Italia e il mondo

NECESSITÀ E CONTRADDIZIONI DELL’EPOCA DI TRUMP: ALCUNE TENDENZE DEGLI STATI UNITI, di Vincenzo Costa

Considerazioni interessanti di Vincenzo Costa. Provo a puntualizzare ulteriormente, dal mio punto di vista alcuni aspetti, riservandomi in futuro considerazioni più organiche:

  • il conflitto politico interno agli Stati Uniti attraversa ormai tutti i poteri, compreso il sistema giudiziario. MAGA, in questi ultimi anni, ha prestato particolare attenzione alla elezione dei procuratori, alla stessa stregua, questa volta, di Soros e delle confraternite di segno opposto. Si può dire che ci sia ormai una élite e una classe dirigente, non ancora del tutto formata, alternativa in aperta competizione e sempre più radicata negli apparati
  • il peso attribuito ai privati non ha valore sistemico, ma serve a destrutturare radicalmente gli attuali apparati per costruirne di nuovi. Le tesi di un ritorno ad una società neofeudale, come dello strapotere dei poteri finanziari fine a se stessi, secondo me, sono del tutto fuorvianti, specie se si tiene conto di cosa sia stata la società feudale e del fatto che il sistema feudale vero e proprio copriva solo una parte della società europea. Gli Stati Uniti, del resto, con il sistema delle agenzie (DARPA, ect) ha messo in piedi sin dalle origini, ma soprattutto con F.D. Roosevelt, un particolare sistema simbiotico ed intercambiabile pubblico/privato.
  • A guidare la destrutturazione non è solo la componente tecno-imprenditoriale, ma anche una componente conservatrice particolarmente attiva che, tra l’altro, sta cercando di costruire una sintesi politico-culturale con quella tecno-progressista. Dal successo di questo tentativo dipenderà la coerenza e la forza strategica e ideologica di questo movimento. L’enfasi che si tende ad attribuire alla gestione privata del potere e dell’informazione e al nesso che si determinerebbe con i processi autoritari in atto è del tutto fuorviante e travisante della situazione attuale negli USA. Intanto, in linea di principio ciò che determina gli spazi di libertà di azione e comunicazione sono le regolamentazioni dei comportamenti degli attori, siano essi privati o pubblici, il rispetto fattuale di queste; nei fatti contano il carattere competitivo delle relazioni tra i centri poliarchici e il rapporto di questi con la base popolare. Nelle fasi di destrutturazione questi spazi di libertà, solitamente, tendono ad aprirsi parallelamente agli atti proditori in attesa di una fase di restaurazione tutta da verificare. Gli Stati Uniti stanno vivendo, ormai da anni, questa fase dinamica di conflitto. L’enfasi sull’attuale carattere oligarchico ed oppressivo delle élites emergenti sono travisanti e fuorvianti.
  • Continuare ad individuare, come certa area tende ad insistere imperterrita, nei centri finanziari il deus ex machina del potere elude la dialettica ben più complessa del conflitto politico e spinge a concentrare l’attenzione ostile sul corollario della corruzione e sul carattere parassitario di questi centri (tra i tanti, Carnelos), piuttosto che sulla funzione proattiva dei flussi finanziari nella gestione del potere e nella determinazione delle formazioni sociali. Con la conseguenza che si tende ad omettere da una parte l’articolazione interna di funzioni di questi centri e la loro dipendenza dal quadro politico, caratteristica per altro presente in tutti i competitori geopolitici; dall’altra si tende ad attribuire ad essi il carattere di tesaurizzatori e parassitario. Quanto questa tesi sia fuorviante c’è lo ha spiegato chiaramente Marx, pur con tutti i suoi limiti, con la sua teoria del plusvalore e della realizzazione e redistribuzione del profitto. 
  • Trump, per perseguire i suoi obbiettivi interni di Grande America e di coesione sociale, ha bisogno di una competizione non belligerante e di una sorta di regolazione più o meno tacita del conflitto e della transizione con le forze multipolari emergenti; di una significativa riduzione pilotata della sovraestensione imperialistica piuttosto che imperiale (anche questo, secondo me, termine sempre più usato a sproposito) e di modalità diverse di esercizio del potere egemonico e di influenza anche nello stesso suo “giardino di casa”

Di sicuro dovrà correre sul filo del rasoio. Un suo fallimento rischia di portare ad una frammentazione anarchica il conflitto politico interno dalle conseguenze imprevedibili.

Di sicuro, la tentazione prevalente, per altro assente nello scritto di V. Costa, di accomunare il movimento di Trump alla cerchia di potere uscente, spesso attribuendogli un carattere peggiorativo, serve solo a giustificare la postura testimoniale del magma “sovranista”, ad aggrapparsi a stereotipi inadeguati e surclassati e ad ignorare gli enormi spazi di azione politica che si potrebbero aprire.

A titolo di esempio:

  • il tema dei dazi, piuttosto che ad una condanna e recriminazione, dovrebbe spingere a riproporre, anche nei paesi europei e in Italia in particolare il tema ricorrente, sin dal dopoguerra, dello sviluppo industriale equilibrato più fondato sulla domanda interna, di uno sviluppo diversificato delle esportazioni, di un controllo dei flussi finanziari e delle partecipazioni azionarie, di utilizzo interno del risparmio nazionale
  • l’epurazione di USAID e dintorni dovrebbe servire per fare pulizia all’interno dei propri paesi e a riprendere il controllo delle proprie leve istituzionali e degli apparati

Il riflesso oppositore pavloviano, al contrario, nel migliore dei casi si rivelerebbe sterile, nel peggiore, e già qualche inquietante segnale è purtroppo visibile in Italia, come in Francia e Germania, porterà a ridursi a semplice ruota di scorta del movimento reazionario, finto-progressista, che mantiene in Europa i filamenti più striduli ed organizzati ma che allignano negli Stati Uniti i detentori  ultimi delle trame. Basterebbe poco, qui in Europa, a cominciare dalla cessazione del conflitto in Ucraina, per far pendere le sorti del conflitto politico negli Stati Uniti. Quel poco, però, fatica ad emergere. Più che accanirsi su Trump e spingerlo, quindi, a compattarsi con i neocon o al suicidio, ci si dovrebbe concentrare sui corifei guerrafondai ben radicati in Europa, presenti nei comandi NATO, negli apparati e nel ceto politico nostrano i quali sono ben consapevoli di essere i primi a morire, in caso di collasso delle politiche globaliste. 

Negli Stati Uniti vige ormai una sorta di stato di eccezione; qui in Europa occorrerebbe qualcosa di analogo che tarda a venire; se pure si avrà.

Giuseppe Germinario

Post lungo e di studio. Lo ho scritto per cercare di chiarirmi le idee, nulla di più
L’approccio ai cambiamenti in corso è, per lo più, morale. Alle analisi si sono sostituite le indignazioni. Di per sé questo gioco è innocuo, non produce niente e non porta danni. E tuttavia, può divenire un impedimento a capire quello che sta accadendo, bloccando sul nascere qualsiasi tentativo di interrogarsi sui mutamenti in corso. Farlo significa esporsi all’accusa di putinismo prima, ora di putin-trumpismo. Non resta che ignorare questa fascia e tentare di capire.
1. Perché Trump è una necessità per gli USA
1. Trump è una differente risposta a un medesimo problema: la perdita di competitività dell’industria americana, di potere militare, di egemonia. In un’intervista importante Robert Lighthizer, colui che guida da decenni le linee del commercio estero dei governi repubblicani, ha chiarito che la Cina è una “minaccia esistenziale” per gli USA, perché ha il più grande esercito del mondo e lo sta rafforzando, la più grande marina militare del mondo e la sta rafforzando, “sta portando avanti e vincendo una guerra economica contro gli USA”
2. Gli stati uniti devono agire ora, in fretta, perché hanno perso la superiorità militare, tecnologica, industriale, e il tempo è poco e lavora per coloro che minacciano la supremazia: Lighthizer sostiene, giustamente, che con questo regime di libero scambio si trasferisce una quantità enorme di ricchezza alla Cina e, con essa, di tecnologia avanzata. Questo, dice, è insano.
3. Gli USA non possono più sostenere i costi delle rivoluzioni colorate, perché quel modo di ottenere la supremazia implica costi enormi, ed è per questo che Musk sta svuotando molte istituzioni, che Trump maltratta alleati fedeli come l’Arabia saudita, l’Europa, il Canada.
QUEL MODO DI MANTENERE LA SUPREMAZIA NON Può DURARE SUL LUNGO PERIODO, è autolesionista perché gli USA diventano sempre più deboli.
4. Il debito pubblico è fuori controllo, e l’economia americana si regge solo sul ruolo del dollaro, che però produce, di ritorno, deindustrializzazione. Ma ora, per molte ragioni e a causa dei molti errori dei democratici, gli investitori iniziano a ritirarsi, si inizia a parlare di dedollarizzazione.
Anche se la dedollarizzazione non è dietro l’angolo, tuttavia si usano sempre più monete locali negli scambi e la guerra in Ucraina è stata un acceleratore. Ma se il dollaro perde potere questo debito pubblico produrrà il collasso. Di qui l’urgenza di agire su vari piani: i tagli, la riduzione dell’apparato burocratico, le minacce verso i paesi esteri.
5. Di qui la sfida di Trump: fare di nuovo degli USA una potenza industriale, con la quale non conviene entrare in conflitto commerciale, che deve essere pagata per garantire sicurezza, che deve attrarre talenti per la tecnologia e non manovalanza a basso prezzo.
6. Il protezionismo, spiega Lighthizer, non è un’opzione: è una questione di sopravvivenza. Senza protezionismo il declino sarà rapidissimo. Significa trasferire ricchezza e potere altrove.
7. Del resto, già Biden aveva messo dazi del 100% sulle auto elettriche cinesi, aveva dato contributi statale importanti a Stellantis per riportare la produzione negli Usa. Gli Stati uniti hanno avuto un’emorragia enorme di posti di lavoro.
8. Se il sostegno degli americani a Trump è crescente, se neanche nel corso del primo mandato era stato così alto, le ragioni vanno cercate qui, non nella personalità autoritaria, l’identificazione con il leader, la psicologia delle masse.
9. Le cose correranno in fretta. I grandi oligarchi hanno scelto Trump perché le condizioni lo impongono
2. I RISCHI DELLA SCOMMESSA TRUMPIANA
Quella di Trump è una scommessa ad alto rischio, e sarà gestita pragmaticamente. Al di là delle sparate, Trump sarà pragmatico, è pragmatico: se una strada non funziona la cambia. Ma in ogni caso vi sono dei rischi, delle contraddizioni interne a questo progetto. Quali?
1. La società americana sta passando dalla polarizzazione al conflitto aperto.
Basta seguire i notiziari di CBS e CNN da un lato e FOX dall’altro per vivere in due mondi diversi. CBS presenta la chiusura di USAID come la chiusura di un’agenzia che curava i poveri bambini della Nigeria, che portava da mangiare agli affamati.
C’è da credere che gli elettori democratici non sappiano davvero niente delle porcherie che faceva USAID. Al contrario, FOX accentua il verminaio che era USAID, soprattutto attirando l’attenzione sugli sprechi, sui regali.
Due mondi, due americhe, bisognerà vedere se e quanto a lungo potranno convivere. Non è detto che possano farlo, non se lo scontro si acutizza ancora. I sistemi democratici hanno dei limiti nella capacità di tollerare il conflitto.
2. La chiesa cattolica americana (e forse la chiesa cattolica in se) va verso la spaccatura. L’uso del vangelo in chiave politica ha spaccato in due i cattolici, la commistione tra fede e politica ha frantumato il comune senso di appartenenza. I cattolici di Trump e quelli che si richiamano alla Pelosi o alla Ocasio-Cortez non appartengono già ora alla stessa comunità religiosa. C’è una bomba ad orologeria piazzata nella chiesa cattolica americana. Se non si è cauti esplode. Le conseguenze possono essere devastanti, e non solo per la chiesa cattolica.
3. Si è approfondita la spaccatura tra popolo e intellettuali negli USA, e si è sviluppata a un nuovo livello: adesso il popolo non è un movimento romantico antitecnologico, ma si riconosce nelle punte avanzate della tecnologia. Questa è una cosa del tutto nuovo rispetto ai movimenti populisti classici degli stati uniti.
4. Il concorrente per gli usa non è la Russia, ma la Cina e l’Europa. La Russia può, anzi, essere un ottimo partner, forse un partner indispensabile per gli USA e nella competizione globale.
5. L’artico non necessariamente deve portare a un conflitto con la Russia. Se guardate la cartina si capisce in fretta che l’Artico può essere diviso o condiviso con la Russia, escludendo altri paesi (in particolare l’Europa). E può esserlo con alcune modifiche territoriali. Groenlandia e Canada diventano strategiche per giungere a questa divisione che esclude. Il loro spostamento non intacca la Russia, traccia due sfere di influenza. Trump sta puntando a un multipolarismo che si struttura attorno a pochi poli dominanti, perché in questo modo vince. La divisione in sfere di influenze con la Russia non rappresenta una minaccia per gli USA, poiché la Russia comunque non è un competitore economico terribile.
6. Con la Russia non c’è affinità ideologica (autocrazia e oligarchia) come si vuole credere. Semplicemente, la Russia è decisiva per gli Stati Uniti nella lotta geopolitica, contro gli avversari veri, che sono Europa e Cina.
7. L’amministrazione Biden ha complicato tutto. È riuscita a distruggere l’economia europea, questo sì, ma ha fatto l’errore di portare a un legame strategico tra Russia e Cina. La scommessa di Trump è rimettere a posto questo errore, avere la Russia come alleato, strapparla alla Cina. Operazione difficile, ovviamente, oramai.
8. La questione ucraina va vista in chiave sistemica non morale. Il resto è solo fumo, che a volte segnala l’arrosto ma a volte segnale cose più o meno moralmente riprovevoli ma irrilevanti dal punto di vista sistemico.
9. Trump non sta smantellando lo Stato, Trump non è più dell’ordine del neoliberalismo, per cui ogni discorso sul neoliberalismo è superato dalla storia. Trump sta creando un nuovo modello, inedito: STA PRIVATIZZANDO LO STATO, sta dando e darà sempre più a privati la gestione di funzioni che restano comunque statali.
10. È la fine della modernità. La modernità era stata, tra tante cose, un processo attraverso cui lo Stato (il sovrano) toglieva ai privati (feudatari etc.) potere, lo erodeva, e in questo modo si è affermato un processo di razionalizzazione che implicava un processo di burocratizzazione. Ora il processo si inverte: i privati si appropriano di funzioni statale (la sicurezza per esempio). Non si tratta più di lasciare libero il mercato. I privati non rivendicano la libertà del mercato. Siamo di fronte a qualcosa di totalmente diverso. I privati si prendono lo stato, che resta Stato e non mercato.
11. La divisione dei poteri non è che sta saltando: è già saltata. I democratici usano e puntano sul potere della magistratura per fermare le politiche di Trump. Inevitabile che il conflitto sia destinato ad acuirsi
#Trump #StatiUniti #geopolitica #multipolarismo #europa #realismo #sovranismo
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Policy Brief – Prima di Vegezio: Domande critiche per la difesa europea, di Andrea e Mauro Gilli e Niccolò Petrelli_A cura di Roberto Buffagni

Lo studio che qui presentiamo in traduzione automatica italiana si intitola “BEFORE VEGETIUS/ CRITICAL QUESTIONS FOR EUROPEAN DEFENSE”. A Vegezio si attribuisce il celeberrimo detto “Si vis pacem para bellum”. Gli autori sono Andrea Gilli, Mauro Gilli, Niccolò Petrelli, presentati in nota al testo. Lo pubblica lo Institute for European Policymaking della Università Bocconi.

È uno studio accurato, accademicamente serio, che pone molte domande giuste e merita un’attenta lettura.

Particolarmente interessanti sono le domande assenti. Elenco le principali:

  1. Nello studio, “Europa” è sinonimo di Unione Europea (con l’aggiunta implicita della Gran Bretagna, probabilmente). L’Unione Europea non è uno Stato e non lo sarà mai, non ha legittimazione popolare, e riunisce Stati che per collocazione geografica e storia hanno interessi nazionali diversi, a volte contrastanti o confliggenti. Come può “l’Europa”, intesa in questa accezione, designare il nemico, decidere la guerra, chiamare alle armi cittadini che non sono “cittadini europei”?
  2. È possibile parlare di un interesse collettivo “dell’Europa”?
  3. In altri termini: “l’Europa” ha un nemico comune?
  4. Ammesso che esista, questo nemico comune de “l’Europa” è la Federazione russa, come si dà per scontato? Perché? Basta la guerra in Ucraina a provarlo?
  5. È certo che gli interessi degli Stati Uniti e “dell’Europa” coincidano, nel breve e medio periodo?
  6. Chi designa il nemico de “l’Europa?” La Commissione europea? Gli Stati che compongono la UE, all’unanimità? La NATO, all’unanimità? Gli Stati Uniti, in quanto paese guida della NATO e dal secondo dopoguerra garante della sicurezza europea?

Buona lettura.

Roberto Buffagni

Policy Brief – Prima di Vegezio: Domande critiche per la difesa europea

In un mondo più pericoloso e instabile, l’Europa deve quindi prepararsi alla guerra per mantenere la pace e la propria sicurezza: come notava Vegezio, si vis pacem para bellum. Tuttavia, l’aumento dei bilanci non è sufficiente se l’UE non affronta le questioni strategiche fondamentali.
gilli defense
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Sintesi

Gli appelli all’Europa affinché faccia di più nel settore della difesa sono ormai datati. Finora, il quadro è contrastante. Da un lato, i Paesi europei dispongono di forze armate competenti, in grado di operare efficacemente nella maggior parte delle contingenze e in diverse aree del mondo;

L’industria europea della difesa è avanzata e produce sistemi d’arma di prima classe. Infine, ma soprattutto, i Paesi europei (ad esempio quelli appartenenti all’UE e alla NATO) sono ancora in pace. D’altra parte, le forze armate europee possono generare una potenza di combattimento limitata, poiché le loro forze armate possono essere impiegate solo per un periodo di tempo relativamente breve;

L’industria europea della difesa ha una capacità limitata di aumentare la produzione e, quando si tratta di tecnologie all’avanguardia, fatica a recuperare il ritardo sia rispetto alle imprese capocommessa statunitensi (che beneficiano di budget di approvvigionamento più elevati e costanti) sia rispetto alle start-up che si aprono in nuovi settori emergenti;

Per affrontare questi problemi, i Paesi europei hanno iniziato ad aumentare la spesa per la difesa, portandola a oltre 300 miliardi di euro nel 2024 rispetto ai 180 miliardi di euro di dieci anni fa;

Inoltre, la nuova Commissione europea vuole rompere con il passato: nelle parole di Andrius Kubiliu, il nuovo Commissario europeo per la Difesa e lo Spazio, l’UE dovrebbe abbandonare l’incrementalismo e adottare un approccio “big bang”, il che significa, tra l’altro, mettere a disposizione altri 100 miliardi di euro per l’acquisizione di armi dal bilancio dell’UE, che si aggiungerebbero agli oltre 100 miliardi di euro di spesa combinata per gli acquisti nazionali che i paesi europei dovrebbero raggiungere quest’anno;

Si tratta di sviluppi senza precedenti che difficilmente si sarebbero potuti prevedere qualche anno fa e forse anche qualche mese fa;

Poiché le minacce si moltiplicano, le sfide sorgono e i bilanci crescono, in questo rapporto identifichiamo alcune delle questioni che devono essere affrontate per promuovere una maggiore difesa europea.

  • Perché più difesa europea? Gli europei devono essere chiari sulle loro priorità politiche, dato che il tempo è poco e le risorse sono scarse.

  • Perché non c’è ancora più difesa europea? Senza capire perché non si è ancora raggiunta una maggiore difesa europea, il rischio di ripetere gli errori del passato è alto.

  • Cosa si deve difendere? La politica di difesa consiste nell’identificare gli strumenti militari necessari per raggiungere obiettivi militari ai fini di specifici obiettivi politici. I Paesi europei devono chiarire cosa vogliono difendere per capire quale difesa devono sviluppare;

  • Che cos’è una difesa più europea? La difesa europea ha molti significati diversi possibili: indica input (risorse), output (strumenti militari) e obiettivi, indica soluzioni istituzionali ma anche meccanismi di governance.

  • Quanto è sufficiente? Una volta esaminato cosa può significare una maggiore difesa europea e confrontata l’Europa con gli Stati Uniti, la Cina o la Russia, non possiamo ancora dire se la difesa europea sia troppo piccola o troppo grande e, soprattutto, se vada nella direzione giusta o sbagliata. Per capire questo problema, gli obiettivi politici devono essere tradotti in strategie specifiche, posizioni di difesa e strutture di forza. L’obiettivo non è avere una spesa efficiente, ma una difesa efficace: la distruzione che l’Ucraina sta subendo dimostra che i costi della difesa sono sempre inferiori ai costi della guerra.

  • Quali sono i problemi, le lacune e le carenze? Le politiche di difesa dei Paesi europei, le forze armate e le industrie della difesa soffrono di diversi problemi che, tuttavia, sono il prodotto di specifiche scelte di strategia-postura-struttura. I problemi militari dell’Europa devono essere valutati in questa prospettiva, non in termini astratti;

  • Quali sono i compromessi, le conseguenze indesiderate e le possibili vulnerabilità? Ogni strategia comporta delle scelte e le scelte hanno delle conseguenze. Poiché la strategia consiste nel complicare i calcoli dell’avversario, i Paesi europei non vogliono solo sviluppare le proprie strategie, ma anche capire come l’avversario sta pianificando e reagendo e quindi quali compromessi, conseguenze indesiderate o vulnerabilità può sfruttare;

  • Più o diverso, difesa efficiente o efficace? Luminari della tecnologia come Elon Musk chiedono sempre più spesso all’amministrazione entrante di Donald Trump di stravolgere anche la difesa degli Stati Uniti. L’idea è che il modello di SpaceX e Tesla possa essere replicato al Pentagono. È difficile dire se abbiano ragione o torto, ma in ogni caso i Paesi europei dovrebbero prestare attenzione a questi sviluppi, sia perché l’Europa vuole adottare soluzioni efficaci, sia perché, se questi approcci radicali dovessero fallire, gli europei potrebbero trovarsi senza il pieno sostegno militare degli Stati Uniti;

Non abbiamo risposte a tutte le domande o a tutte le loro implicazioni. Tuttavia, abbiamo alcune raccomandazioni:

  • Il processo di rafforzamento della difesa europea dovrebbe avvenire in dialogo, e non in contrapposizione, con gli Stati Uniti: è nell’interesse di entrambi gli attori, questo approccio la renderebbe più efficace e ridurrebbe in modo significativo sia i costi che i tempi.

