La Georgia è bersaglio di un cambio di regime per il suo rifiuto di aprire un “secondo fronte” contro la Russia, di Andrew Korybko

La Georgia è bersaglio di un cambio di regime per il suo rifiuto di aprire un “secondo fronte” contro la Russia

Andrew Korybko
8 marzo

L’Occidente vuole punire il primo ministro Irakli Garibashvili per il suo pragmatico rifiuto di aprire un “secondo fronte” nella guerra per procura degli Stati Uniti contro la Russia, dopo che all’inizio di dicembre aveva pubblicamente denunciato questo complotto, impegnandosi al contempo a non armare mai nemmeno Kiev. Il furore artificialmente prodotto sulla legge sugli agenti stranieri della Georgia, ispirata dagli Stati Uniti, non è altro che una cortina di fumo per nascondere la vera ragione alla base dei disordini di martedì.

L’ex Repubblica sovietica della Georgia ha subito un grave tentativo di rivoluzione colorata martedì sera, dopo che i rivoltosi radicali filo-occidentali hanno cercato di prendere d’assalto il Parlamento in risposta all’approvazione di una legge che impone a tutte le organizzazioni con almeno il 20% di finanziamenti stranieri di registrarsi presso le autorità. I media occidentali guidati dagli Stati Uniti (MSM) hanno artificialmente fabbricato una falsa narrativa nel periodo precedente agli eventi, sostenendo che la legge si basa sul sistema di registrazione della Russia, anche se è esplicitamente ispirata a quella degli Stati Uniti.

Questo tentativo ben intenzionato di proteggere la nascente e certo imperfetta democrazia georgiana da ingerenze straniere, come suo diritto sovrano, è stato poi sfruttato come pretesto per organizzare un violento cambio di regime contro il primo ministro Irakli Garibashvili. L’Occidente vuole punirlo per il suo pragmatico rifiuto di aprire un “secondo fronte” nella guerra per procura degli Stati Uniti contro la Russia, dopo che all’inizio di dicembre aveva pubblicamente smascherato questo complotto, impegnandosi a non armare nemmeno Kiev.

La presidente Salome Zurabishvili, che era in visita all’ONU a New York durante il fallito cambio di regime contro Garibashvili martedì sera, ha dato il suo pieno appoggio ai disordini in un video che riproponeva la falsa narrativa di guerra informativa dell’Occidente, secondo la quale il progetto di legge è sostenuto dalla Russia. I lettori dovrebbero sapere che ha svolto la maggior parte della sua carriera come diplomatica francese, dopo esservi nata, ed è stata in precedenza ambasciatrice di quel Paese in Georgia fino al 2004.

A quel punto ha ricevuto la cittadinanza georgiana solo grazie a un accordo tra i due governi, proposto da Mikhail Saakashvili dopo il successo della sua rivoluzione colorata l’anno precedente, affinché diventasse ministro degli Esteri. Da allora, a tutti gli effetti, Zurabishvili è uno dei principali “agenti di influenza” del Miliardo d’oro in Georgia. Nonostante il Primo Ministro abbia oggi più potere grazie alle riforme precedenti, la Presidenza le conferisce ancora una certa influenza sulla società.

È in questo contesto che è stata tentata la violenta presa di potere di martedì sera contro Garibashvili, anche se la Russia era già preparata a questo scenario dopo che il Ministro degli Esteri Sergey Lavrov aveva avvertito all’inizio di febbraio che qualcosa di losco era in atto nell’ex Repubblica Sovietica. In quell’occasione ha dichiarato a un popolare conduttore televisivo: “Il fatto che vorrebbero trasformare la Georgia in un’altra fonte di irritazione, per riportare la situazione alla condizione aggressiva dell’era Saakashvili, è fuori dubbio”.

Va anche detto che l’ultimo tentativo di rivoluzione cromatica dell’Occidente nella regione ha avuto luogo in mezzo ai continui guadagni russi intorno ad Artyomovsk/”Bakhmut”, che hanno spinto il presidente ucraino Vladimir Zelensky ad avvertire che la Russia potrebbe attraversare il resto del Donbass se catturasse quella città. All’inizio dello stesso giorno e poche ore prima del tentativo di assalto al parlamento di Tbilisi, il ministro della Difesa russo Sergey Shoigu ha confermato che una vittoria in quella regione avrebbe distrutto le difese regionali di Kiev.

Per riassumere le dinamiche strategiche alla vigilia del fallito cambio di regime di martedì sera in Georgia, i mass media avevano già prodotto una falsa narrativa prima che il parlamento votasse la legge sugli agenti stranieri ispirata dagli Stati Uniti, sostenendo che essa simboleggiasse l’inclinazione del Paese verso la Russia. Questa campagna di guerra informativa è condotta contro il suo premier per il suo rifiuto, all’inizio di dicembre, di aprire un “secondo fronte” contro la Grande Potenza eurasiatica per alleviare la pressione sui proxy ucraini degli Stati Uniti.

La Presidente georgiana, che probabilmente è sempre stata uno dei principali “agenti d’influenza” del Miliardo d’oro, si trovava a New York quando tutto si è svolto e ha dato il suo pieno appoggio ai disordini del cambio di regime. All’inizio dello stesso giorno, sia il Ministro della Difesa Shoigu che Zelensky avevano informato tutti che la Russia avrebbe potuto attraversare il resto del Donbass se avesse catturato Artyomovsk/”Bakhmut”. Le premesse per il tentativo di rovesciare violentemente Zurabishvili martedì sera erano quindi pronte.

Sarebbe prematuro dichiarare che Zurabishvili è sicuro della sua posizione, nonostante i servizi di sicurezza siano riusciti a difendere il parlamento dai rivoltosi, poiché molto potrebbe ancora accadere per far avanzare l’agenda degli Stati Uniti sul cambio di regime. La Georgia è un Paese profondamente diviso che è stato sotto l’immensa influenza dell’Occidente negli ultimi due decenni, durante i quali il Miliardo d’oro è riuscito a manipolare una parte consistente della popolazione per indurla a fare i suoi interessi geopolitici.

Non mancano gli “utili idioti” che, grazie alla loro ideologia liberal-globalista, possono essere facilmente indotti a destabilizzare il Paese a scapito dei suoi interessi nazionali oggettivi. Questo significa che la Georgia è destinata a diventare l’ultimo fronte della Nuova Guerra Fredda, visto che è improbabile che la sua ultima crisi si risolva a breve. La situazione è estremamente grave e l’esito della guerra ibrida non dichiarata degli Stati Uniti contro la Georgia potrebbe influenzare direttamente gli sviluppi nel Donbass.

https://korybko.substack.com/p/georgia-is-targeted-for-regime-change

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L’egemonia americana e i suoi pericoli, del Ministero degli Esteri di Cina_a cura di Violetta Piccolo

L’egemonia americana e i suoi pericoli. La nuova denuncia cinese che smaschera le false narrative del predominio statunitense durante la Nuova Guerra Fredda.

di  Violetta Piccolo

 

In questo articolo presentiamo la traduzione dal cinese di uno dei più assertivi documenti che negli ultimi tempi la Cina ha prodotto: si tratta del documento redatto dal Ministero degli Esteri cinese dello scorso 20 febbraio 2023, dal titolo “La tirannica egemonia americana e i suoi pericoli”, ribattuto dall’Agenzia Xinhua, che insieme al documento in dodici punti del giorno successivo sulla Global Security Initiative hanno dato avvio alla presenza del soggetto politico cinese nel ruolo di potenza che primeggia e si smarca dalle mire di conquista americane nella sua regione di influenza nell’Indo-Pacifico, nonché punta nientemeno al ruolo di pacificatore per il conflitto ucraino in corso. Questi due documenti, usciti in concomitanza del prossimo avvio del nuovo premierato cinese e come premessa del prossimo incontro di Xi Jinping alla Conferenza sulla Sicurezza di Bo’ao che si terrà in aprile, danno una maggiore visione del contributo cinese allo smascheramento della strenua politica militarista interventista americana e si aggiungono alla nuova fase che ritaglia un possibile ruolo di preminenza cinese verso la risoluzione diplomatica del conflitto russo-ucraino. Trattandosi di un documento sulla declinazione dei metodi e della pervasività dell’imperialismo americano, che riporta sia le condizioni a livello globale e internazionale dell’economia che quelle del suo continuo ingaggio al militarismo fino all’egemonia culturale e le varie declinazioni di essi, vogliamo presentare alcuni punti essenziali del testo per fare un confronto con l’attuale stato dell’arte della controparte americana. Il documento si svolge su un asse dedicato in cinque punti, che introducono sia l’ambito politico che economico, sia quello militare che quello tecnologico e infine culturale: in particolare sono da notare i rimandi alla Dottrina Monroe[1] e al suo uso spregiudicato, dalla sfera di influenza americana fino all’allargamento che porta ad inglobare l’intera comunità internazionale nel concetto di “esportazione della democrazia”. In questo senso la parte cinese vuole fare notare come nel corso della storia degli ultimi duecento anni, col caso che al 2023 ricorrerà appunto l’anniversario dei duecento anni dalla sua implementazione, gli Stati Uniti si siano serviti di questa teoria per dominare e per soggiogare con guerre che ne giustificavano la sua sicurezza nazionale il loro ambito di sfera allargata, che tuttavia negli ultimi cinquant’anni ha di fatto reso internazionalizzato. Come sostiene Vijay Prashad nel suo articolo sulla letalità della Dottrina Monroe “(…)Nel 2023 la Dottrina Monroe, sviluppata in un periodo in cui gli Stati Uniti affermavano la loro egemonia sull’emisfero americano, compirà 200 anni. Oggi, lo spirito maligno della Dottrina Monroe non solo continua, ma il governo statunitense lo ha perfino esteso in una sorta di Dottrina Monroe Globale[2]. Per affermare questa assurda pretesa sull’intero pianeta, gli Stati Uniti hanno perseguito una politica[3] di “indebolimento” di quelli che considerano “rivali alla pari”, ossia Cina e Russia”. La guerra in Ucraina ha spostato l’asse dell’ordine mondiale: dando luogo all’intervento militare in Ucraina, la Russia e la Cina, come controparte ad essa “alleata” sostenitrice, hanno dato vita ad una contestazione dell’ordine unipolare attualmente presente, a partire dalla caduta dell’Unione Sovietica nel 1991, quello che così ferocemente gli americani contendono come primato. Bisogna qui ricordare che la crescente egemonia americana si è fondamentalmente basata sugli ultimi 20 anni di interventismo militare, dalle guerre in Afghanistan a quelle in Iraq, suscitando l’opposizione ormai evidente della comunità internazionale: secondo il disegno della Difesa americana, tuttavia, stando alla trascrizione della relazione rilasciata allo US Department of Defense nella persona del Segretario alla Difesa, gen. James Mattis, del gennaio 2018 sulla National Defense Strategy americana, si possono comprendere le direzioni di questa, e con le sue parole intendere gli obiettivi e le finalità che rendono pervasiva la Dottrina Monroe. Diceva infatti il generale che “(…) il documento o rapporto n. 68 del Consiglio di sicurezza nazionale è stato un faro durante la Guerra Fredda. Ha guidato molte cose.” E prosegue così: “(…)Lo sfondo che si ha qui rende questo un luogo adatto per introdurre il nostro riassunto non classificato del documento classificato. Sapete, alcune parti sono segrete perché dobbiamo un certo grado di riservatezza alle truppe che porteranno avanti questa strategia. È, come ha notato il decano, la Prima Strategia di difesa nazionale della nostra nazione in 10 anni. Credo che sia un obbligo morale per i leader spiegare chiaramente ai subordinati del Dipartimento della Difesa cosa ci aspettiamo da loro. È stato progettato per proteggere gli interessi nazionali vitali dell’America. E questa strategia di difesa è stata inquadrata, come ha notato il decano, dalla National Security Strategy del presidente Trump. E solo un paio di parole per mostrarvi cosa intendo dire quando parlo del fatto che è stato “inquadrato”; e cioè che è all’interno del quadro di tale strategia di sicurezza nazionale. Nello specifico, dove afferma che dobbiamo “proteggere il popolo americano, la patria e lo stile di vita americano”. E prosegue dicendo “e preservare la pace con la forza”. Quelle sono parole tratte dalla Strategia di Sicurezza Nazionale e portiamo quei temi all’interno del Pentagono, dove diciamo: “Cosa significa per noi?” Naturalmente, la sicurezza nazionale è molto più che una semplice difesa; questa è la nostra parte di responsabilità. Oggi, l’esercito americano rivendica un’era di scopi strategici e siamo attenti alle realtà di un mondo che cambia e consapevoli della necessità di proteggere i nostri valori e i paesi che stanno con noi. L’esercito americano protegge il nostro modo di vivere e voglio sottolineare che protegge anche una sfera di idee. Non si tratta solo di proteggere parte della geografia. Questa è una strategia di difesa che guiderà i nostri sforzi in tutti i campi. Il mondo, per citare George Shultz, è inondato dal cambiamento, definito dalla crescente volatilità globale e incertezza con la competizione tra le Grandi Potenze, tra le nazioni, che sta diventando una realtà ancora una volta. Anche se continueremo a perseguire la campagna contro i terroristi in cui siamo impegnati oggi, ma la competizione tra Grandi Potenze, non il terrorismo, è ora l’obiettivo principale della sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Questa strategia è adatta al nostro tempo, fornendo al popolo americano i militari necessari per proteggere il nostro stile di vita, stare dalla parte dei nostri alleati e essere all’altezza della nostra responsabilità di trasmettere intatte alla prossima generazione quelle libertà di cui tutti noi godiamo qui oggi. Adattandosi alle realtà odierne, questa strategia espande il nostro spazio competitivo, dà priorità alla preparazione alla guerra, fornisce una direzione chiara per cambiamenti significativi alla velocità della rilevanza e costruisce una forza più letale per competere strategicamente. Questa strategia fa una valutazione chiara del nostro ambiente di sicurezza, con un occhio attento al posto dell’America nel mondo. Ciò ha richiesto alcune scelte difficili, signore e signori, e le abbiamo fatte sulla base di un precetto fondamentale, vale a dire che l’America può permettersi la sopravvivenza. Affrontiamo crescenti minacce da parte di potenze revisioniste così diverse tra loro come Cina e Russia, nazioni che cercano di creare un mondo coerente con i loro modelli autoritari, perseguendo l’autorità di veto sulle decisioni economiche, diplomatiche e di sicurezza di altre nazioni. Regimi canaglia come la Corea del Nord e l’Iran persistono nell’intraprendere azioni fuorilegge che minacciano la stabilità regionale e persino globale. Opprimendo la propria gente e distruggendo la dignità e i diritti umani della propria gente, spingono le loro visioni distorte verso l’esterno. E nonostante la sconfitta del califfato fisico dell’ISIS, organizzazioni estremiste violente come l’ISIS o l’Hezbollah libanese o al Qaida continuano a seminare odio, distruggere la pace e uccidere innocenti in tutto il mondo. In questo momento di cambiamento, il nostro esercito è ancora forte. Eppure il nostro vantaggio competitivo si è eroso in ogni dominio di guerra, aria, terra, mare, spazio e cyberspazio, e continua a erodersi. Il rapido cambiamento tecnologico, l’impatto negativo sulla prontezza militare è il risultato del più lungo periodo di combattimento a lungo termine nella storia della nostra nazione e dei limiti di spesa per la difesa, perché abbiamo operato anche per nove negli ultimi 10 anni, con continue risoluzioni che hanno creato un sovraccarico e militari con risorse insufficienti. Il ruolo dei nostri militari è mantenere la pace; per mantenere la pace per un altro anno, un altro mese, un’altra settimana, un altro giorno. Per garantire che i nostri diplomatici che stanno lavorando per risolvere i problemi lo facciano da una posizione di forza e dando fiducia agli alleati in noi. Questa fiducia è sostenuta dalla certezza che i nostri militari vinceranno se la diplomazia dovesse fallire. Quando ha svelato la sua strategia di sicurezza nazionale, il presidente Trump ha dichiarato: “La debolezza è la via più sicura per il conflitto e la forza indiscussa è il mezzo di difesa più sicuro”. Signore e signori, non c’è spazio per l’autocompiacimento, e la storia dimostra chiaramente che l’America non ha un diritto preordinato alla vittoria sul campo di battaglia. Semplicemente, dobbiamo essere i migliori se vogliamo che i valori nati dall’Illuminismo sopravvivano. Spetta a noi schierare una forza più letale se la nostra nazione vuole mantenere la capacità di difendere noi stessi e ciò che rappresentiamo. Le tre principali linee di azione della strategia di difesa ripristineranno il nostro relativo vantaggio militare. Costruiremo una forza più letale. Rafforzeremo le nostre alleanze tradizionali e costruiremo nuove partnership con altre nazioni. E allo stesso tempo riformeremo le pratiche commerciali del nostro dipartimento per prestazioni e convenienza .

Alla luce di quanto viene descritto sopra è difficile non dare le dovute ragioni alla controparte cinese quando stila un documento come quello che si sta per leggere e che denuncia apertamente le violazioni in campo internazionale da parte degli Stati Uniti. In questa prima parte dunque è evidente cosa mette in rilievo il documento cinese quando parla della politica egemonica americana e della sua declinazione militarista[4]. Infatti, come nota un recente articolo del China Daily riportato dall’agenzia ChinaMil, nei siti dei quotidiani cinesi viene ormai ripresa la disastrosa pratica militare e tecnologica americana, suggerendo che “Alcuni “documenti interni di Twitter” recentemente divulgati da un giornalista investigativo degli Stati Uniti hanno rivelato come diverse agenzie governative statunitensi stiano manipolando i social media per portare avanti la loro agenda. Il governo degli Stati Uniti ha da tempo creato una rete di rumors e voci contrastanti per manipolare l’opinione pubblica, demonizzare altri paesi e continuare l’egemonia degli Stati Uniti. Durante la Guerra Fredda, gli Stati Uniti lanciarono l'”Operation Mockingbird”, comprando almeno 400 giornalisti e 25 grandi organizzazioni in tutto il mondo per diffondere false informazioni. Gli Stati Uniti continuano a inventare menzogne, dall’uso di detersivo per bucato come prova schiacciante per bombardare l’Iraq detentore di “armi di distruzione di massa”, all’uso di video messe in scena fatti dai “Caschi bianchi” per bombardare in modo simile la Siria, e per far emergere la “presunzione di colpa” sull’origine del COVID 19. L’ex segretario di Stato americano Mike Pompeo ha persino ammesso: “Mentiamo, imbrogliamo, rubiamo. Questa è la gloria della continua esplorazione e progresso dell’America”. Gli Stati Uniti hanno spesso lanciato “guerre di opinione pubblica”, utilizzando false informazioni come strumento contro altri Paesi. Dal tramare “rivoluzioni colorate” in tutto il mondo, all’usare la “sicurezza nazionale” come pretesto per sopprimere le compagnie straniere, fino alla fabbricazione di bugie come “genocidio” e “campi di lavoro forzato” nello Xinjiang, gli Stati Uniti hanno sempre spacciato i loro tentativi di sovversione come “promozione della democrazia”, e mirate contro il calpestio della vita come “protezione dei diritti umani”. L’uso senza princìpi della disinformazione nel cyberspazio è diventata l’arma preferita degli Stati Uniti in questa Nuova Guerra Fredda. Secondo un rapporto del Centre for Responsible Technology dell’Australia Institute, 5.752 account Twitter, molti dei quali controllati a distanza da “bot” siti negli Stati Uniti, sono diventati virali per un breve periodo nel 2020 per poter ritwittare voci sull’origine del COVID-19. Gli Stati Uniti hanno creato reti di disinformazione che lanciano attacchi mirati contro Paesi che non amano in più lingue. Tale fabbricazione di bugie ha danneggiato la fiducia delle persone negli Stati Uniti. Un recente sondaggio della Gallup/Knight Foundation ha rilevato che il 50% dei cittadini statunitensi ritiene che la maggior parte delle testate giornalistiche nazionali fuorvii intenzionalmente il pubblico. Un sondaggio condotto dallo US News and World Report e dalla Wharton School dell’Università della Pennsylvania e da altre istituzioni ha rilevato che la fiducia globale negli Stati Uniti è diminuita del 50% dal 2016. Inventare e diffondere menzogne non può aiutare gli Stati Uniti a guadagnare una vera influenza. Gli Stati Uniti dovrebbero smetterla di ingannare il mondo e calunniare altri Paesi con menzogne.” Questo quanto riportato dall’agenzia e che fa il paio con il documento di diretta denuncia del ministero degli Esteri da noi tradotto. Il che dimostra quanto sia ormai smascherata e resa inefficace come strategia quella per la paventata sicurezza nazionale statunitense. Il documento, poi, oltre a delineare un quadro di tipo istituzionale interno agli Stati Uniti, descrive ambiti ad esso collegati sul piano delle manovre internazionali con cui si consegue l’obiettivo: in particolare, due sono i punti presi di mira, ovvero quello economico e tecnologico, andando a denunciare sia l’effetto destabilizzante del dollaro che le potenziali negatività subite dalle altre economie nazionali dopo lo scoppio del recente conflitto in Ucraina con la Russia. Se la Russia ha incontrato le prime difficoltà superando brillantemente le sanzioni imposte, queste si sono tuttavia altresì riversate con un effetto domino negli Stati dell’Asia centrale e soprattutto nell’Eurozona e nei Paesi in via di sviluppo. Come indica il documento, è a questi soggetti che l’indebolimento economico ha davvero reso nell’ultimo triennio post-pandemico difficile recuperare il potere valutario delle proprie monete, anche a causa dei forti rialzi delle materie prime e del comparto energetico. Infatti, oltre al primo punto sulla politica americana che ne mette in questione il concetto di unipolarità attraverso la contestazione aperta della dottrina succitata, il testo del documento fa riferimento alla pratica vessatoria dell’uso della dollarizzazione in campo economico. A questo proposito, un recente articolo del South China Morning Post dell’editorialista Alex Lo[5] ha messo in evidenza come il nuovo ambasciatore statunitense in Cina, Nicholas Burns, in uno dei suoi tweet ha decretato come “rozza propaganda indegna di una Grande Potenza” il documento stilato dal Ministero degli Esteri cinese, evidenziando che in realtà la controparte cinese ha solamente esposto l’ovvio, il già noto e abusato sistema di intervento tipico degli americani, i quali sono stati per così dire usando una formula gergale “presi con le dita nella marmellata”. Si fa anche riferimento allo stesso studio citato nel documento cinese proveniente dalla Tufts University, in cui il Center for Strategic Studies diretto dalla professoressa di scienze politiche e relazioni internazionali Monica Duffy Toft raccoglie nel suo database un progetto di ricerca sulla sicurezza e gli interventi militari nella storia americana chiamato[6] “The Military Intervention Project. The Center for Strategic Studies Revamps Data on U.S. Military Intervention”. In questo caso, facendo riferimento e prendendo spunto a piene mani dalla nutrita raccolta che va dal 1776 al 2019 della Fletcher School of Law and Diplomacy at Tufts University,  diviene sempre più difficile poter sfuggire alle denunce dei vari abusi effettuati da parte americana, dato che il sostegno dei dati raccolti inchiodano alle proprie responsabilità il governo degli Stati Uniti, per il quale effettivamente vengono ad essere imputati casi di sponsorizzazione di colpi di Stato, eversione, cambi di regime e un uso sproporzionato della forza, risultando in veri e propri crimini di guerra che hanno lasciato sul suolo milioni di morti e dispersi tra militari e soprattutto vittime civili innocenti.  L’ambasciatore Burns non è nuovo a questo tipo di infelici uscite, come ricorda già il Global Times in un articolo del 27 febbraio scorso[7] quanto a misure economiche controverse da parte cinese e altri abusi che vengono affibbiati alla controparte. In realtà, sebbene queste imbarazzanti e aperte dichiarazioni siano avvenute durante un Convegno dello scorso 15 febbraio nell’ambito dello scambio con l’American Chamber of Commerce al quale Burns era stato invitato, sono poi subito state dismesse frettolosamente e grossolanamente con un tweet dalla stessa Camera di Commercio Americana in Cina. Tuttavia, l’articolo è corredato di ampie dimostrazioni raccolte da dichiarazioni in forma privata e anonima fatte dai presenti all’evento, in cui si dice che “L’ambasciatore degli Stati Uniti in Cina Nicholas Burns ha criticato apertamente la Cina quando si è rivolto alla 22esima Cena Annuale di Gala della Camera di Commercio Americana (AmCham China), causando insoddisfazione tra il personale di AmCham China e i rappresentanti dell’industria. Alcuni dirigenti dell’US-China Business Council hanno affermato che riconsidereranno se invitare Burns alla celebrazione del 50° anniversario del Consiglio quest’anno, ha appreso il Global Times da una fonte. Alcuni dirigenti dell’azienda lo chiamavano “American Wolf Warrior”. Il 15 febbraio, circa 350 rappresentanti dei settori politici e imprenditoriali cinesi e statunitensi hanno partecipato alla Cena di Gala Annuale di AmCham China, durante la quale Burns ha tenuto un discorso. Ha criticato il commercio cinese, le imprese statali, i sussidi all’industria, la sicurezza informatica e la regolamentazione, le misure antiepidemiche e le politiche sui diritti umani, e ha persino menzionato il recente incidente del pallone spia. Le sue critiche alla Cina hanno causato insoddisfazione tra i partecipanti. Giovedì una fonte a conoscenza della questione ha dichiarato al Global Times che un membro dello staff di AmCham China ha affermato che mentre Burns pronunciava il discorso, “l’atmosfera era estremamente imbarazzante”. Burns ha sollevato molte volte contenuti sensibili durante la cena, nonostante sia l’evento di più alto livello organizzato dalla Camera ogni anno. “Quasi tutti gli argomenti che la Camera voleva evitare sono stati menzionati da lui”, ha detto la fonte.” Questo ancora una volta a dimostrazione del fatto che il documento redatto dal Ministero degli Esteri cinese non sortisce alcuna nuova sorpresa, in realtà, ma quello che semmai solleva sono pesanti dubbi e accuse sulla attuale condotta del governo statunitense e sulla continua brutalità con cui interviene, interferendo nelle politiche dei Paesi che vuole minare, nella sfera politica, economica, militare, tecnologica e persino culturale. A ragion veduta l’editorialista Alex Lo viene citato anche nel documento del Ministero qui tradotto e riportato, poiché –come si apprende- già aveva individuato che la Tufts University aveva rilasciato documentazione investigativa sulle guerre condotte dagli Stati Uniti in un lasso temporale storico che va appunto dall’avvenuta Guerra per l’Indipendenza fino ai giorni nostri, e così il documento riporta: “Nelle parole dell’ex presidente degli Stati Uniti Carter, gli Stati Uniti sono senza dubbio il paese più bellicoso del mondo. Secondo il rapporto della Tufts University “Introducing the Military Intervention Project: A new Dataset on U.S. Military Interventions, 1776-2019”, gli Stati Uniti hanno condotto quasi 400 interventi militari in tutto il mondo a partire dal 1776 al 2019, di cui il 34% ha preso di mira la regione nell’America Latina e i Caraibi, il 23% l’Asia orientale e il Pacifico, il 14% il Medio Oriente e il Nord Africa, e il 13% l’Europa. Attualmente, l’intervento militare statunitense in Medio Oriente, Nord Africa e Africa Sub-sahariana è in aumento. L’editorialista del “South China Morning Post” Alex Lo ha sottolineato che dalla fondazione degli Stati Uniti ad oggi, gli Stati Uniti raramente distinguono tra diplomazia e guerra. Nel secolo scorso, i governi democraticamente eletti in molti Paesi in via di sviluppo sono stati rovesciati e sono stati immediatamente sostituiti da regimi fantoccio filoamericani. Oggi, dall’Ucraina all’Iraq, dall’Afghanistan alla Libia, dalla Siria al Pakistan e allo Yemen, gli Stati Uniti sono risoluti come sempre nel ripetere la loro usuale tattica, conducendo guerre per procura, a bassa intensità e con droni.” Sempre nel suo recente articolo datato 6 marzo 2023 per il South China Morning Post il giornalista Alex Lo raccomanda una comparazione che ulteriormente ce ne fosse bisogno va a conferma dell’imperialismo pervasivo americano e delle sue strategie messe in atto anche in campo economico: a conferma del documento che è stato riprodotto dal Ministero, il giornalista cita come fonte autorevole e non confondibile con forme di propaganda la stessa Federal Reserve. Si chiede se infatti la questione più ironica non stia proprio nella sezione III del documento, quella definita egemonia economica, in cui si discute del saccheggio e sfruttamento che avviene col ricorso della moneta americana: infatti in essa il Ministero degli Esteri afferma che “l’egemonia del dollaro USA è la principale fonte di instabilità e incertezza nell’economia mondiale”. Ebbene, proprio attraverso questa seconda importante leva dopo quella politica e militare, il dollaro, la Federal Reserve Bank di New York mette in evidenza nel suo documento appena rilasciato online lo scorso 1°marzo 2023, dal titolo “The Dollar’s Imperial Circle”[8], che – in linguaggio accademico- “[Le aziende] nel blocco dei mercati emergenti fissano i loro prezzi all’esportazione in dollari, mentre le aziende nei paesi ad economia avanzata fissano i prezzi all’esportazione nella propria valuta.” E ancora: “(u)n dollaro più forte crea quindi uno svantaggio competitivo per le economie dei mercati emergenti. Partiamo anche dal presupposto che vi siano vincoli finanziari tali che le imprese debbano contrarre prestiti in dollari per finanziare gli acquisti di input intermedi importati… Queste due forze rendono l’apprezzamento del dollaro particolarmente dannoso per il settore manifatturiero nelle economie dei mercati emergenti”. Quindi come spiega lo stesso giornalista, i ricercatori dimostrano come il prezzo in dollari delle esportazioni in tutto il mondo possa travolgere le economie emergenti, rendendo i loro beni meno competitivi e il finanziamento basato sul dollaro più costoso. Questi possono essere dannosi per i paesi dipendenti dal commercio, ma non per gli Stati Uniti. I ricercatori della Fed scrivono: “Il ruolo egemonico del dollaro nel commercio internazionale e nella finanza si è ampliato, mentre l’esposizione dell’economia statunitense all’economia globale è stata relativamente stagnante. Questa dicotomia crea le condizioni affinché il dollaro agisca come una forza pro ciclica che si autoavvera”. Come spiega lo stesso Lo, il termine pro ciclico, che qui ha una rilevanza enorme, dimostra che il “brutto” termine è portatore di reali disastri nell’economia reale della gente: è un termine economico tecnico che mette in guardia sugli effetti degli aumenti dei tassi di interesse statunitensi e dei costi del prezzo in dollari sulla fatturazione commerciale e sul commercio e il finanziamento basati sul dollaro, in quanto ne amplificano i cicli economici rendendo molto instabile e volatile l’economia mondiale. Questa dichiarazione aperta della Federal Reserve stessa dovrebbe far rizzare i capelli a tutto il mondo e in particolare dovrebbe ridimensionare le pretese accuse rivolte non solo dall’ambasciatore Burns, ma da tutto l’establishment dell’Amministrazione Biden verso il governo –a quanto pare molto ben informato- cinese. Infatti, e concludiamo così il pezzo editoriale lasciandovi alla lettura del documento tradotto in italiano, è interessante chiedersi come fa anche il giornalista se questa pretesa accusa di propaganda rivolta al governo cinese che va tanto di moda da parte degli americani non dimostri che anche la loro massima istituzione, la Fed, non sia piena zeppa di propagandisti in salsa cinese. Ma il governo cinese, come dichiara nello stesso documento, sa bene che “(d)urante la pandemia di Covid-19, gli Stati Uniti hanno abusato della loro egemonia finanziaria globale e hanno iniettato trilioni di dollari nel mercato globale, lasciando che altri Paesi, in particolare le economie emergenti, ne pagassero il prezzo.” E che “(n)el 2022, la Federal Reserve metterà fine alla sua politica  monetaria ultraespansiva, passando ad una politica aggressiva di rialzo dei tassi di interesse, causando turbolenze nel mercato finanziario internazionale, procurando all’Euro e ad altre valute una diminuzione brusca del valore, che toccherà un nuovo minimo negli ultimi 20 anni. Di conseguenza, molti fra i Paesi in via di Sviluppo subiranno una forte inflazione, un deprezzamento della valuta e un deflusso di capitali. Questo è esattamente quello che il Segretario al Tesoro dell’amministrazione Nixon, John Connally, una volta molto trionfalmente ma piuttosto incisivamente fece notare: “Il dollaro è la nostra moneta, ma è il vostro problema”.  Vi auguriamo una buona lettura.

