analogia, da prendere con cautela e calarla storicamente, con la storia industriale della più grande acciaieria di Napoli, l’Ilva di Bagnoli. Anche qui gli obiettivi erano le esigenze strategiche e territoriali della base NATO della città di Napoli ( quartier generale della NATO, sede di vari comandi di unità di servizi USA, grande centro per le telecomunicazioni del Mediterraneo dell’US Navy che coordina tutta l’attività di comunicazione, comando e controllo del Mediterraneo, eccetera). In quegli anni si svolgevano fatti di importanza mondiale per il nuovo equilibrio che si andava configurando con la caduta del muro di Berlino e con la successiva implosione dell’ex URSS. Si aprivano nuovi scenari per gli USA come possibilità di un unico centro di coordinamento mondiale e un nuovo ruolo della NATO. La chiusura dell’Ilva di Napoli per le esigenze territoriali della base del quartiere generale della NATO non poteva essere detta. Tutto fu velato dietro un fumoso progetto per il risanamento e il rilancio dello sviluppo della città di Napoli che passava attraverso il conflitto tra i settori economici (industriale, edilizio, turistico) : il progetto Fiat-Partecipazioni Statali degli anni ’80, l’idea della NeoNapoli di Paolo Cirino Pomicino, la fase di Tangentopoli, le lotte di blocchi di potere per i finanziamenti della bonifica di Bagnoli, non realizzata ( dal 2003 sono stati presentati ben 6 progetti di bonifica), gli indirizzi per la pianificazione urbanistica ( impianti di eccellenza per il turismo legato al sistema congressuale alberghiero, grande parco pubblico, rete di attività produttive connesse con la ricerca scientifica, eccetera).

L’Ilva di Bagnoli, una impresa in piena salute, fu chiusa e venduta ai cinesi (11).

Un sindaco, Antonio Bassolino, e un urbanista, Vezio De Lucia (i nomi sono l’espressione di gruppi di potere in riferimento agli agenti sub-dominanti), gestirono la fase di velamento culturale e ideologico della grande trasformazione della città di Napoli.

Anche qui occorse un decennio per preparare la trasformazione.

 

3.Il ruolo della magistratura. L’inizio della fine ( che avrà i suoi tempi) dell’Ilva di Taranto è datato dall’azione della magistratura che il 26 luglio 2012 dispone il sequestro preventivo, senza facoltà d’uso, degli impianti dell’area a caldo dell’Ilva. L’azione è intrapresa per tutelare, con mezzo secolo di ritardo, i sacri principi costituzionali di tutela della salute dei lavoratori, della popolazione e del territorio. E’ logico pensare, considerato che la magistratura agisce sull’intero territorio nazionale, che tutti i poli siderurgici e petrolchimici abbiano lo stesso interessamento, se così non fosse rimarrebbe sempre la domanda in sospeso: perché l’Ilva di Taranto?.

Se dovessimo tutelare i suddetti sacri principi costituzionali (12) dovremmo chiudere qualsiasi impresa di produzione di merce, ma a questo punto non saremmo più nella società capitalistica. E non credo che la magistratura pensasse ad un’altra società. Infatti la sua azione sembra quella di difendere i sacri principi costituzionali elevandoli su un edificio sociale costruito con fondamenta di ingiustizie, di sperequazioni, di privilegi, di inganni, di ruberie, di pazzie e di guerre.

Giorgio Nebbia, che è un noto merceologo, ha scritto di recente che <<… la produzione dell’acciaio, come di qualsiasi altra merce, è accompagnata, inevitabilmente [corsivo mio], da scorie, rifiuti e nocività: la natura non dà niente gratis [ lui essendo un merceologo si ferma alla natura e non pensa ai rapporti sociali che determinano la forma, lo sviluppo della produzione e l’uso della natura, mia critica] >> (13). Ha sostenuto un grande medico e scienziato, Giulio Maccacaro, che << …c’è un solo MAC [Massima Concentrazione Accettabile di una sostanza, mia precisazione] accettabile ed è quello zero…>> (14). Nella società a modo di produzione capitalistico non esiste un processo produttivo a MAC zero.

La magistratura sa che non ci sono le risorse finanziare per risanare e bonificare il territorio, ammesso e non concesso che ciò sia possibile!, e per questo dà la caccia al tesoro finanziario della famiglia Riva la quale metterà in campo, visto il potere che le deriva dal condurre un’impresa di livello mondiale ( il gruppo Riva nel 2011 è il primo nel settore in Italia, quarto in Europa e ventitreesimo nel mondo), tutte le sue relazioni economiche, politiche, finanziarie, istituzionali ( la grande impresa non è solo ciclo economico), per contrastare il sequestro delle sue risorse finanziarie.

La storia economica reale dei poli siderurgici e petrolchimici dimostra che c’è la privatizzazione dei benefici e la socializzazione delle perdite ( umane, ambientali e territoriali).

Le risorse finanziarie che la magistratura intende confiscare alla famiglia Riva, tramite la capogruppo Riva Fire (15), sono pari a 8 miliardi e 100 milioni di euro. La somma stabilita equivale, secondo la magistratura, ad << …un indebito vantaggio economico all’Ilva ai danni della popolazione e dell’ambiente >> e sarebbero destinate agli interventi di risanamento e bonifica territoriale. Dalle risorse finanziarie da confiscare sono esclusi i costi per la bonifica di acqua e suolo ai parchi minerali, oltre al profitto necessario per continuare la produzione. E’ evidente che con queste condizioni l’impresa Ilva non è in grado di pianificare il piano industriale 2013-2018. Ed è evidente che il peso per contrattare a livello europeo, in una fase competitiva sempre più agguerrita [ francesi, tedeschi e turchi stanno già beneficiando della crisi dell’ILVA](16), gli aiuti del piano siderurgico predisposto dalla Commissione Europea sarà pari a zero, per non parlare del ruolo, nella sostanza assente, dello Stato italiano. Ricordo che l’Ilva è stata decapitata del gruppo dirigente strategico e tecnico.

