Italia e il mondo

Il grande discorso di Putin a Valdai (2 ottobre 2025)

Il grande discorso di Putin a Valdai

“Non possono credere quando dicono che la Russia sta per attaccare la NATO. È semplicemente impossibile crederci. Eppure lo stanno facendo credere al loro stesso popolo”.

Mike Hampton

03 ottobre 2025

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Mike Hampton

03 ottobre 2025

22° incontro annuale del Valdai International Discussion Club. 140 partecipanti da 42 Paesi.

Permettetemi di offrire il mio punto di vista su ciò che sta accadendo nel mondo, sul ruolo del nostro Paese in esso e su come vediamo le sue prospettive di sviluppo.

Il Valdai International Discussion Club si è infatti riunito per la 22a edizione del convegno.nde questi incontri sono diventati più di una buona tradizione. Le discussioni sulle piattaforme Valdai offrono un’opportunità unica di valutare la situazione globale in modo imparziale e completo, di rivelare i cambiamenti e di comprenderli.

“La forza sta nella determinazione e nella capacità dei suoi partecipanti di guardare oltre il banale e l’ovvio”.

Senza dubbio, la forza unica del Club risiede nella determinazione e nella capacità dei suoi partecipanti di guardare oltre il banale e l’ovvio. Non si limitano a seguire l’agenda imposta dallo spazio informativo globale, dove Internet dà il suo contributo – sia buono che cattivo, spesso difficile da distinguere – ma pongono le loro domande non convenzionali, offrono la loro visione dei processi in corso, cercando di sollevare il velo che nasconde il futuro. Non è un compito facile, ma spesso viene raggiunto qui a Valdai.

Abbiamo notato più volte che stiamo vivendo in un’epoca in cui tutto sta cambiando, e molto rapidamente; direi addirittura in modo radicale. Naturalmente, nessuno di noi può prevedere completamente il futuro. Tuttavia, questo non ci esime dalla responsabilità di essere preparati ad affrontarlo. Come il tempo e gli eventi recenti hanno dimostrato, dobbiamo essere pronti a tutto. In questi periodi storici, ognuno ha una responsabilità speciale per il proprio destino, per il destino del proprio Paese e per il mondo intero. La posta in gioco oggi è estremamente alta.

Come è stato detto, la relazione del Valdai Club di quest’anno è dedicata a un mondo multipolare e policentrico. Il tema è da tempo all’ordine del giorno, ma ora richiede un’attenzione particolare; su questo punto sono pienamente d’accordo con gli organizzatori. Il multipolarismo, che di fatto è già emerso, sta plasmando il quadro in cui agiscono gli Stati. Vorrei provare a spiegare cosa rende unica la situazione attuale.

In primo luogo, il mondo di oggi offre uno spazio molto più aperto – anzi, si potrebbe dire creativo – per la politica estera. Nulla è predeterminato; gli sviluppi possono prendere direzioni diverse. Molto dipende dalla precisione, dall’accuratezza, dalla coerenza e dalla ponderatezza delle azioni di ciascun partecipante alla comunicazione internazionale. Tuttavia, in questo vasto spazio è anche facile perdersi e perdere l’orientamento, cosa che, come possiamo vedere, accade molto spesso.

In secondo luogo, lo spazio multipolare è altamente dinamico. Come ho detto, i cambiamenti avvengono rapidamente, a volte all’improvviso, quasi da un giorno all’altro. È difficile prepararsi e spesso è impossibile prevederli. Bisogna essere pronti a reagire immediatamente, in tempo reale, come si dice.

In terzo luogo, e di particolare importanza, è il fatto che questo nuovo spazio è più democratico. Apre opportunità e percorsi per un’ampia gamma di attori politici ed economici. Forse mai prima d’ora così tanti Paesi hanno avuto la capacità o l’ambizione di influenzare i processi regionali e globali più significativi.

“Nessuno è disposto a giocare secondo le regole stabilite da qualcun altro, in qualche luogo lontano…”.

Avanti. Le specificità culturali, storiche e civili dei diversi Paesi giocano oggi un ruolo più importante che mai. È necessario cercare punti di contatto e di convergenza di interessi. Nessuno è disposto a giocare secondo le regole stabilite da qualcun altro, da qualche parte lontano – come cantava un chansonnier molto noto nel nostro Paese, “al di là delle nebbie”, o al di là degli oceani, per così dire.

A questo proposito, il quinto punto: qualsiasi decisione è possibile solo sulla base di accordi che soddisfino tutte le parti interessate o la stragrande maggioranza. In caso contrario, non ci sarà alcuna soluzione praticabile, ma solo frasi altisonanti e un infruttuoso gioco di ambizioni. Quindi, per ottenere risultati, l’armonia e l’equilibrio sono essenziali.

Infine, le opportunità e i pericoli di un mondo multipolare sono inseparabili l’uno dall’altro. Naturalmente, l’indebolimento del dettato che ha caratterizzato il periodo precedente e l’espansione della libertà per tutti è innegabilmente uno sviluppo positivo. Allo stesso tempo, in queste condizioni, è molto più difficile trovare e stabilire questo solidissimo equilibrio, che di per sé rappresenta un rischio evidente ed estremo.

La situazione del pianeta, che ho cercato di delineare brevemente, è un fenomeno qualitativamente nuovo. Le relazioni internazionali stanno subendo una trasformazione radicale. Paradossalmente, il multipolarismo è diventato una conseguenza diretta dei tentativi di stabilire e preservare l’egemonia globale, una risposta del sistema internazionale e della storia stessa al desiderio ossessivo di organizzare tutti in un’unica gerarchia, con i Paesi occidentali al vertice. Il fallimento di un simile tentativo era solo questione di tempo, cosa di cui abbiamo sempre parlato, tra l’altro. E per gli standard storici, è avvenuto abbastanza rapidamente.

Trentacinque anni fa, quando il confronto della guerra fredda sembrava terminare, speravamo nell’alba di un’era di autentica cooperazione. Sembrava che non ci fossero più ostacoli ideologici o di altro tipo che potessero impedire la risoluzione congiunta dei problemi comuni all’umanità o la regolazione e la risoluzione delle inevitabili controversie e dei conflitti sulla base del rispetto reciproco e della considerazione degli interessi di ciascuno.

“Il nostro Paese… ha dichiarato due volte di essere pronto ad aderire alla NATO”.

Permettetemi una breve digressione storica. Il nostro Paese, cercando di eliminare i motivi di scontro tra blocchi e di creare uno spazio comune di sicurezza, ha dichiarato per ben due volte la propria disponibilità ad aderire alla NATO. Inizialmente nel 1954, durante l’era sovietica. La seconda volta è stata durante la visita del Presidente degli Stati Uniti Bill Clinton a Mosca nel 2000 – ne ho già parlato – quando abbiamo discusso con lui anche di questo argomento.

In entrambe le occasioni, abbiamo ricevuto un netto rifiuto. Lo ripeto: eravamo pronti a un lavoro comune, a passi non lineari nella sfera della sicurezza e della stabilità globale. Ma i nostri colleghi occidentali non erano disposti a liberarsi dalle catene degli stereotipi geopolitici e storici, da una visione semplificata e schematica del mondo.

Ne ho parlato pubblicamente anche quando ne ho discusso con il signor Clinton, con il Presidente Clinton. Lui ha detto: “Sai, è interessante. Penso che sia possibile”. E poi la sera ha detto: “Mi sono consultato con i miei collaboratori: non è fattibile, non è fattibile adesso”. “Quando sarà fattibile?”. E così è stato, tutto è scivolato via.

In breve, avevamo una vera e propria possibilità di spostare le relazioni internazionali in una direzione diversa e più positiva. Ma, ahimè, ha prevalso un approccio diverso. I Paesi occidentali hanno ceduto alla tentazione del potere assoluto. Si trattava di una tentazione potente, e resistere ad essa avrebbe richiesto una visione storica e un buon background, intellettuale e storico. Sembra che coloro che presero le decisioni all’epoca non avessero entrambe le cose.

“Non c’è mai stata, né mai ci sarà, una forza capace di governare il mondo”.

In effetti, la potenza degli Stati Uniti e dei suoi alleati ha raggiunto il suo apice alla fine degli anni ’20, quando il governo americano ha deciso di non fare più nulla.thsecolo. Ma non c’è mai stata, né mai ci sarà, una forza capace di governare il mondo, di imporre a tutti come agire, come vivere, persino come respirare. Tentativi del genere sono stati fatti, ma tutti sono falliti.

Tuttavia, dobbiamo riconoscere che molti hanno trovato il cosiddetto ordine mondiale liberale accettabile e persino conveniente. È vero, una gerarchia limita fortemente le opportunità per chi non è in cima alla piramide o, se preferite, in cima alla catena alimentare. Ma chi si trovava in basso era sollevato dalle responsabilità: le regole erano semplici: accettare le condizioni, inserirsi nel sistema, ricevere la propria parte, per quanto modesta, e accontentarsi. Altri avrebbero pensato e deciso per te.

E a prescindere da ciò che si dice ora, da come si cerca di mascherare la realtà, le cose sono andate così. Gli esperti qui riuniti lo ricordano e lo capiscono perfettamente.

Alcuni, nella loro arroganza, si consideravano autorizzati a dare lezioni al resto del mondo. Altri si accontentavano di stare al gioco dei potenti come obbedienti merce di scambio, desiderosi di evitare problemi inutili in cambio di un bonus modesto ma garantito. Ci sono ancora molti politici di questo tipo nella vecchia parte del mondo, in Europa.

Coloro che hanno osato opporsi e hanno cercato di difendere i propri interessi, diritti e punti di vista, nel migliore dei casi sono stati liquidati come eccentrici e gli è stato detto, in effetti: “Non avrete successo, quindi arrendetevi e accettate il fatto che, rispetto al nostro potere, siete una nullità”. Quanto ai veri testardi, venivano “educati” dagli autoproclamati leader globali, che non si preoccupavano più di nascondere le loro intenzioni. Il messaggio era chiaro: la resistenza era inutile.

Ma questo non ha portato nulla di buono. Non è stato risolto un solo problema globale. Al contrario, se ne moltiplicano continuamente di nuovi. Le istituzioni di governance globale create in un’epoca precedente hanno smesso di funzionare o hanno perso gran parte della loro efficacia. E per quanto uno Stato, o addirittura un gruppo di Stati, possa accumulare forza e risorse, il potere ha sempre dei limiti.

“Non c’è niente di meglio di un piede di porco, se non un altro piede di porco…”.

Come il pubblico russo sa, in Russia esiste un detto: “Non c’è niente di meglio di un piede di porco, se non un altro piede di porco”, cioè non si porta un coltello in uno scontro a fuoco, ma un’altra pistola. E in effetti, quell'”altra pistola” si può sempre trovare. Questa è l’essenza stessa degli affari mondiali: emerge sempre una controforza. E i tentativi di controllare tutto generano inevitabilmente tensioni, minando la stabilità in patria e spingendo la gente comune a porre una domanda molto giusta ai propri governi: “Perché abbiamo bisogno di tutto questo?”.

Una volta ho sentito qualcosa di simile dai nostri colleghi americani, che hanno detto: “Abbiamo guadagnato il mondo intero, ma abbiamo perso l’America”. Posso solo chiedere: ne è valsa la pena? E avete davvero guadagnato qualcosa?

È emerso un chiaro rifiuto delle ambizioni eccessive dell’élite politica delle principali nazioni dell’Europa occidentale, che sta crescendo tra le società di quei Paesi. Il barometro dell’opinione pubblica lo indica in modo trasversale. L’establishment non vuole cedere il potere, osa ingannare direttamente i propri cittadini, inasprisce la situazione a livello internazionale, ricorre a ogni sorta di trucco all’interno dei propri Paesi – sempre più ai margini della legge o addirittura al di là di essa.

Tuttavia, trasformare continuamente le procedure democratiche ed elettorali in una farsa e manipolare la volontà dei popoli non funzionerà. Come è successo in Romania, per esempio, ma non entriamo nei dettagli. Questo sta accadendo in molti Paesi. In alcuni di essi, le autorità stanno cercando di mettere al bando i loro avversari politici che stanno ottenendo una maggiore legittimità e una maggiore fiducia da parte degli elettori. Lo sappiamo dalla nostra esperienza nell’Unione Sovietica. Ricordate le canzoni di Vladimir Vysotsky: “Anche la parata militare è stata cancellata! Presto metteranno al bando tutto e tutti!”. Ma non funziona, i divieti non funzionano.

Nel frattempo, la volontà del popolo, la volontà dei cittadini di quei Paesi è chiara e semplice: lasciare che i leader dei Paesi si occupino dei problemi dei cittadini, si occupino della loro sicurezza e della qualità della vita, e non inseguano chimere. Gli Stati Uniti, dove le richieste dei cittadini hanno portato a un cambiamento sufficientemente radicale del vettore politico, sono un caso emblematico. E possiamo dire che gli esempi sono noti per essere contagiosi per altri Paesi.

La subordinazione della maggioranza alla minoranza, insita nelle relazioni internazionali durante il periodo di dominazione occidentale, sta lasciando il posto a un approccio multilaterale e più cooperativo. Si basa su accordi tra i protagonisti e sulla considerazione degli interessi di tutti. Questo non garantisce certo l’armonia e l’assenza assoluta di conflitti. Gli interessi dei Paesi non si sovrappongono mai completamente e l’intera storia delle relazioni internazionali è, ovviamente, una lotta per raggiungerli.

Tuttavia, l’atmosfera globale fondamentalmente nuova, in cui il tono è sempre più imposto dai Paesi della Maggioranza Globale, promette che tutti gli attori dovranno in qualche modo tenere conto degli interessi reciproci quando cercano soluzioni alle questioni regionali e globali. Dopo tutto, nessuno può raggiungere i propri obiettivi da solo, isolandosi dagli altri. Nonostante l’escalation dei conflitti, la crisi del precedente modello di globalizzazione e la frammentazione dell’economia globale, il mondo rimane integro, interconnesso e interdipendente.

Lo sappiamo per esperienza diretta. Sapete quanti sforzi hanno fatto i nostri avversari negli ultimi anni per, diciamolo chiaramente, spingere la Russia fuori dal sistema globale e portarci all’isolamento politico, culturale, informativo e all’autarchia economica. Per numero e portata delle misure punitive che ci sono state imposte, e che loro chiamano vergognosamente “sanzioni”, la Russia è diventata il detentore del record assoluto nella storia del mondo: 30.000, o forse più, restrizioni di ogni tipo immaginabile.

E allora? Hanno raggiunto il loro obiettivo? Credo sia superfluo dirlo per tutti i presenti: questi sforzi sono completamente falliti. La Russia ha dimostrato al mondo il più alto grado di resilienza, la capacità di resistere alle più potenti pressioni esterne che avrebbero potuto spezzare non solo un Paese ma un’intera coalizione di Stati.E a questo proposito, proviamo un legittimo orgoglio. Orgoglio per la Russia, per i nostri cittadini e per le nostre Forze Armate.

“Lo stesso sistema globale da cui volevano espellerci si rifiuta di lasciare andare la Russia”.

Ma vorrei parlare di qualcosa di più profondo. È emerso che lo stesso sistema globale da cui volevano espellerci si rifiuta di lasciare andare la Russia. Perché ha bisogno della Russia come parte essenziale dell’equilibrio globale: non solo per il nostro territorio, la nostra popolazione, la nostra difesa, il nostro potenziale tecnologico e industriale o la nostra ricchezza mineraria – anche se, ovviamente, tutti questi sono fattori di importanza critica.

Ma soprattutto, l’equilibrio globale non può essere costruito senza la Russia: né quello economico, né quello strategico, né quello culturale o logistico. Non c’è proprio nulla. Credo che coloro che hanno cercato di distruggere tutto questo abbiano cominciato a rendersene conto. Alcuni, tuttavia, cercano ancora ostinatamente di raggiungere il loro obiettivo: infliggere alla Russia, come dicono, una “sconfitta strategica”.

Se non riescono a capire che questo piano è destinato a fallire e persistono, spero che la vita stessa dia una lezione anche ai più ostinati. Hanno fatto molto rumore molte volte, minacciandoci di un blocco totale. Hanno persino detto apertamente, senza esitazione, che vogliono far soffrire il popolo russo. Questa è la parola che hanno scelto. Hanno elaborato piani, uno più fantasioso dell’altro. Credo che sia giunto il momento di calmarsi, di guardarsi intorno, di orientarsi e di iniziare a costruire relazioni in modo completamente diverso.

Siamo anche consapevoli che il mondo policentrico è altamente dinamico. Appare fragile e instabile perché è impossibile fissare in modo permanente lo stato delle cose o determinare l’equilibrio di potere a lungo termine. Dopo tutto, i partecipanti a questi processi sono molti e le loro forze sono asimmetriche e complesse. Ognuno ha i suoi aspetti vantaggiosi e i suoi punti di forza competitivi, che in ogni caso creano una combinazione e una composizione unica.

Il mondo di oggi è un sistema eccezionalmente complesso e sfaccettato. Per descriverlo e comprenderlo adeguatamente, le semplici leggi della logica, le relazioni di causa-effetto e i modelli che ne derivano sono insufficienti. È necessaria una filosofia della complessità, qualcosa di simile alla meccanica quantistica, che è più saggia e, per certi versi, più complessa della fisica classica.

Eppure è proprio a causa di questa complessità del mondo che la capacità complessiva di accordo, a mio avviso, tende comunque ad aumentare. Dopo tutto, le soluzioni unilaterali lineari sono impossibili, mentre le soluzioni non lineari e multilaterali richiedono una diplomazia molto seria, professionale, imparziale, creativa e a volte non convenzionale.

“Sono convinto che assisteremo… a una rinascita dell’alta arte diplomatica”.

Sono quindi convinto che assisteremo a una sorta di rinascimento, una rinascita dell’alta arte diplomatica. La sua essenza risiede nella capacità di dialogare e raggiungere accordi, sia con i vicini e i partner affini, sia – cosa non meno importante ma più impegnativa – con gli avversari.

È proprio in questo spirito – lo spirito di 21stdiplomazia del secolo – che si stanno sviluppando nuove istituzioni. Queste includono la comunità dei BRICS, in espansione, le organizzazioni di grandi regioni come l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, le organizzazioni eurasiatiche e le associazioni regionali più compatte ma non meno importanti. Molti gruppi di questo tipo stanno emergendo in tutto il mondo: non li elencherò tutti, perché li conoscete già.

Tutte queste nuove strutture sono diverse, ma sono accomunate da una qualità fondamentale: non operano secondo il principio della gerarchia o della subordinazione a un unico potere dominante. Non sono contro nessuno, sono per se stessi. Lo ribadisco: il mondo moderno ha bisogno di accordi, non dell’imposizione della volontà di qualcuno. L’egemonia – di qualsiasi tipo – semplicemente non può e non vuole affrontare la portata delle sfide.

Il video e il doppiaggio del Guardian sono qui sotto.

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Il gigantesco discorso di Putin a Valdai (parte 2)

“Non possono credere quando dicono che la Russia sta per attaccare la NATO. È semplicemente impossibile crederci. Eppure lo stanno facendo credere al loro stesso popolo”.

Mike Hampton

03 ottobre 2025

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Leggi Parte 1 qui, oppure continuare con la parte 2 qui sotto…

Garantire la sicurezza internazionale in queste circostanze è una questione estremamente urgente che presenta molte variabili. Il numero crescente di attori con obiettivi, culture politiche e tradizioni diverse crea un ambiente globale complesso che rende lo sviluppo di approcci per garantire la sicurezza un compito molto più intricato e difficile da affrontare. Allo stesso tempo, si aprono nuove opportunità per tutti noi.

“[L’Europa] vuole superare le divisioni e puntellare la traballante unità di cui si vantava un tempo, non affrontando efficacemente le questioni interne, ma gonfiando l’immagine di un nemico”.

Le ambizioni di blocco pre-programmate per esacerbare il confronto sono diventate, senza dubbio, un anacronismo senza senso. Vediamo, ad esempio, con quanta diligenza i nostri vicini europei cercano di ricucire e intonacare le crepe che attraversano la costruzione europea. Eppure, vogliono superare le divisioni e puntellare la traballante unità di cui un tempo si vantavano, non affrontando efficacemente le questioni interne, ma gonfiando l’immagine di un nemico. È un vecchio trucco, ma il punto è che la gente di quei Paesi vede e capisce tutto. Ecco perché scendono in piazza nonostante l’escalation esterna e la continua ricerca di un nemico, come ho detto prima.

Stanno ricreando l’immagine di un vecchio nemico, quello che hanno creato secoli fa, ovvero la Russia. La maggior parte dei cittadini europei fatica a capire perché dovrebbero avere così tanta paura della Russia da dover stringere ancora di più la cinghia, abbandonare i propri interessi e perseguire politiche chiaramente dannose per se stessi. Eppure, le élite al potere dell’Europa unita continuano a fomentare l’isteria. Sostengono che la guerra con i russi è quasi alle porte. Ripetono questa assurdità, questo mantra, in continuazione.

Francamente, quando a volte osservo e ascolto ciò che dicono, penso che non possano assolutamente crederci. Non possono credere quando dicono che la Russia sta per attaccare la NATO. È semplicemente impossibile crederci. Eppure lo fanno credere al loro stesso popolo. Quindi, che tipo di persone sono?O sono del tutto incompetenti, se ci credono davvero, perché credere a una simile assurdità è semplicemente inconcepibile, o semplicemente disonesti, perché non ci credono loro stessi ma cercano di convincere i loro cittadini che è vero. Quali altre opzioni ci sono?

Francamente, sono tentato di dire: calmatevi, dormite tranquilli e occupatevi dei vostri problemi. Guardate cosa succede nelle strade delle città europee, cosa succede all’economia, all’industria, alla cultura e all’identità europea, ai debiti enormi e alla crescente crisi dei sistemi di sicurezza sociale, all’immigrazione incontrollata e alla violenza dilagante, anche politica, alla radicalizzazione di gruppi di sinistra, ultraliberali, razzisti e altri gruppi marginali.

Prendete nota di come l’Europa stia scivolando verso la periferia della competizione globale. Sappiamo benissimo quanto siano infondate le minacce sui cosiddetti piani aggressivi della Russia con cui l’Europa si spaventa. Ne ho appena parlato. Ma l’autosuggestione è una cosa pericolosa. E non possiamo ignorare ciò che sta accadendo; non abbiamo il diritto di farlo, per il bene della nostra sicurezza, per ribadire, per il bene della nostra difesa e sicurezza.

Ecco perché stiamo monitorando da vicino la crescente militarizzazione dell’Europa. È solo retorica o è arrivato il momento di rispondere? Abbiamo sentito, e anche lei ne è a conoscenza, che la Repubblica Federale Tedesca dice che il suo esercito deve tornare a essere il più forte d’Europa. Bene, ascoltiamo con attenzione e seguiamo tutto per capire cosa si intende esattamente.

Credo che nessuno abbia dubbi sul fatto che la risposta della Russia non tarderà ad arrivare. Per usare un eufemismo, la risposta a queste minacce sarà molto convincente. E sarà una risposta – noi stessi non abbiamo mai avviato un confronto militare. È insensato, inutile e semplicemente assurdo; distrae dai problemi e dalle sfide reali. Prima o poi, le società chiederanno inevitabilmente conto ai loro leader e alle loro élite di aver ignorato le loro speranze, aspirazioni e necessità.

“La nostra storia ha dimostrato che la debolezza è inaccettabile, perché crea tentazioni… La Russia non mostrerà mai debolezza o indecisione.

Tuttavia, se qualcuno è ancora tentato di sfidarci militarmente – come diciamo in Russia, la libertà è per i liberi – che ci provi. La Russia ha dimostrato più volte che quando si presentano minacce alla nostra sicurezza, alla pace e alla tranquillità dei nostri cittadini, alla nostra sovranità e alle fondamenta stesse del nostro Stato, rispondiamo prontamente.

Non c’è bisogno di provocare. Non c’è stato un solo caso in cui ciò sia finito bene per il provocatore. E non bisogna aspettarsi eccezioni in futuro: non ce ne saranno.

La nostra storia ha dimostrato che la debolezza è inaccettabile, perché crea la tentazione – l’illusione che si possa usare la forza per risolvere qualsiasi questione con noi. La Russia non mostrerà mai debolezza o indecisione. Che se lo ricordino coloro che si risentono del fatto stesso della nostra esistenza, coloro che coltivano il sogno di infliggerci questa cosiddetta sconfitta strategica. Tra l’altro, molti di coloro che hanno parlato attivamente di questo, come diciamo in Russia, “alcuni non sono più qui, altri sono lontani”. Dove sono ora queste figure?

Ci sono così tanti problemi oggettivi nel mondo – derivanti da fattori naturali, tecnologici o sociali – che spendere energie e risorse in contraddizioni artificiali, spesso inventate, è inammissibile, dispendioso e semplicemente sciocco.

La sicurezza internazionale è diventata un fenomeno talmente sfaccettato e indivisibile che nessuna divisione geopolitica basata sui valori può dividerlo. Solo un lavoro meticoloso e completo, che coinvolga diversi partner e che si basi su approcci creativi, può risolvere le complesse equazioni di 21st-sicurezza del secolo. In questo quadro, non ci sono elementi più o meno importanti o cruciali: tutto deve essere affrontato in modo olistico.

Il nostro Paese ha sempre sostenuto – e continua a sostenere – il principio della sicurezza indivisibile. L’ho detto molte volte: la sicurezza di alcuni non può essere garantita a spese di altri. Altrimenti, non c’è sicurezza per nessuno. L’affermazione di questo principio si è rivelata fallimentare. L’euforia e la sete incontrollata di potere di coloro che si consideravano vincitori dopo la Guerra Fredda – come ho ripetutamente affermato – hanno portato a tentare di imporre a tutti nozioni unilaterali e soggettive di sicurezza.

Questa, infatti, è diventata la vera causa scatenante non solo del conflitto ucraino, ma anche di molte altre crisi acute della fine del XX secolo.th secolo e il primo decennio del 21stsecolo. Di conseguenza – proprio come avevamo avvertito – oggi nessuno si sente veramente sicuro. È ora di tornare ai fondamentali e correggere gli errori del passato.

Tuttavia, la sicurezza indivisibile oggi, rispetto alla fine degli anni ’80 e all’inizio degli anni ’90, è un fenomeno ancora più complesso. Non si tratta più solo di equilibrio militare e politico e di considerazioni di interesse reciproco.

La sicurezza dell’umanità dipende dalla sua capacità di rispondere alle sfide poste da disastri naturali, catastrofi provocate dall’uomo, sviluppo tecnologico e rapidi processi sociali, demografici e informativi.

Tutto questo è interconnesso e i cambiamenti avvengono in gran parte da soli, spesso, l’ho già detto, in modo imprevedibile, seguendo la propria logica e le proprie regole interne, e a volte, oserei dire, anche al di là della volontà e delle aspettative della gente.

L’umanità rischia di diventare superflua in questa situazione, solo un osservatore di processi che non sarà mai in grado di controllare. Che cos’è questa se non una sfida a livello di sistema per tutti noi e un’opportunità per tutti noi di lavorare insieme in modo costruttivo?

Non ci sono risposte pronte, ma credo che la soluzione alle sfide globali richieda, in primo luogo, un approccio libero da pregiudizi ideologici e pathos didattico, del tipo “Ora vi dico cosa fare”. In secondo luogo, è importante capire che si tratta di una questione veramente comune e indivisibile che richiede sforzi congiunti da parte di tutti i Paesi e le nazioni.

Ogni cultura e civiltà deve dare il suo contributo perché, ripeto, nessuno conosce la risposta giusta separatamente. Essa può nascere solo attraverso una ricerca costruttiva comune, unendo – e non separando – gli sforzi e le esperienze nazionali dei vari Paesi.

Lo ripeto ancora una volta: i conflitti e le collisioni di interessi ci sono stati e, ovviamente, ci saranno sempre – la questione è come risolverli. Un mondo policentrico, come ho già detto oggi, è un ritorno alla diplomazia classica, quando la composizione richiede attenzione, rispetto reciproco ma non coercizione.

La diplomazia classica era in grado di tenere conto delle posizioni dei diversi attori internazionali, della complessità del “concerto” composto dalle voci delle diverse potenze. Tuttavia, a un certo punto è stata sostituita dalla diplomazia di tipo occidentale, fatta di monologhi, prediche infinite e ordini. Invece di risolvere i conflitti, alcune parti hanno iniziato a far valere i propri interessi egoistici, considerando gli interessi di tutti gli altri indegni di attenzione.

Non c’è da stupirsi se, invece di trovare una soluzione, i conflitti si sono ulteriormente inaspriti fino a passare a una sanguinosa fase armata che ha portato a un disastro umanitario. Agire in questo modo significa non riuscire a risolvere alcun conflitto. Gli esempi degli ultimi 30 anni sono innumerevoli.

“Il conflitto israelo-palestinese non può essere risolto seguendo la sbilenca diplomazia occidentale che ignora grossolanamente la storia… e la cultura dei popoli che vi abitano”.

Uno di questi è il conflitto palestinese-israeliano, che non può essere risolto seguendo le ricette della sbilenca diplomazia occidentale che ignora grossolanamente la storia, le tradizioni, l’identità e la cultura dei popoli che vi abitano. Né aiuta a stabilizzare la situazione del Medio Oriente in generale che, al contrario, si sta rapidamente degradando. Ora stiamo conoscendo più nel dettaglio le iniziative del Presidente Trump. Mi sembra che in questo caso possa ancora apparire una luce alla fine del tunnel.

Anche la tragedia dell’Ucraina è un esempio orribile. È un dolore per ucraini e russi, per tutti noi. Le ragioni del conflitto ucraino sono note a chiunque si sia preso la briga di approfondire i retroscena dell’attuale fase più acuta. Non le ripercorrerò. Sono certo che tutti i presenti sono ben consapevoli di queste ragioni e della mia posizione in merito, che ho espresso più volte.

Si sa bene anche un’altra cosa. Coloro che hanno incoraggiato, incitato e armato l’Ucraina, che l’hanno spinta ad inimicarsi la Russia, che per decenni hanno alimentato un nazionalismo dilagante e neonazismoin quel Paese, francamente – scusate la franchezza – non gliene frega niente degli interessi della Russia o, se è per questo, dell’Ucraina. Non provano nulla per il popolo ucraino. Per loro – globalisti ed espansionisti in Occidente e i loro tirapiedi a Kiev – sono materiale sacrificabile. I risultati di questo avventurismo sconsiderato sono sotto gli occhi di tutti e non c’è nulla da discutere.

Sorge un’altra domanda: sarebbe potuta andare diversamente? Lo sappiamo anche noi, e torno a ciò che ha detto una volta il presidente Trump. Ha detto che se fosse stato in carica all’epoca, tutto questo si sarebbe potuto evitare. Sono d’accordo. In effetti, si sarebbe potuto evitare se il nostro lavoro con l’amministrazione Biden fosse stato organizzato in modo diverso; se l’Ucraina non fosse stata trasformata in un’arma distruttiva nelle mani di qualcun altro; se la NATO non fosse stata usata a questo scopo mentre avanzava verso i nostri confini; e se l’Ucraina avesse infine conservato la sua indipendenza, la sua vera sovranità.

C’è un’altra domanda. Come si sarebbero dovute risolvere le questioni bilaterali russo-ucraine, risultato naturale della disgregazione di un vasto Paese e di complesse trasformazioni geopolitiche? Tra l’altro, credo che la dissoluzione dell’Unione Sovietica fosse legata alla posizione dell’allora leadership russa, che cercava di liberarsi dal confronto ideologico nella speranza che ora, scomparso il comunismo, saremmo stati fratelli. Non è seguito nulla di simile. Entrarono in gioco altri fattori, sotto forma di interessi geopolitici. Si scoprì che le differenze ideologiche non erano il vero problema.

Come risolvere questi problemi in un mondo policentrico? Come sarebbe stata affrontata la situazione in Ucraina? Penso che se ci fosse stato il multipolarismo, i diversi poli avrebbero provato il conflitto ucraino, per così dire, su misura. Lo avrebbero misurato con i loro potenziali focolai di tensione e fratture nelle proprie regioni. In questo caso, una soluzione collettiva sarebbe stata molto più responsabile ed equilibrata.

L’accordo si sarebbe basato sulla comprensione del fatto che tutti i partecipanti a questa difficile situazione hanno i propri interessi fondati su circostanze oggettive e soggettive che non possono essere ignorate. Il desiderio di tutti i Paesi di garantire sicurezza e progresso è legittimo. Senza dubbio, questo vale per l’Ucraina, la Russia e tutti i nostri vicini. I Paesi della regione dovrebbero avere la voce principale nella definizione di un sistema regionale. Hanno le maggiori possibilità di concordare un modello di interazione accettabile per tutti, perché la questione li riguarda direttamente. Rappresenta il loro interesse vitale.

Per altri Paesi, la situazione in Ucraina è solo una carta da giocare in un gioco diverso, molto più grande, un gioco tutto loro, che di solito ha poco a che fare con i problemi reali dei Paesi coinvolti, compreso questo in particolare. È solo una scusa e un mezzo per raggiungere i loro obiettivi geopolitici, per espandere la loro area di controllo e per fare soldi con la guerra. È per questo che hanno portato le infrastrutture della NATO proprio davanti alla nostra porta di casa, e per anni hanno guardato con aria di sufficienza alla tragedia del Donbass, e a quello che è stato essenzialmente un genocidio e uno sterminio del popolo russo nella nostra stessa terra storica, un processo iniziato nel 2014 sulla scia di un sanguinoso colpo di stato in Ucraina..