 

https://www.mfa.gov.cn/web/wjbxw_new/202302/t20230220_11027619.shtml?fbclid=IwAR3x__ICYL15oCyVLwXkQKFfHaaX_2RZxUDB_YxICxgmUrGzETUSp7wx6xk

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La tirannica egemonia americana e i suoi pericoli

20-02-2023 16:13

                  La tirannica egemonia americana e i suoi pericoli

Febbraio 2023

Indice

Introduzione

1) La spericolata egemonia politica —— Diffondere il proprio peso

2) La presuntuosa egemonia militare —— Uso sfrenato della forza

3) La predatoria egemonia economica —— Saccheggio e sfruttamento

4) L’opprimente egemonia tecnologica —— Monopolio e Oppressione

5) La demagogica egemonia culturale —— Spargere false narrative

Conclusioni

 

Introduzione

All’indomani del lungo corso delle due Guerre mondiali e della Guerra Fredda, gli Stati Uniti guadagnando il primato della Potenza numero uno su scala globale, sono divenuti ancora più spregiudicati, interferendo brutalmente negli affari interni di altri Paesi, cercando, mantenendo e abusando dell’egemonia, divenendo artefici della penetrazione più sovversiva, lanciando ad ogni angolo del mondo delle guerre, e danneggiando in modo pericoloso la comunità internazionale. Gli Stati Uniti sono usi a servirsi della facciata della democrazia, della libertà, dei diritti umani, lanciando le Rivoluzioni colorate, istigando dispute territoriali regionali, arrivando persino direttamente all’intervento armato. Gli Stati Uniti aderiscono pienamente alla mentalità da Guerra Fredda, si impegnano nelle politiche di alleanze a blocchi per provocare l’opposizione e il confronto.

Gli Stati Uniti hanno allargato ed esportato il principio della sicurezza nazionale, hanno abusato del sistema di controllo sulle esportazioni, rafforzando il sistema delle sanzioni unilaterali. Si servono di un approccio selettivo quanto alle leggi e le regole internazionali quando sono in accordo con esse, e quando ne divergono, le scartano o le aboliscono sotto la bandiera dell’ “ordine internazionale basato su regole”, cercando di preservare così l’interesse privato del proprio diritto, le proprie “leggi consuetudinarie”.

Il presente rapporto si concentra sulla trattazione dei seguenti fatti, per mettere a nudo una varietà di azioni malvage e subdole di cui gli Stati Uniti abusano sotto il profilo dell’egemonia politica, militare, economica, finanziaria, tecnologica e culturale, in modo da chiarire ulteriormente alla comunità internazionale il grave danno che gli Stati Uniti da parte loro hanno arrecato alla pace e alla stabilità, nonché alla prosperità dei popoli in tutti i Paesi del mondo.

 

1) La spericolata egemonia politica —— Spargere il proprio peso

Gli Stati Uniti hanno per lungo tempo sventagliato la bandiera della cosiddetta democrazia e dei diritti umani, tentando di plasmare sul proprio metro di valori e sistema politico quelli degli altri Paesi e l’ordine mondiale.

◆Esistono svariati esempi di quello che possiamo definire l’interferenza politica degli Stati Uniti in altri Paesi, come l’uso in nome della “salvaguardia della democrazia” della “Nuova Dottrina Monroe” nell’America latina, la promozione delle “Rivoluzioni colorate” in Europa e in Asia, l’istigazione delle “Primavere arabe” in Asia occidentale e nel Nord Africa, esportando in diversi contesti caos e disastri.

Nel 1823 gli Stati Uniti emanarono la “Dichiarazione Monroe”, in cui si dichiarava che “l’America è l’America degli americani”, in realtà considerando che “l’America è l’America degli statunitensi”: da quel momento in avanti, le politiche successive dei governi in America latina e nei Caraibi sono tutte state votate all’ingerenza politica, all’intervento militare e al cambio di regime. Sia che si tratti dei 61 anni di blocco e ostilità verso Cuba, come del rovesciamento del governo di Allende in Cile, la massima prodotta dalla politica statunitense nella regione è stata “quelli che si sottomettono prospereranno, quelli che resistono periranno”. A partire dal 2003 in poi, con la “Rivoluzione delle Rose” in Georgia, la “Rivoluzione Arancione” in Ucraina e la “Rivoluzione dei Tulipani” in Kirghizistan, si sono verificati una serie di eventi senza soluzione di continuità: il Dipartimento di Stato americano ha riconosciuto apertamente di aver svolto “un ruolo centrale” per questi “cambi di regime”. Gli Stati Uniti si sono anche intromessi negli affari interni della politica delle Filippine: nel 1986 e nel 2001 nel nome delle “Rivoluzioni del potere al popolo” hanno estromesso dal potere rispettivamente gli ex presidenti Ferdinand Marcos e Joseph Estrada. Nel gennaio del 2023 l’ex Segretario di Stato americano Mike Pompeo ha pubblicato il suo libro “Never Give an Inch. Fighting for the America I Love”, nel quale rivela che gli Stati Uniti avevano pianificato di intervenire in Venezuela con l’intenzione di costringere il governo Maduro a raggiungere un accordo con l’opposizione per privare il Venezuela della sua capacità di ottenere valuta estera attraverso l’esportazione di petrolio e oro e, imponendo un’elevata pressione economica, e così influenzare le elezioni presidenziali del 2018.

◆Gli Stati Uniti adottano fondamentalmente un doppio standard nelle regolamentazioni internazionali, e mettono al primo posto l’interesse della loro propria parte, arrivando ad allontanarsi dalle regole dei Trattati e a ritirarsi dalle organizzazioni internazionali, fino ad anteporre la legge del proprio Paese su quella internazionale. Nell’Aprile del 2017, l’amministrazione Trump ha annunciato che avrebbe tagliato tutti i fondi per la spesa verso l’organizzazione del Fondo per la Popolazione delle Nazioni Unite (UNFPA), con il pretesto che la presente organizzazione “sostenesse o partecipasse a politiche di aborto forzato o di  sterilizzazione involontaria”. Gli Stati Uniti si sono ritirati, inoltre, due volte dall’UNESCO, nel 1984 e nel 2017. Nel 2017, hanno annunciato il loro ritiro dal “Paris Agreement” sui cambiamenti climatici. Nel 2018, hanno annunciato il loro ritiro dal Consiglio ONU per i Diritti Umani adducendo la motivazione che l’organizzazione fosse falsata dal difetto di “pregiudizio” nei confronti di Israele e che ci fossero effettivi problemi a “mantenere protetti i diritti umani fondamentali”. Nel 2019, gli Stati Uniti hanno annunciato il loro ritiro dal Trattato sulle Forze nucleari a Medio raggio (INF), con l’occasione di cercare una incontrollata ripresa dello sviluppo dell’arsenale di armamenti avanzati. Nel 2020, ha annunciato la sua uscita dal Trattato sui Cieli Aperti.

Gli Stati Uniti, inoltre, sono divenuti una grave “pietra d’inciampo” nel processo del controllo sulle armi biologiche, per la loro opposizione a tenere negoziazioni sul protocollo per le ispezioni sulle stesse da parte della Convenzione sulle Armi Biologiche (BWC), impedendo da parte della comunità internazionale verifiche sulle attività dei Paesi riguardo gli armamenti biologici. Essendo l’unico Paese in dotazione di un arsenale di armi chimiche, gli Stati Uniti hanno ripetutamente rinviato la distruzione di queste armi e rimangono restii nell’adempiere ai loro obblighi. Ciò è divenuto il maggior ostacolo alla realizzazione di un “mondo libero dalle armi chimiche”.

◆ Gli Stati uniti si servono del sistema delle alleanze per dare forma a piccoli blocchi: nella regione Indo-Pacifico sta sviluppando a forza una “Indo-Pacific Strategy”, assemblando dei piccoli circoli esclusivi come i “Five Eyes”, formazioni come il “QUAD”e l’AUKUS, cercando di coinvolgere i Paesi della regione e fargli assumere una posizione. Queste pratiche sono essenzialmente volte a creare divisione nella regione, esacerbare il confronto e minare la pace.

◆ Gli Stati Uniti emettono giudizi arbitrari sulla democrazia negli altri Paesi, e costruiscono una falsa narrativa del tipo “democrazia contro autoritarismo” per istigare allo straniamento, alla divisione, alla rivalità e al confronto. Nel Dicembre 2021, gli Stati Uniti hanno ospitato il primo “Summit for Democracy”, che ha attirato le critiche e l’opposizione da svariati Paesi per aver reso ridicolo lo spirito democratico e aver così diviso il mondo. Nel Marzo 2023, gli Stati Uniti, tuttavia, ospiteranno un nuovo “Summit for Democracy”, che resterà sgradito e senza supporto esterno.

2) La presuntuosa egemonia militare —— Uso sfrenato della forza

 

La storia degli Stati Uniti è disseminata di violenza ed espansionismo. Fin dall’acquisizione dell’indipendenza nel 1776, gli Stati Uniti hanno costantemente cercato di espandersi attraverso l’uso della forza: hanno massacrato gli Indigeni, invaso il Canada, mosso guerra contro il Messico, istigato la guerra Ispano-americana, e infine annesso le Hawaii. Subito dopo la Seconda Guerra mondiale, gli Stati Uniti hanno fatto in modo di provocare o hanno lanciato una serie di guerre che includono quelle di Corea, del Vietnam, del Golfo, del Kosovo, quella in Afghanistan, in Iraq, in Libia e in Siria, abusando della propria egemonia militare in favore dell’apertura all’espansionismo.

Negli ultimi anni, il bilancio medio annuo militare si aggira intorno ai 700 miliardi di dollari, arrivando a rappresentare il 40% della spesa mondiale complessiva, ovvero superando quella dei primi 15 Paesi dietro di loro messi insieme. Gli Stati Uniti attualmente dispongono all’incirca di 800 basi militari all’estero, con un contingente di 173,000 truppe di stanza in 159 Paesi.

Come indicato dal libro “America Invades: How We’ve Invaded or been Militarily Involved with almost Every Country on Earth”, gli Stati Uniti hanno combattuto o sono stati coinvolti militarmente in quasi tutti gli oltre 190 Paesi riconosciuti dalle Nazioni Unite, con solo tre eccezioni: questi 3 Paesi sono riusciti a “sopravvivere” grazie al fatto che gli Stati Uniti non li hanno trovati sulle mappe.

◆Nelle parole dell’ex presidente degli Stati Uniti Carter, gli Stati Uniti sono senza dubbio il paese più bellicoso del mondo. Secondo il rapporto della Tufts University “Introducing the Military Intervention Project: A new Dataset on U.S. Military Interventions, 1776-2019”, gli Stati Uniti hanno condotto quasi 400 interventi militari in tutto il mondo a partire dal 1776 al 2019, di cui il 34% ha preso di mira la regione nell’America Latina e i Caraibi, il 23% l’Asia orientale e il Pacifico, il 14% il Medio Oriente e il Nord Africa, e il 13% l’Europa. Attualmente, l’intervento militare statunitense in Medio Oriente, Nord Africa e Africa Sub-sahariana è in aumento.

L’editorialista del “South China Morning Post” Alex Lo ha sottolineato che dalla fondazione degli Stati Uniti ad oggi, gli Stati Uniti raramente distinguono tra diplomazia e guerra.

Nel secolo scorso, i governi democraticamente eletti in molti paesi in via di sviluppo sono stati rovesciati e sono stati immediatamente sostituiti da regimi fantoccio filoamericani. Oggi, dall’Ucraina all’Iraq, dall’Afghanistan alla Libia, dalla Siria al Pakistan e allo Yemen, gli Stati Uniti sono risoluti come sempre nel ripetere la loro usuale tattica, conducendo guerre per procura, a bassa intensità e con droni.

◆L’egemonia militare degli Stati Uniti ha condotto a delle tragedie umanitarie. A partire dal 2001, le guerre e le operazioni militari lanciate dagli Stati Uniti in nome dell’antiterrorismo hanno causato più di 900.000 morti, di cui circa 335.000 civili, milioni di feriti e decine di milioni di sfollati. La guerra in Iraq nel 2003 ha provocato la morte di circa 200.000-250.000 civili, più di 16.000 persone sono state uccise direttamente dall’esercito statunitense, lasciando sul campo oltre 1 milione di persone rimaste senza abitazione.

Gli Stati Uniti hanno creato 37 milioni di rifugiati in tutto il mondo. Dal 2012 in poi, il solo numero dei rifugiati siriani è decuplicato. Dal 2016 al 2019, la Siria ha registrato 33.584 morti civili durante la guerra, di cui 3.833 sono stati uccisi dai bombardamenti della coalizione guidata dagli Stati Uniti, metà dei quali erano donne e bambini. Come ha riferito la stessa rete televisiva pubblica statunitense Public Broadcasting Sevice (PBS) il 9 novembre 2018, il solo attacco aereo statunitense sulla città di Raqqa ha provocato la morte di 1.600 civili siriani.

La ventennale guerra in Afghanistan ha ridotto l’Afghanistan ad una totale devastazione. Un totale di 47.000 civili afgani e da 66.000 a 69.000 soldati e poliziotti afgani che non avevano avuto nulla a che fare con l’Incidente dell’11 Settembre hanno perso la vita nelle operazioni militari statunitensi, e oltre 10 milioni di persone sono state sfollate. La guerra in Afghanistan ha distrutto le basi dello sviluppo economico locale e impoverito il popolo afghano. Dopo la “Disfatta di Kabul” nel 2021, gli Stati Uniti hanno annunciato il congelamento di circa 9,5 miliardi di dollari di attività della banca centrale afgana, che è stato considerato un vero e proprio “saccheggio “.

Nel settembre 2022, il Ministro degli Interni turco Soylu ha dichiarato durante un convegno che gli Stati Uniti hanno lanciato una guerra per procura in Siria, trasformato l’Afghanistan in un campo a cielo aperto per la piantagione di oppio e una fabbrica per la lavorazione dell’eroina, gettato il Pakistan nel tumulto e infine reso perpetua la guerra civile in Libia. Indipendentemente da quale Paese abbia risorse sotterranee, gli Stati Uniti faranno comunque tutto ciò che è in loro potere pur di saccheggiare e poi sottomettere quelle popolazioni lì localizzate.

L’esercito statunitense ha anche fatto largo impiego di metodi spaventosi per condurre le guerre: durante la guerra di Corea, quella in Vietnam, la guerra nel Golfo, la guerra del Kosovo, quella in Afghanistan e infine quella in Iraq sono stati utilizzati un gran numero di armi biologiche e chimiche e bombe a grappolo (cluster bombs), bombe a gas e petrolio, bombe a grafite e bombe all’uranio impoverito, causando danni a un gran numero di strutture civili, innumerevoli vittime civili innocenti e un inquinamento ambientale ecologico duraturo.

 

3) La predatoria egemonia economica —— Saccheggio e sfruttamento

 

Dopo la Seconda Guerra mondiale, gli Stati Uniti sono stati alla guida dell’istituzione del Sistema di Bretton Woods, del Fondo Monetario Internazionale e della Banca mondiale e hanno così fondato il Sistema Monetario Internazionale come nucleo centrale basato sul dollaro USA congiuntamente al Piano Marshall. Gli Stati Uniti hanno anche predisposto l’egemonia istituzionale in campo economico e finanziario internazionale facendo ricorso anche alla manipolazione delle regole del sistema internazionale, come il voto ponderato e come l’approvazione maggioritaria di oltre l’85% sugli accordi internazionali e predisponendo una serie di regolamenti commerciali interni. Con lo status del dollaro USA come principale valuta di riserva internazionale, gli Stati Uniti spillano danaro con il “signoraggio” da tutto il mondo e si servono del suo controllo sulle organizzazioni internazionali per costringere altri paesi a servire la strategia politica ed economica degli Stati Uniti.

◆Gli Stati Uniti utilizzano il “signoraggio” per accaparrarsi la ricchezza mondiale. In virtù del costo di soli circa 17 centesimi per una banconota da 100 dollari, gli Stati Uniti si riservano di fare in modo che gli altri Paesi garantiscano la fornitura agli Stati Uniti di beni e materiali per un valore corrispettivo di 100 dollari effettivi per ottenerne una. Come sosteneva l’ex Presidente francese Charles de Gaulle più di mezzo secolo fa, “gli Stati Uniti godono dei superprivilegi e di un deficit senza lacrime determinati dal dollaro, usando una carta straccia priva di valore per saccheggiare le risorse e le fabbriche di altre nazioni”.

◆L’egemonia del dollaro è la principale fonte di instabilità e incertezza economica su scala mondiale. Sullo sfondo della nuova pandemia da Coronavirus, gli Stati Uniti hanno abusato della loro egemonia finanziaria globale e hanno iniettato trilioni di dollari sul mercato globale, mentre altri Paesi, in particolare le economie emergenti, ne stanno pagando il prezzo. Nel 2022, la Federal Reserve metterà fine alla sua politica  monetaria ultraespansiva, passando ad una politica aggressiva di rialzo dei tassi di interesse, causando turbolenze nel mercato finanziario internazionale, procurando all’Euro e ad altre valute una diminuzione brusca del valore, che toccherà un nuovo minimo negli ultimi 20 anni. Di conseguenza, molti fra i Paesi in via di Sviluppo subiranno una forte inflazione, un deprezzamento della valuta e un deflusso di capitali. Questo è esattamente quello che il Segretario al Tesoro dell’amministrazione Nixon, John Connally, una volta molto trionfalmente ma piuttosto incisivamente fece notare: “Il dollaro è la nostra moneta, ma è il vostro problema”.

◆Con il loro controllo, gli Stati Uniti manipolano le organizzazioni economiche e finanziarie internazionali e allo stesso tempo impongono limiti ai loro aiuti ad altri paesi. I paesi beneficiari sono tenuti a promuovere la liberalizzazione finanziaria e l’apertura dei mercati finanziari, in modo che le politiche economiche dei paesi riceventi siano in linea con la strategia statunitense e riducano gli ostacoli alla penetrazione e alla speculazione del capitale statunitense. Secondo le statistiche del Review of International Political Economy, dal 1985 al 2014, il Fondo monetario internazionale ha realizzato 1.550 progetti di sostegno al debito per 131 paesi membri, con 55.465 clausole politiche aggiuntive allegate.

◆Gli Stati Uniti si servono della coercizione economica per sopprimere gli avversari. Negli anni ’80, per eliminare la minaccia economica posta dal Giappone, controllare ed usare il Giappone per servire gli obiettivi strategici statunitensi contro l’Unione Sovietica e dominare il mondo, gli Stati Uniti hanno ancora una volta eseguito una diplomazia finanziaria egemonica sfruttandola contro il Giappone, firmando con esso il “Plaza Accord” e forzando lo yen ad apprezzarsi, in modo da aprire il mercato finanziario e riformarne il sistema. Il “Plaza Accord” ha inferto un duro colpo alla vitalità dell’economia giapponese, e da allora il Giappone è entrato in quelli che poi sono stati definiti i “Trent’anni perduti”.

◆L’egemonia economico-finanziaria statunitense è stata ridotta ad un’arma geopolitica. Gli Stati Uniti si impegnano in sanzioni unilaterali e in una “giurisdizione a braccio lungo”, formulano e si basano su leggi nazionali quali l’International Emergency Economic Powers Act, il Global Magnitsky Human Rights Accountability Act e il Countering America’s Adversaries Through Sanctions Act  e introducono una serie di Executive Order, imponendo sanzioni contro specifici Paesi, organizzazioni o persino individui. Secondo le statistiche, dal 2000 al 2021 le sanzioni verso l’estero statunitensi sono aumentate del 933%. La sola Amministrazione Trump ha imposto oltre 3,900 sanzioni, il che equivale a sventolare il “bastone sanzionatorio” mediamente 3 volte al giorno. Fino ad ora, gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni economiche a quasi 40 Paesi nel mondo, tra cui Cuba, Cina , Russia, Corea del Nord (DPRK), Iran e Venezuela, colpendo quasi la metà della popolazione mondiale. Gli “Stati Uniti d’America” sono così diventati gli “Stati Uniti delle Sanzioni”. La “giurisdizione a braccio lungo”  è stata completamente ridotta a strumento per sopprimere i concorrenti commerciali coi poteri dello Stato e per interferire con le normali transazioni commerciali internazionali a favore degli Stati Uniti, discostandosi completamente da quel concetto di economia di libero mercato che gli Stati Uniti vanno da tempo pubblicizzando.

 

4) L’opprimente egemonia tecnologica —— Monopolio e Oppressione

Gli Stati Uniti si sono impegnati nell’oppressione monopolistica in campo scientifico, tecnologico ed economico e votati al blocco tecnologico nel campo dell’High-tech  per frenare lo sviluppo tecnologico ed economico degli altri Paesi.

◆Gli Stati Uniti esercitano il monopolio della proprietà intellettuale nel nome della protezione dei diritti di proprietà intellettuale. Utilizzando la posizione di debolezza, in particolare dei paesi in via di sviluppo, in materia di proprietà intellettuale e approfittando di una vacante posizione in materia di soggetti istituzionali correlati, attuano il monopolio e si impossessano di alti profitti da monopolio. Nel 1994, gli Stati Uniti hanno favorito la promozione dell’“Agreement on Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights (TRIPS)” (Accordo commerciale in materia di diritti di proprietà intellettuale) , avviando un percorso e uno standard americanizzati di imposizione per la protezione dei diritti di proprietà intellettuale, nel tentativo di consolidare il loro vantaggio monopolistico tecnologico. Negli anni’80, gli Stati Uniti inclusero l’adozione dell’avvio all’indagine “301” per colpire lo sviluppo dell’industria giapponese di semiconduttori, creando una leva di scambio come potere contrattuale attraverso accordi multilaterali per i negoziati bilaterali, minacciando di elencare il Giappone come Paese commerciale sleale, imponendo misure come il prelievo di tariffe ritorsive ed altri mezzi, per costringere il Giappone a firmare l’”Accordo sui semiconduttori USA-Giappone” (U.S.-Japan Semiconductor Agreement) e per indurre le aziende giapponesi di semiconduttori a ritirarsi quasi completamente dalla concorrenza sul mercato globale, facendo scendere la loro quota dal 50% al 10%. Allo stesso tempo, col sostegno del governo degli Stati Uniti, un gran numero di società di semiconduttori statunitensi ha colto l’occasione per conquistare la propria quota di mercato.

◆Gli Stati Uniti assumono le questioni scientifico-tecnologiche in modo politicizzato, si armano delle stesse e le riusano in modo militarizzato e ideologico. Gli Stati Uniti sono usi alla generalizzazione del concetto di sicurezza nazionale, hanno utilizzato il peso del potere statale per sopprimere e sanzionare la società cinese Huawei, limitando l’ingresso dei prodotti Huawei sul mercato statunitense, interrompendo la fornitura di chip e sistemi operativi, costringendo in tutto il mondo altri Paesi a vietare che Huawei partecipi alla costruzione della rete 5G locale e in più sono arrivati ad istigare il Canada perché detenesse senza ragionevole motivo il CFO (Direttore finanziario) di Huawei Meng Wanzhou per quasi 3 anni. Gli Stati Uniti hanno anche inventato vari pretesti per dare la caccia e sopprimere le società cinesi dell’high-tech dotate di capacità competitive internazionali,  includendo oltre 1000 società cinesi in vari elenchi sanzionatori. In compenso, gli Stati Uniti possono anche vantare un controllo sulle tecnologie di alta fascia come le biotecnologie e l’intelligenza artificiale, rafforzando il sistema di controllo sulle esportazioni, forzando con il rigore il controllo sugli investimenti, in special modo reprimendo l’utilizzo di programmi e app di social media cinesi come Tik Tok e WeChat, ecc. ed esercitare pressioni su Paesi Bassi e Giappone per limitare le esportazioni verso la Cina di chip e tecnologie con le relative apparecchiature ad essi collegate. Gli Stati Uniti adottano anche un doppio standard nella loro politica sul personale scientifico e tecnologico di talento proveniente dalla Cina. Dal giugno 2018, alcuni studenti cinesi specializzandi in settori dell’high-tech si sono visti ridurre il periodo di validità del visto, divieti e molestie ingiustificati ripetutamente si sono verificati per studiosi cinesi che vanno negli Stati Uniti a condurre ricerca con scambi accademici e per studenti cinesi che studiano come studenti all’estero negli Stati Uniti, dando avvio a un’indagine su larga scala contro studiosi cinesi negli Stati Uniti, per escludere e reprimere i gruppi di ricerca scientifica cinesi.

◆Gli Stati Uniti nel nome della democrazia e della sua protezione mantengono solida l’egemonia tecnologica. Creano “piccoli club”  tecnologici come il “Chips Alliance” o il “Clean Network” ecc., affibiano una sorta di etichetta di “diritti umani e democrazia” all’high-tech, politicizzando ed ideologizzando le questioni tecniche, per trovare pretesti da fabbricare per poi imporre blocchi tecnologici ad altri Paesi. Nel maggio 2019, gli Stati Uniti hanno corteggiato 32 Paesi in modo che tenessero nella Repubblica Ceca la “Conferenza di Praga sulla Sicurezza 5G” (Prague 5G Security Conference) per emettere la “Proposta di Praga” nel tentativo di escludere i prodotti 5G con tecnologia cinese. Nell’aprile 2020, l’allora Segretario di Stato americano Mike Pompeo ha annunciato il “5G Clean Path”, progettando di costruire un’alleanza tecnologica nel campo del 5G con la “democrazia” come legame ideologico tra i partners partecipanti e la “cybersicurezza” come obiettivo. L’essenza delle suddette misure statunitensi è mantenere l’egemonia tecnologica attraverso alleanze tecnologiche.

◆Gli Stati Uniti abusano dell’egemonia tecnologica impegnandosi in attacchi informatici e con la sorveglianza per le intercettazioni. Gli Stati Uniti sono la più grande famiglia al mondo per il furto di segreti informatici, tanto da essere annoverati già da tempo come l’ “Impero degli Hackers” tra i più famigerati. Gli attacchi informatici e i sistemi di individuazione e sorveglianza negli Stati Uniti non conoscono battuta d’arresto e sono pervasivi, ed esistono varietà di modi infiniti per rubare segreti, incluso tra questi il metodo dell’uso delle stazioni di base analogiche per i telefoni cellulari in cui il segnale viene collegato al telefono cellulare per rubare i dati, oppure il metodo che controlla il cellulare attraverso l’uso delle app, oppure l’hackeraggio attraverso i server cloud, o ancora si possono rubare segreti tramite l’uso dei cavi ottici sottomarini, e la lista prosegue. Gli Stati Uniti attuano un controllo e una sorveglianza “indiscriminati”. Tutto per essi rientra nel raggio del monitoraggio e controllo, dal concorrente all’alleato, perfino incluso l’ex Cancelliere tedesco Angela Merkel o diversi presidenti francesi e altri leader alleati. Il “Prism “, il “Dirtbox”, l’ “Irritant Horn”, il ” Telescreen Operation ” e altri incidenti di monitoraggio e attacco della rete statunitense, confermano e sono la prova che tutti gli alleati e i partner degli Stati Uniti sono strettamente monitorati dagli Stati Uniti. Le intercettazioni compiute dagli Stati Uniti verso i suoi partner e alleati hanno già suscitato l’indignazione pubblica della comunità internazionale. Assange, il fondatore del sito web “WikiLeaks” che ha esposto il programma di sorveglianza degli Stati Uniti, ha dichiarato che “non si deve aspettarsi un comportamento dignitoso e rispettoso da parte di questa “superpotenza di sorveglianza”. Esiste solo una regola, ed è che non ci sono regole”.

 

5) La demagogica egemonia culturale —— Spargere false narrative

L’espansione globale della cultura americana è una parte importante della sua strategia estera. Gli Stati Uniti sono usi ad utilizzare la cultura per rafforzare e mantenere la loro posizione egemonica nel mondo.

◆Gli Stati Uniti impiantano una visione dei valori americani in prodotti commerciali come i film. Attraverso prodotti cinematografici e televisivi,libri e vari media nonché finanziamenti a istituzioni culturali senza scopo di lucro, la visione dei valori e degli stili di vita americani vengono “incorporati e distribuiti”,  creando uno spazio culturale e di opinione pubblica dominato dallo stile della cultura americana e promuovendo così l’egemonia culturale. Lo studioso americano John Yemma ha sottolineato nel suo articolo “The Americanization of the World” che per quanto riguarda l’espansione culturale, le vere armi degli Stati Uniti sono l’industria cinematografica di Hollywood, la fabbrica di design dell’immagine su Madison Avenue e le linee di produzione di Mattel e Coca Cola. Gli Stati Uniti promuovono l’egemonia culturale in varie forme e i film americani, che rappresentano oltre il 70% della quota mondiale, ne sono uno dei canali principali. I film americani sono capaci di fare uso di background multiculturali per creare una forte attrazione per tutti i gruppi etnici. Mentre i film di Hollywood continuano ad essere distribuiti incessantemente in tutto il mondo, gli Stati Uniti ne hanno sommerso all’interno la visione dei propri valori, esagerandoli enormemente.

◆L’egemonia culturale americana è passata dall'”intervento diretto” alla “penetrazione mediatica” fino alla “sveglia mondiale”: quando interferisce negli affari interni di altri paesi, si affida maggiormente ai media occidentali dominati dagli Stati Uniti, per incitare l’opinione pubblica globale. Il governo degli Stati Uniti esamina rigorosamente tutte le società di social media e richiede l’attuazione delle direttive del governo. Fox Business Network ha riferito che, il 27 dicembre 2022, il CEO di Twitter Musk ha dichiarato che tutte le piattaforme di social media stanno collaborando con il governo degli Stati Uniti per censurare i contenuti. La direzione dell’opinione pubblica negli Stati Uniti è soggetta all’intervento del governo per limitare ogni discorso sfavorevole. Google spesso fa sparire le pagine collegate. Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti manipola i social media. Nel dicembre 2022, il sito web investigativo indipendente statunitense “The Intercept” ha rivelato che, nel luglio 2017, Nathaniel Kahler, ufficiale del Comando Centrale degli Stati Uniti ha inviato un modulo al team di politica pubblica di Twitter, incaricando di aumentare la presenza di 52 account in lingua araba, richiedendo un servizio prioritario per 6 di essi, uno dei quali era specializzato nella promozione e giustificazione di attacchi militari con droni statunitensi nello Yemen, come ad esempio che gli attacchi erano precisi e che uccidevano soltanto terroristi, non civili. Secondo la richiesta di Kahler, Twitter ha inserito questi account in lingua araba in una “lista bianca” per amplificarne determinate informazioni.

◆Gli Stati Uniti perseguono un doppio standard di libertà di stampa e sopprimono brutalmente i media di altri paesi. Attraverso l’utilizzo di vari mezzi fanno in modo di “silenziare” i media di altri paesi. Ad oggi, ai principali media russi come la tv russa Russia Today e l’agenzia di stampa Sputnik è stato ovunque vietato lo sbarco negli Stati Uniti e in Europa; gli account ufficiali russi sono stati pubblicamente limitati da piattaforme come Twitter, Facebook e Youtube; i canali e le applicazioni russi sono stati bloccati da Netflix, Apple, Google App Store, ecc. e rimossi direttamente dagli scaffali; i contenuti relativi alla Russia sono stati oggetto di una rigida censura senza precedenti.

◆Gli Stati Uniti hanno abusato dell’egemonia culturale per “far evolvere pacificamente” i paesi socialisti. Vengono istituiti mezzi di informazione e organizzazioni di media culturali mirati specificamente contro i paesi socialisti. Inoltre, le stazioni radio sostenute dagli Stati Uniti responsabili di infiltrazioni ideologiche, al pari delle reti televisive, ricevono ingenti fondi dal governo, utilizzano dozzine di lingue, istigando la propaganda contro i paesi socialisti 24 ore su 24. Gli Stati Uniti utilizzano informazioni false come strumento per attaccare altri paesi e hanno costituito una catena industriale di opinione pubblica formata da “denaro nero, opinioni distorte e bocche sostenitrici”. Forniscono un flusso costante di “denaro nero” ad alcuni gruppi e individui per sostenerli nell’elaborare “opinioni distorte”, così da influenzare l’opinione pubblica internazionale.

