Multipolarismo in pericolo, di Guillaume Berlat

L’articolo tradotto qui in basso è importante per la rappresentazione della condizione penosa e tragicomica dell’attuale modalità di conduzione delle relazioni diplomatiche e di organismi sovranazionali come la UE. Rivela però la grande difficoltà con la quale anche gli analisti più critici cercano di introdurre chiavi di interpretazioni più adeguate a comprendere le dinamiche. Lo stesso Berlat, criticando giustamente il termina “multipolarismo” non riesce in realtà a ridefinirlo e rischia di ricadere a sua volta involontariamente in una operazione “nostalgia” paralizzante. Il multilateralismo in realtà, a dispetto del significato letterale e superficiale che si tende ad attribuire ad esso, è il termine che definisce un particolare sistema di relazioni e di regolazione dei rapporti geopolitici che presuppone e fonda la propria esistenza e legittimità su organismi sovranazionali a guida ed egemonia di una unica superpotenza. Nella recente contingenza storica, il ruolo di pivot e fulcro sono (stati) gli USA. L’unilateralismo, di fatto, è il riconoscimento di una realtà multipolare e della necessità di mantenimento di sfere di influenza contrapposte. In questa chiave vanno visti i conflitti trasversali che stanno attraversando le classi dirigenti a partire dallo scontro di insolita virulenza in corso negli Stati Uniti. L’inganno delle parole appunto._Giuseppe Germinario

“Dare un nome sbagliato alle cose è aggiungere guai ai guai del mondo” giustamente ci ricorda il premio Nobel per la letteratura, Albert Camus. Per più di mezzo secolo, le cose si sono evolute ma nella direzione sbagliata. Al momento della confusione dei generi e delle parole, è di moda usare con sazietà alcune parole contenitrici (chi vuole tutto e non dire nulla allo stesso tempo) per evitare di affrontare frontalmente i veri dibattiti che condizionano pace e guerra nel 21 ° secolo. Tra questi ultimi, due ritornano alla maniera pavloviana nelle conversazioni di autoproclamati esperti, “ tuttologi ” e tra i commensali in città: “ comunità internazionale ” e, soprattutto, “ multilateralismo“. Dopo aver posto il problema della confusione dei termini, prenderemo due esempi tratti da una realtà recente: il G20 di Osaka e l’ultimo Consiglio europeo di Bruxelles.

CONFUSIONE DEI TERMINI

Il minimo che possiamo dire è che più pericoloso è il mondo 1 , più viviamo nella confusione di termini che coprono il campo delle relazioni internazionali. Fermiamoci a due esempi, quelli di comunità internazionale e di multilateralismo!

La comunità internazionale troppo famosa

Il primo termine si riferisce a tutti coloro che condividono il tuo punto di vista. Tradizionalmente, gli occidentali si sono assimilati alla ” comunità internazionale ” di fronte all’opposizione (sotto forma di diritti di veto di cinesi e russi nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, per esempio). Il termine non ha una definizione legale concordata, rientrando esso nella moralità a geometria variabile. Il suo uso è molto conveniente per screditare l’avversario quando si è alla fine di argomentazioni razionali. Quando i nostri membri follicolari del clero dei media, una volta per tutte, smetteranno di usare il termine senza alcun contenuto nient’altro che mediatico?

Il non meno famoso multilateralismo

Il secondo termine può essere definito come l’atteggiamento politico che favorisce la risoluzione multilaterale dei problemi mondiali. È tradizionalmente contrario all’unilateralismo associato alla pratica americana. In un atteggiamento imperiale, Washington si considera al di sopra della legge, essendo il rappresentante del popolo dal destino manifesto. Al contrario, gli americani ritengono che la loro legge si applichi al di fuori dei propri confini. Come esempi recenti, gli Stati Uniti si sono ritirati dall’accordo iraniano sul nucleare, le forze nucleari intermedie (INF) e molti altri, ma anche da organizzazioni internazionali che rappresentano il diavolo e si oppongono agli interessi ben compresi dello zio Sam, come l’UNESCO. Mentre il multilateralismo sta attraversando una crisi senza precedenti, alcuni ingenui europei lodano costantemente i suoi incommensurabili meriti. Il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, eccelle in questo esercizio di diplomazia declamatoria e inefficace. Tutti i pretesti sono buoni da usare a parole mentre li esentano nella pratica. In un contesto di paralisi delle Nazioni Unite, i leader chiave sono costretti a evidenziare le virtù del dialogo e della cooperazione nei club o nelle organizzazioni regionali. Facciamo due esempi recenti.

L’OSAKA G20 (28-29 GIUGNO 2019): LIMITARE IL DANNO

L’Osaka G20, nonostante le splendide foto patinate, rimarrà nella storia come un incontro surrealista ma anche inutile come strumento informale per regolare le relazioni internazionali.

Un vertice surrealista

La formula migliore che abbiamo trovato per caratterizzare questo inutile vertice del G20 a Osaka è: un G20 di ” luoghi comuni ” anziché ” valori comuni “. Un G20 caratterizzato da un’esacerbazione delle tensioni commerciali e climatiche, sebbene gli americani stiano spingendo le loro sanzioni contro Pechino 3 . Donald Trump annuncia che vuole stringere la mano a Kim Jong-un al confine tra le due Corea, ecco cosa fa il giorno dopo. 19 dei 20 membri confermano il loro impegno per una ” piena attuazione ” dell’accordo sul clima di Parigi del 2015. Donald Trump elogia il Principe MBS dell’Arabia Saudita. Emmanuel Macron dichiara di non essere ” freddo” con Donald Trump, visiterà la Cina a novembre e incontrerà presto Vladimir Putin. Ancora una volta, tiene conferenze su Vladimir Putin sulla questione dei valori. È chiaro che nessuno crede in questo formato, questo granaio G20.

Un vertice inutile

Pertanto, ci si chiede quale sia l’interesse di un G20 che riunisce grandi potenze una contro l’altra come lo sono gli Stati Uniti da un lato, la Russia e la Cina dall’altro, con la Francia che cerca di svolgere un ruolo moderatore ma senza alcuna seria possibilità di essere ascoltato visti i mezzi limitati a sua disposizione? 4 Qual è l’interesse di una struttura multilaterale il cui unico scopo è consentire riunioni bilaterali 5 e limitare il danno provocato da Donald Trump? 6 Immagine divertente di un multilateralismo efficace! 7

In queste condizioni, è comprensibile che il multilateralismo dei club sia a mal partito. Senza una cura da cavallo, è probabile che il progetto del G20 rischia di morire di bellissima morte. È vero che l’Unione europea non è al suo meglio in questo contesto postelettorale al Parlamento europeo. L’ultimo Consiglio europeo allargato fornisce un esempio illuminante.

IL CONSIGLIO EUROPEO STRAORDINARIO (30 GIUGNO-2 LUGLIO 2019): NIENTE VERRÀ PIÙ O QUASI

Abbiamo appena assistito a uno spettacolo di gran usignolo, degno del suo peso in oro con Pinocchio nel ruolo del giovane che ha dovuto affrontare i tremori di suor Angela. L’ubriacone del Granducato ha sferrato un colpo antidemocratico con il suo dono avvelenato che si chiama UE-Mercosur. Tutto ciò dà un’immagine pietosa dell’Unione europea nel resto del pianeta. Prima di allora, Emmanuel Macron aveva sofferto di un disturbo in questa buona città di Marsiglia, nonostante il decoro delle circostanze.

Un ennesimo psicodramma che non risolve nulla

Mentre l’Unione europea evolve con crisi sempre più gravi, la macchina viene paralizzata in modo duraturo. Si occupa solo di problemi di cottura procedurali e interni. Gli unici a interessare gli stati e la burocrazia onnipotente. Per più di due mesi, l’unica questione importante che mobilita la sua energia è quella della nomina di alti funzionari della struttura 8 . Né più né meno. Negoziazione che prende la forma di una comune battaglia di cassettieri a causa della politica della mosca della barca di Giove 9 . Soprattutto i criteri che disciplinano le denominazioni sono surreali (equilibrio geografico, equilibrio politico e la parità 10). Che dire del criterio di competenza? Come credere in un’Europa dell’astuzia in un momento in cui le sfide che si trovano ad affrontare richiederebbero di essere esaltate? Come credere in un’Europa democratica nel rispetto della decisione sovrana dei popoli? 11Un accordo si trova finalmente il 2 luglio 2019 attorno a quattro nomi (Ursula von der Leyen 12 che proviene da lontano 13 , Christine Lagarde la cui competenza è già in discussione 14 e che appare molto chiaramente come una donna sotto giuramento 15 , Charles Michel 16 e Josep Borrell 17). Vedremo in futuro se questo cambia il funzionamento dell’Unione o se tutto cambia in modo che nulla cambi. Checché ne dicano i nostri pseudo-esperti, la coppia franco-tedesca ne esce particolarmente fragilizzata da questa insolita giostra nsolita e senza complimenti 18 . Quel che è certo è che alla fine è Berlino a vincere la partita 19 .

La farsa dell’accordo UE-Mercosur

Surrealista, questa è la parola giusta per come il presidente uscente della Commissione, l’ubriacone lussemburghese Jean-Claude Juncker, accoglie con favore l’accordo di libero scambio tra l’Unione europea e il Mercosur, presentato dai suoi negoziatori come ” storici” 20 e difesi dal Segretario di Stato agli affari esteri 21 ; dai detrattori come pericoloso 22 . Accordo del quale pochi conoscono il contenuto! 23Non sarebbe stato opportuno che la questione fosse deferita al nuovo team e non rilevata dall’ex team, il cui ruolo dovrebbe essere limitato all’ordinaria amministrazione di attività quotidiane durante questo periodo di transizione? E saremo stupiti dalla sfiducia dei cittadini verso una struttura apolide che fa ciò che vuole nel suo cantuccio. Il mandato, che gli è stato affidato dai governi, non gli conferisce tutti i diritti soprattutto quando gli esperti dubitano dei suoi contenuti 24 . I cittadini sono trattati come un valore trascurabile.

Un’immagine pietosa dell’Unione Europea

In queste circostanze, è comprensibile che il multilateralismo regionale sia in cattive condizioni. Senza una cura da cavallo, è probabile che il progetto europeo muoia di una sua bellissima morte. Emmanuel Macron ha impiegato due anni per scoprire che ” stiamo dando un quadro dell’Europa poco serio ” e che l’organizzazione è stata vittima dell’egoismo nazionale a causa del fallimento dei negoziati sull’assegnazione di posizioni chiave. Che dire dei deputati del Partito Brexit Nigel Farage che hanno voltato le spalle il 2 luglio 2019, mentre l’inno europeo ha suonato nell’emiciclo del Parlamento europeo a Strasburgo, durante la sua sessione inaugurale!

Un nuovo affronto per Giove-Pinocchio

Per la cronaca, Emmanuel Macron è l’unico capo di Stato a partecipare al ” Summit delle due banche ” a Marsiglia (24-25 giugno 2019) 25 . Un altro buon esempio di multilateralismo che non funziona! Ma, per fortuna, pena l’intelligenza umana, l’intelligenza artificiale (AI) troverà la giusta soluzione a tutte queste sfide di governance internazionale se davvero ha contenuto reale 26 .

“La diplomazia è difficile da esistere laddove l’equilibrio di potere è troppo sbilanciato, o al contrario quando un equilibrio eccessivo garantisce il mantenimento dello status quo. Si può sostenere che si manifesta realmente solo nei periodi di equilibrio intermedio, imperfetto o addirittura di squilibri di equilibrio ” 27 . E, dopo la parola ” diplomazia “, potremmo aggiungere quella di ” multilaterale ” per caratterizzare questo momento di oscillazione del mondo 28 .

È ovvio che stiamo affrontando una grave crisi del multilateralismo 29 . Questo collasso del multilateralismo deve essere compreso nel contesto di un ritorno di potere e forza. Questo collasso del multilateralismo deve essere compreso in un contesto di ritorno delle nazioni.

Questo collasso del multilateralismo deve essere compreso nel contesto di una relazione malsana tra potere e verità. ” Vieni qui, brava gente! Le uniche notizie false che sono tollerate sono quelle approvate dal potere. Contro gli altri, faremo una legge ” 30 . Smettiamo di pagare per parole sul multilateralismo, come fanno gli esperti francesi 31 o anglosassoni 32 , come se volessero scongiurare il destino! Per rimandare troppo la scadenza della somministrazione di un rimedio pesante, il paziente ” multilateralismo” rischio di passare dalla vita alla morte. Queste sono alcune delle considerazioni che possono essere fatte sull’inefficiente multilateralismo per affrontare le sfide del ventunesimo secolo!