In contrasto con la condotta dimostrata dall’Europa e, fino a poco tempo fa, dagli Stati Uniti sotto la precedente amministrazione, ci sono le azioni dei Paesi appartenenti alla maggioranza globale. Essi rifiutano di schierarsi e si impegnano sinceramente per contribuire a stabilire una pace giusta. Siamo grati a tutti gli Stati che negli ultimi anni si sono sinceramente impegnati per trovare una via d’uscita alla situazione. Tra questi ci sono i nostri partner, i fondatori dei BRICS: Cina, India, Brasile e Sudafrica. Tra questi anche la Bielorussia e, per inciso, la Corea del Nord. Sono i nostri amici nel mondo arabo e islamico – soprattutto Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Egitto, Turchia e Iran. In Europa, questi includono la Serbia, l’Ungheria e la Slovacchia. E ci sono molti Paesi di questo tipo in Africa e in America Latina.

Purtroppo le ostilità non sono ancora cessate. Tuttavia, la responsabilità non è della maggioranza, che non è riuscita a fermarle, ma della minoranza, in primo luogo l’Europa, che continua a inasprire il conflitto e, a mio avviso, oggi non si intravede nemmeno un altro obiettivo. Tuttavia, credo che la buona volontà prevarrà e, a questo proposito, non c’è il minimo dubbio: credo che anche in Ucraina si stiano verificando dei cambiamenti, anche se gradualmente – lo vediamo. Per quanto le menti delle persone possano essere state manipolate, si stanno comunque verificando dei cambiamenti nella coscienza pubblica e nella stragrande maggioranza delle nazioni del mondo.

In effetti, il fenomeno della maggioranza globale è un nuovo sviluppo negli affari internazionali. Vorrei spendere qualche parola anche su questo tema. Qual è la sua essenza? La stragrande maggioranza degli Stati del mondo è orientata a perseguire i propri interessi civili, primo fra tutti il proprio sviluppo equilibrato e progressivo. Questo sembrerebbe naturale – è sempre stato così. Ma nelle epoche precedenti, la comprensione di questi stessi interessi è stata spesso distorta da ambizioni malsane, egoismi e dall’influenza dell’ideologia espansionistica.

Oggi la maggior parte dei Paesi e dei popoli – proprio questa maggioranza globale – riconosce i propri veri interessi. E aggiungo che, nel promuovere e sostenere i propri interessi, sono pronti a lavorare con i partner, trasformando così le relazioni internazionali, la diplomazia e l’integrazione in fonti di crescita, progresso e sviluppo. Le relazioni all’interno della maggioranza globale rappresentano un prototipo di pratiche politiche essenziali ed efficaci in un mondo policentrico.

Si tratta di pragmatismo e realismo: il rifiuto della filosofia dei blocchi, l’assenza di obblighi rigidi imposti dall’esterno o di modelli che prevedano partner senior e junior. Infine, è la capacità di conciliare interessi che raramente si allineano completamente, ma che raramente si contraddicono in modo sostanziale. L’assenza di antagonismo diventa il principio guida.

Una nuova ondata di decolonizzazione sta sorgendo ora, poiché le ex colonie stanno acquisendo, oltre alla statualità, anche la sovranità politica, economica, culturale e di prospettiva.

“Finora non c’è niente di meglio dell’ONU, e dobbiamo ammetterlo”.

Un’altra data è importante a questo proposito. Abbiamo recentemente celebrato l’80° anniversario dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Non si tratta solo di un’organizzazione politica universale e la più rappresentativa del mondo, ma anche di un simbolo dello spirito di cooperazione, di alleanza e persino di fratellanza combattiva, che nella prima metà del secolo scorso ci ha aiutato a unire le forze nella lotta contro il peggior male della storia – una spietata macchina di sterminio e schiavitù.

Il ruolo decisivo nella nostra vittoria comune sul nazismo, di cui siamo orgogliosi, è stato svolto ovviamente dall’Unione Sovietica. Uno sguardo al numero di vittime per ogni membro della coalizione anti-Hitler lo dimostra chiaramente.

L’ONU è l’eredità della vittoria nella Seconda Guerra Mondiale e, finora, l’esperienza più riuscita di creazione di un’organizzazione internazionale volta a risolvere gli attuali problemi globali.

Oggi si dice spesso che il sistema delle Nazioni Unite è paralizzato e sta attraversando una crisi. È diventato un luogo comune. Alcuni sostengono addirittura che abbia superato se stesso e che dovrebbe essere riformato radicalmente, come minimo. Certo, ci sono molte, moltissime carenze nelle operazioni delle Nazioni Unite. Tuttavia, non c’è nulla di meglio dell’ONU finora, e dobbiamo ammetterlo.

In realtà, il problema non è l’ONU, che ha un grande potenziale. Il problema sta nel modo in cui noi, nazioni unite che sono state disunite, stiamo usando questo potenziale.

Non c’è dubbio che le Nazioni Unite debbano affrontare delle sfide. Come qualsiasi altra organizzazione, deve adattarsi alle realtà in continua evoluzione. Tuttavia, è estremamente importante preservare l’essenza fondamentale dell’ONU durante la sua riforma e il suo aggiornamento, non solo l’essenza che era incorporata al suo inizio, ma anche l’essenza che ha acquisito nel complicato processo del suo sviluppo.

A questo proposito, vale la pena ricordare che il numero di Stati membri delle Nazioni Unite è quasi quadruplicato dal 1945. Negli ultimi decenni, l’organizzazione nata su iniziativa di alcuni grandi Paesi non si è limitata ad espandersi, ma ha anche assorbito molte culture e tradizioni politiche diverse, acquisendo diversità e diventando una struttura realmente multipolare molto prima che il mondo lo diventasse. Il potenziale del sistema delle Nazioni Unite ha solo iniziato a dispiegarsi e sono fiducioso che questo processo si completerà molto rapidamente nella nuova era nascente.

In altre parole, i Paesi della Maggioranza Globale costituiscono ora una maggioranza schiacciante all’interno dell’ONU, e la sua struttura e i suoi organi di governo dovrebbero quindi essere adattati a questo fatto, che sarà anche molto più in linea con i principi fondamentali della democrazia.

Non lo nego: oggi non c’è consenso su come il mondo debba essere organizzato, su quali principi debba poggiare negli anni e nei decenni a venire. Siamo entrati in un lungo periodo di ricerca, che spesso si muove per tentativi ed errori. Quando un nuovo sistema stabile prenderà finalmente forma – e quale sarà la sua struttura – rimane sconosciuto. Dobbiamo essere pronti al fatto che, per un periodo di tempo considerevole, lo sviluppo sociale, politico ed economico sarà imprevedibile, a volte persino turbolento.

Per mantenere la rotta e non perdere l’orientamento, tutti hanno bisogno di una base solida. A nostro avviso, questa base è costituita soprattutto dai valori maturati nei secoli all’interno delle culture nazionali. Cultura e storia, norme etiche e religiose, geografia e spazio: sono questi gli elementi chiave che danno forma a civiltà e comunità durature. Essi definiscono l’identità, i valori e le tradizioni nazionali, fornendo la bussola che ci aiuta a resistere alle tempeste della vita internazionale.

Le tradizioni sono sempre uniche; ogni nazione ha le sue. Il rispetto delle tradizioni è la prima e più importante condizione per relazioni internazionali stabili e per risolvere le sfide emergenti.

Il mondo ha già vissuto tentativi di unificazione, di imposizione di modelli cosiddetti universali che si sono scontrati con le tradizioni culturali ed etiche della maggior parte dei popoli. Una volta l’Unione Sovietica ha commesso questo errore imponendo il suo sistema politico – lo sappiamo e, francamente, non credo che qualcuno possa contestarlo. In seguito gli Stati Uniti hanno raccolto il testimone e anche l’Europa ci ha provato. In entrambi i casi, il tentativo è fallito. Ciò che è superficiale, artificiale, imposto dall’esterno non può durare. E chi rispetta le proprie tradizioni, di norma, non invade quelle degli altri.

Oggi, in un contesto di instabilità internazionale, si attribuisce particolare importanza alle fondamenta dello sviluppo di ogni nazione: quelle che non dipendono dalle turbolenze esterne. Vediamo paesi e popoli che si rivolgono a queste radici. E questo accade non solo nella Maggioranza Globale, ma anche nelle società occidentali. Quando ognuno si concentra sul proprio sviluppo senza inseguire inutili ambizioni, diventa molto più facile trovare un terreno comune con gli altri.

Come esempio, possiamo guardare alla recente esperienza di interazione tra Russia e Stati Uniti. Come sapete, i nostri Paesi hanno molti disaccordi; le nostre opinioni su molti problemi del mondo sono diverse. Ma questo non è niente di strano per le grandi potenze, anzi è assolutamente naturale. Ciò che conta è il modo in cui risolviamo queste divergenze, e se riusciamo a risolverle in modo pacifico.

L’attuale amministrazione della Casa Bianca è molto diretta nei suoi interessi, dichiarando ciò che vuole in modo diretto – a volte anche senza mezzi termini, come sicuramente converrete – ma senza inutili ipocrisie. È sempre preferibile essere chiari su ciò che l’altra parte vuole e su ciò che sta cercando di ottenere. È meglio che cercare di indovinare il vero significato dietro una lunga serie di equivoci, linguaggio ambiguo e accenni vaghi.

Possiamo vedere che l’attuale amministrazione statunitense è guidata principalmente dai propri interessi nazionali – così come li intende. E credo che questo sia un approccio razionale.

Ma poi, se volete scusarmi, la Russia ha anche il diritto di essere guidata dai propri interessi nazionali. Uno dei quali, tra l’altro, è il ripristino di relazioni a pieno titolo con gli Stati Uniti. A prescindere dai nostri disaccordi, se due parti si trattano con rispetto, i loro negoziati – anche quelli più impegnativi e ostinati – saranno comunque finalizzati a trovare un terreno comune. E questo significa che alla fine si possono raggiungere soluzioni reciprocamente accettabili.

Il multipolarismo e il policentrismo non sono solo concetti, ma una realtà che è destinata a rimanere. La tempestività e l’efficacia con cui riusciremo a costruire un sistema mondiale sostenibile all’interno di questo quadro dipende ora da ciascuno di noi. Questo nuovo ordine internazionale, questo nuovo modello, può essere costruito solo attraverso sforzi universali, un’impresa collettiva a cui tutti partecipano. Voglio essere chiaro: l’epoca in cui un gruppo ristretto di potenze più forti poteva decidere per il resto del mondo è finita, ed è finita per sempre.

Questo è un punto ricordato soprattutto da coloro che provano nostalgia per l’epoca coloniale, quando era comune dividere i popoli in quelli che erano uguali e quelli che erano, per usare la famosa frase di Orwell, “più uguali degli altri”. Conosciamo tutti questa citazione.

La Russia non ha mai sostenuto questa teoria razzista, non ha mai condiviso questo atteggiamento verso altri popoli e culture, e non lo farà mai.

Siamo per la diversità, per la polifonia, per una vera sinfonia di valori umani. Il mondo, come certamente converrete, è un luogo noioso e incolore quando è monotono. La Russia ha avuto un passato molto turbolento e difficile. Il nostro stesso Stato è stato forgiato attraverso il continuo superamento di colossali sfide storiche.

“La Russia è un Paese particolare”.

Con questo non voglio dire che gli altri Stati si siano sviluppati in condizioni di incubazione – ovviamente non è così. Eppure, l’esperienza della Russia è unica per molti aspetti, così come il Paese che ha creato. Sia chiaro: non si tratta di una pretesa di eccezionalità o superiorità, ma semplicemente di una constatazione. La Russia è un Paese particolare.

Abbiamo attraversato numerosi tumultuosi sconvolgimenti, ognuno dei quali ha dato al mondo spunti di riflessione su una vasta gamma di questioni, sia negative che positive. Ma è proprio questo bagaglio storico che ci ha permesso di essere meglio preparati alla complessa, non lineare e ambigua situazione globale in cui ci troviamo oggi.

Attraverso tutte le sue prove, la Russia ha dimostrato una cosa: era, è e sarà sempre. Siamo consapevoli che il suo ruolo nel mondo sta cambiando, ma rimane sempre una forza senza la quale è difficile – e spesso impossibile – raggiungere una vera armonia e un vero equilibrio. Questo è un fatto provato, confermato dalla storia e dal tempo. È un fatto incondizionato.

Nel mondo multipolare di oggi, questa armonia e questo equilibrio possono essere raggiunti solo attraverso uno sforzo comune e congiunto. E oggi voglio assicurarvi che la Russia è pronta per questo lavoro.

Grazie mille. Grazie a voi.

Leggi ‘Q & A con Putin dopo il suo discorso di Valdai‘.

Domande e risposte con Putin dopo il discorso di Valdai

“Si propone che il signor Blair ne sia il capo… Lo conosco personalmente. Sono persino andato a trovarlo a casa sua, ho trascorso lì la notte e… bevendo un caffè in pigiama, abbiamo parlato a lungo.”

Mike Hampton3 ottobre
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Il professor Seyed Mohammad Marandi interroga Putin al Valdai 2025

“Ci sono stati alcuni casi in cui ho deciso che non avremmo fatto nulla perché il danno derivante dall’agire sarebbe stato maggiore rispetto alla semplice dimostrazione di moderazione e pazienza.” – Putin

Il discorso di Putin al Valdai del 2 ottobre è stato condiviso come Parte 1 e Parte 2. Ha poi partecipato a una maratona di domande e risposte a cui hanno partecipato Fyodor Lukyanov (Direttore di ricerca della Fondazione per lo sviluppo e il supporto del Valdai International Discussion Club), Ivan Safranchuk (ricercatore senior presso l’Istituto di studi internazionali), il professor Seyed Mohammad Marandi (analista politico americano-iraniano) e altri.

Fyodor Lukyanov : Signor Putin, la ringrazio molto per questo suo intervento così esaustivo…

Vladimir Putin : Ti ho stancato? Scusa.

Fyodor Lukyanov : Niente affatto, hai appena iniziato. (Risate.) Ma hai subito posto l’asticella della nostra discussione molto in alto, quindi naturalmente coglieremo molti dei temi che hai sollevato.

Soprattutto perché un mondo veramente policentrico e multipolare è ancora agli inizi. Come hai giustamente osservato nel tuo intervento, è così complesso che possiamo comprenderne solo alcune parti, come in una vecchia parabola in cui ognuno tocca una parte dell’elefante e pensa che sia il tutto, ma in realtà è solo una parte.

Vladimir Putin : Sa, queste non sono solo parole. Parlo per esperienza. Mi trovo spesso di fronte a questioni molto specifiche che devono essere affrontate in una parte o nell’altra del mondo. In passato, durante l’Unione Sovietica, c’era un blocco contro l’altro: ci si accordava all’interno del proprio blocco e si partiva.

No, sarò onesto con te: più di una volta ho dovuto soppesare una decisione: fare questo o quello. Ma il mio pensiero successivo è stato: no, non posso farlo perché danneggerebbe qualcuno; sarebbe meglio fare qualcos’altro. Ma poi: no, danneggerebbe qualcun altro. Questa è la realtà. A dire il vero, ci sono stati alcuni casi in cui ho deciso di non fare nulla perché il danno derivante dall’agire sarebbe stato maggiore che dal semplice mostrare moderazione e pazienza.

Questa è la realtà di oggi. Non ho inventato nulla: è semplicemente così che vanno le cose nella vita reale, nella pratica.

Fyodor Lukyanov : Giocavi a scacchi a scuola?

Vladimir Putin : Sì, mi piacevano gli scacchi.

Fyodor Lukyanov: Bene. Allora riprenderò da quanto hai appena detto sulla pratica. È vero: non è solo la teoria a cambiare, ma anche le azioni pratiche sulla scena internazionale non possono più essere quelle di una volta.

Nei decenni precedenti molti si affidavano a istituzioni (organizzazioni internazionali, strutture interne agli Stati) create per affrontare determinate sfide.

Ora, come hanno notato molti esperti a Valdai negli ultimi giorni, queste istituzioni, per vari motivi, si stanno indebolendo o addirittura perdendo la loro efficacia. Ciò significa che sui leader stessi ricade una responsabilità molto maggiore rispetto al passato.

Quindi la mia domanda per te è: ti senti mai come Alessandro I al Congresso di Vienna, mentre negoziavi personalmente la forma del nuovo ordine mondiale, da solo?

Vladimir Putin: No, non lo so. Alessandro I era un imperatore; io sono un presidente, eletto dal popolo per un mandato specifico. Questa è una grande differenza. Questo è il mio primo punto.

In secondo luogo, Alessandro I unì l’Europa con la forza, sconfiggendo un nemico che aveva invaso il nostro territorio. Ricordiamo cosa fece: il Congresso di Vienna, e così via. Quanto a dove andò il mondo dopo, lasciamo che siano gli storici a giudicare. È discutibile: le monarchie avrebbero dovuto essere restaurate ovunque, come per cercare di far tornare un po’ indietro la ruota della storia? O non sarebbe stato meglio guardare alle tendenze emergenti e aprire la strada al futuro? Questo è solo un commento – a proposito, come si dice – non direttamente correlato alla tua domanda.

Per quanto riguarda le istituzioni moderne, qual è il problema, dopotutto? Hanno subito un degrado proprio nel periodo in cui alcuni paesi, o l’Occidente nel suo complesso, hanno cercato di sfruttare la situazione post-Guerra Fredda dichiarandosi vincitori. In questo contesto, hanno iniziato a imporre la propria volontà a tutti – questo è il primo punto. In secondo luogo, tutti gli altri hanno gradualmente, dapprima in silenzio, poi in modo più attivo, iniziato a opporre resistenza.

Durante il periodo iniziale, dopo la cessazione dell’Unione Sovietica, le strutture occidentali inserirono un numero significativo di personale nelle vecchie strutture. Tutto questo personale, seguendo scrupolosamente le istruzioni, agì esattamente come gli veniva ordinato dai superiori di Washington, comportandosi, a dire il vero, in modo molto rozzo, ignorando tutto e tutti.

Ciò ha portato la Russia, tra le altre, a cessare completamente di interagire con queste istituzioni, ritenendo che non si potesse ottenere nulla. A cosa serviva l’OSCE? Per risolvere situazioni complesse in Europa. E a cosa si riduceva tutto questo? L’intera attività dell’OSCE si è ridotta a una piattaforma per discutere, ad esempio, dei diritti umani nello spazio post-sovietico.

Fëdor Lukyanov

“Anche il Dipartimento di Stato americano ha notato che in Gran Bretagna sono emersi problemi di diritti umani.” – Putin

Bene, ascolta. Sì, ci sono molti problemi. Ma non ce ne sono forse molti anche in Europa occidentale? Guarda, mi sembra che proprio di recente persino il Dipartimento di Stato americano abbia notato che in Gran Bretagna sono emersi problemi di diritti umani. Sembrerebbe assurdo – beh, buona salute a chi lo ha fatto notare.

Tuttavia, questi problemi non sono emersi all’improvviso; sono sempre esistiti. Queste organizzazioni internazionali hanno semplicemente iniziato a concentrarsi professionalmente sulla Russia e sullo spazio post-sovietico. Ma non era questo il loro scopo. E questo vale per molti ambiti.

Pertanto, hanno in gran parte perso il loro significato originario, il significato che avevano quando furono creati nel sistema precedente, quando esistevano l’Unione Sovietica, il blocco orientale e il blocco occidentale. Ecco perché si sono degradati. Non perché fossero mal strutturati, ma perché hanno smesso di svolgere i ruoli per cui erano stati creati.

Eppure non c’è e non c’è stata alternativa alla ricerca di soluzioni basate sul consenso. Tra l’altro, ci siamo gradualmente resi conto che era necessario creare istituzioni in cui i problemi venissero risolti non come i nostri colleghi occidentali cercavano di risolverli, ma basandosi autenticamente sul consenso, basandosi autenticamente sull’allineamento delle posizioni. È così che è nata la SCO, la Shanghai Cooperation Organisation.

Da cosa è nato originariamente? Dall’esigenza di regolamentare le relazioni di confine tra i Paesi – ex repubbliche sovietiche e Repubblica Popolare Cinese. Ha funzionato molto bene, davvero. Abbiamo iniziato ad ampliarne il raggio d’azione. E ha preso piede! Vedete?

È così che sono nati i BRICS, quando il Primo Ministro dell’India e il Presidente della Repubblica Popolare Cinese sono stati miei ospiti e ho proposto un incontro a tre – questo è successo a San Pietroburgo. È nato il RIC – Russia, India, Cina. Abbiamo concordato che: a) ci saremmo incontrati; e b) avremmo ampliato questa piattaforma di lavoro per i nostri ministri degli Esteri. E il progetto ha avuto successo.

Perché? Perché tutti i partecipanti hanno subito visto, nonostante qualche asperità, che nel complesso si trattava di una buona piattaforma: non c’era alcun desiderio di prevaricare, di promuovere i propri interessi a qualsiasi costo. Al contrario, tutti hanno capito che bisognava ricercare un equilibrio.

Poco dopo, Brasile e Sudafrica chiesero di aderire, e nacquero i BRICS. Si tratta di partner naturali, uniti da un’idea comune su come costruire relazioni per trovare soluzioni reciprocamente accettabili. Iniziarono a riunirsi all’interno dell’organizzazione.

Lo stesso ha iniziato ad accadere in tutto il mondo, come ho accennato prima a proposito delle organizzazioni regionali. Osservate come l’autorevolezza di queste organizzazioni sta crescendo. Questa è la chiave per garantire che il nuovo mondo multipolare e complesso abbia comunque la possibilità di essere stabile.

Fyodor Lukyanov: Hai appena usato una metafora chiara e popolare secondo cui la forza ha ragione, a meno che non ci sia una forza più forte. Può essere applicata anche alle istituzioni, perché quando le istituzioni sono inefficaci, bisogna ricorrere alla forza, cioè alla forza militare, che è tornata alla ribalta nelle relazioni internazionali.

Se ne parla spesso, e noi del forum di Valdai abbiamo dedicato una sezione a questo tema: il carattere di una nuova guerra, la guerra moderna. È chiaramente cambiato. Cosa può dire, in qualità di comandante supremo in capo e leader politico, sui cambiamenti nel carattere della guerra?

Vladimir Putin: È una domanda molto specifica e tuttavia estremamente importante.

In primo luogo, ci sono sempre stati metodi non militari per affrontare le questioni militari, ma stanno acquisendo un nuovo significato e producendo nuovi effetti con lo sviluppo della tecnologia. Ciò che intendo sono attacchi informatici e tentativi di influenzare e corrompere la mentalità politica del potenziale avversario.

Ecco cosa mi è venuto in mente in questo momento. Di recente mi è stato raccontato della rinascita di un’antica tradizione russa, secondo cui le giovani donne vanno alle feste, anche nei bar e nei club, indossando abiti e copricapi tradizionali russi. Sapete, non è uno scherzo, e questo mi rende felice. Perché? Perché significa che i nostri nemici non hanno raggiunto il loro obiettivo, nonostante tutti i tentativi di corrompere la società russa dall’interno, e che l’effetto è addirittura opposto a quello che si aspettavano.

È molto positivo che i nostri giovani abbiano questa difesa contro i tentativi di influenzare la mentalità pubblica dall’interno. È la prova della maturità e della forza della società russa. Ma questo è solo un lato della medaglia. L’altro sono i tentativi di danneggiare la nostra economia, il settore finanziario e così via, il che è estremamente pericoloso.

Per quanto riguarda la componente puramente militare, ci sono ovviamente molti elementi di novità legati allo sviluppo tecnologico. È sulla bocca di tutti, ma lo ripeto: si tratta di veicoli senza pilota che possono operare in tre ambiti: aria, terra e mare. Tra questi rientrano imbarcazioni senza pilota, veicoli terrestri senza pilota e velivoli senza pilota.

Inoltre, tutti hanno un duplice utilizzo. Questo è estremamente importante; è una delle caratteristiche peculiari dell’era moderna. Molte tecnologie impiegate in combattimento hanno un duplice utilizzo. Prendiamo i velivoli senza pilota, che possono essere impiegati in medicina e per consegnare cibo o altri carichi utili ovunque, anche durante le ostilità.

Ciò richiede lo sviluppo anche di altri sistemi, come i sistemi di intelligence e di guerra elettronica. Questo sta cambiando le tattiche di guerra. Molte cose stanno cambiando sul campo di battaglia. Non servono più le formazioni a cuneo di Guderian o le cariche di Rybalko, che furono eseguite durante la Seconda Guerra Mondiale. I carri armati ora vengono utilizzati in modo completamente diverso, non per caricare attraverso le difese nemiche, ma per supportare la fanteria, cosa che avviene da posizioni coperte. Anche questo è necessario, ma è un metodo diverso.

Ma sapete qual è la cosa più straordinaria? La rapidità del cambiamento. I paradigmi tecnologici possono cambiare in un mese, a volte in una settimana. L’ho detto molte volte. Supponiamo di implementare un’innovazione chiave, come armi ad alta precisione, compresi i sistemi a lungo raggio, che sono una componente vitale della guerra moderna, e che improvvisamente diventi meno efficace.

Perché? Perché l’avversario ha schierato sistemi di guerra elettronica ancora più innovativi. Ha analizzato le nostre tattiche e adattato la sua risposta. Di conseguenza, ora dobbiamo trovare un antidoto nel giro di pochi giorni, al massimo una settimana. Questo accade con sorprendente regolarità e ha profonde implicazioni pratiche, dal campo di battaglia stesso ai nostri centri di ricerca. Questa è la realtà dei conflitti armati moderni: un processo di continuo aggiornamento.

Tutto cambia, tranne una cosa: il coraggio, la bravura e l’eroismo del soldato russo. È il nostro immenso orgoglio. E quando dico “russo”, non mi riferisco solo all’etnia o al passaporto. I nostri stessi soldati hanno abbracciato questa idea. Oggi, ognuno di loro, indipendentemente dalla religione o dall’origine etnica, dice con orgoglio: “Sono un soldato russo”. E lo sono.

Perché? Vorrei rispondere rivolgendomi a Pietro il Grande. Qual era la sua definizione? Chi, ai suoi occhi, era russo? Chi conosce la citazione, la riconoscerà. Chi non la conosce, la condividerò con voi ora. Pietro il Grande disse: “È russo chi ama e serve la Russia”.

Fyodor Lukyanov : Grazie.

Per quanto riguarda i copricapi, i kokoshnik, ho capito. La prossima volta indosseremo abiti appropriati.

Vladimir Putin : Non hai bisogno di un kokoshnik.

Fyodor Lukyanov : No? Bene, come dici tu.

Signor Presidente, passando a un tono più serio, lei ha parlato della rapidità del cambiamento, e in effetti il ​​ritmo è sbalorditivo, sia in ambito militare che civile. Appare chiaro che questa realtà accelerata sarà ciò che definirà i prossimi anni e decenni.

Questo mi riporta alla mente le critiche che abbiamo dovuto affrontare più di tre anni fa, all’inizio dell’operazione militare speciale. All’epoca, i critici sostenevano che la Russia e il suo esercito fossero in ritardo in alcuni settori, e molti dei nostri passi infruttuosi erano direttamente collegati a questo.

“Siamo effettivamente in guerra con la potenza collettiva della NATO. Non lo nascondono nemmeno più.” – Putin

Questo mi porta a due domande chiave. Innanzitutto, secondo lei, siamo riusciti a colmare questo divario?

E in secondo luogo, visto che parliamo del soldato russo, qual è la sua valutazione della situazione attuale in prima linea?

Vladimir Putin : Innanzitutto, sia chiaro: non si è trattato di un semplice “ritardo”. C’erano interi campi in cui le nostre conoscenze erano semplicemente inesistenti. Il problema non era che non avessimo il tempo di sviluppare determinate capacità. Il problema era che non eravamo affatto consapevoli che tali capacità fossero possibili.

In secondo luogo, stiamo combattendo questa guerra e producendo il nostro equipaggiamento militare. Ma dall’altra parte della linea, siamo di fatto in guerra con la potenza collettiva della NATO. Non lo nascondono nemmeno più. Lo vediamo nel coinvolgimento diretto degli istruttori NATO e dei rappresentanti dei paesi occidentali nelle ostilità. In Europa è stato istituito un centro di comando allo scopo di coordinare lo sforzo bellico del nostro avversario: fornisce alle Forze Armate ucraine intelligence, immagini satellitari, armi e addestramento. E devo ribadire: questo personale straniero non è solo coinvolto nell’addestramento; partecipa direttamente alla pianificazione operativa e alle operazioni di combattimento.

Pertanto, questo rappresenta una sfida seria per noi, ovviamente. Ma l’esercito russo, lo Stato russo e la nostra industria della difesa si sono adattati rapidamente.

Ora, lo dico senza esagerare: non è un’iperbole o una vanteria, ma sono convinto che oggi l’esercito russo sia l’esercito più pronto al combattimento al mondo. Questo vale per l’addestramento del personale, le capacità tecniche e la nostra capacità di schierarle e aggiornarle costantemente. Lo stesso vale per la nostra capacità di fornire nuovi sistemi d’arma al fronte e persino per la sofisticatezza delle nostre tattiche operative. Questa, credo, è la risposta definitiva alla sua domanda.

Fyodor Lukyanov : I nostri interlocutori – e il vostro interlocutore dall’altra parte dell’oceano – hanno recentemente ribattezzato il loro Dipartimento della Difesa in Dipartimento della Guerra. Superficialmente, può sembrare la stessa cosa, ma come si dice, c’è una sfumatura. Crede che i nomi abbiano un significato sostanziale?

Vladimir Putin : Si potrebbe dire di no, ma allo stesso modo si potrebbe osservare che “come chiami la nave, così navigherà”. Probabilmente c’è un significato in questo, anche se “Dipartimento della Guerra” suona piuttosto aggressivo. Il nostro è il Ministero della Difesa: questa è sempre stata la nostra posizione, lo è ancora e continuerà ad esserlo. Non nutriamo intenzioni aggressive nei confronti di paesi terzi. Il nostro Ministero della Difesa esiste esclusivamente per salvaguardare la sicurezza dello Stato russo e dei popoli della Federazione Russa.

Fyodor Lukyanov : Eppure ci schernisce definendoci una “tigre di carta” – che ne dici?

Vladimir Putin : Una “tigre di carta”… Come ho detto, negli ultimi anni la Russia non ha combattuto le Forze Armate dell’Ucraina o l’Ucraina stessa, ma di fatto l’intero blocco NATO.

Per quanto riguarda la sua domanda sugli sviluppi lungo la linea di contatto, tornerò presto su queste “tigri”.

“Su quasi tutta la linea di contatto, le nostre forze avanzano con sicurezza.”

Attualmente, praticamente lungo l’intera linea di contatto, le nostre forze stanno avanzando con sicurezza. Cominciamo da nord: il Gruppo di Forze Settentrionale – nella regione di Kharkov, nella città di Volchansk, e nella regione di Sumy, nella comunità residenziale di Yunakovka – è stato recentemente posto sotto il nostro controllo. Metà di Volchansk è stata messa in sicurezza; la parte rimanente seguirà inevitabilmente a breve, man mano che i nostri combattenti completano l’operazione. Una zona di sicurezza viene istituita metodicamente e secondo i piani.

Il Gruppo di Forze Ovest ha in gran parte conquistato Kupyansk, un importante centro abitato (non completamente, ma due terzi della città). Il distretto centrale è già sotto il nostro controllo, con scontri in corso nel settore meridionale. Un’altra città importante, Kirovsk, è ora interamente sotto il nostro controllo.

Il Gruppo di Forze Sud è entrato a Konstantinovka, una linea difensiva chiave che comprende Konstantinovka, Slavyansk e Kramatorsk. Queste fortificazioni sono state sviluppate dall’AFU in oltre un decennio con l’assistenza di specialisti occidentali. Eppure, le nostre truppe sono ora penetrate in queste difese, e lì sono in corso combattimenti. Lo stesso vale per Seversk, un’altra importante comunità dove sono in corso le ostilità.

Il Gruppo di Forze Centrale continua a operare efficacemente, essendo entrato a Krasnoarmeysk – dall’accesso meridionale, se non ricordo male – e ora i combattimenti sono in corso all’interno della città. Mi asterrò da eccessivi dettagli, anche perché non ho alcun desiderio di informare il nostro avversario, per quanto paradossale possa sembrare. Perché? Perché sono allo sbando, e loro stessi non comprendono a sufficienza la situazione. Fornire loro ulteriore chiarezza non serve a nulla. State tranquilli, il nostro personale sta svolgendo i propri compiti con sicurezza.

Per quanto riguarda il Gruppo di Forze Orientale: sta avanzando rapidamente e con decisione attraverso la regione settentrionale di Zaporozhye e in parte nella regione di Dnepropetrovsk.

Anche il Gruppo di Forze del Dnepr opera con piena sicurezza. Circa… Quasi il 100% della regione di Lugansk è nostro – il nemico ne detiene forse lo 0,13%. Nella regione di Donetsk, controllano poco più del 19%. Nelle regioni di Zaporozhye e Kherson, questa percentuale si attesta rispettivamente sul 24-25%. Ovunque, le forze russe – lo sottolineo – mantengono un’indiscussa iniziativa strategica.

Eppure, se stiamo combattendo l’intera alleanza NATO, avanzando con incrollabile fiducia, e siamo considerati una “tigre di carta”, cosa significa questo per la NATO stessa? Che tipo di entità è allora?

Ma non importa. Ciò che conta di più è avere fiducia in noi stessi, e noi ce l’abbiamo.

Fyodor Lukyanov: Grazie.

Esistono giocattoli di carta ritagliati per bambini: tigri di carta. Puoi regalarne uno al Presidente Trump quando lo incontrerete la prossima volta.

Vladimir Putin: No, abbiamo un rapporto personale e sappiamo quali regali farci a vicenda. Sai, abbiamo un atteggiamento molto calmo al riguardo.