 

Conclusioni

 

Mentre una causa giusta ottiene un ampio sostegno da parte di molti sostenitori, una causa ingiusta condanna il suo persecutore a rimanere un emarginato alla fine. Gli atti di bullismo egemonico, tirannia egemonica ed il saccheggio profittevole, esercitati con forza e con il sotterfugio, inclusi i giochi a somma zero, sono profondamente dannosi mentre la tendenza storica di pace, sviluppo e cooperazione sono un  vantaggio per tutti irresistibile. Gli Stati Uniti sfidano la verità con il potere e calpestano la giustizia con l’interesse personale. Queste pratiche egemoniche di unilateralismo, supremazia e regressione stanno suscitando critiche e opposizioni sempre più forti da parte della comunità internazionale.

I paesi dovrebbero rispettarsi l’un l’altro e trattarsi da pari a pari. I grandi Paesi dovrebbero comportarsi in modo consono al loro status e prendere l’iniziativa nel perseguire un nuovo modello di relazioni tra Stati caratterizzato dal dialogo e dalla partnership, non dal confronto o dall’alleanza. La Cina si oppone a tutte le forme di egemonismo e politica di potere e rifiuta l’ingerenza negli affari interni di altri paesi. Gli Stati Uniti devono condurre un serio esame di coscienza. Devono esaminare criticamente ciò che hanno compiuto, lasciare da parte la loro arroganza e il loro pregiudizio e abbandonare le proprie pratiche egemoniche, ultradominanti e prepotenti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] https://poterealpopolo.org/dottrina-monroe-globale/#:~:text=Nel%202023%20la%20Dottrina%20Monroe,sorta%20di%20Dottrina%20Monroe%20Globale.

[2] https://www.peoplesworld.org/article/ukraine-war-shifts-world-order-makes-socialism-more-necessary-than-ever/

3 https://www.defense.gov/News/Transcripts/Transcript/Article/1420042/remarks-by-secretary-mattis-on-the-national-defense-strategy/

[4] http://eng.chinamil.com.cn/OPINIONS_209196/Opinions_209197/16204882.html

[5] http://www.scmp.com/comment/opinion/article/3212559/are-us-fed-economists-chinese-propagandists-too

[6] https://fletcher.tufts.edu/faculty-research/security

[7] https://www.globaltimes.cn/page/202302/1286303.shtml

[8] https://libertystreeteconomics.newyorkfed.org/2023/03/the-dollars-imperial-circle/

 

La diplomazia cinese “affronta i lupi faccia a faccia”, ottenendo risultati gloriosi tra le difficoltà: Editoriale del Global Times

Crescendo rossiniano. Toni sempre più duri. Scelte politiche sempre più nette. Buona lettura, Giuseppe Germinario

https://www.globaltimes.cn/page/202303/1286861.shtml

La diplomazia cinese “affronta i lupi faccia a faccia”, ottenendo risultati gloriosi tra le difficoltà: Editoriale del Global Times

Pubblicato: Mar 07, 2023 11:35 PM

Martedì il ministro degli Esteri cinese Qin Gang ha risposto alle domande dei giornalisti nazionali ed esteri sulla politica estera e le relazioni esterne della Cina. La conferenza stampa del ministro degli Esteri è uno dei momenti salienti delle due sessioni annuali. In particolare, quella di quest’anno è la prima conferenza stampa dopo tre anni in cui il ministro degli Esteri cinese incontra la stampa di persona e la prima da quando Qin ha assunto l’incarico. Naturalmente ha ricevuto l’attenzione di tutte le parti.

 

In 114 minuti, Qin ha risposto a un totale di 14 domande, utilizzando un linguaggio vivace e umoristico per spiegare in modo vivace gli obiettivi e le missioni della diplomazia cinese, oltre a esprimere chiaramente le proposte e la posizione del Paese sulle relazioni con i Paesi principali, sulla diplomazia di vicinato e sui temi caldi. Le sue parole riflettevano la continuità e la certezza della diplomazia cinese, nonché lo stile personale di Qin. La sincerità, la franchezza, l’ampiezza di vedute e la fiducia in se stessi sono le impressioni più evidenti di questa conferenza stampa.

 

La stampa ha coperto una gamma molto ampia di argomenti, senza evitare i temi più scottanti che interessano il mondo. Ad esempio, per quanto riguarda gli scambi con l’estero, Qin ha espresso la sua ferma volontà di sviluppare l’amicizia e la cooperazione con altri Paesi, osservando che la Cina genererà nuove opportunità per il mondo con il suo nuovo sviluppo. Parlando dell’Iniziativa Belt and Road, ha detto che “la sua cooperazione è condotta attraverso la consultazione e le sue partnership sono costruite con amicizia e buona fede“. In effetti, dalla conferenza stampa, il mondo intuisce che la Cina salvaguarderà con fermezza i suoi interessi fondamentali e sarà sempre un costruttore della pace mondiale, un contributo allo sviluppo globale e un difensore dell’ordine internazionale. Questo è anche lo stile generale della diplomazia cinese nella nuova era.

 

L’opinione pubblica internazionale ha prestato particolare attenzione alla dichiarazione di Qin sulle relazioni tra Cina e Stati Uniti, che da un lato sottolinea l’importanza di questa relazione bilaterale e dall’altro mostra le preoccupazioni realistiche del mondo esterno riguardo alle relazioni tra Cina e Stati Uniti. Qin ha sottolineato senza mezzi termini che la percezione e la visione della Cina da parte degli Stati Uniti sono seriamente distorte, come “il primo bottone di una camicia messo male“. Se gli Stati Uniti non tirano il freno e continuano a percorrere la strada sbagliata, “ci saranno sicuramente conflitti e scontri“. Ha inoltre affermato che le relazioni tra Cina e Stati Uniti dovrebbero essere determinate dagli interessi comuni e dalle responsabilità condivise dei due Paesi e dall’amicizia tra i popoli cinese e americano, piuttosto che dalla politica interna degli Stati Uniti o dall’isterico neo-maccartismo. Questo non è solo un avvertimento a Washington, ma dimostra anche l’atteggiamento responsabile e serio della Cina nei confronti delle relazioni Cina-USA.

 

Abbiamo notato che alcuni media occidentali stanno esaminando questa conferenza stampa con la lente d’ingrandimento, cercando di etichettare la diplomazia cinese come “moderata” o “dura”, ma si tratta chiaramente di un errore di orientamento. In realtà, Qin ha chiarito in conferenza stampa che la cosiddetta “diplomazia del lupo guerriero” è una trappola narrativa. Nella diplomazia cinese non mancano la buona volontà e la gentilezza, ma se dovessero trovarsi di fronte a sciacalli o lupi, i diplomatici cinesi non avrebbero altra scelta che affrontarli di petto e proteggere la nostra madrepatria, ha detto Qin. In altre parole, ovunque si trovino gli interessi nazionali della Cina e la moralità del mantenimento della pace e della stabilità, i diplomatici cinesi saranno lì.

 

“Vale la pena sottolineare che la trappola narrativa menzionata da Qin è proprio il mezzo spregevole che Washington ha ripetutamente usato negli ultimi anni per cercare interessi geopolitici privati. Approfittando della sua egemonia sull’opinione pubblica, Washington ha costantemente teso trappole narrative come la “trappola del debito cinese“, le “regole dell’ordine internazionale” e la “democrazia contro l’autoritarismo” e, diffamando continuamente la Cina, tenta di metterla in difficoltà e di coprire le proprie azioni impopolari di iniziare una nuova guerra fredda sotto il nome di “competizione“. È chiaro che la politica statunitense nei confronti della Cina si è completamente allontanata da un percorso razionale e sano, e gli Stati Uniti non possono aspettarsi che la Cina non risponda con parole o azioni. È assolutamente impossibile”.

Allo stesso tempo, Qin ha anche affermato che il popolo americano, proprio come quello cinese, è amichevole, gentile e sincero, e desidera una vita e un mondo migliori. Pur affrontando di petto i lupi, la diplomazia cinese non ha mai rinunciato a perseguire l’unità, la cooperazione e lo sviluppo pacifico. Ciò si riflette in modo evidente nella crescente cerchia di amicizie della Cina. La Cina ha sempre più nuovi amici e vecchi amici sempre più vicini. Agli occhi della stragrande maggioranza dei Paesi normali della comunità internazionale, la Cina è un buon vicino e un partner amichevole, entusiasta e disposto a condividere. Alcuni media e l’opinione pubblica occidentali sostengono che la diplomazia cinese stia diventando sempre più “dura“, e alcuni si sono sentiti addirittura presi di mira durante la conferenza stampa, il che dimostra chi sono i “lupi” nelle relazioni internazionali di oggi – lo sanno molto bene.

 

Una Cina che si concentra sempre sullo sviluppo, con grandi certezze e un forte senso di responsabilità, porterà al mondo un senso di stabilità e di fermezza, che sarà trasmesso innanzitutto attraverso la diplomazia. Come ha detto Qin, il nuovo viaggio della diplomazia cinese sarà una spedizione con glorie e sogni, ma anche un lungo viaggio attraverso mari tempestosi. Più difficile sarà la missione, più glorioso sarà il suo compimento. Ci auguriamo che la diplomazia cinese nella nuova era possa ottenere risultati ancora più straordinari sotto la guida del Pensiero di Xi Jinping sulla diplomazia.

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Il volto mutevole della guerra – Il futuro dell’“Operazione Militare Speciale” russa, di Simplicius The Thinker_a cura di Roberto Buffagni

Il volto mutevole della guerra – Il futuro dell’“Operazione Militare Speciale” russa

Come le trasformazioni storiche dei conflitti ci guidano verso le incognite moderne.

di

Simplicius The Thinker

28 febbraio

https://simplicius76.substack.com/p/the-changing-face-of-war-future-of

 

Ci sono decenni in cui non accade nulla, e ci sono settimane in cui accadono decenni“. – Vladimir Il’ič Ulyanov

 

Nel corso della vasta storia della guerra, ci sono stati alcuni conflitti che sono serviti come punti di snodo fondamentali per il progresso della scienza militare. La prospettiva scorciata della storia ci seduce con la visione delle guerre come monoliti statici: due parti che si affrontano fino a una data conclusione. Vediamo anni interi, o addirittura decenni, compressi in brevi filmati, sia in forma letterale in video, sia nell’equivalente testuale: libri di storia i cui capitoli ripercorrono anni in pochi gesti scelti e concisi.

 

Ma come si può vedere nell’attuale conflitto ucraino, guardare dal mezzo del vortice offre una prospettiva completamente diversa. I mesi trascorrono, le truppe sembrano strisciare da una posizione stagnante all’altra, con lunghe cesure intermedie di inattività. Allo stesso modo, gli sviluppi operativi sul campo di battaglia si allungano a mesi o addirittura ad anni.

 

Ma la maggior parte delle guerre più importanti e lunghe, in realtà, subisce progressi fondamentali durante il loro corso, tanto che la fine spesso non assomiglia molto all’inizio, come se si trattasse di due conflitti distinti biforcati da un cambiamento epocale, come la svolta di un’epoca.

 

La guerra civile americana, ad esempio, iniziò come un conflitto che per certi versi imitava lo stile di guerra europeo-napoleonico. Grandi processioni di truppe che marciavano in colonne ordinate, sparando con moschetti ad avancarica da file lunghe e regolari.

Ma man mano che la guerra si trascinava, la crudele necessità divenne la parola d’ordine con cui i soldati sperimentavano nuovi modi per rimanere in vita, tattiche più efficienti per uccidere il nemico. Non solo la nascente rivoluzione industriale aveva avuto un grande impatto sulla capacità di manovrare e spostare, per la prima volta nella storia, forze e rifornimenti su rotaie e navi a vapore, ma invenzioni come il telegrafo avevano trasformato la complessità delle comunicazioni di guerra.

 

Ma si trattava di cose che esistevano già, anche se in forma minore. Man mano che il conflitto si protraeva, venivano insistentemente innovati nuovi modi di combattere.

 

Ad esempio, i moschetti lunghi e ingombranti come il modello Springfield 1861 avevano reso necessario stare in piedi durante la ricarica, poiché il processo di ribaltamento del corno della polvere nella canna, per far scendere i pallini, si svolgeva meglio con il moschetto in posizione stabile e verticale.

Questo si articolava naturalmente nella tattica standard di tre file rotanti di uomini: una fila sparava, poi indietreggiava per ricaricare mentre la successiva faceva un passo avanti per sparare. Ricaricare a terra era difficile o quasi impossibile, perché rovesciare la polvere in canna era difficile se il fucile era orizzontale, e l’accesso alle sacche contenenti la polvere, i pallini, l’imbottitura, ecc. era ancora più scomodo.

 

Ma con l’introduzione dei fucili a ripetizione, che videro una maggiore diffusione durante il periodo centrale della guerra, le truppe potevano ora sdraiarsi in copertura e sparare salve di colpi multipli senza dover ricaricare. Questo aprì un paradigma di guerra completamente nuovo, liberandosi dalla rigidità napoleonica che aveva dominato in precedenza.

Le truppe potevano ora essere più mobili, sparare da posizioni accovacciate come i cecchini. Gruppi più piccoli e agili divennero sempre più efficaci. Inoltre, la comparsa delle canne rigate (anziché a canna liscia) migliorò notevolmente la precisione, costringendo entrambe le parti a iniziare a “trincerarsi” e a combattere maggiormente da posizioni coperte per evitare la crescente letalità delle nuove caratteristiche balistiche.

 

Dopo alcuni anni, la guerra, iniziata come un pastiche dell’era napoleonica, si trasformò improvvisamente in una guerra di trincea.

1 Trinceramenti, ultima fase guerra civile americana

Anche la scienza dell’artiglieria aveva fatto passi da gigante durante la guerra. Soldati intraprendenti capirono presto che potevano sparare non solo direttamente contro il nemico, ma anche su terreni nascosti: nacque così il “fuoco indiretto”. A metà della guerra, il tiro d’artiglieria veniva calcolato matematicamente per colpire le truppe al di là della “visuale”.

 

Inoltre, le mongolfiere e i palloni a idrogeno cominciarono a essere utilizzati come moderni “droni”: occhi nel cielo per correggere il tiro d’artiglieria con una serie di bandiere che l’operatore della mongolfiera poteva sventolare per notificare alle forze di terra la correzione di fuoco necessaria.

Lowe fu chiamato per un’altra missione dimostrativa che avrebbe cambiato l’uso effettivo dell’artiglieria da campo. Il 24 settembre 1861, gli fu ordinato di posizionarsi a Fort Corcoran, a sud di Washington, per salire e sorvegliare gli accampamenti confederati a Falls Church, in Virginia, a una distanza più a sud. Una batteria di artiglieria dell’Unione nascosta era posizionata a distanza a Camp Advance. Lowe doveva dare indicazioni con segnali a bandiera all’artiglieria, che avrebbe sparato alla cieca su Falls Church. Ogni segnale avrebbe indicato le regolazioni a sinistra, a destra, lunghe o corte. Contemporaneamente i rapporti venivano telegrafati al quartier generale del forte. Con solo poche correzioni, la batteria si trovò ben presto a sparare colpi esattamente sul bersaglio. Questo fu il precursore dell’uso dell’osservatore avanzato di artiglieria (FO).

Anche la mitragliatrice Gatling fu inventata durante la guerra, rendendola uno dei primi conflitti in assoluto a essere caratterizzato da una “mitragliatrice”. Durante l’assedio di Petersburg, in Virginia, nel 1864, le mitragliatrici Gatling venivano utilizzate per colpire le “trincee” nemiche, in una chiara prefigurazione dei conflitti successivi. Le stesse trincee si estendevano per oltre 30 miglia intorno a Petersburg e Richmond, cambiando completamente il carattere della guerra, tanto che un osservatore inconsapevole non l’avrebbe nemmeno scambiata per la stessa guerra.

Inutile dire che la fine della guerra non assomigliava quasi più all’inizio, e che anzi lasciava presagire le tattiche dei prossimi scontri del XX secolo.

 

Anche le precedenti guerre di Crimea e la successiva guerra franco-prussiana furono note per i loro importanti progressi che cambiarono il volto del conflitto. Anche se nel caso di quest’ultima guerra, essa non è durata abbastanza a lungo per sperimentare un vero e proprio cambiamento epocale.

 

Per questo, dobbiamo rivolgerci alla Prima guerra mondiale, un conflitto che notoriamente ha visto interi avanzamenti generazionali in quasi tutte le categorie di guerra – anche se, è vero, alcune di esse sono regredite all’indietro. L’avvento del volo aveva appena dato vita all’età d’argento dell’aviazione. Ma i primi aerei erano accrocchi rozzi e primitivi le cui rispettive nazioni, nelle prime fasi del 1914, sapevano a malapena come utilizzare questo strumento imprevisto.

 

I primi aerei, infatti, venivano utilizzati per scopi di ricognizione e per correggere il tiro d’artiglieria, proprio come fanno oggi i droni e i palloni aerostatici dell’epoca della Guerra Civile. Anche gli aerei si alzavano in volo per osservare i colpi di artiglieria e poi scendevano per segnalare la correzione necessaria.

 

Alla fine questi osservatori volanti cominciarono a entrare in contatto con quelli della parte avversaria. Gli aerei non erano ancora armati e gli uomini non avevano modo di nuocere l’uno all’altro, il che, ironia della sorte, fece sì che i primi scontri aerei si trasformassero in fraternizzazioni amichevoli. I piloti avversari si vedevano come parte di una fratellanza distinta, a volte salutandosi o aiutandosi a vicenda.

 

Non sorprende, tuttavia, che ben presto sia nata la necessità di difendersi. Le prime battaglie aeree videro gli aviatori sollevare primitivamente da terra mattoni, catene, dardi e altri materiali che avevano infilato nelle loro cabine di pilotaggio. Ben presto, i piloti cominciarono a dotarsi di pistole d’ordinanza e a spararsi addosso con revolver e pistole Colt 1911, attorno alle quali si svilupparono rapidamente alcuni progressi, come una gabbia per raccogliere i bossoli e impedire che si depositassero sul pavimento della cabina di pilotaggio.

Pistola statunitense M1911 calibro 45 con caricatore esteso e gabbia di cattura in ottone. Nei primi tempi della Prima Guerra Mondiale, quando gli aerei non avevano le mitragliatrici, i piloti nemici si sparavano addosso con le pistole. La gabbia evitava che i bossoli esauriti venissero espulsi sul pavimento della cabina di pilotaggio e interferissero con i comandi a pedale.

Un pilota russo di nome Pyotr Nesterov fu addirittura il pioniere della tecnica dello “speronamento aereo” nel 1914. Anche se sfortunatamente uccise sia lui che il nemico, la tecnica fu in seguito perfezionata e ampiamente utilizzata.

 In questa fase iniziale gli aerei erano ancora disarmati e Nesterov divenne il primo pilota a distruggere un aereo nemico in volo. Durante la Battaglia di Galizia del 25 agosto 1914 (secondo il calendario Vecchio Stile ancora in uso in Russia), dopo aver provato vari metodi in occasioni precedenti senza successo, utilizzò il suo Morane-Saulnier Type G (s/n 281) per speronare l’aereo da ricognizione austriaco Albatros B.II dell’osservatore Barone Friedrich von Rosenthal e del pilota Franz Malina dell’FLIK 11.[4] Desideroso di distruggere l’aereo nemico, probabilmente intendeva colpirlo di striscio, ma danneggiò il proprio velivolo tanto quanto quello nemico ed entrambi gli aerei precipitarono. Come era consuetudine all’epoca, Nesterov non era legato e cadde dall’aereo, morendo per le ferite riportate il giorno successivo.[5] Morirono anche il pilota e l’osservatore austriaco. La città di Zhovkva (attualmente nell’Oblast’ di Leopoli, Ucraina), situata nei pressi della battaglia, è stata ribattezzata Nesterov in suo onore nel 1951. Il suo metodo di speronamento fu utilizzato durante la Seconda guerra mondiale da diversi piloti sovietici con successo e senza perdite di vite umane. La tecnica divenne nota come taran.

Alla fine, i pianificatori riuscirono a capire l’utilità di utilizzare gli aerei più grandi e robusti che venivano sviluppati per bombardare gli obiettivi. Così, all’inizio, i piloti cominciarono a lanciare bombe in modo rozzo dall’abitacolo, nell’improbabile speranza di colpire i bersagli senza alcun tipo di strumento o ausilio visivo.

 

Nel corso della guerra, si svilupparono sistemi più precisi, su velivoli da bombardamento molto più grandi e dedicati. Il russo Igor Sikorsky è accreditato per aver creato il primo aereo quadrimotore e l’Ilya Muromets fu il primo vero “bombardiere” della storia. Si dimostrò un successo nel devastare le postazioni e le infrastrutture nemiche e i Paesi si affrettarono ad armare i propri “caccia” con cannoni più capaci di abbattere i bombardieri più grandi che venivano ora messi in campo.

Ciò significava che gli aerei da combattimento erano ora armati con potenti mitragliatrici come le Hotchkiss, dando inizio a una nuova era in cui i piloti non si lanciavano più mattoni e pistole a salve, ma sparavano grossi e precisi calibri in grado di squarciare le fusoliere a pelle morbida degli aerei.

 

L’inventore russo Gleb Kotelnikov sperimentò anche il paracadute a zaino, in questo periodo, e le battaglie aeree videro ora la presenza regolare di piloti che si lanciavano con il paracadute da aerei, palloni e zeppelin danneggiati, il che richiese la riscrittura al volo dei codici di condotta bellica, dato che sparare sui combattenti che si lanciavano con il paracadute fu presto considerato disonorevole e poco cavalleresco.

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Prima della seconda guerra mondiale, ma è interessante notare come i paracadutisti sovietici si lanciassero dai loro aerei prima che venissero formatii moderni corpi aviotrasportati della seconda guerra mondiale.

 

La Seconda Guerra Mondiale iniziò in modo simile, nel senso che le prime iterazioni delle forze armate furono equivalenti a una sorta di brancolamento nel buio, mentre i paesi lottavano per fondare nuove dottrine, scoprire le tattiche, le combinazioni e gli usi più efficaci dell’epoca appena nata dei mezzi corazzati.

 

Come Big Serge illustra molto opportunamente in questo articolo: “Poche parole hanno elettrizzato il lessico militare come Blitzkrieg. La parola ha assunto nel tempo una forma paradossale: significa così tante cose diverse che sembra quasi che non significhi nulla, eppure è universalmente riconosciuta e gode di un forte prestigio. Certo, non è immediatamente evidente cosa si intenda per Blitzkrieg. È un termine operativo, che si riferisce alla penetrazione e all’accerchiamento di grandi formazioni nemiche? O è piuttosto una designazione tattica legata all’uso combinato di armi aeree e corazzate? O forse non si tratta di nessuna delle due cose: in alcuni casi, Blitzkrieg (che significa semplicemente guerra lampo) è semplicemente usato per indicare una vittoria molto rapida.” https://bigserge.substack.com/p/german-rebirth-blitzkrieg?utm_source=substack&utm_campaign=post_embed&utm_medium=web

Non solo i tedeschi stavano seriamente cercando di capire le tattiche dei carri armati, ma i primi giorni della Seconda Guerra Mondiale non assomigliano affatto ai penultimi. Come spiega Serge, la prima incursione della Germania in Francia fu caratterizzata da un monopolio di piccoli Panzer I e II, ben lontani dagli imponenti, terrificanti e rivoluzionari Panther e Tiger dell’epoca successiva.

 

La Seconda Guerra Mondiale ha visto una ricchezza senza precedenti di salti generazionali, sui quali si potrebbero scrivere interi volumi, che in effetti sono stati scritti. Ma i punti salienti includono gli aerei che passarono dalle eliche all’avvento dell’era dei jet entro la fine della guerra. I sistemi di allerta precoce per individuare grandi flotte di velivoli e i bombardamenti erano all’inizio molto rudimentali. Giganteschi localizzatori acustici come questi erano in uso in tutti i Paesi:

Sebbene all’inizio della guerra la Gran Bretagna, la Germania e l’URSS disponessero di sistemi “radar” di prima generazione, questi erano rozzi e non avevano la potenza di trasmissione necessaria per raggiungere le frequenze a microonde richieste per un rilevamento dettagliato. Ma con il protrarsi della guerra, vennero introdotte nuove generazioni di radar molto più potenti. Nel 1942, l’URSS aveva messo in campo il suo primo radar di allarme aereo, che cambiò il calcolo del rilevamento degli aerei.

 

Secondo alcune stime, la composizione delle forze della Wehrmacht tedesca all’inizio della guerra era meccanizzata solo per il 20% circa, mentre il resto utilizzava ancora carri trainati da cavalli per far avanzare l’esercito su terreni insidiosi.

 

Ma lentamente il carattere della guerra si modificò, con l’introduzione nel 1944 di elementi come il razzo V-2 – essenzialmente un moderno missile balistico – e delle bombe volanti V-1.

 

Alla fine della guerra, il conflitto non assomigliava più nemmeno lontanamente a quello dell’inizio. Nuovi carri armati e distruttori di carri armati massicciamente corazzati e potenti si aggiravano sui campi di battaglia, aerei con sistemi radar e caccia a reazione solcavano i cieli mentre missili a lungo raggio relativamente precisi colpivano obiettivi a centinaia di chilometri di distanza.

 

Non solo il mondo aveva voltato pagina verso l’era della missilistica durante il lungo corso della guerra, ma ancora più significativamente verso l’era atomica con gli ignominiosi attacchi atomici degli Stati Uniti su Hiroshima e Nagasaki. Verso la fine del conflitto, anche le glide-bombs e le TV-guided bombs cominciarono a essere ampiamente utilizzate.

https://youtu.be/Ur-G97BVtX0

 

Era passata un’intera epoca. Mentre l’inizio della Seconda Guerra Mondiale assomigliava per certi versi alla Prima Guerra Mondiale e ad altri conflitti precedenti, la parte finale della guerra guardava ai conflitti a venire, come la Guerra di Corea, e per molti versi aveva iniziato ad assomigliare alla guerra moderna per l’ampiezza delle telecomunicazioni, la portata esponenzialmente più lunga, la maggiore precisione e la potenza di ogni tipo di sistema d’arma.

 

Il presente

Oggi in Ucraina stiamo assistendo a quello che probabilmente diventerà un altro cambiamento epocale, un passaggio d’epoca. All’inizio del conflitto si è assistito a un utilizzo maldestro delle tecnologie dei droni di prima generazione, come i modelli di base DJI Phantom, modelli per famiglie. In breve tempo si è passati ai DJI Mavic, più piccoli e versatili, e ad altri tipi di otto ed esacotteri più grandi e potenti, agli ibridi ad ala fissa-VTOL e ora ai droni da corsa FPV con occhialini VR.

 

I droni hanno iniziato a essere modificati con batterie, ricevitori/trasmettitori ed eliche speciali per aumentarne la resistenza, la portata e il potenziale di uccisione. Anche l’equipaggiamento con telecamere termiche (IR) divenne onnipresente, conferendo ai droni la capacità di un ISR quasi totale.

 

Tuttavia, la goffaggine dei primi stadi di questa evoluzione diventa evidente alla luce delle possibilità future, ma ha rivelato indizi dell’imminente tempesta di progressi che serviranno come punto di “biforcazione” dal quale il conflitto non tornerà più indietro.

 

Soprattutto perché la “asimmetricità” rimane l’unico mezzo con cui l’Ucraina può imporre una qualche pressione sul campo di battaglia alla Russia, loro e i loro controllori negli Stati Uniti sono stati impegnati ad accelerare il cambiamento sia sperimentalmente che concettualmente in termini di come potrebbe essere il futuro del conflitto. A seconda di quanto si trascinerà questo conflitto, e ci sono buone probabilità che sia molto lungo (il colonnello MacGregor ha recentemente condiviso la presunta informazione privilegiata secondo cui i pianificatori russi si aspettano ora una guerra di 30 mesi), potremmo iniziare a vedere cose inaugurate nello scenario di battaglia che pochi di noi hanno immaginato.

Anche da parte russa molti leader intellettuali hanno lanciato appelli per un riorientamento verso i sistemi futuri. Dmitry Rogozin, che in passato è stato a capo di Roscosmos (la “NASA” russa) e dell’industria della difesa russa, ha recentemente pubblicato un appello alle armi. Nel suo primo paragrafo, fa eco ai nostri sentimenti recenti, denunciando l’uso dell’aviazione da combattimento nel moderno campo di battaglia ricco di ISR, che ha, in sostanza, reso obsoleti i gloriosi “martelli d’assalto” degli anni ’80.

“La battaglia con la NATO e il suo fantoccio, la pesantemente armata Ucraina, ha dimostrato che la guerra moderna è una guerra di mezzi robotici che garantiscono l’efficacia dell’artiglieria e della fanteria d’assalto. È una guerra di avatar, di robot da combattimento, in cui l’esito della battaglia non è deciso da un gigante di due metri che spiana con una formidabile mitragliatrice, ma da un “uomo occhialuto e intelligente” che crea un UAV da ricognizione e attacco con un collegamento radio protetto, un complesso per superare i disturbi della guerra elettronica nemica e localizzare il suo UAV in base ai dati video, nonché un altro “uomo occhialuto e intelligente” in grado di disporre abilmente di questi mezzi della guerra moderna, di stabilire la posizione del nemico e di fornire in un paio di minuti alla nostra parte le coordinate esatte del nemico. “

E poi chiede apertamente che la totalità delle capacità dell’aviazione e della flotta russa sia autonoma e senza equipaggio.

Allo stesso modo, è giunto il momento di comprendere finalmente che sia l’aviazione che la flotta dovrebbero essere prevalentemente senza equipaggio e avere una maggiore furtività nei confronti del nemico e autonomia di applicazione. I droni aerei e marittimi sostituiranno inevitabilmente l’aviazione da combattimento e la flotta tradizionale. E tutti gli altri partecipanti al conflitto armato dovrebbero procedere dal fatto che tutta l’azione sarà fissata per mezzo di mezzi ottico-elettronici, radio-tecnici e altri tipi di ricognizione nemica – spaziale e senza equipaggio/aria, e il mezzo più importante per la loro sopravvivenza sul campo di battaglia è il mantenimento di una comunicazione “indistruttibile” tra le unità e l’efficienza del processo decisionale.

Va notato che sia il nuovo Su-57 che i carri armati T-14 Armata sono stati progettati con capacità di utilizzo senza equipaggio. Le versioni future dovevano poter essere pilotate a distanza e anche il più recente drone russo S-70 Okhotnik è destinato ad avere una modalità autonoma di “gregario” per assistere le missioni del Su-57.

 

Proprio il mese scorso, Rogozin ha aperto la strada all’ingresso nel conflitto degli UGV (Unmanned Ground Vehicles) russi “Marker”. Il veicolo robotico è disponibile in numerose varianti che gli permettono di svolgere ruoli di tank-killer (con ATGM), anti-fanteria, anti-aria, o un combat-mule che trasporta munizioni, rifornimenti o soldati feriti. La Russia aveva già testato l’Uran-9 pesantemente armato in Siria e aveva raccolto molte informazioni utili per lo sviluppo, ma la tecnologia non era ancora maturata abbastanza per un uso regolare.

 

È difficile stabilire quanto di tutto ciò sia vero, ma Rogozin ha già affermato che il robot Marker ha un catalogo di obiettivi di carri armati nemici (come Abrams, Leopard, ecc.) salvato nel suo database e può autonomamente distinguerli e ingaggiarli.

“Non appena inizieranno le consegne di carri armati Abrams e Leopard alle truppe ucraine, il Marker riceverà un’immagine elettronica appropriata e sarà in grado di rilevare e colpire automaticamente i carri armati americani e tedeschi con ATGM”.

Al momento il limite principale di queste piattaforme sembra essere la portata del controllo/segnale. Gli UAV godono del lusso di un cielo aperto, quindi il segnale di solito non ha ostacoli. Ma gli UGV devono di solito avere una linea di vista diretta (o quasi) con il controllore, il che rende il loro raggio d’azione molto limitato – e questo è stato il principale difetto dell’Uran-9 in Siria; i rapporti affermano che la Russia ha lottato con la caduta del segnale anche a distanze relativamente brevi o medie, come 300-400 metri. In ambienti urbani, dove questi veicoli si rivelerebbero particolarmente essenziali, la situazione peggiora ulteriormente a causa della grande quantità di ostacoli che attenuano il segnale.

 

Una soluzione potrebbe essere rappresentata da droni aerei che fungono da “ripetitori” del segnale. Questa soluzione è già stata utilizzata nell’attuale SMO da entrambe le parti. Gli UAV trasportano in cielo un ripetitore di segnale che consente all’unità militare di comunicare con il quartier generale del battaglione se le radio da combattimento sono fuori portata.

 

Per quanto riguarda il futuro più immediato, il popolare canale Telegram russo “Starshe Edda” ritiene che, se la guerra continuerà, entro il prossimo autunno assisteremo a una “guerra completamente diversa”, in cui le armi sperimentali ora in fase di sperimentazione e prototipazione entreranno in produzione di massa da entrambe le parti.