Guillaume Berlat 
8 luglio 2019 

1 Maurin Picard, François Delattre: ” In questo mondo pericoloso, la Francia parla a tutti “, Le Figaro, 27 giugno 2019, p. 16. 
2 Jacques-Hubert Rodier / Nicolas Rauline, Nucleare: Washington e Mosca si stanno avvicinando a una nuova guerra fredda , Les Echos, 4 febbraio 2019, pag. 6. 
3 Anne Cheyvialle / Fabrice Node-Langlois, Il duello tra Trump e Xi oscura l’incontro del G20 , Le Figaro economy, 27 giugno 2019, pagg. 18-19. 
4 Jean-Paul Baquiast, G20 Meeting a Osaka il 28 e 29 giugno 2019 , Blog: for a Power Europe, www.mediapart.fr , 30 giugno 2019. 
5 Brice Pedroletti / Arnaud Leparmentier, Trump in una posizione forte contro Xi al G20 , Le Monde, 28 giugno 2019, p. 2. 
6 Philippe Mesmer / Brice Pedroletti, G20 limita i danni affrontato Donald Trump , Le Monde, 30 giugno al 1 ° luglio 2019, pp. 2-3. 
7 Martine Arancione, il G20, il volto una smorfia del mondo , www.mediapart.fr , 1 ° luglio 2019. 
8 Anne Rovan, UE: le posizioni chiave nel cuore del nuovo vertice , Le Figaro, 29-30 giugno 2019, pag. 7. 
9 Cécile Ducourtieux / Cédric Piétralunga / Jean-Pierre Stroobants, a Bruxelles, forcipe appuntamenti, Le Monde, 2 luglio 2019, pag. 2. 
10 Cécile Ducourtieux / Jean-Pierre Stroobants, Due donne di potere alla testa dell’Europa , Le Monde, 4 luglio 2019, pag. 2. 
11 Ludovic Lamant / Amélie Poinssot, il Parlamento europeo, ogni gruppo ha il suo incongruenze , www.mediapart.fr , 1 ° luglio 2019. 
12 Thomas Wieder, Ursula von der Leyen, i fedeli di Angela Merkel , il Mondo, 4 Luglio 2019, p. 2. 
13 Thomas Schnee, Commissione europea: von der Leyen, il candidato che si pensava fosse morto , www.mediapart.fr , 3 luglio 2019. 
14 Eric Albert,Christine Lagarde, una scelta controversa per la Banca centrale europea , Le Monde, 4 luglio 2019, pag. 5. 
15 Martine Orange, Christine Lagarde presso la BCE: una donna fedele , www.mediapart.fr , 3 luglio 2019. 
16 Charles Michel , Profil, Le Monde, 4 luglio 2019, p. 4. 
17 Sandrine Morel, la socialista spagnola Borell a capo della diplomazia , Le Monde, 4 luglio 2019, pag. 4. 
18 Jean-Pierre Stroobants / Cédric Pietralunga / Thomas Wieder, Il duo Parigi-Berlino alla manovra nonostante tutto, Le Monde, 4 luglio 2019, p. 3. 
19 Ludovic Lamant,Mercato dei leader dell’UE: alla fine, è la Germania a vincere , www.mediapat.fr , 3 luglio 2019. 
20 Cécile Ducourtieux, Commercio: uno storico accordo Mercosur-UE , Le Monde, Économie & Entreprise , 30 giugno al 1 ° luglio 2019, pag. 16. 
21 Rémi Barroux / Olivier Faye (commenti raccolti da), Jean-Baptiste Lemoyne: ” Gli accordi devono promuovere il libero scambio “, Le Monde, 3 luglio 2019, pag. 7. 
22 Leonor Hubaut L’accordo UE-Mercosur suscita già polemiche , economia Le Figaro, 1 °luglio 2019, pag. 25. 
23 J.-LP, EU-Mercosur: pollame ahi ahi,The Duck Chained, 3 luglio 2019, pag. 8. 
24 Nicolas Hulot, ” Ci sono testi che non possiamo più firmare “, Le Monde, 2 luglio 2019, pag. 8. 
25 Arthur Berdah, Mediterraneo: Macron da solo in cima , Le Figaro, 25 giugno 2019, pag. 8. 
26 Luc Julia, L’intelligenza artificiale non esiste , Prime edizioni, 2019. 
27 Michel Duclos, The Long Syrian Night , edizioni dell’Osservatorio, p. 192. 
28 Laure Mandeville, In un mondo che oscilla, pensa al grande ritorno delle nazioni , Le Figaro, 28 giugno 2019, p. 14. 
29 Guy Rider (direttore generale dell’OIL), “Ci sono minacce al multilateralismo “, Le Monde, Économie & Entreprise, 4 luglio 2019, pag. 14. 
30 Pierre Sassier, The Unhealthy Report of Power to the Truth , Blog di Pierre Sassier, www.mediapart.fr , 30 giugno 2019. 
31 Franck Petiteville, Multilateralism Will Survive Trump , Le Monde, 27 giugno 2019, p. 21. 
32 Gayle Smith, “Preservare il multilateralismo è diventata una sfida “, Le Monde, 30 giugno al 1 ° luglio 2019, pag. 23.

Per aiutare il sito del Medio Oriente è qui

Fonte: Vicino e Medio Oriente, Guillaume Berlat , 08-07-2019

https://www.les-crises.fr/multilateralisme-en-danger-par-guillaume-berlat/

PUO’ ESISTERE OGGI UNA SINISTRA SOVRANISTA?, di Giuseppe Angiuli

PUO’ ESISTERE OGGI UNA SINISTRA SOVRANISTA?

 

 

L’attuale fase che stiamo vivendo è contrassegnata da una crisi generale e irreversibile del processo di globalizzazione neo-liberista e da uno scontro frontale in atto fra un capitalismo produttivo e manifatturiero, desideroso di affermare la sua centralità e che in ambito politico trova espressione nel campo cosiddetto “populista” ed un capitalismo finanziario e speculativo, di carattere trans-nazionale, che trova sponda politica nei vertici della U.E. e nelle forze della “sinistra” globalista ed arcobalenata, in tutte le sue forme.

A partire dall’avvento di Mr. Trump alla Casa Bianca, abbiamo avuto davanti ai nostri occhi la materializzazione evidente di una previsione che in tanti avevano formulato già da diverso tempo su come le forze del campo cosiddetto “populista” siano le uniche oggigiorno a volere realmente candidarsi alla guida del processo di fuoriuscita dell’occidente dalla globalizzazione; d’altro canto, ci sembra di potere legittimamente rilevare che tutto ciò che oggi da “sinistra” mostra di contrapporsi con virulenza al cosiddetto “populismo” altro non è che un’espressione più o meno diretta – e più o meno velata – degli interessi del capitalismo finanziario speculativo e globalista.

Sul teatro dello scontro politico qui in occidente, le forze sovraniste e anti-globaliste sono riuscite in misura sempre più crescente ad occupare la scena e l’immaginario dei popoli europei facendosi alfiere del recupero di concetti come la nazione, la patria, la difesa dei confini, la famiglia naturale, il protezionismo in economia, la difesa dei valori della tradizione, ecc.: non può sottacersi che ad imprimere tali concetti sull’agenda politica dei sovranisti abbia assunto un ruolo oltremodo decisivo la figura di Steve Bannon, leader carismatico del movimento mondiale Alt Right (ossia Alternative Right, “destra alternativa”), una locuzione in cui l’alternatività è da intendersi affermata in contrapposizione alle correnti Neocons che per almeno un quindicennio avevano dominato il campo conservatore-repubblicano negli Stati Uniti.

In tale contesto generale, la messa in crisi dello schema della globalizzazione avrebbe potuto teoricamente fornire l’occasione anche alle malconce soggettività della “sinistra” post-marxista novecentesca di provare a riconquistare un po’ di spazio politico caratterizzando la propria azione attorno ad un rilancio dei bisogni delle classi popolari lavoratrici, che in questi ultimi decenni contraddistinti dal dominio assoluto dell’ideologia neo-liberista e dall’avvento delle istituzioni anti-democratiche della U.E. hanno assistito inermi ad una umiliante e sistematica opera di smantellamento delle principali conquiste sociali storiche del movimento operaio.

Si sarebbe infatti potuto legittimamente prevedere che le classi subalterne – unitamente ai partiti di “sinistra” ed ai sindacati che di tali classi sociali da sempre si dicono espressione – potessero cogliere finalmente l’occasione storica di ritornare protagoniste della scena politica, approfittando degli effetti di rottura sistemica indotti dall’ondata “populista”, interpretando in tale contesto un proprio ruolo originale e attivo e magari differenziandosi in qualche modo dai tratti politico-culturali ritenuti meno accettabili del sovranismo di marca “populista”.

Sfortunatamente, l’osservazione della realtà di questi ultimi tempi ci dice che nulla di tutto ciò è avvenuto: anzi, al contrario, tutte le soggettività storicamente appartenenti al campo della “sinistra” stanno mostrando paradossalmente proprio in questa decisiva congiuntura storica la loro natura di strumento posto a difesa del vecchio ordine globalista in fase di decomposizione per via dell’azione dei “populisti”.

In altre parole, come affermavo in un mio intervento di circa un anno fa, tutte le odierne forze sedicenti progressiste o di “sinistra” ossia tutte quelle forze organizzate che nell’attuale quadro politico italiano si collocano in uno spazio che va dal Partito Democratico post-renziano fino alla galassia antagonista dei centri sociali, costituiscono la componente “sinistrata” della globalizzazione neo-liberista[1].

E come affermavo sempre nel citato intervento, l’ideologia della odierna “sinistra” arcobalenata è un impasto demenziale di liberismo economico, europeismo acritico, omosessualismo corporativo, femminismo isterico, immigrazionismo fanatico e, dulcis in fundo, di antifascismo ossessivo-paranoico in assenza di fascismo.

La prova della strutturale inettitudine dell’odierna “sinistra” a sapere leggere correttamente l’attuale fase di messa in crisi della globalizzazione neo-liberista possiamo ricavarla dall’osservazione per cui tutte le residue ed attuali forze sedicenti progressiste – per l’appunto, dal P.D. fino all’ultimo dei centri sociali – sembrano oggigiorno mosse da un unico obiettivo tattico o di breve periodo che è quello di contrapporsi strenuamente – e spesso con toni virulenti – al “populismo” in ascesa e, in particolare in Italia, facendo della demonizzazione di Matteo Salvini (un po’ come nei decenni scorsi avveniva per Silvio Berlusconi) il proprio unico motivo di esistere.

Di forze politiche dichiaratamente filo-globaliste o e sfacciatamente eterodirette dalla tecnocrazia U.E. come il Partito Democratico o la + Europa di Emma Bonino non mette conto finanche parlarne, giacchè tutti possono dare per scontata la loro strutturale funzionalità al capitale finanziario speculativo ed alla fazione americana lib-dem impersonata da Mr. Obama, Hillary Clinton e dal grande speculatore-finanziatore “filantropo” George Soros.

Quanto agli epigoni post-dalemiani raccolti attorno a figure scialbe e prive di carisma quali Nicola Fratoianni o Stefano Fassina, essi si apprestano quasi certamente, il primo nel breve periodo il secondo forse nel medio periodo, a fare rientro alla chetichella nella casa-madre P.D., così palesando la natura chiaramente strumentale (molto probabilmente ispirata fin dall’inizio da un’intuizione del sempiterno “baffino” malefico) della loro manovra di differenziarsi in questi anni dallo stesso P.D. fingendo di fargli la guerra ma in realtà coprendolo a “sinistra”[2].

Quanto alle sparute forze della “sinistra” ultra-radicale, una mesta menzione la meritano i fautori del cartello elettorale Potere al Popolo, presto sostanzialmente dissoltosi dopo il pessimo risultato riportato alle elezioni politiche del 4 marzo 2018 e i cui padri fondatori vanno identificati nella rete dei centri sociali dell’area antagonista, nel piccolo ma ben determinato gruppo di ideologi marxisti-leninisti riuniti nella Rete dei Comunisti e in quei settori del sindacalismo radicale espressi dall’U.S.B. e dalla figura un tempo carismatica ed oggi alquanto patetico-eversiva di Giorgio Cremaschi.