Non so in quale contesto sia stata pronunciata questa frase; forse è stata detta ironicamente. Vede, ci sono alcuni elementi… Quindi, ha detto al suo interlocutore che [la Russia] è una tigre di carta. Quali azioni potrebbero seguire? Si potrebbero intraprendere azioni per affrontare quella “tigre di carta”. Ma nella realtà non sta accadendo nulla di simile.

Qual è il problema attuale? Stanno inviando armi sufficienti alle Forze Armate ucraine, quante ne servono all’Ucraina. A settembre, le perdite delle Forze Armate ucraine ammontavano a circa 44.700 persone, quasi la metà delle quali erano perdite irrecuperabili. Nello stesso periodo, hanno mobilitato con la forza poco più di 18.000 persone. Circa 14.500 persone sono tornate nell’esercito dagli ospedali. Se sommiamo queste cifre e sottraiamo il totale dal numero delle vittime, vedremo che l’Ucraina ha perso 11.000 uomini in un mese. In altre parole, il numero delle sue truppe in prima linea non è stato reintegrato e sta diminuendo.

Se guardiamo ai dati da gennaio ad agosto, circa 150.000 ucraini hanno disertato dall’esercito. Nello stesso periodo, 160.000 persone sono state mobilitate nell’esercito, ma 150.000 disertori sono troppi. Considerando l’aumento delle perdite, sebbene il numero fosse più alto il mese precedente, questo significa che l’unica soluzione è abbassare l’età minima per la mobilitazione. Ma anche questo non produrrà il risultato desiderato.

Gli esperti russi e, tra l’altro, quelli occidentali ritengono che questo difficilmente avrà un effetto positivo, perché non hanno tempo per addestrare i coscritti. Le nostre forze avanzano ogni giorno, capisci? Non hanno tempo per consolidarsi o addestrare il nuovo personale, e stanno anche perdendo più militari di quanti ne possano reintegrare sul campo di battaglia. Questo è ciò che conta.

Pertanto, i leader di Kiev dovrebbero riflettere più seriamente sul raggiungimento di un accordo. Lo abbiamo ripetuto più volte, offrendo loro l’opportunità di farlo.

Fyodor Lukyanov: Abbiamo abbastanza personale per tutto?

Vladimir Putin: Sì, certo. Innanzitutto, purtroppo subiamo anche delle perdite, ma sono di gran lunga inferiori a quelle dell’AFU.

E poi, c’è una differenza. I nostri uomini si offrono volontari per il servizio militare. Sono volontari veri e propri. Non stiamo conducendo una mobilitazione su larga scala, tanto meno forzata, a differenza del regime di Kiev. Non me lo sono inventato io; fidatevi, sono dati oggettivi, confermati da esperti occidentali: 150.000 disertori [dall’AFU] da gennaio ad agosto. Qual è il motivo? Le persone sono state arrestate per strada e ora stanno disertando dall’esercito, e giustamente. Inoltre, li esorto a disertare. Li invitiamo anche ad arrendersi, il che è difficile perché chi cerca di arrendersi viene colpito dalle unità anti-ritirata o di barriera ucraine o ucciso dai droni. E i droni sono spesso pilotati da mercenari di altri paesi che uccidono gli ucraini perché non gli importa di loro. Per quanto riguarda l’esercito [ucraino], è un esercito semplice composto da operai e contadini. L’élite non combatte; manda solo i propri cittadini al massacro. Ecco perché ci sono così tanti disertori.

Abbiamo anche dei disertori, il che è normale nei conflitti armati. Alcuni lasciano le loro unità senza permesso. Ma sono pochi, davvero pochi, rispetto all’altra parte, dove la diserzione è diventata un problema enorme. Questo è il problema. Possono abbassare l’età minima per la mobilitazione a 21 o addirittura 18 anni, ma questo non risolverà il problema, e devono accettarlo. Spero che i leader del regime di Kiev se ne rendano conto e trovino la forza di sedersi al tavolo delle trattative.

Fyodor Lukyanov: Grazie.

“Niente mi ha sorpreso particolarmente, perché avevo previsto molto di quello che sarebbe successo.”

yodor Lukyanov: Amici, fate pure le vostre domande. Ivan Safranchuk, fate pure, per favore.

Ivan Safranchuk : Signor Presidente, la ringrazio molto per il suo interessantissimo intervento introduttivo. Durante il suo scambio con Fyodor Lukyanov, ha già fissato un livello elevato per la nostra discussione.

Questo argomento è stato brevemente accennato nei vostri commenti precedenti, ma vorrei chiedere un chiarimento. Tra i cambiamenti fondamentali avvenuti negli ultimi anni, c’è qualcosa che vi ha davvero sorpreso? Ad esempio, l’enorme fervore con cui molti europei hanno perseguito il confronto con noi, e come alcuni abbiano smesso di vergognarsi della loro partecipazione alla coalizione di Hitler.

Dopotutto, ci sono sviluppi che fino a poco tempo fa erano difficili da immaginare. C’era davvero un elemento di sorpresa? Come è potuto accadere? Hai notato che nel mondo di oggi bisogna essere preparati a tutto, perché tutto può accadere, eppure fino a poco tempo fa sembrava esserci una maggiore prevedibilità. Quindi, in mezzo a questo rapido ritmo di cambiamento, c’è stato qualcosa che ti ha davvero stupito?

Vladimir Putin : Inizialmente… Nel complesso, in generale, no, niente mi ha particolarmente sorpreso, poiché avevo previsto molto di ciò che sarebbe accaduto. Tuttavia, ciò che mi ha stupito è stata questa prontezza – persino l’entusiasmo – di rivedere tutto ciò che era stato positivo in passato.

Considerate questo: all’inizio, con molta cautela, indagando, l’Occidente iniziò a equiparare il regime di Stalin al regime fascista in Germania – il regime nazista, il regime di Hitler – ponendoli sullo stesso piano. Ho osservato tutto questo con chiarezza; stavo osservando. Cominciarono a rivangare il Patto Molotov-Ribbentrop, dimenticando timidamente il Tradimento di Monaco del 1938, come se non fosse mai accaduto, come se il Primo Ministro [della Gran Bretagna] non fosse tornato a Londra dopo l’incontro di Monaco e non avesse sventolato l’accordo con Hitler dai gradini dell’aereo – “Abbiamo firmato un accordo con Hitler!” – brandendolo – “Ho portato la pace!”. Eppure, anche allora, c’era chi in Gran Bretagna dichiarava: “Ora la guerra è inevitabile” – quello era Churchill. Chamberlain disse: “Ho portato la pace”. Churchill replicò: “Ora la guerra è inevitabile”. Queste valutazioni furono fatte anche allora.

Dicevano: il patto Molotov-Ribbentrop – un’atrocità, in collusione con Hitler, l’Unione Sovietica ha cospirato con Hitler. Beh, ma voi stessi avevate cospirato con Hitler poco prima e vi siete spartiti la Cecoslovacchia. Come se non fosse mai successo. Propagandalmente – sì, si possono inculcare queste false equivalenze nella testa della gente, ma in sostanza, sappiamo come andarono veramente le cose. Quello fu il primo atto del Ballet de la Merlaison.

Poi la situazione degenerò. Non si limitarono a equiparare i regimi di Stalin e Hitler, ma tentarono di cancellare gli stessi esiti dei Processi di Norimberga. Strano, dato che si trattava di partecipanti a una lotta comune, e i Processi di Norimberga erano collettivi, celebrati proprio perché nulla di simile si ripetesse. Eppure iniziarono a farlo. Iniziarono ad abbattere monumenti ai soldati sovietici e così via, a coloro che avevano combattuto contro il nazismo.

Capisco i fondamenti ideologici di questa tesi. Ho affermato prima da questo podio che quando l’Unione Sovietica impose il suo sistema politico all’Europa orientale – sì, tutto questo è chiaro. Ma le persone che hanno combattuto il nazismo, che hanno dato la vita – cosa c’entrano? Non guidavano il regime di Stalin, non hanno preso decisioni politiche, hanno semplicemente sacrificato la propria vita sull’altare della Vittoria sul nazismo. Hanno iniziato questo – e poi oltre, e oltre…

Eppure questo mi ha sorpreso ancora: che non ci siano limiti, puramente, ve lo assicuro, perché questo riguarda la Russia e il desiderio di emarginarla in qualche modo.

Vedete, avevo intenzione di avvicinarmi al podio, ma non ho portato con me il mio libro – avevo pensato di leggervi qualcosa, ma me ne sono semplicemente dimenticato e l’ho lasciato lì. Cosa desidero trasmettere? Sulla mia scrivania a casa c’è un volume di Puškin. Ogni tanto mi piace immergermi nella sua lettura quando ho cinque minuti liberi. È intrinsecamente interessante, piacevole da leggere e, inoltre, mi piace immergermi in quell’atmosfera, percepire come vivevano le persone a quel tempo, cosa le ispirava e cosa pensavano.

Proprio ieri l’ho aperto, l’ho sfogliato e mi sono imbattuto in una poesia. Conosciamo tutti – i russi [tra i presenti qui] certamente – il Borodino di Michail Lermontov: “Ehi, dimmi, vecchio, se avessimo una causa…”, e così via. Tuttavia, non sapevo che Puškin avesse scritto su questo tema. L’ho letto e mi ha fatto una profonda impressione, perché sembra che Puškin l’abbia scritto ieri, come se mi stesse dicendo: “Ascolta, stai andando al Club Valdai – portalo con te, leggilo ai tuoi colleghi, condividi i miei pensieri sull’argomento”.

Francamente, ho esitato, pensando: “Benissimo”. Ma visto che la domanda è sorta, e ho il libro con me, posso? È affascinante. Risponde a molte domande. Si intitola “L’anniversario di Borodino”:

Il grande giorno di Borodino

Con fraterna commemorazione

Noi proclameremmo così: “Non avanzarono forse le tribù

e minacciarci di devastazione?

Non era forse qui riunita tutta l’Europa?

E quale stella li ha guidati nell’aria?

Eppure restammo fermi, con passo fermo,

E incontrò di petto la marea ostile

Di tribù governate da quell’orgoglio altezzoso

E la lotta impari si rivelò equa.

E adesso? La loro disastrosa fuga,

Vanitosi, ora dimenticano del tutto;

Ho dimenticato la baionetta russa e la neve,

Che seppellirono la loro fama nelle lande desertiche sottostanti.

Di nuovo sognano le feste a venire –

Per loro il sangue slavo è vino bevuto

Ma il loro mattino sarà amaro

Ma il sonno ininterrotto di questi ospiti,

All’interno di una nuova casa angusta e fredda,

Sotto il manto erboso del suolo settentrionale!

[Applausi]

Qui tutto è articolato. Ancora una volta, sono convinto che Aleksandr Puškin sia il nostro tutto. Tra l’altro, Puškin si appassionò parecchio in seguito – non lo leggerò, ma potete farlo voi se volete. Questo è stato scritto nel 1831.

Vedete, la stessa esistenza della Russia dispiace a molti, e tutti desiderano partecipare a questa impresa storica, infliggendoci una “sconfitta strategica” e trarne profitto: mordendo qui, mordendo là… Sono tentato di fare un gesto espressivo, ma ci sono molte signore presenti [in sala]… Ciò non accadrà.

Fyodor Lukyanov : Vorrei sottolineare un parallelismo molto significativo. Il presidente polacco Nawrocki ha letteralmente affermato – credo proprio l’altro ieri in un’intervista…

Vladimir Putin : A proposito, la Polonia viene menzionata più avanti [nella poesia].

Fyodor Lukyanov : Sì, beh, naturalmente – il nostro partner preferito. Quindi, ha dichiarato nell’intervista di “conversare” regolarmente con il generale Piłsudski, discutendo di questioni, comprese le relazioni con la Russia. Mentre tu – con Pushkin. Sembra un po’ discordante.

Vladimir Putin : Sapete, Piłsudski era una figura del genere – nutriva ostilità verso la Russia, e così via – e sotto la sua guida, guidata dalle sue idee, la Polonia commise molti errori prima della Seconda Guerra Mondiale. Dopotutto, la Germania propose di risolvere pacificamente la questione di Danzica e del Corridoio di Danzica – la leadership polacca dell’epoca si rifiutò categoricamente e alla fine divenne la prima vittima del nazismo.

Hanno anche respinto categoricamente quanto segue – anche se gli storici lo sanno sicuramente –: la Polonia si rifiutò di permettere all’Unione Sovietica di aiutare la Cecoslovacchia. L’Unione Sovietica era pronta a farlo; i documenti nei nostri archivi lo attestano – li ho letti personalmente. Quando furono inviate delle note alla Polonia, la Polonia dichiarò che non avrebbe mai permesso il passaggio delle truppe russe in aiuto della Cecoslovacchia e che, se gli aerei sovietici avessero sorvolato la Cecoslovacchia, la Polonia li avrebbe abbattuti. Alla fine, divenne la prima vittima del nazismo.

Se anche la famiglia politica polacca di più alto rango oggi se ne ricordasse, comprendendo tutte le complessità e le vicissitudini delle epoche storiche e tenendolo presente quando consulta Piłsudski, e tenendo conto di questi errori, allora non sarebbe davvero una cattiva cosa.

Fyodor Lukyanov : Eppure si sospetta che il contesto sia piuttosto diverso.

Bene. Prossima domanda, colleghi, per favore. Professor Marandi, Iran.

Seyed Mohammad Marandi : Grazie mille per l’opportunità, signor Presidente, e ringrazio anche Valdai per questa eccellente conferenza.

Siamo tutti addolorati perché negli ultimi due anni abbiamo assistito al genocidio a Gaza e al dolore e alla sofferenza di donne e bambini dilaniati giorno e notte. Di recente abbiamo visto il Presidente Trump presentare una proposta di pace che sembrava più una sottomissione e una capitolazione. E soprattutto presentare qualcuno come Blair con la sua storia è un danno oltre la beffa. Mi chiedevo cosa pensi possa fare la Federazione Russa per porre fine a questa miseria, che ha davvero oscurato i giorni di tutti. Grazie.

Vladimir Putin: La situazione a Gaza è uno degli eventi più tragici della storia recente. È anche noto che il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha ammesso pubblicamente – e spesso riflette le opinioni occidentali – che Gaza è diventata il più grande cimitero per bambini del mondo. Cosa potrebbe esserci di più tragico? Cosa potrebbe esserci di più doloroso?

Ora, per quanto riguarda la proposta del Presidente Trump su Gaza, potreste trovarla sorprendente, ma la Russia è complessivamente pronta a sostenerla. A patto, ovviamente, che porti davvero all’obiettivo finale di cui abbiamo sempre parlato. Dobbiamo esaminare attentamente le proposte avanzate.

Dal 1948 – e successivamente nel 1974, quando fu adottata la relativa risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite – la Russia ha costantemente sostenuto la creazione di due stati: Israele e uno stato palestinese. Credo che questa sia l’unica chiave per una soluzione definitiva e duratura al conflitto palestinese-israeliano.

Per quanto ne so – non ho ancora esaminato attentamente la proposta – suggerisce la creazione di un’amministrazione internazionale per governare la Palestina per un certo periodo, o più precisamente, la Striscia di Gaza. Si propone che Blair ne sia il capo. Ora, non è noto come un grande pacificatore. Ma lo conosco personalmente. Sono persino andato a trovarlo a casa sua, ho trascorso lì la notte e la mattina, bevendo un caffè in pigiama, abbiamo parlato a lungo. Sì, è vero.

Fyodor Lukyanov: Il caffè era buono?

Vladimir Putin: Sì, abbastanza bene.

Ma cosa vorrei aggiungere? È un uomo con forti opinioni personali, ma è anche un politico esperto. Nel complesso, se la sua conoscenza e la sua esperienza fossero orientate alla pace, allora sì, certo, potrebbe svolgere un ruolo positivo.

Tuttavia, sorgono spontanee diverse domande. Innanzitutto: per quanto tempo opererebbe questa amministrazione internazionale? Come e a chi verrebbe trasferito il potere? A quanto ho capito, questo piano prevede la possibilità di trasferire il potere a un’amministrazione palestinese.

Credo che sarebbe meglio trasferire il controllo direttamente al Presidente Abbas e all’attuale amministrazione palestinese. Forse potrebbero incontrare difficoltà nell’affrontare le questioni di sicurezza. Ma come ho sentito oggi dai colleghi, questo piano prevede anche che il trasferimento di potere possa coinvolgere gruppi di milizie locali al fine di garantire la sicurezza. È una cattiva idea? A mio parere, potrebbe essere una buona soluzione.

Ripeto: dobbiamo capire per quanto tempo questa amministrazione internazionale rimarrà in carica. Quali sono i tempi per il trasferimento dell’autorità civile? Non meno importanti sono le questioni di sicurezza. Credo che questo meriti sostegno.

Da un lato, stiamo parlando del rilascio di tutti gli ostaggi tenuti da Hamas e, dall’altro, del rilascio di un numero significativo di palestinesi dalle prigioni israeliane. È inoltre necessario chiarire quanti palestinesi, chi esattamente e in quale arco di tempo avverrebbe questo scambio.

E, naturalmente, la questione più importante: come considera la Palestina questa proposta? È assolutamente essenziale. Qui, l’opinione della regione e dell’intero mondo islamico conta, ma soprattutto quella della Palestina stessa e dei palestinesi, Hamas incluso. Ci sono atteggiamenti diversi nei confronti di Hamas, e anche noi abbiamo una nostra posizione e contatti con loro. È importante per noi che sia Hamas che l’Autorità Nazionale Palestinese sostengano tale iniziativa.

Tutte queste questioni richiedono uno studio approfondito e attento. Ma se questo piano venisse attuato, rappresenterebbe davvero un passo significativo verso la risoluzione del conflitto. Tuttavia, voglio sottolinearlo ancora una volta: il conflitto può essere risolto radicalmente solo attraverso la creazione di uno Stato palestinese.

Naturalmente, la posizione di Israele sarà cruciale. Non sappiamo ancora come ha reagito. Francamente, non ho ancora visto dichiarazioni pubbliche; semplicemente non ho avuto il tempo di guardare. Ma ciò che conta davvero non è la retorica pubblica, ma come la leadership israeliana reagirà a tutto questo e se sarà pronta ad attuare quanto proposto dal Presidente degli Stati Uniti.

Ci sono molte domande a riguardo. Ma nel complesso, se tutti questi elementi positivi che ho menzionato si unissero, potremmo assistere a una vera svolta. Una svolta di questo tipo sarebbe molto positiva.

Vorrei ripeterlo per la terza volta: la creazione di uno Stato palestinese è la pietra angolare di qualsiasi accordo globale.

Fyodor Lukyanov: Signor Presidente, è rimasto sorpreso quando un paio di settimane fa un alleato degli Stati Uniti, Israele, ha attaccato un altro alleato degli Stati Uniti, il Qatar? O ormai è considerato normale?

Vladimir Putin: Sì, sono rimasto sorpreso.

Fyodor Lukyanov: E che dire della reazione degli Stati Uniti? O meglio, della sua assenza? Come l’ha presa?

(Vladimir Putin alza le mani.)

Capisco. Grazie.

Continua…

Il presidente Putin segnala la pace a Donald Trump a Valdai

Larry C. Johnson3 ottobre
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Secondo Gil Doctorow, che considero un amico, le élite di Mosca sono molto scontente di Vladimir Putin per non aver agito con maggiore decisione per porre rapidamente fine alla guerra in Ucraina. Se Putin si sente sotto pressione da parte di queste persone, non l’ha certo fatto sapere durante il suo discorso in plenaria e la successiva sessione di domande e risposte al 22° incontro del Valdai International Discussion Club a Sochi, oggi, 2 ottobre 2025. Ho prestato particolare attenzione a ciò che il Presidente Putin ha detto su Donald Trump e sui suoi recenti commenti bellicosi.

Il Presidente Putin ha fatto diversi riferimenti al Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, riflettendo sulle sue politiche, sulla sua retorica e sul suo potenziale impatto sulle relazioni tra Stati Uniti e Russia e sui conflitti globali. Queste osservazioni si sono inserite in discussioni più ampie sulla multipolarità, sul conflitto in Ucraina e sulla leadership occidentale. Ecco un riassunto dettagliato di ciò che Putin ha detto su Trump, basato sul testo completo del discorso e sulla copertura delle domande e risposte da fonti come TASS, RT e trascrizioni del Cremlino:

  1. Sostegno alle iniziative di Trump in Medio Oriente:
    • Putin ha espresso approvazione per gli sforzi di Trump per affrontare il conflitto tra Israele e Hamas a Gaza, facendo specifico riferimento al Piano globale per porre fine al conflitto di Gaza annunciato il 29 settembre 2025. Ha dichiarato: ” Sosteniamo le iniziative del presidente Trump in Medio Oriente, in particolare i suoi sforzi per portare la pace nella regione “. Ha descritto la guerra di Gaza come una tragedia e ha inquadrato il piano di Trump come un passo costruttivo verso la de-escalation, in linea con la più ampia richiesta della Russia di soluzioni internazionali equilibrate. Avrebbe potuto definire il piano di Trump una cinica farsa, ma, come è nello stile di Putin, ha preso la strada maestra.
  2. Conflitto in Ucraina e potenziale ruolo di Trump:
    • Nel contesto della guerra in Ucraina, Putin ha compiuto un altro gesto diplomatico nei confronti di Trump quando ha affermato che il conflitto avrebbe potuto essere evitato se Trump fosse stato al potere prima, affermando: ” Se Donald Trump fosse stato presidente, o se la NATO non si fosse spinta verso i confini della Russia, questa tragedia avrebbe potuto essere evitata”. Ha lasciato intendere che l’approccio di Trump alla politica estera, percepito come meno interventista, avrebbe potuto allentare le tensioni con la Russia rispetto alle precedenti amministrazioni statunitensi.
    • Durante la sessione di domande e risposte, a Putin è stato chiesto delle recenti dichiarazioni di Trump che definivano la NATO una tigre di carta e ne mettevano in dubbio la forza. Putin ha risposto con umorismo, affermando: ” Se Trump definisce la NATO una tigre di carta, e anche la Russia lo è, allora chi è la tigre più grande? Non facciamo questi giochetti”. Ha usato questa battuta per liquidare come assurde le narrazioni occidentali sull’aggressione russa alla NATO , riconoscendo indirettamente lo scetticismo di Trump sull’efficacia della NATO.
  3. Relazioni tra Stati Uniti e Russia sotto Trump:
    • Putin si è dichiarato disponibile a ripristinare i pieni legami bilaterali con gli Stati Uniti sotto la guida di Trump, ma ha sottolineato che qualsiasi cooperazione sarà guidata dagli interessi nazionali della Russia. Ha affermato: ” Siamo pronti a collaborare con gli Stati Uniti e con il presidente Trump, ma deve avvenire a parità di condizioni, nel rispetto della nostra sovranità e dei nostri interessi”. Ciò riflette la sua posizione più ampia, secondo cui le relazioni tra Stati Uniti e Russia si sono deteriorate a causa delle politiche occidentali, non delle azioni russe.
    • Ha sottolineato i fallimenti passati nell’impegno tra Stati Uniti e Russia, facendo riferimento alle offerte respinte della Russia di aderire alla NATO, ma ha evitato di criticare direttamente Trump per le attuali politiche statunitensi, presentandolo invece come un potenziale partner per un dialogo pragmatico.
  4. L’omicidio di Charlie Kirk e le fratture sociali negli Stati Uniti:
    • In un discorso di condoglianze, Putin ha brevemente menzionato l’assassinio di Charlie Kirk, affermando: ” Esprimiamo le nostre condoglianze per l’omicidio della vostra figura pubblica, Charlie Kirk. Tali atti riflettono profonde divisioni nella società americana, che speriamo possano essere affrontate”. Pur non rivolgendosi direttamente a Trump, questo è stato interpretato come un cenno alle sfide interne della presidenza Trump, forse a indicare un interesse comune a stabilizzare i disordini interni.

Invece di criticare aspramente Trump per le recenti notizie di stampa secondo cui gli Stati Uniti avrebbero fornito all’Ucraina informazioni di intelligence per attacchi missilistici a lungo raggio in profondità nel territorio russo, Putin si è concentrato sugli aspetti positivi. Mentre Putin si è riservato di commentare la questione, il colonnello in pensione dell’esercito russo Viktor Litovkin ha offerto la sua analisi di ciò che la Russia potrebbe fare. Litovkin ha affermato :

Come Starlink un tempo faceva per il campo di battaglia e le linee del fronte, ora si estende più in profondità nel territorio russo”, secondo . Le coordinate si riferiscono alla posizione di oggetti specifici all’interno del territorio russo e alla distanza da essi.

Non è la prima volta che gli Stati Uniti minacciano la Russia di attacchi in profondità: nel novembre 2024, l’allora presidente Joe Biden diede il via libera all’Ucraina per utilizzare missili a lungo raggio forniti dagli Stati Uniti per attaccare in profondità la Russia. La Russia dispone di tutti i mezzi necessari per intercettare e contrastare tali attacchi.

La Russia potrebbe “distruggere i sistemi progettati per colpire il suo territorio, distruggendo gli aerei sugli aeroporti, sulle linee ferroviarie e sulle stazioni di carico dei vagoni dove i vagoni vengono convertiti dallo scartamento europeo a quello russo/sovietico, e così via.

Potrebbe anche “distruggere i centri di comando dell’Ucraina, compresi quelli a Kiev: edifici governativi, Ministero della Difesa, Direzione principale dell’intelligence, Direzione principale della sicurezza, ecc.

Oggi ho ripetuto l’esibizione con Danny Haiphong e il colonnello Lawrence Wilkerson, oltre alla mia consueta apparizione del giovedì con Garland Nixon:

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La sete di conflitto dell’Euro-Cabala si trasforma in una brama insaziabile_di Simplicius

La sete di conflitto dell’Euro-Cabala si trasforma in una brama insaziabile

Simplicius3 ottobre
 
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L’Europa ospita il vertice EPC a Copenhagen, dove le grida di guerra sono diventate più forti che mai, tra una forte militarizzazione e una retorica infinitamente bellicosa, che è stata un tema ricorrente qui nelle ultime settimane.

Ovunque ti giri, la mania della guerra e lo scontro sono in prima pagina 24 ore su 24, 7 giorni su 7, trasformando l’ultima moda giornalistica da se sanguina fa notizia, a quando c’è la guerra, ne serve di più:

Il generale dell’esercito francese Pierre Schill lancia l’allarme in una nuova intervista affermando che l’esercito francese deve essere pronto per un “conflitto ad alta intensità stasera“:

https://www.lepoint.fr/monde/essere-pronti-questa-sera-l’esercito-francese-di-terra-di-fronte-alle-sfide-della-guerra-ad-alta-intensità -26-09-2025-2599616_24.php

Una citazione appropriata per l’occasione:

Viktor Orban è rimasto una delle poche voci di buon senso e ragione in mezzo a questa ultima tempesta di escalation:

Ora vediamo più chiaramente che mai come funziona il meccanismo dello scontro e dell’escalation: è stata inscenata un’operazione sotto falsa bandiera con un drone sopra la Danimarca per incolpare la Russia, e ora la Francia ha sequestrato una “nave cisterna fantasma” russa vicino alle sue acque perché sospettata di aver lanciato i droni che hanno causato tanto panico in Danimarca.

Il tipo di amplificazione propagandistica deve essere visto per essere creduto. Ad esempio, in Danimarca stanno trasformando questa fantomatica minaccia dei droni in un’emergenza pubblica nei modi più scandalosi immaginabili:

Leggi il seguente riassunto dal canale RVvoenkor:

La popolazione danese si sta preparando con panico alla guerra — NYT

Le vendite di alimenti liofilizzati per il campeggio sono aumentate del 400%.

I clienti stanno prendendo d’assalto i negozi locali di articoli militari e per l’escursionismo.

I media danesi riferiscono che altri negozi stanno registrando un’impennata nella domanda di generi alimentari di emergenza, radio, riso e sgombri in scatola.

L’emittente pubblica danese ha pubblicato un rapporto intitolato “Come parlare ai propri figli dei droni e degli attacchi ibridi”.

In Danimarca, Svezia e Norvegia, le linee telefoniche della polizia sono sovraccariche perché ricevono molte chiamate da persone preoccupate per le minacce nel cielo. Spesso si tratta solo di piccoli aerei, luci di fabbriche o stelle luminose in una notte serena.

C’è solo un piccolo problema con queste narrazioni:

https://www.bild.de/politik/ausland-und-internationales/ incidente-all’aeroporto-di-norvegia-tre-tedeschi-arrestati-dopo-allarme-droni–68de7d27dc95f1f531029e21

ULTIME NOTIZIE: Tre cittadini tedeschi sono stati arrestati in Norvegia: i tre uomini sono accusati di aver fatto volare un drone martedì nella zona riservata di cinque chilometri intorno all’aeroporto di Røssvoll.

Ora, dopo aver sequestrato la cosiddetta “flotta ombra russa” denominata Boracay al largo della costa del porto francese di Saint-Nazaire, Macron afferma che tutte le petroliere russe dovrebbero essere fermate e “ritardate” per settimane al fine di comprimere deliberatamente il flusso economico che queste navi rappresentano:

Macron ha proposto di “ritardare di settimane l’arrivo delle navi della flotta ombra russa”

“ È molto importante che in questo modo si distrugga il modello di business ritardando queste navi anche solo di pochi giorni o settimane e costringendo a organizzare le consegne in modo diverso, il che riduce l’efficienza del modello di business.” Propongo, nell’ambito della “coalizione dei volenterosi”, di lavorare a stretto contatto con la NATO su come ottimizzare queste azioni congiunte”, ha affermato.

Come esempio, ha citato il fermo effettuato ieri dalla Francia al largo delle sue coste di una petroliera che stava navigando da un porto russo verso l’India.

Macron ha affermato che bloccando questa petroliera “per una o due settimane”, la Francia “ha compromesso l’efficienza delle forniture di petrolio dalla Russia”.

Come se non bastasse, il servizio segreto russo SVR avverte ora di una nuova operazione sotto falsa bandiera che Kiev sarebbe pronta a compiere. Ricordiamo che l’ultima volta abbiamo riportato il rapporto dell’SVR sulle truppe straniere che si stavano radunando a Odessa e pronte a esercitare pressioni militari sulla Moldavia. Ora l’SVR ritiene che l’Ucraina abbia mobilitato i traditori russi della famigerata “Legione della Libertà della Russia” che “si infiltreranno in Polonia” fingendo di essere forze speciali russe e bielorusse. Verranno poi catturati e sottoposti a interviste sensazionali in cui confesseranno di essere stati inviati dalla Russia per attaccare la Polonia, al fine di perpetrare ulteriormente il grande intervento della NATO che l’establishment occidentale sta cercando disperatamente di orchestrare.

Secondo il Servizio di intelligence estero russo, Kiev sta preparando una nuova provocazione di alto profilo. La provocazione è incentrata su un gruppo di sabotaggio e ricognizione schierato sul territorio polacco.

“Presumibilmente sarà composto da militari delle forze speciali russe e bielorusse. Sono stati selezionati i candidati per partecipare alla messa in scena. Si tratta di militanti della Legione Libertà della Russia e del Reggimento bielorusso K. Kalinovsky che combattono a fianco delle forze armate ucraine”, ha sottolineato l’agenzia.

Si prevede che, dopo che il gruppo di sabotaggio e ricognizione sarà stato “identificato e neutralizzato” dalle forze di sicurezza polacche, i membri del gruppo appariranno davanti ai media e confesseranno, incriminando la Russia e la Bielorussia nel tentativo di destabilizzare la situazione in Polonia. Lo scenario della provocazione è stato elaborato dalla Direzione principale dell’intelligence del Ministero della Difesa ucraino in collaborazione con i servizi segreti polacchi.

Servizio di intelligence estero russo

Questo è anche il motivo per cui le ultime voci che circolano sulle consegne di missili Tomahawk all’Ucraina sono probabilmente false, perché sembrano essere un altro tentativo di “anticipazione” da parte dei media mainstream con le loro famigerate “fonti di alto livello”, al fine di generare la massa critica di questa campagna informativa in perfetta sincronia con l’ondata di altri eventi coordinati che stanno creando.

Lo stesso vale per gli Stati Uniti che “autorizzano attacchi a lungo raggio” contro la Russia. Ciò riguarda le notizie secondo cui gli Stati Uniti potrebbero fornire assistenza in materia di intelligence per attacchi più profondi nel territorio russo. Ma ciò non ha senso per una serie di ragioni: primo, gli Stati Uniti e i loro alleati forniscono già regolarmente informazioni di intelligence all’Ucraina, molto probabilmente anche per i suoi attacchi più profondi. Secondo, ciò avrebbe importanza solo se gli Stati Uniti fornissero sistemi a lungo raggio come i Tomahawk, cosa improbabile. Per gli Stati Uniti fornire una sorta di ricognizione “extra” per i droni di cartone dell’Ucraina è privo di significato.

La produzione annuale di Tomahawk è stata di circa 50 unità all’anno, il che non lascia agli Stati Uniti alcun margine per cedere all’Ucraina la loro arma a lungo raggio più strategica.

E se fosse stato consegnato, sarebbe stato in quantità trascurabili.

Detto questo, Zelensky non si preoccupa molto dei grandi numeri perché non sta cercando di distruggere le principali industrie russe o cose simili. Anche la campagna di sciopero delle infrastrutture petrolifere e del gas, durata mesi, ha avuto scarsi risultati. La maggior parte delle “carenze” e degli altri effetti collaterali sono stati enfatizzati ed esagerati.