Se l’SVO non si concluderà improvvisamente con negoziati e una tregua, in autunno assisteremo a una guerra completamente diversa. Questi tipi di armi, prima di tutto, sono ovviamente sistemi senza pilota (sia aerei che terrestri). Ciò che è attualmente disponibile sotto forma di campioni e prototipi sarà trasferito alla categoria dei prodotti di massa.

 

Ci saranno molti sistemi robotizzati e senza pilota, così come munizioni di alta precisione, ma a mio avviso non ci sarà una sola cosa, cioè le tattiche del loro utilizzo stabilite in un sistema coerente. Per ora, si tratta ancora di passi provvisori nella guerra di un nuovo ordine tecnologico, qualcosa come i fucili ad ago Dreise o Mitrailleuse. Non ancora un fucile a retrocarica con una cartuccia unitaria del solito modello e non una mitragliatrice, ma non più un fucile a miccia e non un fucile a pallettoni. In tutto questo, si svilupperanno tattiche, si aggiungeranno regole di combattimento, alcuni campioni e rami di sviluppo saranno riconosciuti come vicoli ciechi, altri, al contrario, si svilupperanno e raggiungeranno la perfezione nell’uccidere una persona.

Esso giudica con precisione il periodo attuale come quello che ho definito la fase di sviluppo “a tentoni nel buio”. È l’inquietante momento della dentizione del neonato che si sta lentamente affermando; l’equivalente della prima guerra mondiale dei piloti che si lanciano mattoni e catene di biciclette l’un l’altro, non comprendendo ancora il pieno potenziale di ciò che hanno. In questi momenti, le direzioni rimangono ancora incerte fino a quando qualcosa non prende piede, si rapprende in dottrine intelligibili, modi di operare e regole di condotta che generano l’uso più efficace di ogni nuovo sistema.

 

Intelligenza artificiale

Per ora, la direzione di sviluppo più ovvia rimane quella di droni FPV più veloci, più precisamente controllabili e più economici, che possono essere usati per abbattere sia i blindati che il personale. La loro velocità e le loro dimensioni li rendono praticamente invisibili al rilevamento radar, o almeno estremamente poco pratici da agganciare e abbattere. Inoltre, la loro manovrabilità permette loro di aggirare i sistemi d’armamento anti-drone dell’EW, che si basano sui tempi di reazione dell’operatore per individuare e seguire il drone con i suoi mirini per un tempo sufficiente a interrompere il suo collegamento di comunicazione.

 

Sebbene entrambe le parti li utilizzino già con crescente regolarità, per necessità l’AFU sembra spingere maggiormente in questa direzione, come si vede in questi recenti video.

 

Ma a parte questo, l’intelligenza artificiale è la tecnologia più in ascesa che presto trasformerà il volto di tutti i conflitti, compreso questo, se dovesse durare abbastanza a lungo. I sistemi di intelligenza artificiale in grado di negoziare in modo “intelligente” il terreno e di trovare, identificare e persino ingaggiare bersagli da soli sono già in fase di prototipazione in tutto il mondo e molto probabilmente faranno presto il loro ingresso nel conflitto in corso.

 

Questo drone israeliano di Elbit Systems, ad esempio, è in grado di muoversi autonomamente negli ambienti interni e di utilizzare il riconoscimento facciale per individuare e ingaggiare da solo i combattenti nemici.

https://youtu.be/rcFyZDRmUiA

Per coloro che potrebbero essere contrariati, questa tecnologia non è rivoluzionaria. Le app dei social media e gli iPhone utilizzano già da tempo algoritmi di riconoscimento facciale per individuare i volti nelle foto. Anche le fotocamere di consumo, da diversi anni, dispongono di funzioni di autofocus per il riconoscimento facciale, che consentono di “mettere a fuoco” automaticamente l’obiettivo su una persona anche se questa si muove avanti e indietro. Diamine, anche i nuovi sistemi di sicurezza a basso costo, come questo di ADT, sono ora dotati di riconoscimento facciale che salva i volti dei vostri amici e familiari e vi avvisa quando si avvicinano alla vostra casa e, viceversa, può avvisarvi se si tratta di un “estraneo”.

 

Esistono anche sfruttamenti più sinistri di questa tecnologia:

Applicato a un drone, unito alla tecnologia di rilevamento ambientale di oggetti come la “modalità di guida autonoma” di Tesla, porta direttamente a progressi come il sistema israeliano di cui sopra. Tuttavia, il vero punto di forza è rappresentato dagli algoritmi molto più avanzati utilizzati per distinguere le minacce da quelle che non lo sono, come ad esempio il rilevamento di determinate “posture” corporee, armi in mano, differenze nelle uniformi, ecc.

 

I missili da crociera dispongono già da tempo di capacità di base di intelligenza artificiale di questo tipo, utilizzate per confrontare i bersagli a terra con i dati memorizzati da satellite/immagini. Ecco una descrizione della fase terminale del missile francese “Storm Shadow / Scalp”, in cui si arrampica sul bersaglio:

La salita in quota ha lo scopo di ottenere le migliori probabilità di identificazione e penetrazione del bersaglio. Durante il bunt, l’ogiva viene sganciata per consentire a una telecamera termografica ad alta risoluzione (homing a infrarossi) di osservare l’area del bersaglio. Il missile cerca quindi di localizzare il bersaglio sulla base delle informazioni di puntamento (DSMAC). Se non ci riesce, e c’è un alto rischio di danni collaterali, è in grado di volare verso un punto di impatto invece di rischiare l’imprecisione.

Google è stata pioniera di questo lavoro sotto la bandiera del controverso “Progetto Maven”, che ha suscitato un quasi-ammutinamento dei dipendenti, debitamente preoccupati, per le macabre implicazioni militari che tali tecnologie comportavano.

Proprio la scorsa settimana, questo nuovo reportage ha mostrato come Eric Schmidt, ex-CEO e presidente esecutivo di Google e Alphabet Inc. abbia lavorato fianco a fianco con il governo degli Stati Uniti per accelerare e semplificare le acquisizioni e lo sviluppo di tecnologie AI. In effetti, ha lasciato Google per fare di questo la sua nuova carriera e il suo impegno a tempo pieno. Sembra che sia molto determinato a sconfiggere la Cina nella guerra dell’IA e si sforza di sottolineare che l’IA è la tecnologia che determinerà il vincitore del futuro.

“Immaginiamo di voler costruire un sistema migliore per combattere la guerra”, dice Schmidt, delineando ciò che equivarrebbe a un’enorme revisione del dispositivo militare più potente del pianeta. “Creeremmo semplicemente un’azienda tecnologica”.

In breve, egli ritiene che i processi di approvvigionamento del governo siano troppo ponderosi per competere nell’era dell’accelerazione della singolarità, quindi il suo obiettivo “lungimirante” è quello di utilizzare l’architettura di un’azienda tecnologica della Silicon Valley come base per il modo in cui il governo dovrebbe ricercare e acquisire queste nuove tecnologie.

Una nuova arma

Il problema tecnologico del Pentagono è più pressante, secondo Schmidt, quando si tratta di IA. “Ogni tanto arriva una nuova arma, una nuova tecnologia che cambia le cose”, afferma. “Einstein scrisse una lettera a Roosevelt negli anni ’30 in cui diceva che c’era una nuova tecnologia – le armi nucleari – che avrebbe potuto cambiare la guerra, e così è stato. Io sostengo che l’autonomia e i sistemi decentralizzati e distribuiti [alimentati dall’IA] sono altrettanto potenti”.

Esiste una moltitudine di modi in cui l’intelligenza artificiale rivoluzionerà molto presto la guerra. Molti di questi sono già in fase iniziale, altri hanno fatto passi da gigante. Chi ha letto il mio articolo sull’ISR conosce la crescente importanza e il dominio di questo campo; ma ora immaginate che al posto degli analisti umani che scrutano faticosamente infiniti gigabyte di dati satellitari per localizzare le posizioni delle truppe russe, ci sia un instancabile, e molto più veloce ed efficiente, algoritmo di intelligenza artificiale che scansiona ed elabora in pochi secondi migliaia di ettari di dati sul terreno, individuando ogni singolo oggetto di interesse che può essere bersagliato, ordinandolo e raggruppandolo in appositi cestini, e persino – alla fine – instradando autonomamente i dati verso l’esatta e appropriata unità di fuoco settoriale che l’intelligenza artificiale giudica più capace, pronta, equipaggiata, ecc. , per gestire il compito.

 

Le iniziative sono già state esplorate; questo articolo descrive un programma chiamato SMART (Space-based Machine Automated Recognition Technique) che fa proprio questo. Inizialmente incentrato su compiti più banali, come l’addestramento di reti neurali per individuare progetti di costruzione in tutto il mondo da immagini satellitari, nel paragrafo finale si ammette che il vero obiettivo è quello di “trasferire questa tecnologia al settore dell’intelligence per l’uso nel mondo reale” – sapete cosa significa.

 

Tuttavia, non mi sorprenderebbe se le agenzie di intelligence stessero già utilizzando una qualche iterazione di questa tecnologia, dato che di solito ciò che le agenzie più importanti hanno è di diverse generazioni/decenni avanti rispetto a ciò che le startup civili stanno ricercando. Sono certo che in Ucraina utilizzano versioni incipienti di questo software di intelligenza artificiale addestrato a setacciare le foto satellitari alla ricerca di posizioni russe.

Allo stesso modo, per molti altri sistemi, come ad esempio i radar, l’intelligenza artificiale gioca un ruolo sempre più dominante, poiché i sistemi radar si affidano ad algoritmi avanzati per ingrandire il segnale del bersaglio eliminando il disordine, sapendo quale rumore/disordine può essere scartato in base a una serie di criteri. Si potrebbe pensare che il radar sia abbastanza semplice: si punta il fascio di luce nel cielo vuoto e qualsiasi segnale puro venga restituito è il bersaglio.

 

Ma c’è un problema: nell’ambiente odierno in cui domina l’ISR, quasi tutte le risorse di rilievo volano a bassa quota, “sotto il radar” per evitarlo: dagli aerei da combattimento ai droni, fino ai missili da crociera che ora sono programmati esclusivamente per “abbracciare il terreno” tramite la mappatura del terreno.

 

Per questo motivo, l’importanza dei radar “Look Down” diventa rapidamente suprema. Si tratta di radar montati su apparecchi come gli AWAC, in grado di scansionare non solo il cielo, ma anche il terreno, e di distinguere un oggetto in movimento rispetto alla grande confusione di altri oggetti a terra, come auto in movimento, persone, alberi ondeggianti, ecc. Affinché un sistema computazionale possa distinguere un elicottero che si muove a una velocità approssimativa di un’auto a 50 piedi dal suolo, da altre auto che viaggiano direttamente sotto di lui, è necessario disporre di enormi quantità di potenza computazionale parallela che alimenta algoritmi avanzati di intelligenza artificiale in grado di distinguere in modo molto “intelligente” questi dati. È così che tali sistemi radar possono anche rilevare oggetti a terra come carri armati e formazioni mobili in movimento.

 

L’ultima frontiera

Ma l’ultima frontiera della capacità dell’intelligenza artificiale non sarà costituita da semplici algoritmi per il rilevamento “intelligente” degli oggetti, bensì dalla piena autonomia, che si concretizzerà in risorse integrate in rete in grado di comunicare tra loro e di risolvere compiti comuni. In parole povere, questo descrive la prossima era degli “sciami di droni”, che è di gran lunga l’area di sviluppo più critica. E qui la Cina sembra essere all’avanguardia.

 

Un filmato pubblicato di recente mostra uno sciame di droni autonomi cinesi che navigano in una foresta di bambù senza l’uso del GPS.

 

Molti hanno visto il video di cui sopra, ma non il grafico di accompagnamento che mostra come i droni siano stati in grado di seguire insieme un obiettivo umano, proprio attraverso questa foresta:

Ora immaginate di liberare decine, o centinaia, o migliaia di questi droni – armati con 4-6 kg di esplosivo, come un tipico drone FPV oggi trasporta normalmente – per setacciare autonomamente il paesaggio brullo, fumoso e pieno di trincee dei vasti campi agricoli dell’Ucraina e dare la caccia ai soldati che si rintanano senza speranza in quelle stesse fortificazioni.

 

Così:

Gli Stati Uniti hanno recentemente lanciato un altro grido d’allarme, sostenendo che sia la Russia che la Cina stanno investendo pesantemente in questo campo.

Infatti, il mese scorso è giunta la notizia che la PMC russa Wagner sta lavorando segretamente con aziende cinesi per sviluppare la tecnologia degli sciami di droni da utilizzare contro l’AFU. Forse a prima vista è improbabile, ma ci sono tutte le ragioni per credere che sia vero. Non solo l’Ucraina rappresenta per la Cina l’ultima piattaforma di test sul campo di battaglia reale per affinare le proprie tecnologie segrete in preparazione dell’inevitabile escalation di Taiwan, ma la cosa è stata anche confermata direttamente da un mercenario australiano che ha combattuto a Bakhmut il mese scorso.

 

In questo video, il mercenario australiano che ha combattuto contro Wagner afferma apertamente che speciali “squadre cinesi di DJI stanno aiutando Wagner dietro la linea”.

 

Chi controlla i chip controlla il futuro

Abbiamo stabilito che chi ha la maggiore potenza di calcolo avrà i sistemi di intelligenza artificiale più avanzati, con la massima capacità di sfornare istruzioni/operazioni pure. Ciò significa che coloro che possiedono i chip migliori, ossia le industrie e le capacità dei semiconduttori, saranno i re delle prossime guerre dell’IA.

Il CEO di Intel a Davos ha dichiarato che: “Le catene di fornitura dei chip plasmeranno la geopolitica più del petrolio nei prossimi 50 anni”.

Gli Stati Uniti e la Cina, ovviamente, sono tra le nazioni leader in questo senso, mentre la Russia mostra qui una delle sue debolezze più evidenti. Tuttavia, non tutto è perduto. Gli Stati Uniti hanno la base tecnologica, ma si affidano pesantemente ai visti H1B di molti altri Paesi come India, Cina, Russia, ecc. (quanti, ad esempio, sanno che la linea Pentium di Intel prende il nome dal suo capo progettista russo, Vladimir Pentkovski)?

 

Questo è un grande punto debole per gli Stati Uniti perché, man mano che il mondo continua a de-dollarizzarsi e il valore della moneta fiat e dello stile di vita americano continua a crollare rispetto ai paesi d’origine in ascesa da cui provengono questi emigranti, diventerà sempre meno attraente venire a lavorare negli Stati Uniti e, in alternativa, più competitivo rimanere a casa. Questo porterà a un grave degrado dell'”innovazione” americana in questi settori.

 

E per quanto riguarda il capitale umano effettivo per la programmazione e la progettazione di questi futuri sistemi di intelligenza artificiale, si può dire che la Russia non ha eguali al mondo. E le sue nuove generazioni brillano sempre di più. Basta dare un’occhiata ai risultati dei rinomati campionati “International Collegiate Programming”:

Certo, gli Stati Uniti hanno finalmente strappato una singola vittoria nell’evento più recente. Ma gli ultimi due decenni sono stati dominati dalla Russia.

 

Le istituzioni con il maggior numero di vittorie:

E se si vuole vedere quanto gli Stati Uniti siano caduti in basso per quanto riguarda il loro capitale umano intellettuale e il loro sistema educativo, basta guardare ai decenni precedenti dello stesso concorso:

Gli Stati Uniti non erano da meno, prima che le disastrose politiche neoliberiste condannassero il tessuto stesso della società.

 

Si potrebbe sostenere che il futuro appartiene a chi ha la tecnologia, ma la tecnologia apparterrà a chi ha il capitale umano per sognarla e innovarla.

 

Ricordiamo che una delle uniche ragioni della presunta “arretratezza” della Russia rispetto all’Occidente in materia di progresso tecnologico è dovuta all’enorme e ingiusto handicap che le è stato artificialmente imposto: la Russia si è vista tarpare le ali in ogni occasione. Attraverso sanzioni schiaccianti. Ostacoli e sabotaggi imposti per decenni. Quando si trattava di industrie critiche, l’Occidente aveva sempre egoisticamente “accaparrato” la tecnologia tra di loro per lo sviluppo iterativo.

 

Per esempio, il motivo per cui la Corea del Sud e il Giappone sono così potenti nel campo dei semiconduttori è che gli Stati Uniti hanno investito e sovvenzionato pesantemente le loro industrie nel secondo dopoguerra, al fine di creare una sorta di mercato di manodopera a basso costo da cui la nascente classe media americana potesse rifornirsi.

 

Alla Russia, purtroppo, non è mai stato concesso un simile lusso, ma piuttosto il contrario:

E come ho detto in questo articolo, così come l’Occidente finge la dipendenza della Russia dai suoi chip, in realtà nasconde la propria vera dipendenza dalla Russia e dalla Cina per le risorse con cui produrre quei chip. Vedete, l’Occidente ha il know-how tecnologico (importato da H1B), ma non le materie prime. Questo articolo di un think tank statunitense lo definisce una minaccia alla sicurezza nazionale di massima priorità.

È per questo che siti importanti come TomsHardware hanno pubblicato titoli come questo l’anno scorso:

Nell’articolo si dice chiaramente:

La fonte condivide alcuni numeri preoccupanti, che evidenziano la dipendenza dell’industria statunitense dei chip dai materiali provenienti dalla Russia/Ucraina. Ad esempio, il gruppo di ricerca di mercato Techcet afferma che il 90% delle forniture di neon per semiconduttori negli Stati Uniti proviene dall’Ucraina, mentre il 35% del palladio statunitense proviene dalla Russia. Inoltre, anche altri materiali vitali come il C4F6, l’elio e lo scandio provengono dalla regione del potenziale punto di infiammabilità.

In breve, la Russia ha altrettanti punti di pressione sull’industria americana dei semiconduttori, ed entrambe stanno investendo molto per cercare di cambiare la situazione: gli Stati Uniti per espandere e diversificare le loro catene di fornitura (molto più difficile di quanto sembri, per ragioni che esulano da questo ambito) e la Russia per sviluppare le sue capacità di produzione di chip.

 

Shock futuro

Il volto del conflitto ucraino si sta già evolvendo rapidamente. Oggi vediamo regolarmente droni che duellano nei cieli sopra il paesaggio in rovina, cosa che sarebbe stata difficile da immaginare fino a pochi anni fa.

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Come evidenziato nel mio precedente articolo, le forze russe stanno già iniziando a utilizzare una serie di sistemi EW automatizzati “a guardia delle trincee” come l’Harpoon-3 e lo Stoizh, che disabilitano i droni anche mentre i soldati dormono nelle loro trincee. Anche i robot “Marker” russi daranno presto la caccia a Leopard e Abrams in natura, come immaginato da Rogozin?

Quel che è certo è che, se il conflitto continuerà per diversi anni, potrebbe essere quasi irriconoscibile se visto attraverso la lente di questi inizi primitivamente umili e comprensibili. Da diversi anni ormai, la Russia mostra come le truppe possano lavorare insieme a UGV o sistemi autonomi non guidati, e con la crescente intrattabilità del problema delle operazioni in trincea dell’Ucraina, è ipotizzabile che la Russia possa iniziare a lanciare sistemi non guidati per fornire supporto di fuoco nelle sempre difficili operazioni di sgombero delle trincee.

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Entrambe le parti stanno cercando di fare passi avanti nei sistemi di gestione del campo di battaglia, costruiti per organizzare la distribuzione delle enormi quantità di dati provenienti dai sensori. I “partner” occidentali hanno aiutato l’Ucraina a sviluppare tali sistemi, come il “Delta”, che si dice abbia alcune capacità di base di intelligenza artificiale nel fornire “raccomandazioni sui bersagli”.

Il video di cui sopra sostiene addirittura che il veicolo Autonomous Combat Warrior (ACW) di Rheinmetall sarà inviato all’Ucraina. Sebbene non sia stato in grado di verificarlo, è stato riferito che la Germania intende fornire all’Ucraina il Boxer RCH 155, un’incredibile piattaforma di artiglieria semovente autonoma che deve essere vista per essere creduta.

 

Man mano che la carenza di truppe dell’Ucraina diventa sempre più grave, i finanziatori occidentali spingeranno verso una sempre maggiore autonomia dell’AFU per colmare il deficit. Questi sistemi non presidiati saranno controllati, ovviamente, da ufficiali occidentali sufficientemente lontani dal campo di battaglia per ridurre i rischi per se stessi. Questo viene già fatto con la guerra dei droni UAV, ma potrebbe presto estendersi anche ai sistemi terrestri.

 

Allo stesso modo, mentre la Russia continua a distruggere il potenziale offensivo dell’Ucraina (che è già sostanzialmente esaurito), l’Ucraina sarà costretta a combattere in una strategia sempre più orientata alla difesa e allo stallo, che richiederà un ulteriore arroccamento nel tipo di guerra intrattabile ora prevalente.

 

Questo potrebbe spingere la Russia a inaugurare l’uso di sistemi UGV senza equipaggio per mitigare meglio il pericolo sproporzionato di dover prendere d’assalto infinite posizioni e trincee rinforzate con grandi perdite di vite umane. Dopotutto, non è un’ipotesi così remota: il fratello minore disarmato dell’Uran-9, lo sminatore Uran-6, è già stato utilizzato efficacemente fin dall’inizio del conflitto.

 

E quanto ci vorrà prima di vedere nuove versioni dei droni russi Lancet e KUB programmate con l’intelligenza artificiale per andare a caccia di obiettivi nemici in modo autonomo, anche lontano dalla portata dei collegamenti dati di controllo?

2 reparto russo si addestra con il Soratnik UGV

In definitiva, non possiamo prevedere quanto durerà il conflitto ucraino, anche se probabilmente si tratterà di un po’ di tempo, almeno diversi anni, a meno di eventi imprevisti da cigno nero. Un tempo più che sufficiente per assistere a una svolta epocale nell’evoluzione dei sistemi di combattimento, che cambierà per sempre il volto di tutte le guerre.

 

Un giorno guarderemo a questi momenti di nascita dei droni di consumo che lanciano piccole cariche esplosive nelle trincee con gli stessi occhi con cui abbiamo guardato a quel mondo apparentemente selvaggio e antidiluviano delle sparatorie aeree con le pistole, molto prima che il Fokker del Barone Rosso solcasse i cieli alleati. E con lo spirito nazionale galvanizzato, la solidarietà senza precedenti del narod [popolo] russo e il fervore di ingegnosità visto quotidianamente nei suoi combattenti, è chiaro che la Russia sarà colei che prenderà le redini e condurrà il mondo per mano attraverso l’oscurità labirintica di questa nuova era.

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Verso il tripolarismo: Il golden billion, l’intesa sino-russa e il Sud globale _ di Andrew Korybko

Verso il tripolarismo: Il golden billion, l’intesa sino-russa e il Sud globale

Andrew Korybko
14 ore fa

L’imminente evoluzione della transizione sistemica globale verso il tri-multipolarismo potrebbe vedere il Miliardo d’oro dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti, l’Intesa sino-russa e il Sud globale di fatto guidato dall’India diventare i poli più importanti delle relazioni internazionali, al di sotto dei quali si troverebbero le potenze in ascesa e i gruppi regionali. Tutti gli attori si bilancerebbero l’un l’altro, allineandosi all’interno e tra i rispettivi livelli, il che potrebbe portare a stabilizzare gli affari globali molto più di quanto abbiano fatto i precedenti ordini unipolari e bimultipolari.

Le relazioni internazionali stanno correndo verso la tripolarità a un ritmo sorprendente, come risultato dei drammatici eventi che si sono verificati nell’ultimo anno e soprattutto nell’ultimo mese. I lettori che non hanno seguito da vicino questo megatrend potrebbero essere colti di sorpresa da questa valutazione, per cui è necessario che esaminino le seguenti analisi che collocheranno tutto nel contesto appropriato. Dopo averle elencate, verranno riassunte per comodità prima di spiegare cosa accadrà prossimamente:

Briefing di base

* 7 ottobre 2021: “Verso il bimultipolarismo”.

* 16 dicembre 2021: “Il Neo-NAM: dalla visione alla realtà”

* 15 marzo 2022: “Perché gli Stati Uniti hanno dato priorità al contenimento della Russia rispetto alla Cina?”

* 26 marzo 2022: “La Russia sta conducendo una lotta esistenziale in difesa della sua indipendenza e sovranità”.

* 22 maggio 2022: “Russia, Iran e India stanno creando un terzo polo di influenza nelle relazioni internazionali”.

* 6 giugno 2022: “L’India è l’insostituibile forza di equilibrio nella transizione sistemica globale”.

* 20 giugno 2022: “Verso la doppia tripolarità: Una grande strategia indiana per l’era della complessità”.

* 5 agosto 2022: “Il Ministero degli Esteri russo ha spiegato in modo esauriente la transizione sistemica globale”.

* 1 ottobre 2022: “Il conflitto ucraino potrebbe aver già fatto deragliare la traiettoria della superpotenza cinese”.

* 29 ottobre 2022: “L’importanza di inquadrare correttamente la nuova guerra fredda”.

* 19 novembre 2022: “Analizzare l’interazione tra Stati Uniti, Cina, Russia e India nella transizione sistemica globale”.

* 29 novembre 2022: “L’evoluzione delle percezioni dei principali attori nel corso del conflitto ucraino”.

* 14 dicembre 2022: “La neutralità di principio dell’India produce grandi benefici strategici”.

* 28 dicembre 2022: “I cinque modi in cui gli Stati Uniti hanno riaffermato con successo la loro egemonia sull’Europa nel 2022”.

* 1 gennaio 2023: “Il New York Times ha cercato di gettare ombra sull’ascesa globale dell’India”.

* 7 gennaio 2023: “Il vertice indiano sul Sud globale è l’evento multilaterale più importante degli ultimi decenni”.

* 11 gennaio 2023: “Smascherare l’agenda narrativa dei media occidentali nel distorcere la nuova distensione sino-americana”.

* 4 febbraio 2023: “L’incidente del palloncino cinese potrebbe spostare in modo decisivo le dinamiche dello ‘Stato profondo’ di Cina e Stati Uniti”.

* 14 febbraio 2023: “L’autodichiarazione della NATO sulla ‘corsa alla logistica’ conferma la crisi militare-industriale del blocco”.

* 26 febbraio 2023: “La Cina sembra stia ricalibrando il suo approccio alla guerra per procura tra NATO e Russia”.

* 28 febbraio 2023: “Quanto cambierebbe drasticamente il mondo se la Cina armasse la Russia?”.

* 1 marzo 2023: “I forum globali come l’ONU e il G20 stanno gradualmente perdendo la loro importanza”.

* 1 marzo 2023: “La Germania mente: Le spedizioni di armi cinesi alla Russia non violerebbero il diritto internazionale”.

La “nuova distensione

Per semplificare eccessivamente la confluenza di queste complesse tendenze, gli Stati Uniti hanno dato priorità al contenimento della Russia per facilitare il contenimento della Cina, ergo l’ultima fase del conflitto ucraino che hanno provocato attraverso l’operazione speciale di Mosca in corso in quel paese. Nel corso della guerra per procura tra NATO e Russia che ne è seguita, gli Stati Uniti hanno riaffermato con successo la loro egemonia unipolare sull’UE, destabilizzando al contempo il sistema globalizzato da cui dipende la grande strategia della Cina, che ha così ottenuto un vantaggio su Pechino.

Ciò ha a sua volta spinto il presidente Xi a lanciare un tentativo di “nuova distensione” durante il vertice del G20 di Bali di metà novembre, durante il quale sperava che Cina e Stati Uniti potessero raggiungere una serie di compromessi reciproci volti a stabilire una “nuova normalità” nei loro legami. Lo scopo era quello di ritardare la fine dell’ordine mondiale bimultipolare, all’interno del quale queste due superpotenze esercitavano la massima influenza sulle relazioni internazionali, messa in discussione dall’ascesa dell’India nell’ultimo anno.

L’influenza dell’India che cambia le carte in tavola

Lo Stato dell’Asia meridionale è diventato in questo periodo una Grande Potenza di rilevanza globale grazie al suo magistrale gioco di equilibri tra il miliardo d’oro dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti e il Sud globale guidato dai BRICS e dalla SCO, di cui fa parte. Il suo ruolo di kingmaker nella nuova guerra fredda tra i due Paesi per la direzione della transizione sistemica globale ha permesso al resto del Sud globale di crescere sulla scia dell’India, rivoluzionando così le relazioni internazionali e accelerando l’emergere del tri-multipolarismo.

La suddetta sequenza di eventi ha conferito alla “Nuova distensione” sino-americana un senso di urgenza, poiché entrambe le superpotenze avevano motivi di interesse personale per riprendere il controllo congiunto di questi processi, sebbene il loro tentativo di riavvicinamento sia stato inaspettatamente deragliato dall’incidente del palloncino. La rinnovata influenza delle fazioni della linea dura sulla definizione delle politiche, che si è verificata all’indomani di quell’incidente, ha interrotto bruscamente i loro incipienti colloqui e li ha posti sulla traiettoria di un’intensa rivalità.

I grandi ricalcoli strategici della Cina

Parallelamente a questo sviluppo, la NATO ha dichiarato di essere in una cosiddetta “gara logistica”/”guerra di logoramento” con la Russia, il che implica che raddoppierà il suo sostegno militare a Kiev anche a spese del soddisfacimento delle esigenze minime di sicurezza nazionale dei suoi membri. Se questo blocco dovesse riuscire a fare breccia lungo la Linea di Controllo (LOC), potrebbe catalizzare lo scenario peggiore della “balcanizzazione” della Russia se queste dinamiche strategico-militari svantaggiose dovessero andare fuori controllo.

Sia il Presidente Putin che il suo predecessore Medvedev hanno recentemente messo in guardia da questa possibilità, che per ora rimane improbabile ma non può essere scartata, contribuendo così alla graduale ricalibrazione dell’approccio cinese alla guerra per procura tra NATO e Russia, in concomitanza con la fine della “Nuova distensione”. Ciò ha portato la Repubblica Popolare a considerare seriamente l’invio di aiuti letali al suo partner strategico per compensare lo scenario peggiore, provocando così le minacce di sanzioni da parte dell’Occidente.

“La grande triforcazione

Nel caso in cui la Cina si senta costretta dalla NATO ad aiutare la Russia in questo modo e il Miliardo d’Oro imponga sanzioni contro di essa in risposta, si prevede che potrebbe seguire un “decoupling” cino-europeo avviato dagli Stati Uniti sulla falsariga del precedente russo-europeo avviato dagli Stati Uniti. Il rapporto esclusivo di Reuters di mercoledì, che citava quattro funzionari statunitensi senza nome e altre fonti, ha ampliato il credito allo scenario precedente, rivelando che il “Golden Billion” sta effettivamente discutendo di sanzioni multilaterali.

Se questi due sviluppi dovessero verificarsi – la Cina che arma la Russia e poi viene sanzionata dal Miliardo d’Oro in modo tale da provocare il loro “disaccoppiamento” (graduale o istantaneo) – allora le relazioni internazionali entrerebbero in un periodo di tri-multipolarità caratterizzato dalla prominenza di tre poli che esercitano la maggiore influenza sugli affari globali, ma la cui influenza non sarebbe tuttavia assoluta, poiché sarà tenuta in qualche modo sotto controllo dalle potenze in ascesa e dai gruppi regionali.

L’ordine mondiale trimultipolare

I tre poli previsti sono il Miliardo d’oro dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti, l’Intesa sino-russa e il Sud globale di fatto guidato dall’India, che probabilmente continuerà a riunirsi informalmente in un nuovo Movimento dei non allineati (“Neo-NAM”). All’interno di quest’ultimo risiederanno potenze in ascesa come il Brasile, l’Iran, il Sudafrica e la Turchia, oltre a gruppi regionali come l’Unione Africana (UA), l’ASEAN e la Comunità degli Stati dell’America Latina e dei Caraibi (CELAC).

Ciascuna di queste tre categorie di attori – i tre poli, le potenze in ascesa e i gruppi regionali che si collocano al di sotto dei primi in questa gerarchia internazionale informale – dovrebbe bilanciarsi a vicenda attraverso un allineamento multiplo all’interno e tra i rispettivi livelli. Il ruolo dell’India sarà il più importante di tutti, poiché è in grado di facilitare il commercio tra il Miliardo d’oro e l’Intesa sino-russa nel caso in cui il loro potenziale “disaccoppiamento” venga portato all’estremo, cosa che non si può escludere.