  • Nel corso degli anni, è emersa una divisione funzionale del lavoro tra la NATO (militare) e l’UE (industria e mercati): questa dovrebbe essere sfruttata piuttosto che affrontata.

  • L’Europa è in ritardo non solo nella difesa, ma anche nell’analisi della difesa: molte delle questioni evidenziate in questo rapporto richiedono studi, giochi di guerra e simulazioni che, tuttavia, relativamente pochi Paesi, forze armate e think tank possono condurre in Europa. Senza affrontare questa lacuna, sarà molto difficile migliorare in modo significativo lo stato della difesa europea;

  • In particolare, quando i Paesi europei aumentano i loro bilanci per la difesa, una domanda fondamentale è se debbano investire di più nella potenza aerea o navale, nell’artiglieria o nei carri armati. Tradurre i bilanci della difesa in strategie coerenti ed efficaci richiede una valutazione dei punti di forza e delle vulnerabilità relative, delle traiettorie tecnologiche e delle opportunità di innovazione. I Paesi europei non vogliono aumentare i bilanci in modo orizzontale (un po’ in tutti i settori) seguendo una logica politica piuttosto che strategica;

  • L’Europa è in ritardo anche nell’innovazione. È improbabile che le recenti iniziative dell’UE e della NATO affrontino questo problema. I Paesi europei dovrebbero creare un’organizzazione simile alla DARPA. Tuttavia, questa organizzazione dovrebbe seguire perfettamente il modello statunitense, cioè tenere lontani burocrati e politici e concedere al personale il necessario spazio di manovra per prendere rischi, avviare progetti e sviluppare idee;

  • Molti vogliono più start-up nel settore della difesa. Tuttavia, senza l’apertura degli appalti della difesa alle aziende non tradizionali, qualsiasi iniziativa è destinata a fallire;

Il livello di spesa per la difesa non è un fattore dell’organizzazione del business della difesa, ma delle sfide strategiche da affrontare.
Military Expenditure

Nel loro Policy Brief Defense Expenditure in EU Countries, Carlo Cottarelli e Leoluca Virgadamo forniscono un’analisi informativa, basata sui dati e obiettiva della difesa europea, concentrandosi sulle tendenze della spesa militare, sulla frammentazione della domanda e dell’offerta, sulle dipendenze industriali e sui possibili meccanismi istituzionali dell’UE per finanziare la spesa futura per la difesa.

Il rigore e la completezza dell’analisi di Cottarelli e Virgadamo ci permettono di ampliare la loro prospettiva e di ragionare su un aspetto a cui, comprensibilmente, hanno potuto prestare meno attenzione: ossia la strategia;

L’acuta analisi di Cottarelli e Virgadamo fa luce sulle inefficienze e le contraddizioni della spesa europea per la difesa. Tuttavia, non ci permette di stabilire se gli attuali livelli di spesa siano adeguati o meno.

In tutto il loro lavoro, accennano a questo problema, ma non lo affrontano. Ad esempio, notano che “il livello di spesa dei Paesi dell’UE, pur aumentando in rapporto al PIL dal 2015, è ancora ben al di sotto dei livelli della fine della Guerra Fredda”. Altrove, sulla stessa linea, aggiungono che “la spesa complessiva [dell’UE] non è piccola rispetto a quella della sola Russia” […] “circa 304 miliardi, molto più dei [suoi] 109 miliardi di dollari USA”.

Individuare il livello di spesa appropriato non è tuttavia un compito facile, anche perché non esiste una vera e propria scienza in materia.

Inoltre, la spesa per la difesa deve prendere in considerazione molteplici variabili, tra cui la strategia militare e la psicologia politica;

Consideriamo la minore spesa per la difesa della Russia rispetto all’Europa: può l’Europa essere considerata sicura, dato che la sua spesa combinata per la difesa è circa 3 volte quella della Russia? Dipende.

  • Gli attori aggressivi e revisionisti come la Russia possono anche spendere meno dell’Europa, ma godono comunque di un chiaro vantaggio militare perché possono decidere dove, quando e come colpire: se l’Europa rafforza le sue difese terrestri nel fianco settentrionale, la Russia può lanciare attacchi sottomarini nel Mediterraneo; se l’Europa investe in capacità di guerra antisommergibile, la Russia può attaccare con missili a lungo raggio in Europa occidentale; e se l’Europa investe in difese antiaeree, la Russia può attaccare nel dominio cibernetico o spaziale.
  • Al contrario, le potenze difensive, reattive e che si pongono in una posizione di status-quo, come l’Europa, tendono ad essere avverse al rischio, sia quando si tratta di subire perdite civili e persino militari, sia quando si tratta di rispondere a un’aggressione militare. Di conseguenza, la spesa per la difesa deve essere sufficientemente elevata per, innanzitutto, scoraggiare gli attacchi nemici e, poi, vincere senza subire gravi perdite;

Dove andare, da qui?

La strategia consiste nel complicare i calcoli dell’avversario. Una sfida primaria per le democrazie, in generale, e per quelle europee, in particolare, è innanzitutto comprendere e accettare questo semplice e comune fatto della vita e, successivamente, tradurlo in scelte coerenti;

Questo è più facile a dirsi che a farsi per un continente che solo vent’anni fa celebrava con orgoglio, con la prima Strategia europea di sicurezza, di non essere mai stato così sicuro, così ricca e così libera – senza fare molto per preservare questo stato di cose e, anzi, facendo tutto il contrario (compreso l’acquisto di petrolio e gas dalla Russia in cambio di macchine utensili che la Russia ha usato per incrementare la propria produzione militare).

In secondo luogo, per elaborare strategie così onerose, è necessario capire chi è o chi sono gli avversari. Si tratta, tuttavia, di una questione profondamente politica e delicata, sulla quale esiste una pluralità di opinioni e di sensibilità: anche per quanto riguarda la Russia, alcuni in Europa continuano a sostenere la necessità di ripristinare il dialogo e la cooperazione.

In terzo luogo, sono necessarie alcune indicazioni strategiche generali, ad esempio sull’estensione e sull’ontologia della linea difensiva europea;

L’Europa deve solo difendere il suo territorio o anche combattere il terrorismo internazionale? I Paesi europei devono anche proteggere il traffico commerciale da cui dipendono le loro economie o i diritti umani su cui si fondano le loro società, e dove, solo nell’estero vicino (Balcani, Levante e Nord Africa) o anche più lontano? I Paesi europei dovrebbero mantenere l’equilibrio regionale di potere in aree vicine come l’Africa e il Medio Oriente, o fornire anche un importante contributo militare alla stabilità geopolitica in Asia?

Non esistono risposte giuste o sbagliate a queste domande, ma senza una risposta è impossibile determinare quali livelli di spesa per la difesa siano necessari.

Questa discussione ci porta all’ultima considerazione, probabilmente la più importante. Qualsiasi analisi della difesa europea richiede rigore analitico e prospettive strategiche. La maggior parte dei lavori in Europa manca di entrambi. Cottarelli e Virgadamo forniscono il primo;

I contributi futuri dovrebbero integrare il loro approccio anche con il secondo;

Quando si tratta di questioni di difesa, il divario con gli Stati Uniti non è solo in termini di spese e capacità militari, ma anche a livello analitico. Contribuire a colmare questo divario è un importante obiettivo accademico e politico.

di Carlo Cottarelli e Leoluca Virgadamo
Valutazione della frammentazione della spesa e delle opportunità di integrazione nell’industria della difesa dell’UE
COTTARELLI DEFENSE
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Questo documento passa in rassegna i dati relativi al livello e alla composizione della spesa per la difesa negli Stati membri dell’UE, concludendo che le principali carenze ne riducono fortemente l’efficacia rispetto agli Stati Uniti e alle principali minacce alla sicurezza europea.

In particolare:

  • Il livello aggregato di spesa, pur aumentando dal 2015 in rapporto al PIL, fino a raggiungere un livello dell’1,7% nel 2023, è ancora ben al di sotto dei livelli della fine della Guerra Fredda (2,5%) e dell’attuale livello di spesa negli Stati Uniti.
  • La spesa complessiva non è piccola rispetto a quella della sola Russia, ma la sua composizione e la sua frammentazione implicano una minore efficacia a parità di spesa.
  • La composizione della spesa è orientata verso i compensi del personale piuttosto che verso le attrezzature, le infrastrutture, le operazioni e la manutenzione. Infatti, il livello di spesa per queste voci per unità di personale è molto più basso rispetto agli Stati Uniti. Inoltre, la spesa è particolarmente bassa per le operazioni, compreso l’addestramento. In altre parole, anche quando l’equipaggiamento è disponibile, i soldati potrebbero non essere sufficientemente addestrati per utilizzarlo.
  • Dal punto di vista della produzione, il settore della difesa dell’UE è di dimensioni ridotte rispetto agli Stati Uniti, anche a livello di singole aziende di equipaggiamenti militari, il che riduce le economie di scala.
  • L’Europa è inoltre molto più dipendente dalle importazioni dagli Stati Uniti di quanto gli Stati Uniti lo siano dalle importazioni dall’UE. Tale dipendenza è in aumento dal 2014.
  • Dal lato della domanda, gli appalti sono frammentati tra i membri dell’UE, con conseguenti costi più elevati e un numero eccessivo di tipi di attrezzature. Tutto ciò, unito a un’eccessiva dipendenza dalle imprese “campioni nazionali”, riduce la concorrenza e l’efficienza.

Gli obiettivi dell’UE per superare questi problemi esistono, ma non sono stati sostenuti da decisioni concrete e denaro. Se questi problemi potessero essere superati, è probabile che i risparmi sarebbero considerevoli o, in alternativa, che l’efficacia sarebbe molto maggiore rispetto all’attuale livello di spesa.

Detto questo, sarebbe necessario molto più lavoro per quantificare i potenziali risparmi derivanti dalle iniziative di difesa congiunte. Le stime disponibili, che vanno dai 20 ai 100 miliardi, non sono affatto affidabili.

Purtroppo, permangono enormi problemi nel rafforzare il coordinamento della difesa. Il problema principale resta di gran lunga il dominio degli interessi nazionali, poiché l’Europa rimane un insieme di Stati nazionali sovrani, con una limitata fiducia reciproca, e la sua difesa rimane la somma di 27 diversi eserciti, marina e aeronautica.

In ogni caso, sembra esserci un ampio consenso sul fatto che, nonostante l’auspicabile miglioramento delle iniziative congiunte, il potenziamento delle capacità di difesa in Europa richiederà anche spese aggiuntive. Molti hanno chiesto l’utilizzo di fonti di prestito comuni, tra cui gli Eurobond.

L’assunzione di prestiti comuni presenta sicuramente dei vantaggi, tra cui la possibilità di alimentare iniziative di spesa comuni.

Tuttavia, bisogna sempre tenere presente che il prestito di risorse per la difesa non implica che tale spesa sia priva di costi, cioè non implica la necessità di scegliere tra “burro o pistole”.

Infatti, a meno che le attrezzature militari non vengano fornite dall’estero (cosa che aumenterebbe ulteriormente la dipendenza dell’Europa dagli Stati Uniti) si dovranno spostare risorse reali, in termini di lavoratori, dalla produzione di attrezzature non militari alla produzione di attrezzature militari.

Difendere l’Europa: requisiti di capacità basati su uno scenario per i membri europei della NATO

di Ben Barry e Douglas Barry

L’IISS ha condotto una valutazione indipendente e di alto livello su come si configurerebbe la difesa dell’Europa e degli interessi europei se gli Stati Uniti lasciassero la NATO e non contribuissero militarmente.

Lo studio applica l’analisi di scenario – con scenari ambientati all’inizio del 2020 – per generare i requisiti di forza e valuta la capacità degli Stati membri europei della NATO di soddisfare tali requisiti sulla base dei dati del database online IISS Military Balance Plus. È stato stimato il costo per colmare le carenze di capacità identificate attraverso l’acquisizione di equipaggiamenti.

L’obiettivo dello studio è quello di consentire un dialogo politico informato sia in Europa che in ambito transatlantico. Lo studio non intende esplicitamente prevedere i conflitti futuri né le intenzioni di nessuno degli attori coinvolti. Né intende prescrivere un determinato percorso d’azione che i governi europei della NATO dovranno seguire.

Il primo scenario esaminato riguarda la protezione delle linee di comunicazione marittime globali (SLOC). In questo scenario, gli Stati Uniti si sono ritirati dalla NATO e hanno anche abbandonato il loro ruolo di presenza e protezione marittima globale, non solo per il proprio interesse nazionale ma anche come bene pubblico internazionale. Spetta quindi ai Paesi europei realizzare e sostenere un ambiente di sicurezza marittima stabile nelle acque europee e non solo, per consentire il libero flusso del commercio marittimo internazionale e proteggere le infrastrutture marittime globali. Secondo l’IISS, i membri europei della NATO dovrebbero investire tra i 94 e i 110 miliardi di dollari per colmare le lacune di capacità generate da questo scenario.

Il secondo scenario riguarda la difesa del territorio europeo della NATO da un attacco militare a livello statale. In questo scenario, le tensioni tra la Russia e i membri della NATO Lituania e Polonia degenerano in guerra dopo l’uscita degli Stati Uniti dalla NATO. La guerra porta all’occupazione russa della Lituania e al sequestro di alcuni territori polacchi da parte della Russia. Invocando l’articolo V, i membri europei della NATO danno ordine al Comandante supremo delle forze alleate in Europa (SACEUR) di pianificare l’operazione Eastern Shield per rassicurare l’Estonia, la Lettonia e la Polonia, e altri Stati membri della NATO in prima linea, scoraggiando ulteriori aggressioni russe. La NATO europea prepara e assembla anche le forze per Operazione Tempesta Orientale, un’operazione militare per ripristinare il controllo del governo polacco e lituano sui loro territori.

Mappa esemplificativa del secondo scenario che delinea i requisiti di forza che descrivono una guerra limitata in Europa, condotta da un avversario di livello statale.Rapporto Parte 3. Punto di infiammabilità del Baltico: un attacco a livello statale

L’IISS valuta che i membri europei della NATO dovrebbero investire tra i 288 e i 357 miliardi di dollari per colmare le lacune di capacità generate da questo scenario. Questi investimenti stabilirebbero un livello di forze della NATO Europa che probabilmente le consentirebbe di prevalere in una guerra regionale limitata in Europa contro un avversario di pari livello. La valutazione non riguarda una guerra continentale su larga scala in Europa.

Oltre a individuare le carenze di capacità, lo studio sottolinea la centralità della struttura di comando della NATO. Senza di essa, non sembra possibile per gli europei tentare di gestire operazioni impegnative come quelle considerate nel presente documento. Un’altra implicazione di questa ricerca è la perdurante importanza degli Stati Uniti in termini militari per la difesa dell’Europa. Questo studio fornisce una verifica della realtà per il dibattito in corso sull’autonomia strategica europea. I suoi risultati sottolineano che sarebbe utile che questo dibattito si concentrasse sulle capacità di affrontare le minacce alla sicurezza europea, piuttosto che sull’ingegneria istituzionale. Se fossero disponibili i fondi necessari a colmare le carenze, l’IISS ritiene che la ricapitalizzazione dei settori militari richiederebbe fino a 20 anni, con alcuni progressi significativi intorno ai dieci e ai quindici anni. I motivi sono la limitata capacità produttiva, il tempo necessario per decidere e produrre equipaggiamenti e armi, le richieste di reclutamento e addestramento e il tempo necessario alle nuove unità per raggiungere la capacità operativa.

Il senso strategico delle spese militari

Questo articolo è pubblicato sul numero 2-2024 di Aspenia

Il contributo europeo all’Alleanza atlantica è tornato al centro del dibattito e un aumento dell’impegno economico del vecchio continente rimane necessario a prescindere dall’esito delle elezioni presidenziali americane. L’Europa deve far crescere la spesa militare, spendendo meglio. Ciò significa sviluppare strategie e concetti dinamici in grado di integrare sviluppi tecnologici, capacità industriali e soluzioni militari. Il primo punto da comprendere, tuttavia, è l’importanza della deterrenza: spendere in difesa significa investire nella pace.

Negli ultimi anni, e in particolare dall’elezione di Donald Trump alla presidenza americana nel 2016, il tema delle spese per la difesa da parte degli alleati NATO ha assunto una certa rilevanza anche nel dibattito pubblico. La spesa in difesa dei paesi europei – percentualmente bassa rispetto alla quota americana e quindi ritenuta insufficiente dagli Stati Uniti – non è però un tema nuovo o sorprendente. Da una parte, presidenti come Dwight Eisenhower, John F. Kennedy, George W. Bush e Barack Obama hanno, ripetutamente, evidenziato come gli alleati europei spendessero poco o comunque meno durante i loro rispettivi mandati. Infatti, per tutta la guerra fredda, mentre gli Stati Uniti spendevano tra i 400 e i 600 miliardi di dollari l’anno, i paesi europei della NATO spendevano tra i 100 e i 300 miliardi di dollari l’anno (a prezzi costanti del 2014). Dall’altra, in un famoso articolo accademico del 1975, gli studiosi Mancur Olson e Richard Zeckhauser davano una spiegazione logica a questa dinamica: in un’Alleanza, il paese protettore ha maggiori incentivi a spendere di più mentre il paese protetto ha un incentivo a spendere di meno, dando così luogo a un inevitabile free riding del secondo.

A questo ragionamento astratto, ne va aggiunto uno più pratico. Durante la guerra fredda, la competizione non era solo militare ma anche politica e dunque sociale: era necessario vincere la battaglia ideologica che, nelle democrazie occidentali, si rifletteva nella necessità di vincere le elezioni. Di qui, è evidente come la maggiore spesa sociale europea servisse anche per evitare un trionfo dei partiti comunisti, e così evitare che lo scontro militare venisse perso a livello politico. Ovviamente, ciò aveva delle conseguenze politiche ed elettorali anche negli Stati Uniti, dove bisognava pur sempre spiegare al contadino dell’Arkansas o all’allevatore del Montana che la spesa militare in America era maggiore per difendere un’Europa che offriva maggiore protezione sociale.

 

Leggi anche: Il tempo della difesa europea

 

RISORSE E ORDINI DI GRANDEZZA. Per comprendere il dibattito sui differenti livelli di spesa per la difesa tra le due sponde dell’Atlantico bisogna in primo luogo chiarire di cosa si stia parlando. Il bilancio pubblico di ogni paese ha più voci, dalla sanità alle pensioni, dalle infrastrutture alla protezione civile. Una di queste voci è la difesa: il bilancio del ministero della Difesa. Non è però detto che tutta la spesa in difesa venga catturata da questo bilancio. Per esempio, negli Stati Uniti, parte delle spese per le armi nucleari è sotto il bilancio del dipartimento dell’Energia, mentre la sanità e le pensioni degli ex-militari sono responsabilità di un ministero a parte, il dipartimento degli Affari dei Veterani. Il dipartimento dell’Energia americano spende circa $25 miliardi l’anno per le armi nucleari, o poco meno del bilancio del ministero della Difesa italiano, mentre il dipartimento degli Affari dei Veterani ha un bilancio di $360 miliardi, pari a una volta e mezza la spesa militare di tutti i paesi dell’UE messi insieme (200 miliardi di euro). Questi rapidi esempi servono per evidenziare come la semplice comparazione non è sufficiente e deve, spesso, essere aggiustata.

Come ormai è noto anche al grande pubblico, la NATO si è prefissata un obiettivo di spesa militare pari al 2% del PIL in maniera informale dopo la fine della guerra fredda, ma questo obiettivo è poi stato formalizzato con l’impegno preso al vertice del Galles del 2014 (poco dopo l’annessione russa dell’Ucraina). A questo proposito, come si evince dalla tabella successiva, nel corso degli ultimi 10 anni, i membri europei dell’Alleanza hanno in generale aumentato le loro spese militari, ma ancora una parte importante non raggiunge il 2% del PIL. In particolare, alcuni grandi paesi quali Italia e Germania, o alcuni particolarmente benestanti, quali i Paesi Bassi e Canada, non arrivano a questo livello. La discussione su paesi grandi e piccoli mette in luce un altro elemento centrale: ovviamente non conta solo la percentuale di spesa sul PIL, ma anche la dimensione dell’economia di ogni paese. Un paese come l’Estonia, con un’economia di circa €40 miliardi, anche se spendesse tutto il suo reddito in difesa non potrebbe mai raggiungere la spesa di paesi come Francia o Gran Bretagna, che si aggira, in entrambi i casi, sui €50 miliardi. Le figure aiutano a mettere in prospettiva i valori assoluti.

 

UNA QUESTIONE DI “CAPACITÀ”. La spesa pubblica è al centro del dibattito pubblico da decenni, e in particolare dal Trattato di Maastricht che fissava alcuni parametri chiave per entrare, e rimanere, nell’eurozona. Di conseguenza, quando si parla di spesa pubblica, si discute spesso della sua qualità: investimenti contro spesa corrente, efficienza ed efficacia. Gli stessi temi si applicano anche alla spesa militare e al famoso 2%. Ma per ragionare sull’efficienza e sull’efficacia della spesa militare, è necessario identificarne le principali voci. Questa è divisa in quattro grandi capitoli: procurement (gli acquisti di mezzi militari); ricerca e sviluppo (gli investimenti per sistemi d’arma futuri); il personale; le operazioni e la manutenzione.

Si pensi a un caso ipotetico (e assurdo) di un paese che spenda il 2% del PIL in difesa, ma usi tutti i suoi fondi per comprare divise militari: non c’è personale, non ci sono mezzi, non ci sono operazioni. Evidentemente, se quel paese facesse parte della NATO, l’Alleanza non sarebbe più forte, nonostante il 2% venga formalmente raggiunto. Per questa ragione, la NATO raccomanda di spendere almeno il 20% di quel 2% in “capacità”.

Il fatto stesso che “capacità” non appaia tra i nomi dei capitoli precedentemente menzionati suggerisce quanto sia politicamente difficile avere categorie comunemente accettate. Capacità, infatti, include sia la spesa in ricerca e sviluppo che in procurement. A sua volta, la spesa in ricerca e sviluppo include, spesso, anche quella in test e valutazioni: test e valutazioni riguardando però lo sviluppo di prodotti, fase che solo i paesi produttori di armamenti possono permettersi e comunque svolgono.

In ogni caso, una parte considerevole di paesi europei spenda almeno il 20% del proprio bilancio militare in “capacità”, dunque ottemperando alle raccomandazioni NATO. Va però enfatizzato come, in caso di aumento della spesa militare, poiché il 20% è il frutto del rapporto tra spesa in capacità e spesa militare totale, alcuni paesi si potrebbero realisticamente trovare nella situazione di rispettare il parametro del 2% ma non più quello del 20%. A ciò va aggiunta un’altra considerazione, collegata all’inefficienza della spesa dei paesi europei. Il bilancio della difesa di tanti paesi europei è finalizzato soprattutto a sviluppare e produrre mezzi di origine nazionale (come carri armati o navi da guerra), quindi non sfruttando tutte le economie di scala possibili.