Con il lancio dell’operazione Potere al Popolo, alcune menti raffinatissime hanno provato – apparentemente fallendo nell’impresa – a livellare ideologicamente e poi ad assorbire in un unico contenitore di marca radical-globalista la maggior parte delle sigle e siglette di quel poco che rimane nel panorama della disastrata area marxista-leninista post-novecentesca.

Col pretesto di indicare a propri modelli sociali di riferimento le esperienze storiche del mutualismo tardo-ottocentesco e brandendo il seducente slogan del controllo popolare “dal basso”, gli ideologi di Potere al Popolo hanno in realtà provato a forgiare un nuovo soggetto politico che, incline ad una nozione “liquida” di popolo tanto cara a Toni Negri, riuscisse a rendere la “sinistra” radicale italiana del tutto compatibile con i principali desiderata della finanza globale e del cosmopolitismo contemporaneo, sterilizzando su binari morti di velleitarismo parolaio il malessere popolare verso le politiche di austerità U.E. ed irridendo in modo blasfemo al concetto di sovranità nazionale, non a caso definito dalla portavoce Viola Carofalo “un feticcio”[3].

Un discorso a parte lo meritano altri gruppuscoli politicamente più lucidi ma inesorabilmente auto-referenziali della stessa area radicale, animati da intellettuali che almeno apparentemente ci tengono a presentarsi come distinti e contrapposti a tutte le principali formazioni dell’odierna “sinistra” filo-globalista ed arcobalenata ma il cui operato lascia tuttavia molto perplessi non già per la loro copiosa produzione teorica – che è assolutamente apprezzabile e degna di nota – bensì per le modalità alquanto ambigue e contraddittorie del loro consueto modo di agire.

Da diversi anni a questa parte, attorno al gruppo dei due fini politologi Moreno Pasquinelli e Leonardo Mazzei ha preso vita un’agguerrita micro-area di sedicente sinistra no euro al cui interno si è sviluppato un fecondo dibattito teorico di altissimo spessore, senza dubbio quello qualitativamente più elevato in tutto ciò che è stato dato vedersi in quest’ultimo decennio a “sinistra”.

Ai numerosi convegni di Chianciano Terme susseguitisi sempre per iniziativa del duo Pasquinelli-Mazzei e dei loro sparuti seguaci riuniti attorno al noto blog politico dal nome Sollevazione[4], in questi ultimi anni si sono affacciate le più brillanti intelligenze del mondo sovranista italiano, dall’attuale Presidente della Commissione Finanze al Senato Alberto Bagnai (il quale proprio in quei convegni ha iniziato ad avere un po’ di visibilità come uomo pubblico impegnato sui temi della critica alla moneta unica) all’attuale sottosegretario agli Affari Europei Luciano Barra Caracciolo, dal prof. Antonio Maria Rinaldi (oggi eletto deputato europeo con la Lega) all’economista keynesiano Nino Galloni.

Moreno Pasquinelli

Riflessioni di altissimo livello hanno accompagnato per anni gli appuntamenti convegnistici del gruppo di Sollevazione, nel corso dei quali non è mancato di assistere alla più severa e rigorosa critica verso la grave collusione ideologica dell’odierna “sinistra trans-genica” (una sagace definizione dello stesso Pasquinelli) con i poteri oligarchici dell’attuale Europa a trazione franco-tedesca: fatto sta che, a fronte di un livello analitico indubbiamente elevato espresso da questa piccola ma agguerrita area e nonostante il costante coinvolgimento nelle sue iniziative di alcuni fra i migliori cervelli della cultura sovranista del nostro Paese, alle innumerevoli kermesse di Pasquinelli e Mazzei ha sempre fatto seguito un sistematico e tragicomico fallimento politico-organizzativo di qualsiasi annunciato tentativo volto a trasformare tale collage di idee euroscettiche ed anti-liberiste in una vera e propria forza politica organizzata ed attiva nella società.

L’ultimo e il più clamoroso di questi fallimenti si è consumato alla vigilia delle elezioni politiche del marzo 2018, per via del capotico tentativo dello stesso Pasquinelli e del suo sodale Mazzei di coinvolgere a tutti i costi nell’erigendo cartello elettorale della neonata Confederazione per la Liberazione Nazionale[5] un coacervo di gruppi e gruppuscoli – dal Movimento Roosevelt diretto dal massone progressista Gioele Magaldi ai Forconi Siciliani di Mariano Ferro, dal Fronte Sovranista Italiano del prof. Stefano D’Andrea ai post-brigatisti dei CARC, senza disdegnare un collegamento a distanza perfino con la galassia della Fratellanza Musulmana protagonista delle note Primavere Islamiste nei primi anni di questo decennio – dal carattere talmente variopinto ed eterogeneo da non potere (ovviamente) mantenersi in piedi per più di una settimana.

Pertanto, per diretta responsabilità di Pasquinelli, per via della sua clamorosa inettitudine a sapere scegliere con cura i soggetti da mettere assieme al fine di assemblare un cartello politico-elettorale della “sinistra” patriottica, alle elezioni del 4 marzo dello scorso anno tutti gli elettori con una formazione “di sinistra” e sensibili alle tematiche della sovranità nazionale, non trovando sulle schede elettorali alcuna offerta politica credibile, hanno finito per convogliare inevitabilmente i loro voti nella Lega salviniana o nel Movimento 5 Stelle.

Uno degli innumerevoli convegni della “sinistra no euro” organizzati da Pasquinelli

da cui non è mai emersa alcuna seria iniziativa politica a carattere aggregativo.

 

A tale risultato ha contribuito altresì il catastrofico fallimento politico-organizzativo della microscopica Lista del Popolo per la Costituzione guidata in modo più che dilettantesco dalle due figure ormai consumate di Giulietto Chiesa e Antonio Ingroia (un’esperienza politico-elettorale dagli esiti davvero tragicomici alla quale anche il sottoscritto, suo malgrado, ha avuto la sventura di partecipare, sia pure per un brevissimo periodo).

Ma per tornare a Pasquinelli e Mazzei, non può sottacersi che questa loro metodologia politico-organizzativa clamorosamente bizzarra e caotica – che in qualche occasione non aveva mancato di fare infuriare il suscettibile prof. Bagnai – costantemente diretta ad assemblare micro-forze così ideologicamente eterogenee e così palesemente incompatibili fra loro al punto da non potere (ovviamente) dare vita ad alcun gruppo dirigente coeso e credibile, è stata da essi messa in atto talmente tante volte nel recente passato al punto da lasciarci sospettare a giusta ragione che i due politologi di formazione trozkista, la cui intelligenza sopraffina non può certo essere messa in dubbio da chicchessia, in questi anni possano avere agito scientemente con una finalità maliziosa e perversa in quanto rivolta deliberatamente ad impedire in ogni modo – anzichè a favorire – la costruzione e la discesa nell’agone elettorale di un’autentica “sinistra” patriottica o sovranista, di cui in realtà il nostro Paese avrebbe un grande bisogno.

La conferenza stampa di presentazione del Manifesto per la Sovranità Costituzionale

 

Da ultimo, fra tutte le micro-iniziative di questi ultimi tempi sorte nell’area della sedicente “sinistra” euro-scettica, merita di essere menzionata quella che ha visto in Stefano Fassina, nell’ex deputato bolognese di Rifondazione Comunista, Ugo Boghetta e nello scrittore Thomas Fazi i suoi più significativi fautori.

A tale iniziativa aggregativa, che ha preso vita in questi ultimi mesi con la pubblicazione del Manifesto per la Sovranità Costituzionale e che più di recente, dopo la rottura registratasi fra Fassina e il duo Fazi-Boghetta, annuncia di sfociare nel lancio di un soggetto politico denominato Nuova Direzione, hanno aderito diversi fini intellettuali come gli accademici Carlo Formenti, Alessandro Visalli e Andrea Zhok.

Spiace molto dovere rilevare che questa nuova area che si auto-definisce socialista e patriottica, a dispetto delle aspettative suscitate in alcuni attivisti speranzosi e in buona fede, sta mostrando fin dai suoi primi passi di risentire di un eccessivo pregiudizio ideologico verso l’azione del Governo giallo-verde e, ciò che è ancor più discutibile, sembra volere caratterizzarsi per una tattica politica tutta basata sulla contrapposizione frontale non già al PD ed ai poteri eurocratici (come ci si attenderebbe in questa particolare congiuntura) bensì alla Lega di Salvini con il non celato auspicio di favorire una quanto più rapida disarticolazione/decomposizione dell’attuale quadro politico “populista” ed una contestuale caduta in disgrazia dell’attuale maggioranza di Governo.

In buona sostanza, anche questa neo-componente di sedicente “sinistra” social-patriottica, da quel che sembra guidata da Fazi e Boghetta, nei fatti sta dimostrando di volere agire secondo il più classico schema cripto-globalista: di fatti, essa non nasconde di lavorare nel breve periodo per far sì che il Movimento 5 Stelle – ossia quello stesso soggetto che di recente a Strasburgo ha generosamente messo a disposizione i voti dei suoi parlamentari per garantire l’elezione della “kapò” tedesca Von der Leyen alla Presidenza della Commissione Europea – rompa il prima possibile il suo patto di Governo con la Lega di Salvini e dia vita ad una nuova alleanza politica e parlamentare col PD post-renziano, con la benedizione dall’alto di Papa Bergoglio e del figlio di don Bernardo Mattarella.

Al fine di manipolare i loro ingenui attivisti sinistrati colti ed euroscettici (siamo certi che Gianfranco la Grassa in questo caso preferirebbe l’aggettivo semicolti), attratti dalla lettura del Manifesto per la Sovranità Costituzionale, Thomas Fazi e Ugo Boghetta, in un primo momento agendo d’intesa con Stefano Fassina, fin dall’atto dell’insediamento del Governo Conte sono ricorsi ad una tecnica solo apparentemente fine e sofisticata di camuffamento e velamento della realtà.

Ossia, non potendo plaudere alle iniziative governative messe in campo (d’intesa con Trump) per liberare il nostro Paese dalla gabbia dell’austerità – perché ove lo avessero fatto, ciò li avrebbe costretti a considerare le forze di Governo come dei loro legittimi interlocutori politici – essi hanno preferito negare la realtà oggettiva dei fatti e dunque hanno provato a sostenere il presunto carattere fittizio e asseritamente teatrale dello scontro andato in scena in questo ultimo anno fra Palazzo Chigi e la Commissione Europea, della serie: Salvini, Borghi, Bagnai e Savona fingono soltanto di fare i sovranisti ma i veri sovranisti siamo noi!

E’ bene precisare che da certi ambienti politico-culturali dichiaratamente keynesiani ed anti-liberisti, come quelli facenti capo a Boghetta, Fazi e a Fassina, ci si potrebbe legittimamente attendere che essi sostengano l’attuale processo politico di liberazione del Paese dal giogo dell’austerità U.E. e che, al contempo, magari si differenzino dal Governo giallo-verde prendendo le distanze da certi suoi aspetti più discutibili, come il regionalismo differenziato o la privatizzazione dell’acqua pubblica; in alternativa, ci si potrebbe attendere che essi, pur sostenendo l’esecutivo nella sua battaglia campale contro Bruxelles, Berlino e Francoforte, colgano occasione per rimarcare i bisogni più essenziali delle classi popolari, magari reclamando una maggiore attenzione dell’esecutivo verso un piano di investimenti pubblici ovvero verso l’adozione di politiche di spesa sociale ovvero ancora l’integrale abolizione della legge Fornero o del JOB’S ACT.

Questo ci si attenderebbe dall’azione politica di gente come Boghetta, Fazi e Fassina e, se così fosse, saremmo ben lieti di aprire con loro un serio dibattito costruttivo sui limiti dell’azione del Governo giallo-verde.

E invece no, colpo di scena!

Fin da quando si è insediato il Governo Conte, soprattutto Fassina e Fazi, spesso accompagnandosi in convegni pubblici con economisti di chiara scuola bocconiana e in qualche caso con la partecipazione di ex consiglieri economici dei Governi Renzi e Gentiloni[6], in tutti questi mesi non hanno perso tempo per bersagliare quasi ogni giorno l’esecutivo giallo-verde proprio sul terreno decisivo dello scontro in atto con la Commissione Europea e con la BCE, artificiosamente negando l’effettiva esistenza di tale scontro.