No, Zelensky vuole i Tomahawk solo per una cosa, e questa cosa è stata suggerita oggi da un propagandista filo-ucraino:

“Per Trump, colpire Belgorod non è una mossa eclatante. Lui ragiona su larga scala. Diverso è il caso di un blackout a Mosca. Ecco perché ora si parla di ‘Tomahawk’: ci stanno preparando a questo attacco”.

— il politologo Mikhail Sheitelman

Vedete, per Zelensky il colpo di grazia definitivo sarebbe colpire Mosca con i Tomahawk, un atto che ovviamente rappresenterebbe simbolicamente la più grande “escalation” immaginabile, poiché nella psiche russa apparirebbe come l’equivalente di un attacco degli Stati Uniti al cuore stesso della civiltà russa.

Zelensky poteva solo fantasticare su un simile colpo propagandistico, per il quale non servono necessariamente molti missili. Basterebbero molti “droni esca” per tenere occupata la difesa aerea, mentre solo una manciata di missili potrebbe teoricamente raggiungere l’obiettivo.

Dal forum Valdai di oggi, Putin risponde. È importante guardare tutti e tre i video:

La Russia sta monitorando attentamente la crescente militarizzazione dell’Europa, ha affermato Putin.

Ha aggiunto che la risposta della Russia a questa militarizzazione non tarderà ad arrivare.

«In Germania, ad esempio, si dice che l’esercito tedesco dovrebbe tornare ad essere il più potente d’Europa. Va bene. Stiamo ascoltando attentamente e osservando cosa si intende con questo».

L’altro importante punto critico che Zelensky ha cercato disperatamente di fomentare è il gioco pericoloso di colpire le centrali nucleari russe, in particolare la centrale nucleare di Zaporozhye e quella di Smolensk, come riportato da Rosatom tre settimane fa.

Dopo l’ultimo attacco che ha causato la chiusura pericolosa della centrale nucleare di Zaporizhzhya, la Russia ha immediatamente risposto—presumibilmente—chiudendo Chernobyl con un attacco alle sottostazioni vicine.

“Oggi, un attacco russo contro una delle nostre sottostazioni energetiche a Slavutych ha causato un blackout della durata di oltre tre ore presso gli ex impianti della centrale nucleare [di Chernobyl]”, ha dichiarato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky su Facebook.

La Russia ha poi continuato a bombardare diverse città ucraine, causando blackout da Chernigov a Kharkov e Sumy:

Strani video hanno suscitato grande clamore riguardo all’uso di un “nuovo tipo” di arma russa che ha illuminato il cielo di blu prima che le luci si spegnessero in tutta la città:

Probabilmente non si è trattato di nulla di speciale, ma di semplici attacchi sistematici da parte della Russia, il che implicherebbe in qualche modo che la Russia continua ad adottare un approccio “morbido” nei confronti dell’Ucraina, lasciando le città rifornite di energia solo fino a quando l’Ucraina non oltrepassa il limite con le sue provocazioni.

L’Ucraina troverà le opportunità e le armi per organizzare un “blackout a Mosca” — Capo di Stato Maggiore dell’Ucraina Andrei Gnatov

Una ricetta sicura per mantenere vivo il conflitto e mandare all’aria tutti i negoziati di pace.

Notizie RT.

Nessuno mette in dubbio la capacità dell’Ucraina di “colpire un orso negli occhi con un bastone”. Dopotutto, non è un caso che abbiano ricevuto i Tomahawk americani.

Alcuni ultimi punti di interesse:

Alla luce di tutti questi aumenti, i burattini della NATO e persino gli ex burattini rivelano quanto siano disposti a sacrificare la vita e il futuro dei loro cittadini per il loro sanguinario obiettivo ancestrale di distruggere la Russia. Jens Stoltenberg, che ora è stato riciclato attraverso quella porta girevole globalista che gira senza sosta come ministro delle Finanze della Norvegia, dice quanto segue riguardo alle preoccupazioni di bilancio del suo Paese:

Donald Tusk, nel frattempo, ha spiegato che per quanto forte sia l’Europa, l’unica cosa che le manca rispetto alla Russia è la mentalità della sua gente, in breve, la volontà di combattere:

Egli continua poi a utilizzare in modo ridicolo il PIL nominale, ormai obsoleto e irrilevante, per avanzare l’affermazione incredibilmente ignorante secondo cui le dimensioni dell’economia polacca presto eguaglieranno, e presumibilmente supereranno, quelle della Russia.

Non ha idea che più l’Occidente allontana la Russia dal dollaro e dal sistema occidentale in generale, meno conta il PIL nominale misurato in dollari.

Ma su una cosa ha ragione, e l’ho già sottolineato in precedenza: l’aspetto di gran lunga più trascurato della guerra moderna, e la chiave per vincerla, ha a che fare con l’integrità culturale di un popolo. L’Europa e gli Stati Uniti si stanno disintegrando in una totale ambiguità e dissoluzione culturale ed etnica, il loro narod o volk semplicemente non avrà il peso dell’orgoglio nazionale e dell’unità necessari per sconfiggere i russi, che sono disposti a morire senza paura per la loro patria.

Putin afferma che la Russia sta combattendo contro l’intero blocco NATO, quindi se la Russia è una “tigre di carta”, cosa rende la NATO?

Come conclusione appropriata, Putin legge una poesia di Pushkin che simboleggia i suoi sentimenti eterni nei confronti dell’isteria conflittuale dell’Occidente nei confronti della Russia:

La parte pertinente:

BORODINO ANNIVERSARY

Il grande giorno di Borodino,

Abbiamo commemorato con una festa fraterna,

Ripetendo: “Le tribù marciarono,

Minacciare la Russia con una catastrofe;

Non c’era tutta l’Europa qui?

E la cui stella lo guidò!…

Ma siamo rimasti saldi come una roccia,

E abbiamo affrontato l’assalto sui nostri petti,

Tribù obbedienti alla volontà degli orgogliosi,

E la battaglia impari era alla pari.

E poi? La loro disastrosa ritirata,

Ora hanno dimenticato, vantandosi;

Hanno dimenticato la baionetta russa e la neve,

Che seppellirono la loro gloria nel deserto.

La loro festa familiare li chiama di nuovo –

Il sangue degli slavi li inebria;

Ma i postumi saranno pesanti;

Ma il sonno degli ospiti sarà lungo,

Nella loro nuova casa, angusta e fredda,

Sotto il grano dei campi del nord!


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Solo una nazione ha un progetto nazionale per le infrastrutture per la vita: la Russia_di Karl Sanchez

Solo una nazione ha un progetto nazionale per le infrastrutture per la vita: la Russia

Karl Sánchez1 ottobre
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È sorprendente che la maggior parte delle immagini che raffigurano infrastrutture mostrino solo strade e che pochissime menzionino l’alloggio, come se un riparo non fosse uno dei bisogni più basilari.

Il vice primo ministro Marat Khusnullin è responsabile del progetto nazionale “Infrastrutture per la Vita” e ha incontrato Putin per discuterne i progressi. Ma prima di proseguire, un commentatore ha affermato quanto segue, rileggendo l’articolo precedente sulle prove a sostegno dello sviluppo politico-economico russo incentrato sulle persone:

In ogni caso, è tutta alimentata da gas e petrolio. Senza il capitale fossile, la Russia, come qualsiasi altra potenza, vale spazzatura!

Non ho idea del perché qualcuno con questa mentalità si preoccupi di rimettere insieme qualcosa con cui è in disaccordo così violentemente. L’obiettivo politico-economico non ha nulla a che fare con la quantità di risorse che una nazione deve utilizzare; piuttosto, è legato a chi deve trarre il massimo beneficio dall’economia e a come lo Stato può condividere tali benefici con i suoi cittadini e viceversa. L’idea è che le persone istituiscano un governo/Stato in modo che gli sforzi del popolo possano essere combinati a beneficio di tutti, rendendo così il popolo più forte insieme allo Stato. Questo, in sostanza, è il Comunalismo o il Mutualismo, entrambi socialisti. La chiave è l’accettazione di tale sistema da parte delle persone che lo organizzano. È documentato che piccole comunità/stati insulari hanno istituito tali sistemi e hanno vissuto in armonia per secoli senza alcun ricorso al “Capitale Fossili”, e lo stesso vale per le comunità territoriali più grandi. La chiave fondamentale è che a nessuno è permesso usurpare l’equilibrio all’interno della nazione, il che non ha nulla a che fare con il “Capitale Fossili”. Il mondo è stato globalizzato senza l’uso di combustibili fossili. Le navi che navigavano intorno al pianeta lo facevano senza essere tenute insieme dal metallo. Grandi teli di tela venivano tessuti usando solo l’energia del vento e dell’acqua. Il “Capitale Fossile” non aveva nulla a che fare con l’ascesa e il potere distruttivo dell’Impero. Né il “Capitale Fossile” aveva nulla a che fare con quelle che probabilmente sono le tre più potenti invenzioni umane – Denaro, Interessi e Debito – che sono state tutte dispositivi di controllo antecedenti l’uso dei combustibili fossili di diverse migliaia di anni. Il modo in cui una società è organizzata e governata dipende da chi la compone: se le persone che costruiscono la società sono intelligenti, la renderanno forte assicurandosi che anche i loro simili lo siano, che non si sviluppino debolezze. E perché è necessaria la forza? Per risolvere il problema della competizione per le risorse scarse. Idealmente, le persone di diverse società all’interno della stessa regione capirebbero l’inutilità di competere costantemente per le risorse disponibili e coopererebbero invece per una loro equa distribuzione. La storia purtroppo dimostra che l’umanità non ha ancora imparato completamente questa lezione, ma ciò non significa che le società debbano smettere di cercare di sviluppare stati forti dotati di una politica forte, in modo da poter diventare un esempio di ciò che è possibile. Mi viene in mente che per migliaia di anni il sale è stato più importante per l’umanità di qualsiasi altro elemento, e lo stesso vale oggi: gli esseri umani possono fare a meno dei combustibili fossili, ma non possono fare a meno del sale.

La Russia è impegnata a elaborare un sistema politico-economico superiore a tutti gli altri, lo Sviluppo incentrato sulle persone, e per favorirne la costruzione si avvale di quelli che definisce Progetti Nazionali, tutti volti a migliorare alcuni aspetti del supporto necessario alla condizione umana. Il più recente di questi è Infrastrutture per la Vita. Ecco un breve elenco: sistemi di distribuzione idrica e fognaria, abitazioni, opere di irrigazione e controllo delle inondazioni, strade per facilitare il trasporto del cibo dai campi ai consumatori e, nelle zone climatiche russe, fonti/sistemi energetici per il riscaldamento. Le strutture mediche e i mezzi di comunicazione vanno oltre i fondamentali elencati e potrebbero essere aggiunti altri, come strutture scolastiche e altre strutture comunitarie. Tutti questi elementi che la Russia ritiene necessari per promuovere la condizione umana, sebbene non tutti siano forniti dal governo, come le strutture religiose (sebbene vi siano anche alcune eccezioni). Quindi, leggiamo cosa ha riferito il Vice Primo Ministro Marat Khusnullin:

Il vice primo ministro Marat Khusnullin

V. Putin: Buongiorno!

È esattamente quello che volevo chiederti per iniziare. Avete un fronte di lavoro molto ampio. Innanzitutto, come sta procedendo il progetto Infrastructure for Life? Come si sviluppa? E per quanto riguarda la costruzione di strade, ovviamente, vorrei ascoltare.

Prego.

M.Khusnullin : Vladimir Vladimirovich, quest’anno, su vostra indicazione, abbiamo lanciato il progetto nazionale “Infrastrutture per la vita”. Va notato che, insieme ai governatori, abbiamo avviato e ristrutturato molto rapidamente i precedenti progetti nazionali.

Al momento, stiamo ancora raggiungendo tutti gli obiettivi previsti. Naturalmente, il tema chiave del nostro progetto nazionale è la costruzione di alloggi. I progressi compiuti negli ultimi anni, leggermente inferiori rispetto allo scorso anno, ci consentono di affermare con sicurezza che costruiremo oltre 100 milioni di metri quadrati di alloggi. Questo è un buon indicatore, poiché migliorerà le condizioni di vita di milioni di famiglie.

Prossima domanda. In effetti, abbiamo costruito tutte le infrastrutture attorno all’edilizia abitativa: municipali, sociali, di trasporto. E oggi vediamo che, nonostante tutto, il potenziale urbano dello sviluppo dei territori sta crescendo. Abbiamo ricevuto più soluzioni di pianificazione urbana rispetto all’anno scorso. Il volume di alloggi in costruzione è ancora piuttosto stabile. E abbiamo un ottimo risultato: è stato commissionato il 17% in più di immobili non residenziali, tra cui fabbriche, hotel, infrastrutture turistiche. In linea di principio, anche qui la situazione è buona.

Ci aspettiamo che ciò porterà a un miglioramento del 30% della qualità della vita nei 2.160 insediamenti chiave per i quali abbiamo firmato accordi con ciascun governatore, delineando cosa verrà fatto entro il 2030 e il 2036. Questi insediamenti ospitano il 75% della popolazione del nostro Paese.

Continuiamo a lavorare per migliorare l’accessibilità ai trasporti e a realizzare numerosi lavori stradali. Quest’anno, siamo in anticipo del 21% rispetto allo scorso anno in termini di costruzione e riparazione delle strade, il che garantisce che rispetteremo tutti i nostri piani di costruzione stradale entro la fine dell’anno. Vorrei sottolineare che stiamo eseguendo sia riparazioni stradali in corso sia portando avanti i nostri importanti progetti infrastrutturali.

Conosci tutti i progetti chiave, Vladimir Vladimirovich. Quest’anno abbiamo inaugurato la tratta Durtuli-Achit, l’ultima tratta da San Pietroburgo a Ekaterinburg, con 7.000 veicoli al giorno, una tratta molto richiesta. Nei primi tre mesi, viaggiavano costantemente tra 6.000 e 7.000 veicoli, inclusi 2.500 camion. Questo ha un impatto significativo sulla logistica.

Stiamo proseguendo i lavori sull’autostrada russa da San Pietroburgo a Vladivostok, ampliandola gradualmente dove necessario. Stiamo proseguendo i lavori sul corridoio Nord-Sud e sulla circonvallazione di Azov. Quest’anno abbiamo raggiunto Mariupol e abbiamo iniziato a bypassarla. A proposito, abbiamo già compiuto ottimi progressi nell’ampliamento dei tratti, arrivando a una strada a quattro corsie lungo la circonvallazione di Azov.

V. Putin: Esiste un modo per aggirare Mariupol da nord?

M. Khusnullin: Sì, stiamo aggirando Mariupol da nord e ci dirigiamo a sud. È una strada completamente nuova. Ci sono stato non molto tempo fa e ho visto che i lavori stanno procedendo a pieno ritmo.

Abbiamo intenzione di completare l’anello di Kaliningrad nell’ambito del programma di sei anni.

Ma in generale, Vladimir Vladimirovich, vorrei esprimere un enorme ringraziamento per il programma di sei anni. Quando 89 regioni avranno firmato i memorandum e avranno compreso cosa sta facendo il centro federale, cosa sta facendo il centro regionale e cosa sta facendo il centro comunale, avremo compreso la rete stradale unificata. Pertanto, questo lavoro sta procedendo molto bene. Prevediamo che concluderemo a Kaliningrad.

V. Putin: Naturalmente non finirete a Kaliningrad…

M. Khusnullin: Vladimir Vladimirovich, lei ha ripetutamente dato istruzioni, quindi prestiamo attenzione a questo.

V. Putin: E San Pietroburgo?

M. Khusnullin: A San Pietroburgo abbiamo iniziato a progettare e rimuovere parte del KAD. In altre parole, stiamo procedendo come concordato e abbiamo già iniziato questo lavoro.

Continuiamo a costruire strade lungo la costa del Mar Nero, sono in fase di progettazione. La tangenziale di Adler è in pieno svolgimento, così come la terza fase di Sochi. L’ultima volta che ci avete ordinato di visionare la strada lungo il mare fino a Novorossijsk, stavamo progettando anche questa parte dei lavori. I lavori sono in corso.

Vorrei sottolineare un altro punto molto importante: nonostante il numero di automobili sia aumentato del 9% negli ultimi cinque anni, il traffico sia aumentato del 36% e la mobilità della popolazione sia aumentata dal 30 al 100% in alcune aree , il numero di incidenti e decessi è diminuito del 9%. Ciò è dovuto al lavoro sistematico a cui avete prestato attenzione, come il miglioramento delle strade e le misure preventive adottate dal Ministero degli Interni. Stiamo lavorando su questi temi e abbiamo assistito a una diminuzione di decessi e incidenti.

V. Putin: Naturalmente molto dipende dalla qualità delle strade.

M. Khusnullin: E vorrei sottolineare che, naturalmente, continuiamo a sviluppare nuove regioni. Sono pienamente integrate nella nostra economia russa. Dal 2025, tutti i progetti sono stati implementati secondo i nostri standard. Alcune regioni si collocano addirittura a un livello medio rispetto a tutte le regioni russe in termini di attuazione dei programmi, con la Repubblica Popolare di Lugansk al 29° posto su 89 in Russia.

Il programma di costruzione stradale è stato completato quest’anno. Abbiamo pianificato ogni strada per sei anni, arrivando fino a ogni villaggio, e abbiamo pianificato quali strade saranno riparate e quando, e lo stiamo mostrando al pubblico.

Abbiamo una buona crescita nel settore finanziario. La vostra decisione di consentire l’ingresso delle grandi banche ha dato un impulso decisivo. Se abbiamo iniziato con un portafoglio prestiti di 10 miliardi, ora ne abbiamo 175 miliardi che operano nell’economia regionale. 246 imprese operano nella zona economica libera e quest’anno se ne sono aggiunte altre. Soprattutto, 2,5 milioni di residenti ricevono pensioni e prestazioni sociali nei territori. Questo processo è pienamente avviato. Con l’evoluzione della linea di contatto, stiamo entrando attivamente in questi territori e lavorando. Tutto sta procedendo secondo i piani.

Sono certo che abbiamo portato a termine tutti i compiti che ci avete assegnato e che abbiamo avviato questo lavoro in tre anni…

V. Putin: Come si comporta il mutuo?

M. Khusnullin: Per quanto riguarda i mutui, Vladimir Vladimirovich, la questione chiave è, ovviamente, che il sostegno ai mutui agevolati ha mantenuto stabile il mercato. Stiamo compensando con questo tasso di interesse milioni di persone. Non è economico per il bilancio, ma è la principale misura di sostegno che ci ha permesso finora di preservare il settore edile. Chi ha investito in appartamenti potrà riceverli. Ci incontriamo settimanalmente con ogni governatore per garantire che il mercato rimanga stabile. Le persone devono preservare i propri investimenti.

V. Putin: La decisione sui mutui agevolati è sia sociale che economica.

M. Khusnullin: Sì, Vladimir Vladimirovich.

V. Putin: Il settore edile ha bisogno di essere sostenuto.

M. Khusnullin: Continueremo. Stiamo portando avanti questo lavoro.

Avete dato istruzioni per il mercato secondario e la risoluzione per l’Estremo Oriente sta per essere emanata. Ciò significa che stiamo proseguendo questo lavoro.

V. Putin: Bene. Grazie. [Il corsivo è mio]

Abitazioni e strade, insieme al continuo recupero dei nuovi territori. Sarà interessante osservare quanto lavoro verrà dedicato dal governo alla riqualificazione di tutte le miniere. E molti hanno visto come si presenta la regione rurale del Donbass dal punto di vista stradale: è molto poco sviluppata. Le nuove strade russe stanno registrando alti tassi di utilizzo. Ma a mio parere il risultato più impressionante è nel settore immobiliare, che si sposa con una pianificazione urbana intelligente. Mi piacerebbe vedere questo tipo di sviluppo nella mia zona. La nostra contea potrebbe facilmente ospitare 20.000 unità abitative e le aziende qui ne sarebbero entusiaste. Alcuni di noi possono vedere che il Presidente Putin mette chiaramente la Russia e i russi al primo posto. Si parla molto dell’economia russa e del bilancio 2026, e ottenere informazioni oneste non è facile. Con l’ingresso di più prodotti russi nel mercato russo, l’inflazione sta calando e gli investimenti delle imprese aumenteranno perché i tassi bancari saranno più bassi. Devo ancora vedere aspettative di crescita per il 2026, anche se inizieranno presto a manifestarsi. La stagione del riscaldamento sta per iniziare, quindi mi aspetto che il consueto dibattito governativo su questo argomento e sulle attività correlate abbia luogo quanto prima.

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Una considerazione sull’analisi di Cesare Semovigo sulle elezioni in Moldavia_di Massimo Morigi

Brevissima considerazione sull’analisi di Cesare Semovigo sulle elezioni in Moldavia 

Si sottoscrive parola per parola l’analisi di Cesare Semovigo “Cose Bulgare in Moldova” pubblicato sull’ “Italia e il Mondo in data 1 ottobre 2025 , tranne che per il dettaglio che Cesare Semovigo, sembra ancora concedere un qualche credito al mito della democrazia mentre l’esempio delle  elezioni (farlocche) in Transnistria ci dice che sono state possibili non perché la c.d. democrazia occidentale ha subito un processo degenerativo nelle sue classi dirigenti (ovviamente è da considerarsi anche questo fattore, ci mancherebbe…) ma perché la c.d. liberaldemocrazia rappresentativa occidentale in ragione del mutato quadro geopolitico connotato da un sempre più marcato multipolarismo smaschera la sua struttura di dominio, ove   queste democrazie  ora si rivelano in pieno come polioligarchie competitive. Cosa che erano sempre state ma con una sostanziale differenza rispetto al passato: che la competizione fra queste oligarchie un tempo si poteva svolgere anche all’interno di ogni singolo paese (e quindi elezioni formalmente libere e con risultati reali, nel senso che premiavano in termini di politiche pubbliche e di posizioni di potere l’oligarchia vincente nel contesa elettorale, anche se senza esagerare, ovviamente, nei termini dei vincoli internazionali molto stretti della politica che poteva praticare l’oligarchia vincente) mentre ora anche le oligarchie interne dei  paesi più sottomessi al vincolo coloniale atlantico non possono palesemente nemmeno più concorrere liberamente. Semovigo definisce questa situazione non-democrazia centralizzata, io preferisco definirla situazione di polioligarchia marginalizzata a favore dei grandi agenti strategici statunitensi e dell’alleanza atlantica. Ciò è quello che è accaduto in Transnistria ed è potuto accadere perché anche noi in Italia e in Europa siamo praticamente nella stessa situazione di emarginazione delle deboli oligarchie periferiche nazionali rispetto a quelle dell’Impero nordatlantico  e sono sicuro che Cesare Semovigo, al di là di questa piccola puntualizzazione, concorda pienamente su questa analisi. Massimo Morigi, 2 ottobre 2025

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La disgregazione dell’Occidente: le minacce_di Emmanuel Todd

La disgregazione dell’Occidente: le minacce

Emmanuel Todd1 ottobre
 
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La perversità di Trump si manifesta in Medio Oriente, il bellicismo della NATO in Europa.

Su richiesta del mio editore sloveno, ho appena scritto una nuova prefazione a La sconfitta dell’Occidente, che ritengo necessario pubblicare immediatamente su Substack. La minaccia di un aggravamento di tutti i conflitti si sta concretizzando. In questo testo si trova un’interpretazione schematica e provvisoria, ma aggiornata, dello sviluppo della crisi che stiamo vivendo. Questo testo è di fatto la conclusione della mia ultima intervista con Diane Lagrange su Fréquence Populaire: « Vittoria della Russia, isolamento e frammentazione della Francia e dell’Occidente ».

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Prefazione all’edizione slovena

Dalla sconfitta alla disgregazione

A meno di due anni dalla pubblicazione in francese di La Défaite de l’Occident, nel gennaio 2024, le principali previsioni del libro si sono avverate. La Russia ha resistito militarmente ed economicamente allo shock. L’industria militare americana è esaurita. Le economie e le società europee sono sull’orlo dell’implosione. Ancor prima del crollo dell’esercito ucraino, è stata raggiunta la fase successiva della disgregazione dell’Occidente.

Sono sempre stato contrario alla politica russofoba degli Stati Uniti e dell’Europa, ma, in quanto occidentale legato alla democrazia liberale, francese formatosi nella ricerca in Inghilterra, figlio di una madre rifugiata negli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale, sono sconvolto dalle conseguenze che la guerra condotta senza intelligenza contro la Russia avrà per noi occidentali.

Siamo solo all’inizio della catastrofe. Si avvicina un punto di svolta oltre il quale si svilupperanno le conseguenze definitive della sconfitta.

Il “Resto del mondo” (o Sud globale, o Maggioranza globale), che si era limitato a sostenere la Russia rifiutando di boicottare la sua economia, ora mostra apertamente il suo sostegno a Vladimir Putin. I BRICS si stanno espandendo accettando nuovi membri e aumentando la loro coesione. Invitata dagli Stati Uniti a scegliere da che parte stare, l’India ha scelto l’indipendenza: le foto di Putin, Xi e Modi riuniti in occasione dell’incontro dell’Organizzazione di Cooperazione di Shanghai dell’agosto 2025 rimarranno il simbolo di questo momento chiave. I media occidentali continuano tuttavia a rappresentare Putin come un mostro e i russi come servi. Questi media non erano già stati in grado di immaginare che il resto del mondo li vedesse come leader e esseri umani normali, portatori di una cultura russa specifica e di una volontà di sovranità. Ora temo che i nostri media aggravino la nostra cecità, incapaci di immaginare il ritorno del prestigio della Russia nel resto del mondo, sfruttato economicamente e trattato con arroganza dall’Occidente per secoli. I russi hanno osato. Hanno sfidato l’Impero e hanno vinto.

L’ironia della storia è che i russi, popolo europeo e bianco, di lingua slava, sono diventati lo scudo militare del resto del mondo perché l’Occidente ha rifiutato di integrarli dopo la caduta del comunismo. Immagino che gli sloveni siano particolarmente ben posizionati culturalmente per apprezzare questa ironia, anche se, in qualità di antropologo della famiglia e della religione, so bene che, nonostante la sua lingua slava, la Slovenia è molto più vicina socialmente e ideologicamente alla Svizzera che alla Russia.

Posso abbozzare qui un modello della disgregazione dell’Occidente, nonostante le incoerenze della politica di Donald Trump, presidente americano della sconfitta. Queste incoerenze non derivano, a mio avviso, da una personalità instabile, e senza dubbio perversa, ma da un dilemma irrisolvibile per gli Stati Uniti. Da un lato, i loro leader, sia al Pentagono che alla Casa Bianca, sanno che la guerra è persa e che l’Ucraina dovrà essere abbandonata. Il buon senso li porta quindi a voler uscire dalla guerra. D’altra parte, però, lo stesso buon senso li porta a intuire che il ritiro dall’Ucraina avrà conseguenze drammatiche per l’Impero, che non hanno avuto quelle del Vietnam, dell’Iraq o dell’Afghanistan. Si tratta infatti della prima sconfitta strategica americana su scala planetaria, in un contesto di massiccia deindustrializzazione degli Stati Uniti e di difficile reindustrializzazione. La Cina è diventata la fabbrica del mondo; la sua bassissima fertilità, certamente, le impedirà di sostituire gli Stati Uniti, ma è già troppo tardi per competere con essa a livello industriale.

La de-dollarizzazione dell’economia mondiale è iniziata. Trump e i suoi consiglieri non riescono ad accettarlo perché significherebbe la fine dell’Impero. Eppure, un’era post-imperiale dovrebbe essere l’obiettivo del progetto MAGA, Make America Great Again, che mira al ritorno dello Stato-nazione americano. Ma per un’America la cui capacità produttiva in beni reali è oggi molto bassa (vedi capitolo 9 sulla vera natura dell’economia americana), è impossibile rinunciare a vivere a credito come fa producendo dollari. Un tale ritiro imperiale-monetario comporterebbe un brusco calo del suo tenore di vita, anche per gli elettori popolari di Trump. Il primo bilancio della seconda presidenza Trump, il “One Big Beautiful Bill Act”, rimane quindi imperiale nonostante le protezioni tariffarie che incarnano il progetto o il sogno protezionista. L’OBBBA rilancia la spesa militare e il deficit. Chi dice deficit di bilancio negli Stati Uniti dice, inevitabilmente, produzione di dollari e deficit commerciale. La dinamica imperiale, o meglio l’inerzia imperiale, continua a minare il sogno di un ritorno allo Stato-nazione produttivo.

In Europa, la sconfitta militare rimane poco compresa dai leader. Non sono stati loro a dirigere le operazioni. È stato il Pentagono a mettere a punto i piani della controffensiva ucraina dell’estate 2023 (durante la quale ho scritto La sconfitta dell’Occidente). I militari americani, anche se hanno fatto combattere la guerra dal loro proxy ucraino, sanno di essersi schiantati contro la difesa russa, perché non sono riusciti a produrre abbastanza armi e perché i militari russi sono stati più intelligenti di loro. I leader europei hanno fornito solo sistemi d’arma, e non quelli più importanti. Inconsapevoli della portata della sconfitta militare, sanno invece che le loro economie sono state paralizzate dalla politica delle sanzioni, in particolare dall’interruzione delle forniture di energia russa a basso costo. Tagliare in due il continente europeo dal punto di vista economico è stato un atto di follia suicida. L’economia tedesca è in stagnazione. Ovunque in Occidente aumentano la povertà e le disuguaglianze. Il Regno Unito è sull’orlo del baratro. La Francia lo segue da vicino. Le società e i sistemi politici sono bloccati.

Una dinamica economica e sociale negativa preesisteva alla guerra e metteva già sotto pressione l’Occidente. Era visibile, in misura diversa, in tutta l’Europa occidentale. Il libero scambio ne mina la base industriale. L’immigrazione sviluppa una sindrome identitaria, in particolare nelle classi popolari prive di posti di lavoro sicuri e adeguatamente retribuiti.

Più in profondità, la dinamica negativa della frammentazione è culturale: l’istruzione superiore di massa crea società stratificate in cui le persone con un livello di istruzione superiore – il 20%, 30%, 40% della popolazione – iniziano a vivere tra loro, a considerarsi superiori, a disprezzare gli ambienti popolari, a rifiutare il lavoro manuale e l’industria. L’istruzione primaria per tutti (l’alfabetizzazione universale) aveva alimentato la democrazia, creando una società omogenea il cui subconscio era egualitario. L’istruzione superiore ha generato oligarchie, e talvolta plutocrazie, società stratificate invase da un subconscio inegualitario. Paradosso estremo: lo sviluppo dell’istruzione superiore ha finito per produrre in queste oligarchie o plutocrazie un abbassamento del livello intellettuale! Avevo descritto questa sequenza più di un quarto di secolo fa in L’Illusion économique, pubblicato nel 1997. L’industria occidentale si è trasferita nel resto del mondo e, naturalmente, anche nelle ex democrazie popolari dell’Europa orientale che, liberate dalla loro sudditanza alla Russia sovietica, hanno ormai ritrovato il loro status plurisecolare di periferia dominata dall’Europa occidentale. Nel capitolo 3 parlo in dettaglio di questa sorta di Cina interna dove gli operai dell’industria sono ancora numerosi. Ovunque in Europa, tuttavia, l’elitarismo dei laureati ha generato il «populismo».

La guerra ha fatto salire di un grado la tensione in Europa. Sta impoverendo il continente. Ma soprattutto, come grave fallimento strategico, sta delegittimando i leader incapaci di condurre i loro paesi alla vittoria. Lo sviluppo dei movimenti popolari conservatori (di solito definiti dalle élite giornalistiche con termini come “populisti” o “di estrema destra” o “nazionalisti”) sta accelerando. Reform UK nel Regno Unito. AfD in Germania, Rassemblement national in Francia… Ironia della sorte: le sanzioni economiche con cui la NATO sperava di ottenere un “cambio di regime” in Russia stanno per portare in Europa occidentale una cascata di “cambi di regime”. Le classi dirigenti occidentali sono delegittimate dalla sconfitta proprio nel momento in cui la democrazia autoritaria russa è relegittimata dalla vittoria, o meglio, sovralegittimata, poiché il ritorno della Russia alla stabilità sotto Putin le assicurava fin dall’inizio una legittimità incontestata.

Questo è il nostro mondo all’approssimarsi del 2026.

La disgregazione dell’Occidente assume la forma di una «frattura gerarchica».

Gli Stati Uniti rinunciano al controllo della Russia e, sempre più convinto, anche della Cina. Sottoposti al blocco cinese sulle importazioni di samario, un metallo raro indispensabile per l’aeronautica militare, gli Stati Uniti non possono più sognare di affrontare militarmente la Cina. Il resto del mondo – India, Brasile, mondo arabo, Africa – ne approfitta e sfugge al loro controllo. Ma gli Stati Uniti si rivoltano con forza contro i loro “alleati” europei e dell’Asia orientale, in un ultimo tentativo di sfruttamento eccessivo e, bisogna ammetterlo, anche per puro e semplice dispetto. Per sfuggire alla loro umiliazione, per nascondere al mondo e a se stessi la loro debolezza, puniscono l’Europa. L’Impero si sta divorando da solo. Questo è il significato dei dazi e degli investimenti forzati imposti da Trump agli europei, diventati sudditi coloniali di un impero ridotto piuttosto che partner. Il tempo delle democrazie liberali solidali è finito.

Il trumpismo è un «conservatorismo popolare bianco». Ciò che sta emergendo in Occidente non è una solidarietà dei conservatorismi popolari, ma una rottura delle solidarietà interne. La rabbia che deriva dalla sconfitta porta ogni paese, per placare il proprio risentimento, a rivoltarsi contro chi è più debole di lui. Gli Stati Uniti si rivoltano contro l’Europa o il Giappone. La Francia riattiva il suo conflitto con l’Algeria, ex colonia. Non c’è dubbio che la Germania, che da Scholz a Merz ha accettato di obbedire agli Stati Uniti, rivolgerà la sua umiliazione contro i suoi partner europei più deboli. Il mio Paese, la Francia, mi sembra il più minacciato.