A Napoli fu la sfera economica, intrecciata alla sfera ideologica, la teste di ariete per la base NATO, a Taranto è la sfera della magistratura, innervata alla sfera ideologica, ad essere la testa di ariete della NATO.

 

4.Il ruolo del governo. L’Ilva, è utile ricordarlo, è una impresa di livello mondiale, con il più grande impianto siderurgico d’Europa, che produce acciaio, una merce base dell’economia italiana e mondiale. E’ un’impresa strategica per l’economia italiana. Ha una occupazione diretta di circa 12 mila lavoratori, a cui deve aggiungersi un indotto strettamente collegato sul piano verticale che porta l’occupazione diretta a oltre 15 mila unità. A questo dato devono sommarsi 9.200 unità legate all’indotto, per un totale complessivo di occupazione pari a oltre 24 mila occupati (17).

L’intervento del governo si concentra in tre direzioni: a) l’esproprio di una grande impresa (con la beffa del richiamo agli articoli 32, 41 e 43 della Costituzione, mai vista nella storia dell’industria italiana); b) la bonifica dell’ambiente, la tutela della salute e la salvaguardia del territorio; c) l’applicazione dell’ AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) al processo produttivo dell’Ilva, anticipata e integrata con le migliori tecnologie disponibili da impiegare nel settore della siderurgia a livello europeo per assicurare la protezione dell’ambiente e la protezione della salute così come da decisione della Commissione Europea 2012/135/UE ( la Commissione Europea dà tempo fino 2016 per uniformarsi).

La domanda viene spontanea: perché anticipare di tre anni il recepimento della suddetta decisione della Commissione UE creando uno squilibrio nel mercato della concorrenza tra le imprese del settore siderurgico ( scusate il linguaggio neoclassico)? E il recepimento della suddetta decisione della Commissione Europea nell’AIA non significa non rendere competitiva l’Ilva e avviarla alla chiusura?. E’ questo il modo di difendere un’industria strategica da parte del governo italiano?

Andiamo avanti nel ragionamento.

Tutto questo, ovviamente, avverrà di pari passo con la elaborazione del piano industriale per il rilancio dell’Ilva e del piano ambientale per la tutela del territorio ( città, mare e territorio rurale) e della salute dei lavoratori e della popolazione.

Così ragiona il ministro dello sviluppo economico Flavio Zanonato: << Il costo di un’eventuale chiusura dell’impianto avrebbe conseguenze negative gravi sul piano economico e, comunque, determinerebbe il consolidamento di una situazione che, secondo i magistrati di Taranto, è da considerarsi di disastro ambientale. L’impatto economico negativo è stato valutato attorno ad oltre 8 miliardi di euro annui, imputabili per circa 6 miliardi alla crescita delle importazioni, per 1,2 miliardi al sostegno al reddito ed ai minori introiti per l’amministrazione pubblica e per circa 500 milioni in termini di minore capacità di spesa per il territorio direttamente interessato. In una fase di calo globale del mercato, è evidente che l’eventuale uscita dello stabilimento di Taranto sarebbe guardata con estrema soddisfazione dai maggiori competitor europei e mondiali, che vedrebbero aumentare le proprie prospettive di mercato a tutto danno del sistema produttivo italiano. Anche un’eventuale vendita ad operatori internazionali esporrebbe il nostro Paese al rischio di un forte impoverimento della capacità tecnologica e di innovazione. L’importanza strategica di questo complesso industriale non può, però, far venir meno gli obblighi di tutela ambientale da cui dipende la qualità della vita dei cittadini di Taranto. La crescita economica e la salvaguardia della salute non sono, in particolare in questo caso, due diritti contrapposti e la prima non si può certo perseguire facendo soccombere la seconda [ corsivo mio]. Il Governo, quindi, tende ad adottare tutte le azioni utili a tutelare l’ambiente e la vivibilità della città di Taranto nella consapevolezza che un’interruzione della produzione peggiorerebbe ulteriormente la situazione rendendo impossibile la bonifica dei siti inquinati. La sopravvivenza dello stabilimento è, oggi, dunque, legata alla capacità dell’azienda di mettere in atto gli investimenti necessari a rendere compatibile l’impianto con le norme ambientali e di sicurezza sulla salute dei cittadini  [ corsivo mio]>> (18).

La priorità del governo nella questione Ilva è tutta incentrata sulla questione ambientale, sulla tutela della salute e sul risanamento della città. Basta avere la pazienza di leggere i dibattiti parlamentari, gli atti delle Commissioni Parlamentari (VIII e X), i decreti legge, i disegni di legge di conversione dei decreti, per rendersene conto direttamente. Anche il Vice presidente della Commissione Europea, Antonio Tajani, privilegia l’aspetto ambientale della questione Ilva anche perché nel piano siderurgico dell’Unione Europea, che illustra uno scenario di grande crisi, non c’è spazio per una grande impresa come l’Ilva, tra l’altro impossibilitata ad agire perchè in fase di esproprio temporaneo, e le condizioni di rilancio del settore siderurgico previste nel suddetto piano necessitano di una forte presenza dello Stato che abbia un minimo di strategia di politica economica sovrana e che sappia difendere le sue industrie strategiche e, in una logica di sviluppo economico, sappia ridurre i costi eccessivi dell’energia che <<… pesa fino al 40% sui costi di produzione di un impianto siderurgico, per cui il settore risente fortemente del trend dei costi energetici che, in Europa, sono tra i più alti al mondo >> e rilanciare i due settori di maggior consumo di acciaio (le costruzioni e la produzione di auto) così come fanno la Germania e la Francia (19).