Agendo in tal modo, sia Fassina che Fazi, in questa loro azione demolitrice accompagnati dalla complicità passiva del forse inconsapevole Boghetta, hanno palesato la loro implicita funzionalità ai piani strategici dei poteri globalisti, desiderosi di accantonare il prima possibile l’attuale stagione del “populismo” in salsa italiana e smaniosi di aprire la strada ad un nuovo governo tecnico a guida Mattarella-Draghi-Cottarelli ovvero, come sta emergendo più di recente, ad un Governo Conte bis che possa godere del sostegno di un’inedita alleanza fra il PD e un Movimento 5 Stelle ormai del tutto normalizzato attorno al sacro rispetto dei vincoli europei.

Se sul pedigree politico di Stefano Fassina – e sulle ragioni per le quali noialtri non abbiamo mai creduto alla sua sincera intenzione di operare politicamente per contrastare il mostro tecnocratico dei tempi odierni, chiamato U.E. – ci siamo già espressi in un già citato articolo alla cui lettura vi rimandiamo[7], forse qualche parola merita di essere espressa per inquadrare il personaggio emergente Thomas Fazi, attese anche le sue recenti comparsate televisive (specie su La7) che testimoniano come molto probabilmente alcuni ambienti abbiano deciso di puntare sulla sua figura per favorirne la repentina ascesa a ruoli visibili di leader mediatico o comunque di soggetto influencer di una certa area politica di sedicente “sinistra” sovranista.

Tipica aria da esponente navigato della “sinistra” romana radical chic, Thomas Fazi è il rampollo del noto editore Elido Fazi ed entrambi – padre e figlio – non possono certo nascondere una qualche contiguità rispetto all’area politica che fa capo alle fondazioni del magnate George Soros, prova ne è che molti interventi del più piccolo dei Fazi hanno spesso trovato spazio sul sito del noto network globalista/dirittumanista Open Democracy[8], un organismo alla cui creazione non ha concorso il solo Soros ma anche altri ben noti soggetti finanziatori come la Fondazione Ford ed il fondo Rockfeller, come apprendiamo da una semplice lettura di Wikipedia[9].

Negli anni 2013 e 2014, allorquando i temi dell’uscita dall’eurozona stavano faticosamente iniziando ad acquisire notorietà ed i movimenti sovranisti iniziavano a creare una prima significativa massa critica di seguaci, Fazi padre e figlio avviavano una campagna virulenta di attacco politico alla figura di Alberto Bagnai, ad esempio denigrandolo, con i toni sprezzanti tipici di un certo ambiente accademico-salottiero, per il fatto che il professore-divulgatore dei temi no euro insegnasse in un modesto ateneo di provincia quale quello di Pescara anzichè a Oxford o a Cambridge.

Nell’apice della polemica con l’attuale Presidente della Commissione Finanze al Senato, Thomas Fazi in una circostanza arrivava perfino a dichiarare dal suo profilo twitter che Bagnai lo avrebbe “minacciato di morte“.

In quegli stessi anni, proprio mentre prendeva sistematicamente di mira l’attività divulgativa del prof. Bagnai, lo stesso Thomas Fazi investiva il suo impegno di attivista nell’organizzazione di tavole rotonde sul tema del salvataggio dell’eurozona, con la partecipazione di esponenti di spicco della “sinistra” finanziaria come Varoufakis, dell’allora vice-Governatore della BCE, di economisti del FMI e, almeno in un caso, con la chiusura dei lavori affidata all’allora Ministro per le Riforme Costituzionali, la belloccia Maria Elena Boschi (all’epoca, come tutti ricorderanno, molto vicina a Renzi)[10].

Particolare molto importante, è significativo che detti convegni organizzati da Fazi in alcuni casi avvenissero col contributo economico della Commissione Europea, come apprendiamo da una dettagliata ricostruzione a suo tempo offertaci dallo stesso Alberto Bagnai sul suo noto blog Goofynomics, allorquando quest’ultimo cercava di difendersi con le unghie dagli attacchi pubblici ricevuti dallo stesso Fazi[11].

Thomas Fazi

 

E’ forse ancora più significativo ricordare che nell’autunno 2015, a margine della conclusione della tragica estate greca, quello stesso Thomas Fazi che oggi dagli studi di La7 si propone quale rappresentante della sedicente “sinistra” euroscettica, ebbe a pubblicare un pamphlet a quattro mani con l’eurodeputato piddino Gianni Pittella, il quale – lo ricordiamo ai più smemorati – nel 2014 era stato fra i principali sponsors del golpe nazi-atlantista di Piazza Majdan, allorquando non aveva avuto remore nel recarsi a Kiev ad aizzare la folla che in quel momento stava assediando il Parlamento costringendo alla fuga il legittimo Presidente ucraino Viktor Janukovyč.

E dunque, nell’autunno del 2015, quando la Grecia di Tsipras era stata da poco umiliata dalla Troika, mentre per le strade di Atene si cominciavano a vedere le prime mense pubbliche allestite per sfamare i poveri disoccupati e i senzatetto, Thomas Fazi e Gianni Pittella trovavano le energie per dare alle stampe il libro La notte dell’Europa. Perche’ la Grecia deve restare nell’euro (sic)[12].

La grande contiguità del piddino Pittella alla famiglia Fazi è di vecchia data ed è dimostrata anche dal fatto di avere egli scritto nel 2013, a quattro mani col padre-editore di Thomas, il libro Breve storia del futuro degli Stati Uniti d’Europa[13].

 

Poi arrivarono la BREXIT e l’avvento di Trump alla Casa Bianca e dunque è probabile che certi ambienti del mondo salottiero globalista abbiano nel frattempo mutato linea strategica ed oggi dunque abbiano interesse ad accreditarsi in Italia insinuandosi nelle odiate fila nemiche, dando vita a raggruppamenti che assumano le sembianze esterne di una “sinistra sovranista” ma che di fatto, nei momenti cruciali della lotta politica – come quello che sta vivendo l’Italia in questa politicamente calda estate 2019 – risultino funzionali ai disegni tattico-strategici dei poteri globalisti.

 

Concludendo quest’analisi dura e cruda sul mondo della “sinistra” contemporanea e sul mesto ruolo che essa sta recitando nell’attuale fase storica contraddistinta dall’ascesa del “populismo”, vi invitiamo a guardare sempre con attenzione e cautela alla reale natura della merce che siete interessati ad acquistare, specie nel settore cosiddetto di “sinistra”: spesso le apparenze ingannano e, perfino quel nuovo prodotto appena presentato sui banchi del supermercato della politica col fine di intercettare un certo pubblico di consumatori con idee sovraniste, magari munito di un marchio seducente ed inneggiante al patriottismo, sotto la confezione esterna tricolore, gratta gratta, nasconde quasi sempre surrettiziamente i colori della bandiera arcobaleno.

 

 

Giuseppe Angiuli

 

[1] Cfr. G. Angiuli, Il patriottismo costituzionale: per la costruzione di un’area politica di ispirazione popolare, socialista e patriottica, pubbl. in https://patriottismocostituzionale.blog/2018/07/01/il-patriottismo-costituzionale-per-la-costruzione-di-unarea-politica-di-ispirazione-popolare-socialista-e-patriottica/?fbclid=IwAR1vFwHmQqxjOWPGiI7qicCtloqc9ot-l5Jy5de21NDKW8MJOa5E9okoqAw.

 

[2] Sulla figura e sul ruolo politico assai ambigui di Stefano Fassina, mi permetto di rimandare ad un mio scritto del gennaio 2019, Stefano Fassina, il furbo incantatore della sinistra (quasi) euroscettica, pubbl. in https://italiaeilmondo.com/2018/12/30/3201/.

[3] http://temi.repubblica.it/micromega-online/carofalo-potere-al-popolo-noi-sinistra-dal-basso-vogliamo-ridare-speranza-ai-delusi-dalla-politica/.

[4] https://sollevazione.blogspot.com/.

[5] http://confederazioneperlaliberazionenazionale.it/.

[6] http://www.economiaumanista.it/2019/01/il-riscatto-dello-stato-presentazione-del-libro-sovranita-o-barbarie-di-thomas-fazi/.

[7] Stefano Fassina, il furbo incantatore della sinistra (quasi) euroscettica, cit.

[8] https://www.opendemocracy.net/en/author/thomas-fazi/.

[9] https://it.wikipedia.org/wiki/OpenDemocracy.

[10] http://www.eunews.it/how-can-we-govern-europe.

[11] http://goofynomics.blogspot.com/2014/12/una-pacata-risposta.html.

[12] https://www.ibs.it/notte-dell-europa-perche-grecia-libro-gianni-pittella-thomas-fazi/e/9788897931621.

[13]https://www.amazon.it/Breve-storia-futuro-degli-dEuropa/dp/8864118829/ref=tmm_pap_title_0?ie=UTF8&qid=1390920712&sr=8-4.

MEGLIO EMONE, di Teodoro Klitsche de la Grange

MEGLIO EMONE

Non si è ancora consumato il clamore mediatico per la vicenda della Sea Watch. Un topos ricorrente nei mass media di centrosinistra è paragonare la giovane capitana Carola Rackete alla pia Antigone e l’antagonista Salvini al bieco Creonte.

In effetti i personaggi di Sofocle sono da millenni i simboli di polarità contrapposte: tra diritto naturale e positivo; tra legge divina ed umana; tra principio femminile e maschile (Hegel); tra diritto tradizionale e diritto “moderno”, razionale e statuito dall’autorità politica (Von Seydel).

A me, senza contraddire tali interpretazioni, ricorda (anche) quella tra diritto istituzionale (finalizzato all’esistenza della comunità) e diritto comune (la cui funzione è la regolazione di pretese ed INTERESSI non essenzialmente politici). Così Creonte s’identifica con la polis in guerra (assediata dai sette, alleati di Polinice) e quando entra in scena proclama “Non saprei tacere quando vedessi muovere contro i cittadini la sciagura invece che la salvezza; e non farei mai amico un nemico della patria; poiché so che essa è la nostra salvezza”. D’altra parte che la salvezza fosse l’obiettivo primario di Creonte è chiaro già dall’ “Edipo a Colono”: quando Creonte compie l’atto odioso di rapire Antigone per costringere Edipo a tornare a Tebe, lo fa perché l’oracolo ha garantito la salvezza a chi dei contendenti per il trono di Tebe avrà presso di se il vecchio re.

In questo senso Creonte è uno dei tanti anticipatori dell’America first, ossia della difesa degli interessi della comunità, che oggi vengono indicati, sempre dai centrosinistri, come uno scandalo, mentre questo tipo di concezione del “buon” governante prevale nel pensiero politico, moderno in specie.

Dato che tuttavia, la politica vive di mediazioni, giusti mezzi e compromessi, questi sono rappresentati nella tragedia da un altro personaggio: Emone, il figlio di Creonte. Il quale, fidanzato di Antigone, tenta di salvare la fanciulla con un argomento che pur ispirato dall’amore, costituisce un esempio di razionalità (e dottrina) politica. Emone sostiene che il padre deve tener conto dell’opinione del popolo che non considera meritevole di condanna a morte l’atto pietoso di Antigone per cui prega il padre di “non portare in te soltanto questa idea, che è giusto quello, che dici tu, e nient’altro ….Non così dice concordemente il popolo, qui in Tebe … non vedi che hai parlato in modo infantile? …Non esiste la città che è di un solo uomo …Certo tu regneresti bene da solo su una terra deserta”. Ma Creonte è irremovibile alle argomentazioni di Emone, tutte fondate sul pubblico, e specificamente sull’equilibrio tra “capo” e “seguito”, comando e consenso. Nel discorso di Emone sono magistralmente esposte due regolarità del politico e del diritto. La prima del comando/obbedienza; un comando efficace presuppone un obbedienza leale e condivisa: se il comando non è condiviso il “successo” dello stesso sarà minore, e talvolta nullo. L’altro, giuridico, che il diritto “vola basso” sul sociale. Ha ragionevoli capacità di determinare l’agire sociale, se non si discosta granché dal sentire comune. Può integrarlo, modificarlo ma non sostituirlo. Se i tebani, come afferma Emone, erano convinti che Antigone aveva il dovere (più che il diritto) di seppellire il fratello, trasgressore (ed empio) era Creonte e non Antigone; ciò comportava una grave incrinatura nel rapporto di comando/obbedienza.