Uno dei concetti fondamentali della sconfitta dell’Occidente è il nichilismo. Spiego come lo “stato zero” della religione protestante – la secolarizzazione giunta al termine – non spieghi solo il crollo educativo e industriale americano. Lo stato zero apre anche un vuoto metafisico. Personalmente non sono credente e non milito per alcun ritorno del religioso (non lo ritengo possibile), ma come storico devo constatare che la scomparsa dei valori sociali di origine religiosa porta a una crisi morale, a una spinta alla distruzione delle cose e degli uomini (la guerra) e, in ultima analisi, a un tentativo di abolizione della realtà (il fenomeno transgender per i democratici americani e la negazione del riscaldamento globale per i repubblicani, ad esempio). La crisi esiste in tutti i paesi completamente secolarizzati, ma è più grave in quelli in cui la religione era il protestantesimo o l’ebraismo, religioni assolutistiche nella loro ricerca del trascendente, piuttosto che il cattolicesimo, più aperto alla bellezza del mondo e della vita terrena. È proprio negli Stati Uniti e in Israele che si assiste allo sviluppo di forme parodistiche delle religioni tradizionali, parodie che a mio avviso sono di natura nichilista.

Questa dimensione irrazionale è al centro della sconfitta. Quest’ultima non è quindi solo una perdita “tecnica” di potere, ma anche un esaurimento morale, un’assenza di obiettivi esistenziali positivi che porta al nichilismo.

Questo nichilismo è alla base della volontà dei leader europei, in particolare quelli dei paesi protestanti del Baltico, di ampliare la guerra contro la Russia con continue provocazioni. Questo nichilismo è anche alla base della destabilizzazione americana del Medio Oriente, luogo per eccellenza in cui si esprime la rabbia derivante dalla sconfitta americana nei confronti della Russia. Soprattutto, non cediamo all’evidenza troppo facile di un’autonomia bellica del regime di Netanyahu in Israele nel genocidio di Gaza o nell’attacco contro l’Iran. Il protestantesimo zero e l’ebraismo zero mescolano certamente in modo tragico i loro effetti nichilisti in questi accessi di violenza. Ma in tutto il Medio Oriente sono gli Stati Uniti che, fornendo armi e talvolta attaccando essi stessi, sono in ultima analisi i responsabili del caos. Spingono Israele all’azione come hanno spinto gli ucraini. La prima presidenza Trump aveva stabilito l’ambasciata degli Stati Uniti a Gerusalemme ed è stato proprio Trump il primo a immaginare Gaza trasformata in una località balneare. Sono consapevole che ci vorrebbe un libro per dimostrare questa tesi, un libro che smontasse una ad una le interazioni tra gli attori. Ma, essendo storico di professione e occupandomi di geopolitica da mezzo secolo, sento che, come l’Europa della NATO, Israele ha smesso di essere uno Stato indipendente. Il problema dell’Occidente è proprio la morte programmata dello Stato-nazione.

L’Impero è vasto e si sta sgretolando nel rumore e nella furia. Questo Impero è già policentrico, diviso nei suoi obiettivi, schizofrenico. Ma nessuna delle sue parti è del tutto indipendente. Trump è il suo attuale «centro»; è anche la sua migliore espressione ideologico-pratica in quanto unisce una volontà razionale di ripiegarsi sulla sua sfera di dominio immediato (l’Europa e Israele) a impulsi nichilisti che prediligono la guerra. Queste tendenze – ripiegamento e violenza – si esprimono anche all’interno del cuore americano dell’Impero, dove il principio di frattura gerarchica funziona internamente. Un numero sempre maggiore di autori anglo-americani evoca l’arrivo di una guerra civile.

La plutocrazia americana è pluralista. C’è quella dei finanzieri, quella dei petrolieri, quella della Silicon Valley. I plutocrati trumpisti, i petrolieri texani o i recenti sostenitori della Silicon Valley, disprezzano le élite democratiche istruite della costa orientale, che a loro volta disprezzano i piccoli bianchi trumpisti dell’heartland, che a loro volta disprezzano i neri democratici, ecc…

Una delle particolarità interessanti dell’America attuale è che i suoi leader hanno sempre più difficoltà a distinguere tra interno ed esterno, nonostante il tentativo di MAGA di fermare con un muro l’immigrazione proveniente dal sud. L’esercito spara sulle imbarcazioni che escono dal Venezuela, bombarda l’Iran, entra nel centro delle città democratiche degli Stati Uniti, commissiona all’aviazione israeliana un attacco al Qatar, dove si trova un’enorme base americana. Qualsiasi lettore di fantascienza riconoscerà in questo elenco inquietante l’inizio di un’entrata nella distopia, cioè in un mondo negativo in cui si mescolano potere, frammentazione, gerarchia, violenza, povertà e perversità.

Restiamo quindi noi stessi, fuori dall’America. Conserviamo la nostra percezione dell’interno e dell’esterno, il nostro senso della misura, il nostro contatto con la realtà, la nostra concezione di ciò che è giusto e bello. Non lasciamoci trascinare in una fuga in avanti bellicosa dai nostri stessi leader europei, questi privilegiati smarriti nella storia, disperati per essere stati sconfitti, terrorizzati all’idea di essere un giorno giudicati dai loro popoli. E soprattutto, soprattutto, continuiamo a riflettere sul senso delle cose.

Parigi, 28 settembre 2025

“Invasione dall’interno”: Il piano di Trump per l’uso dell’esercito nelle città statunitensi_di Veronika Kyrylenko e Karl Sànchez_Un manifesto per l’Italia

Due articoli che sottolineano due finalità ed aspetti opposti del piano di riforma dell’esercito e delle nuove priorità strategiche del ridenominato Ministero della Guerra. Opposti ma, a ben guardare, non in contraddizione tra loro. Li accomuna, però, un allarmismo legalitario sulla natura del “regime trumpiano” che spinge a distorcere la natura dello scontro politico in essere negli Stati Uniti e a travisare sia gli obbiettivi politici degli schieramenti sul campo, sia chi dovrebbe essere l’avversario principale nell’ottica dell’affermazione della difesa degli interessi nazionali statunitensi, nell’ottica dell’accettazione di un ridimensionamento del proprio peso geopolitico, e soprattutto degli interessi nazionali, intesi come ricomposizione del blocco sociale dominante, dell’Italia. Quello che è effettivamente un rischio, nei due articoli è rappresentato come una realtà consolidata, a cominciare dalla natura “fascista di quel regime”. Un giudizio che, come in altre occasioni, accomuna le componenti politiche restauratrici e radicalmente protestatarie presenti nel panorama composito europeo e statunitense.

Non si vuol comprendere, più o meno coscientemente, che gli Stati Uniti stanno scivolando sempre più verso una condizione di “stato di eccezione” che:

  • Sta disaggregando al proprio interno gli apparati di ordine ed amministrativi dello stato federale e degli stati federati secondo logiche di appartenenza alle fazioni in lotta già presenti da tempo soprattutto ad opera dell’area demo-neoconservatrice. Fazioni che non possono essere poste allo stesso livello. Quello messo in discussione è un blocco storico di potere, consolidato ed incrostato, capace sino ad ora di liquidare gli ostacoli, tra di essi i presidenti scomodi, lungo il loro cammino; aggrappato ad una visione imperiale incapace di riconoscere contendenti. Una condizione conflittuale che, ormai, si sta insinuando all’interno stesso dell’attuale amministrazione presidenziale, proprio per la crisi di rappresentanza che sta subendo il partito democratico.
  • Uno stato di eccezione che fa largo uso di assassinii, stragi di apparente natura psicotica, manifestazioni di piazza, più o meno promiscue, di mera espressione strumentale di malcontento. Cose già viste anche durante la prima presidenza di Trump.
  • Una condizione che sta spingendo sempre più la presidenza a privilegiare in assoluto le esigenze di politica interna in uno scambio, non si sa quanto consapevole, ma comunque pernicioso e alla fine velleitario,   tra una maggiore agibilità in politica interna e un progressivo lasciapassare alle mene interventiste neoconservatrici in politica estera. Un lasciapassare, specie in Europa, concesso nella speranza che la fazione avversa si cacci in un vicolo cieco disastroso in assenza di una propria capacità politica a determinarne l’esito.
  • Velleitario soprattutto in quanto Trump, per conseguire risultati sul piano della reindustrializzazione del proprio paese, ha bisogno di almeno un paio di decenni di relazioni internazionali meno turbolente in particolare con Russia e Cina. L’esatto contrario di quanto stanno determinando le attuali dinamiche geopolitiche e di quanto da lui stesso assicurato alla componente maggioritaria di MAGA, il movimento dalla cui esistenza Trump non può prescindere.

Le conseguenze di questa direzione impressa sono ormai sempre più evidenti:

  • La componente demo-neocon, in parte disarticolata all’interno degli Stati Uniti, ha confermato salde radici  e il pieno controllo delle leve all’estero, in particolare in Europa e con qualche increspatura in Medio Oriente. Ha mostrato notevoli capacità, pur con esito incerto, di fomentare disordini  e colpi di mano, specie nel circondario russo e, nel prossimo futuro, negli stessi Stati Uniti. Da qui il sardonico “laissez faire” di Trump in Europa e la sua crescente complicità in Medio Oriente, pur nel reiterato, spesso goffo  tentativo di ridurre Netanyahu a comprimario dello scacchiere medio-orientale
  • Le leadership e la quasi totalità delle classi dirigenti europee non sono solo umili ed insignificanti serventi, ma parti attive, determinanti  delle politiche russofobe ostili e interventiste contro la Russia sino a sacrificare pesantemente, per la propria disperata sopravvivenza, gli interessi, anche vitali, della grande maggioranza della propria popolazione. Ceti dominanti che vivono e sopravvivono degli intrecci di interessi di questo sistema di potere. E in caso di alternative, disposte ad accettare cappi ancora più stringenti, vedi gli accordi sui dazi e la suicida politica di riarmo, piuttosto che sfruttare le opportunità offerte da uno scontro politico in atto. Sono GLI AVVERSARI E I NEMICI da combattere e spodestare qui in Europa!

Ricondurre ad “unicum” autoritario, se non addirittura “fascista”, le diverse fazioni in lotta tra di loro negli Stati Uniti porta a travisare e a ritenere concluso un virale conflitto politico dall’esito ancora incerto e a mettere in ombra l’avversario principale sul quale concentrare le attenzioni.

Cantonate clamorose, purtroppo non nuove.

Cantonate dal sapore più che altro coreografico, ma aggiunto al peso determinante delle politiche delle leadership europee, le quali  stanno ricacciando sempre più Trump, non presumibilmente la componente maggioritaria di MAGA, nella commistione con i neocon, piuttosto che separarlo sempre più nettamente da essi, come richiederebbero il perseguimento degli interessi strategici dei principali paesi europei. Da qui il suo lasciar fare agli europei e alla loro crescente esposizione nella responsabilità del conflitto in Ucraina ed oltre con la Russia, a vantaggio dei profitti del complesso  militar-industriale statunitense e di una più articolata divisione di compiti nell’agone internazionale.

Quasi tutte le dirigenze politiche europee, comprese quelle italiane, sono direttamente responsabili di queste scelte.

È il momento di recuperare la parola d’ordine costitutiva, dieci anni fa, del manifesto del sito l’Italia e il mondo:.

La postura di NEUTRALITÀ VIGILE dell’ITALIA

Di conseguenza:

L’ITALIA NON  È IN GUERRA CON LA RUSSIA

Per tanto:

RITIRO IMMEDIATO DI OGNI FORZA MILITARE ITALIANA DAI CONFINI DELLA RUSSIA, visto anche il carattere non vincolante dell’articolo 5 del trattato istitutivo della NATO

Da qui deve discendere ogni discorso e programma sulla condizione economica, sociale e politica dell’Italia nel nuovo contesto multipolare_Giuseppe Germinario

“Invasione dall’interno”: Il piano di Trump per l’uso dell’esercito nelle città statunitensi

 di Veronika Kyrylenko 1 ottobre 2025    

“Invasion From Within”: Trump’s Plan to Use the Military in U.S. Cities
Immagini AP

Articolo audio sponsorizzato da The John Birch Society

Martedì il Presidente Trump ha tenuto un discorso ai capi di Stato Maggiore, al suo segretario alla Guerra e agli alti comandanti (la trascrizione è disponibile qui) presso la base dei Marine Corps Quantico in Virginia. La sessione è stata convocata per esaminare la prontezza militare, le priorità di bilancio e le prossime iniziative. L’ordine del giorno comprendeva i nuovi programmi di armamento, l’espansione della struttura delle forze e il cambiamento di dottrina dell’amministrazione sotto il nuovo nome di “Dipartimento della guerra“. Si è trattato sia di un briefing politico che di una direttiva, che ha delineato le missioni che Trump si aspetta che le forze armate intraprendano nel prossimo anno.

Tuttavia, l’elemento più sorprendente del discorso non sono state le cifre del bilancio o gli annunci di hardware, ma il linguaggio usato da Trump per descrivere la situazione interna della nazione. Ha avvertito che l’America è sotto attacco, non dall’estero ma dall’interno:

Siamo sotto un’invasione dall’interno, non diversa da quella di un nemico straniero, ma più difficile sotto molti aspetti…

L’esercito, ha sottolineato, dovrebbe difendere non solo i confini della nazione ma anche le sue strade, trattando i disordini interni come un teatro di guerra.

D.C. come caso di studio

Trump ha preso in considerazione Washington D.C. come prova di concetto per la sua visione di intervento militare nelle città americane. L’11 agosto ha firmato l’Ordine esecutivo 14333 che pone il Metropolitan Police Department (MPD) sotto il controllo federale. L’ordine mobilitava anche la Guardia Nazionale di Washington sotto il comando federale e richiamava unità della Guardia da altri Stati per “aumentare la missione“. Trump ha giustificato la presa di potere citando una “emergenza criminalità”, anche se sia i dati indipendenti che quelli ufficiali (vedi qui e qui) mostravano che la criminalità violenta nella capitale era già ai minimi da 30 anni o quasi.

Davanti ai generali, ha inquadrato l’operazione come un successo schiacciante:

Washington D.C. era la città più insicura e pericolosa degli Stati Uniti d’America…. E ora… dopo 12 giorni di forte intensità, abbiamo eliminato 1.700 criminali di carriera…. L’ho attraversata in macchina due giorni fa, era bellissima…. Washington D.C. è ora una città sicura.

Ma questa affermazione porta con sé una contraddizione. Se Washington è ora “quasi la nostra città più sicura”, perché mantenere la polizia federalizzata e una Guardia militare nelle strade? Trump presenta la repressione come un successo finito e allo stesso tempo come una necessità continua. A suo dire, 1.700 criminali sono spariti, ma l’emergenza rimane, per ora estesa fino a dicembre. La capitale diventa non solo la prova dell'”ordine ristabilito”, ma anche una motivazione permanente per esportare il modello altrove.

Le “zone di guerra” democratiche

Dall’esempio di Washington, Trump è passato a una cornice urbana più ampia. Ha criticato la governance democratica:

I democratici gestiscono la maggior parte delle città che sono in cattive condizioni…. Ma sembra che quelle gestite dai Democratici della sinistra radicale, quello che hanno fatto a San Francisco, Chicago, New York, Los Angeles, siano luoghi molto insicuri e noi le raddrizzeremo una per una.

Ha reso esplicita la sua visione militarizzata:

E questa sarà una parte importante per alcune delle persone presenti in questa stanza. Anche questa è una guerra. È una guerra dall’interno.

Da quel momento, il discorso si è trasformato in una ripetizione e in un’improvvisazione. Trump ha mescolato gli avvertimenti sulla criminalità urbana con la narrazione dell’immigrazione:

Abbiamo avuto milioni di persone che sono entrate, che si sono riversate. 25 milioni in tutto…. Molti di loro non dovrebbero mai essere nel nostro Paese. Prendevano le loro persone peggiori…. le mettevano in una carovana e le facevano salire a piedi.

Poi è arrivata la proposta sorprendente:

Ho detto al [Segretario alla Guerra] Pete [Hegseth] che dovremmo usare alcune di queste città pericolose come campi di addestramento per la nostra Guardia Nazionale militare, ma militare, perché andremo a Chicago molto presto.

Chicago

Chicago è stato l’esempio principale di Trump. Ha ridicolizzato la leadership dello Stato in termini crudi:

È una grande città, con un governatore incompetente, un governatore stupido…. La scorsa settimana hanno avuto 11 persone assassinate, 44 persone uccise…. Ogni fine settimana ne perdono cinque, sei. Se ne perdono cinque, la considerano una grande settimana. Non dovrebbero perderne nessuno.

Il linguaggio è stato concepito per dipingere l’immagine di una città al collasso totale, un campo di battaglia che invoca le truppe federali. Ma i fatti raccontano una storia più complicata. Nella prima metà del 2025, le sparatorie e gli omicidi a Chicago sono diminuiti di oltre il 30% rispetto all’anno precedente. I funzionari della città hanno celebrato l’estate come la più sicura dal 1965.

Tutto ciò non significa che Chicago sia priva di tragedie. La città è ancora teatro di brutali fine settimana: durante il Labor Day, 58 persone sono state colpite, otto in modo mortale. A luglio, una sparatoria di massa a una festa per l’uscita di un album ha causato quattro morti e 14 feriti. La violenza di quartiere, concentrata in poche aree, rimane ostinata e devastante.

Ma questo non significa che la città sia “fuori controllo”. Eppure Trump propone di dispiegare l’esercito in una città in cui la criminalità violenta è, a detta di tutti, gestibile – perché dice che un governatore è “stupido”. Trattare una delle più grandi città americane come una “zona di guerra”, utile soprattutto per dimostrare chi, secondo le sue parole, è “il capo”.

Portland

Trump ha poi preso di mira Portland:

Portland, Oregon, dove sembra una zona di guerra…. A meno che non stiano riproducendo dei nastri falsi, questa sembrava la Seconda Guerra Mondiale. La tua casa sta bruciando…. Questo posto è un incubo.

Trump l’ha collegata direttamente all’opposizione all’applicazione della legge sull’immigrazione:

Se la prendono con il nostro personale dell’ICE, che è un grande patriota.

Le proteste si sono concentrate davanti alla struttura ICE di Macadam Avenue, a partire dall’inizio di giugno. I dimostranti hanno inscenato sit-in e marce, accusando l’agenzia di pratiche di detenzione abusive e chiedendo la chiusura della struttura. Il 12 giugno la polizia ha arrestato 10 manifestanti. Allo stesso tempo, gli agenti federali sono stati riportati a sparare palle di pepe e altre munizioni dal tetto dell’edificio contro i manifestanti che bloccavano il vialetto. La città ha registrato molteplici casi di utilizzo di munizioni chimiche nei quartieri vicini, sollevando preoccupazioni per la salute pubblica, la sicurezza e la costituzione.

Dal punto di vista legale, la linea è chiara: interrompere o ostacolare il lavoro delle forze dell’ordine federali è un reato federale. Alcuni manifestanti di Portland sono stati arrestati proprio per questi motivi. Ma gran parte dell’attività è rimasta un dissenso legittimo ai sensi del Primo Emendamento.

Trump ha cancellato questa distinzione. Un movimento di protesta – disordinato, controverso e che a volte sconfina nell’illegalità – è diventato, secondo lui, un campo di battaglia degno di un’occupazione militare.

“Loro sputano, noi colpiamo”

Trump ha trasformato il controllo della folla in una dottrina di combattimento. Ha descritto i manifestanti che sputavano in faccia ai soldati e ha annunciato una nuova regola: “Se sputano, colpiamo”.

Ha poi descritto sassi e mattoni che hanno distrutto i veicoli federali e ha dichiarato:

Esci da quell’auto e puoi fare quello che vuoi.

Certo, sputare a un agente è spregevole e talvolta criminale, ma non è una licenza per “colpire”. Allo stesso modo, comandi vaghi come “fate quello che diavolo volete” in situazioni percepite come pericolose per la vita invitano all’eccesso, alla responsabilità civile e all’abuso politico. Il pericolo non è solo quello che i civili potrebbero fare in strada, ma anche quello che i soldati potrebbero credere di essere liberi di fare a loro volta.

Matematica elastica

È opportuno notare con quanta disinvoltura Trump pieghi i numeri per giustificare il coinvolgimento militare nella vita domestica, soprattutto in materia di immigrazione. In campagna elettorale, il suo team ha messo in guardia gli anziani dai “10 milioni di clandestini” che avrebbero avuto diritto alla sicurezza sociale. Questo numero deriva dagli incontri alla frontiera, una misura che include gli attraversamenti ripetuti e le espulsioni.

Anche alleati come il rappresentante Chip Roy (R-Texas) hanno usato numeri più piccoli. Il suo rapporto sul 2020 parlava di 8,5 milioni di attraversamenti, con 5,6 milioni di rilasci e due milioni di “fughe”.

Tornato in carica, Trump ora dichiara “25 milioni in tutto”. La cifra cresce ad ogni replica.

Non c’è dubbio che l’immigrazione clandestina imponga dei costi, dai bilanci locali alla droga e al traffico. Ma la distorsione di Trump non riguarda la precisione. È fatta per trasformare un problema legittimo in un pretesto per trattare le città statunitensi come campi di battaglia militari.

Una nuova unità domestica

Trump ha ricordato al suo pubblico che la macchina è già in moto:

Il mese scorso ho firmato un ordine esecutivo per la formazione di una forza di reazione rapida che possa aiutare a sedare i disordini civili.

L’ordine ordina al segretario alla Guerra di creare un nuovo braccio di polizia all’interno della Guardia Nazionale di Washington, “dedicato a garantire la sicurezza e l’ordine pubblico nella capitale della Nazione”, in “altre città” e persino “a livello nazionale”. I membri possono essere incaricati dal procuratore generale, dal segretario agli Interni o dal segretario alla Sicurezza interna di far rispettare le leggi federali – una commistione di ruoli che cancella il confine tra soldati e polizia.

Trump ha citato i presidenti del passato che hanno utilizzato le truppe per l’ordine interno. Invocando il giuramento contro “tutti i nemici, stranieri e interni”, ha chiarito che il “domestico” fa ora parte della missione militare.

Campi di addestramento

I commentatori spesso ignorano la retorica di Trump come una spacconata. Ma quando il comandante in capo dice ai generali che le città americane dovrebbero servire come “campi di addestramento”, non può essere ignorato.

Nella pratica militare, i campi di addestramento sono spazi controllati con regole di sicurezza e supervisione legale. Trump li ha trasformati in vere e proprie città, trattando le comunità come campi di battaglia piuttosto che come luoghi in cui vivono milioni di persone.

Questo cambiamento non è simbolico. Pronunciato dalla massima autorità militare della nazione, non è tanto una metafora quanto una direttiva. Il divario tra retorica e politica è pericolosamente sottile quando chi parla può impartire ordini. Quello che Trump inquadra come prontezza è, in effetti, un invito a militarizzare la vita civile.

Legge e Costituzione

La base legale per l’approccio di Trump è traballante. La legge Posse Comitatus impedisce alle truppe federali di svolgere attività di polizia civile. L’Insurrection Act consente eccezioni, ma solo in caso di emergenze specifiche come l’insurrezione o il collasso dell’autorità statale. L’uso delle città come “campo di addestramento” farebbe allungare a dismisura lo statuto.

La Guardia Nazionale è il cardine. Sotto l’autorità statale, i membri della Guardia possono far rispettare la legge. Una volta federalizzati, non possono. Una “forza di reazione rapida” controllata dal governo federale per le proteste della polizia offusca questo confine e invita all’abuso.

La gravità delle mosse di Trump è difficile da sopravvalutare. Rischiano di trasformare le forze armate da scudo contro gli attacchi stranieri a strumento di controllo interno, erodendo gli stessi limiti destinati a preservare una repubblica libera e creando un precedente che i futuri presidenti potrebbero sfruttare.

Categoria Criminalità Caratteristiche Stati Uniti



Veronika Kyrylenko

Veronika Kyrylenko

Veronika è una scrittrice con la passione di chiedere conto ai potenti, indipendentemente dalla loro appartenenza politica. Con un dottorato di ricerca in Scienze politiche conseguito presso l’Università nazionale di Odessa (Ucraina), porta un occhio analitico acuto alla politica interna ed estera, alle relazioni internazionali, all’economia e alla sanità.

Il lavoro di Veronika è guidato dalla convinzione che valga la pena difendere la libertà e si dedica a tenere informato il pubblico in un’epoca in cui il potere opera spesso senza controllo.

Una nota molto breve e importante

Karl Sánchez1 ottobre
 LEGGI NELL’APP 

Ho appena finito di pubblicare il seguente commento su Moon of Alabama e ora lo faccio qui perché le informazioni contenute nelle tre chat linkate sono di troppo grave importanza per non diffondersi ovunque. I video mostrati durante quelle chat sono altrettanto importanti, poiché forniscono il contesto per il commento che segue. So che si sono svolte altre chat che probabilmente conterranno informazioni vitali. Chiedo ai lettori di linkare ciò che hanno guardato nelle ultime 48 ore nei commenti, insieme a una breve sinossi del perché dovrebbero essere guardati, in modo che altri possano fare lo stesso. L’ultimo “Accordo di Gaza” è una stronzata al 100% e mira a placare la folla antisionista globale, che ora è la netta maggioranza, e gli aerei da guerra imperiali sono in viaggio verso le basi in Asia occidentale in un’escalation simile a quella che abbiamo visto a giugno prima della Guerra dei 12 Giorni. Ora il mio commento:

Ho guardato tre chat: Max Blumenthal e il Colonnello Wilkerson con Nima e il Colonnello con il Giudice Nap . Di solito non mi turbano troppo le informazioni rivelate durante queste chat, ma oggi è stato diverso: alcune parti di tutte e tre erano inquietanti, non solo lo spettro della guerra all’orizzonte, ma la profondità del fascismo qui all’interno dell’Impero Fuorilegge degli Stati Uniti. E non vedo il Colonnello Wilkerson avere TDS. Pensate a cosa ha insinuato Trump quando ha detto che le città americane saranno usate come campi di addestramento per le aree urbane che presto invaderemo. O Hegseth che dice che non ci sono più leggi di guerra, né regole di ingaggio. L’Impero Fuorilegge degli Stati Uniti è diventato completamente sionista ai massimi livelli di leadership . Ciò che Hegseth ha detto non è più applicabile sono i trattati che fanno parte della Costituzione e che tutti quegli ufficiali di bandiera hanno giurato di difendere. Le tre chat durano circa due ore e quaranta minuti. Anche se non siete americani, guardatele perché tutta questa roba che sta succedendo influenzerà anche voi.

Sì, il fascismo all’interno dell’Impero Fuorilegge degli Stati Uniti è ai livelli della Guerra Fredda degli anni ’50. Le chat descrivono questo e molto altro.

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La scorsa settimana, l’ex comandante in capo delle forze armate ucraine Valery Zaluzhny ha scritto un altro articolo strategico informativo sulla guerra in Ucraina, che funge da aggiornamento tecnologico del suo precedente articolo scritto nel 2023.

Ricorderete che il precedente articolo prescriveva in modo famigerato la vittoria dell’Ucraina invocando l’inondazione del Paese con progetti tecnologici eccessivamente ambiziosi come i “robot al plasma sotterranei” in grado di aggirare la “terra di nessuno” imposta dai droni in superficie. All’epoca avevo trattato l‘argomento in un articolo:

Zaluzhny scrive un editoriale per The Economist: “Come vincere la guerra” – Analisi
Simplicius·3 novembre 2023
Zaluzhny Pens Oped for The Economist: "How to Win the War" - Analysis
The Economist ha pubblicato un nuovo editoriale scritto nientemeno che da Valery Zaluzhny, comandante in capo delle forze armate ucraine.
Leggi l’articolo completo

La nuova impresa è comprensibilmente molto più realistica: forse il tempo ha dato a Zaluzhny una prospettiva critica sugli errori commessi nel credere che irrealistiche “armi miracolose” e “rivoluzioni” fossero la chiave per la salvezza dell’Ucraina.

Il nuovo articolo può essere letto integralmente qui: https://zn.ua/eng/innovation-as-core-of-strategic-resilience-denying-russia-the-power-to-dictate-terms-through-war.html

https://zn.ua/eng/innovation-come-elemento-centrale-della-resilienza-strategica-negando-alla-Russia-il-potere-di-dettare-le-condizioni-attraverso-la-guerra.html

Innanzitutto, notiamo brevemente la differenza simbolica in termini di fiducia tra il nuovo titolo e quello del primo articolo del 2023. Il precedente era intitolato “Come vincere la guerra”, mentre il nuovo ha sottilmente ridimensionato le aspettative essenzialmente a: “Negare alla Russia” la capacità di dettare le proprie condizioni. Passare dal vincere la guerra in modo definitivo al semplice rallentamento della marcia trionfale della Russia è un notevole ridimensionamento degli obiettivi realistici.

L’articolo inizia con Zaluzhny che valuta retoricamente la lungimiranza del suo precedente articolo del 2023:

Cosa è successo, quindi, negli ultimi due anni? Avevo ragione quando sostenevo che la guerra odierna sarebbe stata così dinamica e tecnologica? E, cosa più importante, abbiamo ora un’idea chiara di cosa ci riserveranno i prossimi due anni?

Risponde immediatamente alla sua stessa domanda in modo negativo, ammettendo di essersi sbagliato su alcune previsioni fondamentali. Non specifica quali, ma sottintende che, a suo avviso, l’Ucraina avrebbe dovuto “cogliere l’iniziativa tecnologica” (presumibilmente attraverso le sue varie idee azzardate, come i suddetti robot al plasma) e non ci è riuscita.

Tuttavia, le cose sono andate diversamente. Ma mentre esploravo la mostra, mi sono reso conto che su una cosa avevo ragione.

Una profonda rivalutazione dell’offensiva estiva del 2023 è scaturita non solo dal tentativo di trasformare una fase molto difficile della guerra in una sorta di reality show – prima, quando i nostri piani sono in qualche modo giunti alla Russia, e poi quando il corso dell’operazione è stato narrato online da aspiranti profeti, molti dei quali si sono poi ritrovati sanzionati o ricercati. Sento ancora il dolore di quel fallimento. Tuttavia, il punto essenziale era che bisognava trarne insegnamento e cambiare strategia, immediatamente. Una strategia per sopravvivere in un tipo di guerra completamente nuovo.

Passa poi alla parte dell’articolo che ha suscitato maggiori polemiche nei circoli occidentali: la sua condanna della “controffensiva” del 2023 e delle debacle di Kursk come operazioni inutili e dispendiose.

Per inciso, è interessante ciò che Zaluzhny afferma riguardo all’incapacità dell’AFU di compiere una “sfondata” operativa nel 2023:

Per sfondare un fronte del genere era necessaria una superiorità decisiva in termini di capacità nel punto di sfondamento, insieme a riserve mobili in grado di inserirsi rapidamente nella breccia creata e di avanzare in profondità operativa prima che le riserve nemiche potessero contrattaccare o stabilire una nuova linea difensiva. Per ragioni sia oggettive che soggettive, non siamo stati in grado di generare tale superiorità prima dell’assalto.

Questa carenza di capacità derivava principalmente dalla dispersione del gruppo d’assalto già preparato su altri assi e dalla creazione di componenti terrestri provenienti da altri ministeri e agenzie che, di conseguenza, non erano, per usare un eufemismo, completamente pronti per il combattimento contemporaneo.

Vedete, è ormai assodato che i generali statunitensi stavano cercando disperatamente di convincere Zaluzhny a concentrare tutte le sue forze armate in un unico potente pugno per colpire Melitopol e la Crimea. Si diceva che fosse stato Zaluzhny a ignorare il loro consiglio, scegliendo invece di “distribuire” le sue forze su diversi assi, il che culminò nella linea di cresta di Vremovka, molto più a est, che scendeva verso Staromlinovka. È quindi strano che Zaluzhny qui attribuisca la colpa di quello che sembra essere una sua decisione come principale punto di fallimento dell’offensiva, anche se in seguito accumula altri fallimenti sui suoi partner.

Continua poi ribadendo il fatto che il conflitto è una “situazione di stallo” dovuta all’incapacità di compiere progressi operativi: un’affermazione apparentemente fuorviante, ma pensata appositamente per il suo pubblico e per la narrativa che sta promuovendo.

Un altro punto interessante emerge quando egli confronta il conflitto attuale con le “schiaccianti vittorie” ottenute dagli Stati Uniti e dalla NATO negli ultimi decenni:

È interessante notare che i principali conflitti militari dell’inizio del XXI secolo – in Siria, Iraq, Libia e altrove – non sono sfociati in una situazione di stallo. Ciò è dovuto principalmente a due ragioni.

In primo luogo, le forze nemiche sono state sconfitte principalmente grazie a attacchi aerei a distanza e all’uso di munizioni a guida di precisione, in particolare missili da crociera lanciati dall’aria e dal mare, integrati dalle manovre di un contingente limitato di truppe di terra.

In secondo luogo, queste guerre hanno visto contrapposte forze armate altamente tecnologiche, come quelle degli Stati Uniti e degli alleati della NATO, ad avversari deliberatamente più deboli, spesso residui dispersi di eserciti organizzati in stile sovietico o formazioni partigiane irregolari. In Ucraina, al contrario, la Russia si trova ad affrontare per la prima volta in questo secolo un avversario quasi alla pari, dotato di alta tecnologia grazie ai nostri partner,sebbene di dimensioni e risorse inferiori.