L’Unione Europea sta indagando sull’Ilva di Taranto e vuole sapere dal Governo italiano, dalla regione Puglia e dall’Arpa/Puglia, come si sta combattendo l’inquinamento, come si gestiscono le discariche, i rifiuti e le acque reflue. Chiede inoltre di sapere se sono stati violati il diritto alla vita e il rispetto della vita privata e familiare (articolo 2 e 7 della Carta dei diritti fondamentali della UE) (20).

Il governo italiano sta chiudendo tutte le imprese strategiche appartenenti ai settori innovativi ( inutile fare l’elenco); è in forte crisi anche il tanto lodato e non strategico made in Italy; la Banca d’Italia è preoccupata per la tenuta dell’intero sistema industriale (si vedano gli ultimi bollettini economici della Banca d’Italia). Stiamo in una crisi profonda di portata epocale per la quale l’80% della popolazione non vive bene.

A chi pensate che la UE taglierà la produzione, per ridurre la propria sovraccapacità, che ammonta a 80 milioni e rappresenta oltre 1/3 della produzione complessiva ?

Il governo italiano, mentre chiude le sue imprese strategiche, per assecondare gli agenti strategici americani, con grandi perdite nelle relazioni geopolitiche e geoeconomiche, diventando sempre più un territorio dove << i gabinetti stranieri [sono] a decidere la sorte della nazione >> , decide per decreto (articolo 1 del decreto legge del 3 dicembre 2012 n.207) di trasformare l’Ilva in impresa strategica ed espropriarla per affidarla alla gestione pubblica per il risanamento aziendale e territoriale per poi restituirla ai proprietari. Come se i luoghi pubblici, i luoghi dell’interesse generale, i luoghi delle istituzioni ramificate territorialmente, i luoghi dello Stato, fossero luoghi dove si espleta la politica dell’interesse generale del Paese e non invece, luoghi dove i gruppi strategicamente egemonici ( pre-dominati e sub-dominanti) realizzano i loro indirizzi strategici di dominio (21).

Non solo, ma la difesa ambientale e la salute delle popolazioni, per cui è stata espropriata l’Ilva, è ideologica ( nell’accezione negativa del termine) e strumentale da parte del governo italiano, tant’è che all’articolo 41, comma 1, del decreto legge n.69/2013[ il cosiddetto decreto del fare (sic)], si legge  <<…nei casi in cui le acque di falda contaminate determinano una situazione di rischio sanitario, oltre all’eliminazione della fonte di contaminazione ove possibile ed economicamente sostenibile…>>. E’ ovvio che l’economicamente sostenibile si riferisce alle imprese. E, allora, i tanto decantati articoli 41 e 43 della Costituzione italiana si applicano soltanto all’Ilva? Se interpreto bene il citato articolo, mi ritorna di nuovo la domanda: perché L’Ilva? E i giuslavoristi, i costituzionalisti, i difensori estremi della Costituzione non hanno niente da dire sulla incostituzionalità del citato comma?

Se fosse vivente il grande storico Carlo Maria Cipolla certamente avrebbe aggiornato il suo magnifico saggio ( Allegro ma non troppo) sulle leggi fondamentali della stupidità umana.

5.Il ruolo dei Commissari. Per realizzare questo grande disegno di rilancio dell’Ilva e di risanamento ambientale e territoriale vengono nominati un Commissario Straordinario, nella persona di Enrico Bondi, già amministratore delegato dell’Ilva nominato dalla famiglia Riva, e un sub Commissario all’ambiente nella persona di Edo Ronchi ( un confusionario della generazione “sessantottopersa” nel distorto benessere capitalistico, che ha scambiato una rivoluzione di costume e di consumo per una rivoluzione sociale nell’accezione marxiana e leniniana, esperto di sviluppo sostenibile, stimato dagli ambientalisti e dai radicali di sinistra, in quota nel PD). Entrambi traghetteranno, in un continuo gioco delle parti, se le cose dette hanno un minimo di sensatezza, l’Ilva alla chiusura. Sono gli esecutori, insieme ai loro gruppi di potere, degli ordini degli agenti strategici sub dominanti italiani alla mercè dei desiderata dei predominanti USA via NATO. A ciò è servito l’applicazione del citato artico 1 del D.L. n.207/2012, altro che interesse pubblico o interesse generale o bene del Paese.

Enrico Bondi, con il suo gruppo di potere di riferimento, medierà con la proprietà una chiusura dignitosa dal punto di vista economico-finanziario magari aiutando l’Ilva a de-localizzare nei Balcani.

Edo Ronchi, con il suo gruppo di potere di riferimento, lavorerà ad un grande piano di risanamento dell’ambiente, della città e del territorio rendendo << … gli stabilimenti Ilva un punto di riferimento in Europa, anticipando di tre anni le migliori tecnologie disponibili (Best Available Technologies, BAT) che saranno applicate in ambito europeo a partire dal 2016. Nella consapevolezza di una situazione di assoluta emergenza, il Governo intende tuttavia giungere alla realizzazione dello stabilimento più avanzato in Europa in termini di compatibilità ambientale…>> (22).