Il discorso di Emone, che non fa riferimento a tavole di valori, principi, oracoli, diritti umani ecc. ecc., è del tutto realistico, ed è quello che bisogna più fruttuosamente impiegare per valutare la vicenda.

Se Salvini ha fatto crescere la Lega in pochi anni dal 4% al 35% dell’elettorato, se i suffragi ai populisti sono quasi due terzi dei votanti, se anche nell’altro terzo forze tutt’altro che secondarie (come Forza Italia) condividono la politica migratoria del governo giallo-blu, e se i favorevoli alla “capitana” sono costituiti dai votanti del PD e connessi (meno di un quarto dell’elettorato), significa che Salvini non è Creonte, perché, al contrario di questo, è in sintonia con la volontà e l’opinione pubblica largamente maggioritaria.

Piuttosto la Sea Watch, la vicenda migratoria e le posizioni della sinistra confermano quanto pensava più di vent’anni fa Lasch: che il post comunismo è connotato dalla ribellione delle élite: di guisa che queste non condividono più l’ethos, il sentire, il modo di vivere delle masse. E per questo ottengono un consenso progressivamente ridotto: e sono loro i primi che dovrebbero tener presente il discorso di Emone.

Teodoro Klitsche de la Grange

Lilli e il vagabondo, di Giuseppe Germinario

A scrutarlo con benevola accondiscendenza, gli occhi di Alessandro Di Battista rivelano la sua più grande aspirazione: poter riprendere le peregrinazioni alla scoperta del mondo. Una propensione sopita a fatica durante il suo intenso ciclo quinquennale di impegno parlamentare. Un logorio che a suo dire lo ha spinto a non sfruttare la seconda ed ultima opportunità di rielezione offerta dallo statuto del M5S. Un bisogno irrefrenabile di uscire da un ambiente, sempre a suo dire, del tutto avulso dalla realtà della vita quotidiana della gente comune. L’indole sarà senz’altro questa, ma la spinta ad assecondarla molto prosaicamente sarà venuta dall’impossibilità di gestire due galli nello stesso pollaio governativo e dalla necessità di tenersi un leader di riserva del movimento in caso di fallimento del predestinato e di svolte inopinate. Che sia questa la reale motivazione è stato lo stesso Dibba a riconoscerlo confessando pubblicamente il magone provato al momento dell’insediamento del suo amico Gigino e rivelando la sua ambizione pudicamente nascosta a ricoprire l’incarico nientemeno che di Ministro degli Esteri. Il buon Di Battista, evidentemente, deve ritenere più che sufficiente la sua formazione terzomondista maturata con le sue peregrinazioni “on the road” in America Latina e la sua vicinanza fisica a quei popoli come d’altro canto praticamente irrilevante la precaria conoscenza del peso delle dinamiche della diplomazia, delle relazioni tra stati, centri decisionali ed elite per ambire a quell’incarico. Lo spessore politico dell’attuale facente funzioni come della maggior parte dei predecessori, compresi i competenti, non deve certo averlo indotto a moderare le proprie ambizioni; sono però limiti tollerabili tuttalpiù nel perseguire politiche completamente afone e allineate a centri decisionali internazionali affermati ed incontrastati. Normalità d’altri tempi. In una fase di conflitto estremo e dichiarato tra centri decisionali all’interno della stessa nazione egemone e di multipolarismo acclarato diventano al contrario tare destinate a segnare l’esistenza stessa di un paese geopoliticamente importante come l’Italia. La realizzazione di quella aspirazione avrebbe quindi certamente consentito a Dibba di conciliare il suo impegno politico e la sua indole di girovago; quasi certamente la realtà delle cose lo avrebbe condotto più o meno consapevolmente e rapidamente nel solco globalista e dirittoumanitarista proprie di uno degli schieramenti, sia pure con eccezioni apparenti come quelle sul Venezuela, con grave e irrimediabile nocumento per il paese. Una ambizione, la sua, alimentata in realtà da velleità che rivelano per altro quanto meno una grave sottovalutazione del peso avuto dal Presidente Mattarella nel determinare la maggior parte degli incarichi fondamentali nel Governo Conte.

Qualche tarlo deve però aver roso la sua testa se la lunga immersione nei popoli d’America ha previsto l’eccezione significativa dei contatti con il mondo istituzionale e imprenditoriale statunitensi; la sua curiosità ed affinità elettiva si è limitata però allo stesso solco tracciato sei anni prima dall’odiato Matteo Renzi.

La cruda realtà alla fine ha riportato Dibba in Italia già l’inverno scorso. Da una parte il magro successo di vendite della sua opera editoriale ed i conseguenti scarsi introiti, dall’altra il timore di un insuccesso marcato alle elezioni europee lo hanno costretto al rientro forzato e al ritorno all’impegno politico diretto. Non è stato il guado del Rubicone di un novello Cesare. Il paventato insuccesso si è quasi trasformato in un tracollo elettorale e Di Battista si è rivelato un argine eroso dai fontanazzi. Cionondimeno il suo impegno ed attivismo non si è ridotto. Alle sue comparsate in televisione rese sostenibili e dignitose, sia pure a fatica, dall’utilizzo abile di luoghi comuni teso a sottolineare il suo allineamento alle posizioni ufficiali filogovernative, si avvicendano cinguettìi, comizi e manifestazioni pubbliche nelle quali la retorica polemica, in particolare verso l’alleato di governo, prende il sopravvento. Tra le prime ha brillato il confronto con una Lilli Gruber sempre più partigiana e sempre più dimentica di svolgere la professione di giornalista terminato con un eloquente sospiro di sollievo del nostro. Tra le seconde, l’uso sempre più frequente e ossessivo di locuzioni del tipo “credetemi” sono il segno involontario di una forzatura e del sentore che la presa del suo fervore si sta allentando tra gli stessi adepti più osservanti.

Il personaggio Di Battista, più che per il peso effettivo della sua azione, è importante perché rappresenta l’espressione più chiara delle tare e dei limiti di un movimento sempre più complice, volontario o meno, dell’opera di accerchiamento della Lega di Salvini da parte di forze ben più potenti e pervasive.

Il M5S ha sicuramente al proprio attivo alcuni meriti. L’eliminazione di alcuni degli aspetti efferati del Job Act varato da Renzi; l’intenzione di varare il salario minimo garantito di fronte ad una radicale perdita di rappresentanza dei sindacati e di polverizzazione del mercato del lavoro; il freno ad alcuni degli aspetti separatisti degli accordi incipienti di autonomia differenziata delle Regioni. Il secondo però è sminuito dal disconoscimento del valore della rappresentatività sindacale e della contrattazione nazionale del rapporto di lavoro; il terzo appare più che altro un atteggiamento strumentale teso a dilazionare a futura memoria le richieste di autonomia regionale con il solo scopo di paralizzare e dividere la Lega.

Al di là di questi successi tattici, il M5S soffre della contraddizione sempre più evidente tra un gruppo dirigente espressione in netta prevalenza della componente girotondina, giustizialista e dogmatico-ambientalista ed un elettorato sino a pochi mesi fa trasversale, ma in via di ridimensionamento nelle sue varie componenti, ma soprattutto in quella economicamente più attiva e politicamente più istituzionale, proprie del vecchio centrodestra.

I richiami assillanti ed univoci all’onestà e l’ossequio conclamato all’azione qualsivoglia dei giudici ne fanno una cassa di risonanza della crescente manipolazione giudiziaria dello scontro politico. Dalla vicenda dei 49milioni di euro della Lega dei tempi di Bossi e Maroni addebitati al nuovo gruppo dirigente, a differenza degli analoghi del vecchio PDS, al caso delle dimissioni del Sottosegretario Siri, le cui indagini sono immediatamente cadute nel dimenticatoio, al vero e proprio fumo persecutorio dell’affare russo Metropol, le cui dinamiche tutt’altro che interrotte, sembrano una parodia del bluff del Russiagate che ha paralizzato per anni la Presidenza Trump, il gruppo dirigente del M5S ha pensato di lucrare ai danni della Lega sino a concedere, con il progetto di riforma del Ministro Bonafede, ai centri di potere della Magistratura, cristallizzati nel Consiglio Superiore, ulteriori poteri di determinazione delle politiche giudiziarie, proprie del potere legislativo e di controllo dei singoli magistrati.

L’attacco all’affarismo nella gestione della spesa pubblica e di una concezione regressiva della difesa ambientale stanno portando ad una contrapposizione antagonistica le esigenze di tutela ambientale e la difesa e sviluppo della residua industria strategica e delle infrastrutture di rilevanza nazionale. Il caso dell’ILVA di Taranto è probabilmente il più emblematico. I pifferai del M5S sono il supporto di forze politiche ben più incisive, del peso del Presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, a favore di interessi militari atlantisti, economici europei tesi a ridurre le quote europee di produzione dell’acciaio a spese dell’Italia e di mire di ulteriore subordinazione geoeconomica della struttura economica del paese con la distruzione completa della propria industria di base, tutti coalizzati nell’obbiettivo di chiusura dello stabilimento. Un ritorno ai temi dello scontro politico di settant’anni fa, ma con un esito opposto, nefasto.

La stessa difesa dei diritti del lavoro e di livelli minimi di reddito si riducono ad una scatola vuota utile tuttalpiù a creare delle nicchie assistenzialistiche e di privilegio e tutela corporativa senza una politica economica di espansione della base produttiva e di potenziamento dei settori strategici nonché di riconoscimento delle competenze professionali.

Il M5S si sta rivelando sempre più come una delle forze di normalizzazione, anche se non l’esclusiva e nemmeno la più importante, della anomalia politica italiana. Parte di una vera e propria manovra a tenaglia che cerca di mettere a tacere qualsiasi velleità minimamente autonomistica nelle scelte politiche del paese; una azione rivelatasi al momento in tre aspetti ed episodi, ma suscettibile di allargarsi ad altri ambiti ancora più dirompenti: l’affare Metropol di presunti fondi russi alla Lega, la guerra per bande nel CSM, la gestione delle nomine in sede UE (Unione Europea).

L’affare Metropol di Mosca affiora cinque mesi fa, grazie ad un servizio del settimanale Espresso, ed esplode grazie al contributo di un sito legato agli ambienti democratici americani. Prende corpo dopo l’esito delle elezioni europee ancora favorevole alla vecchia guardia europeista ma minacciata dal successo leghista in Italia e da altre forze in Europa; dopo il viaggio di Salvini negli Stati Uniti culminati con l’incontro con Pompeo e Pence, non ancora una consacrazione, quantomeno una nota di accredito al cospetto dell’attuale Presidenza; dopo le notizie del pesante coinvolgimento di importanti settori dell’intelligence italiana, degli apparati e di numerosi personaggi politici di area piddina nella costruzione di un ramo secondario del Russiagate americano e la probabile richiesta di pulizia ed epurazione pretesa dall’attuale governo americano. Di certo esistono le registrazioni di colloqui così compromettenti in un luogo così aperto ed accessibile ai curiosi di vario genere, l’improbabilità dei personaggi, in particolare italiani, coinvolti e l’impaccio e la goffagine almeno iniziale delle reazioni della vittima designata, il Ministro Salvini. Per il resto mancano la fonte e la certezza certificata delle registrazioni, la certezza dell’originalità dei documenti che stanno affiorando. Il sospetto è che i bersagli siano più di uno, ivi compresa l’attuale dirigenza dell’ENI; la certezza pressoché acquisita è che più che l’iter giudiziario, sia importante lo stillicidio di informazioni tale da paralizzare l’azione politica di Salvini. Gli indizi di pretestuosità e strumentalità nella gestione dell’affare poggiano sulla base solida del prosciugamento delle risorse finanziarie della Lega legate alla vicenda del recupero dei 49 milioni di euro truffati dalla gestione precedente del partito e sulla capziosità della tesi dell’infedeltà e dell’inaffidabilità di Salvini nel garantire la stretta osservanza atlantista. Con questo i detrattori sembrano rimuovere il fatto che attualmente le politiche estere americane sono almeno due; una delle quali prevede il riconoscimento di un ruolo specifico della Russia in antitesi alla crescita di potenza della Cina. Puntano a delegittimare Salvini, come fautore e paladino degli interessi nazionali.