Il ruolo di kingmaker dell’India

Inoltre, il fatto che l’India abbia ospitato virtualmente il vertice Voice Of Global South ha posizionato questo Stato-civiltà come centro di gravità per i suoi colleghi in via di sviluppo, il che rafforza la probabilità che il Neo-NAM continui a riunirsi informalmente attorno ad esso. Da lì, l’India può promuovere le proprie piattaforme finanziarie, tecnologiche e di altro tipo per fornire agli Stati del Sud globale una terza scelta neutrale tra il Miliardo d’oro e l’Intesa sino-russa nella nuova guerra fredda.

Anche le potenze in ascesa e i gruppi regionali che partecipano al Neo-NAM, non ufficialmente guidato dall’India, potrebbero sviluppare le proprie piattaforme, ma quella indiana potrebbe diventare lo standard per facilitare l’impegno tra loro nelle fasi iniziali. Parallelamente, i forum globali come l’ONU e il G20 non avranno più molto significato se non quello di fungere da club di discussione, mentre i gruppi regionali e guidati da interessi sostituiranno il loro ruolo precedente nel promuovere una cooperazione tangibile tra i Paesi.

Riflessioni conclusive

L’imminente evoluzione della transizione sistemica globale verso la tripolarità potrebbe vedere il Miliardo d’oro dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti, l’Intesa sino-russa e il Sud globale di fatto guidato dall’India diventare i poli più importanti delle relazioni internazionali, al di sotto dei quali si troverebbero le potenze in ascesa e i gruppi regionali. Tutti gli attori si bilancerebbero l’un l’altro, allineandosi all’interno e tra i rispettivi livelli, il che potrebbe portare a stabilizzare gli affari globali molto più di quanto abbiano fatto i precedenti ordini unipolari e bimultipolari.

https://korybko.substack.com/p/towards-tri-multipolarity-the-golden

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Voi e l’esercito di chi?_di Aurelien

Voi e l’esercito di chi?

La NATO farebbe bene a rimanere fuori dall’Ucraina.

di Aurelien

https://aurelien2022.substack.com/p/you-and-whose-army

 

I will do such things –
What they are yet I know not, but they shall be
The terrors of the Earth! – 
Shakespeare, King Lear.

 

Politici ignoranti e opinionisti confusi hanno fatto rumore di recente, minacciando, o addirittura fantasticando, su una sorta di intervento formale della NATO in Ucraina. In generale, non hanno idea di cosa stiano parlando e di quali sarebbero le implicazioni pratiche di un intervento. Ecco alcuni esempi del perché è un’idea stupida.

 

Nel gennaio del 1990, mi trovavo nel quartier generale della NATO a Bruxelles per una riunione di routine. Era una di quelle giornate fredde e umide in cui il Belgio è specializzato, ma c’era molto di più dietro l’atmosfera gelida e da mausoleo dei corridoi deserti. Negli ultimi mesi, il terreno si era continuamente mosso sotto i piedi della NATO e, non molto prima di Natale, la Romania, l’ultimo rimasuglio del Patto di Varsavia, era andata in fiamme. Nessuno aveva la più pallida idea di cosa sarebbe successo la settimana successiva, per non parlare del mese successivo, e la NATO cominciava ad assomigliare a un manifestante con un cartello per una causa già superata. Le capitali nazionali facevano fatica a tenere il passo con ciò che stava accadendo. Ho chiesto a un collega appena tornato da Washington cosa dicevano i falchi dell’Amministrazione Bush. La risposta è stata: “Sono sotto shock”.

 

Il fatto che la NATO esista ancora quasi trentacinque anni dopo, e che ora abbia il doppio dei membri di allora, ha incoraggiato alcune persone che non hanno prestato attenzione a credere che la NATO sia ancora la stessa potente organizzazione militare che era nel 1989, e che quindi basti minacciare un suo coinvolgimento formale in Ucraina, e i russi si allontaneranno. Non potrebbero essere più pericolosamente in errore.

Il fatto che la NATO sia sopravvissuta dopo il 1989 è stata una sorpresa per alcuni. Ma, come ho sottolineato, l’Alleanza aveva in realtà una serie di scopi utili per gli Stati europei e, in ogni caso, il mondo stava cambiando così rapidamente che non solo era impossibile trovare un accordo intorno a con che cosa sostituirla, ma era anche impossibile sapere che tipo di compiti avrebbe dovuto svolgere una futura organizzazione. Le organizzazioni non si chiudono all’improvviso e, in ogni caso, la NATO aveva ancora molto da fare. Quel giorno del gennaio 1990, la NATO era ancora profondamente coinvolta nei negoziati per il controllo degli armamenti a Vienna, che avevano finalmente dato una degna sepoltura alla Guerra Fredda, e continuava ad avere molto da fare, mentre i partner negoziali dall’altra parte del tavolo iniziavano ad avere quelli che si potrebbero definire problemi di coordinamento, e uno di loro si avvicinava al nostro lato del tavolo. Quando quella saga e le relative complicazioni furono finalmente risolte, la NATO si ritrovò in Bosnia, poi ad accogliere nuovi membri in un modo che non era stato previsto, poi in Kosovo, poi in Afghanistan. Tutto questo è stato essenzialmente improvvisato: non c’era un piano generale, se non un consenso pervasivo sul fatto che la NATO era più utile che no, e che era necessario trovarle cose da fare per mantenerla in vita.

 

Ma dietro le quinte stavano cambiando molte cose. La struttura militare della NATO, creata in preda al panico dopo la guerra di Corea e sempre pronta a mobilitarsi con breve preavviso, non serviva più a nulla. All’inizio lentamente, poi sempre più rapidamente, i contingenti nazionali che avevano costituito le sue forze permanenti cominciarono a sciogliersi. Una dopo l’altra, le nazioni europee abbandonarono il servizio di leva nazionale, ridussero radicalmente le dimensioni delle loro forze militari e sospesero le procedure di mobilitazione. Le forze statunitensi tornarono progressivamente a casa. La generazione di equipaggiamenti militari che stava entrando in servizio all’epoca è stata infine dispiegata, in numero ridotto, e per la maggior parte è ancora in servizio. I carri armati e gli aerei che la NATO intende inviare in Ucraina (il Challenger II, il Leopard II, l’F-16) sono essenzialmente progetti degli anni ’70, anche se molto aggiornati.

 

Il riconoscimento che la capacità della NATO di condurre una guerra seria è l’ombra di ciò che era un tempo sta lentamente iniziando a diffondersi nella comunità strategica, che non vi ha prestato attenzione nell’ultima generazione o giù di lì, perché aveva lo sguardo fisso sull’Afghanistan e sull’Iraq. Ma in realtà la situazione è molto peggiore, e come spesso accade i veri problemi sono nascosti nelle complessità tecniche. Ne tratterò brevemente alcuni, per spiegare perché l’intervento della NATO in Ucraina non è realmente possibile, se fosse possibile non sarebbe auspicabile, e anche se fosse auspicabile sarebbe totalmente inefficace, e persino pericoloso. Poiché non ho una formazione militare, lascerò questa parte agli esperti e mi concentrerò sulle questioni più ampie.

 

Dato che di recente i britannici hanno emesso alcuni dei rumori più bellicosi, analizziamo cosa è cambiato in quel paese dai tempi della Guerra Fredda. Nel 1989, l’esercito britannico del Reno poteva schierare un corpo d’armata completo di quattro divisioni, circa 55.000 soldati, pronti a essere rinforzati in guerra da quasi altrettanti riservisti e unità regolari provenienti dal Regno Unito. (C’era anche una potente componente aerea. Durante la cosiddetta fase di transizione verso la guerra, la mobilitazione sarebbe avvenuta con poteri bellici d’emergenza, togliendo le persone dai posti di lavoro e requisendo le risorse logistiche e di trasporto per trasferire decine di migliaia di combattenti in Europa, mentre le famiglie venivano evacuate nella direzione opposta. Il governo normale sarebbe stato sostituito e il Parlamento si sarebbe, di fatto, dissolto. Decine di migliaia di altre truppe sarebbero state mobilitate per la difesa interna. Si sarebbero introdotte misure di difesa civile per far fronte ai bombardamenti e alle operazioni di sabotaggio previsti. Il governo stesso sarebbe stato disperso e i ministri avrebbero operato come commissari regionali.

Anche sul continente, naturalmente, si stavano prendendo disposizioni simili. Milioni di riservisti sarebbero stati richiamati, inviati alle loro unità e, in alcuni casi, trasferiti a centinaia di chilometri nelle loro sedi di guerra. La vita ordinaria si sarebbe di fatto fermata, perché la mobilitazione avrebbe richiesto tutte le risorse delle nazioni coinvolte. Questo è il significato della “guerra” moderna: perché i russi dovrebbero accettare ora un accordo che ci causa meno problemi? Perché dovrebbero accettare una sorta di “guerra light”, limitata solo all’Ucraina?

 

C’è quindi da chiedersi se le nullità che parlano di “guerra” con la Russia abbiano una qualche idea di cosa significhi, e se capiscano come al giorno d’oggi non esistano nemmeno i meccanismi più elementari per renderla possibile. Tanto per cominciare, la guerra non è solo qualcosa che facciamo agli altri. Non si tratta di salutare i ragazzi che salpano per andare a combattere in un paese straniero, ma di combattere deliberatamente con qualcuno che può farci molto più male di quanto noi possiamo farne a lui. Le implicazioni pratiche sono molteplici: vediamo solo alcune delle più importanti.

 

Oggi nessuno “dichiara guerra”. Dopo il processo di Norimberga e la Carta delle Nazioni Unite, in cui le nazioni si impegnano ad astenersi dall’uso della forza, non è più possibile iniziare proattivamente uno stato di guerra con un’altra nazione. Dire, come alcuni hanno fatto, “siamo in guerra con la Russia” non ha quindi alcun senso, se non come slogan politico. Non ha alcuna forza legale. L’unico organo in grado di “dichiarare guerra” è il Consiglio di Sicurezza, e questo non accadrà in questo caso. Poiché i russi si sono guardati bene dall’attaccare il territorio della NATO o dall’impegnare deliberatamente le forze della NATO, non si può parlare di “stato di guerra” con le nazioni della NATO.  Esiste invece uno stato di “conflitto armato”, che ha una sua definizione: essenzialmente violenza armata prolungata tra Stati o tra Stati e altri gruppi armati. Ma il “conflitto armato” è appunto uno stato di cose, non un processo o una dichiarazione, ed esiste o non esiste come questione di fatto e di diritto. Quindi, se è ovvio che esiste un conflitto armato in Ucraina, è altrettanto ovvio che gli Stati occidentali non ne sono parte. È quindi difficile capire come le fantasie dei politici bellicosi possano effettivamente realizzarsi.

 

L’unico modo in cui ciò potrebbe potenzialmente avvenire sarebbe se l’Ucraina facesse una richiesta formale di assistenza militare agli Stati occidentali. È così che i russi hanno giustificato le loro operazioni in Ucraina, sostenendo che stanno assistendo le repubbliche secessioniste nell’esercizio del loro diritto di autodifesa, che è preservato (anche se ovviamente non è stato stabilito) dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Ma non è chiaro cosa significherebbe in pratica e fino a che punto le forze occidentali potrebbero effettivamente spingersi. Attacchi diretti al territorio russo, ad esempio, sarebbero probabilmente esclusi se si utilizzasse questo argomento.

Ma mettiamo che in qualche modo questi problemi possano essere superati e che si annunci con gioia che le nazioni della NATO entreranno nel conflitto come belligeranti a tutti gli effetti. Questo farebbe tremare i russi, non è vero? In realtà no. Vedete, se siamo in stato di guerra con un altro Paese e siamo liberi di attaccarlo, allora anche lui è libero di attaccarci. Non c’è modo di circoscrivere un simile conflitto all’Ucraina e non c’è motivo per cui i russi dovrebbero volerlo fare. Quindi la prima conseguenza è che le nazioni della NATO, le forze della NATO e gli obiettivi della NATO sarebbero esposti all’attacco immediato della Russia, in un momento in cui i sottocomitati stanno ancora lavorando a Bruxelles per cercare di generare forze. Cosa farebbero quindi i russi?

 

In uno stato di guerra, qualsiasi “obiettivo militare” può essere attaccato. In pratica, oggi questo significa unità militari, quartieri generali militari, la catena decisionale politica per la guerra e le infrastrutture di trasporto, energia, industria ecc. necessarie per sostenerla. Ora non sappiamo, e i russi ovviamente non ce lo diranno, quali siano le loro capacità di attacco a lungo raggio con armi convenzionali. Non sappiamo, ad esempio, di quali capacità dispongano per bombardare gli Stati Uniti con munizioni convenzionali da navi e sottomarini e se intendano usarle, ma non sarebbe saggio escludere questa possibilità. Ma dobbiamo presumere, anche solo a fini di pianificazione, che abbiano modo di colpire obiettivi importanti nella maggior parte o in tutti i Paesi occidentali, con missili lanciati da aerei, navi o sottomarini. Se limitiamo in modo molto prudente le capacità russe all’attacco di venticinque obiettivi principali, cosa potrebbero fare, tenendo presente che la NATO non ha una difesa efficace contro tali attacchi? Alcuni obiettivi sono ovvi: il Pentagono e la Casa Bianca, ad esempio, o le sedi della CIA e della NSA. Il quartier generale della NATO a Bruxelles non resisterebbe a lungo, così come il suo quartier generale militare a Mons. Anche i ministeri della Difesa, i quartieri generali militari e le cancellerie delle principali potenze europee possono essere considerati obiettivi probabili.

 

Ma ovviamente i russi non sono obbligati a consegnare una lista di obiettivi e quindi, in pratica, gli Stati occidentali dovrebbero considerare centinaia di siti come potenziali bersagli, a seconda delle scorte di missili di cui i russi dispongono e di come decidono di usarli. Ovviamente, tutti gli aeroporti militari sarebbero potenziali obiettivi. Ma mentre si concentrano le forze di terra in un momento di tensione, si disperdono le forze aeree. Durante la Guerra Fredda, molti Paesi tenevano in stand-by campi d’aviazione di riserva: mi stupirei se ce ne fossero molti oggi. In pratica, gli aerei dovrebbero essere dispersi in aeroporti civili, che diventerebbero obiettivi militari e dovrebbero essere chiusi ai voli civili. Tutte le basi militari, le guarnigioni militari, i quartieri generali, le strutture di stoccaggio delle munizioni, i depositi di riparazione, le basi navali, i porti civili in cui le navi militari potrebbero essere disperse, le strutture di raccolta dell’intelligence e i principali snodi di trasporto, tra le altre cose, dovrebbero essere considerati obiettivi potenziali.

 

Tutto questo è importante per due motivi. In primo luogo, nessun governo oggi ha preso provvedimenti seri per continuare a gestire il Paese durante una guerra convenzionale, con il rischio di attacchi aerei e missilistici. All’inizio della Guerra Fredda, i governi avevano previsto di nascondersi in rifugi speciali durante la fase convenzionale di una guerra, alcuni dei quali esistono ancora. Ma verso la fine, le armi nucleari erano diventate così precise e potenti che si riteneva molto improbabile che una di queste strutture potesse sopravvivere a un successivo attacco nucleare, e quindi tendevano a cadere in disuso. Quindi, di fatto, i Paesi della NATO non solo non sono in grado di difendersi da un attacco missilistico convenzionale, ma non hanno nemmeno i mezzi per proteggere la cosiddetta “continuità di governo” da tali attacchi. Quindi un missile sul Palazzo dell’Eliseo, uno sul Ministero della Difesa e uno sul Quartier Generale delle Forze di Terra a Lille, e questo sarebbe tutto per la Francia, ad esempio.

 

In secondo luogo, sebbene la nuova generazione di missili russi sia presumibilmente piuttosto precisa, dobbiamo ricordare che la precisione è relativa e non può essere garantita. La precisione viene normalmente espressa in base a una misura nota come Errore Circolare Probabile, o CEP. Si tratta del raggio dal bersaglio entro il quale si prevede che il cinquanta per cento dei missili cadrà. Non vengono fornite garanzie su dove atterrerà il restante cinquanta per cento. Quindi, se un missile ha un CEP di 200 metri, il cinquanta per cento delle volte si prevede che atterri entro un cerchio di 400 metri di diametro, il cui epicentro è il bersaglio previsto. Alla luce di ciò, del raggio d’azione delle esplosioni e della tendenza di alcuni missili a perdersi, si può affermare che chiunque o qualsiasi edificio si trovi nel raggio di un chilometro da un potenziale obiettivo di alto valore è potenzialmente a rischio. In tutto il mondo occidentale, centinaia di migliaia di persone vivono spesso vicino ad aeroporti, porti marittimi e sedi centrali. (Il quartier generale permanente del Regno Unito si trova in un tranquillo sobborgo di Londra).

In molte città europee, le strutture governative e militari sono raggruppate nel centro della capitale. Ciò significa che gran parte del centro stesso della città sarebbe a rischio. Nella maggior parte dei Paesi non è affatto chiaro dove il governo potrebbe trasferirsi, in caso di crisi, per continuare a operare. Anche se fosse possibile evacuare le figure di spicco del governo in un luogo nominalmente più sicuro, sarebbe necessario chiudere completamente al pubblico almeno il centro di alcune città (poiché alcuni servizi governativi dovrebbero rimanere e quindi essere obiettivi) e non ci sarebbe modo di prevenire l’evacuazione spontanea di decine o centinaia di migliaia di residenti comuni. In effetti, con i moderni livelli di possesso di automobili, le autostrade sarebbero presto intasate di persone in fuga da siti che si prevede, o si dice, siano sulla lista degli obiettivi russi. Nessun governo moderno ha piani per l’evacuazione e l’alloggio di un gran numero di rifugiati, al giorno d’oggi, e nemmeno per gestire un esodo popolare spontaneo. Tutto questo, ovviamente, comincerebbe ad accadere prima che il primo missile russo venga lanciato, ammesso che ne venga lanciato uno. Il fatto che i governi occidentali debbano spiegare che non esiste una difesa efficace contro tali missili, e che non ci sono piani né strutture per proteggere la popolazione civile da essi, non aiuterebbe nemmeno a calmare il clima politico. Nessun governo occidentale ha le forze o i piani disponibili per contenere il panico e la confusione che probabilmente ne deriverebbero.

 

Ma sicuramente, direte voi, l’opinione pubblica occidentale sarà confortata dal pensiero che le proprie forze stanno eseguendo una punizione contro la Russia? Non è detto. Semplicemente, le nazioni occidentali hanno visto una scarsa necessità di missili convenzionali a lungo raggio e non si sono impegnate molto per svilupparli. I più noti sono i missili da crociera subsonici della famiglia Tomahawk, con gittate che si aggirano per lo più intorno ai 1000-1500 km e con una testata di circa 500 kg (più o meno equivalente a una singola bomba sganciata da un bombardiere tedesco nel 1940). Queste armi possono essere efficaci, ma vengono lanciate da navi e sottomarini e quindi i bersagli devono essere abbastanza vicini al mare. A questo punto è utile prendere una mappa.

 

La prima cosa che colpisce è che la Russia è un posto grande. La seconda è che Mosca è molto lontana. I missili Tomahawk lanciati dal Baltico o dal Mediterraneo orientale potrebbero avere la gittata necessaria per raggiungere Mosca, almeno in teoria. D’altra parte, come la stessa opinionista ricorda di aver detto, la Russia ha ereditato dall’Unione Sovietica il sistema di difesa aerea più completo del mondo. Quale sia la sua efficacia contro i missili da crociera subsonici ma a bassa quota, non lo sanno nemmeno gli esperti. Detto questo, la NATO non può rappresentare per la Russia la stessa minaccia che i nuovi missili russi possono rappresentare per i Paesi della NATO, e si deve presumere che i russi sarebbero in grado di individuare e colpire il sistema di lancio della NATO stessa. Gli aerei con equipaggio che tentano di sganciare bombe convenzionali su Mosca da basi in Europa, anche se ne avessero il raggio d’azione, potrebbero subire perdite tali che nessun governo ne riterrebbe utile l’uso.

 

Ma supponiamo che le città e le aree bersaglio possano essere evacuate in sicurezza e che i governi e le economie occidentali possano essere messi in condizioni di guerra. La potenza aerea e i missili saranno inefficaci, quindi l’unica vera opzione è quella di formare e dispiegare una forza multinazionale meccanizzata di qualche tipo, presumibilmente per aiutare gli ucraini a recuperare il territorio che rivendicano come proprio.

 

Ebbene, fermiamoci qui. Le nazioni occidentali non sanno più come fare queste cose. Sto parlando della dottrina militare: l’insieme dei principi che indicano ai comandanti come combattere. La NATO non ne ha per le operazioni offensive meccanizzate lontano dal territorio nazionale, e non ne ha mai avute. Durante la Guerra Fredda l’orientamento della NATO, e quindi la sua dottrina, era difensivo. Il presupposto era che le sue forze avrebbero affrontato un attacco da parte di un nemico più grande e più potente, e che avrebbero condotto una ritirata combattiva, sperando di fermare l’incursione nemica il più vicino possibile al confine con la Germania interna. In ogni momento, quindi, le forze della NATO avrebbero ripiegato sulle proprie linee di rifornimento, verso le proprie riserve e i propri depositi di manutenzione e rifornimento, mentre le forze nemiche si sarebbero progressivamente allontanate dalle loro.

 

Per quanto ne so, i comandanti della NATO non si sono mai addestrati o esercitati per una guerra meccanizzata aggressiva a lunga distanza, e non esiste una dottrina al riguardo, il che significa che nessuno sa come farla, né tanto meno come integrare le forze di terra con quelle aeree e con altri mezzi. In Bosnia, la NATO era un esercito di occupazione, che non combatteva. Dopo la campagna aerea contro la Serbia, la situazione in Kosovo era simile. In Afghanistan, la NATO in quanto tale si è schierata solo dopo la sconfitta del regime talebano e la maggior parte delle sue attività sono state di controinsurrezione su piccola scala. L’equivalente più vicino al tipo di operazione che sarebbe necessaria in Ucraina (anche se allora con forze soverchianti e completa superiorità aerea) è stato l’Iraq del 2003, ma i comandanti anziani di quell’epoca sono andati in pensione da tempo e la conoscenza istituzionale è andata perduta.

Inoltre, sebbene negli eserciti occidentali esistano ancora unità a dimensione di brigata, si tratta sempre più di formazioni amministrative, che raramente o mai si addestrano insieme. Qualsiasi forza occidentale dovrebbe passare settimane o mesi ad addestrarsi insieme, con tanto di riservisti mobilitati, prima di poter essere considerata pronta a schierarsi. Poi, naturalmente, dovrebbe addestrarsi con brigate di altre nazioni, il tutto in assenza di una dottrina militare coerente e concordata. Poiché a quel punto la NATO avrebbe inevitabilmente dovuto ammettere di essere in stato di guerra con la Russia, si può solo sperare che i russi, sportivamente, non prendano di mira le unità mentre si addestrano.

 

E soprattutto, quale sarebbe l’obiettivo? “Uccidere russi” non è un obiettivo militare. Quando il Comandante supremo delle Forze Alleate in Europa si presenta al Consiglio Nord Atlantico dopo tutti questi preparativi e dice “cosa volete che faccia?”, sarà meglio che riceva una risposta. Ma non c’è, o per essere precisi non c’è nemmeno una risposta che risponda al clamore politico. Con notevoli difficoltà (vedi sotto) alcune unità militari occidentali potrebbero essere trasportate nell’Ucraina occidentale, dove potrebbero formare un presidio improvvisato intorno ad alcune delle principali città ucraine. Questo potrebbe essere politicamente efficace nel breve termine, ma le forze stesse sarebbero completamente esposte, poiché potrebbero essere attaccate dai russi senza essere in grado di rispondere. E non è certo quanto a lungo le opinioni pubbliche occidentali accetterebbero di avere i loro interi eserciti utilizzabili legati in una posizione statica in Ucraina. Inoltre, molte unità da combattimento europee dipendono pesantemente dai riservisti: l’unica unità da combattimento seria dell’esercito olandese, ad esempio, la 43esima brigata meccanizzata con la sua manciata di carri armati, conta sui riservisti per circa un quarto della sua forza operativa: per quanto tempo è possibile tenerli lontani dal loro lavoro e dalle loro famiglie?

 

Ma ovviamente, per cominciare, bisogna portarli fino a quel punto. Nella Guerra Fredda, le truppe della NATO (e anche quelle sovietiche) si trovavano essenzialmente nelle posizioni in cui avevano combattuto nel 1945. In entrambi i casi, hanno occupato strutture esistenti della Wehrmacht. Nel corso dei decenni, nuove unità e nuove attrezzature sono state costruite a poco a poco, sono stati edificati alloggi e così via. Questo tipo di infrastruttura dovrebbe essere riprodotta in Ucraina e, anche se venissero utilizzate le strutture dell’UAF, ci sarebbe comunque un massiccio programma di dispiegamento e di costruzione di infrastrutture che richiederebbe anni.

 

E in ogni caso, i combattimenti non sono lì. Si svolgono a circa mille chilometri a est, quindi le truppe della NATO dovrebbero spostarsi di nuovo, a una distanza pari all’incirca a quella che separa Parigi da Monaco, solo per raggiungere il luogo dei combattimenti. Non credo ci siano precedenti nella storia per questo tipo di movimento di attrezzature pesanti e di uomini su una tale distanza, sotto attacco aereo e missilistico, e a contatto con forze superiori.

 

I carri armati occidentali della Guerra Fredda, come il Leopard, il Challenger e l’M1, sono stati costruiti per combattere una guerra difensiva. Sebbene alcuni modelli fossero più leggeri di altri, tutti dovevano utilizzare le eccellenti infrastrutture, i solidi ponti e i sistemi ferroviari dell’Europa occidentale e iniziare la guerra non molto lontano dal luogo in cui erano stanziati. Il solo fatto di portarli in prima linea, con i loro veicoli per il recupero e i pezzi di ricambio, ecc. sarebbe stata una sfida. Ma ovviamente c’è di più. Anche i veicoli cingolati corazzati “leggeri” non possono facilmente muoversi lungo alcune strade senza danneggiarle, o attraversare tutti i ponti. Per avere un’idea di cosa comporterebbe lo spostamento di una brigata, anche su terreni permissivi, date un’occhiata a questo diagramma di una tipica brigata di fanteria corazzata britannica. Vedrete che ha circa 500 veicoli da combattimento, di cui circa il dieci per cento sono carri armati principali, che a loro volta richiederebbero grandi e pesanti trasportatori per spostarli a qualsiasi distanza. A questi vanno aggiunti i veicoli di recupero, i veicoli per le riparazioni, i veicoli per i meccanici, i veicoli medici e tutta una serie di veicoli di trasporto e di rifornimento. Tutto questo potrebbe facilmente portare a una colonna lunga una decina di chilometri, che deve viaggiare lungo percorsi autorizzati e protetti attraverso la maggior parte dell’Europa. (Per tacere dell’attraversamento del Canale della Manica). Una volta in posizione, la Brigata dovrebbe essere rifornita, fornita di nafta, olio e lubrificanti, ricambi e materiali di consumo, officine e un piccolo ospedale. Se dovesse entrare in azione, le vittime dovrebbero essere evacuate, i rinforzi dispiegati e le attrezzature danneggiate riparate, se possibile, poiché è improbabile che possano essere sostituite. E questa è solo una Brigata di un Paese.

 

Quante brigate di questo tipo la NATO potrebbe effettivamente schierare? Nessuno lo sa, ma la stima migliore sembra essere tra le sei e le dieci, tenendo presente che, se siamo in guerra con la Russia, potrebbe essere utile avere anche qualche truppa in patria. Lascio agli esperti militari giudicare il valore di una forza meccanizzata leggera di queste dimensioni, ma onestamente dubito che Mosca sia troppo preoccupata.

 

E questo è il problema. L’Occidente è così inebriato dalla percezione della propria potenza che presume che anche gli altri lo siano. Dopo tutto, gli Stati Uniti spendono per la difesa molto più della Russia, quindi dovrebbero essere molto più potenti, no? Ebbene, in alcuni settori, come i gruppi tattici di portaerei, lo sono. Ma i russi non vogliono giocare a questo gioco: vogliono giocare alla guerra terrestre/ aerea ad alta intensità in Europa, un gioco a cui l’Occidente ha sostanzialmente rinunciato una generazione fa e che può giocare solo per una o due settimane al massimo prima di esaurire le munizioni. L’altra illusione è che l’Occidente sia intoccabile. Non oserebbero mai lanciare un missile sul quartier generale della NATO, vero? Voglio dire, se lo facessero, noi… noi… beh, cosa faremmo? Le minacce nucleari sono riconosciute come pericolose, inutili e irrilevanti. Come Re Lear nella citazione all’inizio di questo saggio, la NATO farà… qualcosa, quando capirà cosa. Ma se fossi nei russi sarei scettico: dopo tutto, ricordate cosa è successo a Lear.