La UE, il governo italiano, la regione Puglia e il comune di Taranto sono i luoghi istituzionali dove saranno gestite le risorse finanziarie ( derogando al Patto di stabilità) per il rilancio di uno sviluppo dell’area tarantina nei settori della bonifica ambientale, del risanamento del territorio, della rigenerazione urbana della città, della smart city, del riuso del porto ( l’Autorità Portuale vede con favore la chiusura dell’Ilva per puntare a un riuso del porto e al superamento dell’attuale crisi sul modello di quello di Rotterdam: fare di Taranto, la Rotterdam del Mediterraneo) (23), eccetera, in stretta collaborazione con le strategie di intervento che integrano la dimensione militare e quella civile della NATO.

I sindacati, i partiti convergeranno, per gestire la fase di passaggio dal polo siderurgico al polo NATO, le loro azioni per difendere il lavoro (intanto ci saranno a luglio i primi 2 mila esuberi per crisi di mercato) (24) e la dignità della popolazione con i meccanismi di difesa sociale, ridotti all’osso, del fu stato sociale.

I lavoratori e le lavoratrici si chiederanno, come Vincenzo Buonocore dell’Ilva di Bagnoli, perché l’Ilva è stata chiusa ?

La popolazione di Taranto continuerà a credere che nella società capitalistica è possibile un modo di produzione rispettoso della salute, dell’ambiente e del territorio e dorme tranquilla perché sa che ha come Presidente della Repubblica un garante intransigente della Costituzione italiana.

La sfera ideologica è già al lavoro.

Non è la marxiana storia che si ripete diventando farsa, ma è la lagrassiana storia che torna in maniera diversa.

 

 

*Le citazioni che ho scelto come epigrafe sono tratte da:

 

  • Johann Wolfang Goethe, Faust, a cura di Franco Fortini, Mondadori, Milano, 1970, pag.53;
  • Giacomo Leopardi, Con pieno spargimento di cuore, L’Orma editore, 2012,pp.43-44;
  • Ennio Flaiano, Diario notturno, Adelphi, Milano, 2012, pp. 114 e 165.

 

 

NOTE

 

1.In Italia esistono ufficialmente 120 basi dichiarate, oltre a 20 basi militari USA totalmente segrete e ad un numero variabile ( al momento sono una sessantina) di insediamenti militari o semplicemente residenziali con la presenza di militari USA. Per quanto riguarda le basi segrete, non si sa ovviamente dove siano, né che armi e che mezzi vi si trovino. Cfr Le basi militari Usa e Nato in Italia in www.neoingegneria.com

2.La prima base navale della Marina Militare Italiana è ubicata nel Mar Piccolo. Il Mar Piccolo è un’area militarizzata se consideriamo la presenza dell’Aeronautica Militare con un deposito sotterraneo di rifornimento più grande del Sud- Italia. Oltre ad infrastrutture e servitù militari. Il Mar Grande è lo specchio d’acqua della parte settentrionale del Golfo di Taranto ( con profondità massima di 36 m), compreso tra il continente e le isole Cheradi; comunica con il Mar Piccolo per mezzo di due canali, che isolano il centro storico di Taranto. Il Mar Piccolo è lo specchio d’acqua delle coste pugliesi ( 20 Km2, perimetro 26,5 Km), che comunica con il Golfo per mezzo di due canali stretti, uno naturale, l’altro artificiale e navigabile; è diviso in due bacini dalla penisola di Punta Penna ed è poco profondo (10 m). Numerose sorgenti subacquee (citri) rendono l’acqua meno salata rispetto al mare aperto, creando condizioni favorevoli per la mitilicoltura.

3.Peter Dale Scott, Droga, petrolio e guerra in www.eurasia-rivista.org , luglio 2013.

4.Per approfondimenti si rimanda a Gianfranco La Grassa, Finanza e poteri, Manifestolibri, Roma, 2008; Giovanni Arrighi, Capitalismo e (dis)ordine mondiale, a cura di Giorgio Cesarale e Mario Pianta, Manifestolibri, Roma, 2010; Henry Kissinger, Cina, Mondadori, Milano, 2011.

5.Gianfranco La Grassa, Situazione pericolosa e instabile inwww.conflittiestrategie.it, giugno 2013.

6.Si rimanda al Rapporto del 2009, redatto dall’incaricata d’affari dell’ambasciata USA Elizabeth Dibble per Barak Obama, pubblicato a cura di Giuseppe Germinario in www.conflittiestrategie.it, 2013.

7.Paolo Mastrolilli, L’Italia è decisiva in Siria per costruire l’opposizione, intervista a Derek Chollet, in La Stampa del 22 giugno 2013.

8.Negli USA i diplomatici importanti, come Thomas Pickering ambasciatore in Russia, India, Israele, hanno criticato Barak Obama perché ha affidato le migliori ambasciate agli uomini che hanno abbondantemente finanziato la sua campagna elettorale. Beh, che si aspettavano? Fa parte del gioco della lotta tra agenti dominanti con orientamenti e strategie diverse. Ma il problema non è solo semplicemente utilitaristico, Barak Obama sta mettendo uomini e donne fidati e “capaci” nelle nazioni importanti per la sua strategia. L’Italia è una nazione-territorio importante. Per la cronaca John Phillips e Linda Douglass sono proprietari del borgo Finocchieto vicino a Buonconvento in provincia di Siena (Toscana). Hanno deciso di gestire direttamente il proprio giardino perché non si fidano dei giardinieri italiani. Sta finendo anche il nostro made in Italy di nazione-giardino più bella del mondo!