Nella vicenda della gestione del CSM curiosamente nessuno ha avuto da ridire sulla fuga “incontrollata” delle intercettazioni. I garantisti a corrente alternata questa volta hanno scelto di spegnere la luce. Eppure la Procura di Perugia è di piccole dimensioni e non dovrebbe essere particolarmente difficile individuare la fonte delle fughe, la gola profonda. Pochissimi hanno considerato il fatto fisiologico che le decisioni formali di politiche di varia natura presuppongono sempre una attività di tipo informale. La costituzione di una “banda organizzata” tesa a preparare e predeterminare le decisioni presuppone necessariamente l’esistenza di “bande alternative”, colluse e/o antagoniste. L’attenzione si è concentrata su una di esse con il risultato di riportare in auge, nell’occupazione degli incarichi, componenti ridimensionate nelle recenti elezioni al CSM, probabilmente quelle più interessate a concentrarsi sui nuovi filoni di indagine e sul bersaglio grosso. Un interesse che richiede il sacrificio delle componenti renziane, di quelle incidentalmente contrarie a qualsiasi accordo tra PD e M5S. Il progetto di riforma del Ministro grillino Bonafede contribuisce a determinare questa svolta e ad accentrare in mano alle correnti di potere dei magistrati la determinazione delle politiche giudiziarie e dei poteri di controllo dell’azione giudiziaria dei singoli giudici. Una tangentopoli all’ennesima potenza in una situazione nella quale la stessa autorevolezza dell’azione giudiziaria è pesantemente lesa dalla commistione di ruoli ed incarichi e dall’emergere di scandali interni all’ordine. Una condizione diversa da quella di trenta anni fa e molto meno gestibile nella costruzione di una opinione pubblica favorevole.

La gestione delle nomine in sede UE rappresenta plasticamente il crescente sodalizio tra la componente tecnica e quirinalizia e quella grillina del Governo, sintetizzata dal ruolo crescente da protagonista assunto da Giuseppe Conte. La conferma del sodalizio franco-tedesco, avvallata dai grillini e dal Capo di Governo italiano è culminata con la conferma del duo Lagarde-von der Leyen con il voto determinante dei 5stelle. La sintesi tra il più classico filoatlantismo fondato sull’asse francotedesco e le politiche del FMI, laddove la maschera del globalismo individualistico non riuscirà a nascondere il conflitto tra interessi nazionali. La beffa riservata ai neofiti italioti è arrivata appena il giorno dopo con l’annuncio dei Verdi a sostegno delle nuove nomine e la probabile negazione del misero piatto di lenticchie riservato agli ultimi convertiti alla causa della vecchia UE. Ad esso fa seguito l’inedito attivismo del Ministro Moavero in materia di politiche comunitarie sull’immigrazione. Tutto lascia presagire una serie di provvedimenti di facciata tesi a concedere qualche contentino e a togliere l’iniziativa a Salvini sul suo al momento unico cavallo di battaglia vincente. Per il resto, lo conferma il recente accordo europeo con i paesi del Sudamerica, prosegue la politica di drenaggio di risorse dal Sudeuropa e di stretta dipendenza e subordinazione delle loro economie.

La definizione di questi tre ambiti di azione può indurre però ad una rappresentazione fuorviante delle dinamiche politiche nostrane fatta di schieramenti nitidi e delineati. La ridefinizione degli schieramenti in corso nel PD e il cuneo inserito nel M5S che sta portando, al prezzo di un pesante sacrificio elettorale, a far corrispondere i resti del movimento alle affinità elettive del suo gruppo dirigente potrà agire ancora più pesantemente all’interno della stessa Lega.

In essa il cuneo potrà agire su due aspetti consustanziali alla formazione ed esistenza di quel partito. La presenza, nel nocciolo duro lombardo-veneto, di una base sociale costituita da piccoli imprenditori e professionisti ancora convinte delle virtù di questa Unione Europea e la forza di posizioni federaliste che vedono nell’indebolimento delle competenze dello stato centrale, piuttosto che nella loro ridefinizione, le possibilità di sviluppo e progresso locali, comprese le istanze democratiche.

La prima nasconde la realtà di una dipendenza preoccupante della residua struttura industriale e finanziaria nazionale dalle scelte economiche, di marketing e tecnologiche operate in Germania in un contesto del tutto diverso dagli anni ’80 in cui erano assenti i paesi dell’Europa Orientale e la merceologia di prodotti finiti in Italia era più ampia.

La seconda di fatto fonda la propria ragione su più convinzioni maldestre:

  • sulla funzione regolatrice ed equilibratrice dell’Unione Europea delle politiche regionali. Una funzione smentita dalle dinamiche degli ultimi quasi quaranta anni
  • sulla capacità tutt’altro che dimostrata della capacità di amministrazioni regionali di concepire e mettere in opera strutture di valenza strategica tali da poter contrastare gli squilibri, in assenza di uno stato nazionale forte e dotato tecnicamente
  • sul disconoscimento del fatto che un vero stato federale poggia su ferrei ed adeguati strumenti controllo, di riequilibrio e di compensazione tali da garantire forza ed unitarietà all’intera formazione e standard di prestazioni tendenzialmente uniformi verso l’apice
  • sull’elusione del mantenimento di prerogative fondamentali compresa quella della politica estera e delle condizioni di base di esistenza della formazione sociale

Il paese, attualmente, presenta una situazione di tale frammentazione da rendere inderogabile un processo di autonomia decisionale e gestionale regolati

Se l’azione del M5S avesse finalità serie e non strumentali alla contingenza politica dovrebbe prevedere una azione di sostegno di tali istanze accompagnati da processi di modificazione della Costituzione e degli apparati istituzionali tesi a regolare competenze, controlli e compensazioni. Una azione che per retaggi storici la Lega non pare in grado di affrontare coerentemente e che la cosiddetta sinistra ha già dimostrato di poter barattare allegramente in nome di un europeismo lirico. Nemmeno la retorica dei popoli di Italia appare sufficiente a superare tale lascito. La classe dirigente grillina non pare in grado di concepire nemmeno il senso di tale operazione, semplicemente perché anch’essa è vittima del pregiudizio che più l’azione politica è decentrata, più è scevra dai particolarismi e dalle tentazioni elitarie e soggetta al controllo democratico.

Potrebbe essere invece la funzione di una possibile formazione di stampo socialdemocratico piccola al momento, ma coesa e con precisi riferimenti sociali tra i ceti professionalizzati e con funzioni gestionali.

Sono queste le due crepe entro le quali potrà insinuarsi l’azione di restaurazione e di debilitazione dell’attuale gruppo dirigente leghista sino a ricondurlo alle origini oppure di una azione apertamente scissionista.

La situazione è tragica ma probabilmente non del tutto compromessa, più per le condizioni esterne che interne al paese.

Gli Stati Uniti appaiono sempre meno interessati a mantenere questa Unione Europea

In secondo luogo e in subordine perché il fulcro di tale azione, la Germania, è destinata a subire in modo drammatico i contraccolpi di tali scelte e a non poter garantire le condizioni minime di sussistenza di tale proposito di restaurazione. I segnali sono sempre più manifesti.

È una finestra che non potrà rimanere aperta per molto tempo. L’accordo di due anni fa tra Trump e la Merkel, per interposta Commissione Europea, per una dilazione delle sanzioni doganali a scapito dell’agricoltura italiana sono un avvertimento eloquente che il futuro del paese non può dipendere dalla benevolenza degli “amici”. Qualche segnale positivo di consapevolezza inizia ad emergere in alcuni settori fondamentali degli apparati. Sta al ceto politico sensibile a queste istanze cercare di raccoglierlo e dare prospettive. In caso contrario una svolta nel paese dovrà passare ancora una volta da una nuova scomposizione delle forze.

 

LA PERDITA DI INDIPENDENZA DELL’ITALIA: L’ELOGIO DELLA STUPIDITA’ a cura di Luigi Longo

LA PERDITA DI INDIPENDENZA DELL’ITALIA: L’ELOGIO DELLA STUPIDITA’

a cura di Luigi Longo

 

Introduco lo scritto di Marco Della Luna Dalla Russia coi servizi (deviati), apparso sul sito www.marcodellaluna.info il 14/7/2019, con uno stralcio sulle leggi fondamentali della stupidità umana tratto da Carlo M. Cipolla, Allegro ma non troppo, il Mulino, Bologna, 1988.

 

L’INTRODUZIONE

 

[…] Il secondo fattore che determina il potenziale di una persona stupida deriva dalla posizione di potere e di autorità che occupa nella società. Tra burocrati, generali, politici, capi di stato e uomini di Chiesa, si ritrova l’aurea percentuale o di individui fondamentalmente stupidi la cui capacità di danneggiare il prossimo fu (o è) pericolosamente accresciuta dalla posizione di potere che occuparono (od occupano).

La domanda che spesso si pongono le persone ragionevoli è in che modo e come mai persone stupide riescano a raggiungere posizioni di potere e di autorità […] All’interno di un sistema democratico, le elezioni generali sono uno strumento di grande efficacia per assicurare il mantenimento stabile della frazione o fra i potenti. Va ricordato che, in base alla Seconda Legge, la frazione o di persone che votano sono stupide e le elezioni offrono loro una magnifica occasione per danneggiare tutti gli altri, senza ottenere alcun guadagno dallo loro azione. Esse realizzano questo obiettivo, contribuendo al mantenimento del livello o di stupidi tra le persone al potere. [pp. 65-66]

 

[…] Le persone non stupide sottovalutano sempre il potenziale nocivo delle persone stupide. In particolare i non stupidi dimenticano costantemente che in qualsiasi momento e luogo, ed in qualunque circostanza, trattare e/o associarsi con individui stupidi si dimostra infallibilmente un costosissimo errore.

Nei secoli dei secoli, nella vita pubblica e privata, innumerevoli persone non hanno tenuto conto della Quarta Legge Fondamentale (quella sul potenziale nocivo delle persone stupide innanzi sottolineata, mia precisazione) e ciò ha causato incalcolabili perdite all’umanità. [pag.72]

 

[…] La persona stupida è il tipo di persona più pericoloso che esista.

 

Il corollario della legge è che:

 

Lo stupido è più pericoloso del bandito. [pag.73]

 

 

LO SCRITTO

 

DALLA RUSSIA COI SERVIZI (DEVIATI)

 

di Marco Della Luna

 

 

Un recente sondaggio dice che il 58% degli italiani ritiene grave la storia dei soldi promessi dai russi alla Lega per la campagna elettorale europea di quest’anno. Ciò dimostra ulteriormente che l’inconsapevolezza è la regina della democrazia come oggi praticata.

Infatti, posto che il problema di questo ipotetico e non avvenuto finanziamento è quello dell’interferenza straniera nella politica italiana, cioè della tutela dell’indipendenza politica italiana, allora ogni non-idiota sa che questa indipendenza non esiste dalla fine della II GM:

a) l’Italia dal 1945 è militarmente occupata dagli USA con oltre 100 basi sottratte al controllo italiano;

b) gli USA hanno allestito, armato e finanziato in Italia la Gladio, un’organizzazione paramilitare illecita con fini di condizionamento politico;

c) la DC e il PCI hanno sempre preso miliardi rispettivamente dagli USA e dall’URSS, dati per condizionare la politica italiana; in particolare l’URSS assicurava al PCI percentuali su determinati commerci;

d) il PCI riceveva questi soldi mentre l’URSS teneva puntati contro l’Italia i missili nucleari;

e) il PCI, in cui allora militava il futuro bipresidente della Repubblica G.N., accettava la guida del PCUS di Stalin;

f) diversi leaders politici italiani hanno sistematicamente svenduto a capitali stranieri i migliori assets nazionali;

g) moltissimi leaders politici e statisti italiani hanno sistematicamente e proditoriamente ceduto agli interessi franco-tedeschi e della grande finanza in fatto di euro, fisco, bilancio, immigrazione; in cambio hanno ricevuto sostegno alle loro carriere;

h) l’Italia ormai riceve da organismi esterni, diretti da interessi stranieri, l’80% della sua legislazione e della sua politica finanziaria;

i) essa è indebitata in una moneta che non controlla e che è controllata ultimamente da banchieri privati; la Banca d’Italia è controllata pure da banchieri prevalentemente stranieri.

j) ciliegina sulla torta: notoriamente, nel 2011, su disposizione di BCE e Berlino, il Palazzo italiano ha eseguito un golpe per sostituire il governo Berlusconi con uno funzionale agli interessi della finanza franco-germanica.