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DALLA NOVOROSSYA AL DANUBIO. (1/2), di Daniele Lanza

DALLA NOVOROSSYA AL DANUBIO. (1/2)
(prologo alle note storiche su Moldavia e Romania, ripubb. 2018*)
Illustrando senza impegno qualcosa sulle origini di Odessa ho menzionato Iași (o Jassy) : temo che circa la metà del mio pur colto pubblico ignori cosa sia (tra il pubblico generale il 99,9% credo, quindi su col morale), ma non c’è dramma si rimedia in un attimo : si tratta di una modesta cittadina ad est dei Carpazi, entro i confini dell’attuale Romania.
In tal luogo, dopo un lustro di conflitto tra russi ed ottomani, viene firmato un trattato di pace che determina la cessione da parte turca della regione costiera tra il DNEPR e il DNESTR (primo fiume di Ucraina e primo fiume di Moldavia, rispettivamente) : tale territorio, chiamato “Yedisan” sotto amministrazione ottomana, è pertanto annesso all’impero di Russia dal 1792 e nella nuova compagine è ribattezzato “Херсонская губерния” (governatorato di Xerson).
Questo nuovo governatorato non si intende essere una qualsiasi unità amministrativa risultato di un temporaneo successo militare, ma si colloca a sua volta nel più ambizioso progetto di colonizzazione voluto dall’imperatrice Caterina II in persona (la Novorossiya, per l’appunto….che poi, ancora a sua volta, è un primo grande tassello di un gioco geopolitico e culturale smisurato come il piano di “rinascita greca” vagheggiato dalla nostra visionaria monarca, finalizzato al riaffermarsi di Costantinopoli) : in tale contesto sorgono nuovi centri abitati il più importante dei quali sarà Odessa, fondata appena 2 anni dopo il trattato di pace (1794). Una marcia lunga, mitologica (!) non solo in senso geografico, quanto morale, spirituale, quella sognata dall’imperatrice dal palazzo d’inverno, verso le porte di Bisanzio. Di tutto questo abbiamo già accennato.
A questo punto occorre scrutare l’intero scacchiere geografico da una prospettiva più globale al fine di ottenere una visione di insieme che consenta di gestire quel groviglio di fatti e relazioni alla base degli eventi che seguiranno (prestar attenzione pertanto).
Il 18° secolo volge al termine, consegnando a quello che segue un quadro denso di incognite, tanto ad occidente quanto a oriente : se ad un capo del continente osserviamo le macerie di una Francia rivoluzionaria prossima alla rinascita sotto le ali di una piccola fenice che sorge dalla Corsica (…), dall’altro si assiste all’atto di morte del regno lituano-polacco, il cui annullamento porta via con sé anche il fondamentale punto di equilibrio tra potenze vigente nell’Europa centro-orientale da quasi 400 anni.
Di questa disintegrazione definitiva si avvantaggiano le “tre aquile” (Prussia, Austria, Russia) : queste si contendono con bel garbo, pianificatamente, le spoglie polacche : per quanto concerne la Russia imperiale significa un generale spostamento dei confini verso occidente……
Questo è il punto : il tramonto della tarda età moderna vede il continente zarista più prossimo che in passato ai gangli vitali d’Europa, oramai a stretto contatto con i principali attori che regolano l’esistenza del vecchio mondo. Non si tratta più di assorbire o annettere vaste aree disabitate dell’Asia boreale o centrale e sottometterne le popolazioni (sovente allo stadio tribale), bensì di mirare regioni comparativamente minuscole ma DENSAMENTE abitate, anticamente civilizzate e già possesso di potenze militari più moderne che la Russia stessa. Le facili conquiste NON riguardavano certo il vecchio continente, dove conquistare una provincia richiedeva assai più risorse che non annettere una regione 20 volte più estesa in SIBERIA o in estremo oriente (per fare un confronto).
Ora, l’esito della guerra russo-turca prima accennata (1787-92) che si conclude con la creazione del governatorato di Kherson e la fondazione di Odessa, si inserisce a suo modo nel trend globale appena accennato : i successori di Caterina II avranno a che fare (sul mar Nero) con un confine maggiormente esteso sì, ma ora anche a distanza ravvicinata coi possedimenti ottomani sul continente : in pratica l’impero russo ora confina direttamente con i BALCANI sotto dominio del Sultano, punto troppo nevralgico per non causare problemi futuri (e così sarà).
Visualizziamo questo per iniziare : alla vigilia della collisione russo-turca, la porzione più nord-orientale dei domini ottomani nei Balcani (in realtà già fuori di essi) comprende 2 principalità, ossia territori autonomi , ma formalmente ancora sotto l’egida del sultano : MOLDAVIA e VALACCHIA……..
(continua)
PARLAMENTO MOLDAVO DICHIARA IL ROMENO LINGUA UFFICIALE.
(lettura consigliata*) = Passa in prima lettura il disegno di legge per modificare la costituzione della Moldavia in merito all’idioma nazionale, designandolo come “rumeno” anzichè “moldavo”: l’iniziativa è presa dal principale partito filoeuropeo, mentre immediata è la reazione del blocco social-comunista filorusso dall’altra sponda (…).
D’accordo, inutile girarci attorno: il moldavo e il rumeno sono la STESSA lingua, lo si sa da sempre.
Il problema è che la volontà di aggiornare la costituzione moldava proprio ora ha a che fare con la politica e non con la linguistica e il suo iter svela più una strada di compromessi e doppi standard che non genuini intenti.
La Moldavia in quanto stato, emerge dalla grande casa sovietica nel 1991, sull’onda del grido “Libertà ai popoli” (se si considera l’URSS un “impero”, come la vedeva Washington, e sorvolando sul fatto che al referendum autonomo sul mantenimento dell’unione quel medesimo anno, una buona parte di moldavi si espresse per il mantenimento della Cccp).
Nasce dunque come stato nazionale (ossia per principio di indipendenza propria) e non come “regione irredenta” della vicina Romania (ossia non in funzione dell’unificazione ad un altro stato), riunificazione alla quale non viene presa in considerazione dal nuovo governo moldavo e nemmeno sostenuta dall’occidente per i molti anni a seguire (per due ragioni in essenza: in primo luogo la non necessità dato che l’area in sè sullo scacchiere bellico contava molto poco……venendo quindi semplicemente dimenticata. Il fatto stesso che la crisi della Transnistria sia stata snobbata per decenni ne è un segnale). In secondo luogo, dato che la Romania all’epoca ancora non era nell’Alleanza atlantica e non sarebbe stato saggio promuovere un espansionismo rumeno verso est senza prima aver garanzia assoluta di fedeltà.
Adesso, sull’onda degli eventi, lo scacchiere moldavo (dimenticato per 30 anni letteralmente), acquisisce un valore, proprio per la questione Transnistria e degli armamenti che racchiude a Tiraspol: conviene quindi che stato moldavo diventi parte dello scudo atlantico contro il Cremlino è chiarissimo. DEVE essere così. Ma come fare ? L’Ucraina non può semplicemente invadere la Transinistria: sarebbe una mossa imbarazzante che metterebbe in discussione lo status di “vittima pacifica” di cui Kiev si serve da un anno con ottimo successo.
Allora si rispolvera il piano B (!): in fondo Moldavia e Romania sarebbero sorelle su un piano etno-linguistico…non ci sarebbe quindi nulla di male se VOLONTARIAMENTE lo stato moldavo volesse ricongiungersi a quello rumeno. La volontà dei popoli non si può negare ! Sarebbe democratico ! E così assorbendo la Moldavia nella Romania si ottiene di farne entrare il territorio automaticamente nell’ombrello Nato, senza nemmeno dover passare traverso un iter burocratico (la Romania è già membro infatti). I confini dell’Alleanza atlantica si ritroverebbero così ulteriormente espansi verso oriente, in pieno spirito democratico (come in tutti gli altri casi dell’est Europa, fino ad oggi).
Viva gli irredentismi dunque ?
Solo, di che genere di irredentismi parliamo ? Storico/culturale o culturale/politico ?
La Moldavia era sotto l’ombrello russo da molto prima che l’Unione Sovietica: lo era sin dai tempi dell’impero zarista, da quasi un secolo, quando fu strappata all’impero ottomano. Un’area che acquisisce una sua modernizzazione entro le maglie dello stato russo/sovietico in seguito (entra nella contemporaneità in simbiosi ad esso). La Moldavia esiste per via di questo sviluppo separato rispetto alla vicina Romania: un percorso divergente in un’era cruciale per lo svilupparsi delle identità nazionali. La Moldavia non sarà Russia (benchè il 90% delle persone sa esprimersi in quella lingua), ma non è nemmeno più Romania, questo è il problema non compreso.
Ora, si vuole TAGLIARE nettamente con tutto questo, ignorare tali considerazioni e dare prevalenza al fattore etno-linguistico ?
Allora……perchè non anche l’Austria e la Germania ? Parlano la medesima lingua.
E perchè non Russia e Ucraina ? Sono state in simbiosi per 500 anni (non come colonia).
Signori……….gli irredentismi valgono per tutti alle stesse regole, altrimenti approviamo pericolosi doppi standard.

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Guerra russo-ucraina: l’offensiva di Schrödinger, di Big Serge

Guerra russo-ucraina: l’offensiva di Schrödinger

Una divagazione sulla struttura delle forze, sulla Moldavia e su una fortezza nella steppa

di Big Serge

https://bigserge.substack.com/p/russo-ukrainian-war-Schrödingers

1 Guerra invernale nella steppa

 

Dov’è la grande offensiva russa? Questa è, al momento, la domanda da un milione di dollari che inevitabilmente si intromette in qualsiasi discussione sull’attuale corso della guerra. Probabilmente non è sorprendente (almeno per coloro che conoscono la natura umana) che questa domanda diventi un test di Rorschach in cui ognuno legge le sue proprie ipotesi sull’esercito russo.

 

Le risposte a questa domanda sono in effetti molto diverse. Da un lato, c’è chi crede che centinaia di migliaia di truppe russe siano pronte a lanciare un’enorme offensiva, una “grande freccia sulla mappa” in qualsiasi momento. Lo dicono sia commentatori come il colonnello statunitense in pensione Douglas MacGregor sia alcune fonti ucraine, che probabilmente cercano di fomentare un senso di urgenza per ottenere maggiori aiuti dall’Occidente. All’estremo opposto, c’è chi sostiene che le forze armate russe sono talmente esaurite che non ci sarà alcuna offensiva. Ci sono anche alcuni esponenti dell’intellighenzia occidentale del Ministero dell’Illuminazione Pubblica e della Propaganda del Reich, come l’Istituto Nuland per lo Studio della Guerra o Michael Koffman, che sostengono che l’offensiva sia già iniziata, ma che sia così debole e zoppa che nessuno se n’è accorto.

Ok. Quindi, o un’offensiva gigantesca avverrà da un momento all’altro (potrebbe essere appena iniziata mentre scrivo), o non avverrà mai, o è già avvenuta, o forse è in uno stato di sovrapposizione quantistica in cui è sia riuscita che fallita, almeno finché non apriamo la scatola.

 

Una questione davvero spinosa. Al momento si stanno svolgendo molti combattimenti importanti e intensi in diversi settori del fronte – ma che relazione hanno queste operazioni con qualsiasi azione da “grandi frecce sulla mappa” da parte dei russi? Si tratta di un antipasto o di un’entrée poco soddisfacente?

 

Vorrei suggerire un’alternativa a tutte queste teorie, perché ciò di cui il mondo ha più bisogno in questo momento sono più opinioni.

 

Al momento, la Russia ha l’iniziativa su tutto il fronte. Le riserve dell’Ucraina sono in uno stato precario (soprattutto in considerazione del mandato politicamente imposto di cercare di accumulare forze per un’offensiva contro il ponte di terra verso la Crimea) e la Russia sta conducendo combattimenti ad alta intensità in settori importanti.

 

Queste operazioni, a mio avviso, servono contemporaneamente a tre scopi diversi. In primo luogo, sono operazioni di modellamento del campo di battaglia di per sé preziose, che hanno importanti implicazioni per il lancio di operazioni future. In secondo luogo, funzionano essenzialmente come attacchi di disturbo, in quanto mantengono alto il tasso di combustione al fronte e degradano la capacità dell’Ucraina di formare riserve. Come in una sorta di metafora, già si vocifera che alcuni dei nuovi carri armati Leopard ucraini saranno inviati in combattimento intorno a Bakhmut piuttosto che tenuti in riserva per una futura offensiva. Che la voce sui Leopard sia vera o meno, in termini di uomini l’Ucraina continua a pompare unità a Bakhmut, in uno spreco di uomini inconcepibile. In terzo e ultimo luogo, tutti i combattimenti a est si svolgono sotto un ombrello in cui le linee di rifornimento e l’ISR della Russia sono robusti, creando condizioni in cui l’Ucraina continua a operare con un rapporto di perdite abissale, rispetto ai russi.

 

La sintesi di tutti questi punti è che la Russia sta attualmente conducendo il logoramento dell’esercito ucraino e negando all’Ucraina qualsiasi possibilità di riguadagnare l’iniziativa operativa, perseguendo allo stesso tempo importanti obiettivi di modellamento del campo di battaglia. Ritengo che ciò avvenga sullo sfondo di un moderato, ma non catastrofico, disordine organizzativo e di una ristrutturazione delle forze armate russe, che stanno ritardando la disponibilità russa a lanciare un’offensiva su larga scala. In altre parole, l’attuale ritmo delle operazioni russe ottiene il logoramento generale delle truppe ucraine e implica che non sia necessario affrettare un’operazione ambiziosa fino a quando i problemi organizzativi non saranno risolti.

 

Nel resto di questo spazio, vorrei esaminare quali sono queste considerazioni organizzative ed esaminare due delle operazioni russe in corso (sugli assi Ugledar e Kreminna), esaminandole su una scala abbastanza ravvicinata. Accenneremo anche brevemente alle bizzarre voci di un imminente allargamento della guerra verso la Moldavia.

 

Mi scuso per il tempo che a volte trascorre tra un articolo e l’altro, ma come vedrete la mia scrittura spesso va in metastasi e queste voci diventano molto più lunghe di quanto inizialmente previsto, e potrebbero tecnicamente qualificarsi come novelle, in base al numero di parole. In ogni caso, spero che il volume e la qualità dei contenuti possano compensare l’intervallo, e in caso contrario la sezione dei commenti è aperta per esprimere il vostro disappunto e le vostre polemiche anti-Serge.

 

Organizzare un esercito

Per i giovani uomini, il fascino della guerra attraversa fasi distinte. Nella maggior parte dei casi inizia con l’equipaggiamento e la visione delle battaglie con “grandi frecce sul campo di battaglia”. Le dimensioni dei cannoni dei carri armati della Seconda Guerra Mondiale, ad esempio, rivestono probabilmente un interesse sproporzionato, tra i ragazzi di 8-16 anni. Loro vogliono soprattutto sapere delle grandi battaglie, dei grandi schemi di movimento e dei grandi cannoni.

 

Col tempo, però, si arriva alla conclusione ineluttabile che gli eserciti hanno una spina dorsale intensamente burocratica e che fattori apparentemente banali come la composizione delle unità, la logistica delle retrovie e gli organigrammi hanno enormi implicazioni sul campo di battaglia. È qui che entrano in gioco le temute tabelle dell’ordine di battaglia e i diagrammi delle unità, e inevitabilmente si deve iniziare a memorizzare il significato di quella miriade di piccoli simboli. Alla fine ci si rende conto che la costruzione delle unità e altri fattori organizzativi sono, entro i limiti del ragionevole, molto più importanti delle minuzie dell’equipaggiamento e degli armamenti, e che avreste dovuto contemplare gli aspetti burocratici per tutto il tempo, e che (tragicamente) la dimensione del cannone del carro armato Sherman Firefly non è stata in realtà un fattore particolarmente decisivo nella storia del mondo.

 

Per la cronaca, è ancora bello.

 

La Russia sta attualmente risolvendo i problemi organizzativi creati dal modello unico di servizio misto del Paese (che mescola soldati a contratto e soldati di leva), e in particolare il logorante Gruppo Tattico di Battaglione (BTG).

 

Ho parlato a lungo del Gruppo tattico di battaglione in un precedente articolo, ma ricapitoliamo brevemente. L’esercito russo utilizza un modello misto di soldati professionisti a contratto e di leva, e questi due tipi di personale hanno un’importante differenziazione legale. I soldati di leva non possono essere impiegati in combattimento al di fuori della Russia senza una dichiarazione di guerra. Ciò significa che una data unità russa (usiamo una brigata come esempio standard) ha una forza completa (“sulla carta”) composta da personale misto e un nucleo di soldati a contratto che può essere schierato all’estero. La questione per la leadership russa diventa quindi come progettare queste unità per combattere senza i loro soldati di leva. La risposta a questo problema è stata il Gruppo tattico di battaglione, una formazione derivata che si stacca (se vogliamo) dalla brigata. La progettazione di queste unità ha naturalmente altre considerazioni, ma la preoccupazione di base che ha spinto alla creazione del BTG è stata la necessità di creare una forza che potesse combattere senza i suoi coscritti.

 

Il BTG, come è stato notato, è pesante in termini di potenza di fuoco, con un forte complemento organico di pezzi d’artiglieria e veicoli corazzati, ma eccezionalmente leggero in termini di fanteria. Questo ha implicazioni sia per le operazioni offensive che per quelle difensive, come abbiamo visto molto chiaramente nei primi nove mesi di guerra in Ucraina.

 

In difesa, il BTG (essendo povero di fanteria) deve combattere da dietro un sottile schermo e infliggere sconfitte al nemico con il suo fuoco a distanza. Non si tratta di un’unità in grado di combattere con tenacia per mantenere le posizioni avanzate, ma di un’unità costruita per sbriciolare l’attaccante. Più in generale, tuttavia, i BTG sono unità fragili, nel senso che perdite relativamente basse di fanteria o carri armati li rendono inadatti a ulteriori compiti di combattimento. Questo rende l’unità una specie di cannone di vetro: capace di erogare una potenza di fuoco enorme, ma non in grado di sostenere le operazioni dopo perdite moderate. Essendo un’unità fondamentalmente “dimagrita”, fatica a sostenere e recuperare la capacità di combattimento senza ruotare nelle retrovie per ricevere rimpiazzi o cannibalizzare altre unità.

 

In un certo senso, questo è ciò che ci si aspetterebbe dati i vincoli del modello di coscrizione e contratto, che per sua stessa natura ha costretto i russi a progettare un’unità ridotta e leggera dal punto di vista degli effettivi rispetto alle loro brigate a piena forza. Questo è il motivo per cui la Russia aveva una generale scarsità di truppe che ha iniziato a compromettere la sua efficacia operativa complessiva nell’estate del 2022, quando la mobilitazione ucraina e gli aiuti occidentali hanno portato a un enorme vantaggio numerico dell’esercito ucraino. All’apice, la prima fase della guerra ha visto probabilmente non più di 80.000 effettivi russi regolari in Ucraina, e anche con la DNR, la LNR e il gruppo Wagner che fornivano un cuscinetto di fanteria, la forza russa totale era in inferiorità numerica di almeno 3 a 1. Il BTG poteva ancora infliggere danni enormi, ma la strutturazione delle forze in Ucraina era semplicemente insufficiente per l’ampiezza del teatro d’operazioni, il che portò a svuotare un’enorme sezione del fronte a Kharkov. Da qui la mobilitazione.

2Il BTG si è rivelato un’unità potente ma fragile.

È qui che cominciano ad apparire i segni di problemi organizzativi. Era giunto il momento, con la mobilitazione che finalmente forniva alla Russia le truppe schierabili di cui aveva bisogno, di abbandonare i BTG poveri di fanteria e iniziare a condurre operazioni con grandi unità, ma è chiaro che il processo organizzativo per incorporare il personale mobilitato nell’esercito e assemblare grandi unità (brigate e superiori) non è stato efficiente. I mobilitati sembrano essere stati inizialmente utilizzati in vari modi. Alcuni sono stati inviati alle unità esistenti nella zona di operazioni come rimpiazzi, altri sono stati inseriti in nuove unità composte interamente da personale mobilitato. Il risultato è un’accozzaglia di unità variegate che devono ancora essere organizzate in grandi unità per le operazioni offensive.

 

Probabilmente c’era da aspettarsi un po’ di caos, dato che nessuno oggi in vita ha esperienza nel condurre una mobilitazione generale per una guerra continentale, e l’intero processo per la Russia è un po’ complicato a causa delle molte classi diverse di personale e della barriera legale all’utilizzo dei coscritti. In generale, tuttavia, sembra chiaro che il processo di ritorno dall’esercito di spedizione con BTG ridotti a formazioni madri più grandi è stato inefficiente, e che la Russia sta ancora attraversando la fase di formazione di grandi unità. Inoltre, permane un certo ritardo nella consegna di veicoli da combattimento di fanteria aggiornati (soprattutto BMP) alle unità di fucilieri motorizzati in formazione.

 

In questo contesto, il Ministro della Difesa russo Sergei Shoygu ha annunciato un nuovo programma di riorganizzazione militare. Forse il punto più significativo della lista dei cambiamenti è la decisione di iniziare a convertire le brigate esistenti in divisioni. Può sembrare una vanità burocratica, ma non è così. Discutiamone.

 

Alla fine della Guerra Fredda, l’Unione Sovietica disponeva dell’esercito più grande e potente del mondo, in grado di schierare milioni di uomini, armati fino ai denti e con scorte ineguagliabili di ogni tipo di equipaggiamento pesante. Il fatto che questo potente apparato militare non abbia visto praticamente nessun ammutinamento o rottura alla fine, e che non sia stato impiegato per preservare il sistema comunista, è una delle grandi curiosità della storia moderna, ma questa è una storia per un’altra volta.

 

In ogni caso, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, la Russia ha ereditato la maggior parte dell’eredità militare sovietica, ma tra le turbolenze economiche e il disagio generale della società, non poteva permettersi di mantenere attiva questa forza massiccia (né aveva gli uomini, avendo perso l’accesso a gran parte del bacino di reclutamento sovietico). Questo portò Mosca a convertire gran parte dell’esercito sovietico in quelle che sono note come “formazioni di quadri”: in sostanza, una particolare divisione sarebbe stata ridotta a uno scheletro di personale (poche centinaia di persone, per lo più ufficiali e sottufficiali) che avrebbe costituito il nucleo attorno al quale la divisione sarebbe stata riportata alla forza di combattimento. In questo modo, le enormi divisioni sovietiche potevano essere ridotte a magazzini pieni di equipaggiamento e a un piccolo gruppo di quadri, mettendo più o meno in ibernazione la divisione per un uso futuro.

 

Nel 2008, la Russia ha intrapreso un’importante ristrutturazione militare sotto la guida dell’ex ministro della Difesa Anatoly Serdyukov. Le riforme del 2008 sono state un tentativo tardivo di abbandonare l’esercito sovietico. Gli elementi della riorganizzazione comprendevano l’eliminazione delle divisioni di quadri e la conversione di tutte le divisioni esistenti in brigate. In questo modo la Russia si allontanò dalla struttura delle divisioni sovietiche per passare a un modello di brigata più occidentale.

 

Il duplice effetto dell’eliminazione delle formazioni di quadri e del ridimensionamento delle divisioni in brigate fu quello di snellire un corpo ufficiali troppo gonfio e di creare una forza più snella. Sebbene siano state mantenute alcune divisioni, queste erano l’eccezione piuttosto che la regola. In generale, una brigata russa è grande forse il 40-50% di una divisione di tipo equivalente: ad esempio, una divisione di fucilieri motorizzati può essere forte di 8.500 uomini, ma una brigata di fucilierimotorizzati può essere di circa 3.500-4.000 uomini.

 

Il ridimensionamento delle divisioni in brigate è stato vantaggioso in tempo di pace, in quanto ha ridotto i costi di un corpo ufficiali gonfio e sovraccarico, e in generale ha sostenuto il regime di austerità della Russia. Gli eserciti, tuttavia, sono costruiti per la guerra.

 

La leadership russa ha chiaramente concluso che l’esercito ridotto, con pochi uomini, non è adeguato per una guerra ad alta intensità. Ciò corrisponde alla lezione generale appresa da tutte le parti coinvolte: la guerra è ancora un’impresa industriale e il successo richiede la massa – grandi unità che sparano molti proiettili. Pertanto, l’ammissione da parte della NATO che la spesa per le munizioni supera di gran lunga la loro capacità produttiva e la decisione della Russia di espandere l’esercito sono due facce della stessa medaglia.

3 Sergej Shoigu, MInistro della Difesa della Federazione Russa

Questo ci riporta all’annuncio di Shoigu che le brigate esistenti saranno riconvertite in divisioni, annullando di fatto un elemento chiave delle riforme del 2008. L’esperienza russa in Ucraina ha dimostrato che le unità ridotte non sono abbastanza robuste (soprattutto in termini di uomini) per sostenersi adeguatamente in combattimento.

 

Il quadro che emerge è quello di un esercito russo che cerca di gestire tre diverse transizioni contemporaneamente. Vale a dire: (1) l’ingresso di un gran numero di personale mobilitato che deve essere organizzato in grandi unità capaci di operazioni offensive, (2) un’espansione complessiva e la riorganizzazione dell’esercito in una struttura divisionale, e (3) una massiccia espansione della produzione di armamenti, con il complesso militare-industriale russo che si riattrezza per produrre un mix di sistemi basati sull’esperienza di combattimento in Ucraina.

 

Sembra che il verdetto più probabile sia che, al momento, queste sfide organizzative non siano completamente risolte, limitando l’attività immediata russa alle operazioni di modellamento del campo di battaglia e al mantenimento di battaglie d’attrito in fosse della morte (come Bakhmut) sotto la copertura dell’ombrello ISR e della potenza di fuoco della Russia a est. Questo continuerà fino a quando le unità regolari di fucilieri e carri armati non saranno pronte per le operazioni di attacco.

 

Per questo motivo, al momento, gran parte dei compiti offensivi della Russia sono gestiti da unità che si trovano all’estremità alta e bassa dello spettro delle unità, ovvero unità d’élite come i VDV (aviotrasportati) e i Marines, o unità irregolari come i Wagner e la DNR/LNR. Il gradino intermedio della scala – le unità regolari di fucilieri motorizzati – sono per lo più visibili in posizioni difensive.

 

Questo non vuol dire che la mobilitazione non abbia già avuto un effetto importante sul campo di battaglia. Le condizioni che hanno permesso l’offensiva ucraina nell’oblast di Kharkov lo scorso autunno sono state corrette. Non ci sono più sezioni di fronte assottigliate e le posizioni della Russia sono ora adeguatamente presidiate. A tutt’oggi l’Ucraina non è ancora riuscita a sfondare una posizione russa fortemente presidiata, e la mobilitazione ha permesso alla Russia di presidiare finalmente in modo adeguato l’enorme fronte. Tuttavia, non ha portato a un aumento visibile della generazione di forze offensive, e sembra che ciò sia dovuto in larga misura al caos organizzativo associato al ritorno dai BTG alle brigate e alle divisioni.

 

Dal punto di vista russo, questa è la cattiva notizia. La buona notizia è che, anche se gran parte dell’esercito mobilitato è ancora in uno stato di flusso organizzativo, la forza di combattimento russa è più che sufficiente per sostenere i combattimenti sugli assi esistenti, interrompendo i tentativi dell’Ucraina di accumulare riserve e di perseguire importanti obiettivi di formazione.

 

Persi nei boschi

Mentre il mondo discute all’infinito sull’offensiva di Schrödinger, qualcosa di significativo si sta perdendo. A prescindere dall’assenza, ora o in futuro, di “grandi frecce” che facciano bella figura su una mappa, i combattimenti in corso nel Donbass sono molto importanti dal punto di vista operativo. Restringiamo il campo d’azione e guardiamo a un piccolo tratto di fronte poco amato e pensiamo a ciò che sta accadendo in quel momento. In particolare, vorrei esaminare l’asse di Kreminna.

 

Kreminna è una piccola città di non più di 20.000 abitanti (prima della guerra) con una posizione alquanto fortunata. Si trova vicino al confine tra gli oblast di Lugansk e Donetsk, e in particolare occupa il punto in cui una linea ferroviaria critica si avvicina all’elemento geografico dominante della zona, che è il fiume Donets (alternativamente chiamato fiume Severodonetsk).

 

I fiumi sono sempre importanti, ma il Donets lo è in modo particolare, perché le sue sponde – in particolare quella settentrionale – sono sede di una fitta cintura forestale (in parte naturale, ma in gran parte costituita da piantagioni). Questa foresta è diventata un elemento critico dei combattimenti in questo settore.

4 Foresta di Donets

Nell’estate del 2022, zone boschive come questa sono diventate uno dei primi segnali della necessità per la Russia di aumentare il proprio dispiegamento di forze in Ucraina. Sia in questa fascia lungo il Donets che in una zona forestale simile intorno a Izyum, le forze russe hanno avuto difficoltà a sigillare completamente il fronte e a mettere in sicurezza le foreste. Ciò è dovuto in gran parte a due fattori. In primo luogo, le foreste fitte indeboliscono necessariamente l’ISR (Intelligence, Surveillance, & Reconnaissance) russo oscurando la visibilità. Il secondo fattore (strettamente correlato) era la scarsità di fanteria della Russia. Poiché le forze russe iniziali erano decisamente sotto organico per quanto riguarda la fanteria, l’esercito russo preferiva combattere con uno schermo leggero di fanteria dietro il quale si poteva dirigere il fuoco a distanza – uno schema generale che si rompe nei boschi, dove l’ISR è debole e non ci sono fanterie sufficienti per presidiare linee continue.

 

Tutto questo per dire che nell’estate del 2022 queste fasce boschive erano un ambiente problematico per le forze russe. Ora, però, hanno posto rimedio alle loro carenze di uomini e si trovano in una posizione in cui la sicurezza della cintura forestale del Donets è un’alta priorità operativa. Questo perché la fascia corre orizzontalmente (cioè in direzione est-ovest) sotto l’asse di avanzata della Russia verso Lyman.

 

Kreminna è diventato un settore di combattimenti ad alta intensità negli ultimi mesi, essendo forse l’unico asse in cui l’Ucraina aveva qualche prospettiva realistica di ottenere un risultato decisivo dal punto di vista operativo, con la linea ferroviaria per Lysychansk apparentemente a portata di mano. Questo ha fatto precipitare una serie di attacchi ucraini falliti sulla stessa Kreminna, che sono crollati con pesanti perdite di vite umane, prima che la Russia iniziasse a spingersi verso ovest sull’asse di ritorno verso Lyman.

 

La foresta, tuttavia, complica le cose. L’Ucraina ha libero accesso all’attraversamento della foresta perché controlla la riva meridionale del fiume Donets. Potendo rinforzare e sostenere i gruppi di combattimento nella fascia di foresta, l’Ucraina è in grado di fare pressione sul fianco di qualsiasi attacco russo prolungato verso ovest, in direzione di Lyman. È per questo che nelle ultime settimane gli sforzi russi verso ovest si sono affievoliti a favore di attacchi verso sud, nei boschi stessi.

 

È chiaro che sigillare questa foresta è un compito critico che deve essere raggiunto prima di poter continuare l’offensiva verso Lyman (a sua volta un obiettivo operativo intermedio cruciale prima dell’assalto alla linea di Slavyansk). Fortunatamente per la Russia, essa ha un modo per raggiungere questo obiettivo che sarà più facile di una lotta prolungata nei boschi. Il sostegno ucraino nella cintura forestale si basa sul controllo della riva meridionale del fiume Donets, ma le linee russe sono attualmente a soli cinque chilometri di distanza a Zolotarivka.

L’intero fronte diventa una lezione istruttiva sull’interconnessione di tali operazioni e sulla natura cruciale di queste battaglie, che spesso vengono liquidate come semplici “operazioni di modellamento”, combattute per obiettivi piccoli e insignificanti.

Un attacco russo su direttrice nord-occidentale verso la riva meridionale del fiume Donets punterebbe a piccoli insediamenti dai nomi dimenticabili come Serebryanka e Grygorivka. Di certo, la cattura di tali villaggi difficilmente incuterà il timore di Dio nei Jake Sullivan e nelle Victoria Nuland del mondo – temo che nulla di terreno possa farlo. Tuttavia, una spinta russa verso la sponda meridionale del fiume interromperà le rotte utilizzate per sostenere le forze ucraine nella fascia forestale sulla sponda *nord* del fiume. Questo, a sua volta, permetterebbe alle forze russe uscite da Kreminna di mettere in sicurezza la fascia forestale e di neutralizzare la minaccia sul loro fianco sinistro, mentre riprendono le azioni di attacco a ovest verso Lyman. Non hanno nemmeno bisogno di catturare Lyman stessa nel breve termine, perché raggiungere il villaggio di Yampil sarebbe sufficiente per tagliare l’ultima arteria di rifornimento rimasta a Siversk (le vie meridionali sono state interrotte dalle forze russe intorno a Bakhmut) e creare le condizioni per la Russia di liquidare l’intero saliente di Siversk.

 

In breve, questa zona forestale e il corridoio da Kreminna a Lyman fungono da cerniera tra i fronti di Lugansk e Donetsk, e ancora più specificamente questa fascia forestale direttamente lungo il fiume Donets funge da cerniera tra Kreminna e Siversk. Nel 2022, questo era il tipo di terreno che l’Ucraina riusciva a sfruttare grazie alla composizione della fanteria leggera russa. Ora che questo problema è stato risolto, la Russia ha le forze per proteggere adeguatamente queste foreste e può accelerare questo processo interrompendo i passaggi fluviali su cui l’Ucraina fa affidamento per sostenere le sue unità nella fascia forestale.

Ugledar: Anatomia di una battaglia

Al momento, il fronte in Ucraina è attivo in molti punti, con misurati avanzamenti russi sulla linea fluviale del fiume Oskil, una costante serie di pesanti combattimenti nella zona forestale tra Lyman e Kreminna e, naturalmente, il pozzo della morte wagneriano di Bakhmut. Si tratta di aree di combattimento importanti e ad alta intensità, ma al momento non si sta sviluppando nulla che possa essere razionalmente definito una “grande freccia”.

 

Alla luce di questa situazione generale, ho pensato che questa potesse essere una buona occasione per esaminare una particolare sezione del fronte e riflettere sulla battaglia in corso in alta risoluzione. Più specificamente, voglio esaminare da vicino la battaglia in corso nel settore di Ugledar – discutiamo non solo perché è importante, ma vediamo anche i dettagli ravvicinati dell’assalto russo, le contromisure ucraine e i potenziali progressi futuri.

 

Ugledar (alcune mappe possono usare la formulazione ucraina “Vuhledar”) è una cittadina piuttosto curiosa, con una popolazione che prima della guerra probabilmente non ha mai superato i 15.000 abitanti. La città stessa è un denso agglomerato di condomini in cemento che si affacciano su una distesa di steppa notevolmente piatta – piatta anche per gli standard ucraini.

5 Ugledar e i suoi dintorni

Ugledar ha un’importanza operativa fuori scala per l’Ucraina, sia per scopi offensivi che difensivi. L’attuale linea del fronte vede le forze ucraine tenere un rigonfiamento, o saliente, a sud-ovest della città di Donetsk. Questo rigonfiamento è caratteristico in quanto è la posizione ucraina più vicina alla linea ferroviaria principale che collega Donetsk a Mariupol e al ponte terrestre per la Crimea (e quindi rappresenta la minaccia ucraina più immediata per la logistica russa a sud). I fianchi di questo rigonfiamento sono ancorati da Ugledar e Marinka – e dietro Ugledar, in particolare, non ci sono buoni posti per l’Ucraina per ancorare la difesa del saliente.

6 Ugledar e il saliente di Donetsk (Mappa di Military Land)

Finché gli ucraini terranno Ugledar, terranno questo saliente e avranno una posizione da cui minacciare il traffico ferroviario russo. Se perdono Ugledar, l’arrotolamento dell’intero saliente sarà una conclusione scontata. È quindi banalmente ovvio perché questa posizione è una priorità sia per la Russia che per l’Ucraina.