 

IL NODO DEI CONTRIBUTI. Nel corso degli anni, molteplici autorevoli voci hanno criticato l’indicatore del 2%. Uno dei maggiori critici è stato Anthony Cordesman, recentemente scomparso, uno dei più grandi analisti militari americani, per decenni al Center for Strategic and International Studies (CSIS) di Washington, e autore di un numero infinito di eccellenti e fondamentali pubblicazioni (tra cui spiccano i vari volumi Lessons of Modern War). Cordesman, negli anni, ha notato come il livello di spesa non dica molto (punto evidenziato in precedenza), e come la spesa in “capacità” sia a sua volta di discutibile importanza e utilità politica. Pensiamo di nuovo a un caso ipoteticamente assurdo: la Repubblica Ceca non ha sbocchi sul mare. Se la Repubblica Ceca spendesse il 40% del suo budget militare in sottomarini, secondo i parametri suggeriti dalla NATO, meriterebbe un plauso, ma la logica suggerirebbe un’altra valutazione: quei mezzi non sarebbero utilizzabili.

Questa discussione ci porta al terzo tema che caratterizza il dibattito sul burden sharing (o distribuzione degli oneri) all’interno della NATO: i contributi. Nel corso degli anni, molteplici paesi NATO (di solito quelli che non raggiungono il 2%) hanno più volte evidenziato come il loro apporto alla difesa collettiva non derivi tanto dalla spesa ma appunto dai contributi.

Un esempio ipotetico è nuovamente utile. Assumiamo ci siano due paesi, A e B. A spende il 3% del PIL in difesa. B spende l’1%. Il paese A non contribuisce però mai alle missioni della NATO. B invece partecipa con tutte le sue truppe disponibili alle missioni dell’Alleanza atlantica. In questo caso, pur spendendo di meno, B darebbe un contributo alla sicurezza collettiva maggiore rispetto ad A. Ovviamente, anche in questo caso, si pone il problema di valutare il contributo di ogni paese. Bisogna guardare al numero di truppe impiegate, al numero di mezzi, al numero di teatri in cui si opera, o al numero di perdite subite, solo per dare qualche esempio? Anche in questo caso, non c’è una visione congiunta anche perché, politicamente, le implicazioni potrebbero essere molto diverse.

 

Leggi anche: Trump, la NATO e la lezione di Kissinger

 

STRATEGIA E NUMERI. Fin qui, abbiamo cercato di chiarire in modo sintetico il dibattito sulla spesa militare, con le sue criticità e complessità. Se ne può trarre qualche considerazione.

In primo luogo, valutare l’efficienza della spesa è difficile. L’efficienza però non è tutto, perché la spesa militare non è volta a risolvere un problema, ma a complicare i calcoli dell’avversario. Nel 1981, Mary Kaldor scrisse The Baroque Arsenal, libro nel quale sosteneva che la crescente spesa militare in ricerca e sviluppo servisse solo ad aumentare il costo degli armamenti a favore dell’industria, senza in realtà dare un contributo effettivo alla sicurezza nazionale. Purtroppo, Mary Kaldor non coglieva la logica della competizione strategica nella quale gli Stati Uniti erano coinvolti: sviluppando armamenti sempre più complessi, gli Stati Uniti spostavano di fatto la competizione con l’Unione Sovietica dal campo di battaglia a un campo nel quale avevano un vantaggio enorme e crescente: la tecnologia. In questa maniera, gli USA rendevano la vita molto più difficile al loro avversario.

 

Lo capì, poco dopo, Joshua M. Epstein in un fondamentale libro dell’epoca, Measuring Military Power (1986), nel quale evidenziava come, favorendo una competizione tecnologica, gli Stati Uniti obbligavano l’URSS a sviluppare sistemi d’arma sempre più avanzati, i quali richiedevano piloti più addestrati, logistica più complessa, e manutenzione più avanzata che però l’Unione Sovietica non era in grado di permettersi o generare. La stessa logica è stata, in tempi più recenti, riportata alla ribalta da Andrew F. Krepinevich, in particolare nel suo Dissuasion Strategy (2008), nel quale suggerisce una postura di difesa che sfrutti i vantaggi tecnologici americani per indebolire la sfida proveniente da avversari quali Cina, Russia e Iran. In quest’ottica, è evidente come non conti solo la spesa, ma anche la sua allocazione. Se ne deriva anche che possibili inefficienze sono assolutamente accettabili se contribuiscono al fine ultimo di mantenere la pace.

In secondo luogo, e parallelamente, l’efficacia della spesa militare non è una questione di puro calcolo ma strategica. Un altro importante studioso, Theo Farrell, nel suo libro Weapons Without a Cause (1996), affermava che il bombardiere strategico B-2 Spirit non aveva una chiara ragione di esistere. Anche in questo caso, la realtà è un po’ diversa: il B-2 è un bombardiere a lungo raggio, a bassa osservabilità, il cui valore strategico non si trova tanto nella capacità di compiere alcune missioni, ma nel fatto che la sua esistenza obbliga gli avversari a investire in costose e complesse difese antiaeree, e quindi a ridurre le risorse per altri programmi più offensivi. Anche in questo caso, un approccio “ragionieristico” finirebbe per generare risparmi ma per indebolire la deterrenza.

A prescindere dalle discussioni tecniche, è abbastanza evidente che i paesi europei devono spendere di più in difesa. Analogamente ai sistemi antincendio, che possono sembrare un costo inutile fin quando non arrivano le fiamme, così la spesa militare rivela la sua utilità solo nei momenti di crisi. Per fermare gli incendi, servono però sistemi adeguati e quindi costosi. Ugualmente, per gestire fasi di crisi servono difese appropriate. Se i singoli paesi europei spendevano tra l’1 e il 2% del PIL in difesa dopo la fine della guerra fredda, nell’attuale fase internazionale è necessario che spendano di più, anche perché il valore principale delle capacità di difesa deriva dal contributo alla deterrenza, condizione della pace: servono difese robuste soprattutto per fare desistere gli avversari dall’iniziare un conflitto.

L’efficacia e l’efficienza sono importanti, ma qualcuno accetterebbe un maggiore rischio di guerra per relativamente pochi risparmi? Questo aspetto, tra i più importanti, è spesso ignorato nel dibattito pubblico: la pace non porta logicamente ad abbattere la spesa militare, in quanto è la spesa militare, e il vantaggio competitivo che genera, che favorisce (auspicabilmente, e di fatto spesso) la pace. Proprio per questa ragione, però, i paesi europei non solo devono spendere di più, ma devono spendere meglio. Quando si parla di spendere meglio, il dibattito pubblico si concentra su questioni surreali (l’esercito europeo) o secondari quali l’integrazione militare in Europa, il consolidamento dell’industria, e la cooperazione in armamenti. Spendere meglio significa, in realtà, sviluppare in primo luogo strategie, piani e concetti dinamici e flessibili in grado di integrare sviluppi tecnologici, capacità industriali e soluzioni militari.

Maggiore efficienza nella spesa militare sia dalla parte della domanda (forze armate) che dell’offerta (industria) possono ovviamente aiutare, ma non sono condizione né necessaria né sufficiente. Negli anni Ottanta, Edward N. Luttwak si inseriva nel dibattito a cui aveva contribuito Mary Kaldor notando come il Pentagono non avesse bisogno di ragionieri, ma avesse bisogno di strateghi. È la stessa sfida che affronta la difesa europea oggi: non servono ragionieri o, nel caso europeo, giuristi. Serve più strategia e servono più strateghi, quelli che forse in Europa mancano maggiormente.

NB_In allegato i tre documenti-base di riferimento degli articoli in italiano e in inglese

PB30_EUROPEAN DEFENSE_Gilli_Gilli_Petrelli it PB20_ Defense_2 it defending-europe—iiss-research-paper it defending-europe—iiss-research-paper PB20_ Defense_2 PB30_EUROPEAN DEFENSE_Gilli_Gilli_Petrelli

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L’Ucraina si avvicina alla convocazione finale, di Simplicius

L’Ucraina si avvicina alla convocazione finale

8 febbraio
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Zelensky si è avvicinato sempre di più alla conclusione logica finale del percorso di mobilitazione dell’Ucraina e alla prova del fuoco demografica in uno. In una nuova intervista con Reuters, il leader condannato ha annunciato che le autorità ucraine stanno progettando un nuovo, attraente “contratto” per la fascia 18-24:

“Le brigate di combattimento, quelle esperte, insieme al Ministero della Difesa… stanno lavorando a un’opzione contrattuale per i giovani dai 18 ai 24 anni… Ci sarà un accordo speciale, ci saranno molte preferenze… ci sarà un sostegno finanziario molto elevato”, ha detto Zelensky.

Ciò rientra nella recente iniziativa di Zelensky di procedere gradualmente in punta di piedi verso la piena mobilitazione dell’ultimo contingente di giovani, inizialmente incentivandoli pesantemente, e poi rafforzando gradualmente il giogo con varie disposizioni e vincoli che eliminano le categorie di esenzione una alla volta.

In passato ho pubblicato vari video che mostrano che è già in corso una specie di mobilitazione “furtiva” di 18+, come questo del deputato della Rada Dmitry Razumkov . A seconda della reale portata della mobilitazione furtiva, potrebbe significare che l’Ucraina affronterà seri guai se mai dovesse davvero annunciare “ufficialmente” una mobilitazione di 18+, perché quelle riserve sarebbero già state prosciugate in anticipo.

In un certo senso, sia Putin che Zelensky stanno giocando allo stesso gioco: Putin si è rifiutato di fare un’altra chiamata di massa “ufficiale”, affidandosi a varie forme di opzioni di mobilitazione “lowkey”, dal lavoro dei prigionieri, ai volontari e ai mercenari, in parte per evitare che la società si inasprisca nei confronti della guerra. Ora Zelensky fa lo stesso, ma si trova in una situazione molto più disperata.

In una nuova intervista ha affermato di non riuscire nemmeno a immaginare come l’Ucraina combatterà la guerra se gli Stati Uniti cesseranno il loro sostegno:

È interessante notare che menziona che il supporto degli Stati Uniti è rimasto lo stesso ma “nessun nuovo pacchetto” è stato annunciato sotto l’amministrazione Trump. Gli esperti hanno soppesato che questa linea continua di armamenti deriva dagli ordini dell’amministrazione Biden tramite il programma di supporto diretto del Pentagono, ma nulla è arrivato dalla Casa Bianca tramite le autorità di prelievo del presidente o altri strumenti diretti di aiuti speciali.

In effetti, Trump ha raddoppiato la sua idea che qualsiasi supporto futuro dovrebbe essere strettamente negoziato in cambio delle risorse dell’Ucraina, come si vede in questo nuovo video di oggi. Guardate la seconda parte, dove ho inserito anche i nuovi commenti di Zelensky, che sono piuttosto esplicativi:

Non è ironico che Zelensky mostri una mappa della ricchezza mineraria ucraina, suggerendo che la Russia è il nemico perché vuole l’Ucraina per le sue risorse naturali, eppure è il suo stesso “alleato” primario che ha appena descritto apertamente l’Ucraina come niente più che un’opportunità commerciale transazionale per le risorse naturali. Gli Stati Uniti sono letteralmente ciò che Zelensky crede che sia la Russia, eppure la maschera ipocrita deve essere mantenuta per presentare ingiustamente la Russia come il cattivo.

A proposito, nell’intervista Zelensky ha ammesso che il 50% di quelle terre rare tanto desiderate sono già sotto il controllo russo:

Come si può vedere, la stragrande maggioranza delle risorse rimanenti passerà sotto il controllo russo in un futuro non troppo lontano:

Ora l’Ucraina ha lanciato una nuova offensiva localizzata a Kursk, che ha ripreso il piccolo insediamento di Cherkasskaya Konopelka, appena a sud di Sudzha:

Le forze nemiche si sono accumulate nella regione di Sumy per diversi giorni. Le riserve sono state attaccate, anche dall’Iskander OTRK, molti hanno visto il video ieri, è stato pubblicato sui canali Telegram. Il nemico ha attaccato oggi nella regione di Kursk, sperando nel maltempo, l’ultima volta ha attaccato durante “cieli sereni”. In totale, il nemico ha lanciato fino a 30 unità di equipaggiamento nella prossima offensiva, ora la stanno eliminando e questa offensiva per il khokhol finirà allo stesso modo delle precedenti, cioè con sconfitta e pesanti perdite.

Grandi interessi

Lo scopo è quello di dare un po’ di respiro a Sudzha, che le forze russe hanno messo sotto pressione nelle ultime settimane. L’offensiva ha visto diversi battaglioni di truppe e circa 30-50 veicoli già dichiarati distrutti in un altro tiro al tacchino. D’altro canto, la parte ucraina sostiene che anche le forze russe hanno subito pesanti perdite. In questo caso, i russi hanno avuto il sopravvento sulla propaganda con decine di video di equipaggiamento ucraino distrutto e uomini che si riversavano fuori, tra cui molti oggetti “rari” – ora distrutti – come i carri armati Challenger, i Bergepanzer, i Wisent-1 e gli IMR-2, il che ha portato gli analisti a ritenere che l’AFU stesse raschiando il fondo del barile per le armi pesanti da usare.

Un piccolo elemento che crea atmosfera:

Nel frattempo il DailyMail ha pubblicato un altro “piano di pace” di Trump “trapelato”:

Come al solito, non ha alcuna possibilità di essere accettato da Putin, anche se fosse reale.

L’unica vera domanda a questo punto, come hanno appena chiesto i Duran nel loro ultimo programma , è se Trump “intensificherà” o se ne andrà. In una nuova intervista con il NYT , Keith Kellogg avrebbe detto che l’attuale “livello di sofferenza” delle sanzioni russe è di circa 3 su 10 e che Trump ha molto più margine per aumentare quel “livello di sofferenza” esercitando una pressione sulle sanzioni sul petrolio e sul gas russi.

L’applicazione delle sanzioni alla Russia è “solo circa un 3” su una scala da 1 a 10 su quanto possa essere dolorosa la pressione economica, ha detto Kellogg. Le sanzioni statunitensi stesse, come quelle che prendono di mira il redditizio settore energetico russo, sono nominalmente il doppio, ma c’è ancora spazio per aumentarle.

“Si potrebbero davvero aumentare le sanzioni, specialmente le ultime sanzioni [che prendono di mira la produzione e le esportazioni di petrolio]”, ha detto. “Ha aperto un varco molto in alto per fare qualcosa.

Se questo è l’unico dardo rimasto nella faretra di Trump per “danneggiare” la Russia, allora temo che gli USA abbiano poche possibilità di convincere Putin. La maggior parte delle azioni dell’Occidente e dell’Ucraina contro le industrie energetiche russe finiscono ironicamente per aiutare solo la Russia aumentando i prezzi del petrolio, il che annega la Russia in profitti record; ad esempio gli attacchi dei droni ucraini alle raffinerie di petrolio russe. Ma con la conferenza di Monaco alle porte, Kellogg promette che presto apprenderemo maggiori dettagli sul vero “piano di pace” di Trump nel prossimo futuro.

Ci si chiede se l’amministrazione Trump continuerà la tradizione di risparmiare l’unico governatore speciale nei prossimi pacchetti di sanzioni:

Tuttavia, Kellogg ha dimostrato un briciolo di buon senso nell’intervista:

“Per la Russia, questo è in un certo senso nel loro DNA nelle operazioni militari: fondamentalmente, sei in una lotta di logoramento”, ha detto. “Se guardi alla storia, non vorresti mai entrare in una lotta di logoramento con i russi, perché è così che combattono. Ci sono abituati. Voglio dire, questo è un paese che era disposto a perdere, e lo ha fatto, 700.000 uomini nella battaglia di Stalingrado in sei mesi, e non ha battuto ciglio”.

“E quindi la pressione non può essere solo militare. Bisogna fare pressione economica, bisogna fare pressione diplomatica, qualche tipo di pressione militare e leve che si useranno sotto quelle per assicurarsi che [questo vada] dove vogliamo che vada”, ha spiegato.

Siamo onesti: in definitiva, l’ unica opzione rimasta agli Stati Uniti che potrebbe anche solo lontanamente influenzare l’inesorabile avanzata russa è che Trump annunci un importante intervento militare diretto in Ucraina. Per ovvie ragioni, non credo che si arriverà a questo, anche se Trump potrebbe tentare di tirare fuori qualche carta vincente minacciando una specie di stratagemma inverso all’aeroporto di Pristina per far atterrare le truppe da qualche parte dall’altra parte di una immaginaria “DMZ”, ma senza una gigantesca coda logistica nell’ovest del paese, non convincerebbe mai nessuno, non ultimo lo stato maggiore russo. Per minacciare anche lontanamente le forze russe avresti bisogno non solo di una vasta quantità di manodopera dispiegabile, ma anche della capacità di sostenerle per periodi credibili di scambi ad alta intensità.

Ma come ho detto, anche se è improbabile, è l’ unica cosa che Trump potrebbe fare per ostacolare la Russia. Nessuna quantità di sanzioni potrebbe fermare la marcia in avanti russa, né una risposta europea fiacca e umida con una specie di “forza di rapido spiegamento” leggera dall’altra parte del fiume. In quanto tale, Trump non può che scavarsi una buca più profonda, poiché più aspetta a liberarsi da questo conflitto, più doloroso sarà per la sua eredità.

Il team Duran ha fatto bene a dire che Trump ha una rara opportunità d’oro, anche se per poco, per staccare la spina al coinvolgimento degli Stati Uniti in questa guerra, in mezzo al tumulto assordante dello scandalo USAID e alla valanga di sconvolgimenti correlati. Per un momento ha i democratici storditi e in totale disordine, con la CIA e altre importanti agenzie sovversive-nemiche-straniere nel processo di alcune convulsioni paralizzate che consentirebbero a Trump di agire come desidera. Più aspetta, più permette al fumo di diradarsi e ai suoi oppositori di rimettersi in piedi, riorganizzandosi in una formazione coerente contro le sue politiche più impattanti.

Naturalmente, si potrebbe sostenere il contrario, ovvero che Trump non può ancora scaricare l’Ucraina perché non ha prosciugato abbastanza la palude per proteggersi o liberarsi dei neoconservatori dello stato profondo che porrebbero ostacoli credibili. In quanto tale, potrebbe aspettare il momento giusto per continuare a stanare prima queste patelle dello stato profondo, prima di dare davvero il colpo di grazia. Ad esempio:

Con l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca, Washington sta rapidamente rivedendo la sua politica sull’Ucraina. Tutti i dipendenti del Pentagono sono già stati licenziati e rimossi e l’USAID responsabile di questa pista è stata liquidata, e lo stesso Trump ha chiarito: non ci si dovrebbe aspettare il precedente livello di supporto finanziario e militare per Kiev.

Per quanto riguarda i “piani trapelati”, Julian Roepcke, come al solito, non li ha presi bene:

In effetti, ultimamente Julian ha posto alcune domande molto “scomode”, in particolare criticando aspramente un “analista” pro-UA che stava ipotizzando “importanti” perdite russe sul fronte:

Qui Roepcke sembra avere ragione in gran parte: 100-200 vittime giornaliere totali equivalgono a circa 50-100 morti in azione, il che è molto più vicino alla realtà rispetto ai numeri occidentali comuni; come si può vedere, anche i più saldi stanno lentamente cambiando idea dopo tre anni di sconfitta da parte della propaganda sempre più distorta della loro stessa fazione.

Un politico ucraino ha avuto di recente lo stesso “risveglio”:

Anna Konstantinovna Skorokhod, una politica ucraina, ha affermato che i russi avrebbero cessato di esistere da tempo se avessero creduto alle cifre ufficiali, secondo cui per ogni ucraino morto ci sono 10 russi morti e per ogni ferito ci sono 17 russi feriti.

Consiglio a Zelensky di smetterla di dare ascolto agli idioti e di pretendere dati affidabili.

E un ultimo video importante su questo argomento: un ufficiale ucraino descrive come solo il 10% dei morti ucraini vengano rimossi dal campo:

Pensateci: è in linea con molte “cifre ufficiali” ucraine, persino con i cosiddetti 40.000 morti di Zelensky: quelli sono i morti ufficialmente recuperati e identificati, mentre la cifra reale potrebbe essere di 400.000 o più, come sopra.

Per tornare all’intervista iniziale a Kellogg, che rappresenta un degno coronamento, vorrei citare un’ultima cosa da lui detta:

“Francamente, entrambe le parti in qualsiasi negoziazione devono cedere; è così che vanno le negoziazioni”, ha detto. “Ed è lì che devi scoprire, ‘OK, dov’è questo? Cosa è accettabile?'”

“Sarà accettabile per tutti? No. Sarà accettabile per tutti? No. Ma cercate di gestire questo equilibrio”, ha aggiunto.

Questo riassume perfettamente la natura totalmente ignara del team di Trump, che sta semplicemente armeggiando in uno “spettacolo” teatrale di leadership globale che non è altro che un pessimo teatro Kabuki. Perché la Russia dovrebbe attenersi alle “regole dei negoziati” come se fosse una specie di gioco da tavolo? La Russia sta vincendo, l’Ucraina sta esaurendo gli uomini, non c’è molto di più. La Russia non deve “dare” nulla, e se Kellogg ci crede davvero è inaffidabile come il suo omonimo della colazione. Questa è davvero un’ora da dilettanti, con un vecchio e decadente Egemone che cerca disperatamente di mostrare a un mondo sotto shock e in preda alla policrisi che ha ancora “la stoffa” e può spingere le persone in giro senza dover realmente fare un vero sforzo per risolvere problemi complessi, invece di vomitare una facciata di “logica” insensata e insensata come un ex campione ubriaco che sferra pugni in aria per impressionare qualche avventore da bar ingobbito di alcol.

Immagino che dovranno imparare a proprie spese che prosciugare alcune ONG della Washington DC non annullerà decenni di atrofia terminale, né darà a una star dei reality e a un magnate dei casinò la supremazia militare sul consiglio di guerra di una grande potenza.


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La geopolitica di Trump e Tucker contro Piers Morgan, di Morgoth

La geopolitica di Trump e Tucker contro Piers Morgan

Valutazione dello spostamento delle placche tettoniche sotto la politica e il discorso del nuovo regime

6 febbraio

Caos Trumpiano

Molte persone mi hanno chiesto se avrei commentato le prime caotiche settimane della nuova presidenza Trump. La saggezza dell’età mi ha portato a essere cauto nell’investire troppo in cicli di notizie in movimento che cambiano di ora in ora, e la nuova amministrazione Trump sembra aver adottato una strategia di mantenere deliberatamente il ciclo delle notizie mainstream in uno stato di isteria permanente. Steve Bannon l’ha chiamata “velocità iniziale”, che assicura che i media siano tre storie indietro rispetto agli ultimi sviluppi.