E su tutto questo nessun PM ha mai aperto un fascicolo per corruzione internazionale: andava tutto bene!

Nel confronto con questi fatti, il problema dei soldi russi alla Lega, peraltro mai dati, è insignificante, solo un idiota può considerarlo diversamente; mentre chi ha un minimo di buon senso nota che il problema grave è un altro, ossia che i servizi segreti -sottoposti al premier Conte- abbiano eseguito un anno fa, e tirato fuori proprio ora, le intercettazioni in questione, e che le tirino fuori ora per mettere in difficoltà la Lega in un momento critico per il M5S (corsivo mio). Si ventila pure che possa essere stata, invece, la CIA, per colpire il legame Salvini-Russia. In ambo i casi, questa è la vera interferenza, questo è lo scandalo.

 

 

IO STO CON CAROLA, di Augusto Sinagra

Tutto sommato anche Salvini sta con Carola; ma non può confessarlo_Giuseppe Germinario

IO STO CON CAROLA

Sto con la trucibalda tedesca per molte ragioni delle quali indico solo alcune.
1. Ha fatto capire che il problema non è di questa fine calcolatrice, nipote di un Comandante nazista, figlia di uno che si occupa di armi e infine priva, a quanto pare, di licenza nautica.
2. Il problema è capire chi realmente comandava la nave.
3. La ragazzotta tedesca, bianca e ricca, al di là dei delitti commessi onde è giustamente detenuta, ha fatto capire che era teleguidata da traditori interni e nemici esterni che vanno individuati nelle varie ONG.
4. Ha fatto capire che è in corso, con la scusa dei poveri africani, una guerra non dichiarata contro l’Italia e promossa da chi vuole destabilizzarla.
5. Ha reso chiaro che dei clandestini africani che non fuggono da niente e che non sono mai stati naufraghi ma merce consegnata dagli scafisti alle varie Carole, con destinazione predefinita altrimenti la Carola di turno non riceve la sua mercede, non gliene frega niente a nessuno.
6. Ha fatto capire quale feccia sia la cosiddetta sinistra italiana che conferma e rinnova il suo tradimento in danno dei lavoratori e dei poveri strumentalizzando una vicenda che nulla ha di umano ma molto ha di criminale, solo per colpire il Governo e in particolare il Ministro Matteo Salvini.
7. Carola ha il merito di avere reso evidente quanti imbecilli e disonesti allignino nel Popolo italiano.
8. Ha mostrato come la Germania mai cambierà il suo spirito nazista, criminale e sopraffattorio.
9. A lei va il merito della lettera inviata dalla Segretario di Stato olandese per le migrazioni Ankie Groekers-Knol al Ministro Matteo Salvini con la quale riconosce che questi ha ragione, che la beneamata Carola ha commesso delitti gravissimi, che la Sea Watch agisce in complicità con gli scafisti, che considera le sue azioni illegali e ne prende le distanze.
10. Sempre per merito della pasionaria bianca, ricca e tedesca, il figlio di Bernardo Mattarella e il Fico tacciono; la velletrana Trenta si è rintanata in un buco e ha aperto bocca solo ad arresto avvenuto della Carola e il giovine Giuseppe Conte per fortuna tace anche lui.
11. Sempre per merito della Carola, in ossequio alla regola “scandalo va e scandalo viene”, è calato il silenzio sulle porcherie che hanno coinvolto il CSM, la ANM, i “Palamara boys”, ecc.
12. Per merito sempre di Carola molti hanno avuto occasione di dare motivo alla propria esistenza. Tra questi, purtroppo, alcuni componenti del Senato Accademico della mia Università di Palermo, promotori di una Nota di sostegno alla scafista bianca, ricca e tedesca. Qualcuno mi dica cosa cavolo c’entra nella questione una qualsiasi Università che della questione non sa niente.
13. Tra quelli che per fortuna tacciono vi è anche quel tale Luigi Patronaggio di Agrigento: forse avrà capito cos’è il reato di sequestro di persona e forse avrà capito che questo reato non fu commesso da Salvini ma lo ha commesso la Carola della quale, poi, non si ha alcun riscontro presso le Università che a lei avrebbero rilasciato titoli prestigiosi, e né si ha riscontro di sue precedenti avventure navigatorie.
Per questi e altri motivi dichiaro fermamente che “sto con Carola”.
AUGUSTO SINAGRA

“Se ci sei, spara un colpo!” (almeno uno…), di Piero Visani

“Se ci sei, spara un colpo!” (almeno uno…)

https://derteufel50.blogspot.com/2019/06/se-ci-sei-spara-un-colpo-almeno-uno.html?spref=fb&fbclid=IwAR1AYkWGkpsDKKuzvUmo3iqR3-On_UMRuPib89i9HwZQR4KdGwSPycWyDdw

     Quando un avvocato milanese “dolce come il miele” cominciò ad occuparsi di una determinata vicenda, venne adeguatamente avvertito che non si trattava tanto di occuparsi di una sacra “Sìndone”, quanto di una ancora più sacra “Sindòne” e che prestare soverchia attenzione a tale “sacro lino” avrebbe potuto procurare a lui un “sudario”.
L’avvocato “dolce come il miele” non si curò degli avvertimenti, proseguì imperterrito per la sua strada e – poiché, come aveva notato un noto politico vaticano dell’epoca, un po’ “se l’era cercata” – alla fine, anzi abbastanza rapidamente, “la trovò” e venne abbattuto a pistolettate sotto casa, nello scalpore generale, come sempre spentosi con la stessa rapidità con cui si era acceso, fino a che il detentore della sacra “Sindòne” non decise di leggere (forse inavvertitamente…) il libro di Piero Chiara “Venga a prendere un caffè da noi”…
     
Scrivo questo per notare come la capacità di comminare pene anche capitali da parte del primo potere italico (innominabile ma fin troppo noto) sia decisamente superiore a quella del potere statale, come possono testimoniare il generale Dalla Chiesa, i giudici Falcone e Borsellino, e una lunga catena di “condannati ed eseguiti” talmente lunga da includere anche regolamenti di conti interni (capite a me…).
Il potere statale, al di là di casi come quelli di Cucchi, Uva e non pochi altri, a parte ovviamente i suicidi per fisco (ma quelle sono pene capitali indotte…), non pare altrettanto determinato nelle sue sanzioni e si fa spaventare persino da una capitana Rakete (che in tedesco vuol dire “razzo, missile”). Spaventato al punto da non riuscire nemmeno a sparare una raffica di avvertimento – ovviamente puntata contro nulla e nessuno – così da poter autorizzare a far dire, dal mondo esterno: “Se ci sei, spara un colpo!”. Ma non c’è, ovviamente…

Ma dove vanno i marinai?

Era questo il titolo della canzone forse più gradita al pubblico dell’album “Banana Republic” di Lucio Dalla e Francesco De Gregori.
Per restare dentro (o fuori…?) di metafora, ci si potrebbe chiedere, in qualsiasi altro Paese al mondo che non sia Cialtronia, che cosa succederebbe ad una nave che tentasse di forzare l’ingresso in un porto straniero. Per non citarne che tre, direi Stati Uniti, Federazione Russa, Repubblica Popolare Cinese.
Da noi non è successo nulla di tutto questo, neppure una salva di avvertimento, e anzi una sottoscrizione popolare per fare un po’ di crowdfunding in favore di una ricca ONG straniera.
Cialtronia conferma di essere quello che è da sempre, una malriuscita espressione geografica, dove si parla molto e si combina poco o nulla, e dove l’attività più praticata è lo scaricabarile. Sono cose che ci piacciono molto, sono consustanziali al carattere nazionale. Nessuno di noi ama ammettere che la politica è “sangue e merda”: il primo ci fa paura, però della seconda siamo talmente ricchi da risultare forse tra i primi esportatori al mondo. Quanto alla cialtroneria, lì siamo leader incontrastati e inarrivabili.
                      Piero Visani

SE QUESTO É ANCORA UNO STATO?!, di Augusto Sinagra

SE QUESTO É ANCORA UNO STATO?!

La “comandante” della Sea Watch III, la ormai famosa pasionaria Carola Rackete, in commissione di una serie interminabile di reati e da ultimo l’ingresso illegale in acque territoriali italiane e, prima, di complicità con scafisti e trafficanti di esseri umani, fingendo di salvare naufraghi (i filmati ne sono prova), oltre che di sequestro di persona e tratta di esseri umani e violazione delle leggi sull’immigrazione (delitti che prevedono l’arresto suo e dell’equipaggio), pretende di scaricare in Italia e solo in Italia la sua mercanzia umana facendosi beffe del Governo italiano e delle sue leggi.

E ciò a scopo di suo lucro personale (diversamente non la pagano) e a illegittimo scopo della ONG di riferimento.

Premesso che uno dei principali “gestori” della ONG in questione è quel tale Gregor Gysi, già agente della polizia segreta della DDR (la famigerata STASI: sicuramente Rebecca Merkel se lo ricorda) e la medesima ONG fa capo a ignobili speculatori di ogni genere e si colloca nel più vasto contesto di una preordinata destabilizzazione dello Stato italiano oltre che specificamente del Governo in carica, se lo Stato italiano esiste ancora e non si è trasformato in un “cabaret”, esso attraverso i suoi organi deve:

1. trarre in arresto l’equipaggio della Sea Watch e per prima la sua “comandante”.

2. Sequestrare la nave come corpo di reato per poi procedere alla confisca e quindi alla demolizione (Patronaggio permettendo ma sicuramente l’aria è cambiata anche per lui).

3. Procedere all’immediato fermo di tutti i clandestini con immediato trasbordo su unità della Marina Militare italiana, con adeguata scorta armata, riportandoli al punto della loro partenza volontaria e cioè in Libia anche perché pure in Libia funzionano bene i costosissimi cellulari di ultima generazione di cui sono in possesso.

4. Richiamare immediatamente l’Ambasciatore italiano all’Aja e dichiarare l’Ambasciatore olandese a Roma “persona non grata” dandogli 48 ore di tempo per lasciare il territorio nazionale.

Il Ministro dell’Interno Matteo Salvini si sta giocando tutta la sua credibilità e il vasto consenso elettorale che ha avuto. Lui sa bene che i voti vanno e vengono. Ne tiri le conseguenze anche a costo di provocare una crisi parlamentare di governo.

Il figlio di Bernardo Mattarella non si permetta di aprire bocca. Non ha più autorità istituzionale né politica e né morale. Lui è finito.

Il pampero argentino si taccia e la finisca di frantumare le balle al Popolo italiano e lo si avverta che le intese concordatarie possono essere anche denunciate così i suoi “dipendenti” e cioè i vescovi delle Diocesi italiane che ammorbano l’aria, e fanno perdere la fede ai credenti. La finiscano di interferire negli affari interni dello Stato fino al punto di istigare alla disapplicazione delle leggi.

Alla denuncia del Concordato non fa ostacolo l’art. 7 della Costituzione, come ben sanno i miei Colleghi costituzionalisti. E se è necessario si modifichi l’art. 7 della Costituzione. Qualcuno avverta il pampero argentino che in Italia non c’è più la “religione di Stato”.

A parte il fatto che è proprio il pampero argentino che nega la religione cattolica, offendendo Cristo, i Santi, gli Apostoli e falsificando il Vangelo e le Scritture. Lui non è solo scismatico o eretico, lui è un apostata.