9.Lo smantellamento, nel breve-medio periodo, della storica impresa dell’Arsenale della Marina Militare Italiana, con perdita di 1.200 posti di lavoro, il trasferimento del 70% dei traffici al porto Pireo (Atene) dei due giganti asiatici del trasporto marittimo, la taiwanese Evergreen Maritime Corporation e la cinese Hutchison Whampoa che controllano al 90% la società terminalistica dello scalo pugliese ( la Taranto Container Terminal), rientra nella logica della piena disponibilità del porto di Taranto alla Nato. Infatti nella strategia Usa-Nato è prevista la messa in comune di spazi e infrastrutture militari e civili localizzati per aree europee per superare le difficoltà connesse a) alle installazioni militari, b) al controllo del territorio, c) alla contribuzione finanziaria dei paesi Nato, d) al coordinamento delle politiche di difesa, e) alla prevenzione dei conflitti, f) al sostegno della ricostruzione post-conflitto delle aree di intervento, g) alle strategie di integrazione della ricostruzione economica e istituzionale, h) alla militarizzazione delle grandi città.

10.Sulla trasformazione del ruolo della Nato mi permetto di rinviare al mio scritto “Tav, corridoio V, Nato e Usa. Dalla critica dell’economia politica al conflitto strategico” in www.conflittiestrategie.it, 2012.

11.L’Ilva di Bagnoli contava a partire dal 1973 più di 7698 posti di lavoro. Fu chiusa nel 1991. Si veda il romanzo industriale di Ermanno Rea, La dismissione, Rizzoli, Milano, 2002; per una ricostruzione della mancata bonifica dell’area dell’Ilva si rimanda a Dario Del Porto, Napoli, sequestrata area ex Italsider. La procura: disastro ambientale in www.napoli.repubblica.it, 11 aprile 2013; Redazione, Colpo di genio su Bagnoli: la bonifica è in ritardo? Riduciamo il perimetro! in www.lanottata.it, 2013.

12.Il convegno organizzato dalla Facoltà di Giurisprudenza di Taranto, il 14 giugno 2013, su << Sviluppo economico e tutela dell’ambiente nel rispetto dei diritti contrapposti. Il caso Ilva a Taranto >>, è stato tutto un appiattimento sui principi vuoti della tutela della salute, dell’inquinamento, sui limiti dell’utilità sociale delle imprese, eccetera, principi sanciti dagli artt. 32, 41 e 43 della Costituzione italiana. Cfr L’intervento della giuslavorista Angelica Riccardi, docente di Diritto del lavoro dell’Università degli Studi di Bari in www.peacelink.it, giugno 2013.

  1. Giorgio Nebbia, L’acciaieria non è un salotto in www.ecologiapolitica.org., luglio 2013.

14.Giulio Maccacaro, Per una medicina da rinnovare, scritti 1966-1976, Feltrinelli, Milano, pag. 314; Lorenzo Tomatis, Riflessioni su Giulio Maccacaro e i rischi attribuiti ad agenti chimici in << Epidemiologia & Salute >>, luglio-ottobre 2004.

15.La Riva Fire ( acronimo di Finanziaria Industriale Riva Emilio), che ha sede a Milano, ha come principali società: Riva acciaio SpA, che controlla anche le principali consociate estere, che raggruppa le attività nell’acciaio da forno elettrico (produzione di semiprodotti e prodotti lunghi) e nel recupero del rottame di ferro; Ilva SpA, che produce acciaio da ciclo integrale ( prodotti piani).

16.Commissione Europea, Piano d’azione per una siderurgia europea competitiva e sostenibile in www.europa,eu , giugno 2013; Antonio Tajani, Piano d’azione Acciaio, conferenza stampa, Strasburgo, giugno 2013 in www.europa.eu.

17.I dati occupazionali sono di fonte governativa. Essi si trovano nella introduzione al disegno di legge di conversione del decreto legge n.61/2013, camera dei deputati, atti parlamentari in www.camera.it . Sul sito web della camera è possibile leggere tutto il dibattito parlamentare, il lavoro delle Commissioni, i decreti leggi e l’ultimo disegno di legge approvato alla Camera e mandato al Senato per l’approvazione definitiva ( si suppone).

  1. Intervento del Ministro dello sviluppo economico alla Camera dei deputati del 4 giugno 2013, seduta n.28, in www.camera.it .
  2. 19. Antonio Tajani, Piano d’azione Acciaio, op.cit.

20.Mimmo Mazza, “ Violato diritto alla vita”, l’Europa indaga sull’Ilva in << La Gazzetta del Mezzogiorno >> del 17 luglio 2013.

21.Per un approfondimento si rinvia a Gianfranco La Grassa, L’altra strada. Per uscire dall’impasse teorico, Mimesis edizioni, Milano-Udine, 2012; Idem, Un pot-pourri, che spero interessi in www.conflittiestrategie.it , maggio 2013; Idem, Quali prospettive ( al momento pessime?) in www.conflittiestrategie.it , luglio 2013.