Tuttavia, e contro il mio miglior giudizio, l’altro giorno ho iniziato a scrivere un pezzo sull’America che sta entrando in una fase “tartaruga” del suo impero, vale a dire una strategia difensiva piuttosto che la strategia “palla di neve” che ha utilizzato dalla seconda guerra mondiale. Le sabbie mobili del dibattito sulle tariffe hanno reso il mio saggio ridondante, ma ritengo che l’analogia con i videogiochi di strategia sia appropriata. Alla fine della seconda guerra mondiale, l’America si è ritrovata in piedi come un colosso sulla scena mondiale. Poi, ha iniziato a capitalizzare la sua posizione di forza, espandendo la sua portata culturalmente, politicamente e persino moralmente. Una vittoria ha portato all’altra finché, come abbiamo scoperto questa settimana, il contribuente americano ha speso 2 milioni di dollari per promuovere il transessualismo in Guatemala. Il problema con le palle di neve è che più diventano grandi, più si muovono lentamente e più si intasano di escrementi di cane, vetri e pietre. La purga di DEI segnala effettivamente un cambiamento che non è solo interno, ma come abbiamo visto nello sventramento di USaid, anche la fine della diffusione di Globohomo in tutto il mondo. Come ho già notato in precedenza, l’odio anti-bianco e il transessualismo erano pessimi sostituti di Michael J Fox e Ghostbusters .

Il rebranding tossico dell'America

Il rebranding tossico dell’America

·
23 febbraio 2022
Leggi la storia completa

Il rinnovato interesse di Trump per la Groenlandia, il Canada e Panama segnala un consolidamento del fronte interno e la formazione di una linea difensiva che va oltre la tradizionale sfera di influenza della Dottrina Monroe, espandendo il nucleo stesso. Adottare una posizione più difensiva, o “turtling”, non significa che il giocatore abbia abbandonato la scacchiera e rinunciato. È semplicemente un cambiamento strategico che contribuisce maggiormente all’emergere di un mondo multipolare. Acquisire più terra e risorse possibili, sia informalmente che formalmente, consentirà all’America di rintanarsi e attutire il colpo della sua discesa a essere solo una Grande Potenza tra tante.

Ci sono, ovviamente, un paio di casi anomali qui: Gran Bretagna e Israele. Nonostante la Gran Bretagna sia la “Corea del Nord woke”, l’amministrazione Trump si è finora comportata in modo amichevole nei confronti di Keir Starmer e del regime laburista. È come se il Regno Unito fosse effettivamente in fila per un ruolo di Airstrip One nell’emergente Oceania americana. Sorprendentemente, l’angolo della Groenlandia gioca in questo, e una vecchia linea difensiva che risale alla Guerra Fredda chiamata “GIUK Gap”.

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Uno scenario ideale per un’America nuovamente isolazionista sarebbe quello in cui Nigel Farage e Reform governassero la Gran Bretagna, mentre l’America si abbuffasse dei preziosi minerali della Groenlandia, compensando il vantaggio della Cina.

Se qualcosa dovesse paralizzare l’ideale America First, sarà, naturalmente, il loro più grande alleato, Israele. Mentre scrivo, il presidente Trump ha appena annunciato in una conferenza stampa con Netanyahu che annetterà Gaza!

Qui, torniamo al problema di offrire commenti sugli eventi mentre si svolgono e di cercare di aggrapparsi alle montagne russe del hot-take. Il discorso online riguardante Canada ed Europa ha portato a uno tsunami di nazionalismo meschino sciovinista in cui molti americani hanno esultato alla prospettiva di intimidire i loro vassalli più deboli, solo per vedersi strappare il tappeto da sotto i piedi quando Trump ha annunciato le sue politiche verso Israele e Gaza e la risoluzione amichevole (finora) della questione canadese.

Più invecchio, più mi rendo conto che spesso non dire nulla è la cosa migliore da fare.

L’ideologia dei meme di Tucker

Debunking Tucker Carlson's Wild Lies About Zelenskyy and Ukraine | UNITED24 Media

La scorsa settimana, Tucker Carlson e Piers Morgan si sono scontrati in uno scambio spesso acceso. Devo ammettere che non ascolto Carlson di frequente e Morgan lo ascolto a malapena. Non è che Carlson non mi piaccia, esattamente, ma trovo irritanti i suoi modi ridacchianti e leggermente isterici. Tuttavia, come detto prima, spesso è meglio tenere a freno la lingua e lasciare che le persone si godano le cose. Quanto a Piers Morgan, lo considero da tempo la voce dell’establishment, una banderuola per il Potere e i desideri e le esigenze dello Stato Profondo.

La loro discussione ha toccato vari argomenti, dalla guerra Russia/Ucraina a Israele e Trump alla libertà di parola. Non sorprende che Carlson abbia adottato la posizione “dissidente” su quasi ogni argomento e Morgan abbia preso la linea del centro. Mi aspettavo che Carlson sparasse una pletora di bombe di verità a Morgan e che Morgan avrebbe sputato per l’indignazione e che avrei potuto godermi il suo disagio durante una piacevole passeggiata.

Ma questo, secondo me, non è accaduto.

Fondamentalmente, Carlson sembrava aver dato per scontato che, poiché era più strettamente allineato con la visione dell’Internet di destra, aveva automaticamente argomenti più forti. Tuttavia, Morgan era sconcertato e non una volta si è mostrato sorpreso o colto alla sprovvista dalle bombe di verità di Carlson. Ad esempio, la narrazione dominante sull’Internet di destra riguardo alla guerra Russia/Ucraina è che la politica estera americana ha spinto Putin all’invasione. Carlson, che ha intervistato Putin nel 2024, è stato ovviamente influenzato da John Mearsheimer, con cui Morgan ha ripetutamente dibattuto su questo stesso argomento. Eppure, quando è stato ripetutamente incalzato su quale azione avrebbe dovuto essere intrapresa dopo l’invasione di Putin, Carlson ha tergiversato, offuscato e ridacchiato, ma non è arrivata alcuna risposta. Non voleva assumersi la responsabilità di aiutare l’Ucraina, ma non voleva nemmeno essere responsabile del fatto che venissero lasciate marcire.

La coppia ha poi continuato a discutere dell’etica del lancio di bombe atomiche sul Giappone alla fine della seconda guerra mondiale. Morgan è uscito per l’azione come al solito, e Carlson si è opposto. È interessante notare che Carlson ha fatto scivolare il fatto che è stata la città più cristiana del Giappone a essere distrutta, sottintendendo che potrebbe esserci stato un sospetto elemento anticristiano nella politica o nella leadership americana. Alla fine, per aggirare il problema delle vittime americane necessarie per invadere il Giappone, Carlson ha negato che il Giappone avrebbe dovuto essere invaso. È una linea di argomentazione curiosa da seguire, dato che Carlson difende o almeno è favorevole all’invasione russa dell’Ucraina. Ma ancora una volta, riflette il discorso online, completo di un’implicazione che “loro” stessero dando i colpi.

Morgan era su un terreno molto meno solido quando la conversazione si spostò sulla Gran Bretagna come stato di polizia emergente, e il suo sventolare la parola “prigionia politica” come mera questione di persone che incitano alla violenza fu disonesto. Tuttavia, Carlson non era preparato e sembrò comportarsi come se fosse scontato che la Gran Bretagna fosse un inferno distopico. Era solo una “vibrazione” che tutti percepivano, ovvio.

È interessante notare che, per quanto riguarda Israele, Morgan ha fatto un inganno e ha messo Carlson nel ruolo di apologista sionista e difensore dei crimini di guerra di Israele, chiedendogli perché Israele ha il suo appoggio mentre l’Ucraina no.

Di volta in volta, Tucker Carlson ha utilizzato un trucco retorico di dire “Non so nemmeno cosa significhi” in risposta a un termine o a una parola o a un altro. Questo mira a far sì che l’interlocutore metta in discussione le sue premesse fondamentali e le sue convinzioni fondamentali. Una parola in cui è stata utilizzata questa tattica è stata “alleato”, che Morgan poteva facilmente, e un po’ perplesso, spiegare, definire e contestualizzare.

Alla fine, il dibattito Tucker vs. Morgan si è tradotto in una giustapposizione tra il vecchio centro, rappresentato da Morgan, e il mondo delle idee di destra di Internet, rappresentato da Tucker. Il “bulldog liberalism” di Piers Morgan non è complesso o difficile da capire; me lo hanno inculcato per tutta la vita. Eppure è, per molti versi, la formula politica che ci ha portato dove siamo negli anni 2020. Al contrario, mi chiedo a cosa corrisponda in realtà l’ideologia di Tucker, basata su argomenti di discussione su Internet e bombe nucleari della verità. Sappiamo cosa non vogliamo, ma cosa vogliamo ?

È fondamentale chiederselo perché, sotto la superficie dello scontro tra i due uomini, si stava ponendo una domanda: nell’era post-woke, Trump 2.0, quale di questi uomini costituisce effettivamente il centro? Alla fine, credo che anche loro si stessero chiedendo questo.

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Trump annuncia la “Riviera levantina”: il mega-progetto di pulizia etnica e terraformazione del futuro!_di Simplicius

Trump annuncia la “Riviera levantina”: il mega-progetto di pulizia etnica e terraformazione del futuro!

(Non preoccupatevi, è per il popolo!)

6 febbraio
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Trump ha scioccato il mondo oggi con i suoi piani spensierati e senza scuse per la pulizia etnica di massa e la terraformazione di Gaza, dopo aver ricevuto un ricordo del “cercapersone d’oro” da un Netanyahu sorridente: difficilmente si potrebbe immaginare un quadro più cretino:

La quantità di contraddizioni fa girare la testa come un dreidel. “Nessuno può vivere lì, quel posto è un inferno”, spiega Trump con gli occhi gonfi, solo pochi istanti prima di dichiarare trionfante che il posto sarà trasformato in una “Riviera levantina” simile a un casinò per “la gente del mondo”; forse si tratta di persone elette ?

Trump sostiene che i palestinesi meritano di vivere in un luogo in cui non saranno ignominiosamente “morti”, ecco perché un campo profughi artificiale (o meglio, una città) dovrebbe essere costruito in Giordania, eppure dimentica di menzionare che l’uomo accanto a lui è la ragione per cui quegli indigeni di quella terra stanno “misteriosamente” morendo a frotte.

L’intera conferenza stampa sapeva di un surreale teatro dell’assurdo, come guardare dei “carini” Munchkins del Paese di Oz che sbranano voracemente una carcassa con le bocche intrise di sangue. Un Trump dall’aria servile blatera i suoi piani per il più grande genocidio e la più grande campagna di pulizia etnica della storia moderna con l’aria disinvolta di qualcuno che ordina un panino per la colazione. Come al solito, però, il vero schiaffo del tradimento sta nell’indifferenza dei fanatici dei media istituzionali, il cui lavoro avrebbe dovuto essere quello di mettere in discussione e indagare a fondo, appiccare una fiamma giornalistica a tali oltraggi della coscienza comune e della decenza.

Notate come Trump eluda in modo untuoso la domanda su chi vivrà a Gaza, non una, ma due volte. Nel video qui sopra, un reporter chiede a Trump se saranno costruiti insediamenti ebraici a Gaza: Trump finge di non aver sentito e risponde alla domanda con il pretesto che erano gli insediamenti palestinesi a essere stati interrogati.

Poi nel video qui sotto, afferma che gli Stati Uniti prenderanno il controllo della Striscia di Gaza e ne “saranno proprietari”, quindi un mandato americano per il mondo moderno?

Infine, Kaitlan Collins della CNN gli chiede direttamente se i gazawi potranno tornare e, in caso contrario, chi Trump immagina che viva a Gaza dopo che gli USA si saranno trasformati in un “bel posto”? La risposta di Trump è uno studio storico di artificio scivoloso e deve essere vista per essere creduta:

“Immagino…persone del mondo che vivono lì.”

Popoli del mondo ? Sono forse imparentati con i misteriosi Popoli del Mare , per caso? Sono venuti a saccheggiare e reclamare il Levante per la seconda volta in altrettanti millenni? Gli antropologi di tutto il mondo sono in sospeso.

Si è mai vista una dimostrazione più esasperante di apologia del genocidio, sfoggiata e ricoperta di rossetto arancione?

Ebbene, cosa si può dire, Israele ha trovato il suo perfetto servitore fedele:

Qualcuno vuole un po’ di pilates proskynesis prima di pranzo?

Netanyahu ha regalato a Trump due cercapersone durante un incontro del 4 febbraio: “uno normale e uno placcato in oro”, ha dichiarato l’ufficio del primo ministro. Trump ha risposto dicendo che “è stata una grande operazione”.

Prima della sua elezione, Trump aveva definito la Striscia di Gaza “un luogo di prim’ordine” in una telefonata con Netanyahu e gli aveva chiesto di riflettere su quali tipi di hotel avrebbero potuto essere costruiti lì.

Sono l’unico a pensare che un cercapersone sia più un promemoria discretamente minaccioso per restare in fila, piuttosto che un grazioso ricordo di un vecchio amico?

Bene, quindi un giornalista è riuscito a mettere in discussione in modo piuttosto diretto i coraggiosi piani di acquisizione di Trump:

Quindi, secondo quanto sopra, Trump vuole togliere completamente la situazione di Gaza dalle mani di tutti i soggetti coinvolti e marchiarla veramente come una specie di protettorato degli Stati Uniti. C’è forse una minuscola possibilità che Trump stia effettivamente sovvertendo Israele a lungo termine con una specie di mossa di “scacchi olografici 5D”. Persino il famoso esperto di Medio Oriente Alastair Crooke, nella sua ultima intervista con la gente di Duran , ha suggerito che Trump ha essenzialmente “salvato” Netanyahu con queste ultime aperture per impedire ai veri estremisti di destra del Likudnik di prendere il sopravvento, perché “meglio il diavolo che conosci” . In altre parole, Trump almeno sa come lavorare con il più prevedibile Netanyahu e tenerlo in qualche modo in riga.

Penso che alcune persone sottovalutino le astuzie di Trump, quindi dobbiamo lasciarlo un po’ aperto per ora, ma a prima vista non sembra una bella cosa. Dopotutto, proprio ieri Trump ha tacitamente invocato il Grande Israele lamentando le piccole dimensioni di Israele rispetto al resto del Medio Oriente:

Quindi Israele ha finalmente ottenuto il suo più alto e autorevole riconoscimento per essersi finalmente liberato di quegli indigeni fastidiosi e combattivi: è un colpo di grazia israeliano senza precedenti, non è vero?

Be’, non proprio .

Le nuvole continuano ad addensarsi appena oltre il confine, come abbiamo sottolineato fin dall’inizio.

Jolani, ora ribattezzato con il nome di visir puro e semplice Ahmed al-Sharaa, è arrivato ad Ankara per prostrarsi finalmente davanti al suo più grande benefattore:

Finalmente, eminenza! Ho riportato indietro alcuni dei vostri camion Toyota, non ne abbiamo più bisogno.

E cosa ne sai? Come previsto, ci si aspetta che tra i due Paesi si mettano in moto cose importanti:

Il nuovo leader siriano offre a Erdogan di schierare basi militari turche nel paese, — Reuters

▪️Durante i colloqui ad Ankara, Ahmed al-Sharaa discuterà del patto di difesa siro-turco, che include la creazione di basi aeree turche nella Siria centrale, scrive l’agenzia.

▪️Nel frattempo, al-Sharaa ha già incontrato il presidente turco Erdogan e lo ha invitato a visitare Damasco.

Esatto, al centro delle discussioni c’è lo spiegamento di un esercito turco e di basi aeree in tutta la Siria centrale , nonché l’addestramento di un nuovo esercito siriano da parte delle forze turche.

Un funzionario dell’intelligence regionale, un responsabile della sicurezza siriana e una delle fonti di sicurezza estera con sede a Damasco hanno affermato che i colloqui includerebbero l’istituzione di due basi turche nella vasta regione desertica centrale della Siria, nota come Badiyah.

Un funzionario della presidenza siriana ha dichiarato alla Reuters che Sharaa avrebbe discusso con Erdogan “dell’addestramento del nuovo esercito siriano da parte della Turchia, nonché di nuove aree di dispiegamento e cooperazione”, senza specificare i luoghi dello spiegamento.

Seguono suggerimenti secondo cui la Turchia sarebbe in grado di difendere lo spazio aereo siriano:

Un alto funzionario dell’intelligence regionale, un responsabile della sicurezza siriana e una delle fonti di sicurezza estera con sede a Damasco hanno affermato che le basi in discussione consentirebbero alla Turchia di difendere lo spazio aereo siriano in caso di futuri attacchi.

Gli S-400 turchi potrebbero tornare a far parte del menu?

Le possibili sedi delle basi aeree turche sono state indicate come l’aeroporto militare di Palmira e la famigerata base T4 a Homs. Naturalmente, ciò darebbe anche alla Turchia un nuovo dominio sulle regioni curde dall’aria.

Tutto questo è accaduto pochi giorni dopo che Jolani si è finalmente dichiarato formalmente presidente della Siria, anziché un ambiguo “leader di transizione”:

Israele sta diventando così nervoso che i suoi apologeti sono costretti a scrivere tesi sempre più assurde, come quella seguente dell’ex funzionario del Pentagono Michael Rubin per 19FortyFive:

Un rischio maggiore è la possibilità che la Turchia possa utilizzare il suo impianto nucleare per acquisire materiale fissile per un’arma nucleare. I funzionari turchi, e persino le controparti americane, potrebbero dire che l’impianto di Akkuyu è a prova di proliferazione. Tralasciando che “a prova di proliferazione” non è mai assoluta. Come nel caso del reattore nucleare civile iraniano di Bushehr, il problema non è mai stato lo sviamento presso l’impianto energetico civile, ma piuttosto l’utilizzo del programma civile come copertura per acquisire e dirottare beni verso un programma segreto.

Vedete quanto velocemente la Turchia sta sostituendo l’Iran, quasi nello stesso ruolo? Presto sarà la Turchia nel paese a rischio di essere colpita dalle bombe dell’IAF mentre convoglia armi in Siria, e accusata di essere perennemente “prossima a ricevere la bomba atomica”.

Da quanto sopra:

Se la Turchia acquisisse un’arma nucleare, potrebbe non solo dare seguito alle sue minacce contro altri stati della regione, ma potrebbe anche sentirsi così immune dietro il suo deterrente nucleare da poter aumentare la sua sponsorizzazione del terrorismo senza timore di ritorsioni o responsabilità. Tale preoccupazione politica rispecchia quella con cui molti paesi occidentali considerano la possibilità di un’acquisizione nucleare iraniana.

Quanto è comodo!

L’articolo cita come precedente l’attacco di Israele all’impianto nucleare iracheno di Osirak nel 1981. L’autore sostiene che le difese della Turchia non hanno alcuna possibilità contro gli F-35 israeliani, proprio come non ne hanno avute quelle dell’Iran. Oh, aspetta, proprio oggi l’Iran ha appena pubblicato un nuovo video che mostra i suoi sistemi missilistici Bavar-373 e S-300 in piena operatività, dimostrando che gli attacchi fasulli di Israele che “hanno spazzato via l’intera flotta iraniana di S-300” mesi fa erano in realtà una fantasia, come la maggior parte delle persone dotate di cervello ha dedotto:

L’Iran mostra i sistemi missilistici Bavar-373 e S-300 potenziati in esercitazioni in tandem.

Le esercitazioni, che si sono svolte l’ultimo giorno delle imponenti esercitazioni Eqtedar 1403 (letteralmente “1403 maggio”), hanno visto l’impiego di sistemi di difesa aerea a lungo raggio di fabbricazione iraniana e russa, impegnati in attacchi contro nemici fittizi nel deserto di Kavir, nel nord del Paese.

Oltre a testare l’efficacia dei sistemi, le esercitazioni hanno sfatato le affermazioni israeliane sulla distruzione degli S-300 iraniani durante gli attacchi dell’ottobre scorso e hanno consentito alla Forza di difesa aerea dell’esercito iraniano di presentare una nuova versione del Bavar-373, che ora è dotato di un proprio radar che consente operazioni completamente indipendenti.

-Ho visto i due sistemi collegati alla potente rete di difesa aerea nazionale dell’Iran

Negli ultimi mesi, l’Iran ha svelato e dispiegato una serie di nuovi sistemi di difesa aerea e missili balistici, nonché una base missilistica sotterranea, nel contesto delle crescenti tensioni con gli Stati Uniti e Israele.

In ogni caso, nei prossimi mesi e anni ci si aspetta di sentire altre dichiarazioni simili a quelle sopra riportate sulla Turchia, mentre la scimitarra ottomana si avvicina sempre di più alla gola scoperta di Israele.

Per quanto riguarda Riyadh, si dice che il re non sia rimasto impressionato dai piani di Trump di riqualificare la Striscia di Gaza trasformandola in un lido di lusso per i ricchi goy occidentali dello Shabbos:

In definitiva, dobbiamo aspettare e vedere esattamente cosa Trump ha in mente per la presunta presa di controllo “americana” di Gaza; potrebbe esserci più di quanto non sembri. Israele, ovviamente, gioca sempre a lungo termine, con Netanyahu che probabilmente acconsente al piano di Trump anche se apparentemente non dà a Israele il controllo della Palestina, per ora, perché Netanyahu sa nel profondo della sua milza che i presidenti americani vanno e vengono, ma la colonia di coloni continuerà sempre a pullulare come un tumore, molto tempo dopo che i mandati mortali dei suoi burattini requisistiti saranno scaduti. In altre parole, per ora, salvate le apparenze, ma contate sul prossimo vigliacco in capo americano che restituirà i territori “appena riqualificati” a Israele, de jure.

E per quanto riguarda quei muscolosi congressisti americani? Beh, potete anche scordarvi della Cisgiordania: la nuova “guida” dall’alto è la parola d’ordine dell’uccello, e l’uccello è stato messo nella lista nera. Niente più “Cisgiordania”, vi presento le province israeliane di Giudea e Samaria:

Venerdì, i legislatori repubblicani alla Camera e al Senato hanno presentato proposte di legge che vieterebbero l’uso del termine “Cisgiordania” nei documenti e nei materiali del governo degli Stati Uniti, sostituendo la frase con “Giudea e Samaria”, i nomi biblici per la regione ampiamente utilizzati in Israele e il nome amministrativo utilizzato dallo stato per descrivere l’area.

Ti piacciono le mele avvelenate?