 

Questo ci porta a Ugledar stessa e alla battaglia in corso per il suo controllo. È immediatamente evidente perché la città sarebbe difficile da conquistare. È caratterizzata da blocchi di appartamenti in cemento, densamente stipati ed estremamente robusti, e la piattezza del terreno in avvicinamento offre ai difensori ucraini un campo visivo pulito. Si tratta di una posizione fisicamente resistente con una vista dominante sull’area circostante.

7 Vista aerea di Ugledar da nordovest

Lo spazio di battaglia qui è piccolo e facile da parametrare. Ugledar è a circa un miglio di distanza dalle città di Pavlivka e Mykils’ke, in mano ai russi. Il campo in avvicinamento è estremamente piatto, il che rende l’attraversamento allo scoperto un pericolo estremo. La linea di avvicinamento più praticabile è invece verso la caratteristica nota colloquialmente come “dacia” – un gruppo di case sul bordo sud-orientale di Ugledar vera e propria.

 

Le dacie sono un elemento importante per due motivi. In primo luogo, offrono l’unico vero riparo alla periferia di Ugledar stessa, diventando così l’unico vero punto di sosta o di appoggio al di fuori della città. In secondo luogo, sono la destinazione naturale per chiunque cerchi di avanzare in modo intelligente, cioè attraverso le linee degli alberi. I campi di questa zona sono separati l’uno dall’altro da linee di alberi molto sottili e molto dritte. Questi costituiscono l’unica copertura all’avvicinamento e sono quindi un terreno caldo. Le forze ucraine scavano abitualmente le loro trincee proprio sotto questo tipo di linee di alberi, che creano le vie di avanzata anche per le forze russe. Nel caso di Ugledar, seguire le linee di alberi porta direttamente alle dacie, che diventano quindi il punto focale naturale di qualsiasi tentativo di avanzata su Ugledar stesso.

 

L’altra caratteristica molto rilevante è una grande miniera di carbone situata a circa un miglio e mezzo a nord-est di Ugledar, lungo la strada. Questa miniera di carbone (anche se non è il pozzo in sé, quanto il complesso di edifici industriali che la circondano) è una posizione ucraina sussidiaria con una propria guarnigione ed elementi logistici.

Così, otteniamo uno spazio di battaglia che si presenta in questo modo:

Con questa comprensione degli aspetti spaziali e geografici, possiamo esaminare la battaglia in corso per Ugledar. Il 25 gennaio, le forze russe sono uscite da Pavlivka e Mykils’ke e hanno preso d’assalto Ugledar, raggiungendo rapidamente le dacie e sgomberandole in gran parte. A questo punto sono stati confermati i combattimenti all’interno di Ugledar stessa, anche se è probabile che l’intenzione russa non fosse quella di assaltare la città blocco per blocco, ma piuttosto di tagliarla fuori (ci sono in realtà solo due strade che portano a Ugledar sotto il controllo ucraino) e costringere gli UA a ritirarsi attraverso un rapido avvolgimento.

 

Questa ondata iniziale russa sembra aver colto di sorpresa gli ucraini, vista la velocità con cui sono riusciti a liberare le dacie e ad avanzare fino alla periferia orientale di Ugledar. Un ufficiale del 105° Reggimento DNR, che ha partecipato a questo primo assalto, ha dichiarato ai corrispondenti russi di ritenere che il gruppo ucraino a Ugledar potesse essere terminato con una forte spinta durante la notte e che sarebbe stato lanciato un ultimatum alla resa (indicando che prevedevano di avvolgere la città).

A questo punto gli ucraini hanno risposto rapidamente e con grande forza. Qui sono entrati in gioco alcuni fattori. In primo luogo, il comando ucraino considera Ugledar una posizione prioritaria e ha inviato quasi immediatamente riserve nella città (fonti ucraine affermano che le riserve destinate all’asse di Kreminna sono state reindirizzate).

 

In secondo luogo, l’Ucraina beneficia di batterie di artiglieria a Kurakhove, una quindicina di chilometri a nord. Questo spinge all’estremo le gittate di alcuni sistemi, ma Kurakhove è una posizione di tiro forte perché permette all’Ucraina di coprire sia il settore di Ugledar che quello di Marinka. Se ricordate il rigonfiamento della linea che abbiamo notato in precedenza, Kurakhove è una sorta di punto di fuoco girevole che consente all’artiglieria ucraina di raggiungere il perimetro del rigonfiamento.

 

Infine, e forse la cosa più importante, la forza d’assalto russa ha trascurato di attaccare o almeno sopprimere la miniera di carbone a nord-est di Ugledar. Le forze ucraine sono state in grado di organizzare un rapido contrattacco, che è arrivato con un angolo obliquo verso le dacie. Una volta che le riserve arrivarono a Ugledar e contrattaccarono anch’esse, le truppe russe furono costrette a combattere per la loro posizione nelle dacie.

Il rapido contrattacco dell’Ucraina, la copertura dell’artiglieria da Kurakhove e l’arrivo delle riserve hanno messo fine alla possibilità della Russia di sopraffare Ugledar nella prima ondata, e la battaglia si è ora trasformata in un affare molto più grande, con più forze impegnate da entrambe le parti. La lotta si è concentrata in gran parte sulle dacie e, naturalmente, sulle linee di alberi che costituiscono le vie di avanzamento per entrambe le parti. Le immagini satellitari mostrano che i bombardamenti si sono concentrati lungo queste linee di alberi.

8 Immagini satellitari Maxar degli impatti del bombardamento

Ancora più incisivi, forse, sono stati gli sforzi intensivi degli ucraini per minare gli avvicinamenti, anche con mine posate a distanza (in sostanza, i proiettili di artiglieria vuoti vengono riempiti con una pila di mine e spargono le piccole bestiole dappertutto). Data la difficoltà di avvicinarsi a Ugledar in campo aperto, anche in assenza di mine, e la natura limitata e lineare dei percorsi di avvicinamento, un assalto diretto a Ugledar è a questo punto una follia, e sembra che la Russia non ci stia più provando.

 

La battaglia sembra subire un netto cambiamento. Due elementi in particolare spiccano: in primo luogo, le forze ucraine non solo sono avanzate attraverso le dacie, ma sono persino riuscite ad attraversare il campo verso Pavilvka e Mykils’ke, tenute dai russi. In secondo luogo, però, le forze russe stanno mantenendo le posizioni e si stanno spingendo verso il margine orientale delle dacie e hanno portato rinforzi attraverso Mykils’ke.

 

Ciò suggerisce il seguente schema, a grandi linee. Gli sforzi russi sembrano ora spostarsi da Ugledar verso la miniera di carbone. Questo isolerebbe ulteriormente la guarnigione di Ugledar e posizionerebbe le forze russe per avvolgerla da est. Contemporaneamente, però, le forze russe sembrano aver rinunciato all’avvicinamento a Ugledar, permettendo agli ucraini di uscire.

 

Qualche giorno fa, alcune fonti ucraine affermavano trionfalmente di aver raggiunto il fiume Kashlahach. Questo mi ha sorpreso immensamente: avanzare così tanto è una pessima idea per gli ucraini. È estremamente improbabile che l’Ucraina possa attaccare con successo in questa direzione: Pavlivka e Mykils’ke sono entrambe sotto il controllo consolidato dei russi e, cosa forse più importante, l’autostrada principale che rifornisce queste città è dietro il fiume. Se l’Ucraina sceglie di attaccare, tutte le difficoltà del terreno sopra menzionate giocano a favore dei russi, e saranno gli ucraini a tentare di proiettare una forza attraverso il campo lungo quelle strette linee di alberi, senza modo di schermare o tagliare.

Inoltre, la via di accesso per gli ucraini si trova tra le due città tenute dai russi. Qualsiasi attacco ucraino di successo richiederebbe quindi di forzare un fiume sotto la minaccia di essere avvolti. In definitiva, la decisione migliore per gli ucraini sarebbe quella di non andare oltre le dacie e di rimanere al sicuro all’ombra di Ugledar. Ma se vogliono uscire dal campo in una zona di morte, sospetto che i russi siano felici di lasciarli fare mentre preparano i lavori alla miniera di carbone.

 

Ugledar si è presentata finora come una battaglia affascinante e ferocemente combattuta. L’ondata iniziale russa verso la città non è stata caratteristica di un esercito russo che ha dimostrato di preferire un movimento metodico e lento. Allo stesso tempo, non si può negare che l’Ucraina abbia contestato l’attacco russo in modo deciso e intelligente. I media e la propaganda hanno cercato di dipingere la battaglia come la scena di orribili perdite russe. È stato affermato, ad esempio, che l’intera 155a Brigata dei Marines è stata distrutta. Questo, inutile dirlo, è un po’ difficile da credere, dato che la 155a Brigata dei Marines sta ancora combattendo attivamente in questo settore e continuano a emergere filmati di combattimento. Curiosamente, anche questa brigata sarebbe stata distrutta a novembre in un presunto tentativo fallito di catturare Pavlivka, ma alla fine né la distruzione della brigata né il fallimento dell’attacco si sono rivelati veri. Oh, bene.

 

Detto questo, le perdite russe sono reali – probabilmente dell’ordine di 300-400 uomini e qualche decina di veicoli assortiti, ma questa è semplicemente la realtà di un combattimento ad alta intensità. Le perdite ucraine in questo settore sono altrettanto intense, e il successo della stabilizzazione del fronte ha costretto il comando ucraino a distrarre le proprie riserve da altri settori critici del fronte. Forse ancora più importante, l’afflusso di forze ucraine in questo settore ha cambiato completamente il calcolo della battaglia, con la Russia che ha portato più armi pesanti e ha creato un’altra fossa della morte.

 

Il futuro di Ugledar rimane nebuloso. Questa mattina (24 febbraio) sono stati diffusi nuovi filmati che mostrano gli attacchi aerei russi sulle posizioni ucraine intorno alla miniera di carbone, suggerendo che potrebbero effettivamente procedere con un tentativo di assalto alla miniera e di avvolgere Ugledar da est. È anche possibile che Ugledar diventi l’ennesima battaglia posizionale, che potrebbe essere annullata per gli ucraini da un’avanzata russa altrove. Se, ad esempio, i russi rompono la linea ucraina a Marinka e avanzano per minacciare Kurakhove, Ugledar potrebbe perdere il vitale ombrello di artiglieria che ha reso possibile il successo della difesa.

 

Per ora, questa battaglia è affascinante perché riduce l’intero dramma della guerra a una scala molto piccola. Decine di migliaia di uomini si sono sfidati coraggiosamente in un’arena di non più di quindici miglia quadrate, e in molti casi la vita e la morte sono state decise dal controllo di uno stretto sentiero sterrato sotto una fila di alberi.

 

In mezzo alle dichiarazioni altisonanti della leadership politica e all’infinito agitarsi per le grandi frecce disegnate sulla mappa, ci fa bene ricordare che il destino del mondo è costruito sugli sforzi individuali accumulati da questi coraggiosi soldati. Indifferenti alle infinite chiacchiere sugli obiettivi di guerra e alle inani chiacchiere sull'”ordine internazionale basato sulle regole”, sul multipolarismo e sui banali interessi geopolitici, gli eventi sul campo sono portati avanti da uomini i cui obiettivi di guerra sono davvero molto semplici. Nelle steppe pontiche innevate intorno a Ugledar, ciò che il guerriero desidera più di ogni altra cosa è non essere colpito.

Cicatrici dell’Impero: Moldavia e Transnistria

Forse uno degli sviluppi più notevoli delle ultime settimane è stato l’emergere simultaneo di due presunti complotti per allargare il conflitto. Il 21 febbraio, il governo ucraino ha affermato di essere in possesso di informazioni di intelligence secondo le quali la Russia avrebbe pianificato di perpetrare un “colpo di Stato” in Moldavia sequestrando l’aeroporto della capitale Chișinău e inserendovi truppe tramite un ponte aereo. Nel giro di 24 ore, la Russia ha replicato affermando che l’Ucraina si stava preparando a invadere il territorio interstiziale e giuridicamente ambiguo noto come Transnistria.

 

Probabilmente tutto questo è molto confuso per gli osservatori occasionali. Se la storia e/o la politica dell’Europa orientale non sono la vostra tazza di tè, allora probabilmente avrete sentito parlare della Moldavia solo di sfuggita e forse non avrete mai sentito parlare della Transnistria, quindi potrebbe essere utile una breve incursione nel contesto storico.

9 Un nido russo di detriti imperiali

La Moldavia è uno di quei piccoli Stati predestinati a essere una scheggia geopolitica. I moldavi stessi (come ethnos o popolo) sono in realtà un derivato dei rumeni – la supermaggioranza del Paese parla rumeno e la religione dominante è l’ortodossia orientale in rumeno liturgico. Dal punto di vista genetico, i moldavi sembrano avere più ascendenze slave dei romeni propriamente detti, ma questo forse esula dallo scopo di questo piccolo saggio.

 

In ogni caso, la domanda che sorge spontanea è: perché la Moldavia è una cosa, invece di essere semplicemente una bella provincia costiera della Romania? La risposta, in breve, è che lo Stato si trova contemporaneamente in due importanti punti di convergenza, uno politico e uno geografico.

 

Dal punto di vista politico (cioè storico), la Moldavia si trovava in una sorta di tessuto connettivo in cui tre grandi imperi si fronteggiavano: l’impero russo, quello ottomano e quello austriaco. In particolare, per gran parte della storia moderna il territorio dell’attuale Moldavia si trovava direttamente al confine tra l’Impero russo e quello ottomano ed era quindi molto ambito. L’appetibilità di questa piccola regione litosferica era ulteriormente rafforzata dalle sue qualità geografiche. Molto semplicemente, la Moldavia occupa un territorio storico noto come Bessarabia, che comprendeva il divario facilmente attraversabile tra i Carpazi e il Mar Nero.

 

La Bessarabia (la futura Moldavia) è stata oggetto di continue brame e passaggi di mano, con le potenze russa e ottomana che desideravano controllare quel corridoio cruciale tra le montagne e il mare. L’emergere di uno Stato rumeno indipendente nell’Ottocento complicò ulteriormente le cose, con un’altra parte che desiderava questo appezzamento strategico. Alla fine, la Seconda guerra mondiale pose fine alla controversia, con l’Unione Sovietica vittoriosa che piantò la falce e il martello sul Varco di Bessarabia con la creazione della Repubblica Socialista Sovietica Moldava. La questione moldava era risolta… per un certo periodo.

 

Il muro di Berlino cadde. L’Unione Sovietica cominciò a dissolversi e il futuro politico della Moldavia divenne di nuovo una questione aperta. Nel giugno 1990, la Repubblica moldava divenne una delle tante a voler lasciare l’Unione, ma non tutti erano d’accordo. I lealisti sovietici e i russi etnici che vivevano in Moldavia si ribellarono al pensiero di lasciare l’Unione e di essere lasciati soli in uno Stato a maggioranza rumena, e in risposta dichiararono la formazione della Repubblica Socialista Sovietica Moldava Pridnestroviana, che presto sarebbe stata meglio conosciuta come Transnistria.

 

Il nome Transnistria è in realtà molto utile e descrittivo. Derivato da “Trans-Dniester”, si riferisce letteralmente a una striscia di terra tra il fiume Dniester e il confine moldavo, che si è staccata dalla Moldavia nel 1990 e ha dichiarato un impegno costante nei confronti dell’URSS. Sorge quindi una domanda piuttosto singolare: la Transnistria è un’entità lealista o separatista? Dal punto di vista di Mosca, le autorità della Transnistria sono lealisti che hanno rifiutato di aderire all’uscita della Moldavia dall’URSS. Per i moldavi, ovviamente, i transnistriani sono separatisti. Il modo in cui saranno considerati dalla storia sarà quasi certamente determinato da chi vincerà o perderà la lotta per il potere nell’Europa orientale.

 

Tutto questo per dire che ora ci sono due staterelli sul litorale del Mar Nero che rappresentano dei detriti imperiali. La Moldavia è uno Stato di etnia rumena che occupa la maggior parte dello spazio tra i Carpazi e il Mar Nero, mentre la Transnistria è uno pseudo-Stato filo-russo che si è staccato dalla Moldavia durante il crollo sovietico. Ora, nel febbraio 2023, l’Ucraina e la Russia si accusano a vicenda di complottare per invadere questi piccoli lembi di schegge geopolitiche.

 

Cominciamo con la questione della Transnistria. Due sono le domande più importanti: perché l’Ucraina vorrebbe invadere la Transnistria e se tale tentativo avrebbe successo.

 

Il motivo dell’invasione della Transnistria da parte dell’Ucraina è alquanto confuso. Molti hanno suggerito che l’Ucraina potrebbe essere motivata a impadronirsi del contenuto del deposito di munizioni Cobasna della Transnistria – un tempo supporto logistico per la 14a Armata della Guardia sovietica che era di stanza nella regione. Oggi, il deposito di Cobasna è una delle più grandi discariche di munizioni in Europa, con fino a 20.000 tonnellate di munizioni di epoca sovietica ancora presenti. Poiché è stato riferito che l’Ucraina è disperatamente a corto di munizioni, la struttura di Cobasna è forse un bersaglio sufficientemente attraente da solleticare lo stato maggiore ucraino, anche se è improbabile che l’intero contenuto del deposito sia utilizzabile. Molte delle munizioni sono probabilmente obsolete a causa dell’età e dell’incuria, ma è probabile che ci sia ancora una scorta significativa di ordigni utilizzabili. Il fatto che il deposito di munizioni si trovi a meno di tre miglia dal confine ucraino fa salire il fascino a livelli forse irresistibili.

10 L’impianto di Cobasna

La Transnistria, ovviamente, non è esattamente indifesa. Essendo più o meno uno staterello formatosi attorno ai resti dell’Armata Rossa, è molto più militarizzata di quanto ci si aspetterebbe da una regione con meno di mezzo milione di abitanti. In effetti, la Transnistria ha più equipaggiamento pesante della Moldavia e può schierare una manciata di brigate di fanteria motorizzata passabili. In Transnistria è presente anche una guarnigione di soldati russi, anche se questi sono relativamente poco equipaggiati e sono stati dispiegati soprattutto come forza di interdizione in tempo di pace.

 

Il verdetto sulla Transnistria è che è combatte di sopra della sua categoria di peso, e probabilmente è una noce molto più difficile da rompere di quanto si possa pensare inizialmente, ma è isolata e non sarebbe in grado di resistere a un attacco ucraino determinato in circostanze normali, anche se a questo punto non è chiaro che tipo di risorse Kiev potrebbe dedicare a quello che equivarrebbe a un raid armato per rubare munizioni.

11 Le gloriose e invincibili armate della Transnistria

Detto questo, dobbiamo ricordare che il deposito di munizioni di Cobasna si trova molto vicino al confine ucraino e la sua messa in sicurezza non richiederebbe la pacificazione di tutta la Transnistria. L’esercito ucraino dovrebbe semplicemente proteggere un saliente a pochi chilometri di profondità e schermare il deposito dalla vicina città di Ribnita mentre trasferisce il suo contenuto in Ucraina. Sarebbe difficile per le forze della Transnistria contestare un obiettivo così vicino al confine ucraino, ed è quindi molto probabile che siano già state prese misure per distruggere il deposito di munizioni in caso di incursione ucraina – un atto che potrebbe produrre un’esplosione delle dimensioni della bomba atomica di Hiroshima, anche se senza le fastidiose radiazioni.

 

Questo suggerisce un paradosso. Il deposito di Cobasna è così vulnerabile a un’incursione ucraina che cessa di diventare un obiettivo realistico, poiché verrebbe semplicemente fatto esplodere nel momento in cui gli ucraini vi si avvicinano. L’Ucraina si troverebbe quindi ad affrontare un nuovo inutile fronte nelle sue retrovie, che quasi certamente richiederebbe unità regolari ucraine (non solo di difesa territoriale) per essere pacificato.

 

Questo ci riporta alla Moldavia. La questione della Transnistria è delicata per la Moldavia, che vede il piccolo staterello transnistriano come una provincia separatista moldava e tende a considerarla come un meccanismo russo per dispiegare truppe in avanti e fare pressione sul governo moldavo. Non è del tutto corretto considerare la Transnistria come una sorta di complotto russo, semplicemente perché la creazione della Transnistria è stata il risultato di un’azione spontanea nella regione stessa e non diretta centralmente da Mosca, ma è senza dubbio un punto dolente per la Moldavia.

 

Per questo motivo l’Ucraina ha costantemente inquadrato la questione della Transnistria come “di competenza della Moldova”. In altre parole, l’Ucraina probabilmente esiterà a muoversi in Transnistria nel nudo tentativo di rubare le scorte di Cobasna – vorrebbe invece dipingere il suo intervento come una richiesta del governo moldavo – “questa è terra della Moldova, e noi interveniamo su loro richiesta per aiutarli a riprendersela“. Questo è probabilmente il motivo per cui l’Ucraina ha affermato che esiste un presunto piano russo per rovesciare il governo moldavo – vorrebbero creare un ambiente politico in cui la Moldavia dia il via libera a un intervento in Transnistria e partecipi con le proprie forze.

 

Facciamo il punto della situazione e cerchiamo di capire cosa sta succedendo con queste voci. L’allargamento della guerra alla Moldavia e alla Transnistria non risponde agli interessi russi. Qualsiasi operazione che avvenga sull’asse della Transnistria sarebbe molto difficile da gestire per la Russia, poiché dovrebbe essere sostenuta interamente da trasporti aerei, e ancora più specificamente da sorvoli del territorio ucraino o moldavo.

 

Nel frattempo, la Moldavia vuole quasi certamente mantenere la sua neutralità (che è codificata nella costituzione del Paese ed è il motivo per cui il Paese non è membro della NATO) ed è quindi altamente improbabile che dia il via libera a una mossa ucraina in Transnistria in assenza di una qualche precedente provocazione russa.

 

In definitiva, l’unica parte che sembrerebbe trarre vantaggio dall’allargamento del conflitto allo spazio moldavo sarebbe l’Ucraina, sia perché brama il deposito di Cobasna, sia perché l’allargamento del conflitto è generalmente un obiettivo ucraino – nel loro calcolo grossolano, qualsiasi escalation che aumenti la probabilità di un intervento occidentale diretto è vantaggiosa. La Moldavia, ovviamente, non è un membro della NATO, ma senza dubbio l’Ucraina vorrebbe innescare un’espansione a spirale del teatro e vedere se, ad esempio, la Romania può essere trascinata in guerra. Detto questo, Kiev dovrebbe probabilmente aspettarsi che il deposito di Cobasna venga semplicemente fatto esplodere nel momento in cui si muove su di esso, rendendo l’intero progetto uno spreco di risorse mal concepito.

 

Nel complesso, sono scettico che si verifichi qualcosa su questo fronte. Il puntare contemporaneamente il dito da parte di Mosca e Kiev ricorda molto il periodo dell’anno scorso in cui entrambe le parti hanno iniziato ad accusare simultaneamente l’altra di complottare per far esplodere una bomba sporca. L’Ucraina cerca di fabbricare una crisi per aumentare l’urgenza in Occidente e fomentare il panico e la distrazione in Russia, e la Russia risponde con controaccuse e gestione dell’escalation. Soprattutto, questo ci ricorda che per l’Ucraina – che dipende interamente dai suoi benefattori occidentali per sostenere la sua attività bellica – questa guerra si combatte davanti a un pubblico.

 

Sono stato abbastanza coerente fin dall’inizio nel dire che mi aspetto che la guerra in Ucraina venga combattuta fino alla sua conclusione e che rimanga un conflitto convenzionale contenuto – vale a dire, non mi aspetto né l’uso di armi nucleari né l’entrata in guerra di altri belligeranti, siano essi la Bielorussia, la Polonia, la Moldavia o la NATO vera e propria. Credo che abbiamo già visto l’entità qualitativa del coinvolgimento esterno nella guerra – la NATO che fornisce addestramento, ISR, armi, manutenzione e supporto, la Bielorussia che viene utilizzata per gli schieramenti russi e gli alleati russi come la Cina e l’Iran che forniscono principalmente armi di distanza. Per ora, nessuno degli sviluppi intorno alla Transnistria sembra sconvolgere in modo credibile questo calcolo. Per ora, aspettiamo di vedere se la carenza di munizioni degli ucraini diventerà così grave che non potranno fare a meno di fare un salto al deposito Cobasna.

Sommario: La vita nella fossa della morte

Per chi siede al sicuro nella propria casa lontano dal Donbass, è facile banalizzare i combattimenti in corso come poco importanti, semplicemente perché luoghi come Ugledar, Bakhmut e la fascia forestale a sud di Kreminna non sembrano particolarmente importanti. Questo, ovviamente, è piuttosto sciocco. Ciò che rende importante un luogo, in quel contesto unico e nell’ambito della nuova logica strategica della guerra, è il fatto che due corpi ostili di uomini armati vi si scontrano. La storia è piena di ricordi di questo tipo: Gettysburg, Stalingrado e Điện Biên Phủ non erano particolarmente importanti di per sé, ma hanno assunto un’importanza spropositata perché lì si trovava il nemico.

 

La vittoria in Ucraina sarà conquistata quando l’uno o l’altro esercito avrà perso la capacità di opporre resistenza armata – a causa della rottura della volontà politica, della distruzione di equipaggiamenti pesanti, della distruzione dei mezzi di sostentamento o delle perdite di uomini. La parola “logoramento” è diventata piuttosto comune e viene abitualmente usata in riferimento all’attuale approccio russo, ma pochi vogliono contemplare cosa significhi veramente – perché implica, soprattutto, l’uccisione di un gran numero di soldati ucraini, la caccia e la distruzione di sistemi critici come l’artiglieria e la difesa aerea, e la messa fuori uso delle retrovie ucraine. Dove combattere meglio che a Bakhmut, dove la fanteria ucraina sopravvive per poche ore in prima linea?

 

Il comando russo potrebbe forse parafrasare il tenente colonnello americano Hal Moore, che notoriamente disse del Vietnam: “Per Dio, ci hanno mandato qui per uccidere i comunisti ed è quello che stiamo facendo”.

 

Una delle grandi peculiarità di questa guerra è il grado di dipendenza di Kiev dall’aiuto occidentale per sostenere la sua azione bellica. Questo è per certi versi sia un vantaggio che uno svantaggio per la Russia. Gli svantaggi sono evidenti, in quanto mettono la maggior parte dell’ISR, della produzione di armamenti e del sostegno dell’Ucraina al di fuori della portata della Russia. Mosca non può certo iniziare ad abbattere gli aerei AWAC americani o a bombardare le strutture della Lockheed Martin, quindi da questo punto di vista la dinamica della guerra conferisce all’Ucraina una resilienza strategica unica. Ma il rovescio della medaglia è che l’Ucraina non è veramente sovrana, come lo è la Russia con la sua produzione bellica interamente interna.

 

Poiché l’Ucraina dipende dall’assistenza straniera per continuare la sua guerra, deve essere costantemente in una modalità performativa e sotto pressione per ottenere successi visibili. Per questo si prevede che l’Ucraina utilizzerà i veicoli attualmente in consegna per lanciare una controffensiva contro il ponte di terra verso la Crimea. Non ha davvero scelta. Al contrario, la Russia non è sottoposta ad alcuna pressione temporale intensa, se non quella che si impone da sola, e questa libertà d’azione le consente il lusso (fintanto che gli eventi sul campo di battaglia non la interrompono) di mettere a punto una revisione organizzativa e di resistere alla tentazione di muoversi prematuramente.

 

Naturalmente sarebbe molto meglio non avere problemi organizzativi, ma il discernimento rimane la parte migliore del valore. E per ora non c’è molta fretta, perché l’intero fronte è diventato una fossa della morte che assorbe uomini ed equipaggiamento ucraino, e priva gli ucraini di riserve e di iniziativa.

 

Il mondo vano che abitiamo in Occidente viene messo a nudo dalla realtà della vera potenza. Dopo l’ennesimo impotente voto di condanna alle Nazioni Unite e la visita a Kiev del gerontocrate preferito dagli americani, l’interesse dei chierici occidentali per la guerra d’Ucraina non mostra segni di cedimento, ma forse stanno gradualmente prendendo coscienza che si tratta di un piano dell’esistenza che non possono comprendere, né tanto meno influenzare. Possono solo osservare.

 

Nella foresta intorno al Donets, nella steppa di Ugledar e nella trappola mortale di Bakhmut, le parole contano poco. In effetti, il potere distruttivo ora all’opera è così grande che anche le azioni dei singoli possono fare ben poco per modificare il corso della battaglia – eppure, da entrambe le parti, uomini di volontà superiore continuano a eseguire i loro compiti, dimostrando disciplina e coraggio al cospetto della costante possibilità di morire. Questi uomini di ferro sono forse al di là della comprensione delle culture postmoderne, ma sono loro che determineranno il destino dell’Ucraina e della Russia.

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Ucraina, il conflitto 29a puntata. Guerra e terrorismo_ con Stefano Orsi e Max Bonelli

Il regime di Kiev, per la verità i suoi mentori, si sta rivelando un vero maestro nella narrazione mediatica e nella coltivazione degli strumenti, anche i più ibridi, di guerra. Gli episodi di arbitrio verso i prigionieri, l’utilizzo di armi proibite, l’indifferenza e l’utilizzo della popolazione civile come strumento di guerra fanno ormai parte dell’armamentario utilizzato. Questa volta, però, la soglia dell’esplicito attacco terroristico è stata oltrepassata ampiamente con l’incursione in due villaggi russi al confine e la deliberata uccisione di civili. Elementi idonei a trascinare la giunta e i comandi ucraino verso quel tribunale di guerra che gli occidentali vorrebbero costruire su misura su Putin. Il regime di Kiev è ormai alle strette e solo l’incapacità e l’impossibilità statunitense di poter uscire dal vicolo cieco in cui l’amministrazione di Biden si è cacciata, se non a rischio di un confronto diretto su larga scala, sta impedendo la mala sorte per personaggi tragicomici ed aguzzini senza scrupoli. La novità è che piuttosto che scompaginare l’area dissidente o indifferente all’esorcismo russofobo, l’oltranzismo atlantista sta polarizzando sempre più le dinamiche geopolitiche in schieramenti sempre più delineati. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Potere dell’innovazione Perché la tecnologia definirà il futuro della geopolitica Di Eric Schmidt

Tralascio le ovvie considerazioni riguardanti le autonome capacità operative del regime ucraino che consentono di sostenere il confronto militare con la Russia. E’ indubbio, comunque, che la competenza tecnologica sia stato uno degli ambiti fondamentali di addestramento dell’esercito ucraino sulla base del retroterra accumulato nel periodo sovietico. L’autore omette un aspetto importante delle modalità di svolgimento della competizione tecnologica: la capacità di determinare gli standard, di regolare il mercato e di intervenire politicamente su di esso. Il predominio tecnologico statunitense è zeppo di esempi di predazioni, sabotaggi, interventi costrittivi sui mercati ai danni indifferentemente di avversari ed alleati. Anche in questo ambito la competizione tra il bene e il male non ha fondamento reale. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Quando le forze russe marciarono su Kiev nel febbraio 2022, pochi pensavano che l’Ucraina potesse sopravvivere. La Russia aveva più del doppio dei soldati dell’Ucraina. Il suo bilancio militare era più di dieci volte superiore. La comunità di intelligence statunitense stimava che Kyiv sarebbe caduta nel giro di una o due settimane al massimo.
Messa alle strette con le armi e gli equipaggiamenti, l’Ucraina si rivolse a un settore in cui aveva un vantaggio sul nemico: la tecnologia. Poco dopo l’invasione, il governo ucraino ha caricato tutti i suoi dati critici sul cloud, in modo da poter salvaguardare le informazioni e continuare a funzionare anche se i missili russi avessero ridotto in macerie gli uffici ministeriali. Il Ministero per la Trasformazione Digitale del Paese, istituito dal Presidente ucraino Volodymyr Zelensky solo due anni prima, ha riutilizzato la sua applicazione mobile di e-government, Diia, per la raccolta di informazioni open-source, in modo che i cittadini potessero caricare foto e video delle unità militari nemiche. Con l’infrastruttura di comunicazione in pericolo, gli ucraini si sono rivolti ai satelliti Starlink e alle stazioni di terra fornite da SpaceX per rimanere in contatto. Quando la Russia ha inviato droni di fabbricazione iraniana oltre il confine, l’Ucraina ha acquistato i propri droni appositamente progettati per intercettare i loro attacchi, mentre i suoi militari hanno imparato a usare armi sconosciute fornite dagli alleati occidentali. Nel gioco del gatto e del topo dell’innovazione, l’Ucraina si è semplicemente dimostrata più agile. E così quella che la Russia aveva immaginato come un’invasione facile e veloce si è rivelata tutt’altro.
Il successo dell’Ucraina può essere attribuito in parte alla determinazione del popolo ucraino, alla debolezza dell’esercito russo e alla forza del sostegno occidentale. Ma è anche merito di una nuova forza determinante della politica internazionale: il potere dell’innovazione. Il potere di innovazione è la capacità di inventare, adottare e adattare nuove tecnologie. Contribuisce sia al potere duro che a quello morbido. I sistemi d’arma ad alta tecnologia aumentano la potenza militare, le nuove piattaforme e gli standard che le regolano forniscono una leva economica e la ricerca e le tecnologie all’avanguardia aumentano il fascino globale. Esiste una lunga tradizione di Stati che sfruttano l’innovazione per proiettare potere all’estero, ma ciò che è cambiato è la natura auto-perpetuante dei progressi scientifici. Gli sviluppi dell’intelligenza artificiale, in particolare, non solo aprono nuove aree di scoperta scientifica, ma accelerano anche questo stesso processo. L’intelligenza artificiale potenzia la capacità di scienziati e ingegneri di scoprire tecnologie sempre più potenti, favorendo i progressi dell’intelligenza artificiale stessa e di altri campi, e rimodellando così il mondo.