Qui sotto, invece, le dichiarazioni dell’Ammiraglio Nicola De Felice, fino al 2018 comandante di Mariscilia

“Caso Sea Watch: arrestare la Comandante e convocare gli ambasciatori di Paesi Bassi e Germania*

Le convenzioni internazionali sul diritto del Mare delle Nazioni Unite, Il Codice Italiano della Navigazione e le direttive nazionali sulla Sicurezza richiedono delle azioni politiche e giuridiche inoppugnabili: le infrazioni commesse dal Comandante della nave Sea Watch sono tali da richiederne l’immediato arresto se non addirittura l’estradizione in Libia qualora richiesto visto che le prime infrazioni sono state commesse in acque di competenza libica. Inoltre, il passaggio illegale dei migranti è stato commesso in territorio olandese e – in ottemperanza all’articolo 13 del Trattato di Dublino dell’UE – l’Olanda deve farsi carico dei migranti saliti a bordo sulla Nave battente bandiera olandese. La Germania è la nazione della ONG responsabile del misfatto. Ai sensi delle più elementari regole diplomatiche internazionali, gli ambasciatori di tali Stati devono essere immediatamente convocati per giustificare l’inerzia dei rispettivi Governi in tali misfatti. La nave va sequestrata, vanno applicate le sanzioni amministrative previste ivi comprese le spese sostenute dallo Stato per la gestione del caso, come previsto dall’art 84 del codice di navigazione. Tutto ciò va fatto in tempo reale onde evitare che il misfatto sua emulato da altri incoscienti. Ne va della dignità di uno Stato sovrano come il nostro”

 

VIP E CICISBEI, di Giuseppe Germinario

La settimana ormai all’epilogo è stata caratterizzata dal via vai. È iniziata con il viaggio di Matteo Salvini negli Stati Uniti; si è conclusa con l’arrivo di Obama a casa Clooney, sulle rive del Lario. Nel mezzo il soggiorno del Presidente del Consiglio Conte a Bruxelles, al Consiglio Europeo.

Una coincidenza di eventi, probabilmente casuale, comunque sorprendente dal punto di vista simbolico. Sembra offrire, sotto traccia, qualche barlume di verità su alcune dinamiche nello scacchiere geopolitico europeo e mediterraneo.

La gran parte degli addetti all’informazione però sembra sempre più attratta, se non accecata, dagli aspetti mondani di questi appuntamenti. Da produttori e portatori di informazione si stanno trasformando irreversibilmente in moderni cicisbei, maestri di colore, di costumi e di pettegolezzi.

Tra i tre, paradossalmente, chi ci ha rimesso in efficacia di immagine è stato Giuseppe Conte, notoriamente maestro in bon ton e passi felpati. In un Consiglio Europeo impegnato a concordare le nomine della Commissione Europea, della Presidenza del Consiglio Europeo e della BCE, si è trovato nella condizione di dover rintuzzare la procedura di infrazione annunciata proditoriamente dalla Commissione Europea uscente. Tra le due opzioni opposte di una reazione d’orgoglio a un atto strumentale e provocatorio e un atteggiamento pragmatico teso a contenere i danni accettando logica e spirito della lettera, ha prevalso la seconda e con esso qualche atteggiamento di troppo da questuante verso i pari grado più potenti, pur se ormai sempre meno autorevoli. Non lo ha certo aiutato una consuetudine pluridecennale di totale accondiscendenza e complicità di un ceto politico ed una classe dirigente nazionale; accondiscendenza che ha disabituato a trattative serie le varie élites europee. Peggio ancora, come insegna il mercimonio truffaldino operato dal “rottamatore” Renzi tra la resa sottobanco sull’approdo in Italia di immigrati (Operazione Triton) e la concessione di pochi decimi di deficit, le ha incoraggiate ad operazioni di vera e propria corruttela utile ad alimentare un sottobosco di attività assistenziali e parassitarie necessarie a garantire la sopravvivenza politica del sistema. Non lo ha sostenuto in autorevolezza, per altro, il suo comportamento deludente e rinunciatario seguito al promettente avvio e alla conclusione della Conferenza sulla Libia, tenutasi a Palermo l’autunno scorso. Un appuntamento organizzato con il beneplacito del Presidente Americano, accettato a denti stretti da Francia e Germania e conclusosi addirittura trionfalmente, con l’investitura di Conte a mediatore ad opera del Ministro degli Esteri russo, Lavrov. In quel momento Conte avrebbe dovuto comprendere l’insostenibilità della figura di al Serraji come Presidente capace di unire le varie tribù della Libia, in quanto privo di forza propria e mantenuto a galla da una delle tre principali fazioni in lotta. Avrebbe dovuto puntellare la sua sopravvivenza per impedire il pieno successo del Generale Haftar, espressione delle tribù di Cirenaica e nel contempo favorire l’emersione di una figura terza, capace di mediare e riunire il paese. Questa figura può emergere con migliori possibilità, dalla tribù più numerosa e centrale di quel paese e non è escluso che, ad osservare i fatti, possa essere uno dei superstiti dei figli del colonnello Gheddafi. Una operazione certamente ardua e complessa, che richiederebbe grandi capacità diplomatiche e sufficienti coperture militari. Ipotizzabile sotto la Presidenza di Trump, ma decisamente più traumatica se il rospo dovesse essere offerto ad eventuali epigoni di Obama, Sarkozy e Macron. Con l’offensiva in corso di Haftar, fortunatamente esauritasi, l’atto più significativo di Conte è stato la sua richiesta di aiuto americano, evitando così il disastro ma perdendo così ogni parvenza di autonomia verso i vari contendenti libici ed esterni e gran parte della credibilità verso il suo stesso principale estimatore, Trump. Alla luce di ciò, il memorandum con la Cina e la posizione sul Venezuela, di per sé poco rilevanti nell’agone geopolitico, hanno assunto un significato dirimente per l’amministrazione statunitense. Il cerchio si è chiuso quasi del tutto con il suo progressivo avvicinamento a Mattarella e la gestione partigiana, piuttosto che calmieratrice, del conflitto giallo-verde durante l’ultima campagna elettorale.

Di queste difficoltà sembra approfittare a piene mani Matteo Salvini. Il suo viaggio a Washington ha assunto l’aspetto di una vera e propria investitura a leader. L’incontro con Mike Pompeo, Segretario di Stato e Pence, Vicepresidente sono un riconoscimento che va certamente oltre lo status proprio di un Ministro dell’Interno. È un lustro che, se prematuro ed improprio, espone il personaggio ad un rischio da non sottovalutare. Quello di apparire come uno dei tanti pellegrini che hanno dovuto recarsi a Washington per ottenere una investitura che dovrebbe essere in realtà prerogativa esclusiva delle istituzioni e del popolo italiano; viandante dotato magari di una aura più fulgida e lucente, ma sempre di luce riflessa più che propria. L’intero sistema mediatico ha indugiato sulle dichiarazioni di Salvini, tanto su quelle di politica economica, quanto soprattutto quelle in politica estera, riguardanti il Venezuela e il memorandum con la Cina. Queste ultime sono di fatto una sconfessione delle posizioni ufficiali del Governo Conte ed un allineamento pedissequo e a buon mercato alle posizioni dell’Amministrazione Trump. Pedissequo, perché acriticamente allineate, a buon mercato perché esulano dalle competenze del suo ministero. Risulta quindi evidente l’apparente e impropria investitura di leader politico da parte di esponenti di un governo straniero. Il mancato incontro con il Presidente Trump non è solo la residua cautela sulle esigenze di etichetta e di correttezza istituzionale. Rivela soprattutto una persistente diffidenza di Trump verso una forza politica che non ha superato del tutto i retaggi delle proprie origini secessioniste; poco importa se sia una diffidenza di tipo culturale e/o di mero interesse politico, legato a possibili ritorni di fiamma filobavaresi, nemmeno filotedeschi nel prossimo futuro. Visto lo spessore e le funzioni di uno degli ospiti e del pellegrino è probabile che la parte più succosa e pertinente, prosaica dei colloqui riguardi l’implicazione, pur in filoni secondari, di tanta parte del ceto politico e dei funzionari di settori nevralgici dello Stato Italiano nella costruzione del Russiagate. Nei blog e in numerose testate americane circolano da tempo apertamente numerosi nomi di politici ed alti funzionari italiani. Segno di insofferenza e volontà di rivalsa verso gli artefici di una caccia alle streghe congelata malamente al prezzo però di paralisi politica e di numerose vittime. A questo riguardo le prossime elezioni presidenziali americane potrebbero essere il prodromo ad una definitiva resa dei conti nella quale Trump non avrebbe più l’esclusiva della figura di vittima designata.

Il soggiorno di Obama, famiglia e seguito similpresidenziale, presso la sontuosa residenza sul lago di Como, ospite del suo amico e attore George Clooney, sembra assecondare la bramosia dei cicisbei più accaniti; non ha in realtà, probabilmente, un esclusivo carattere mondano e godereccio. Accecati dal gossip e dalla vacuità, i nostri pennuti cicisbei si sono dilettati sulle frivolezze le più varie del soggiorno, compresi i fuochi d’artificio di borbonica memoria. In realtà Obama, abbandonata a malincuore la Casa Bianca e il suo orto, già altre volte ha pedinato e tampinato, sovrapponendosi con appuntamenti ed itinerari paralleli, il proprio odiato successore. Poiché uno dei bersagli grossi di un possibile ribaltamento della direzione delle inchieste sul Russiagate potrebbe essere, ancor più della Clinton, proprio lui, quanto meno come responsabile politico, il suo interesse per l’Italia si arricchirebbe di ulteriori aspetti, questa volta più politici. Alcuni giornali italiani sussurrano di un incontro con Matteo Renzi, ma solo per affinità elettiva. Alcuni giornali inglesi, invece, più smaliziati, ipotizzano una investitura di Clooney a prossimo candidato democratico Presidente. Non si conosce il grado di superstizione di Obama. Tenuto conto che l’ultima consumazione alla Casa Bianca tra i due, Renzi e Obama, da sanzione di investitura reciproca si è risolta repentinamente in una sorta di “ultima cena” con scarse possibilità di resurrezione, si presume che gli incontri politici, quantunque riservati, riguarderanno personaggi più titolati e meno predisposti a naufragi fragorosi.

Ipotizzando temerariamente cotante intenzioni, a Matteo Salvini si presenterebbe una occasione d’oro, per quanto rischiosa, per garantirsi un futuro da leader riconosciuto.

La concomitanza di interessi con l’attuale inquilino d’oltreatlantico potrebbe rendere più praticabile una azione di riforma istituzionale, a cominciare dal ruolo e dalle competenze della magistratura e una operazione di rinnovamento del personale, specie dirigenziale, degli apparati di sicurezza. Se e come riuscirà a portarla avanti, potrà fare di lui un personaggio politico di statura, capace di sostenere alla pari un confronto con alleati ed avversari o piuttosto, in caso di sopravvivenza, l’ennesimo emissario di una delle fazioni in lotta nei centri decisionali che contano; uno dei tanti che con valigia o borsello, vuoti o pieni che fossero al ritorno, hanno costellato le vicende italiche dal dopoguerra.

Il contesto è proibitivo, le qualità soggettive, se esistono, appaiono dissimulate sin troppo bene, lo scetticismo prevale, ma………………….chissà!?

IL NEMICO PRINCIPALE, di Piero Visani

Punti di vista_Giuseppe Germinario

IL NEMICO PRINCIPALE, di Piero Visani

Immagino che questa considerazione potrà non piacere a tutti, ma la prima esigenza di una politica è quella di chiarire chi sia il nemico principale, quello che crea maggiori problemi e preoccupazioni.
A giudizio di chi scrive, è l’Unione Europea, per cui certe derive statunitensi forse sono – per chi le effettua – scelte di vita e di campo. Per me, sono al momento l’unico modo disponibile per affrancarsi dal peso soffocante del nemico principale.
Quando un Paese è piccolo, guidato da una classe dirigente di piccoli (e grandi) cialtroni, fare riferimento al servilismo – sempiterna risorsa dei cialtroni – è una delle pochissime carte che si hanno in mano, specie se si è fortemente miopi.
Giocarsi quelle carte è una minuscola risorsa tattica, non una soluzione strategica, ma personalmente – visto che individuo nell’UE l’attuale nemico principale (il che non equivale a dire che lo sia la costruzione di una “massa critica” europea, da cui l’UE è lontana come il sottoscritto dal diventare Napoleone Buonaparte) – non vedo molte altre soluzioni.
A differenza dei tedeschi, inoltre, agli americani interessa pochissimo della virtù dei conti altrui, e questo per me è già positivo.
Per il resto, quando si è piccoli e poco illuminati da prospettive strategiche, non si ha che fare leva sulla guerra di movimento e quella asimmetrica.
Triste, ma realistico, specialmente per un popolo di soddisfatti fancazzisti, statalisti e vacanzieri in SPE: andare alla “House of Cards” e vedere se se ne la qualcuna da giocare…

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