 

  1. Intervento del Sottosegretario allo sviluppo economico alle Commissioni riunite ( VIII, ambiente, territorio e lavori pubblici e X, attività produttive, commercio e turismo), 11 giugno 2013, in www.camera.it .
  2. 23. Per un’idea della gravità della crisi del Porto di Taranto riporto quanto dichiarato in sede di << Accordo per lo sviluppo dei traffici containerizzati nel porto di Taranto e il superamento dello stato d’emergenza socio-economico ambientale >> presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti << La nuova grande portualità commerciale del Mezzogiorno d’Italia è nata in tempi relativamente recenti fondandosi su due HUB: Gioia Tauro e Taranto. Nell’ultimo quinquennio il Mediterraneo è diventato un mare ad alta competitività a causa di ulteriori offerte di servizi portuali di transshipment, prima inesistenti: da Porto Said a Tangeri, sulla sponda Africana; dal Pireo ad Algesiras, nel Sud Europa. A causa della concorrenza di tali porti, dei ritardi infrastrutturali ed al lungo periodo di crisi internazionale tutt’ora in corso, il porto di Taranto sta vivendo un periodo di forte crisi con conseguenze estremamente negative che potrebbero ulteriormente aggravarsi in assenza di azioni che consentano una rapida realizzazione delle esistenti progettualità. Per questi motivi, gli eventi degli ultimi anni hanno generato aggravi economici agli operatori, oltre al gravissimo danno d’immagine del porto verso il mercato internazionale >>. Il suddetto Accordo è pubblicato sul BURP n.100 del 10 luglio 2012 della regione Puglia ( regione.puglia.it ); Ferruccio Pinotti, Taranto dal porto arriva la speranza in << il Corriere della Sera >> del 30 agosto 2012.

24.Domenico Palmiotti, Ilva Taranto l’alto forno 2 e l’acciaieria 1: 2 mila a casa da luglio in << Il Sole 24 Ore >> del 12 giugno 2013.

 

 

 

 

IL CONTRATTO DI GOVERNO, di Giuseppe Germinario

altri articoli sull’argomento:

http://italiaeilmondo.com/2018/05/24/dalla-mia-palla-di-cristallo-governo-lega-5-eccetera-che-accadra-di-roberto-buffagni/

IL GUARDIANO DELLA (AUGURABILMENTE DEFUNTA) COSTITUZIONE REALE, di Massimo Morigi

 

In due settimane il cerchio di fuoco tracciato dal Presidente della Repubblica, iniziato con il suo discorso alla Badia di Fiesole si chiude al momento con l’incarico di governo. Al centro le fiere impegnate al grande salto: il duo Salvini-Di Maio con il contratto di governo appena firmato, il PD in piena fibrillazione, il riabilitato Berlusconi.

IL DOMATORE

Il domatore Mattarella ha iniziato a sollevare la barriera utilizzando la strumentazione che conosce da tempo, appresa tale e quale dai suoi padri. L’ha esibita come un automa a Fiesole, con una retorica senza pathos. http://www.quirinale.it/elementi/Continua.aspx?tipo=Video&key=2751&vKey=2475&fVideo=7

  • Ha rievocato le gesta intrepide e gli ideali dei padri fondatori della Unione Europea, omettendo la loro condizione di grave sudditanza politica rispetto al vincitore di campo dell’ultimo conflitto mondiale.
  • Ha rintuzzato le critiche sulla natura oligarchica, burocratica, autoritaria dei centri di potere comunitari sottolineando che le decisioni erano prese democraticamente dai capi di governi europei in concerto tra loro. Ha smontato così almeno parzialmente le ragioni e il bersaglio di una critica ricorrente, prestando però il fianco a due argomenti ancora più dirimenti e ostici da contestare, specie per bocca di un uomo di legge. Intanto le decisioni comunitarie, in quanto frutto di trattative tra capi di governo, non possono avere natura democratica ma sono il frutto di decisioni diplomatiche. Democratica può essere tutt’al più l’elezione dei vari capi di governo. È il riconoscimento implicito che la UE è un consesso frutto di trattati tra stati nazionali piuttosto che una istituzione sovrana. È una affermazione che sposta quindi l’attenzione sull’aspetto cruciale e dolente, ma regolarmente eluso, delle vicende comunitarie viste da un punto di vista nazionale: l’esistenza di una classe dirigente nazionale nella quasi totalità progressivamente senza ambizione di autonomia decisionale, senza capacità operativa e con una smaccata propensione alla sudditanza esterofila.
  • Prosegue ostinatamente nel rappresentare l’attuale processo comunitario come ineludibile nelle forme e nei tempi secondo l’impostazione funzionalista di Monnet. Con questo rimuove le diverse opzioni e punti di vista nelle relazioni tra stati europei presenti sin dall’immediato dopoguerra e che hanno attraversato il processo di costruzione comunitario; soprattutto, di fronte alle crepe sempre più evidenti nella costruzione, rischia di lasciare il paese ancora una volta spiazzato e in balia di scelte altrui

Mattarella merita per altro un filo di comprensione umana. L’arena era stata predisposta per un duetto Renzi-Berlusconi con eventuali altre comparse. La seconda opzione, scaturita dall’esito elettorale imprevisto nelle dimensioni, prevedeva di assecondare le pulsioni europeiste più conformiste presenti nel M5S con un accordo con il PD. Un tentativo reso vano dalla presa ferrea di Renzi su un partito smarrito e dalla sua convinzione di poter sgominare rapidamente i pentastellati stando alla finestra e giocando sulle leve di cui dispone e dalle quali è mosso. Non gli resta che tentare di porre un argine, forzando le proprie stesse prerogative e provare ad incanalarlo sulla retta via sia pure a costo di qualche pesante concessione redistributiva. Della perla rilasciata riguardante il varo di un “Governo Neutrale” non serve dilungarsi. Da pensionato Mattarella dovrà spiegare il nesso profondo tra il concetto di neutralità e quello di politico; una impresa particolarmente ardua anche per il più fervido sostenitore del governo mondiale e dell’ecumenismo. È l’espressione di una classe dirigente dimessa, smarrita e senza argomenti in grado di raccogliere un blocco sociale coeso e un popolo.