L’esperienza della nostra guerra finora dimostra che le scorte di armi di precisione si esauriscono rapidamente. Le operazioni aeree su larga scala sono ostacolate dalle difese antiaeree. E ancora una volta, come nella metà del XX secolo, il classico combattimento terrestre è tornato al centro della guerra.

Successivamente, egli afferma qualcosa di critico e contraddittorio: che l’approccio dello stallo posizionale in realtà avvantaggia la Russia e i suoi vantaggi unici. Ciò sembra contraddittorio perché la designazione di “stallo” implica l’assenza di vantaggi per entrambe le parti.

Il problema della guerra di posizione ha rivelato un altro schema. Il passaggio alla guerra di posizione porta al suo prolungamento e comporta grandi rischi sia per le forze armate che per lo Stato nel suo complessoInoltre, avvantaggia il nemico, che fa ogni sforzo per ripristinare e aumentare il proprio potere militare. Questo potrebbe essere stato il punto più importante: senza un radicale ripensamento della strategia, il successo sul campo era in pericolo.

Quindi, questo stile di guerra avvantaggia in realtà la Russia e mette a repentaglio il “successo sul campo” dell’Ucraina. Egli collega questo aspetto suggerendo nuovamente che il continuo sviluppo dello status quo attuale, che egli considera un vicolo cieco o un “cul-de-sac”, è “prevedibilmente inaccettabile” per il prolungamento dell’Ucraina.

È come la discussione sull’oggetto inamovibile contro la forza inarrestabile: uno non può esistere in un universo in cui l’altro è un fattore noto. La semplice esistenza di una “forza inarrestabile” presuppone logicamente che non esista alcun “oggetto inamovibile”. Allo stesso modo, come può esistere una “situazione di stallo” se è evidente che la situazione non è a lungo termine favorevole all’Ucraina?

Zaluzhny è persino costretto a smentire il proprio “apparente” pregiudizio:

So che questo darà ai miei avversari un altro pretesto per lamentarsi del fatto che studio troppo la Russia, cosa che, secondo loro, è un’offesa mentre la guerra continua. Tuttavia, preferisco seguire Sun Tzu piuttosto che i miei critici: conosci il tuo nemico.

Egli approfondisce ulteriormente descrivendo l’attuale disposizione in prima linea sotto lo stallo dei droni:

Oggi il quadro sul campo di battaglia è chiaro: grandi concentrazioni di personale, anche in difesa, non sono più sostenibili. Qualsiasi ammassamento di truppe comporta una distruzione quasi immediata da parte dei droni da combattimento FPV o dell’artiglieria regolata dagli UAV. Di conseguenza, la difesa è organizzata in posizioni disperse, presidiate da piccoli gruppi che operano in modo autonomo sotto estrema pressione. La zona letale si sta allargando: i recenti attacchi al traffico civile sulle rotte Sloviansk-Izium e Sloviansk-Barvinkove dimostrano come i colpi di precisione raggiungano ormai profondamente quelle che un tempo erano le retrovie. Naturalmente, non solo le linee di comunicazione sono distrutte, ma anche l’idea stessa di retrovie sicure sta svanendo, poiché la loro consueta posizione dietro le linee avanzate, ovunque entro 40 chilometri, non è più sostenibile sotto il fuoco nemico persistente. Di conseguenza, la difesa si sta spostando dalla difesa attiva delle posizioni in collaborazione con i secondi echi, le riserve e la potenza di fuoco di supporto, verso la semplice sopravvivenza di piccole unità costantemente sotto pressione sia dai sistemi di ricognizione e attacco a distanza che dalla tattica nemica degli attacchi a sciame da parte di piccoli gruppi di fanteria.

Il punto importante che egli sottolinea è che uno dei motivi principali dell’attuale “bassa densità” del fronte è che anche la difesa ucraina è stata costretta a cambiare la sua dottrina. Ora le unità di difesa sono state ritirate al secondo scaglione o oltre e solo una sorta di guarnigione minima è rimasta sulla prima linea. Questa prima linea funge più che altro da “esca” per attirare le truppe russe verso le unità di droni ucraini sulla seconda linea.

La Russia stessa, tuttavia, contrasta questa strategia attaccando con gruppi sempre più piccoli per privare queste squadre ucraine di droni delle opportunità di abbattimento. È stato ampiamente discusso come gli assalti russi siano passati da squadre di 5 uomini a squadre spesso composte solo da 2 o 3 uomini.

Qui un analista russo in prima linea condivide un recente aggiornamento su questo argomento, che analizzerò per commentarlo:

Alexander Zaborovsky dalla direzione di Pokrovsk scrive di ciò che sta accadendo. Innanzitutto, nemmeno una nuova mobilitazione risolverà i problemi accumulati nell’attuale formato delle ostilità. Già ora i combattenti stanno andando al fronte in coppia, non in gruppi di cinque, proprio quei “piccoli gruppi di fanteria”. E non è detto che ce la faranno.

Come visto sopra, egli menziona la sempre maggiore frammentazione delle unità d’assalto. Quello che molto tempo fa era iniziato come grandi colonne corazzate si è lentamente trasformato in assalti di dimensioni pari a quelle di un plotone, poi a 10 uomini, poi a 5 uomini e ora a semplici coppie di soldati. Queste truppe di solito cercano di intrufolarsi sotto la copertura della notte, indossando mantelli termici, in sella a biciclette o scooter, o talvolta durante il maltempo.

Ma come per ogni cosa, tenete presente che questa non è una descrizione generale che si applica assolutamente a ogni singolo caso di combattimento o su ogni fronte; tuttavia, questa formula generale si sta diffondendo e sta diventando sempre più la norma.

Le informazioni riportate di seguito sono ancora più importanti:

I magazzini in prima linea distano 50 km dall’LBS, non di meno! Il punto più vicino raggiungibile dai veicoli a quattro ruote è a 15-20 km, oltre il quale c’è una zona morta, raggiungibile solo a piedi o in moto. Di notte non c’è modo di spostarsi. Finché non ci saranno droni da rifornimento pesanti da 30-50 kg, è possibile inviare reggimenti in prima linea, ma dopo un giorno rimarranno solo due persone.

Esiste la guerra elettronica, ma a cosa serve… gli operatori nemici volano su 6-8 frequenze (quindi è necessaria una quantità equivalente di apparecchiature EW), cambiano canali video e l’installazione di sistemi così completi è costosa e difficile, richiedendo modifiche significative alle apparecchiature per un elevato consumo energetico. Più vicini alla linea del fronte ci sono le motociclette e la fanteria. E loro?

Un esempio di rifornimento russo:

D’altro canto, ecco un recente post del personaggio pubblico ucraino Victor Taran, che descrive le difficoltà ucraine sul fronte di Pokrovsk. Egli afferma che è possibile accedere all’intero agglomerato solo a piedi, mentre qualsiasi altro mezzo di trasporto, anche la bicicletta, viene immediatamente distrutto dai droni:

Un altro resoconto recente, ampiamente diffuso e più “neutrale”, è stato pubblicato dal canale Romanov Lite, il cui omonimo proprietario era appena tornato dal fronte e ha fornito questa descrizione estremamente dettagliata di ciò che ha visto:

Sommario: Egli afferma che quella prima notte apparvero 13 diversi droni pesanti “Baba Yaga” e che, uno dopo l’altro, le truppe russe schierate in prima linea “interruppero le comunicazioni radio”, con le loro ultime parole spesso improntate all’allarme per l’arrivo dei Baba Yaga.

Egli descrive l’unità che ha visitato come carente sotto molti aspetti. Il problema è che la maggior parte delle “unità” che possono ricevere la visita di giornalisti online sono generalmente unità di livello inferiore o unità di volontari, quindi è ovvio che forniranno un’immagine piuttosto distorta della preparazione militare russa. Le unità di punta o principali delle forze armate russe nominali, al contrario delle PMC, delle unità di volontari, ecc., di solito non consentono nemmeno visite di questo tipo, a parte l’occasionale inserimento di alto livello e “ufficiale” da parte di veterani come Sladkov, ecc.

In ogni caso, la descrizione di Romanov contiene ancora molta verità ed è un resoconto affascinante perché, nonostante le grandi difficoltà, alla fine registra comunque un bilancio relativamente peggiore per l’AFU.

Continua spiegando come un Su-34 russo sia stato chiamato per sganciare un paio di FAB sulla posizione del drone AFU, che sembra eliminare l’intera unità di droni; i loro droni smettono di funzionare. Successivamente, l’unità di incursione ucraina composta da quattro uomini viene completamente annientata, con i russi che apparentemente subiscono una sola perdita, mentre persino il famigerato Romanov, noto per il suo pessimismo, è costretto ad ammettere che l’Ucraina ha subito perdite potenzialmente superiori di 5-10 volte nello scontro, se si conta la squadra di droni annientata.

Il punto è che, per quanto la situazione sembri continuamente peggiorare, anche i più pessimisti sono costretti ad ammettere le enormi perdite che l’Ucraina sta subendo in questa “situazione di stallo” di Zaluzhny.

È interessante notare che un nuovo grafico degli analisti ucraini mostra che le perdite di carri armati e veicoli corazzati russi sono scese quasi a zero, sostituiti interamente da “loafs” (Bukhankas) e altri tipi di veicoli civili:

Date indicate dal 1/3/23 al 21/9/25

Gli APC sono quasi scomparsi dalle statistiche

I carri armati rappresentano il 2% e gli APC solo l’1% di tutte le perdite.

I “loafs” li hanno sostituiti completamente.

Da un altro canale militare ucraino:

Un sergente maggiore delle forze armate ucraine con il nome in codice “Alex” riferisce che su molti fronti le truppe russe hanno praticamente smesso di usare i carri armati.

“Non conto i casi in cui una o due unità sono state utilizzate per fornire supporto di fuoco durante gli assalti, ma anche quelli sono rari. Questo tipo di veicoli blindati ha smesso da tempo di fungere da ‘taxi blindati’ e, a mia memoria, l’uso più massiccio che ne è stato fatto negli ultimi quattro mesi è stato quello di tre o quattro carri armati verso Myrnohrad questo mese”, osserva.

Secondo lui, tali fatti suggeriscono che ovviamente tutte queste attrezzature corazzate, prodotte nello stesso “Uralvagonzavod”, si stanno accumulando da qualche parte, e che le forze armate russe si stanno preparando a qualcosa.

Analisi militare TG

Va notato che la Russia utilizza i carri armati quotidianamente, ma non negli assalti. Essi continuano ad essere utilizzati costantemente in modalità “fuoco indiretto” da posizioni nascoste, come illustra il video odierno del Ministero della Difesa (e ci sono video quotidiani come questo):

In occasione della Giornata delle forze terrestri, gli equipaggi dei carri armati continuano a distruggere le roccaforti nascoste dei plotoni, le trincee, i mezzi corazzati e le risorse umane delle forze armate ucraine nelle direzioni di Krasny Liman, Kharkov e Krasnoarmeysk della zona dell’operazione militare speciale.

 Ministero della Difesa russo

Questo è lo stato attuale del fronte, dove praticamente nulla si muove entro 25 km dalla LoC, e tale cifra sta lentamente arretrando ancora di più, con 40-45 km ora spesso sorvolati dai droni.

Ci sono varie novità al riguardo. Ad esempio, gli ucraini ora lamentano che i russi stanno utilizzando un nuovo tipo di micidiale combinazione di droni:

https://www.forbes.com/sites/vikrammittal/2025/09/25/la-russia-introduce-droni-ripetitori-in-fibra-ottica-per-aumentare-la-portata-di-attacco/

I nuovi droni russi con fibra ottica raddoppiano la portata di attacco — Forbes

L’esercito russo ha risolto un problema fondamentale dei droni a fibra ottica, scrive la pubblicazione.

Ora vengono lanciati insieme ai droni relè. Ciò raddoppierà il raggio d’azione e consentirà attacchi alle retrovie.

“Al momento del lancio, entrambi i droni, quello d’attacco e quello di trasmissione, volano insieme, ma la bobina del cavo del primo non viene esaurita, poiché non è collegata direttamente al pannello di controllo dell’operatore, ma al UAV adiacente. Non appena la coppia raggiunge il punto richiesto, il drone di trasmissione rimane sul posto e quello FPV continua a muoversi, risparmiando notevolmente il cavo in fibra ottica. Quindi individua il bersaglio designato e lo attacca”, scrive la pubblicazione.

Essenzialmente si tratta di un drone a fibra ottica a doppio strato, in cui un drone ottico ne trasporta un altro. Supponiamo che il primo abbia una bobina di cavo in fibra ottica lunga 20 km: vola per 20 km, poi si posa e funge da stazione di trasmissione. Il secondo drone, che era trasportato sul dorso del primo, ora decolla e anche lui ha una bobina da 20 km. Ma questa bobina ora si collega al “relè”, ovvero al primo drone, dando all’unità combinata una portata totale di 40 km.

Questa è la versione semplificata, ma in realtà il drone “relè” è una nave madre in grado di trasportare un intero pacchetto di droni d’attacco:

Il blogger militare russo sostiene che questa configurazione consente ai droni d’attacco di raggiungere bersagli fino a 50-60 chilometri di distanza, poiché il carico del cavo è condiviso tra il ripetitore e i droni d’attacco. In teoria, sarebbe possibile utilizzare più ripetitori per aumentare questa portata.

Una volta raggiunto il luogo designato, il drone ripetitore si ferma mentre i droni d’attacco proseguono la loro avanzata, srotolando i cavi man mano che avanzano. I droni d’attacco individuano quindi i loro obiettivi e li attaccano. Il milblogger e i successivi resoconti dei media ucraini e russi suggeriscono che il drone ripetitore possa quindi tornare all’operatore, ritirando il cavo in fibra ottica per poterlo riutilizzare.

Tornando all’articolo di Zaluzhny dopo questa digressione, l’ex generale sottolinea direttamente il punto principale precedentemente sollevato:

In breve, lo stallo posizionale esiste davvero, con tutte le sue caratteristiche. Tuttavia, c’è anche una tendenza persistente a uscirne, ed è la Russia a guidare questo sforzo.

Rileggi attentamente: riassume esattamente il mio precedente punto di contraddizione. C’è una situazione di stallo, ma, è la Russia a uscirne.

Egli prosegue sostanzialmente prevedendo che l’attuale tattica di strangolamento della Russia “logorerà” la capacità di resistenza dell’Ucraina:

Finché la Russia non troverà una via d’uscita dall’impasse, grazie all’accumulo di forze sufficienti a soffocare le nostre posizioni e avanzare con infiltrazioni, probabilmente continuerà a logorare le nostre truppe, abbinando gli assalti con l’obiettivo deliberato di infliggere il maggior numero possibile di vittime. Nella sua strategia di logoramento, tali perdite sono consapevolmente accettate: le ostilità mirano a garantire un livello di perdite che diventerà insostenibile per noi, mantenendo al contempo una pressione sociale costante, non da ultimo attraverso una mobilitazione intensificata. L’effetto cumulativo di questo sistematico esaurimento delle capacità sarà, prima o poi, il completo esaurimento dei difensori. La Russia vede anche una potenziale via d’uscita dalla situazione di stallo nel negarci il “cielo basso” ora dominato dagli UAV a livello tattico.

Questa parte deve essere evidenziata:

L’effetto cumulativo di questo sistematico esaurimento delle capacità porterà, prima o poi, al completo esaurimento dei difensori.

Ancora una volta Zaluzhny usa un linguaggio contorto per confondere i lettori su ciò che sta realmente dicendo, presumibilmente in modo deliberato. Innanzitutto afferma Fino a quando” la Russia trovi una via d’uscita dall’impasse, rendendola una sorta di condizionale che implica che la Russia non l’abbia ancora fatto. Ma poi afferma che anche in assenza di questa “via d’uscita” condizionale dalla situazione di stallo, la Russia continuerà comunque a logorare i difensori ucraini con la sua strategia efficace fino a quando l’Ucraina non cederà. In sostanza, l’argomentazione di Zaluzhny potrebbe essere riassunta come una posizione perdente: o la Russia trova una via d’uscita dalla cosiddetta “situazione di stallo” e mette rapidamente fine all’Ucraina, oppure continua semplicemente a soffocare l’Ucraina con la strategia dei “mille tagli” fino a quando l’Ucraina non avrà più nulla con cui resistere. Questa è la comprensione che probabilmente sfuggirà alla maggior parte delle persone a causa del linguaggio ambiguo e equivoco di Zaluzhny.

Le sue raccomandazioni conclusive per evitare la sconfitta sono vaghe e poco convincenti, ma non possiamo biasimarlo per questo, perché nessuno ha proposto una soluzione convincente per il campo di battaglia moderno, in particolare dal punto di vista della parte ucraina. La Russia ha una chiara strada verso la vittoria, nonostante tutte queste questioni, come sottolinea lo stesso Zaluzhny. L’Ucraina non ne ha nessuna, almeno non direttamente: la sua unica possibilità è quella di mettere in atto varie provocazioni e sperare di innescare un intervento alleato o la terza guerra mondiale.

Per completezza, ecco le raccomandazioni finali di Zaluzhny:

Di conseguenza, per realizzare questo obiettivo lo Stato deve affrontare una serie di problemi fondamentali:

  1. Sviluppare una strategia chiara e meccanismi per promuovere tecnologie di difesa all’avanguardia a livello nazionale. Come per lo sviluppo dell’energia nucleare, questa strategia deve comprendere un approccio guidato dallo Stato al sostegno scientifico, alla produzione e al funzionamento, con responsabilità chiaramente assegnate a ciascuna istituzione. Dovrebbe essere preceduta dalla creazione di un programma di ricerca statale dedicato alle tecnologie di difesa avanzate.
  2. Assicurarsi il personale specializzato necessario, soprattutto nel campo dell’ingegneria del software, per progettare, implementare, integrare e sostenere questi sistemi. La guerra complica le cose, ma molti di questi esperti prestano già servizio nelle forze armate ucraine e potrebbero rafforzare in modo significativo il potenziale scientifico del Paese.
  3. Affrontare la sfida più difficile: l’accesso ai chip. Ciò comporta gravi rischi geopolitici, poiché la fornitura di questi componenti critici dipende dalla stabilità e dall’apertura dei mercati in poche regioni, principalmente Cina, Taiwan e Stati Uniti.
  4. Sfruttare le attuali esportazioni di tecnologia della difesa dell’Ucraina per costruire alleanze di sicurezza e attingere al potenziale tecnologico e scientifico dei futuri partner.
  5. Garantire la completa esclusione della Russia dalla cooperazione scientifica e tecnologica internazionale, sfruttando al contempo appieno il potenziale di ricerca occidentale, in particolare delle istituzioni con capacità uniche come il CERN.

Si tratta di proposte estremamente a lungo termine, inverosimili e dubbie. Quello che egli descrive sono linee guida per un piano quinquennale o decennale di ristrutturazione fondamentale che, in tempo di guerra, è estremamente improbabile vista l’enorme e insostenibile situazione sociale, politica ed economica dell’Ucraina.

Solo per fare un esempio, proprio oggi è stato annunciato che il tanto decantato missile ucraino “Flamingo”, che secondo quanto affermato avrebbe rivoluzionato le sorti del conflitto e causato gravi danni alla Russia, è in realtà fuori uso perché l’Ucraina non può permettersi il suo ciclo di produzione.

Dal Wall Street Journalascoltate attentamente:

E a proposito, tra tutti questi discorsi di “stallo” e “impasse”, ecco quali sono stati i progressi medi effettivi della Russia negli ultimi tempi:

Come si può vedere, si mantiene ancora un ritmo di avanzamento mensile costante di circa 500 km2. Certo, nessuno sta dicendo che si tratti di una quantità enorme: la Russia dovrebbe raggiungere una media di circa 5.000 km2 al mese per riuscire a conquistare quasi tutto il territorio a est del Dnepr nel giro di un anno. Ma non si può nemmeno descrivere onestamente un ritmo di avanzamento così costante come una totale “situazione di stallo”: sarebbe semplicemente disonesto dal punto di vista intellettuale.

Inoltre: l’unico motivo per cui il tasso di avanzamento sembra essere “diminuito” rispetto al 2024 è perché quell’enorme “picco” anomalo negli avanzamenti alla fine del 2024 rappresenta la riconquista del territorio a Kursk. Si tratta di un valore anomalo perché gran parte della considerevole conquista di Kursk da parte dell’Ucraina era un’illusione, dato che lì la difesa era scarsa. Quindi l’AFU ha guadagnato rapidamente molto territorio, ma non l’ha mai controllato in modo decisivo e quindi l’ha perso altrettanto rapidamente, gonfiando i tassi di avanzata russi per quel periodo di tempo.

Se si esclude il valore anomalo, i progressi della Russia nel 2025 mostrano una crescita consistente rispetto a ogni anno precedente; ovvero, senza l’aberrazione di Kursk, il 2024 avrebbe potuto registrare una media di 250-300 km2 al mese, mentre il 2025 registra una media di circa 400 km2, con l’ultimo mese di settembre che sale a circa 500 km2.

Per quanto riguarda le perdite, un’altra piccola digressione: mi è capitato di imbattermi per caso in un articolo che dimostra ancora una volta la disparità tra i prigionieri di guerra russi e ucraini. Si tratta di un articolo pubblicato da The Independent nel giugno del 2022:

Questa è una conferma diretta da fonti autorevoli che il rapporto tra prigionieri di guerra russi e ucraini era di circa 1:10 a favore della Russia, come avevo scritto molte volte. Ciò ha implicazioni dirette sul rapporto totale tra vittime per ovvie ragioni.

Durante i recenti scambi di cadaveri, la scusa tipica è stata: “La Russia sta avanzando e quindi sta raccogliendo più cadaveri”. Ma come si spiega la disparità dei prigionieri di guerra? Si stanno raccogliendo più prigionieri di guerra perché la Russia sta “avanzando”? La logica non ha senso.

Per concludere, il succo generale che si può dedurre dall’articolo di Zaluzhny è che le tattiche della Russia, sebbene non siano belle e certamente piene di molti problemi, stanno funzionando, e solo riforme su larga scala in tutta l’Ucraina potrebbero eventualmente modificare la traiettoria generale delle cose. Questo ci porta alla pericolosa conclusione che l’Ucraina sarà costretta a fare sempre più affidamento su tattiche terroristiche e provocazioni per cambiare completamente i calcoli della guerra, in accordo con gli europei, desiderosi di complicità. Questo è ciò che stiamo vedendo accadere ora, in particolare nelle ultime settimane con l’improvviso aumento senza precedenti delle provocazioni organizzate e coordinate, culminato con il sequestro odierno di una nave cisterna della “flotta ombra” russa nel Mar Baltico da parte delle forze speciali francesi.

Ma ne parleremo nel prossimo articolo in programma.


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L’articolo di Zaluzhsny:

L’innovazione come nucleo della resilienza strategica: Negare alla Russia il potere di dettare le condizioni attraverso la guerra

ZN.UA

24 settembre 2025, ore 10:40

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© Foto fornita dall’autore

Valery Zaluzhny

AutoreValery ZaluzhnyAmbasciatore straordinario e plenipotenziario dell’Ucraina nel Regno Unito, Comandante in capo delle Forze armate dell’Ucraina (2021-2024)

Visitando l’esposizione internazionale DSEI-2025 a Londra – uno dei raduni più importanti del mondo nel settore della difesa e della sicurezza, che mette in mostra le nuove tecnologie belliche – non ho potuto fare a meno di ricordare gli eventi del 2023, che sono stati, se non fatali, sicuramente significativi per me.

Anche se la maggior parte degli oggetti esposti a questo evento mostrava ancora armi della guerra di un tempo, è stato davvero gratificante vedere l’Ucraina rappresentata a un livello così alto. Decine di nostre aziende hanno presentato soluzioni innovative che, a differenza del 2023, già comandano un grande interesse, non solo tra i produttori stranieri che guardano alle opportunità di business, ma anche tra i militari, molti dei quali vistosamente extraeuropei.

Ancora più sorprendente è che alcuni progetti stranieri si basano già direttamente sull’esperienza della guerra russo-ucraina, soprattutto per quanto riguarda i droni, la guerra elettronica e l’intelligenza artificiale.

Che cosa è successo negli ultimi due anni? Avevo ragione quando sostenevo che la guerra di oggi sarebbe stata così dinamica e tecnologica? E, soprattutto, abbiamo ora una chiara percezione di cosa ci riserveranno i prossimi due anni?

Il mio articolo apparso su un importante media britannico nel novembre 2023 aveva lo scopo di spronare i nostri partner a ripensare la guerra moderna e a rimodellare le loro dottrine. Ero e resto convinto che abbiamo bisogno di tempo per prendere l’iniziativa tecnologica, cosa impossibile da soli senza avere accesso a sistemi all’avanguardia. Per questo il piano strategico di difesa che abbiamo elaborato per il 2024 dipendeva dal loro sostegno.

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Finanziamento dei deficit di bilancio nel 2025 e 2026: di male in peggio

Ma le cose sono andate diversamente. Ma esplorando la mostra, mi sono reso conto che avevo ragione su qualcosa.

Una profonda rivalutazione dell’offensiva 2023 è scaturita non solo dal tentativo di trasformare una fase difficilissima della guerra in una sorta di reality show – prima, quando i nostri piani hanno in qualche modo raggiunto la Russia, e poi quando il corso dell’operazione è stato raccontato online da aspiranti profeti, molti dei quali si sono poi ritrovati in sanzioni o in liste di ricercati. Sento ancora l’sting di quel fallimento. Tuttavia, il punto essenziale era che bisognava trarre una lezione e cambiare strategia, immediatamente. Una strategia per la sopravvivenza in un tipo di guerra del tutto nuovo.

Di cosa ho scritto allora e cosa intendevo dire?

La Prima Guerra Mondiale, con il suo logorio da trincea, assomigliava per molti versi all’autunno del 2023. In assenza di fianchi aperti, l’unica manovra offensiva era lo sfondamento frontale delle difese nemiche che, con l’aumento del rate di fuoco, della gittata e della potenza di fuoco dell’artiglieria, divennero composte da multi-stratificate posizioni fortificate difensive e linee.

Il risultato fu la guerra di posizione: una relativa stasi lungo il fronte, in cui nessuna delle due parti poteva condurre operazioni offensive. Questa forma di combattimento aveva le seguenti caratteristiche distintive:

  • un fronte continuo lungo l’intera linea di ingaggio;
  • posizioni pesantemente fortificate e protette da densi ostacoli ingegneristici;
  • una “zona grigia”che separa le parti in guerra che nessuna di loro controlla;
  • infrastrutture difensive progettate per l’occupazione a lungo termine da parte di un gran numero di truppe, dagli ospedali da campo al campo.

La prevalenza di questa forma di guerra durante la Prima Guerra Mondiale rifletteva il fatto che le armi di quell’epoca rendevano la difesa molto più efficace dell’offesa.

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Aglieria pesante, aerei, mitragliatrici, mine e filo spinato favorirono il difensore. Esistevano poche armi offensive e attrezzature per sfondare. Solo nella fase finale della guerra furono possibili sfondamenti, ma il loro sfruttamento rimase inafferrabile. Fino alla Seconda Guerra Mondiale – con l’uso massiccio di carri armati veloci supportati da aerei d’assalto – la situazione di stallo fu davvero superata.

Un gran numero di armi ed equipaggiamenti militari tecnicamente nuovi contribuirono alla difesa: artiglieria pesante, aviazione, mitragliatrici, mine, filo spinato. Ma c’erano poche armi ed equipaggiamenti militari offensivi equivalenti che permettessero di sfondare le difese del nemico. Solo alla fine della Prima Guerra Mondiale il problema dello sfondamento delle linee difensive fu parzialmente risolto, ma il problema della capitalizzazione dello sfondamento rimase irrisolto. L’uso diffuso di carri armati ad alta velocità, supportati dall’aviazione d’assalto, divenne possibile solo nella Seconda Guerra Mondiale, il che portò a una via d’uscita dallo stallo.

Oggi, rivedendo i miei appunti, posso solo ripetere che sia la Russia che l’Ucraina hanno raggiunto una situazione di stallo simile.

Dalla fine del 2022, i combattimenti nell’area di Donetsk sono diventati gradualmente posizionali.

Lo stallo è diverso nella forma, ovviamente.

Nonostante la stabilità generale della linea, si verificano ancora avanzamenti – lenti, locali o più ampi, con le truppe che scorrono in avanti al costo di perdite sproporzionate che possono essere giustamente paragonate a un tritacarne, piuttosto che ai colpi affilati di una manovra corazzata.

Gli assalti dell’esercito russo a Bakhmut e Avdiivka ne sono i vividi esempi.

A differenza delle operazioni classiche volte a distruggere il nemico, le tattiche russe si sono concentrate sullo schiacciamento delle nostre unità dalle posizioni difensive. Ma, ad eccezione di Bakhmut, le nostre forze hanno conservato la loro efficacia di combattimento.

Un’altra caratteristica dello stallo è che senza rapidi sfondamenti, non ci potevano essere accerchiamenti, e senza neutralizzare completamente la difesa aerea nemica, le operazioni aviotrasportate, così centrali nella dottrina della NATO, erano impossibili.

Il fattore principale che ha prodotto l’impasse durante la nostra offensiva del 2023 è stato, soprattutto, la classica insufficienza di forze e mezzi nelle formazioni d’assalto.

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L’Ucraina otterrà qualcosa di più di garanzie surrogate?

Per rompere un tale fronte occorreva una superiorità decisiva nelle capacità nel punto di sfondamento, insieme a riserve mobili in grado di entrare rapidamente nel varco creato e di spostarsi nella profondità operativa prima che le riserve nemiche potessero contrattaccare o stabilire una nuova linea difensiva. Per ragioni sia oggettive che soggettive non siamo stati in grado di generare questa superiorità prima dell’assalto.

Questa carenza di capacità sorgeva principalmente dalla dispersione del già preparato raggruppamento d’assalto su altri assi, e dalla creazione di componenti terrestri tratte da altri ministeri e agenzie – che, di conseguenza, non erano, per usare un eufemismo, del tutto pronte al combattimento contemporaneo. Ciò è stato reso possibile anche dall’incapacità di alcuni comandanti di apprezzare la necessità di ruotare le unità pronte al combattimento e di addestrarle specificamente per le operazioni offensive.

Infine, le unità di nuova formazione mancavano di un livello minimo di armamento o erano inadeguatamente armate, una situazione che dipendeva interamente dalle scelte e dalle risorse dei nostri partner.

Il risultato fu una carenza di riserve addestrate per la manovra su larga scala e quindi una deriva in combattimenti prevalentemente positivi in tutte le aree dell’offensiva.

I russi, da parte loro, costruirono vaste linee difensive, ben congegnate e profondamente stratificate.

Ma il vantaggio decisivo è arrivato dai droni. All’inizio,questi erano principalmente a scopo tattico aerial ricognizione, consentendo al nemico di individuare le nostre concentrazioni of manpower and materiel in tempo reale e di spostare le riserve di conseguenza.

Quegli stessi dati hanno alimentato il targeting per gli attacchi di precisione, i missili e l’artiglieria, con l’utilizzo su larga scala di UAV tattici di ricognizione per rilevare le nostre azioni e aggiustare il fuoco.

Questi droni fornivano una sorveglianza aerea 24 ore su 24 sulla linea di ingaggio, anche con visione notturna. Erano probabilmente rafforzati da sistemi di ricognizione satellitare, di ricognizione radar e di pattugliamento radar e di guida aerea.

Avendo le capacità necessarie, ci affidammo a metodi simili. In tali condizioni, qualsiasi concentrazione di mezzi corazzati o di uomini era destinata a essere individuata, al fronte o anche nelle retrovie. Se poi si aggiungono i missili a lungo raggio, le munizioni a grappolo e le posizioni delle riserve così rivelate, la sorpresa diventa quasi impossibile.

Si potrebbe, ovviamente, rispondere invocando la campagna del Kursk lanciata nell’agosto del 2024. S tali azioni possono certamente essere intraprese laddove il costo umano sia giudicato accettabile e gli obiettivi strettamente limitati. Ma l’esperienza dimostra che una breccia tattica isolata in un settore ristretto raramente produce il successo operativo che l’attaccante cerca. Le forze di difesa sono state in grado di sfruttare sia i vantaggi tecnologici che quelli tattici e, nel tempo, non solo hanno impedito che una breccia tattica si trasformasse in un guadagno operativo, ma hanno persino organizzato i propri avanzamenti locali, ancora una volta senza ottenere un successo operativo. Non conosco il prezzo esatto pagato per queste azioni, ma è chiaro che è stato estremamente elevato.

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Perché vogliono tutto il mondo?

In sintesi, l’essenza dello stallo non è solo l’impossibilità di sfondare le linee difensive ma, soprattutto, l’incapacità di raggiungere gli obiettivi operativi, tra cui raggiungere la profondità operativa.

È interessante notare che i principali conflitti militari dell’inizio del XXI secolo – in Siria, Iraq, Libia e altrove – non sono culminati in uno stallo posizionale. Questo è dipeso da due ragioni principali.

In primo luogo, le forze nemiche sono state sconfitte in gran parte attraverso attacchi aerei a distanza e l’impiego di munizioni a guida di precisione, specialmente missili da crociera lanciati dall’aria e dal mare, integrati dalle manovre di un limitato contingente di truppe di terra.

In secondo luogo, queste guerre hanno contrapposto forze armate ad alta tecnologia, come quelle degli Stati Uniti e degli alleati della NATO, ad avversari deliberatamente più deboli.,spesso resti sparsi di organizzazioni Soviet-style In Ucraina, invece, la Russia si trova ad affrontare per la prima volta in questo secolo un’emergenza di tipo militare. near-peeravversario, altamente tecnologico grazie ai nostri partner, anche se più piccolo per dimensioni e risorse.