Nel frattempo, Trump si starebbe preparando a ritirarsi definitivamente dalla Siria, se ci potete credere:

Il rapporto di cui sopra sostiene un imminente piano di ritiro entro i prossimi “30, 60 o 90 giorni” – questa volta giuriamo sul mignolo, promesso! Ricordiamo l’ultima volta che lo staff generale traditore ha letteralmente mentito a Trump e “ha giocato a giochi di prestigio” riguardo agli schieramenti di truppe statunitensi in Siria per impedirgli di ritirare le truppe. Sarà più o meno lo stesso escamotage questa volta?

È l’ultimo esempio della politica estera erraticamente schizofrenica di Trump. Dopo aver promesso di non fare più guerre o di non coinvolgere più militari stranieri, Trump è pronto a ritirare le truppe statunitensi dalla Siria, mentre ne invia un nuovo gruppo nella “Riviera Rossa” sull’ex Striscia di Gaza: parliamo di giochi di prestigio!

Infine, se non siete ancora sazi della vittoria di “America First” per oggi, godetevi il vostro ultimo boccone emetico:

Ricordate il video precedente del discorso di Trump, che ha suscitato molte risposte riguardo al fatto che Trump abbia semplicemente “letto” una dichiarazione datagli dal suo “responsabile AIPAC”? Sapete, questo:

Ebbene, pare che non sia molto lontano dalla verità, come riportato dal Times of Israel qui sopra:

Kushner è stato coinvolto nella stesura delle dichiarazioni preparate da Trump, rilasciate insieme al Primo Ministro Benjamin Netanyahu alla Casa Bianca, riporta Puck News, citando una fonte anonima a conoscenza della questione.

A proposito, avete colto il terzo atto di ambiguità farinosa di Trump nel frammento qui sopra? Ascoltate di nuovo:

“[Creeremo] uno sviluppo economico che fornirà un numero illimitato di posti di lavoro e alloggi per… la gente della zona. ”

Ah, di nuovo quelle persone enigmatiche .

Per chi riesce a sopportarlo, vi lascio con quest’ultimo video di Mike Waltz, il portavoce di Trump, che decanta lo splendore della rivoluzionaria donazione di Trump a Gaza:

Pesante è la corona dell’Egemone. Il cielo non voglia che la Russia erediti mai un destino così gravoso da condannare Putin al poco invidiabile compito di radere al suolo una nuova Riviera sul lungomare di Odessa tra gli applausi scroscianti, o le approvazioni silenziose, della galleria di arachidi della “rettitudine morale” occidentale. Facciamo penitenza per aver minimizzato la pesante croce di Trump: Signore, perdonaci, amen!


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Pietra, forbici, carta_di Aurelien

Pietra, forbici, carta.

Ovvero, l’Europa dopo l’Ucraina.

Questi saggi saranno sempre gratuiti, ma potete sostenere il mio lavoro mettendo like e commentando, e soprattutto trasmettendo i saggi ad altri, e passando i link ad altri siti che frequentate. Se desiderate sottoscrivere un abbonamento a pagamento, non vi ostacolerò (anzi, ne sarei molto onorato), ma non posso promettervi nulla in cambio, se non una calda sensazione di virtù.

Ho anche creato una pagina Buy Me A Coffee, che potete trovare qui.☕️

Come sempre, grazie a chi fornisce instancabilmente traduzioni in altre lingue. Maria José Tormo sta pubblicando le traduzioni in spagnolo sul suo sito qui, e alcune versioni italiane dei miei saggi sono disponibili qui. Anche Marco Zeloni sta pubblicando le traduzioni italiane su un sito qui. Hubert Mulkens sta lavorando a un’altra traduzione in francese. Sono sempre grato a coloro che pubblicano occasionalmente traduzioni e riassunti in altre lingue, a condizione che si dia credito all’originale e me lo si faccia sapere. E ora:

****************************

Ho scritto diverse volte su come potrebbe finire la guerra in Ucraina e su cosa potrebbe seguirla. Ho parlato dell’incapacità dell’Occidente di capire cosa stia realmente accadendo nella guerra, e perché, e cosa questo significhi, così come della sua ossessione per gli ultimi gadget e aggeggi. Ho sottolineato che risposte facili come “spendere più soldi” e “riportare il servizio di leva” non sono possibili, e che se fossero possibili non sarebbero comunque efficaci.

Ma le cose stanno andando avanti e l’Occidente sta cominciando a riconoscere che non può ottenere tutto ciò che vuole, che non potrà dettare i termini della pace o i termini di un futuro rapporto con la Russia e che dovrà avere un qualche tipo di strategia per affrontare l’Europa e il mondo che sono ora in fase di costruzione.

Ma le cose sono andate più o meno così: una breve pausa nel dominio occidentale, un “accordo”, mediato dagli Stati Uniti come parte neutrale, alcune concessioni a malincuore mentre l’Ucraina viene riarmata, e poi via di nuovo. Non credo ci siano parole per descrivere adeguatamente quanto queste idee siano lontane dalla realtà, ma al momento questa realtà è troppo strana e spaventosa per essere contemplata, e la finestra di Overton dei possibili pensieri sul futuro non si è mossa abbastanza da permettere anche al più coraggioso politico o opinionista occidentale di parlarne. Arriverà; non facilmente e non rapidamente, ma arriverà.

Quindi dovremo fare il lavoro per loro, o almeno stabilire in cosa potrebbe consistere una parte del lavoro. Il problema è che farlo significa disimparare quel poco che le élite politiche occidentali e la Casta Professionale e Manageriale (PMC) pensano di sapere sulla strategia e sulla politica di sicurezza, e iniziare un processo di educazione correttiva dalle fondamenta. Non sono la persona adatta a farlo – non sono sicuro di chi lo sia – ma posso forse offrire alcune idee, con la solita avvertenza che non sono un esperto militare di alcun tipo.

Permettetemi di spiegare innanzitutto perché questo è necessario. Le élite politiche contemporanee e i loro parassiti sono essenzialmente ignoranti (se i maiali mi perdonano) in materia di politica di sicurezza, strategia e questioni militari. A dire il vero, sono ignoranti anche su molte altre cose, ma l’ignoranza in questo settore è forse più preoccupante che in molti altri. Ha origini complicate e disordinate, che probabilmente non sono identiche in nessuno dei due casi. Storicamente, la guerra e la strategia sono state questioni importanti per gli Stati. Tendevano a interessare in modo sproporzionato la destra tradizionale (anche se c’erano delle eccezioni, come in Francia), ma i politici di tutte le convinzioni durante la Guerra Fredda erano obbligati a pensarci, e alle loro conseguenze pratiche, in una certa misura.

Ma al giorno d’oggi la classe politica occidentale funziona in base a una strana miscela di neoliberismo economico di destra e di polvere normativa liberale, nessuna delle quali è particolarmente simpatica dal punto di vista intellettuale alla strategia e agli affari militari, e può persino essere apertamente sprezzante nei loro confronti. In assenza di una grande guerra in Europa, o anche solo della reale prospettiva di una guerra, le operazioni militari erano diventate una bizzarra miscela di “mantenimento della pace” o “costruzione della nazione”, e di violente punizioni inflitte ai Paesi che non facevano quello che volevamo. L’effettivo interesse politico per le lezioni militari e strategiche dell’Afghanistan durante il periodo di massima presenza occidentale, ad esempio, è stato pietosamente ridotto. Non è stato necessario che la classe politica e la PMC imparassero nulla sugli affari strategici e militari e, quindi, all’improvviso, si sono trovati completamente smarriti.

Ora, naturalmente, è altrettanto sbagliato lamentarsi del fatto che la classe politica non sia specializzata in questioni militari. Nessuno si aspetta che un Ministro della Difesa sia un esperto militare, così come non si aspetta che un Ministro dei Trasporti sia un ex macchinista. Il loro compito è la direzione politica e la gestione delle forze armate, e questo richiede una serie di competenze diverse. Allo stesso modo, i militari occidentali di alto livello hanno trascorso la loro carriera operativa in guerre su piccola scala o nel mantenimento della pace, e in ogni caso hanno bisogno di tutta una serie di altre competenze per svolgere il loro lavoro oltre al semplice comando in guerra. Ma – ed è un grosso ma – gli istituti di difesa occidentali possono essere ragionevolmente criticati per non essersi tenuti aggiornati sugli sviluppi in Russia e in Cina e sulla possibilità di una guerra convenzionale su larga scala, e sui preparativi che sarebbero necessari per essa. Come ho già detto in diverse occasioni, un conto è fare i dispetti ai russi quando ci si è preparati per un potenziale conflitto, un altro è fare i dispetti ai russi senza nemmeno pensare, per quanto ne so, alla produzione, alle scorte e alla mobilitazione, è una colpevole incompetenza. (A proposito, non mi sembra ovvio cosa abbiano fatto i ministri della Difesa delle nazioni occidentalinell’ultima generazione o giù di lì).

In questo contesto non sorprende che circolino essenzialmente due concetti vaghi sulla futura sicurezza occidentale, soprattutto nel contesto della Russia. Uno è la corsa all’ultima tecnologia intelligente che in qualche modo ci “proteggerà” e ripristinerà il “vantaggio tecnologico” dell’Occidente, l’altro è una sorta di nuova strategia, che forse coinvolge un rilancio della NATO, che qualcuno elaborerà, che farà qualcosa o altro per migliorare le cose. Affronterò entrambe le questioni, ma non in modo isolato l’una dall’altra perché, come dovrebbe essere ovvio, gli aggeggi tecnologici, per quanto intelligenti, sono inutili se non si sa cosa si vuole fare con essi e come si inseriscono nei propri piani generali. Pertanto, l’intelligenza artificiale non vincerà la guerra in Ucraina, ma può aiutare in modi specifici: i russi stanno già utilizzando l’intelligenza artificiale per consentire ai droni di selezionare i propri obiettivi. Ho già detto abbastanza sull’ignoranza dell’Occidente in materia di strategia e sulla sua conseguente incapacità di comprendere ciò che sta accadendo in Ucraina: qui voglio spostare l’accento su come potremmo pensare al futuro. Ciò richiede un chiaro concetto di interesse collettivo, che alla fine potrebbe essere impossibile da trovare, ma richiede anche, come minimo, un’idea coerente di quali tecnologie potrebbero essere rilevanti e utili in un’ampia gamma di scenari. Ciò richiede a sua volta una comprensione adeguata delle dinamiche di sviluppo delle tecnologie militari, argomento che quasi nessuno nei governi occidentali sembra conoscere.

Consideriamo ad esempio i “droni”. I veicoli aerei senza equipaggio (UAV) esistono in varie forme dalla Seconda Guerra Mondiale e, come ogni tecnologia militare, devono essere usati correttamente per essere utili. Nella vostra infanzia potreste aver giocato a Sasso, Forbici, Carta o a un gioco simile. In sostanza, nessuna scelta è sempre dominante: le forbici tagliano la carta, la carta avvolge la pietra e la pietra smussa le forbici. Tutto dipende dalla scelta che fa l’avversario. Così con i droni o con qualsiasi altra tecnologia: i droni danno visibilità a lungo raggio e la possibilità di attaccare con precisione piccoli bersagli. D’altra parte, la loro efficacia è limitata dalle condizioni atmosferiche, d’altra parte cominciano a comparire i raggi infrarossi e altre versioni più esotiche, d’altra parte sono più costose e difficili da utilizzare. Allo stesso modo, i droni possono essere molto precisi e letali, ma d’altra parte le contromisure EW sono ormai ampiamente diffuse, d’altra parte i russi stanno ora distribuendo droni controllati da cavi a fibre ottiche che non possono essere disturbati, d’altra parte sembrano esistere droni killer in grado di abbattere i droni nemici.

Quindi la risposta a qualsiasi domanda sul valore della tecnologia militare è: dipende. In particolare, i tecno-entusiasti hanno l’abitudine di consegnare le vecchie tecnologie alla spazzatura perché le contromisure esistono e spesso sono molto più economiche della piattaforma. Bene, ma questo vale per tutte le tecnologie, ovunque e in ogni momento. Una spada costosa e sofisticata poteva essere smussata da uno scudo molto più economico. Inoltre, le lance erano generalmente più economiche delle spade e richiedevano un minore addestramento. Buttate via le spade. L’essere umano Mk 1, con anni di addestramento e masse di attrezzature costose, può essere sconfitto da un singolo proiettile a basso costo. Sbarazziamoci della fanteria.

Il punto, naturalmente, è che tutto dipende dal contesto, dal mix di armi sul campo di battaglia, agli obiettivi tattici e operativi della missione, fino allo scopo strategico del conflitto. Poiché sembra che i governi occidentali non stiano riflettendo su nessuno di questi tre livelli, vediamo se possiamo farlo noi per loro. Ma prima vediamo alcuni esempi di capacità militari del tipo che i governi dovranno prendere in considerazione e perché tutto dipende dal contesto.

La prima cosa da tenere a mente è di stare molto attenti all’argomento che “X” è “superato sul campo di battaglia”. Prendiamo l’esempio più apparentemente lampante: il cavallo. Gli eserciti del 1914 sono stati derisi da allora per aver schierato la cavalleria, ma all’epoca era il mezzo migliore per condurre ricognizioni e schermare le proprie forze. Nelle prime fasi della guerra, prima che i fronti si solidificassero, la cavalleria fu molto utilizzata nella sua funzione tradizionale. E questo è solo l’Occidente: sul fronte orientale ci furono enormi battaglie di cavalleria, fino alla guerra russo-polacca del 1921. (I cavalli furono ovviamente utilizzati in modo massiccio dai tedeschi nella Seconda Guerra Mondiale e, come amava sottolineare un ufficiale di cavalleria che conoscevo, un’unità di cavalleria tedesca fu l’unica a penetrare nei sobborghi di Mosca nel 1941. Peraltro, l’esercito francese usava i cavalli in Algeria: potevano attraversare praticamente tutti i terreni, non richiedevano manutenzione o pezzi di ricambio e si rompevano raramente.

Piuttosto, le tecnologie militari – e questo sarà altrettanto vero in futuro – sono generalmente progettate per un contesto specifico, possono essere successivamente adattate ad altri e possono essere vulnerabili, o avere poco valore, in altri ancora. Farò tre esempi. Cominciamo con il carro armato principale.

Una volta che le linee del fronte si erano assestate alla fine del 1914, le tradizionali manovre di aggiramento divennero impossibili e la densità delle forze rese gli attacchi frontali difficili e costosi. Sebbene l’artiglieria potesse causare morte e distruzione nelle linee tedesche, i suoi effetti potevano essere solo intuiti, data la distanza a cui veniva sparata, e le truppe dovevano essere inviate alla cieca. I tedeschi impararono presto a lasciare relativamente poche truppe in prima linea e a ripararsi durante i bombardamenti. Mentre le truppe britanniche (in particolare) si facevano strada attraverso il campo di battaglia devastato, i tedeschi sopravvissuti uscivano dai loro rifugi con le loro mitragliatrici e le truppe dietro la linea del fronte si schieravano per fermare ulteriori avanzamenti. Poiché era impossibile sapere dove fossero state distrutte le difese, e poiché era anche impossibile per le truppe d’assalto comunicare con i loro quartieri generali, gli attacchi erano costosi e spesso inutili.

Gli inglesi pensarono quindi a un “distruttore di mitragliatrici corazzate”, in grado di attraversare il terreno aperto, sfondare le difese di filo spinato e consentire alle truppe di avanzare. Dopo la guerra, visionari come Tukhachevsky e De Gaulle svilupparono l’idea fantastica di interi eserciti di carri armati che sciamavano senza opposizione sul campo di battaglia. Sebbene sia vero che le contromisure disponibili all’epoca fossero molto scarse, l’affidabilità e la mobilità dei carri armati non erano lontanamente compatibili con tali fantasie già nel 1940. Mentre i tedeschi fecero un uso efficace dei carri armati, combinati con gli aerei e le comunicazioni radio, per disturbare l’esercito francese nel 1940, la potenza aerea rese presto difficile la vita dei carri armati e verso la fine della guerra furono sviluppate armi anticarro trasportabili dall’uomo. (I carri armati che combattono contro i carri armati, tra l’altro, erano uno sviluppo che gli ideatori non avevano previsto).

La morte del carro armato è stata proclamata a gran voce dopo la guerra del Medio Oriente del 1973, quando gli israeliani tentarono cariche di cavalleria su larga scala contro la fanteria armata di armi anticarro, ottenendo risultati peggiori. Ma si trattò di un classico esempio di eccessiva fiducia in un’arma, senza pensare al contesto più ampio. Gli inglesi avevano già iniziato a sviluppare corazze composte per resistere alle armi anticarro, e negli ultimi cinquant’anni si è assistito a un’incredibile profusione di misure difensive attive e passive contro le armi anticarro. A loro volta, come si è visto in Ucraina, i missili sono stati ottimizzati per attaccare la superficie superiore dei carri armati, solitamente meno protetta. E naturalmente sono iniziati a comparire dei contatori sotto forma di gabbie anti-drone.

Sarà evidente, quindi, che “il carro armato è obsoleto?” è la domanda sbagliata da porre. Dipende dal contesto, dipende dall’obiettivo, dipende dal nemico, dipende da quali altre armi vengono utilizzate. Soprattutto, dipende da cosa si vuole fare. La vera domanda per i governi occidentali può essere riassunta come segue:

“Dopo la guerra in Ucraina, e per almeno la prossima generazione, l’Occidente prevede la necessità di una potenza di fuoco blindata, altamente mobile e protetta, meglio armata e protetta dei veicoli da combattimento di fanteria, e in aggiunta ad altre armi impiegate in parallelo, e se sì in quale contesto strategico?”

Naturalmente anche questa è solo una parte della questione. C’è una domanda preliminare che riguarda la possibilità che l’Occidente preveda un conflitto con un avversario di pari livello sulla terraferma. C’è poi la questione secondaria se il carro armato (e in tal caso quale tipo di carro armato) sia il mezzo migliore per soddisfare una parte di questa esigenza. Per quanto ne sappiamo, i russi in Ucraina non hanno fatto un uso estensivo dei carri armati moderni e ci sono stati pochi dei previsti duelli carro armato contro carro armato. Sembra che li usino nel loro ruolo tradizionale di potenza di fuoco mobile e protetta a distanza. Dai video disponibili, sembra che i russi conducano la maggior parte dei loro attacchi con veicoli della serie BMP, piuttosto che con carri armati, e con il supporto di droni e artiglieria. Queste tattiche sembrano funzionare abbastanza bene in Ucraina, ma ovviamente quel contesto è molto specifico.

Non ho visto alcun tentativo tra gli opinionisti occidentali di affrontare tali questioni in modo approfondito. In effetti, la saggezza diffusa sembra essere ancora quella di ritenere che gli equipaggiamenti e la dottrina occidentali siano intrinsecamente superiori, per cui non c’è bisogno di alcun ripensamento. Lo stesso, a quanto vedo, vale per la potenza aerea, dove la domanda “l’aereo con equipaggio è obsoleto?” è raramente posta e, anche se lo fosse, è comunque una domanda sbagliata.

In questo caso, la speranza era quella di “scavalcare” le difese nemiche e attaccare le aree posteriori vulnerabili. Alcuni appassionati vedevano nell’aeroplano un modo per sferrare un rapido “colpo di grazia” al Paese nemico e porre fine alla guerra in pochi giorni. Altri speravano che avrebbe dominato il campo di battaglia e distrutto concentrazioni di truppe e fortificazioni. All’epoca si riteneva generalmente che, secondo le parole di Stanley Baldwin nel 1932, l’aereo d’attacco sarebbe “sempre riuscito a passare”.

All’epoca, in effetti, c’erano tutte le ragioni per pensare che fosse così. Non c’era modo di rilevare e identificare in modo affidabile gli aerei fino a quando non erano molto vicini, né di trasmettere e amalgamare tali informazioni e ordinare una risposta. Nel momento in cui si potevano far decollare i caccia, gli aerei che attaccavano avevano già rilasciato le loro armi, ed era impossibile comunicare con i caccia (la cui resistenza era comunque piuttosto limitata) una volta in volo. Questo permetteva a un attacco di sorpresa di distruggere gran parte delle forze aeree del nemico, come accadde alla Polonia nel 1939, alla Francia nel 1940 e persino all’Unione Sovietica nel 1941. Ma non alla Gran Bretagna nel 1940. Perché?

La risposta breve è il radar, che permetteva agli inglesi di vedere gli aerei tedeschi in attacco e di organizzare una risposta. Ma in realtà il radar era solo una parte, anche se molto importante, di una capacità che fu sviluppata a partire dalla metà degli anni Trenta. La piena capacità si basava su una valutazione della situazione strategica e sulla convinzione che i bombardamenti diurni con equipaggio fossero una minaccia. Il risultato fu lo sviluppo di veloci caccia monoplani, la costruzione di nuovi aerodromi, la creazione di un efficace sistema di comando e controllo e l’integrazione del radar con altre forme di allarme e segnalazione. Naturalmente, il radar non era la fine della storia. Le contromisure ai radar furono sviluppate anche durante la guerra, furono sviluppati nuovi tipi di radar, le contromisure elettroniche e le contromisure proliferarono in seguito, e furono sviluppati missili appositamente per colpire i sistemi radar.

Gli aerei con equipaggio sono cambiati radicalmente nelle dimensioni e nella velocità, sono passati dal volare al di sopra del raggio di intercettazione a volare a livello molto basso per evitare il rilevamento radar e i missili, fino a diventare una piattaforma multiuso che spesso agisce in piccoli numeri contro obiettivi che non possono rispondere al fuoco. In Ucraina, i russi hanno cercato il controllo dell’aria attraverso l’uso di missili e, quando hanno usato direttamente gli aerei, spesso lo hanno fatto a lungo raggio, lanciando armi a distanza. I droni a lungo raggio sono stati utilizzati da entrambe le parti, ma sono soggetti a inceppamenti e, se pilotati automaticamente, non possono cambiare bersaglio o far fronte agli imprevisti.

Dove ci porta questo? Beh, come minimo ci lascia con la seguente domanda:

“Dopo la guerra in Ucraina, e almeno per la prossima generazione, l’Occidente prevede la necessità che gli aerei con equipaggio svolgano una o più funzioni di combattimento definite, in quale rapporto con altre armi come i missili impiegati in parallelo, e se sì in quale contesto strategico?”.

Non sto trattenendo il fiato in attesa di una risposta, o addirittura che la domanda venga posta. Ma se non si sa quale capacità si vuole e perché la si vuole, gli entusiasmi transitori per questo o quel pezzo di equipaggiamento militare sono inutili.

Ci sono molti altri esempi possibili, ma mi limiterò a toccarne rapidamente uno completamente diverso. La portaerei è stata dichiarata morta più volte di quanto riesca a ricordare, ma oggi sono in servizio più Paesi che in qualsiasi altro momento della storia. Ancora una volta, però, il problema non è un pezzo di equipaggiamento, ma una capacità.