LE FIERE AL CENTRO DELL’ARENA

A giudicare dalle enunciazioni di principio del “contratto di governo” sottoscritto da Salvini e Di Maio, Mattarella sembra riuscire nella terza opzione. https://www.quotidiano.net/polopoly_fs/1.3919629.1526651257!/menu/standard/file/contratto_governo.pdf Le modifiche apportate in corso d’opera nelle tre edizioni del documento lasciano intuire l’enormità delle pressioni subite dalla coppia di governo. Il giuramento di fedeltà alla NATO, la rivendicazione del rispetto integrale del Trattato di Maastricht e di Lisbona sarebbero lì a certificare la ortodossa professione di fede dei neofiti, la pesantezza e la compromissione delle cambiali firmate da Di Maio nel suo giro preelettorale in Europa e negli Stati Uniti in cerca di investiture e la spavalda remissività di Salvini.

I più navigati, però, sanno che tanto più vige l’ostentazione pubblica delle virtù quanto più occorre indagare sui vizi privati dei paladini.

E in effetti i termini sui quali si dovranno condurre le future trattative in ambito comunitario, annunciate nel documento, se portati avanti con coerenza e determinazione, lasciano presagire una lacerazione piuttosto che una solida ricomposizione della costruzione europea. La riduzione dei surplus commerciali, il riconoscimento del carattere sociale del legame europeo, lo sfondamento dei tetti di spesa, le garanzie comunitarie su crediti e debiti sono tutti cunei in grado di scardinare l’attuale costruzione alemanno-statunitense del continente.

Gli elementi che evidenziano i limiti del documento e quindi delle forze politiche che lo esprimono si annidano prosaicamente in altre parti del testo. Sono limiti che rivelano l’impostazione culturale e strategica dei due gruppi dirigenti, soprattutto quello del M5S, molto più difficile da correggere.

Li si scova tra vari punti particolari del documento:

  • Nell’auspicio dello sviluppo delle politiche regionali europee senza la mediazione, il controllo e l’indirizzo degli stati nazionali. Politiche che, perseguite con coerenza, hanno condotto scientemente all’indebolimento di alcuni stati nazionali, meno di quelli dell’Europa Orientale, dove il decentramento amministrativo è più che altro nominale, soprattutto di Spagna e in particolar modo di Italia, le vere prede designate nel gioco europeo
  • Nella richiesta generica di investimenti pubblici europei le cui modalità e regole di utilizzo sono attualmente in realtà propedeutiche alle politiche di squilibrio e di dipendenza piuttosto che di sviluppo autoctono
  • Nella affermazione di una fantomatica identità europea tale da legittimare l’efficacia unitaria delle istituzioni rappresentative europee eventualmente da potenziare a scapito degli organi non elettivi. Una impostazione che rischia di celare sotto il mantello europeista una diversa modalità del confronto fra nazioni traslato nelle sedi rappresentative piuttosto che negli apparati.

Ma anche in alcune sue impostazioni di fondo, quindi:

  • Nell’enfasi retorica, pressoché univoca, attribuita alle magnifiche sorti e progressive dell’economia circolare e delle tecnologie verdi e alle capacità di sviluppo della piccola impresa. Non è un caso che il ruolo della grande impresa e della grande industria sia del tutto disconosciuto e quello dell’introduzione e soprattutto del controllo delle nuove tecnologie omesso. È l’indizio che si tratta di un gruppo dirigente attento alla complementarietà e alla diffusione di un sistema economico-sociale, sensibile quindi più al consenso elettoralistico, piuttosto che alla creazione di sistema di potenza indispensabile e necessario a sostenere il confronto geopolitico e garantire la coesione e il progresso sociale. Le righe riservate all’ILVA e alle grandi opere pubbliche sono forse la spia più inquietante di questa debolezza. La chiusura dello stabilimento di Taranto rappresenterebbe un colpo mortale all’industria di base necessaria alla riconversione industriale del paese e alla fornitura dei mezzi necessari all’esercizio della propria sovranità. Senza dimenticare che come la chiusura di Bagnoli ha consentito il potenziamento del comando della VI flotta americana a Napoli, la chiusura dell’ILVA a Taranto consentirà il potenziamento del porto militare e della logistica NATO e americana in tutta la Puglia. Una scelta economica, quindi, dalle profonde implicazioni geopolitiche http://italiaeilmondo.com/2018/05/22/taranto-da-polo-siderurgico-a-polo-strategico-della-nato-di-luigi-longo/  .
  • Nella frettolosità con la quale viene liquidato il tema della riorganizzazione istituzionale e burocratica dello Stato. Le indicazioni più concrete di risolvono nella normativa sui referendum, nella istituzione del ministero del turismo e soprattutto nella devoluzione controllata di competenze alle regioni, su loro richiesta. Proposte che se non sostenute da un chiara ed efficace definizione delle competenze dello Stato Centrale sia nei confronti delle amministrazioni locali che dell’Unione Europea rischiano di alimentare la frammentazione e la sovrapposizione di competenze. Una condizione di per sé precaria e fluttuante, ma estremamente pericoloso nel caso in cui, come ultima risorsa, il vecchio establishment nazionale e soprattutto internazionale decida di utilizzare la carta della frammentazione politica del paese. Il revival dei fasti borbonici del re Nasone periodicamente in auge nel Regno delle Due Sicilie, il controllo territoriale delle varie mafie e il basso rango dei centri di potere regionali potrebbero trovare un terreno favorevole di coltura nell’enfasi della democrazia dal basso e di prossimità, nel regionalismo e nella retorica “dell’Italia dei Popoli”, cavalli di battaglia delle due formazioni politiche contraenti