L’esperienza della nostra guerra finora dimostra che le scorte di armi di precisione si esauriscono rapidamente. Le operazioni aeree su larga scala sono ostacolate dalle difese aeree. E ancora una volta, come a metà del XX secolo, il classico combattimento a terra è tornato al centro della guerra.

Così fu allora. E fu proprio allora che l’idea di operazioni di terra su larga scala si scontrò con un altro problema che richiedeva una soluzione: la mobilitazione.

Di questo parleremo più avanti. Il problema della guerra di posizione ha rivelato un altro schema. La transizione alla guerra di posizione porta al suo prolungamento e comporta grandi rischi sia per le Forze Armate che per lo Stato nel suo complesso. Inoltre, avvantaggia il nemico, che fa ogni sforzo per ripristinare e aumentare il proprio potere militare. Questo potrebbe essere stato il punto più importante: senza un ripensamento radicale della strategia, il successo sul campo era in pericolo.

Quindi, la ricerca di una via d’uscita dallo stallo posizionale offriva a qualsiasi belligerante una possibilità di vera vittoria. Che cosa è successo negli ultimi due anni? Si è riusciti a uscire da questo vicolo cieco che, dal punto di vista delle risorse dell’Ucraina, è già prevedibilmente inaccettabile? Questo è ciò che cerchiamo di capire.

So che questo offre ai miei avversari un altro pretesto per lamentarsi che studio troppo la Russia – un’offesa, secondo loro, mentre la guerra continua. Tuttavia, preferisco Sun Tzu ai miei critici: conosci il tuo nemico.

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I costi di guerra quotidiani della Russia in Ucraina

All’inizio del 2024, mentre l’esercito ucraino subì una profonda riorganizzazione del comando e del controllo sotto una nuova leadership, i pensatori militari russi lanciarono il loro sforzo per rompere l’impasse. Sulle loro piattaforme di ricerca hanno riconosciuto che la novità della loro “operazione militare speciale” consisteva nell’uso diffuso dei droni a livello tattico. A dire il vero, le nostre compagnie di droni d’assalto erano già operative da quasi un anno, anche se ancora al di sotto dei numeri richiesti. La Russia, fino a quel momento, aveva trattato i droni in gran parte come strumenti ausiliari per l’artiglieria e le forze missilistiche.

Nella primavera del 2024 i russi, con un anno di ritardo rispetto a noi, hanno notato la rapida diffusione di piccoli quadcopter FPV, pilotati in prima persona. Venivano utilizzati per trasportare esplosivi improvvisati di diversi chilogrammi, per sganciare proiettili di mortaio fino a 120 mm o addirittura testate di granate a propulsione razzo. Si rivelarono indispensabili per trasportare munizioni e rifornimenti tempestivamente sulla linea di ingaggio.

La Russia vedeva in loro una via d’uscita dallo stalemma: l’ammassamento occulto e il successivo utilizzo di droni FPV e di munizioni vaganti per distruggere le linee difensive, le fortificazioni, i mezzi corazzati e le truppe in profondità. La pratica, però, ha presto deluso. I nostri sistemi di guerra elettronica sono avanzati rapidamente, vanificando questo presunto vantaggio. Ciò ha costretto la Russia a sviluppare nuovi sistemi di comunicazione e controllo per i suoi droni e per le munizioni vaganti. Questo ha dato alle nostre forze spazio per l’utilizzo di veicoli corazzati nell’area di Kursk, dove i mezzi occidentali schermati dai sistemi EW sono riusciti a penetrare in territorio nemico. Ma questo, a sua volta, ha provocato una contromossa. Nell’estate del 2024 è apparso un nuovo tipo di drone FPV, guidato non via radio ma via cavo, inaugurando una nuova fase della guerra e nuove sfide allo stallo posizionale.

Questo ha certamente un impatto sulle tattiche della fanteria, che deve sopportare il peso maggiore della guerra.

I soldati si sono trovati intrappolati sotto il “cielo basso” della sorveglianza e dell’attacco costante dei droni. Il campo di battaglia è diventato completamente trasparente, le manovre quasi impossibili. Qui il legame con la mobilitazionez è evidente: la manodopera è ancora necessaria per tenere la linea.

Oggi il quadro sul campo di battaglia è chiaro: grandi concentrazioni di personale, anche in difesa, non sono più sostenibili. Qualsiasi ammasso di truppe invita a una distruzione quasi immediata da parte di un attacco FPV droni o dall’artiglieria aggiustata dagli UAV. Di conseguenza, la difesa è organizzata come posizioni disperse tenute da piccoli gruppi che operano autonomamente sotto estrema tensione. La zona letale si sta allargando: i recenti attacchi al traffico civile sulle rotte Sloviansk-Izium e Sloviansk-Barvinkove dimostrano come il fuoco di precisione si spinga ormai in profondità in quelle che erano le retrovie. Naturalmente, non solo le linee di comunicazione sono distrutte; l’idea stessa di una retroguardia sicura sta svanendo, poiché la sua abituale collocazione dietro gli schieramenti avanzati – ovunque entro 40 chilometri – non è più sostenibile sotto il persistente controllo del fuoco nemico. Di conseguenza, la difesa si sta spostando dalla difesa attiva delle posizioni in concerto con i secondi reparti, le riserve e la potenza di fuoco di supporto, verso la nuda sopravvivenza di piccole unità costantemente premute sia dai sistemi di ricognizione-attacco a distanza, sia dalla tattica nemica di attacchi a sciame da parte di piccoli gruppi di fanteria.

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Di conseguenza, questa configurazione difensiva tende a confondere quella che dovrebbe essere una linea del fronte continua, lasciando a volte persino i comandanti incerti sull’effettiva disposizione delle loro posizioni. Quindi i russi hanno escogitato un altro modo per rompere l’impasse attraverso la cosiddetta infiltrazione: la penetrazione di singoli soldati e di piccoli gruppi di fanteria attraverso le lacune delle nostre difese. Lo abbiamo visto vividamente a Dobropillia, Pokrovsk e ora a Kupiansk.

Lo stesso vale per gli attaccanti. Incapace di organizzare assalti in massa, la Russia invece inonda le nostre posizioni con piccoli gruppi. La maggior parte di questi attacchi fallisce, e fallisce in modo sanguinoso. Un soldato catturato ha ammesso che otto assalti su nove si concludono con un fallimento. Tuttavia, ogni tentativo espone le nostre posizioni, i nostri posti di osservazione e la nostra potenza di fuoco; li distrugge dove può; e ci costringe a spendere le scarse munizioni e le forniture mediche, logorando le nostre truppe fisicamente e moralmente.

Come ha testimoniato lo stesso prigioniero, le tattiche russe prevedono che gli assalti continuino anche dopo il fallimento, finché ci sono uomini disponibili.

Prima o poi, con la logistica sempre più tagliata fuori dai droni, questa pressione costringe le nostre unità a cedere le posizioni. Ciò altera inevitabilmente la configurazione della linea del fronte e crea una minaccia per i settori vicini. In questo modo, attraverso la tattica di “seppellire” le nostre difese sotto un flusso costante di assalti da parte di piccoli gruppi, il fronte si insinua, inesorabilmente, verso di noi.

Tra l’altro, lost ground viene spesso recuperato esattamente nello stesso modo, da unità d’assalto, ed esattamente nello stesso modo, risultando nell’erosione naturale di quelle formazioni, con l’esito atteso già descritto e senza alcuna prospettiva di sfondamento in profondità.

Un altro fattore che dovrebbe frenare tali azioni è l’obbligo di individuare tempestivamente il nemico e di rispondere tempestivamente grazie agli UAV. Eppure i siti di lancio e gli stessi operatori sono già diventati bersagli prioritari.

In breve, lo stallo posizionale esiste davvero, con tutte le sue caratteristiche. Ma c’è anche una persistente tendenza a uscirne, ed è la Russia a guidare questo sforzo.

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Fino a quando la Russia non troverà una via d’uscita dallo stallo, grazie all’accumulo di forze sufficienti a soffocare le nostre posizioni e a penetrare per infiltrazione, continuerà probabilmente a logorare le nostre truppe, accoppiando gli assalti con l’obiettivo deliberato di infliggere il massimo delle perdite. Nella sua strategia di logoramento, tali perdite sono consapevolmente accettate: le ostilità mirano a garantire un livello di perdite che diventerà insopportabile per noi, sostenendo al contempo una costante pressione sociale, non da ultimo attraverso una mobilitazione intensificata. L’effetto cumulativo di questo sistematico esaurimento delle capacità sarà, prima o poi, il completo esaurimento dei difensori. La Russia vede anche una potenziale via d’uscita dallo stallo nel negarci il “cielo basso” ora dominato dagli UAV di livello tattico.

Tutto ciò rende il contrasto agli UAV a livello tattico una priorità immediata se vogliamo preservare la vita e la salute dei militari impegnati al fronte e non solo. La trasparenza del campo di battaglia, creata da migliaia di droni e sensori, ha prodotto una kill-zone profonda più di 20 chilometri, con un’alta probabilità di ingaggio: ogni traccia di calore, impulso radio o movimento non necessario può innescare una risposta quasi istantanea e letale. In pratica, la morte, il ferimento o il crollo psicologico sono le conseguenze prevedibili di un’esposizione prolungata all’odierna frontline. Questa è la realtà nota sia a coloro che si sottraggono ostinatamente alla mobilitazione sia a coloro che, dopo aver dato la caccia ai droni Shahed, ora attendono il loro destino dopo essersi assentati o aver fatto parte di un battaglione di riserva.

Peggio ancora, la situazione sembra destinata a peggiorare. I progressi dell’intelligenza artificiale daranno vita prima a sistemi d’attacco semi-autonomi e poi completamente autonomi, creando un nuovo livello qualitativo di minaccia per gli esseri umani sul campo di battaglia.

Una risposta ipotizzabile sarebbe quella di rimuovere il personale dal bordo avanzato e sostituirlo con sistemi robotici. Ciò ridurrebbe, ovviamente, le vittime dei droni d’attacco e dei complessi d’attacco di ricognizione. Ma la tecnologia non è ancora arrivata a questo punto: gli attuali sistemi autonomi e senza pilota sono ancora al di sotto delle abilità necessarie per sostituire gli esseri umani su scala .

Inoltre, la tattica russa di “inondare” le posizioni con assalti ripetuti richiede ancora personale addestrato nelle posizioni avanzate, anche se non in gran numero. L’unica via d’uscita possibile oggi è quella di inventare, il più rapidamente possibile, sistemi e misure che miglioreranno la sopravvivenza delle truppe. Questo imperativo è inseparabile dalle questioni di mobilitazionez e addestramento. Si tratta di un compito sfidante, che richiede non solo lo sviluppo e la scalabilità di soluzioni tecnologiche adeguate, ma anche una fondamentale riconsiderazione dei metodi di impiego e, di conseguenza, della struttura delle forze armate in relazione alla difesa anti-drone. Storicamente, la protezione delle forze si è concentrata sulle minacce provenienti dall’artiglieria, dalle armi leggere dell’aviazione e persino dalle armi di distruzione di massa: rischi di distruzione fisica o di lesioni costanti. Oggi, tuttavia, dobbiamo costruire un sistema per contrastare una nuova minaccia in un nuovo tipo di guerra: i droni. Essi sono diventati il principale fattore di perdita di personale e, quindi, un fattore decisivo per l’esito delle operazioni di combattimento.

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Scopo più che pathos: le persone dietro la 2a Legione Internazionale dell’Ucraina

Ad oggi, gli UAV d’attacco rappresentano quasi l’80 per cento delle perdite di personale e di attrezzature. Questo dimostra che le misure di protezione dell’era precedente – fortificazioni, blindature dei veicoli e persino armature personali – sono state ampiamente neutralizzatez dalle dimensioni, dalla letalità e dalla precisione dei moderni droni. Mette inoltre in discussione gli attuali approcci all’addestramento: le qualità umane da sole non possono eguagliare la velocità di reazione o la precisione di un sistema robotico potenziato dall’intelligenza artificiale.

Quindi, mentre la Russia si affida alla tecnologia e continua a lanciare sempre più persone contro le nostre posizioni – imponendoci una tattica di tipo attitudinale – noi abbiamo bisogno di una strada diversa: un mezzo affidabile per scoraggiare il potere letale di queste nuove armi.

Per concepire una protezione di questo tipo dobbiamo innanzitutto comprendere le dinamiche dello sviluppo tecnologico stesso e anticipare le sfide che ci attendono.

Ovviamente, l'”operazione digitale” di cui ho scritto nel 2023 rimane una cornice utile: il campo di battaglia moderno dovrebbe essere visto come un’unica rete integrata di sistemi cyber-fisici. In pratica, ciò significa che le piattaforme robotiche e senza equipaggio sono collegate al software tramite sensori e infrastrutture di comando e controllo e di comunicazione. In questo dominio digitale i sistemi meccanici – gli odierni UAV e UGV – si fondono con il controllo software a bordo e a distanza per fornire la consapevolezza della situazione, coordinare le forze ed eseguire i compiti di combattimento in tempo reale.

È evidente oggi che questo sistema cyber-fisico opera attraverso una rete di dispositivi che raccolgono e trasmettono dati visivi, acustici, sismici e di altro tipo ai posti di comando o ai nodi intermedi di elaborazione e compiono azioni in risposta ai comandi provenienti da questi centri.

Tutto questo passa attraverso una rete di comunicazione, che rimane uno dei principali anelli deboli del moderno campo di battaglia high-tech.

Poiché le comunicazioni sono così vulnerabili, si svilupperanno inevitabilmente sistemi autonomi in cui la maggior parte dell’elaborazione delle informazioni, dell’analisi della situazione e del processo decisionale avviene direttamente a bordo. Il controllo centralez interverrebbe solo in casi eccezionali o di emergenza. Potrebbero essere proprio questi sistemi di bordo che non solo effettueranno gli strike in modo efficace ma forniranno anche una protezione affidabile.

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Guerra per alcuni, TikTok per altri. Dentro le decisioni di guerra dell’Ucraina

Considerando che per realizzarez questo obiettivo lo Stato deve affrontare una serie di problemi chiave:

  1. Sviluppare una strategia chiara e meccanismi per far progredire le tecnologie di difesa all’avanguardia a livello nazionale. Come per lo sviluppo dell’energia nucleare, questa strategia deve comprendere un approccio guidato dallo Stato al sostegno scientifico, alla produzione e al funzionamento, con responsabilità chiaramente assegnate a ciascuna istituzione. Dovrebbe essere preceduta dalla creazione di un programma di ricerca statale dedicato alle tecnologie di difesa avanzate .
  2. Assicurare il necessario gruppo di specialisti, soprattutto in ingegneria del software, per progettare, implementare, integrare e sostenere questi sistemi. La guerra complica le cose, ma molti di questi esperti sono già in servizio nelle Forze armate ucraine e potrebbero rafforzare in modo significativo il potenziale scientifico del Paese.
  3. Affrontare la sfida più difficile: l’accesso ai chip. Ciò comporta gravi rischi geopolitici, poiché la fornitura di questi componenti critici dipende dalla stabilità e dall’apertura dei mercati di alcune regioni, in particolare Cina, Taiwan e Stati Uniti.
  4. Sfruttare la difesa esistente dell’Ucraina esportazioni di tecnologia per costruire alleanze di sicurezza e sfruttare il potenziale tecnologico e scientifico di futuri partner.
  5. Assicurare la completa esclusione della Russia dalla cooperazione scientifica e tecnologica internazionale, ma anche fare pieno uso del potenziale di ricerca occidentale, in particolare delle istituzioni con capacità uniche come il CERN.

È ovvio che la vittoria dell’Ucraina oggi significa negare alla Russia la capacità di dettare i suoi termini .attraverso la guerra.Questo è il minimo indispensabile per la sopravvivenza.

Conseguentemente, la resilienza dello Stato in una guerra di logoramento dipende in ultima analisi dalla situazione al fronte, anche se le forme e i metodi di combattimento sono cambiati radicalmente. La condizione del fronte, a sua volta, dipende da molti fattori, primo fra tutti il ritmo dello sviluppo tecnologico, che cambia quotidianamente e con uno slancio inequivocabile. La rapida padronanza di queste tecnologie, la loro sperimentazione pratica e il loro impiego scalabile ci permetteranno di adattarci alle nuove condizioni e di uscire dal cul-de-sac posizionale prima dei nostri avversari.

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Cosa impedisce all’Ucraina di estradare i criminali di guerra…

Solo abbracciando l’innovazione militare l’Ucraina può compensare la sua cronica carenza di risorse e infliggere perdite sproporzionate alla Russia. Anche Mosca lo sa e sta già prendendo contromisure che si sentono sul campo di battaglia.
Il vantaggio dell’Ucraina sta nel suo popolo, che non solo hanno fermato l’invasore, ma hanno già reso il Paese un centro di innovazione sul campo di battaglia.

Ne consegue che l’innovazione deve essere alla base di una strategia di resistenza sostenuta in un’epoca che potrebbe portare non a una guerra continua, ma a un’ostilità continua. Questa strategia ci permetterà di sopravvivere, adattarci e prevalere senza illusioni, rendendo il conflitto operativamente privo di significato per la Russia.

Per raggiungere questo obiettivo, è fondamentale prendere e poi mantenere l’iniziativa tecnologica, costringendo la Russia a reagire, assorbire la pressione e difendersi.

Manifesto: Ricostruire il contratto di lettura del Courrier des Stratèges

Manifesto: Ricostruire il contratto di lettura del Courrier des Stratèges

Un manifesto e alcune risposte, le quali più che precisazioni sembrano parziali rettifiche, di una realtà editoriale piuttosto circoscritta dalla quale questo sito ha attinto in qualche caso. Ciononostante rivela una notevole importanza più che per le motivazioni di una svolta editoriale, per altro già di per sé significative, per un appello al rispetto del richiamo della patria nel caso di un coinvolgimento in un conflitto. Il manifesto indica chiaramente chi sono gli avversari; rivendica la assoluta indipendenza della Francia, ma per lo strabismo di cui è vittima non farà che riportare una parte politica dissenziente nell’ovile in cui la Francia e la quasi totalità dell’Europa si sono rinchiuse. L’indizio, più inquietante di tanti fatti e dichiarazioni acclarate, che veramente le attuali leadership ci stanno trascinando irreversibilmente verso una tragedia in assenza di reali forze ideologicamente e politicamente attrezzate ad opporre una seria resistenza. Lo spostamento della linea editoriale del “courrier des stratèges” rappresenta un indizio inquietante; i passi futuri faranno chiarezza. Alcuni dubbi espressi nel manifesto, a cominciare dal probabile epilogo della presidenza di Trump, appaiono verosimili; altri riguardanti la cieca tifoseria in astratto condivisibili. Del tutto capzioso aver additato i tre nemici esistenziali e il silenzio sospetto sul restante panorama politico, primo responsabile dell’attuale situazione_Giuseppe Germinario

Eric Verhaeghe

27 settembre 2025 3 minuti

Con la partenza di Édouard Husson, Le Courrier volta pagina nella sua storia. Inizia a rimettere a fuoco i suoi valori iniziali di indipendenza e rigore giornalistico. Il seguente manifesto inaugura questo ritorno alla tradizione.

Un organo di stampa, come una nazione, non può procedere senza una direzione. Non può prosperare nell’ambiguità, né servire i suoi lettori nella confusione. Negli ultimi mesi, il Courrier des Stratèges ha attraversato un periodo di turbolenza ideologica che potrebbe aver turbato molti di voi, e giustamente. È giunto il momento della chiarezza. Questo testo non è una giustificazione, ma una dichiarazione. È la riaffermazione della nostra identità e il rinnovo del contratto di lettura che ci lega.

Chi siamo: sovranità e libertà come uniche guide

Le Courrier des Stratèges è nato nel 2020 da un duplice imperativo: la difesa delle nostre libertà individuali di fronte alla crescente ingerenza statale e la promozione della sovranità francese in un mondo sempre più instabile. Questi due pilastri non sono concetti astratti: sono il DNA del nostro progetto.

Per noi, la libertà è il diritto di ogni cittadino a pensare, esprimersi e agire senza costrizioni arbitrarie. È il rifiuto della sorveglianza, dell’indottrinamento e della sottomissione a un unico pensiero, sia esso amministrativo, mediatico o politico.

Per noi, la sovranità è il diritto inalienabile del popolo francese all’autodeterminazione. È la convinzione che la Francia, in quanto potenza di equilibrio, abbia un ruolo storico da svolgere, una voce unica da far sentire e interessi strategici da difendere. La nostra bussola non è né a Washington né a Bruxelles. È e rimarrà a Parigi.

La nostra convinzione: l’incompatibilità fondamentale tra libertà e autoritarismo

È in nome di questi principi che oggi dobbiamo trarre una conclusione chiara e inequivocabile. La difesa della sovranità dei popoli e delle libertà individuali è, per sua stessa natura, incompatibile con qualsiasi forma di compiacimento o sostegno a regimi che le negano . Non possiamo, in tutta coerenza, difendere la sovranità della Francia e applaudire un regime che la viola in patria o tra i suoi vicini. Non possiamo avere a cuore la libertà di espressione e ammirare coloro che intimidiscono i giornalisti e imbavagliano l’opposizione.

Questa contraddizione è diventata insostenibile. Per questo motivo affermiamo oggi che il nostro impegno per la sovranità e la libertà è incompatibile, in particolare, con il sostegno al regime di Vladimir Putin, che sta minando i principi della democrazia liberale all’interno dei propri confini. Non diremo nulla di diverso sulla Cina, né sulle tentazioni che esistono nell’America di Trump. Condanniamo l’intolleranza religiosa ovunque si manifesti, a Teheran come a Tel Aviv. Condanniamo il rifiuto israeliano del popolo palestinese.

Il nostro impegno: illuminare, non indottrinare

Di conseguenza, il Courrier des Stratèges si impegna a garantire una completa chiarezza editoriale. Non troverete più nelle nostre rubriche contenuti compiacenti o apologetici nei confronti di regimi autoritari o illiberali. La nostra missione, così come la intendiamo, è quella di illuminare i lettori sulle complessità del mondo, non di rafforzare la loro visione dogmatica. Si tratta di fornire strumenti di analisi critica, non di fungere da tramite per la propaganda, da qualunque parte provenga.

Per quanto riguarda la Russia, in previsione di un probabile conflitto in cui il nostro Paese potrebbe essere coinvolto, la nostra linea sarà inequivocabile: quella del sostegno alla Francia e ai suoi interessi fondamentali. Ciò non esclude un’analisi critica delle decisioni prese, né un dibattito strategico, né sfumature, ma esclude qualsiasi atteggiamento di disfattismo o simpatia per quello che potrebbe diventare un avversario.

Il nostro futuro: un appello ai nostri lettori

Questo necessario chiarimento porterà inevitabilmente all’abbandono di una parte dei nostri abbonati, coloro che si sono rivolti a noi in cerca di una convalida della “putinolatria” o di una preferenza data alla Russia piuttosto che alla nostra sovranità, che non possiamo più sostenere. Rispettiamo la loro scelta, ma restiamo fedeli alla nostra.

È al resto dei nostri lettori, a quella maggioranza dell’80% che si è unita a noi per il nostro pensiero critico, la nostra indipendenza e il nostro impegno per la Francia, che ci rivolgiamo oggi. Vi invitiamo a partecipare a questa rifondazione. Il Courrier des Stratèges , che vogliamo costruire con voi, è un organo di stampa coraggioso, coerente e lucido. Un organo di stampa che non ha paura di scontentare i potenti, ma si rifiuta di assecondare i tiranni. Un organo di stampa la cui unica fedeltà è ai suoi lettori e a una certa idea di Francia.

È questa la strada della chiarezza, del coraggio e della coerenza che scegliamo oggi. Speriamo di incontrarvi lì, per costruire insieme il futuro del Courrier des Stratèges .

Oltre al Manifesto pubblicato oggi, rispondo qui ad alcune domande del tutto naturali e legittime che molti si porranno. Domande difficili e risposte trasparenti che le accompagnano.

1) Sei pro-NATO?

Il Corriere è, è sempre stato e rimarrà a favore della sovranità francese. In questo contesto, l’adesione alla NATO, soprattutto dopo la caduta del Muro di Berlino, è incompatibile con l’alta opinione che ho della Francia e della sua indipendenza.

Ripeto: credo nella sovranità dell’io, e questa sovranità non può esistere in un regime autoritario, né in un'”alleanza” che dà tutto il potere agli Stati Uniti, presieduti o meno da Trump, per depredare i propri alleati o coinvolgerli in conflitti che servono solo agli interessi americani.

È chiaro che l'”alleanza” è un inganno. Non impedisce agli Stati Uniti di condurre guerre ibride contro i propri alleati ( la vicenda del Ruanda, del resto , come abbiamo scritto e descritto, ha costituito la prima guerra per procura anglosassone condotta contro un alleato, in questo caso la Francia), e mira a indebolire la Russia invece di formare con essa un nuovo ordine internazionale sostenibile ed equilibrato.

Personalmente, credo che la NATO non abbia più ragione di esistere dopo la caduta del Muro di Berlino. Spero che la Francia la lasci.

2) Sei anti-Putin?

Non sono né a favore né contro, anzi, è proprio il contrario.

Non condivido la putinofobia dominante nei media sovvenzionati, che è in gran parte dettata dalla strategia di influenza che i servizi anglosassoni impongono più o meno direttamente in quelli che considerano organi di propaganda responsabili di addomesticare le opinioni occidentali.

Considero Putin un capo di Stato straordinario, perfettamente razionale e cinico nel senso politico del termine, l’opposto del maniaco sanguinario che ci viene dipinto. Difende abilmente gli interessi del suo Paese, che è riuscito a modernizzare con reale efficacia. Molti dei nostri leader, in termini di performance politica, non reggono nemmeno il confronto.

Non condivido, tuttavia, la putinolatria che dipinge questo capo di Stato impassibile come una sorta di cavaliere bianco in grado di salvarci dalla decadenza morale, o che incarna valori tradizionali dimenticati dall’Occidente. Non mi lascio ingannare da questa “narrazione” del “salvatore”, che serve a manipolare le menti deboli.

Considero Putin un despota che agisce nel quadro della cultura e del patrimonio russo, un terreno fertile non molto favorevole alla democrazia liberale alla quale sono fermamente legato.

3) Cosa pensi della guerra in Ucraina e della strategia di Macron?

La guerra in Ucraina illustra perfettamente i pericoli di ciò che è diventato l’atlantismo. Fin dalla sua nascita, la NATO ha mirato a indebolire la sfera russa, prima sotto la bandiera sovietica, poi sotto la bandiera russa stessa.

Al crollo del blocco comunista, l’Occidente avrebbe dovuto ricercare un nuovo equilibrio internazionale, rispettoso degli interessi fondamentali della potenza russa. Vladimir Putin era probabilmente pronto a questo. Pochi contestano che la NATO sia stata lo strumento della strategia opposta.

L’Ucraina, in particolare, ha rappresentato il terreno fertile per destabilizzare la Russia, in modo del tutto cinico. Non intendo ripercorrere la storia dell’Ucraina dalla rivoluzione colorata, controllata dai servizi segreti anglosassoni. Ma era chiaro che l’adesione dell’Ucraina alla NATO e la nuclearizzazione del territorio voluta da Zelensky rappresentavano una linea rossa che la Russia non poteva accettare.

L’invasione dell’Ucraina non era solo inevitabile, ma anche del tutto prevedibile. Sono fermamente convinto che i servizi segreti americani la volessero e abbiano fatto tutto il possibile per garantirne l’attuazione.

In questo conflitto la Russia esige garanzie di sicurezza in cambio della pace, il che presuppone una sorta di nuovo Trattato di Vienna, come quello del 1815.

Invece di ricercare questo grande equilibrio, in cui gli interessi fondamentali della Russia devono essere tutelati, Emmanuel Macron sta perseguendo una strategia aggressiva che evidenzia la sua mancanza di visione globale. Sta giocando col fuoco e alimentando gli errori della NATO che ho descritto sopra. Un presidente non dovrebbe correre questi rischi.

4) Pensi che la Francia e l’Europa dovrebbero riarmarsi contro la Russia?

Pur non condividendo l’idea prevalente secondo cui la Russia sarebbe un orso che sogna di divorarci, non sono un seguace di nessuna ingenuità.

Sulla questione del riarmo, ho una dottrina semplice: la Francia ha un’influenza storica che la obbliga . A mio parere, non si può amare la Francia senza credere nella sua grandezza naturale, che richiede capacità militare operativa.

La Francia è grande non solo per la sua cultura, ma anche per il suo esercito e la sua capacità di vincere. Il riarmo francese è una necessità, Russia o no.

Aggiungerei che la potenza militare francese è destinata a dominare l’Europa e a costituire una forza deterrente “universale”. Non deve scoraggiare solo la Russia, ma anche Cina, Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania.

5) Sei antisionista?

In quanto libertario, sono a favore della tolleranza religiosa e contro il bigottismo.

L’ebraismo è una religione complessa, ma come ogni religione, credo che debba rimanere una questione privata e non possa diventare una componente della geopolitica internazionale.

Il principio del Ritorno, fondamento del sionismo, potrebbe benissimo rimanere compatibile con uno Stato laico aperto a tutti, come proposto dalla Carta dell’OLP. La creazione di uno Stato basato sull’ebraismo è una violazione del principio di laicità, che mi sembra assolutamente incompatibile con i principi di laicità a cui aderisco.

Questa posizione non mi condanna ad alcuna forma di ingenuità nei confronti del mondo palestinese. L’Autorità Nazionale Palestinese è corrotta e priva di coerenza democratica, e condanno senza esitazione le atrocità commesse da Hamas il 7 ottobre. Allo stesso tempo, condanno la sistematica negazione del popolo palestinese da parte di molti israeliani o di molti dei loro sostenitori in tutto il mondo.

6) Sei favorevole alla Frexit?

Considero questo un falso problema. Sono a favore di una Francia indipendente e prospera. Sono convinto che, per ritrovare la sua prosperità e la sua influenza, la Francia debba arrestare il declino che la sta trascinando verso il declino e la povertà.

L’Unione Europea è la risposta a un progetto federale di stampo germanico, la cui principale motivazione storica è l’indebolimento della Francia. L’intelligenza della Germania, dopo la caduta del Muro, consisteva nel comprare il consenso del popolo francese a questo progetto introducendo l’euro.

L’euro ci consente di sovraindebitarci a basso costo grazie alla firma del risparmiatore tedesco. Denuncio regolarmente questo declino attraverso il comfort e l’obesità di Stato. Sono quindi a favore di una Frexit, ma allo stesso tempo di un ritorno al pareggio di bilancio. I francesi devono smettere di impoverirsi alimentando l’inflazione burocratica. Devono ridurre drasticamente la spesa pubblica e riconquistare la loro indipendenza uscendo dall’eurozona.

Credo nell’io sovrano. Sono a favore della libertà. Sono quindi a favore di una Frexit virtuosa, che non consisterà nel sostituire la tirannia tedesco-bruxellesiana con una tirannia francese, in cui il nostro governo nazionale si comporterebbe nei confronti dei francesi come la Commissione Europea si comporta oggi nei confronti degli Stati nazionali. Sono fermamente contrario al controllo statale sull’emissione monetaria, che è la leva fondamentale della tirannia e della predazione statale.

Sono favorevole alla competizione tra valute.

Inoltre, non sono chiuso verso un’altra Europa, che sarebbe dominata dalla Francia.

7) Siete stati finanziati da interessi stranieri?

Mai. Il Courrier vive esclusivamente dei suoi abbonamenti. Non riceve aiuti o finanziamenti esterni.

Le Courrier è una SAS i cui conti sono archiviati e trasparenti.

Il suo statuto prevede esplicitamente l’indipendenza editoriale. Pertanto, i redattori devono essere trasparenti in merito alle loro relazioni e alla loro situazione finanziaria. Qualsiasi ambiguità comporterà l’esclusione.

8) Perché questo cambiamento ora?

Un’azienda non è mai un letto di rose. Partenze, conflitti, divergenze e persino disaccordi di opinione fanno parte della sua normale esistenza. Un’azienda non è una setta: sei sempre libero di andartene.

Questo riorientamento del Courier è anche un inevitabile adattamento al mondo stesso in continua evoluzione. Quando fu fondato nel 2020, il Courier viveva in un mondo ristretto, dove l’esercito russo non era in Ucraina, dove l’esercito israeliano non era a Gaza, dove Trump aveva appena perso le elezioni.

Dal 2020, gli oceani sono passati sotto i ponti e le “intersezioni” tra libertari e conservatori giacciono ora sotto spessi strati di acqua e fango. La frattura tra Donald Trump ed Elon Musk ne è la migliore dimostrazione.

La mia profonda convinzione è che siamo solo all’inizio di un cambiamento tettonico in cui il prevedibile fallimento del trumpismo manderà in frantumi la dinamica populista, quella che a volte viene chiamata “resistenza”, e accelererà il suo ” adattamento ” a un’ideologia conservatrice binaria che diventerà rapidamente insopportabile per i libertari.

La rifocalizzazione del Courrier rientra in questa dinamica.

9) Rinneghi i tuoi ex collaboratori?

Assolutamente no. Abbiamo ritenuto, a un certo punto, di avere delle convergenze che giustificavano la collaborazione. Il mondo è cambiato, le circostanze sono cambiate, e la diluizione di questa “affectio societatis” si è imposta, perché le ragioni della collaborazione sono diminuite.

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L’allarme per il drone russo in Scandinavia era una falsa bandiera per reprimere la flotta ombra russa?_di Andrew Korybko

L’allarme per il drone russo in Scandinavia era una falsa bandiera per reprimere la flotta ombra russa?