Una portaerei è il cuore di una capacità di proiezione della forza. In altre parole, consente a un Paese di proiettare forze terrestri, marittime e aeree più lontano di quanto potrebbe fare operando dal proprio territorio nazionale. A sua volta, ciò offre tutta una serie di potenziali vantaggi politici e strategici. Una portaerei moderna può trasportare aerei da combattimento, velivoli da allarme rapido, elicotteri di vario tipo e un contingente di truppe, spesso fino a un battaglione equivalente. Avrà anche un ospedale completamente attrezzato e strutture per la riparazione e la manutenzione dell’equipaggiamento. Avrà capacità di raccolta di informazioni, comunicazioni sicure verso l’interno e capacità di comando e controllo delle operazioni. Tuttavia, ha bisogno di scorte per la protezione antiaerea e antisommergibile e di solito è accompagnata da una nave da rifornimento.

Le navi così grandi sono sempre state vulnerabili: per quanto ne so, la prima portaerei ad essere affondata in azione è stata la HMS Glorious al largo della Norvegia nel 1940. Come per tutte le capacità, il trucco consiste nello sfruttare i punti di forza delle armi evitando il più possibile le debolezze. Dire che una portaerei può essere affondata da un missile a basso costo non ha senso: è sempre stato così. L’idea è di tenere la portaerei al riparo dai pericoli e di proteggerla dagli imprevisti. Ci sono alcune aree, in particolare gli stretti marittimi o le zone vicine alla costa, in cui le portaerei non dovrebbero comunque essere schierate.

Una delle ragioni principali dello schieramento delle portaerei è il controllo del mare: la capacità di controllare quali navi passano in quali aree. Spesso lo scopo principale di questa attività è politico e di deterrenza, e il sottomarino, che può certamente affondare navi ostili, è un’arma essenzialmente discreta e nascosta che non può essere usata a scopo di deterrenza o di applicazione della legge: al giorno d’oggi i sottomarini non hanno cannoni di coperta e passano il loro tempo sommersi. Se si vogliono effettuare pattugliamenti in elicottero, inseguire i pirati con piccole imbarcazioni, abbordare navi o interrogare avvistamenti su vasta scala e organizzati, è necessario disporre di una base terrestre/marittima sicura (e costosa) da cui operare, oppure avere una portaerei da qualche parte. Lo stesso vale per l’evacuazione di cittadini in caso di emergenza, il salvataggio di ostaggi e così via, dove il mare è il mezzo di passaggio preferito. Quindi, ancora una volta, la questione non riguarda l’equipaggiamento, ma il mantenimento o meno di una capacità. Si potrebbe eseguire:

“Dopo la guerra in Ucraina, e almeno per la prossima generazione, l’Occidente prevede la necessità di una capacità di proiezione di potenza marittima a qualsiasi livello di forza, benevola o conflittuale, in quale rapporto con altre armi come i sottomarini impiegati in parallelo, e se sì in quale contesto strategico?”.

Ancora una volta, mi stupirei se una riflessione di questo tipo fosse effettivamente in corso.

Spero che quanto sopra sia sufficiente a sfatare l’idea che la salvezza dell’Occidente dopo l’Ucraina derivi dal perseguimento di questo o quell’aggeggio, o di questa o quella nuova tecnologia. Il fatto è che, dalla fine della Guerra Fredda, l’Occidente è stato strategicamente alla deriva, con le sue filosofie di approvvigionamento e le sue strutture di forza spinte da pressioni politiche e finanziarie, e ostacolato dall’oscillazione tra il generale disinteresse della classe politica ignorante e i suoi improvvisi e violenti entusiasmi. Inoltre, dal momento che le leadership politiche avevano ben poca idea di cosa fare con i loro militari, questi ultimi, come il resto del settore pubblico occidentale, sono stati trattati come tele su cui inscrivere i disegni sociali ed economici della PMC. Solo ora, all’ombra dell’Ucraina, si comincia a chiedersi se un po’ più di attenzione alla strategia, alle strutture e alla dottrina non avrebbe fatto male. In realtà, oggi c’è una confusione totale tra ciò che le forze armate occidentali dovrebbero fare e ciò che in pratica viene chiesto loro di fare. (David Hume sospira e dice: “Perché la gente confonde ancora Is e Ought?”) Gli Stati occidentali non hanno politiche di sicurezza in quanto tali; tutto ciò che hanno è un elenco di cose che fanno. Alcune di queste cose sono una questione di abitudine, altre sono vincoli del passato, poche sono scelte liberamente e razionalmente tra una serie di alternative.

Senza dubbio ci saranno revisioni della sicurezza dopo l’Ucraina: alcune potrebbero essere utili. Ma la maggior parte, purtroppo, seguirà probabilmente lo schema degli ultimi trent’anni, limitandosi a dire (1) il mondo è un posto complesso con ogni sorta di questioni difficili e quindi (2) dobbiamo continuare a fare quello che stiamo facendo, ma anche comprare le attrezzature X, Y e Z. Sarebbe sbagliato criticare troppo: le persone che scrivono questi documenti (io sono stato coinvolto in piccola parte) sono generalmente molto limitate politicamente in quello che possono dire e nelle conclusioni a cui possono arrivare, oltre che dall’enorme peso del passato e del presente.

Ma forse possiamo fare meglio di così. Se potessimo partire da un foglio di carta pulito, come potremmo progettare una politica di sicurezza per l’Europa dopo l’Ucraina che non sia solo un insieme di espedienti e di politiche attuali riconfezionate? Penso che si possa partire da due giudizi di base.

Il primo è che la politica di contenimento della Russia dopo il 2014 si è ritorta contro di noi in modo disastroso. L’Ucraina, lungi dall’essere un argine all’attacco russo, una postazione avanzata dell’Occidente ben armata e dotata di massicce fortificazioni difensive, ha provocato proprio l’attacco che intendeva prevenire. Invece di essere un deterrente, è stata vista come una provocazione: un risultato che non avrebbe dovuto sorprendere nessuno con la minima conoscenza della storia russa. E anche i trogloditi che avrebbero accolto con favore un attacco russo, leccandosi i baffi al pensiero di una sconfitta e di un cambio di regime a Mosca, dovranno accettare che le loro speranze sono andate disastrosamente in fumo. Da ogni punto di vista – militare, politico, strategico, economico – l’Occidente è più debole oggi di quanto non fosse prima della guerra, e non c’è un modo evidente per rimediare a queste debolezze.

Pertanto, tentare di ripetere la stessa politica sarebbe inutile e potenzialmente disastroso, anche se i russi lo permettessero in qualche modo. L’Occidente (compresi gli Stati Uniti) non ha, e non può acquisire, una capacità convenzionale tale da “bilanciare” o anche solo avvicinare quella della Russia: anche un numero molto elevato di navi di superficie, sottomarini e jet da combattimento non è rilevante in questo caso. (Quindi, cercare di ricostruire grandi forze convenzionali di terra e di aria per un ipotetico conflitto convenzionale con la Russia non vale la pena, anche se fosse possibile. Questo non significa abbandonare del tutto le forze di terra, come vedremo, ma significa usarle per cose sensate.

In ogni caso, dove si svolgerebbe questo ipotetico conflitto e di cosa si tratterebbe? Guardiamo una mappa. In primo luogo, sembra improbabile che la Russia, il più grande Paese del mondo, abbia bisogno di altro territorio, e ancor meno che sia disposta a combattere per ottenerlo. Ci sono quindi solo due possibilità. La prima è una disputa territoriale o di confine con un vicino. Supponendo che l’Ucraina sia governata da un governo neutrale e ragionevole, quali altre possibilità ci sono? Tanto per cominciare, è molto difficile immaginare che l’Estonia o la Romania entrino deliberatamente in conflitto con la Russia per i confini (o viceversa, se è per questo): che senso avrebbe e cosa potrebbero sperare di guadagnare? Allo stesso modo, mentre la NATO, assorbendo la Finlandia, si è premurosamente dotata di un confine molto lungo e indifendibile, è difficile capire perché una delle due parti dovrebbe voler combattere per questo.

Il secondo, anche se altrettanto improbabile, sarebbe una grande crisi tra la Russia e “l’Occidente” o “l’Europa”, che portasse a un conflitto su larga scala. Come in precedenza, però, le aree in cui ciò potrebbe avvenire sono molto poche. In questo caso, siamo ancora una volta vittime concettuali della Guerra Fredda, in cui eserciti massicci si sono effettivamente affrontati direttamente (come del resto hanno fatto spesso nel corso della storia). Anche in questo caso, è sufficiente guardare la mappa. Ma se, per qualche ragione ultraterrena, la Russia decidesse di attaccare attraverso la Romania, l’Occidente non potrebbe opporsi in modo utile. Questo non perché i russi siano superuomini, né perché la loro tecnologia sia necessariamente enormemente superiore, ma piuttosto a causa della geografia, che si può cambiare solo prosciugando l’Atlantico. Inoltre, anche in un conflitto con uno Stato (relativamente) ben armato come la Polonia, è probabile che i russi usino principalmente missili a lungo raggio per distruggere campi d’aviazione, concentrazioni di truppe, depositi logistici, centri di comando e controllo e snodi di trasporto, dopodiché si tratterebbe in gran parte di raccogliere i pezzi.

La seconda è che la sconfitta in Ucraina cambierà sostanzialmente il panorama strategico occidentale, in modi che non possiamo davvero prevedere. Quello che possiamo dire è che rischia un altro congelamento delle differenze politiche che sono state soppresse durante la Guerra Fredda, per poi emergere molto brevemente alle sue conclusioni. Chiunque abbia seguito la crisi ucraina saprà che ha portato a ogni sorta di idee selvagge su chi debba possedere quale territorio, chi lo possedeva prima, chi vuole un po’ dell’Ucraina post-1991 e così via. Ciò non sorprende, poiché i massicci spostamenti di confini e popolazioni dopo il 1945, decisi essenzialmente da Stalin per motivi di sicurezza, hanno lasciato eredità che non si sono mai realmente concretizzate e che comunque non hanno una soluzione “giusta” o “equa”. Questo problema è emerso brevemente dopo la Guerra Fredda, ma è stato in generale contenuto, con la significativa eccezione della Jugoslavia. Una ragione ampiamente misconosciuta per l’espansione della NATO è stata quella di cercare di portare il maggior numero possibile di Stati all’interno di una struttura che limitasse le loro aspirazioni territoriali più selvagge e i loro rancori storici.

Ma semmai la sconfitta in Ucraina rischia di liberare ancora una volta queste tensioni. La stessa NATO sarà nel migliore dei casi poco convincente, nel peggiore ridondante come organizzazione. Probabilmente continuerà in qualche forma perché nessuno vorrà assumersi la responsabilità di ucciderla, ma non è attrezzata per gestire dispute territoriali e politiche di questo tipo. Nemmeno l’UE lo è: gestire le grandi tensioni politiche non è come gestire le quote latte.

Da generazioni ormai gli europei si servono degli Stati Uniti come contrappeso alle dimensioni e alla potenza sovietica e poi russa. Come ho sottolineato più volte, gli Stati Uniti non hanno mai “difeso” l’Europa, ma potrebbero essere portati in gioco come forza politica equilibratrice in caso di una grave crisi in Europa. Dopo il primo test dal vivo di questa ipotesi, si scopre che era sbagliata, e probabilmente lo è sempre stata. Gli Stati Uniti non sono ora in grado di offrire all’Europa nulla di importante e, dato lo stato della loro economia e delle loro forze armate, questo probabilmente non è un male per loro. Per molto tempo, gli europei hanno temuto che le voci isolazioniste di Washington prendessero il sopravvento. Ora probabilmente lo faranno, ma si è tentati di dire che alla fine probabilmente non farà molta differenza. D’altra parte, alcuni Paesi europei potrebbero decidere che, in realtà, sarebbe meglio migliorare leggermente le loro relazioni con la Russia.

Un’Europa frammentata e abbandonata dovrà quindi riflettere a fondo. Dobbiamo sperare che, per la prima volta da molto, molto tempo, l’Europa prenda finalmente sul serio la Russia e le sue preoccupazioni, superando la paura della guerra fredda e l’altrettanto irragionevole senso di superiorità che l’ha seguita. Si tratterà di uno sviluppo massiccio, che richiederà un cambiamento politico altrettanto massiccio: forse equivalente a quello successivo al 1945, quando molti raggruppamenti politici esistenti furono semplicemente spazzati via. L’epico broncio di cui ho spesso parlato può durare solo fino a un certo punto, quando la capacità di azione è così limitata, e la storia suggerisce che in tali situazioni nuove forze politiche finiranno per sorgere e trovare popolarità.

L’Europa si troverà quindi in una situazione familiare: una serie di Stati deboli nelle vicinanze di uno grande e potente, che in questa occasione si sono deliberatamente alienati. La Russia non invaderà l’Europa, ma non è questo il problema. Il semplice fatto esistenziale delle sue dimensioni e della sua potenza, insieme alla debolezza dei suoi vicini, condizionerà le relazioni politiche tra la grande potenza e gli altri. Per alcuni occidentali questo è difficile da capire (gli americani, secondo la mia esperienza, lo trovano impossibile), ma è un dato di fatto e viene compreso nella maggior parte del mondo.

La risposta migliore, a mio avviso, sarebbe duplice. La prima sarebbe il riconoscimento di interessi comuni da parte degli Stati europei, compresa la percezione che alcuni interessi potrebbero non essere in realtà comuni, o condivisi in modo molto disomogeneo. Questo sconsiglia la creazione di ulteriori burocrazie e trattati di sicurezza, ma piuttosto una cooperazione ad hoc (che potrebbe includere gli Stati Uniti e altre potenze esterne) su questioni di interesse comune. Tale cooperazione porterà naturalmente a strutture di forza e ad approvvigionamenti per sostenerle. Il più grande interesse comune sarà l’affermazione dell’indipendenza e dell’identità collettiva: non in modo aggressivo, perché sarebbe inutile, e non cercando faticosamente di individuare interessi comuni dove non esistono, ma in modo da agire, per quanto possibile, positivamente nell’equilibrio di potere tra Russia ed Europa.

Classicamente, ciò avviene attraverso l’affermazione di confini e interessi. Avrebbe quindi senso disporre di aerei da combattimento per il pattugliamento dei confini dello spazio aereo e dei mari del Nord e del Baltico, spesso organizzato a livello multilaterale. Allo stesso modo, aerei ottimizzati per il pattugliamento antisommergibile sarebbero un buon investimento, mentre quelli per la penetrazione e l’attacco al suolo sarebbero uno spreco di denaro, oltre che potenzialmente destabilizzanti. I sottomarini e le fregate e i cacciatorpediniere antisommergibile potrebbero essere adatti alle circostanze. Allo stesso modo, il mantenimento di almeno alcune forze di terra è un modo tradizionale di esprimere la sovranità nazionale e la volontà di difenderla. Tutto ciò farebbe parte di una strategia coerente, essenzialmente politica, per aumentare l’indipendenza e la libertà d’azione dell’Europa di fronte al suo gigantesco vicino: carta per avvolgere la pietra, pietra per smussare le forbici. Senza dubbio le forze paranoiche di Mosca potrebbero considerare tali azioni potenzialmente aggressive, ma questo è un rumore del sistema internazionale con cui bisogna convivere.

Al di là di questo, è necessario prendere decisioni strategiche sulla proiezione di forze, tenendo presente che non ci sono vuoti in politica, e si può presumere che altri, da altre parti del mondo, faranno i loro piani di intervento quando sarà chiaro che gli europei non possono farlo. Ma queste decisioni saranno difficili e comunque lontane nel tempo.

Certo, non avremmo mai dovuto partire da qui. Posso solo pensare che se trent’anni fa fossero state prese decisioni migliori, ora non ci troveremmo in questa situazione. All’epoca alcuni di noi pensavano che fosse urgente trovare un modo di convivere con Mosca, ma nessuno di noi aveva lo status o l’influenza per influenzare le politiche che furono scelte. Ora c’è un’altra opportunità di prendere decisioni sensate, in una situazione in cui l’Europa è enormemente più debole e gli Stati Uniti sono di fatto fuori dai giochi. La migliore speranza, ironia della sorte, è che tali decisioni siano spesso imposte agli Stati da fattori che essi non possono controllare, e che siano loro gradite o meno.

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Rassegna stampa tedesca 11 (verso le elezioni)_a cura di Gianpaolo Rosani

Il tema centrale della campagna elettorale ruota ora intorno alla migrazione. A insediarlo è stato  il leader della CDU Friedrich Merz, proprio lui che lo scorso autunno metteva in guardia dall’esacerbare la campagna elettorale con questo tema; l’attacco di Aschaffenburg ha superato questo avvertimento. La pressione ad agire è così forte che la CDU/CSU accetta l’accusa di aver sbrecciato il muro verso l’AfD.

Il 29 gennaio è passata al Bundestag, in conclusione di legislatura prima delle imminenti elezioni anticipate, una delle due mozioni in tema di immigrazione della CDU/CSU (quella dei “cinque punti”) che è stata votata da AfD, BSW e Liberali FDP, con i voti contrari di SPD e Verdi . Risultato 348 favorevoli e 344 contrari, 10 astenuti. Non è giuridicamente vincolante (non è un disegno di legge), ma il suo valore politico non sfugge.

C’è stato poi un seguito venerdì 31 gennaio: il Parlamento  ha discusso la proposta di “legge sulla limitazione dell’afflusso” (Zustrombegrenzungsgesetz), che non è passata: ha raccolto 338 voti a favore di CDU/CSU (12 assenti), AfD e BSW che, per la defezione di circa un quarto dei Liberali FDP (23), non sono stati sufficienti a superare i 349 voti contrari di SPD e Verdi, 5 astenuti.

Per chi desidera approfondire: Italiaeilmondo ha curato due rassegne – questa è la seconda: riunisce i resoconti e i contrapposti commenti dei più influenti giornali tedeschi, pubblicati dopo la bocciatura della proposta di legge il 31 gennaio. Per la CDU/CSU i sondaggi reggono sul 30%, tuttavia ad urne chiuse sarà da vedere come l’”azzardo” del 29 e del 31 gennaio complicherà la trattativa per una comunque inevitabile coalizione di governo tra tutti o qualcuno dei partiti tradizionali. Per ora, a campagna elettorale in corso, SPD e Verdi rifiutano il programma di inasprimento della politica migratoria della CDU/CSU.

01.02.2025

FOLLIA DEL PARLAMENTO FEDERALE!

La maggioranza del parlamento vota contro la volontà della maggioranza dei cittadini. Lo storico dibattito al Bundestag sulla svolta in materia di asilo

dagli inviati: JONATHAN ANDA, NADJA ASWAD, JOSEF FORSTER, FLORIAN KAIN, MARIUS KIERMEIER, ELIAS SEDLMAYR, PETER TIEDE, BURKHARD  UHLENBROICH, HANS-JÖRG VEHLEWALD

Berlino – Storico dibattito al Bundestag tedesco: un grande momento – e un punto basso allo stesso tempo! La Germania sa ora qual è la posizione di ciascun partito in materia di immigrazione illegale e sicurezza. Chi mette la causa al di sopra del partito e chi dà la priorità a tattiche, potere e ideologia. Lo sappiamo: Chi si preoccupa della volontà del popolo. E per chi non lo è. Proseguire la lettura cliccando su: Azzardo CDU (01-03.02.2025)

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Ultime notizie dall’SVR russo: “L’Occidente si prepara a far fuori Zelensky”, di Simplicius

Alcuni sviluppi interessanti hanno prodotto indizi su come potrebbe delinearsi la fine del gioco in Ucraina. Zelensky è sempre più visto come un problema dal team Trump-Kellogg, a causa della sua testardaggine e del rifiuto di cedere su una qualsiasi delle concessioni fondamentali considerate necessarie per porre fine alla guerra. Ora, apparentemente, si sta formando un consenso attorno a questa stessa conclusione anche in Europa.

A riprova di ciò, abbiamo un comunicato ufficiale del servizio di intelligence estero russo sull’SVR, che delinea un piano dei membri della NATO per screditare Zelensky, come inizio di una campagna per eliminarlo e sostituire qualcuno più disposto a colloqui di pace incondizionati.

Questo è tratto dal sito ufficiale del governo russo SVR :

Il comunicato stampa completo:

03.02.2025

L’ufficio stampa del Foreign Intelligence Service della Federazione Russa riferisce che, secondo le informazioni ricevute dall’SVR, il quartier generale della NATO sta pensando sempre più a un cambio di potere in Ucraina. Bruxelles ritiene che le Forze armate ucraine non saranno presto in grado di contenere il crescente assalto dell’esercito russo. Con l’arrivo al potere negli Stati Uniti, la decisione di D. Trump aumenta l’incertezza sulla continuazione dell’assistenza militare che l’Occidente sarà in grado di fornire a Kiev.

La leadership della NATO ritiene necessario a tutti i costi preservare i resti dell’Ucraina come trampolino di lancio anti-russo. Dovrebbe “congelare” il conflitto portando le parti in guerra a un dialogo sull'”inizio della sua risoluzione”. Allo stesso tempo, Washington e Bruxelles concordano sul fatto che il principale ostacolo all’attuazione di tale scenario è V. Zelensky, che viene definito “materiale esaurito” ai margini occidentali. La NATO vorrebbe sbarazzarsi del capo del regime di Kiev, idealmente a seguito di elezioni pseudo-democratiche. Secondo i calcoli dell’alleanza, potrebbero aver luogo in Ucraina non più tardi dell’autunno di quest’anno.

Alla vigilia della campagna elettorale, il quartier generale della NATO sta preparando un’operazione su larga scala per screditare Zelensky. Si prevede, in particolare, di rendere pubbliche le informazioni sull’appropriazione personale da parte del “presidente” e dei membri del suo team solo di fondi destinati all’acquisto di munizioni, oltre 1,5 miliardi di dollari. Inoltre, si prevede di rivelare il piano per il ritiro di Zelensky e del suo entourage all’estero dell’indennità monetaria di 130 mila militari ucraini morti che continuano a essere elencati come vivi e in servizio in prima linea. Si prevede inoltre di rendere pubblici i fatti del coinvolgimento del “comandante in capo supremo dell’Ucraina” in ripetuti casi di vendita di grandi quantità di equipaggiamento militare occidentale trasferito a Kiev gratuitamente a vari gruppi nei paesi africani.

Quindi, il fatto che il tempo del “ritardatario” Zelensky sia contato è compreso anche nella NATO. È solo un peccato che questa comprensione sia stata data a costo della vita di centinaia di migliaia di cittadini ucraini.

Ufficio Stampa

SVR della Russia 03.02.2025

Quindi, quanto sopra afferma che le elezioni ucraine devono tenersi entro e non oltre il prossimo autunno perché la situazione dell’AFU è così precaria che Zelensky deve essere estromesso quest’anno per impedire una totale presa di potere russa sull’Ucraina. Abbiamo visto nel mio ultimo articolo che i fari del pensiero occidentale stanno ora nominando il 2026 come l’anno in cui i carri armati russi attraverseranno sia Kiev che Leopoli, con Budanov che lascia intendere che dopo la prossima estate, l’Ucraina inizierà ad affrontare potenzialità “esistenziali”.