La capacità di innovare più velocemente e meglio – la base su cui poggia oggi il potere militare, economico e culturale – determinerà l’esito della competizione tra grandi potenze tra Stati Uniti e Cina. Per ora, gli Stati Uniti restano in testa. Ma la Cina sta recuperando terreno in molti settori e ha già fatto passi da gigante in altri. Per uscire vittoriosi da questa competizione che segna un secolo, non basterà fare le solite cose. Il governo degli Stati Uniti dovrà invece superare i suoi impulsi burocratici ottusi, creare condizioni favorevoli all’innovazione e investire negli strumenti e nei talenti necessari a innescare il circolo virtuoso del progresso tecnologico. Deve impegnarsi a promuovere l’innovazione al servizio del Paese e della democrazia. In gioco c’è niente di meno che il futuro delle società libere, dei mercati aperti, dei governi democratici e del più ampio ordine mondiale.

LA CONOSCENZA È POTERE
Il nesso tra innovazione tecnologica e dominio globale risale a secoli fa, dai moschetti che il conquistador Francisco Pizarro brandì per sconfiggere l’Impero Inca alle navi a vapore che il commodoro Matthew Perry comandò per forzare l’apertura del Giappone. Ma la velocità con cui l’innovazione sta avvenendo non ha precedenti. Questo cambiamento è più evidente che in una delle tecnologie fondamentali del nostro tempo: l’intelligenza artificiale.

I sistemi di intelligenza artificiale di oggi possono già fornire vantaggi chiave in ambito militare, dove sono in grado di analizzare milioni di input, identificare modelli e avvisare i comandanti dell’attività nemica. L’esercito ucraino, ad esempio, ha utilizzato l’intelligenza artificiale per analizzare in modo efficiente i dati di intelligence, sorveglianza e ricognizione provenienti da diverse fonti. Sempre più spesso, tuttavia, i sistemi di IA non si limiteranno ad assistere il processo decisionale umano, ma inizieranno a prendere decisioni in prima persona. John Boyd, stratega militare e colonnello dell’aeronautica statunitense, ha coniato il termine “OODA loop” (osservare, orientare, decidere, agire) per descrivere il processo decisionale in combattimento. L’intelligenza artificiale sarà in grado di eseguire ogni parte del ciclo OODA molto più velocemente. Il conflitto può avvenire alla velocità dei computer, non a quella delle persone. Di conseguenza, i sistemi di comando e controllo che si affidano a decisori umani – o, peggio, a complesse gerarchie militari – perderanno terreno rispetto a sistemi più veloci ed efficienti che affiancano le macchine agli uomini.

Nelle epoche precedenti, le tecnologie che hanno plasmato la geopolitica – dal bronzo all’acciaio, dall’energia a vapore alla fissione nucleare – erano in gran parte singolari. Esisteva una chiara soglia di padronanza tecnologica e, una volta raggiunta, il campo di gioco era livellato. L’intelligenza artificiale, al contrario, è di natura generativa. Presentando una piattaforma per la continua innovazione scientifica e tecnologica, può portare a un’ulteriore innovazione. Questo fenomeno rende l’era dell’intelligenza artificiale fondamentalmente diversa dall’età del bronzo o dell’acciaio. Piuttosto che la ricchezza di risorse naturali o la padronanza di una determinata tecnologia, la fonte del potere di un Paese risiede ora nella sua capacità di innovare continuamente.

Questo circolo virtuoso sarà sempre più veloce. Una volta che l’informatica quantistica sarà diventata maggiorenne, i computer superveloci permetteranno di elaborare quantità sempre maggiori di dati, producendo sistemi di intelligenza artificiale sempre più intelligenti. Questi sistemi di intelligenza artificiale, a loro volta, saranno in grado di produrre innovazioni rivoluzionarie in altri campi emergenti, dalla biologia sintetica alla produzione di semiconduttori. L’intelligenza artificiale cambierà la natura stessa della ricerca scientifica. Invece di fare progressi uno studio alla volta, gli scienziati scopriranno le risposte a domande antiche analizzando serie di dati enormi, liberando le menti più intelligenti del mondo per dedicare più tempo allo sviluppo di nuove idee. In quanto tecnologia di base, l’IA sarà fondamentale nella corsa al potere dell’innovazione, essendo alla base di innumerevoli sviluppi futuri nella scoperta di farmaci, nella terapia genetica, nella scienza dei materiali, nell’energia pulita e nell’IA stessa. Gli aerei più veloci non hanno aiutato a costruire aerei più veloci, ma i computer più veloci aiuteranno a costruire computer più veloci.

Ancora più potente dell’intelligenza artificiale di oggi è una tecnologia più completa – per ora, data l’attuale potenza di calcolo, ancora ipotetica – chiamata “intelligenza artificiale generale” o AGI. Mentre l’intelligenza artificiale tradizionale è progettata per risolvere un problema specifico, l’intelligenza artificiale generale dovrebbe essere in grado di eseguire qualsiasi compito mentale che un essere umano può svolgere e anche di più. Immaginate un sistema di intelligenza artificiale in grado di rispondere a domande apparentemente intrattabili, come il modo migliore per insegnare l’inglese a un milione di bambini o per curare un caso di Alzheimer. L’avvento dell’Intelligenza Artificiale è ancora lontano anni, forse addirittura decenni, ma il Paese che svilupperà per primo questa tecnologia avrà un enorme vantaggio, in quanto potrebbe utilizzare l’Intelligenza Artificiale per sviluppare versioni sempre più avanzate dell’Intelligenza Artificiale, guadagnando così un vantaggio in tutti gli altri settori della scienza e della tecnologia. Una svolta in questo campo potrebbe inaugurare un’era di predominio non dissimile dal breve periodo di superiorità nucleare di cui godettero gli Stati Uniti alla fine degli anni Quaranta.

Mentre molti degli effetti più trasformativi dell’intelligenza artificiale sono ancora lontani, l’innovazione nei droni sta già sconvolgendo il campo di battaglia. Nel 2020, l’Azerbaigian ha utilizzato droni di fabbricazione turca e israeliana per ottenere un vantaggio decisivo nella sua guerra contro l’Armenia nella regione contesa del Nagorno-Karabakh, ottenendo vittorie sul campo di battaglia dopo oltre due decenni di stallo militare. Allo stesso modo, la flotta di droni dell’Ucraina – molti dei quali sono modelli commerciali a basso costo riutilizzati per la ricognizione dietro le linee nemiche – ha giocato un ruolo fondamentale nei suoi successi.

I droni offrono vantaggi distinti rispetto alle armi tradizionali: sono più piccoli e più economici, offrono capacità di sorveglianza senza pari e riducono l’esposizione al rischio dei soldati. I marines in guerra urbana, ad esempio, potrebbero essere accompagnati da microdroni che fungono da occhi e orecchie. Col tempo, i Paesi miglioreranno l’hardware e il software dei droni per superare i loro rivali. Alla fine, i droni autonomi armati – non solo i veicoli aerei senza equipaggio, ma anche quelli a terra – sostituiranno del tutto i soldati e l’artiglieria con equipaggio. Immaginate un sottomarino autonomo in grado di spostare rapidamente i rifornimenti in acque contese o un camion autonomo in grado di trovare il percorso ottimale per trasportare piccoli lanciamissili su terreni accidentati. Sciami di droni, collegati in rete e coordinati dall’intelligenza artificiale, potrebbero sopraffare le formazioni di carri armati e fanteria sul campo. Nel Mar Nero, l’Ucraina ha usato i droni per attaccare le navi e i rifornimenti russi, aiutando un Paese con una marina minuscola a contrastare la potente flotta russa del Mar Nero. L’Ucraina offre un’anteprima dei conflitti futuri: guerre che saranno combattute e vinte da uomini e macchine che lavorano insieme.

Come dimostrano gli sviluppi dei droni, il potere dell’innovazione è alla base del potere militare. Innanzitutto, il dominio tecnologico in settori cruciali rafforza la capacità di un Paese di fare la guerra e quindi la sua capacità di deterrenza. Ma l’innovazione plasma anche il potere economico, dando agli Stati un’influenza sulle catene di approvvigionamento e la capacità di stabilire le regole per gli altri. I Paesi che dipendono dalle risorse naturali o dal commercio, soprattutto quelli che devono importare beni rari o fondamentali, devono affrontare vulnerabilità che altri non hanno.

Si pensi al potere che la Cina può esercitare sui Paesi a cui fornisce hardware per le comunicazioni. Non sorprende che i Paesi che dipendono dalle infrastrutture fornite dalla Cina – come molti Paesi africani, dove i componenti prodotti da Huawei costituiscono circa il 70% delle reti 4G – siano stati restii a criticare le violazioni cinesi dei diritti umani. Il primato di Taiwan nella produzione di semiconduttori, inoltre, costituisce un potente deterrente contro l’invasione, dal momento che la Cina ha poco interesse a distruggere la sua principale fonte di microchip. L’influenza è anche per i Paesi pionieri delle nuove tecnologie. Gli Stati Uniti, grazie al loro ruolo nella fondazione di Internet, hanno goduto per decenni di un posto a sedere al tavolo della definizione dei regolamenti di Internet. Durante la Primavera araba, ad esempio, il fatto che gli Stati Uniti fossero sede di aziende tecnologiche che fornivano la spina dorsale di Internet ha permesso a tali aziende di rifiutare le richieste di censura dei governi arabi.

Meno ovvio ma altrettanto cruciale, l’innovazione tecnologica rafforza il soft power di un Paese. Hollywood e aziende tecnologiche come Netflix e YouTube hanno creato una serie di contenuti per una base di consumatori sempre più globale, contribuendo nel contempo a diffondere i valori americani. Questi servizi di streaming proiettano lo stile di vita americano nei salotti di tutto il mondo. Allo stesso modo, il prestigio associato alle università statunitensi e le opportunità di creazione di ricchezza create dalle aziende americane attraggono gli aspiranti da tutto il mondo. In breve, la capacità di un Paese di proiettare potere nella sfera internazionale – militarmente, economicamente e culturalmente – dipende dalla sua capacità di innovare più velocemente e meglio dei suoi concorrenti.

CORSA AL VERTICE
Il motivo principale per cui oggi l’innovazione offre un vantaggio così massiccio è che genera altra innovazione. In parte, ciò avviene grazie alla dipendenza dal percorso che deriva dai gruppi di scienziati che attraggono, insegnano e formano altri grandi scienziati nelle università di ricerca e nelle grandi aziende tecnologiche. Ma lo fa anche perché l’innovazione si costruisce da sola. L’innovazione si basa su un ciclo di invenzione, adozione e adattamento, un ciclo di feedback che alimenta ancora più innovazione. Se un anello della catena si rompe, si rompe anche la capacità di un Paese di innovare in modo efficace.

Un vantaggio nell’invenzione si basa in genere su anni di ricerca precedente. Si pensi al modo in cui gli Stati Uniti hanno guidato il mondo nell’era delle telecomunicazioni 4G. L’introduzione delle reti 4G in tutto il Paese ha facilitato lo sviluppo di applicazioni mobili come Uber, che richiedevano connessioni dati cellulari più veloci. Grazie a questo vantaggio, Uber ha potuto perfezionare il suo prodotto negli Stati Uniti per poterlo diffondere nei Paesi in via di sviluppo. Questo ha portato ad avere molti più clienti e molti più feedback da incorporare, mentre l’azienda adattava il suo prodotto a nuovi mercati e a nuove versioni.

Ma il fossato attorno ai Paesi che godono di vantaggi strutturali nella tecnologia si sta riducendo. Grazie anche alla ricerca accademica più accessibile e all’ascesa del software open-source, le tecnologie si diffondono più rapidamente in tutto il mondo. La disponibilità di nuovi progressi ha aiutato i concorrenti a recuperare a velocità record, come ha fatto la Cina con il 4G. Sebbene alcuni dei recenti successi tecnologici della Cina derivino dallo spionaggio economico e dal mancato rispetto dei brevetti, gran parte di essi sono dovuti a sforzi innovativi, piuttosto che derivativi, per adattare e implementare le nuove tecnologie.

In effetti, le aziende cinesi hanno avuto un successo clamoroso nell’adottare e commercializzare le scoperte tecnologiche straniere. Nel 2015, il Partito Comunista Cinese ha definito la sua strategia “Made in China 2025” per raggiungere l’autosufficienza in settori ad alta tecnologia come le telecomunicazioni e l’IA. Nell’ambito di questa strategia, ha annunciato un piano economico di “doppia circolazione”, con il quale la Cina intende incrementare la domanda interna ed estera dei suoi prodotti. Attraverso partenariati pubblico-privato, sovvenzioni dirette alle aziende private e sostegno alle aziende statali, Pechino ha versato miliardi di dollari per assicurarsi di essere in vantaggio nella corsa alla supremazia tecnologica. Finora i risultati sono contrastanti. La Cina è in vantaggio rispetto agli Stati Uniti in alcune tecnologie, ma è in ritardo in altre.

È difficile dire se la Cina prenderà il comando nel campo dell’IA, ma gli alti funzionari di Pechino pensano che lo farà. Nel 2017, Pechino ha annunciato l’intenzione di diventare il leader mondiale dell’intelligenza artificiale entro il 2030 e potrebbe raggiungere questo obiettivo anche prima del previsto. La Cina ha già raggiunto il suo obiettivo di diventare leader mondiale nella tecnologia di sorveglianza basata sull’IA, che non solo utilizza per controllare i dissidenti in patria, ma vende anche ai governi autoritari all’estero. La Cina è ancora indietro rispetto agli Stati Uniti nell’attrarre le migliori menti nel campo dell’IA, con quasi il 60% dei ricercatori di alto livello che lavorano nelle università statunitensi. Ma le leggi sulla privacy poco rigorose, la raccolta obbligatoria di dati e i finanziamenti governativi mirati danno al Paese un vantaggio fondamentale. Infatti, è già leader nella produzione di veicoli autonomi.

Per ora, gli Stati Uniti sono ancora in vantaggio nel calcolo quantistico. Tuttavia, negli ultimi dieci anni, la Cina ha investito almeno 10 miliardi di dollari nella tecnologia quantistica, circa dieci volte di più del governo statunitense. La Cina sta lavorando per costruire computer quantistici così potenti da poter facilmente decifrare la crittografia odierna. Il Paese sta anche investendo molto nelle reti quantistiche – un modo di trasmettere informazioni sotto forma di bit quantistici – presumibilmente nella speranza che tali reti siano impermeabili al monitoraggio di altre agenzie di intelligence. Ancora più allarmante è il fatto che il governo cinese potrebbe già archiviare le comunicazioni rubate e intercettate con l’obiettivo di decriptarle una volta in possesso della potenza di calcolo necessaria per farlo, una strategia nota come “archivia ora, decripta dopo”. Quando i computer quantistici diventeranno sufficientemente veloci, tutte le comunicazioni criptate con metodi non quantistici saranno a rischio di intercettazione, il che aumenta la posta in gioco per raggiungere per primi questa svolta.

La Cina sta anche cercando di recuperare il ritardo accumulato dagli Stati Uniti nel campo della biologia sintetica. Gli scienziati in questo campo stanno lavorando su una serie di nuovi sviluppi biologici, tra cui il cemento prodotto da microbi che assorbe l’anidride carbonica, le colture con una maggiore capacità di sequestrare il carbonio e i sostituti della carne a base vegetale. Queste tecnologie sono molto promettenti per combattere il cambiamento climatico e creare posti di lavoro, ma dal 2019 gli investimenti privati cinesi nella biologia sintetica hanno superato quelli statunitensi.

Anche per quanto riguarda i semiconduttori, la Cina ha piani ambiziosi. Il governo cinese sta finanziando sforzi senza precedenti per diventare leader nella produzione di semiconduttori entro il 2030. Attualmente le aziende cinesi creano i cosiddetti chip a “sette nanometri”, ma Pechino si è spinta oltre, annunciando l’intenzione di produrre internamente la nuova generazione di chip a “cinque nanometri”. Per ora, gli Stati Uniti continuano a superare la Cina nella progettazione di semiconduttori, così come Taiwan e la Corea del Sud. Nell’ottobre del 2022, l’amministrazione Biden ha compiuto l’importante passo di bloccare le vendite in Cina delle principali aziende statunitensi produttrici di chip per computer di intelligenza artificiale, nell’ambito di un pacchetto di restrizioni pubblicato dal Dipartimento del Commercio. Tuttavia, le aziende cinesi controllano l’85% della lavorazione dei minerali di terre rare che entrano in questi chip e in altri componenti elettronici critici, offrendo un importante punto di forza rispetto ai loro concorrenti.

UNA BATTAGLIA DI SISTEMI
La competizione tra Stati Uniti e Cina è una competizione tra sistemi, oltre che tra Stati. Nel modello cinese di fusione civile-militare, il governo promuove la competizione interna e finanzia i vincitori emergenti come “campioni nazionali”. Queste aziende svolgono un duplice ruolo, massimizzando il successo commerciale e promuovendo gli interessi della sicurezza nazionale cinese. Il modello americano, invece, si basa su un insieme più eterogeneo di attori privati. Il governo federale finanzia la scienza di base, ma lascia in gran parte l’innovazione e la commercializzazione al mercato.

Per molto tempo, la triplice collaborazione tra governo, industria e università è stata la fonte principale dell’innovazione americana. Questa collaborazione ha portato a molte scoperte tecnologiche, dallo sbarco sulla Luna a Internet. Ma con la fine della Guerra Fredda, il governo degli Stati Uniti è diventato restio a stanziare fondi per la ricerca applicata e ha persino ridotto l’importo destinato alla ricerca fondamentale. Sebbene la spesa privata sia decollata, nell’ultimo mezzo secolo gli investimenti pubblici si sono stabilizzati. Nel 2015, la quota di finanziamenti pubblici per la ricerca di base è scesa sotto il 50% per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, dopo essersi aggirata intorno al 70% negli anni Sessanta. Nel frattempo, la geometria dell’innovazione – il ruolo rispettivo degli attori pubblici e privati nel guidare il progresso tecnologico – è cambiata dai tempi della Guerra Fredda, in modi che non sempre hanno prodotto ciò di cui il Paese ha bisogno. L’ascesa del capitale di rischio ha contribuito ad accelerare l’adozione e la commercializzazione, ma ha fatto poco per affrontare problemi scientifici di ordine superiore.

Le ragioni della riluttanza di Washington a finanziare la scienza che è alla base del potere innovativo sono strutturali. L’innovazione richiede rischi e, a volte, fallimenti, cosa che i politici sono restii ad accettare. L’innovazione può richiedere investimenti a lungo termine, ma il governo degli Stati Uniti opera su un ciclo di bilancio di un solo anno e, al massimo, su un ciclo politico di due anni. Nonostante questi ostacoli, la Silicon Valley (insieme ad altre zone calde degli Stati Uniti) è riuscita a incoraggiare l’innovazione. La storia del successo americano si basa su un potente mix di ambizione stimolante, regimi legali e fiscali favorevoli alle startup e una cultura di apertura che consente a imprenditori e ricercatori di iterare e migliorare le nuove idee.

Il sistema di immigrazione degli Stati Uniti, ormai obsoleto, impedisce a troppe persone di talento di venire.
Tuttavia, questo potrebbe non essere sufficiente. Il sostegno del governo ha svolto a lungo un ruolo cruciale nell’avviare l’innovazione negli Stati Uniti, e la ricerca in tecnologie che oggi sembrano stravaganti potrebbe rivelarsi fondamentale in un futuro non troppo lontano. Nel 2013, ad esempio, la Defense Advanced Research Projects Agency ha investito in vaccini a RNA messaggero, collaborando con l’azienda biotecnologica Moderna, che in seguito avrebbe sviluppato e consegnato un vaccino COVID-19 in tempi record. Ma questi esempi sono più rari di quanto dovrebbero.

La competizione con la Cina richiede una rivitalizzazione dell’interazione tra governo, settore privato e università. Proprio come la Guerra Fredda portò alla creazione del Consiglio di Sicurezza Nazionale, l’odierna competizione tecnologica dovrebbe stimolare un ripensamento delle strutture politiche esistenti. Come ha raccomandato la Commissione per la Sicurezza Nazionale sull’Intelligenza Artificiale (da me presieduta), un nuovo “Consiglio per la competitività tecnologica”, ispirato all’NSC, potrebbe aiutare a coordinare l’azione degli attori privati e a sviluppare un piano nazionale per far progredire le tecnologie emergenti cruciali. Un segnale promettente: il Congresso sembra aver riconosciuto la necessità di un sostegno decisivo. Nel 2022, con un voto bipartisan, ha approvato il CHIPS and Science Act, che prevede un finanziamento di 200 miliardi di dollari per la R&S scientifica nei prossimi dieci anni.

INVESTIRE NEL FUTURO
Nell’ambito degli sforzi per rimanere una superpotenza dell’innovazione, gli Stati Uniti dovranno investire miliardi di dollari in settori chiave della competizione tecnologica. Per quanto riguarda i semiconduttori, forse la tecnologia più vitale oggi, il governo americano dovrebbe raddoppiare i suoi sforzi per le catene di approvvigionamento onshore e “friend shore”, trasferendole negli Stati Uniti o in Paesi amici. Per quanto riguarda le energie rinnovabili, il governo dovrebbe finanziare la ricerca e lo sviluppo nel campo della microelettronica, accumulare i minerali di terre rare (come il litio e il cobalto) necessari per le batterie e i veicoli elettrici e investire in nuove tecnologie in grado di sostituire le batterie agli ioni di litio e di compensare il dominio cinese sulle risorse. Nel frattempo, la diffusione del 5G negli Stati Uniti è stata lenta, in parte perché le agenzie governative, in particolare il Dipartimento della Difesa, controllano la maggior parte dello spettro radio ad alta frequenza utilizzato dal 5G. Per recuperare il ritardo rispetto alla Cina, il Pentagono dovrebbe aprire una parte maggiore dello spettro agli attori privati.

Gli Stati Uniti dovranno investire in tutte le fasi del ciclo dell’innovazione, finanziando non solo la ricerca di base ma anche la commercializzazione. Un’innovazione significativa richiede sia l’invenzione che l’implementazione, la capacità di eseguire e commercializzare le nuove invenzioni su scala. Questo è spesso il principale ostacolo. La ricerca sulle auto elettriche, ad esempio, ha aiutato General Motors a portare il suo primo modello sul mercato nel 1996, ma ci sono voluti altri due decenni prima che Tesla producesse in serie un modello commercialmente valido. Ogni nuova tecnologia, dall’IA all’informatica quantistica alla biologia sintetica, deve essere perseguita con il chiaro obiettivo della commercializzazione.

Oltre a investire direttamente nelle tecnologie che alimentano la forza dell’innovazione, gli Stati Uniti devono investire nel fattore che sta alla base dell’innovazione: il talento. Gli Stati Uniti vantano le migliori startup, aziende storiche e università del mondo, che attirano i migliori e i più brillanti da tutto il mondo. Tuttavia, troppe persone di talento non possono venire negli Stati Uniti a causa del sistema di immigrazione obsoleto. Invece di creare un percorso facile verso la green card per gli stranieri che conseguono lauree STEM in scuole americane, il sistema attuale rende inutilmente difficile per i migliori laureati contribuire all’economia statunitense.

Gli Stati Uniti hanno un vantaggio asimmetrico quando si tratta di assumere immigrati altamente qualificati, e il loro invidiabile tenore di vita e le abbondanti opportunità spiegano perché il Paese ha attratto la maggior parte delle menti più brillanti del mondo nel campo dell’IA. Più della metà dei ricercatori di IA che lavorano negli Stati Uniti proviene dall’estero e la domanda di talenti di IA supera ancora di gran lunga l’offerta. Se gli Stati Uniti chiudono le porte agli immigrati di talento, rischiano di perdere il loro vantaggio innovativo. Così come il Progetto Manhattan è stato guidato in gran parte da rifugiati ed emigrati dall’Europa, la prossima scoperta tecnologica americana si baserà quasi certamente sugli immigrati.

LA MIGLIORE DIFESA
Nell’ambito dei suoi sforzi per tradurre l’innovazione in hard power, gli Stati Uniti devono ripensare radicalmente alcune delle loro politiche di difesa. Durante la Guerra Fredda, il Paese ha progettato diverse strategie di “compensazione” per controbilanciare la superiorità numerica sovietica attraverso la strategia militare e le innovazioni tecnologiche. Oggi Washington ha bisogno di quella che lo Special Competitive Studies Project ha definito una strategia “Offset-X”, un approccio competitivo attraverso il quale gli Stati Uniti possono mantenere la superiorità tecnologica e militare.

Dato che i militari e le economie moderne si basano sulle infrastrutture digitali, è probabile che qualsiasi futura guerra tra grandi potenze inizi con un attacco informatico. Le difese informatiche degli Stati Uniti, quindi, hanno bisogno di un tempo di risposta più veloce del tempo di reazione degli esseri umani. Avendo affrontato continui attacchi informatici anche in tempo di pace, gli Stati Uniti dovrebbero armarsi di ridondanza, creando sistemi di backup e percorsi alternativi per i flussi di dati.

Ciò che inizia nel cyberspazio potrebbe facilmente degenerare nel regno fisico, e anche in questo caso gli Stati Uniti dovranno affrontare nuove sfide. Per contrastare eventuali attacchi di droni a sciame, devono investire in sistemi di artiglieria e missili difensivi. Per migliorare la consapevolezza del campo di battaglia, le forze armate statunitensi dovrebbero concentrarsi sul dispiegamento di una rete di sensori poco costosi alimentati dall’intelligenza artificiale per monitorare le aree contese, un approccio che spesso è più efficace di un singolo sistema squisitamente realizzato. Poiché l’intelligence umana diventa sempre più difficile da ottenere, gli Stati Uniti dovranno fare sempre più affidamento sulla più grande costellazione di sensori di qualsiasi Paese, che va dal mare allo spazio. Dovranno inoltre concentrarsi maggiormente sull’intelligence open-source, dato che oggi la maggior parte dei dati del mondo è disponibile pubblicamente. Senza questa capacità, gli Stati Uniti rischiano di essere sorpresi dai loro fallimenti di intelligence.

Nella sfida del secolo – la rivalità degli Stati Uniti con la Cina – il fattore decisivo sarà il potere dell’innovazione.
Quando si tratta di combattere davvero, le unità militari dovrebbero essere collegate in rete e decentralizzate per superare meglio gli avversari. Di fronte ad avversari con gerarchie militari rigide, gli Stati Uniti potrebbero ottenere un vantaggio utilizzando unità più piccole e connesse, i cui membri sono abili nel prendere decisioni in rete, utilizzando gli strumenti dell’intelligenza artificiale a loro vantaggio. Ad esempio, una singola unità potrebbe riunire capacità di raccolta di informazioni, attacchi missilistici a lungo raggio e guerra elettronica. Il Pentagono deve fornire ai comandanti sul campo di battaglia tutte le informazioni migliori e permettere loro di fare le scelte migliori sul campo.

L’esercito americano deve anche imparare a integrare le nuove tecnologie nel processo di approvvigionamento, nei piani di battaglia e nel combattimento. Nei quattro anni in cui ho presieduto il Defense Innovation Board, sono rimasto sbalordito da quanto fosse difficile farlo. Uno dei principali colli di bottiglia è rappresentato dall’oneroso processo di approvvigionamento del Pentagono: i principali sistemi d’arma richiedono più di dieci anni per essere progettati, sviluppati e distribuiti. Il Dipartimento della Difesa dovrebbe ispirarsi al modo in cui l’industria tecnologica progetta i prodotti. Dovrebbe costruire i missili come le aziende costruiscono le auto elettriche, utilizzando uno studio di progettazione per sviluppare e simulare il software, alla ricerca di innovazioni dieci volte più veloci ed economiche rispetto ai processi attuali. L’attuale sistema di approvvigionamento è particolarmente inadatto a un futuro in cui la supremazia del software si rivelerà decisiva sul campo di battaglia.

Gli Stati Uniti spendono quattro volte di più di qualsiasi altro Paese per l’acquisto di sistemi militari, ma il prezzo è un parametro insufficiente per giudicare la forza innovativa. Nell’aprile 2022, le forze ucraine hanno lanciato due missili Neptune contro la Moskva, una nave da guerra russa di 600 piedi, affondandola. La nave è costata 750 milioni di dollari; i missili, 500.000 dollari l’uno. Allo stesso modo, il missile ipersonico antinave all’avanguardia della Cina, l’YJ-21, potrebbe un giorno affondare una portaerei statunitense da 10 miliardi di dollari. Il governo americano dovrebbe pensarci due volte prima di impegnare altri 10 miliardi di dollari e dieci anni per una nave del genere. Spesso ha più senso acquistare molti prodotti a basso costo invece di investire in pochi progetti di prestigio ad alto costo.

GIOCARE PER VINCERE
Nella gara del secolo – la rivalità degli Stati Uniti con la Cina – il fattore decisivo sarà il potere dell’innovazione. I progressi tecnologici dei prossimi cinque-dieci anni determineranno quale Paese avrà la meglio in questa competizione mondiale. La sfida per gli Stati Uniti, tuttavia, è che i funzionari governativi sono incentivati a evitare i rischi e a concentrarsi sul breve termine, lasciando il Paese cronicamente sottoinvestito nelle tecnologie del futuro.

Se la necessità è la madre dell’invenzione, la guerra è la levatrice dell’innovazione. Parlando con gli ucraini durante una visita a Kiev nell’autunno del 2022, ho sentito dire da molti che i primi mesi di guerra sono stati i più produttivi della loro vita. L’ultima guerra veramente globale degli Stati Uniti – la Seconda Guerra Mondiale – ha portato all’adozione diffusa della penicillina, a una rivoluzione nella tecnologia nucleare e a una svolta nell’informatica. Ora gli Stati Uniti devono innovare in tempo di pace, più velocemente che mai. Non riuscendo a farlo, stanno erodendo la loro capacità di dissuadere e, se necessario, di combattere e vincere la prossima guerra.

L’alternativa potrebbe essere disastrosa. I missili ipersonici potrebbero lasciare gli Stati Uniti senza difese e i cyberattacchi potrebbero paralizzare la rete elettrica del Paese. Forse ancora più importante, la guerra del futuro prenderà di mira gli individui in modi completamente nuovi: Stati autoritari come la Cina e la Russia potrebbero essere in grado di raccogliere dati individuali sulle abitudini di acquisto degli americani, sulla loro posizione e persino sui profili del DNA, consentendo campagne di disinformazione su misura e persino attacchi biologici e assassinii mirati. Per evitare questi orrori, gli Stati Uniti devono assicurarsi di essere all’avanguardia rispetto ai loro concorrenti tecnologici.

I principi che hanno definito la vita negli Stati Uniti – libertà, capitalismo, impegno individuale – erano quelli giusti per il passato e lo saranno anche per il futuro. Questi valori fondamentali sono alla base di un ecosistema dell’innovazione che è ancora l’invidia del mondo. Hanno permesso di realizzare innovazioni che hanno trasformato la vita quotidiana in tutto il mondo. Gli Stati Uniti hanno iniziato la corsa all’innovazione in pole position, ma non possono essere certi di rimanervi. Il vecchio mantra della Silicon Valley vale non solo per l’industria ma anche per la geopolitica: innovare o morire.

ERIC SCHMIDT è presidente dello Special Competitive Studies Project ed ex amministratore delegato e presidente di Google. È coautore, con Henry Kissinger e Daniel Huttenlocher, di The Age of AI: And Our Human Future.

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