I COMPRIMARI NELL’ARENA

Il PD e Forza Italia sono i due responsabili del naufragio delle aspettative di continuità degli indirizzi politici. Lo spettacolo offerto dall’Assemblea Nazionale del PD di sabato 19 vale da solo a spiegare lo stato di fibrillazione. Un consesso composto da un migliaio di rappresentanti, tenuto da circa settecento partecipanti, con un ordine del giorno modificato al momento, un esodo a metà svolgimento di oltre la metà dei partecipanti ed una conferma a termine del neosegretario Martina con una maggioranza assoluta di duecentottanta persone. Una sinistra, in sostanza, fautrice di un fantomatico nuovo centrosinistra, indisponibile almeno per il momento ad un governo di salvezza nazionale, detentrice di un controllo approssimativo delle redini del partito, la quale fronteggia un Renzi sornione, detentore delle redini parlamentari e del consenso maggioritario di una formazione del tutto trasformata in questi ultimi quattro anni, pronto a riesumare una politica di collaborazione e fagogitazione di parte dei prossimi resti di Forza Italia.

Quanto a Berlusconi, la sua riesumazione e riabilitazione, appare la mossa disperata di una élite ormai incapace di offrire strategie e alternative valide, neppure di breve termine come in Francia. L’estromissione dei francesi da Tim-Telecom e il contestuale sodalizio sottoscritto con Mediaset e la sua produzione mediatica, rappresentano il parziale obolo necessario a rinvigorire l’azione dell’ex cavaliere. Un simulacro che però per il bene del paese dovrebbe ormai essere al più presto accantonato.

IL CONTESTO e LE CONDIZIONI

La sola analisi del documento del “contratto” può indurre però a conclusioni fuorvianti. Alla pubblicità e solennità del testo corrispondono regolarmente strategie e tattiche condotte nella maniera più riservata in un contesto che porta a modificare se non addirittura a stravolgere i programmi e le aspirazioni.

La creazione delle condizioni interne certificheranno la capacità e la serietà delle aspirazioni delle nuove élites in via di formazione.

Il ripristino del controllo della gestione del risparmio nazionale, riportare in casa propria il controllo del debito pubblico, l’istituzione di un sistema finanziario e bancario in grado di garantire lo sviluppo e la ricostruzione industriale, l’interruzione dei processi di integrazione militare e politica ed il ripristino delle condizioni di fedeltà all’interesse nazionale dell’azione delle leve di potere politico e burocratico saranno la cartina di tornasole della serietà delle intenzioni e delle capacità operative.

Altrettanta importanza avranno le condizioni esterne. Il processo di costruzione europea attuale vive una condizione di stallo che prelude ad una crisi sempre più conclamata. La formazione di più sfere di influenza per il momento tutte sotto controllo americano e la frammentazione politica ormai predominante anche nei principali paesi europei non fa che accentuare questo processo e ne è parte integrante.

Il bilateralismo imposto dall’avvento di Trump alla Casa Bianca sta registrando i primi significativi successi con la Cina, la Corea e potrebbe incoraggiare a spingere ulteriormente the Donald a perseguire tali modalità anche in Europa. A quel punto lo scotto da pagare per la Germania, in cambio della permanenza del proprio ruolo in Europa, potrebbe essere particolarmente pesante e compromettere la coesione sociale interna e la solidità del suo cerchio di alleanze più solido ed esclusivo in Europa Centro-Orientale. Tutte condizioni che potrebbero agevolare l’azione della nuova coppia in auge soprattutto in presenza di vecchie élites europee attardate a considerare l’avvento di Trump ancora un semplice incidente. Qualche contatto è stato avviato, ma non si conoscono ancora gli esiti.

Molto diranno le personalità selezionate per costituire il nuovo governo, la loro storia e soprattutto la forza e la determinazione dei loro propositi.

Su questo, il gruppo in formazione, almeno quella parte più sensibile ad un recupero delle prerogative dello stato nazionale, più che essere consapevole delle necessità ed implicazioni appare destinato a scoprire al momento le necessità e a sbattere duramente con la realtà. In tal modo il tempo per trarne lezioni sufficienti è risicato; come in ogni conflitto dall’esito apparentemente improbabile.

Si vedrà già dai prossimi giorni. In quel documento l’impegno insolito ad una condotta controllata del confronto politico tra le due formazioni prelude evidentemente ad altri obbiettivi di più lunga scadenza. Quel che appare certo è che assisteremo ad uno sconvolgimento del quadro politico e a un chiarimento delle varie opzioni. Tutti varchi necessari alla costruzione di un movimento politico più attrezzato alle necessità. L’onda ha iniziato a formarsi. Si vedrà l’energia che riuscirà ad accumulare e la forza con la quale andrà a frangersi

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