Ciò è in linea con le precedenti teorie di mesi fa, secondo cui Trump avrebbe avviato un “audit” dell’Ucraina, che avrebbe convenientemente scoperto una corruzione così diffusa da consentire a Trump di “lavarsene le mani” di Zelensky e dell’Ucraina in generale, scaricandoli sull’Europa.

Prendetelo con le pinze, ma Legitimny riferisce:

#udienze
La nostra fonte riferisce che il team di Trump ha già iniziato un audit del caso ucraino. Schemi di corruzione da miliardi di dollari, in cui sono coinvolti tutti i ranghi più alti fino a Ermak e ai suoi burattini.
Non sono ancora state divulgate informazioni in merito. Se Zelensky continua a trascinare la guerra, allora nella primavera del 2025 il mondo potrà vedere un sacco di materiali e fatti interessanti.

L’inviato speciale di Trump per l’Ucraina e la Russia, Keith Kellogg, dovrebbe arrivare a Kiev l’11 febbraio per un incontro a tu per tu con Zelensky, forse per trasmettere personalmente il messaggio di cui sopra come ultimatum finale al leader sfortunato.

Secondo quanto riportato dalla pubblicazione ucraina, che cita fonti proprie, Kellogg dovrebbe arrivare in Ucraina dopo l’11 febbraio per incontrare Volodymyr Zelensky.

Dopo la visita in Ucraina, Kellogg si recherà in Europa per dei colloqui e poi parteciperà alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco.

I leader europei, tuttavia, stanno ancora cercando di resistere, annunciando nuovamente alcuni incontri speciali per costruire solidarietà attorno al sostegno ucraino alla luce della manifestata ostilità disimpegnata di Trump.

Parte di ciò è stato espresso in una nuova chiamata trapelata tra i famosi burloni russi “Vovan & Lexus” e il membro CDU del Bundestag tedesco Johann Wadephul. Nella chiamata, il membro del Consiglio europeo per le relazioni estere Wadephul definisce la Russia un “nemico” perpetuo e afferma che l’AfD è politicamente “sotto controllo” delle altre fazioni di potere e “non avrà mai un ruolo nello stato della politica federale”, secondo l’agente dello stato profondo europeo.

In ogni caso, è ormai chiaro che alcuni dei vecchi vettori previsti potrebbero potenzialmente concretizzarsi, con i poteri forti costretti a spazzare via Zelensky per impedire alla Russia di prendere il controllo del loro vasto strumento di investimento in Ucraina.

Il problema è, ovviamente, che continuano a credere alla loro propaganda fraudolenta sulla “vulnerabilità” della Russia. Vedete, la loro stessa falsa intelligence, un tempo concepita per sostenere la guerra, ora lavora contro di loro. Le agenzie di intelligence gestite dallo stato profondo un tempo cercavano di continuare la guerra a tutti i costi per dissanguare la Russia, e lo facevano esagerando enormemente le perdite russe e minimizzando quelle ucraine. Ciò ha servito al suo scopo per un periodo in cui era ancora incerto se la Russia potesse effettivamente essere sconfitta o meno.

Ma ora che è diventato ovvio che l’Ucraina è su una traiettoria di sconfitta totale, la stessa fonte di propaganda che un tempo serviva a uno scopo così potente ha ora reso impossibile per l’Occidente districarsi dall’Ucraina. Ora è troppo avanti nel gioco per ammettere che tutto ciò che ci hanno detto era sbagliato, e che la Russia è in realtà potente e l’Ucraina totalmente devastata. Quindi ora sono costretti a questo imbarazzante e contraddittorio rituale di gesti delle mani in cui devono ancora mantenere la linea che la Russia è stata devastata con perdite enormemente sproporzionatamente più elevate, eppure la guerra deve essere portata a termine immediatamente perché una Russia inarrestabile sta per sopraffare totalmente un’Ucraina distrutta e sconfitta.

È possibile che, come parte della “svelamento” della corruzione in Ucraina, Trump potrebbe anche scegliere di smascherare le vere cifre delle vittime ucraine: lo ha già lasciato intendere con dichiarazioni su milioni di vittime, e molto più alte da entrambe le parti di quanto ammesso. Ma il fatto rimane, che Trump non ha dimostrato alcuna plausibile leva che potrebbe costringere la Russia al tavolo delle trattative in un momento di declino terminale dell’Ucraina.

Gli ultimi report indicano che l’OPEC e i sauditi non sono disposti a collaborare con le richieste irrealistiche di Trump per la riduzione del prezzo del petrolio. Dal Wall Street Journal:

È improbabile che gli Stati Uniti riescano ad aumentare significativamente la produzione di petrolio, nonostante la politica dell’amministrazione del presidente americano Donald Trump volta ad aumentare le forniture di risorse energetiche americane; allo stesso tempo, la politica petrolifera di Trump potrebbe portare a una frattura con l’Arabia Saudita, scrive il Wall Street Journal, citando fonti informate e funzionari statunitensi.

Secondo fonti del quotidiano, i rappresentanti dell’Arabia Saudita avrebbero dichiarato agli ex funzionari statunitensi che il regno non intende contribuire all’aumento delle forniture globali di petrolio, e alcuni degli ex funzionari avrebbero trasmesso questo messaggio al team di Trump.

Il Comitato ministeriale di monitoraggio dell’OPEC+, presieduto congiuntamente da Russia e Arabia Saudita, ha deciso di non modificare la sua attuale politica di produzione di petrolio, ha dichiarato a Interfax un rappresentante di una delle delegazioni.

Secondo quanto riportato da Bloomberg, il vice primo ministro russo Alexander Novak ha dichiarato durante una riunione che l’OPEC+ dovrebbe mantenere la sua politica attuale.

Quindi, l’Arabia Saudita e l’OPEC non hanno alcun interesse a far scendere il petrolio a 45 $, come nei sogni irrealistici di Kellogg. Ciò significa che non esiste alcuna leva che potrebbe portare la Russia al tavolo se non quella di usare i principali alleati della Russia per fare pressione. Per disperazione, gli Stati Uniti ora cercano di minacciare moderatamente Cina e India affinché facciano pressione sulla Russia per porre fine alla guerra, ma perché la Cina vorrebbe aiutare l’impero a spostare l’attenzione su Taiwan così facilmente?

Le élite istituzionali sono rimaste scosse dai recenti accenni al fatto che Washington spingerà Zelensky a partecipare a un’elezione che sicuramente perderà:

Il quotidiano Politico qui sopra si disonora con una nuda apologia delle norme antidemocratiche, insinuando che indire elezioni consentirebbe alla Russia di intromettersi nella “democrazia”, ignorando completamente il fatto che non indire elezioni è molto peggio che semplicemente “intromettersi”, ma è una vera e propria abrogazione della democrazia stessa:

Kiev, da parte sua, teme che indire elezioni in questo momento possa mettere a repentaglio la coesione ucraina e aprire il Paese alle campagne d’influenza russe destabilizzanti.

Citano un ex ministro ucraino che sostanzialmente convalida il fatto che i poteri si stanno allineando per rimuovere Zelensky dal suo seggio illegittimo:

Un ex ministro ucraino, a cui è stato concesso l’anonimato per discutere liberamente del delicato argomento, ha dichiarato a POLITICO che “l’allineamento sulle elezioni tra Washington e Mosca è preoccupante”, aggiungendo: “Lo vedo come la prima prova che Trump e Putin concordano sul fatto di volere Zelenskyy fuori”.

Per inciso: l’articolo si spinge oltre per giustificare ulteriormente il fatto di non tenere elezioni “in tempo di guerra”. Ciò che è interessante è come le fonti dell’establishment occidentale siano state recentemente in grado di giustificare spudoratamente l’annullamento totale delle elezioni e il processo democratico in generale. Può sembrare scontato dirlo a questo punto, ma il modo in cui l’annullamento delle elezioni rumene è stato rapidamente e quasi indifferentemente liquidato come una sorta di dato di fatto procedurale è stato scioccante. Lo stesso è accaduto per le elezioni in Georgia e con quanta prontezza i tentativi illegali di Salome Zourabichvili di respingere il voto popolare sono stati giustificati con applausi in Occidente, senza nemmeno il minimo scrupolo o precauzione. Se Putin avesse dichiarato la legge marziale come Zelensky e fosse rimasto oltre il suo mandato, non ne avremmo mai sentito la fine e probabilmente ne sarebbe seguita una serie record di sanzioni. Ogni pretesa è stata messa da parte poiché è diventato normale in Occidente cancellare completamente il processo elettorale se non si adatta alle esigenze politiche del momento; È sconvolgente assistere a questo rapido declino politico dell’Occidente.

Ma torniamo a noi: è evidente che Trump non ha una vera strategia e che sta ancora improvvisando con l’Ucraina, come dimostra il recente fiasco delle partenze e delle fermate degli armamenti:

Ciò significa che Trump sarebbe disposto ad aprire le porte delle grandi armi, qualora Putin rifiutasse le proposte di pace? È difficile da credere, perché Trump ha appena espresso apertamente la sua convinzione che l’Europa debba come minimo adeguarsi ai precedenti impegni finanziari degli Stati Uniti nei confronti dell’Ucraina, e ciò sembra improbabile poiché l’Europa non è più vicina a nessuna forma di consenso o solidarietà, e di fatto si sta ulteriormente fratturando . Quindi, come potrebbe Trump aprire queste “porte delle grandi armi” contraddicendo la sua posizione, dal momento che costerebbe in modo smisurato più dollari americani rispetto al sostegno europeo?

Pertanto, possiamo solo supporre che l’Ucraina continuerà a ricevere una quantità minima di aiuti, ma non spedizioni tipo “surge” che potrebbero in qualche modo tenere a bada la Russia. Quindi, l’unica vera possibilità di sopravvivenza nel frattempo che resta all’Ucraina è abbassare l’età di mobilitazione, il che potrebbe farle guadagnare forse un altro anno o un anno e mezzo al massimo. Ma Zelensky sembra fermamente contrario a questo senza importanti garanzie di aumento delle armi, e alla vigilia di una potenziale elezione forzata è improbabile che esegua un ordine che sarebbe un suicidio politico certo.

Possiamo solo supporre che l’ambiguità e il mistero che circondano la salvezza dell’Ucraina da parte di Trump faranno fluttuare le speranze ucraine per qualche mese in più, in una sorta di periodo di “delirio di speranza”. Ma da qualche parte verso la tarda primavera o l’estate, quando inizierà a farsi strada l’idea che Trump non ha un elisir magico, il tumulto politico dell’Ucraina probabilmente inizierà a raggiungere il culmine, in un modo o nell’altro. Ciò probabilmente coinciderebbe con un’altra spinta offensiva primaverile più importante da parte della Russia che probabilmente vedrebbe la pressione esercitata su diversi altri assi, il che stringerebbe il giogo attorno all’AFU fino a estremi di punto di ebollizione.

Un altro da Legitimny:

#udienze
La nostra fonte riferisce che alcuni think tank occidentali indipendenti hanno previsto uno scenario negativo per l’Ucraina.

Se la guerra dura fino a gennaio-marzo 2026, l’esercito ucraino perderà con una probabilità del 62% la sua efficacia in combattimento, il che porterà al crollo su larga scala dei confini difensivi, all’avvio di un caso con le qualità interne e Maidan, che molto probabilmente porterà alla resa.

Zelensky (e i suoi sponsor) sono a conoscenza di questo scenario, ma gli è stato affidato il compito dai suoi «sponsor» di mettere a repentaglio il futuro dell’Ucraina, per il bene del suo futuro personale e di futuri demartisti/globalisti che sono pronti a sacrificare l’Ucraina per il bene del loro gioco contro Trump.

Altrimenti, [Zelensky] verrà completamente fuso. Forse anche eliminato, e secondo i media diranno che un razzo ipersonico russo / killer ha colpito, ecc.
Ed è improbabile che qualcuno si chieda perché non l’hanno eliminato per anni e poi all’improvviso hanno deciso.

Perciò opta per una causa pacifica, cercando di prolungare la guerra il più a lungo possibile.

Infine, vale la pena notare che, in linea con la discussione di cui sopra sull’approccio duro di Trump, Trump ha rilasciato oggi questa nuova “interessante” dichiarazione riguardante l’Ucraina, in cui sembrava sottintendere che qualsiasi ulteriore assistenza dovrebbe avvenire a spese di importanti concessioni ucraine dei loro minerali di terre rare più preziosi:

Che “alleato”. Se fosse stato Putin a chiedere le risorse naturali dell’Ucraina in cambio di una “relazione” amichevole, sarebbe stato demonizzato all’inferno e ritorno e le sue dichiarazioni sarebbero state usate come giustificazione per l’Ucraina per unirsi all’altra parte avversaria. Cosa ha mai fatto la Russia all’Ucraina in linea con questo livello di mancanza di rispetto, che l’Ucraina avrebbe dovuto perseguitare i russofoni e la cultura, sputare in faccia alla Russia e pugnalarla alle spalle?

In ogni caso, ciò dimostra che il continuo sostegno di Trump all’Ucraina non è garantito, il che complica notevolmente il futuro del Paese.

Da parte sua, Arestovich ha previsto che Trump avrebbe facilmente “licenziato” Zelensky:

Seguì un’ammissione molto schietta, in cui Arestovich, senza fronzoli, dichiarò: “Abbiamo perso la guerra”.

Cosa si può dire di più?


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Quattro domande a Eric Denécé, direttore del CF2R

Quali saranno le conseguenze a breve e medio termine della sconfitta occidentale in Ucraina sulla coesione della NATO? E che dire della coesione dell’UE? Secondo lei, quali sono i paesi più propensi ad aprire possibili linee di faglia per la NATO e l’UE, e perché?

Credo che non ci rendiamo sufficientemente conto del fatto che la guerra in Ucraina ha suonato la campana a morto per la difesa europea. Per i paesi baltici, la Romania e la Polonia, che beneficiano pienamente dei fondi europei, ma anche per la Finlandia e i paesi scandinavi, l’unica alleanza che garantisce la loro sicurezza è la NATO. Quindi i rischi di disintegrazione dell’Alleanza nel breve termine sono limitati.

Non è questo il caso dell’UE, dove le divergenze sono sempre più marcate e potrebbero accentuarsi in occasione delle prossime elezioni dei prossimi anni.

Inoltre, cresce la sfiducia dei cittadini dei paesi che hanno formato la Comunità Europea nei confronti di Bruxelles. Infine, c’è la questione dell’euro, che pone i Paesi del Sud (Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Grecia) in una situazione di forte svantaggio rispetto alla Germania, che ne ha tratto pieno vantaggio.

 

Un importante riarmo all’interno della NATO dei principali paesi europei, in particolare della Germania, sembra possibile o probabile nel medio termine? Quali sarebbero le conseguenze per le decisioni strategiche russe?

Il riarmo europeo è già iniziato, e questa è una buona cosa perché abbiamo ridotto così tanto i nostri bilanci che i nostri paesi hanno solo eserciti “campione”. Dovrà continuare anche se la guerra in Ucraina finirà, perché è necessario per la nostra sicurezza. Ma il rischio è che questo vada a vantaggio dell’industria americana più che di quella dei nostri stati. Dobbiamo stare attenti a non arricchire il complesso militare-industriale oltre Atlantico a scapito della nostra industria.

Infine, ritengo che questo riarmo non debba essere diretto contro la Russia. Il vero massacro dei funzionari della sicurezza della NATO e di alcuni stati membri è grottesco e serve gli interessi americani: affermare che la Russia minaccia di invadere l’Europa entro pochi anni è una grossolana bugia! Diamo un’occhiata alla realtà e ai numeri (economia, popolazione, personale militare, bilanci, ecc.). Mosca non ha né i mezzi né l’intenzione!

 

Dopo la sconfitta definitiva dell’Occidente in Ucraina, pensa che gli Stati Uniti saranno in grado di identificare e decidere una nuova strategia coerente nei confronti della Russia? Se sì, quale?

Sì, perché nella misura in cui la nuova amministrazione è realmente ossessionata dalla “minaccia” cinese, ha perfettamente capito che non è più opportuno disperdersi troppo continuando a sostenere la guerra contro la Russia in Ucraina. Già prima del suo arrivo alla Casa Bianca, Trump aveva chiarito i suoi obiettivi di politica internazionale: contrastare l’ascesa economica e militare della Cina (il cui bilancio della difesa resta quasi 3 volte inferiore al proprio!). I suoi commenti sulla Groenlandia (situazione strategica e riserve di idrocarburi), Panama e il Canada rientrano in questo approccio.

 

La Francia è forse il Paese che, grazie alla sua eredità gollista, possiede la cultura “sovranista” migliore e più strutturata. La produzione editoriale ne è una preziosa testimonianza. Come mai questa capacità non riesce a tradursi in un’espressione politica matura e a rispondere adeguatamente alle esigenze popolari?

Semplicemente perché questa cultura non esiste più nelle classi dominanti, conquistate dall’ideologia europeista e sottomesse all’influenza e alle costrizioni americane.

I politici francesi, sia al potere che all’opposizione, non hanno alcuna visione di quale potrebbe essere il futuro del nostro Paese, non hanno immaginazione né coraggio e non pensano nemmeno che siamo in grado di riconquistare un grado maggiore di indipendenza e sovranità. Sono disfattisti e non credono nelle nostre possibilità di ripresa autonoma, per questo giocano la carta di un’Europa sempre più sottomessa agli Stati Uniti. Le possibilità che questa situazione cambi nel breve termine sono scarse, mi aspetto piuttosto un cambiamento di alleanza dai Democratici a Trump…

Quelles seront les conséquences à court et moyen terme de la défaite occidentale en Ukraine sur la cohésion de l’OTAN ? Et sur la cohésion de l’UE ? À votre avis, quels sont les pays les plus susceptibles d’ouvrir d’éventuelles lignes de fracture pour l’OTAN et l’UE, et pourquoi ?

Je crois que nous ne mesurons pas assez que la guerre d’Ukraine a sonné le glas de l’Europe de la défense. Pour les pays baltes, la Roumanie et la Pologne, qui bénéficient à plein de fonds européens, mais aussi pour la Finlande et les pays scandinaves, la seule alliance qui garantisse leur sécurité, c’est l’OTAN. Donc les risques de délitement de l’Alliance à court terme sont limités.

Ce n’est pas le cas de l’UE, car les divergences y sont de plus en plus marquées et pourraient s’accroitre à l’occasion des élections à venir dans les toutes prochaines années.

De plus la défiance des citoyens dans les pays à l’origine de la Communauté européenne est de plus en plus forte à l’égard de Bruxelles. Enfin, il y a la question de l’euro, qui désavantage beaucoup les pays du Sud (Italie, France, Espagne, Portugal, Grèce) par rapport à l’Allemagne qui en a profité à plein.

Un réarmement majeur au sein de l’OTAN des principaux pays européens, en particulier de l’Allemagne, semble-t-il possible ou probable à moyen terme ? Quelles en seraient les conséquences sur les décisions stratégiques russes ?

Le réarmement européen a déj commencé, et c’est une bonne chose car nous avions tellement réduit nos budgets que nos pays n’ont plus que des armées « échantillonaires ». Il faudra le poursuivre, même si la guerre d’Ukraine cesse, car cela est nécessaire à notre sécurité. Mais le danger est que cela profite davantage à l’industrie américaine qu’à celles de nos États. Il faudra veiller à ne pas enrichir le complexe militaro-industriel d’outre-Atlantique au détriment de notre industrie.

Je pense enfin que ce réarmement ne doit pas être orienté contre la Russie. Le véritable matraquage des responsables de la sécurité de l’OTAN et d’une partie des États membres est grotesques et sert les intérêts américains : dire que la Russie menace d’envahir l’Europe d’ici quelques années est un mensonge grossier ! Regardons la réalité et les chiffres (économie, population, effectifs militaires, budgets, etc.). Moscou n’en a ni les moyens, ni l’intention !

 

Après la défaite finale de l’Occident en Ukraine, pensez-vous que les Etats-Unis seront en mesure d’identifier et de décider d’une nouvelle stratégie cohérente à l’égard de la Russie ? Si oui, laquelle?

Oui, car dans la mesure où la nouvelle administration est véritablement obnubilée par la « menace » chinoise, elle a parfaitement compris qu’il n’est plus opportun de se disperser en continuant de soutenir la guerre contre la Russie en Ukraine. Avant même son arrivée à la Maison-Blanche, Trump a fait clairement part de ses objectifs de politique internationale : contrer la montée en puissance économique et militaire de la Chine (dont le budget de défense reste presque 3 fois inférieur au sine !). Ses propos sur le Groenland (situation stratégique et réserves d’hydrocarbures), le Panama et le Canada s’inscrivent dans cette démarche

 

La France est peut-être le pays qui possède, grâce à son héritage gaulliste, la culture « souverainiste » la meilleure et la plus structurée. La production éditoriale en est un précieux témoignage. Comment se fait-il que cette capacité ne parvienne pas à se traduire par une expression politique mature et à se connecter de manière adéquate aux besoins populaires ?

Simplement parce que cette culture n’existe plus dans les classes dirigeantes, qui sont gagnées à l’idéologie européiste et soumises à l’influence et aux contraintes américaines.

Les politiques français, au pouvoir comme dans l’opposition, n’ont aucune vision de ce que pourrait être l’avenir de notre pays, aucune imagination ni courage, et ne pensent même pas que nous sommes en mesure de retrouver un degré supérieur d’indépendance et de souveraineté. Ils sont défaitistes et ne croient pas en nos possibilités de redressement autonome, raisons pour lesquelles ils jouent la carte d’une Europe de plus en plus inféodée aux Etats-Unis. Les chances que cela évolue à court terme sont minces, je m’attends plutôt à un changement d’allégeance, passant des Démocrates à Trump….

 

 

Eric Denécé
Direttore del Centro francese per la ricerca sull’intelligence (CF2R)
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75008 Parigi
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Traiettoria esistenziale di Kiev: I toni occidentali cambiano di nuovo, di Simplicius

Traiettoria esistenziale di Kiev: I toni occidentali cambiano di nuovo

E discutiamo delle prospettive di un futuro che vada oltre la sconfitta dell’Ucraina.

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Il tono intorno all’Ucraina continua a cambiare. All’inizio era impercettibile, ma da allora ha raggiunto un punto in cui pronunciare cose prima indicibili è un grido d’allarme comune. Per molto tempo, i giornalisti gialli hanno tentato disperatamente di mascherare il crollo dell’Ucraina come semplice necessità di una pausa di riflessione, o di far ricadere il tutto sulla Russia o sul desiderio di Putin di avviare colloqui di pace, a causa delle elevate perdite e della presunta incapacità di raggiungere gli obiettivi.

Ma ora, ovunque si guardi, per la prima volta l’omertà è stata tolta: gli organi di informazione ammettono apertamente – anche se ancora con toni sommessi – che l’Ucraina non solo rischia una vaga “sconfitta”, ma la capitolazione totale alla Russia. Anche in precedenza, quando a volte si accennava a un simile esito, le piene ramificazioni della parola venivano lasciate intenzionalmente in sospeso, come se si sperasse che il lettore non pensasse ancora al peggio, ma magari immaginasse che il “collasso” dell’Ucraina fosse solo un evento localizzato. Ciò che è cambiato ora è che lo stanno apertamente definendo: questo è il secondo rapporto importante in pochi giorni che dice direttamente: se le cose continuano così, i carri armati russi passeranno attraverso sia Kiev che Lvov, punto e basta.

Vi presento le ultime novità di Hill:

Un breve riassunto dei punti prima di discutere:

La Russia si impadronirà di Kiev e Leopoli nel 2026 se gli Stati Uniti interromperanno gli aiuti – The Hill

▪️“Senza il sostegno degli Stati Uniti, la Russia avanzerà nel 2025 perché Kiev sarà a corto di armi.

▪️Entro il 2026, l’Ucraina perderà un’efficace difesa aerea, permettendo alla Russia di condurre continui bombardamenti su larga scala.

▪️Le truppe ucraine continueranno a combattere, ma molto probabilmente crolleranno entro la fine dello stesso anno, il che permetterà alla Russia di catturare Kiev e poi avanzare verso il confine della NATO”, teme la pubblicazione.

▪️“Poi la Russia ricostruirà le sue unità da combattimento, userà le risorse dell’Ucraina per rafforzare le sue capacità, dispiegherà le sue forze lungo il confine della NATO e sarà pronta ad attaccare fuori dall’Ucraina entro il 2030”.

Prima di tutto, l’autore cerca di far credere ai lettori occidentali che molti più soldi delle loro sudate tasse dovranno essere sprecati in spese militari se l’Ucraina perde la guerra:

Un’analisi condotta dall’American Enterprise Institute ha stabilito che la sconfitta dell’Ucraina da parte della Russia costerebbe ai contribuenti americani 808 miliardi di dollari in più rispetto a quanto gli Stati Uniti hanno pianificato di spendere per la difesa nei prossimi cinque anni. Si tratta di una cifra circa sette volte superiore a tutti gli aiuti stanziati al Pentagono per aiutare l’Ucraina dall’invasione russa del 2022.

Questa stima si basa su uno scenario in cui gli Stati Uniti smettono di fornire aiuti e la conseguente vittoria russa ci impone di adattare le nostre capacità militari, la capacità e la postura per mantenere la nostra sicurezza. Lo studio utilizza quindi il simulatore di futuro della difesa per stimare la spesa necessaria per scoraggiare e, se necessario, sconfiggere la Russia in Europa, prevenendo al contempo ulteriori conflitti da parte di avversari rafforzati nel Pacifico e in Medio Oriente.

La parte più curiosa è che la fonte della suddetta “stima” è il cosiddetto ‘Defense Futures Simulator’, la cui front splash page presenta un gigantesco trafiletto dell’autore dell’articolo di cui sopra. Quanto è conveniente – o dovremmo dire, non etico e inappropriato – che l’autrice utilizzi un programma discutibile in cui sembra essere coinvolta per fare propaganda ai contribuenti creduloni?

Ma dopo aver scaldato il forno, sgancia la notizia bomba:

Senza il sostegno degli Stati Uniti, la Russia avanzerebbe nel 2025, quando Kiev sarà a corto di armi. Entro il 2026, l’Ucraina perderebbe un’efficace difesa aerea, permettendo alla Russia di condurre continui bombardamenti su larga scala. Le forze convenzionali ucraine continuerebbero a combattere con coraggio, ma probabilmente crollerebbero entro la fine di quell’anno, permettendo alla Russia di impadronirsi di Kiev e poi di dirigersi verso il confine della NATO.

Una Russia rafforzata ricostituirebbe le sue unità da combattimento, userebbe le risorse dell’Ucraina per rafforzare le sue capacità, stazionerebbe le sue forze lungo la frontiera della NATO e sarebbe pronta ad attaccare oltre l’Ucraina entro il 2030.

Prima di tutto: si noti l’evidente contraddizione di questa affermazione. Lei sostiene la necessità di misure d’emergenza per salvare l’Ucraina perché la Russia potrebbe presto conquistare Kiev e spingersi fino al “confine della NATO”. Quindi, si capisce che la Russia al confine della NATO è una minaccia esistenziale da evitare a tutti i costi… giusto?

Allora chiedetemi: come è possibile spingere contemporaneamente per l’adesione dell’Ucraina alla NATO come soluzione, che metterebbe il confine della NATO proprio contro la Russia, o piuttosto le forze russe “proprio sul confine della NATO”. Qual è la differenza? Un ucraino intelligente noterebbe il razzismo sottilmente radicato in questo caso: I portavoce della NATO sembrano essere d’accordo con gli ucraini, carne da cannone sacrificabile, come “scudi di frontiera” impilati alle estremità delle canne dei carri armati russi. Ma i paesi “a misura di NATO”, molto più preziosi, situati più a ovest, sono troppo “preziosi” per rischiare di condividere un confine con la Russia.

Vedete come funziona questa logica?

La cosa importante, però, è che gli scrittori di narrativa occidentale si sono ormai liberati di tutte le ultime vestigia di finzione. Ovunque si guardi, le figure di spicco evocano apertamente una totale sconfitta ucraina, non uno “stallo”. Anche l’ucraino Budanov ha recentemente attirato il fuoco ammettendo che l’Ucraina rischia un collasso “esistenziale” se i negoziati non saranno portati avanti nei prossimi sei mesi, come ho scritto nell’ultimo rapporto.

Ma nonostante abbia tentato di minimizzare o di liquidare la questione, l’outlet ucraino Strana riferisce ora che l’SBU ha aperto un procedimento penale per la diffusione dei commenti di Budanov ai media, il che li convalida indirettamente.

Non l’avrebbero fatto se la rivelazione “altamente sensibile” di Budanov non fosse reale, vero?

Sempre rimanendo in tema, anche l’ex portavoce di Zelensky, Iulia Mendel, ha scritto un articolo per il Time, chiedendo un cessate il fuoco immediato sulla base del fatto che la guerra sta “prosciugando [la società ucraina] fino al midollo“:

Apre descrivendo un Paese il cui spirito è spento, con la gente che fugge, le imprese che chiudono, in mezzo a una campagna militare apparentemente senza scopo contro “un nemico che non può essere superato dalla sola forza militare. Gli alleati occidentali sono stati generosi, ma anche il loro fermo sostegno non può garantire il futuro che tanto desideriamo. Una vittoria con i soli mezzi militari, per quanto stimolante, potrebbe non essere più raggiungibile. A quale costo, dobbiamo chiederci, si arriva alla nostra lotta continua?”.

Mentre l’Ucraina si aggrappa agli sbiaditi barlumi delle “speranze” della NATO, la nazione si sta perdendo, dice, con l’unica prospettiva realistica di un’ulteriore conquista di territorio da parte dell’implacabile macchina militare russa, e di altre vite perse inutilmente.

Sono tutti echi stanchi della stessa ripetizione che abbiamo sentito fino alla nausea. Ma il suo appello si differenzia per il fatto che l’urgenza ha raggiunto un tale punto di non ritorno che lei sostiene apertamente qualsiasi cessate il fuoco, anche uno “imperfetto” che non favorisca in alcun modo l’Ucraina. In modo estenuante, sostiene che i precedenti punti di trattativa non hanno più importanza – l’Ucraina ha semplicemente bisogno di una pausa a tutti i costi, o la nazione morirà. Lo dice chiaramente:

Forse un cessate il fuoco imperfetto, che potrebbe non soddisfare tutte le nostre richieste di giustizia, è un passo necessario. Questo non è un appello al compiacimento; è un appello alla sopravvivenza.

Ancora una volta, abbiamo questa parola: sopravvivenza, esistenziale, collasso, perdita della nazione. Le figure ai vertici hanno finalmente compreso la natura estremamente terribile del momento. Non le importa nemmeno che un tale cessate il fuoco concederebbe alla Russia il tempo di rafforzare le proprie forze: è tale la natura critica dei problemi dell’Ucraina che invoca un disperato respiro anche se questo ne concede uno alla Russia.

Queste sono le ultime agonia di una nazione in preda alla disperazione.

Il suo ultimo straziante appello si scontra con decine di sfacciati ultimatum dell’establishment occidentale e con gli appelli a armare l’Ucraina in continuazione, come si vede settimanalmente in ritagli di tempo dell’establishment come Foreign Affairs, Economist, Atlantic e simili:

Perseguire un cessate il fuoco non è da deboli. La guerra ci ha insegnato il pericolo delle risposte semplici e delle narrazioni rosee. Dobbiamo essere pragmatici, per il bene delle generazioni future che sopporteranno le conseguenze delle scelte di oggi. Questo non è un appello alla resa, ma a una strategia che riconosca sia la nostra forza che i nostri limiti. L’Ucraina merita un futuro che vada oltre la guerra infinita. L’ingenuità oggi non è cercare una tregua, ma credere che una guerra di logoramento senza fine, idealizzata su TikTok e Twitter, possa in qualche modo portare alla vittoria.

Recuperare i nostri territori è un obiettivo condiviso. Tuttavia, dopo la controffensiva del 2023, abbiamo affrontato una dura verità: l’Ucraina potrebbe non avere una possibilità realistica di riprendere immediatamente tutte le aree occupate. Le recenti sconfitte sottolineano che nessun sostegno da parte dei social media potrà spostare la realtà militare.

La controversa deputata della Rada Mariana Bezuglaya, invece, ha fatto leva sul nuovo assolutismo affermando che l’Ucraina si trova ora di fronte a due sole scelte: continuare a combattere o crollare completamente:

ii.

Le élite di potere europee hanno intensificato la loro retorica di guerra alla luce delle conclusioni raggiunte in precedenza: l’inevitabilità della capitolazione totale dell’Ucraina le ha lasciate alla ricerca di modi per continuare la guerra contro la Russia. L’Europa non solo è al limite della debolezza, ma le linee di tendenza indicano che tutte le possibilità di inversione sono evaporate da tempo, il che significa che se la Russia vincerà in Ucraina, diventerà la potenza europea dominante per generazioni, se non per sempre; e non solo dominante in misura marginale, ma nel modo in cui una “superpotenza” eclissa completamente i suoi subordinati, come gli Stati Uniti hanno fatto per decenni con i loro vassalli europei.

Per questo motivo, le élite europee hanno rapidamente messo insieme una schiera dei più apertamente bellicosi e malleabili tra gli apparatchiks, quelli per i quali i kompromat esistono a vagonate. Come Kaja Kallas, per esempio, che ora viene preparata come futura sostituta di Ursula von der Leyen come autarca del morente impero fascista dell’UE.

Qui si gela per una sconfitta russa che balcanizzerebbe il Paese in molte nazioni sottomesse:

Qui alimenta la paura facendo eco alle parole del Reichsmarschall della NATO Mark Rutte, secondo cui la Russia sta producendo in tre mesi più di quanto i Paesi della NATO possano fare in un anno:

Ora la pressione è alta perché i paesi della NATO aumentino notevolmente le loro spese militari. I Paesi baltici e quelli limitrofi, in particolare, starebbero procedendo a spese folli con l’unico intento di intrappolare le flotte russe in futuro:

I Paesi baltici stanno acquistando moderni missili antinave e minacciano di bloccare la Marina russa nel Mar Baltico.

Nel 2019, la Finlandia ha ricevuto i missili antinave israeliani Gabriel V con una gittata da 200 a 400 km a seconda del profilo di volo.

Nel 2021 l’Estonia ha acquistato la versione israelo-singaporeana Blue Spear, con una gittata massima di 290 km.

Nel 2023, la Lettonia ha annunciato l’intenzione di ricevere missili d’attacco navali norvegesi-americani con una gittata di 185 km.

Nel 2024, la Svezia ha approvato l’acquisto di nuovi missili nazionali RBS-15 Mk 3 con una gittata fino a 200 km.

I sogni dei comandanti navali baltici sono ambiziosi, ma l’uso reale di queste armi è possibile alle soglie dell’apocalisse.

Il commissario europeo alla Difesa Andrius Kubilius ha infatti avvertito che l’UE deve prepararsi alla guerra contro la Russia entro cinque anni esatti:

L’aspetto più interessante è che ammette apertamente che l’unico scopo rimanente della continuazione della guerra ucraina è quello di dare all’Europa il tempo di prepararsi alla guerra contro la Russia:

“Ogni giorno che l’Ucraina continua a combattere è un giorno che permetterà all’UE e alla NATO di rafforzarsi”, ha detto, invitando tutti i Paesi europei a “prepararsi alla guerra entro cinque anni”.

Fortunatamente, non tutti sono d’accordo. Il ministro della Difesa tedesco Pistorius ha sorpreso con questa dichiarazione di sfida:

Il ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius si è espresso contro la proposta del presidente americano Donald Trump di aumentare le spese per la difesa al 5% del PIL del Paese, osservando che si tratta di una cifra troppo alta per la Germania.

“Il 5% del nostro PIL corrisponderebbe al 42% del bilancio federale – cioè quasi un euro su due che il governo tedesco spende, ovvero 230 miliardi di euro. Non potremmo permettercelo e non potremmo spendere tutti quei soldi” ha dichiarato Pistorius in un’intervista al quotidiano Tagesspiegel.

Un generale britannico ha minacciato che la Russia vedrà una seria rinascita del suo potere dopo aver sconfitto l’Ucraina:

Il comandante dell’esercito britannico, il tenente generale Mike Elwiss, ha dichiarato che “quando le armi in Ucraina saranno messe a tacere, allora ci sarà una rinascita e una restaurazione della Russia. Sarà una corsa al riorientamento e al ripristino dei deterrenti convenzionali in un’epoca di confronto strategico”.

Un analista russo aggiunge il suo plausibile commento:

Con “mettere a tacere le armi” non si intende la sconfitta dell’Ucraina, ma in realtà una tregua di 2-3 anni, che sarà interrotta da un attacco dei paesi della NATO alla Russia. Se saremo pronti a respingere un attacco è una grande domanda.
Zelensky, in un’intervista rilasciata ieri a Bloomberg, ha affermato la necessità di dispiegare 200.000 militari della NATO (“peacekeepers”) nel caso in cui vengano firmati accordi di pace con Mosca.

Il commissario europeo alla Difesa Andrius Kubilius ha dichiarato alla conferenza annuale dell’Agenzia europea per la Difesa a Bruxelles: “L’Unione Europea dovrebbe contribuire a prolungare il conflitto in Ucraina per contenere la Russia e prepararsi alla guerra nei prossimi 5 anni”. Ogni giorno di guerra in Ucraina è un giorno guadagnato per addestrare gli eserciti europei alla guerra contro la Russia”: “Ogni missile, ogni UAV abbattuto dall’Ucraina è un giorno che non minaccerà la NATO. Ogni giorno, finché l’Ucraina continua a combattere, è un giorno in cui l’Unione Europea e la NATO possono diventare più forti”, ha detto Kubilius.

Il livello pericolosamente istrionico raggiunto dalla retorica dell’UE deve essere semplicemente visto per essere creduto. Il famigerato deputato ucraino della Rada Goncharenko ha fatto saltare il tetto dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (PACE) con una filippica incredibilmente omicida. Prestate attenzione alla parte più importante, che tale retorica è messa in scena e apertamente consentita – implicitamente invitata e incoraggiata dagli euro-tecnocrati assetati di guerra con la Russia:

Questo sproloquio assume una sfumatura particolarmente seria alla luce della recente affermazione di Tucker Carlson secondo cui Biden e l’Ucraina avrebbero effettivamente tentato di far assassinare Putin. L’affermazione è stata presa talmente sul serio dai legislatori russi che il presidente della Duma di Stato russa Vyacheslav Volodin ha chiesto un’indagine ufficiale e che Biden e Blinken siano “consegnati alla giustizia”:

È bene ribadire che questo livello di retorica non si vedeva nemmeno ai vertici della Guerra Fredda, dove esisteva una certa rettitudine professionale tra gli avversari. Ciò non fa che evidenziare il totale nichilismo a cui sono sprofondati gli attuali regimi vigliacchi dell’Occidente e i loro decadenti leader-giullari, emblematico di un percorso davvero terminale.

Dove sono dirette le cose, vi chiederete? L’ultimo articolo di Foreign Affairs ci dà un indizio:

L’articolo inizia con una dichiarazione audace:

“La Pax America è finita” .

Il documento prosegue spiegando che la “Pax Americana” ha piantato i semi della propria distruzione nell’era successiva alla Guerra Fredda. Il succo generale è riassunto come segue:

L’ordine internazionale statunitense è “morto”, Trump pronto a fare concessioni a Putin e Xi sull’Ucraina – Foreign Affairs

▪️Il neoeletto Presidente degli Stati Uniti Trump cerca di tornare alla politica di potenza e alle sfere di interesse del XIX secolo, dove le grandi potenze dominavano senza tenere conto degli interessi dei Paesi più piccoli.

▪️Gli Stati Uniti stanno attualmente cercando di ridurre il numero di alleanze perché ritengono che stiano danneggiando il Tesoro e l’economia degli Stati Uniti.

L’articolo evoca sia il Destino Manifesto che la Dottrina Monroe, anticipando un mondo in cui l’America è privata del suo grande “dovere” di essere la mente del mondo. A riprova della prevalenza di questo concetto nell’amministrazione Trump, il neo-segretario di Stato Marco Rubio ha appena espresso lo stesso concetto in una nuova intervista. Ascoltate attentamente al minuto 1:10, quando rivela apertamente qualcosa di sorprendentemente nuovo per il tessuto politico americano, affermando che il modello mondiale unipolare è un’anomalia e che lo stato naturale del mondo è un multipolarismo equilibrato, al quale il mondo sta ora tornando:

Questo significa che l’amministrazione Trump potrebbe effettivamente rispettare gli interessi nazionali della Russia nel ritagliare una nuova architettura di sicurezza globale, che codifichi specificamente questa realtà globale recentemente riconosciuta? Trump sta certamente agendo in questo senso, tagliando fuori l’Europa e segnalando che gli Stati Uniti non si limiteranno più ad allineare i loro interessi in modo approssimativo, ma piuttosto valuteranno ogni esigenza geopolitica in base al proprio merito.

Una simile mossa stimolerà ulteriori fratture e oscillazioni verso l’indipendenza nella stessa Europa. Un esempio recente: Trump ha recentemente irritato la Commissione UE scavalcando Ursula von der Leyen e il suo staff non eletto per trattare direttamente con i leader nazionali europei.

Questo ha terrorizzato i tiranni fascisti dell’UE, perché minaccia di inviare il messaggio che sono del tutto superflui ed estranei, mandando in frantumi il mito che i burocrati fraudolenti dell’UE hanno cercato disperatamente di mantenere per decenni.

Ora, in mezzo a questo rimescolamento, i Paesi europei hanno iniziato a testare lentamente le acque della sfida, forse in qualche piccola parte ritrovando il loro coraggio. Come apparentemente per ripagare la recente aggressione di Trump nei confronti della Groenlandia, la Danimarca ha annunciato il permesso a Gazprom di effettuare lavori di riparazione sul gasdotto Nord Stream. E improvvisamente l’UE ha iniziato a discutere il ritorno agli acquisti di gas russo come parte di un potenziale accordo sulla guerra in Ucraina:

Dopo l’autorizzazione della Danimarca a riparare il gasdotto Nord Stream, l’UE discute ora il ripristino degli acquisti di gas russo – Financial Times

L’UE discute la ripresa degli acquisti di gas russo e la rimozione di alcune sanzioni come forma di accordo di pace con il Cremlino.

Sembra che la guerra in Ucraina si stia avvicinando alla fine e che sullo sfondo si stiano svolgendo seri negoziati.

Il mondo si sta riordinando attorno ai nuovi assi delle grandi potenze. Gli staterelli europei oscilleranno come piccoli fiocchi ferromagnetici, gravitando verso un polo o l’altro. Ma alla fine, il nuovo mondo incipiente sarà scolpito tra Stati Uniti, Russia e Cina: l’Europa, nella sua vile sottomissione, ha perso la possibilità di avere ancora voce in capitolo.

Un nuovo pezzo del NYT dà un indizio di come ciò potrebbe accadere, collegando la possibilità al critico New Start trattato di riduzione degli armamenti nucleari che scade quasi esattamente tra un anno.

Una simile pietra miliare della sicurezza e della stabilità globale potrebbe servire come base perfetta per un nuovo quadro generale tra Stati Uniti e Russia, che potrebbe coinvolgere l’Ucraina come una sorta di pilastro quasi secondario della più ampia architettura della stabilità continentale. È proprio questo il tipo di momento storico di “grande idea” che potrebbe invogliare sia Putin che Trump a incarnare una conferenza seminale simile a quella di Yalta, adatta alle loro posizioni preminenti, per un mondo appena rimodellato.

Ma per ora, naturalmente, la guerra deve continuare finché Trump non acquisirà la realtà fondamentale di dove sono dirette le cose: solo allora avremo i primi veri segnali di come la sua strategia per porre fine alla guerra si configurerà effettivamente di fronte a una Russia inaspettatamente ignara delle sue spacconate. Ci sono alcuni segnali di speranza, come l’improvvisa spinta di Kellogg o Zelensky a indire le elezioni:

E’ arrivato anche un po’ di rimprovero:

“La maggior parte delle nazioni democratiche hanno elezioni in tempo di guerra. Credo sia importante che lo facciano”, ha detto Kellogg. “Penso che sia un bene per la democrazia. Questo è il bello di una democrazia solida, hai più di una persona potenzialmente in corsa”.

Questo potrebbe essere il segnale di un cambiamento di rotta sull’Ucraina, soprattutto alla luce dell’altra nuova intervista di Kellogg in cui ha lasciato intendere che Trump applicherà sia la “pressione” che la “leva” sulla Russia e sull’Ucraina, il che significa la rovina dell’Ucraina, non della Russia. La Russia è in grado di gestire qualsiasi pressione economica, ma la minima pressione sull’Ucraina potrebbe far crollare il Paese a questo punto, dato che l’Ucraina dipende totalmente dagli aiuti occidentali di ogni tipo. Se questo è davvero un segno del cambiamento di posizione di Trump, si tratterebbe di una prospettiva negativa per l’Ucraina, che potrebbe portare i carri armati russi a percorrere le strade di Kiev, come riportato nell’articolo di Hill.


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