Andrew Korybko1 ottobre
 
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È altamente sospetto che Zelensky abbia semplicemente affermato, senza alcuna prova, che siano stati lanciati da petroliere russe e abbia successivamente chiesto all’Europa di chiudere lo stretto al suo traffico marittimo in risposta.

Droni sconosciuti hanno recentemente sorvolato le vicinanze degli aeroporti danesi e norvegesi, suscitando speculazioni tra alcuni sul fatto che si trattasse di una ritardata rappresaglia ibrida della Russia contro la NATO per aver sostenuto i voli dei droni ucraini in prossimità degli aeroporti russi negli ultimi anni. Non sono emerse prove a sostegno di tale ipotesi, ma Zelensky ha comunque presentato in modo disonesto tali affermazioni come fatti durante il suo discorso all’ultimo Forum sulla sicurezza di Varsavia.

Secondo lui, “ci sono prove crescenti che la Russia possa aver utilizzato navi cisterna nel Mar Baltico per lanciare droni, gli stessi droni che hanno causato gravi disagi nel Nord Europa. Se le petroliere utilizzate dalla Russia fungono da piattaforme per i droni, allora tali petroliere non dovrebbero essere libere di operare nel Baltico. Si tratta di fatto di un’attività militare della Russia contro i paesi europei, quindi l’Europa ha il diritto di chiudere gli stretti e le rotte marittime per proteggersi”.

La sua proposta alla NATO di chiudere lo stretto danese alle navi russe con questo pretesto, che equivarrebbe a un blocco illegale che potrebbe quindi legittimare un’azione offensiva da parte della Russia per autodifesa, era prevedibile dato l’interesse dell’Ucraina e di alcuni dei suoi sostenitori nell’escalation delle tensioni del blocco con la Russia. In realtà, potrebbe anche essere che questa fosse la falsa bandiera che il Servizio di intelligence estero russo due volte aveva avvertito che avrebbe potuto essere presto messa in atto dal Regno Unito e dall’Ucraina, anche se alla fine avrebbe assunto una forma diversa.

Hanno valutato che questi due potrebbero orchestrare potenziali provocazioni nel Baltico, che verrebbero poi attribuite alla Russia per giustificare un giro di vite sul suo commercio energetico soggetto a sanzioni, che l’Occidente descrive drammaticamente come condotto da una “flotta ombra” che transita in quel mare. Sebbene nessuna nave statunitense sia stata presa di mira dai siluri sovietici/russi trasferiti dall’Ucraina né siano state recuperate mine di questo tipo dal Mar Baltico, la paura dei droni russi in Scandinavia svolge comunque lo stesso ruolo.

Gli scettici potrebbero insistere sul fatto che la Russia abbia fatto ricorso a una “ritorsione ibrida plausibilmente negabile” contro la NATO, ma è illogico che la Russia rischi qualcosa che potrebbe giustificare la stessa escalation che la moderazione di Putin ha finora evitato, lo stesso vale per il precedente incidente con il drone in Polonia. Lo stesso vale per l’accusa associata di aver violato lo spazio aereo marittimo dell’Estonia. Tutti questi incidenti sono stati presentati dall’Occidente come provocazioni deliberate da parte della Russia e hanno preceduto proposte di escalation erroneamente descritte come “ritorsioni”.

Quelli polacchi ed estoni sono stati sfruttati per convincere Trump a dare il via libera alla NATO nell’abbattere i jet russi con la motivazione che violavano lo spazio aereo dell’alleanza, il che potrebbe incoraggiare alcuni a tentare di farlo con falsi pretesti, mentre quelli scandinavi sono stati sfruttati per chiedere la chiusura dello stretto danese alla navigazione russa. Entrambi riguardano escalation nel Baltico, che potrebbero equivalere a un blocco illegale che ostacola la libera circolazione degli aerei e delle navi russe in quella zona, esercitando così una pressione senza precedenti su Kaliningrad.

Questa intuizione suggerisce fortemente che l’allarme per i droni russi in Scandinavia fosse in realtà una falsa bandiera per giustificare un giro di vite sulla “flotta ombra” russa, anche se al momento non è chiaro se qualche membro della NATO attraverserà il Rubicone compiendo seriamente una mossa del genere, come chiudere lo stretto danese al suo traffico marittimo. In ogni caso, la proposta di Zelensky dimostra che sta cercando di manipolare Trump per provocare un disastro di proporzioni epiche insieme ad alcuni dei suoi sostenitori della NATO che la pensano come lui, ma si spera che Trump non ci caschi.

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Valutazione della veridicità del rapporto dell’SVR su un attacco sotto falsa bandiera polacco-ucraino in Polonia

Andrew Korybko1 ottobre
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Non c’è dubbio che l’Ucraina abbia interesse ad aumentare le tensioni tra NATO e Russia attraverso questi mezzi, anche impiegando cittadini russi e bielorussi antigovernativi in ​​questo presunto complotto, ma è discutibile se la Polonia sia coinvolta in questo e in quale misura potrebbe esserlo, in tal caso.

Il Servizio di Intelligence Estero russo (SVR) ha avvertito che il GUR ucraino e i servizi segreti polacchi (nessuno dei numerosi servizi segreti esistenti è stato specificato) stanno progettando un attacco sotto falsa bandiera in Polonia, che potrebbe “comportare un attacco simulato a infrastrutture critiche”, per incolpare Russia e Bielorussia. Secondo loro, “Kiev spera di incitare i paesi europei a rispondere alla Russia con la massima forza possibile, preferibilmente militarmente”. La veridicità di queste drammatiche affermazioni sarà ora valutata.

In ordine inverso, sembra davvero che Kiev voglia manipolare i membri della NATO affinché inizino a usare la forza militare diretta contro la Russia, sia in modo speciale zona operativa o altrove, come sul territorio del suo alleato di mutua difesa bielorusso o nella sua exclave di Kaliningrad. Questo spiega perché Zelensky abbia ribadito le sue richieste di no-fly zone dopo il sospetto incidente con un drone russo in Polonia e abbia chiesto la chiusura dello Stretto di Danimarca alle navi russe dopo incidenti altrettanto sospetti in Scandinavia .

È rilevante che l’SVR abbia affermato che il suddetto incidente polacco e un altro romeno correlato fossero provocazioni ucraine, sebbene non sia ancora chiaro cosa sia successo esattamente. In ogni caso, è anche rilevante menzionare le notizie amplificate dalla portavoce del Ministero degli Esteri russo Maria Zakharova secondo cui l’Ucraina starebbe preparando una provocazione con droni sotto falsa bandiera contro la NATO, nonché la parziale responsabilità di Zelensky per il voltafaccia di Trump sull’Ucraina, tutti elementi che danno credito ai sospetti sulle motivazioni dell’Ucraina.

Proseguendo, la parte del loro rapporto su come “militanti della ‘Legione della Libertà di Russia’ e del ‘Reggimento K. Kalinovsky’ bielorusso” siano stati selezionati per questa prossima provocazione potrebbe anche essere vera, poiché è noto che sono delegati ucraini, quindi i cittadini di ciascuno di loro potrebbero effettivamente essere implicati in questo complotto. Ciò a sua volta renderebbe più probabile che la NATO, compresi gli Stati Uniti, venga fuorviata sui responsabili. Quanto alla loro affermazione sul coinvolgimento congiunto della Polonia nell’orchestrazione di tutto ciò, tuttavia, è molto più discutibile.

Il presidente polacco conservatore-nazionalista Karol Nawrocki e il suo Ufficio per la Sicurezza Nazionale non sono stati informati dal governo del primo ministro liberal-globalista Donald Tusk che il danno subito da un’abitazione durante l’incidente con un drone del mese scorso era stato causato da un missile polacco fuori controllo. Lo hanno scoperto solo dopo che una fonte ha fatto trapelare la notizia alla stampa, dopo che il governo di Tusk aveva attribuito la responsabilità del danno alla Russia durante una riunione d’emergenza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, suggerendo così che volesse manipolare Nawrocki e i suoi alleati.

Come valutato qui , lo scopo era quello di ingannarlo e convincerlo ad autorizzare la partecipazione polacca a una no-fly zone sull’Ucraina, al fine di aumentare le tensioni tra NATO e Russia, e questi mezzi contorti sono stati impiegati a causa della sua riluttanza a coinvolgere ulteriormente la Polonia nel conflitto. Tornando al rapporto dell’SVR, o la loro fonte sul coinvolgimento congiunto della Polonia in quest’ultimo complotto è errata, oppure i sovversivi all’interno del suo “stato profondo” stanno agendo alle spalle di Nawrocki, ma il punto è che è irrealistico immaginare che lui ne sia coinvolto.

Ricordiamo che alcuni rapporti dell’SVR non hanno avuto seguito, come quelli sui piani degli Stati Uniti per sostituire Zelensky, criticati qui nell’estate del 2024. Va anche da sé che la Russia non ha davvero motivo di rischiare un’escalation delle tensioni con la NATO attaccando la Polonia, come spiegato qui , qui e qui nell’estate del 2023. Tuttavia, data la possibilità credibile che l’Ucraina stia pianificando un attacco sotto falsa bandiera contro la Polonia, Nawrocki e i suoi alleati dello “stato profondo” dovrebbero avviare urgentemente un’indagine.

L’Ucraina è al centro dei tre triangoli interconnessi per contenere la Russia

Andrew Korybko30 settembre
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Si tratta del Triangolo di Lublino del 2020 (Ucraina, Polonia e Lituania), dell’alleanza di fatto del 2022 tra Ucraina, Polonia e Regno Unito e del Triangolo di Odessa di inizio agosto con Romania e Moldavia.

Negli ultimi anni la Russia ha costantemente accusato l’Occidente di trasformare l’Ucraina in un “anti-Russia” per scopi di contenimento, in risposta alla quale Putin ha autorizzato l’attuale speciale operazione . Un anno e mezzo prima del suo inizio, Polonia, Lituania e Ucraina formarono il “Triangolo di Lublino”, che prevede la cooperazione militare e continua a vacillare cinque anni dopo la sua creazione. Esattamente una settimana prima dell’inizio dell’operazione speciale, Regno Unito, Polonia e Ucraina formarono un’alleanza di fatto .

Questi due triangoli hanno facilitato gli sforzi del Regno Unito per sabotare i colloqui di pace della primavera del 2022, per i quali la Polonia merita pari responsabilità, come spiegato qui , perpetuando così il conflitto fino ad ora. Subito dopo la notizia che Putin e Trump avrebbero tenuto il loro primo incontro di persona dal ritorno di quest’ultimo al potere, avvenuto poi ad Anchorage , l’Ucraina ha annunciato la formazione di un altro triangolo con Romania e Moldavia . Il loro ” Triangolo di Odessa ” è quindi il terzo incentrato sull’Ucraina per contenere la Russia.

Si prevede che questi tre triangoli interconnessi svolgeranno un ruolo significativo nel futuro post-conflitto. Il primo, il Triangolo di Lublino, include la Lituania, che ora ospita la prima base permanente della Germania all’estero . Per quanto riguarda il secondo, coinvolge in modo significativo il Regno Unito, che ha sempre operato per un’Europa divisa et impera. Infine, la Francia ha una base in Romania e un patto di sicurezza con la Moldavia, che potrebbero portare Parigi a sfruttarli come trampolini di lancio per rafforzare la sua presenza segreta a Odessa, recentemente segnalata .

I sette partner associati dell’Ucraina (cinque dei quali sono formali mentre gli altri due – Germania e Francia – sono informali) potrebbero quindi continuare a immettere armi nel Paese per prolungare il conflitto o proseguire la militarizzazione dell’Ucraina in seguito e/o prepararsi a schierarsi lì in futuro. Anche Polonia , Regno Unito , Francia e Germania hanno concluso patti di sicurezza con l’Ucraina nel corso dell’anno scorso, che questa analisi sostiene equivalgano già a una forma di garanzie simili all’articolo 5.

Come è stato scritto, “[l’articolo 5] obbliga i membri ad assistere i loro alleati che subiscono un attacco, anche se ciascuno di loro ‘lo ritiene necessario’. Sebbene venga menzionato l’uso della forza armata, in ultima analisi la decisione se avvalersi o meno di questa opzione spetta ai singoli membri. L’Ucraina ha probabilmente beneficiato di questo principio negli ultimi tre anni, pur non essendo membro della NATO, poiché ha ricevuto dall’alleanza tutto il necessario, tranne le truppe”.

È quindi discutibile se l’Ucraina aderisca formalmente alla NATO, poiché ciò non garantirebbe che i suoi alleati inviino truppe a suo supporto qualora scoppiasse un altro conflitto. Più realisticamente, probabilmente riprenderebbero e poi aumenterebbero gli aiuti che già forniscono solo per evitare un conflitto potenzialmente apocalittico con la Russia. La rapida militarizzazione dell’UE, unita ai progressi nello ” Schengen militare ” per facilitare la logistica correlata, potrebbe creare minacce post-conflitto durature alla sicurezza della Russia.

Da Polonia e Romania, gli altri cinque partner dell’Ucraina potrebbero quindi schierare un gran numero di truppe, immagazzinare grandi quantità di equipaggiamento militare e, eventualmente, continuare a far affluire armi e munizioni oltre confine, sia per prolungare il conflitto, sia per proseguire la militarizzazione dell’Ucraina in seguito. La Russia terrà certamente in considerazione queste minacce credibili quando deciderà il modo migliore per porre fine al conflitto, nel rispetto dei propri interessi nazionali, così come si sono evolute nei 3 anni e mezzo trascorsi dall’inizio dell’operazione speciale.

Cinque motivi per cui le ultime elezioni moldave sono state così importanti

Andrew Korybko29 settembre
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Anche se, nel migliore dei casi, le tensioni dovessero rimanere gestibili, la NATO consoliderà comunque la sua presenza lungo il fianco sud-occidentale dell’Ucraina, che funge anche da fianco nord-occidentale del Mar Nero, raddoppiando così i potenziali problemi che il blocco potrebbe un giorno rappresentare per la Russia.

Il “Partito d’Azione e Solidarietà” (PAS), al potere in Moldavia e fondato dalla presidente liberal-globalista Maia Sandu, ha perso alcuni seggi alle ultime elezioni parlamentari, ma ha comunque ottenuto la maggioranza di misura . Questo risultato è stato ottenuto tramite sospetti brogli, la messa al bando di due partiti di opposizione conservatori-nazionalisti, l’apertura di soli due seggi elettorali in Russia per la loro diaspora di mezzo milione di persone e la creazione di ostacoli per gli elettori della regione separatista della Transnistria. Ecco cinque motivi per cui queste elezioni sono importanti:

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1. L’Occidente ha perfezionato il suo modello di “rafforzamento del regime”

Il referendum sull’UE dello scorso autunno e la rielezione di Sandu sono stati ottenuti attraverso i mezzi sopra menzionati, che hanno preceduto il primo turno delle elezioni presidenziali rumene, i cui risultati sono stati poi annullati con falsi pretesti di ingerenze straniere dopo che il risultato aveva deluso l’UE. La ripetizione ha poi prevedibilmente portato alla vittoria del candidato preferito , nonostante la squalifica del suo rivale. Il modello occidentale di “rafforzamento del regime” è stato ora perfezionato dopo le ultime elezioni moldave e sarà quindi probabilmente applicato altrove in Europa.

2. La NATO completerà la cattura di fatto della Moldavia

La Moldavia è uno Stato costituzionalmente neutrale, ma la situazione potrebbe presto cambiare se la PAS dovesse indire un altro referendum sul modello di quello imperfetto dell’UE. Anche senza modificare la Costituzione, si prevede che la NATO completerà di fatto la sua conquista della Moldavia, probabilmente basandosi sui legami speciali della Moldavia con la Romania e sul patto di difesa stipulato lo scorso anno con la Francia. Come è stato valutato qui , la Francia prevede di utilizzare Romania-Moldavia come trampolino di lancio per intervenire apertamente in Ucraina, prima o dopo la fine della guerra.

3. La Moldavia sarà trascinata ancora più in profondità nel fenomeno della migrazione

Approfondendo la seconda conseguenza di queste elezioni, il Servizio di Intelligence Estero russo (SVR) ha avvertito a metà luglio che ” la NATO sta trasformando la Moldavia in un nuovo ariete militare contro la Russia “, aggiungendo che i suoi cittadini potrebbero persino essere usati come carne da cannone in Ucraina. Che la Moldavia venga coinvolta direttamente nel conflitto o si limiti a facilitare il flusso di armi e forse un giorno anche di truppe occidentali/francesi, il Paese è comunque trascinato sempre più in profondità in un’invasione di missioni, il che comporta gravissimi rischi per la sicurezza.

4. È possibile un attacco congiunto moldavo-ucraino alla Transnistria

Le due conseguenze precedenti si collegano alla penultima, ovvero il sostegno della NATO a un attacco congiunto moldavo-ucraino alla Transnistria, un evento su cui l’SVR aveva messo in guardia lo scorso inverno, partendo dal presupposto che si sarebbe trattato di una vittoria a basso costo ma altamente simbolica sulla Russia, le cui forze di peacekeeping sono ancora dispiegate lì. Questo scenario pericoloso potrebbe provocare una rappresaglia russa contro la Moldavia, trascinandola direttamente nel conflitto, e forse anche la Romania, membro della NATO, se le sue truppe si scontrassero con le forze di peacekeeping russe.

5. La causa principale delle tensioni tra NATO e Russia rimane intatta

Infine, tutto ciò dimostra che la NATO continua a espandersi verso est a scapito degli interessi di sicurezza della Russia, confermando così che la causa principale delle tensioni rimane intatta. Queste ultime mosse aumentano le probabilità che la NATO intensifichi la sua espansione di fatto anche in Ucraina, durante o dopo la guerra, il che a sua volta aumenta le probabilità di un ulteriore peggioramento delle tensioni tra NATO e Russia. La nuova normalità che si sta delineando tra i due Paesi è quindi quella di tensioni più intense nel prossimo futuro.

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Alla luce di quanto sopra, è chiaro che le ultime elezioni moldave sono state molto più importanti di quanto osservatori occasionali avrebbero potuto immaginare, soprattutto considerando quanto si prevede che il loro esito peggiorerà ulteriormente le tensioni tra NATO e Russia. Anche se, nel migliore dei casi, dovessero rimanere gestibili, la NATO consoliderà comunque la sua presenza lungo il fianco sud-occidentale dell’Ucraina, che funge anche da fianco nord-occidentale del Mar Nero, raddoppiando così i potenziali problemi che il blocco potrebbe un giorno rappresentare per la Russia.

La prima esercitazione congiunta polacco-svedese preannuncia una più stretta cooperazione contro la Russia

Andrew Korybko29 settembre
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Hanno dei debiti storici da spartire con la Russia, dopo che il suo predecessore imperiale fu responsabile della fine della loro età dell’oro come grandi potenze.

Polonia e Svezia hanno appena condotto la loro prima “esercitazione a breve termine” (SNEX) nel Baltico, in seguito alla firma di un accordo di cooperazione militare all’inizio di settembre. Ciò coincide con l’ avvertimento del Ministro degli Esteri polacco Radek Sikorski , secondo cui la Polonia abbatterà qualsiasi drone, missile o aereo russo che entri nel suo spazio aereo. Le sue parole seguono quelle di alcuni droni russi, che avrebbero fatto lo stesso all’inizio del mese, e le accuse della Polonia ai jet russi di aver violato la zona di sicurezza di una piattaforma di perforazione poco dopo.

Il primo incidente è stato probabilmente causato da un disturbo della NATO, mentre il secondo – se vero – potrebbe essere stato causato dalla raccolta di informazioni su apparecchiature di sorveglianza clandestine presenti in loco, a seguito di segnalazioni secondo cui la Polonia avrebbe iniziato a installarne durante l’estate su infrastrutture offshore come i parchi eolici. Le tensioni tra Polonia e Russia si stanno quindi chiaramente intensificando e il Baltico sta diventando sempre più un teatro significativo sul fronte NATO-Russia della Nuova Guerra Fredda, soprattutto dopo che l’Estonia ha accusato la Russia di aver violato il suo spazio aereo in quella zona.

La prima esercitazione congiunta polacco-svedese dovrebbe quindi essere vista come un rafforzamento del contenimento della Russia da parte della NATO. Il presidente Karol Nawrocki ha dichiarato nel suo discorso inaugurale di agosto: “Sogno che a lungo termine i Nove di Bucarest diventino gli Undici di Bucarest, insieme ai paesi scandinavi. Sì, noi, come polacchi, nell’Europa centrale e nell’Europa orientale, siamo responsabili della costruzione della forza del fianco orientale della NATO. E questa dovrebbe essere anche la direzione geopolitica internazionale della mia presidenza”.

In questo contesto, la Scandinavia si riferisce ai nuovi membri della NATO, Finlandia e Svezia, il primo dei quali ha visitato all’inizio di settembre durante l’ultima tappa del suo primo viaggio all’estero, mentre il secondo è il più forte dei due e quello con cui la Polonia ha appena condotto la sua prima esercitazione militare congiunta. Ha anche ribadito quanto detto in precedenza sulla prevista sfera di influenza regionale del suo Paese durante un’intervista con i media lituani, in cui ha rivendicato la responsabilità polacca per la sicurezza degli Stati baltici.

L'” Iniziativa dei Tre Mari ” , informalmente guidata dalla Polonia, include ufficialmente gli ex membri comunisti dell’UE, Austria e Grecia, ma ora è concettualizzata da Varsavia, sotto la guida di Nawrocki, come un’espansione di fatto verso la Scandinavia (Finlandia e Svezia) a causa dei loro interessi comuni nel contenere la Russia. I crescenti legami tra Polonia e Svezia, odiati rivali durante il XVII secolo dopo l’invasione svedese (” Diluvio “) che uccise circa un terzo della popolazione polacca, convergeranno maggiormente nel Baltico.

Così come ci si aspetta che la Polonia svolga un ruolo più importante nel Mar Baltico in collaborazione con la Svezia, ci si aspetta che anche la Svezia svolga un ruolo più importante nella sicurezza degli Stati baltici in collaborazione con la Polonia, con il duopolio baltico polacco-svedese che aspira a contenere congiuntamente la Russia su tutto questo fronte. Potrebbero seguire basi nei rispettivi territori (forse una base aeronavale polacca sull’isola svedese di Gotland ?) ed esercitazioni multilaterali tra Polonia, Svezia, Stati baltici e forse anche Finlandia, Regno Unito e Stati Uniti.

Polonia e Svezia hanno un conto in sospeso storico con la Russia, dopo che il suo predecessore imperiale fu responsabile della fine della loro età dell’oro come grandi potenze. Hanno anche una storia comune di influenza sugli Stati baltici: la Svezia esercitava principalmente sull’Estonia, la Polonia principalmente sulla Lituania e, per periodi variabili, sulla Lettonia (molti ignorano che parte di essa rimase sotto il controllo di Varsavia fino alla Terza Spartizione del 1795). Ciò rappresenta una minaccia emergente per la Russia, che aumenta il rischio di una guerra con la NATO.

Perché la Slovacchia si è impegnata a fornire garanzie di sicurezza occidentali all’Ucraina?

Andrew Korybko28 settembre
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Fico non può realisticamente aspettarsi alcun sollievo dalle pressioni dell’UE su di lui se ha minacciato di ostacolare la spedizione di armi destinate all’Ucraina attraverso la Slovacchia dopo la fine del conflitto.

Il ritorno di Robert Fico alla presidenza della Slovacchia, quasi due anni fa, ha visto il suo Paese invertire la propria politica nei confronti dell’Ucraina, passando dal sostegno al bellicismo occidentale all’emulazione della politica del Primo Ministro ungherese Viktor Orbán, che chiedeva una rapida fine delle ostilità. Alcuni potrebbero quindi sorprendersi nell’apprendere che Fico si sia impegnato, all’inizio di settembre, a sostenere le garanzie di sicurezza occidentali per l’Ucraina, anche se solo per quanto riguarda l’utilizzo delle infrastrutture di trasporto slovacche in relazione a ciò.

Sebbene nessun leader occidentale abbia confermato esattamente cosa ciò potrebbe comportare, né è chiaro se vi sia consenso su come procedere al riguardo, questa analisi fa riferimento a precedenti rapporti che suggeriscono che potrebbero essere previste più armi, truppe sul terreno e forse persino una no-fly zone. Fico ha dichiarato che “la Slovacchia non invierà soldati in Ucraina”, ma facilitare l’invio di altri soldati potrebbe vanificare la sua ritrovata neutralità, così come ospitare jet e difese aeree per una no-fly zone ucraina.

Tuttavia, probabilmente non accetterà se ciò verrà fatto unilateralmente senza l’approvazione della Russia, poiché ha anche aggiunto che “Dobbiamo negoziare garanzie di sicurezza per l’Ucraina, dobbiamo negoziare garanzie di sicurezza per la Russia. Questo dovrebbe essere un pacchetto unico”. In assenza della sua approvazione come parte di una soluzione politica al conflitto ucraino , la Slovacchia probabilmente non svolgerà alcun ruolo logistico nelle garanzie di sicurezza dell’Occidente per l’Ucraina, poiché ciò violerebbe la sua promessa elettorale di tenerla fuori da questa guerra .

Allo stesso tempo, il motivo per cui Fico si è impegnato a fornire assistenza alle suddette condizioni è probabilmente dovuto alla pressione a cui è stato sottoposto dall’UE, che, come ha affermato il Ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto a fine agosto, ha cercato di deporre Orbán e Fico per le loro politiche pro-pace. La sua dichiarazione mirava quindi probabilmente ad alleviare parte di questa pressione, dimostrando che la Slovacchia coopererà con Bruxelles – sia l’UE che la NATO – sul dossier ucraino una volta che la pace sarà finalmente tornata.

Potrebbero non limitare la loro campagna, e lui potrebbe sempre imporre limiti a questa cooperazione, come rifiutarsi di ospitare jet e difese aeree per una no-fly zone ucraina, ma il significato risiede nella sua affermazione di fatto della Slovacchia come membro leale dell’Occidente che non si è “ribellato”. La politica estera del suo paese, proprio come quella dell’Ungheria, è in ultima analisi vincolata dal fatto che è un membro senza sbocco sul mare sia dell’UE che della NATO. Anche se volesse “ribellarsi”, cosa che non vuole, non c’è molto che possa fare.

Fico e Orbán stanno semplicemente esprimendo un dissenso di principio sulla politica da adottare entro i limiti legali loro imposti dall’adesione all’UE e alla NATO, a causa della politica occidentale nei confronti dell’Ucraina che danneggia i loro interessi nazionali. Una volta raggiunto un accordo di pace, e se le garanzie di sicurezza concordate includeranno almeno una maggiore fornitura di armi all’Ucraina, allora svolgeranno il ruolo che ci si aspetta da loro nello ” Schengen militare “. Se consentiranno il transito di truppe occidentali in Ucraina e/o ospiteranno risorse nella no-fly zone è un’altra questione.

Nel complesso, l’impegno della Slovacchia a contribuire alla garanzia di sicurezza occidentale per l’Ucraina è pragmatico dal punto di vista dei suoi interessi nazionali. Fico non può realisticamente aspettarsi alcun sollievo dalle pressioni dell’UE su di lui se minacciasse di ostacolare la spedizione di armi destinate all’Ucraina attraverso la Slovacchia dopo la fine del conflitto. Anche se la sua dichiarazione politica non cambia nulla a questo proposito, dissipa comunque la falsa percezione che il suo Paese sia “diventato un canaglia”, screditando così la continua campagna di pressione dell’UE.

Valutazione delle segnalazioni secondo cui l’Ucraina sta preparando una provocazione sotto falsa bandiera con droni contro la NATO

Andrew Korybko27 settembre
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Dopo aver catturato droni russi e bombardato i centri logistici della NATO in Polonia e Romania tramite un moderno “incidente di Gleiwitz”, l’Ucraina potrebbe raggiungere l’obiettivo di scatenare una guerra accesa tra NATO e Russia.

La portavoce del Ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha sollevato l’attenzione mondiale sulle notizie riportate dai media ungheresi su un piano di provocazione ucraino con droni sotto falsa bandiera contro la NATO nel suo post su Telegram di venerdì. Ha linkato il sito di una delle testate, Pesti Srácok , poco più di due ore dopo la pubblicazione del suo editoriale. L’editoriale si è concluso citando post di Telegram non specificati sui piani dell’Ucraina di bombardare hub logistici in Polonia e Romania con droni russi catturati per poi incolpare Mosca.

Di conseguenza, non ci sono dati di intelligence attendibili al riguardo, solo resoconti sui social media ripresi dal Ministero degli Esteri russo e amplificati dalla sua portavoce. Tuttavia, ciò non significa che tale scenario non sia credibile, soprattutto considerando il contesto più ampio. Trump ha appena dato il via libera alla NATO per l’abbattimento dei jet russi che violano lo spazio aereo dell’Unione, il che potrebbe probabilmente incoraggiare alcuni membri a tentare l’abbattimento con falsi pretesti, rischiando così una grave escalation delle tensioni tra NATO e Russia, esattamente come auspicato dall’Ucraina.

Allo stesso modo, se i più zelanti anti-russi lungo la frontiera orientale dell’alleanza dovessero ricredersi per timore che Trump possa lasciarli a bocca asciutta, l’Ucraina potrebbe spingerli verso operazioni offensive contro la Russia mascherate da “ritorsione reciproca” attraverso questo complotto sotto falsa bandiera. La sostanza è simile a ciò che il Servizio di Intelligence Estero russo aveva messo in guardia due volte durante l’estate riguardo ai complotti congiunti britannico-ucraino per mettere in atto provocazioni sotto falsa bandiera nel Mar Baltico.

Secondo le loro fonti, ciò comporterebbe che siluri sovietici/russi trasferiti dall’Ucraina colpiscano una nave statunitense o che esplodano nelle sue immediate vicinanze e/o recuperino mine sovietiche/russe trasferite dall’Ucraina, il che potrebbe bastare a spingere Trump a una missione più aggressiva. Potrebbero anche giustificare falsamente azioni offensive sulla base di “ritorsioni reciproche”, anche se in mare in questi scenari, mentre l’ultimo scenario di cui ha parlato Zakharova potrebbe includere droni, attacchi aerei e/o una no-fly zone.

La Russia continua a guadagnare gradualmente terreno nella speciale zona di operazione e, sebbene non si sia ancora verificata alcuna svolta, le dinamiche militare-strategiche sono chiaramente a suo favore e decisamente contro quelle dell’Ucraina. Portata alle sue estreme conseguenze, questa tendenza porterà inevitabilmente la Russia a controllare tutto il territorio conteso, consentendo così a Mosca di porre fine al conflitto alle sue condizioni. L’Ucraina vuole scongiurare questo scenario e sta disperatamente cercando di progettare la svolta decisiva di un intervento diretto della NATO a tal fine.

Solo attraverso uno sviluppo così drammatico le dinamiche sopra menzionate potrebbero essere alterate, almeno per congelare il conflitto , cosa che l’Ucraina e l’Occidente hanno inutilmente chiesto alla Russia, poiché ciò lascerebbe insoddisfatti molti dei suoi obiettivi nel conflitto, ergo le motivazioni sotto falsa bandiera dell’Ucraina. Aver catturato droni russi e bombardato gli hub logistici della NATO in Polonia e Romania attraverso un moderno “incidente di Gleiwitz”, come Zakharova ha descritto i presunti piani dell’Ucraina, potrebbe facilmente raggiungere questo obiettivo.

Pertanto, sebbene non vi siano prove a sostegno dell’affermazione che l’Ucraina stia preparando una provocazione sotto falsa bandiera con droni contro la NATO, questa ipotesi non può essere esclusa. Il post di Zakharova aveva lo scopo di smascherare questo complotto e quindi scoraggiare l’Ucraina, ma nel caso in cui ciò dovesse ancora accadere, Trump non dovrebbe lasciarsi manipolare da Zelensky per provocare un disastro di proporzioni epiche, coinvolgendo gli Stati Uniti nella falsa “ritorsione reciproca” della NATO o promettendo di difendere il blocco prima che la Russia gli impartisca probabilmente una lezione dolorosa e indimenticabile.

Nawrocki propone una soluzione creativa alla controversia polacco-tedesca sulle riparazioni

Andrew Korybko27 settembre
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La Germania potrebbe sovvenzionare il complesso militare-industriale polacco come forma di risarcimento.

Il partito polacco “Diritto e Giustizia” (PiS), che ne è la principale forza nazionalista conservatrice (ma molto imperfetta), negli ultimi anni ha rilanciato la questione delle riparazioni tedesche alla Polonia per la Seconda Guerra Mondiale. Questa questione era stata sostenuta con entusiasmo e senza successo quando controllavano la presidenza e il parlamento, ma oggi mantengono il controllo della prima solo attraverso Karol Nawrocki, il loro alleato nominalmente indipendente. È stato proprio lui a sollevare nuovamente la questione durante il suo viaggio in Germania a metà settembre.

Ha proposto creativamente che “la Germania potrebbe iniziare a pagare le riparazioni sviluppando il potenziale dell’industria bellica polacca e rafforzando il fianco orientale della NATO. Questa non è una ricetta definitiva, ma un inizio”. Per quanto riguarda il contesto , la Germania considera la questione chiusa dopo che la “Repubblica Popolare Polacca” rinunciò al suo diritto alle riparazioni nel 1953 in cambio del riconoscimento del suo nuovo confine, ma il PiS sostiene che ciò fosse illegittimo a causa di quella che la Polonia post-comunista considera essere stata l’occupazione sovietica di allora.

Indicano anche in modo più convincente i risarcimenti tedeschi ai sopravvissuti all’Olocausto e alla Namibia (per il genocidio dell’era coloniale) come prova di un doppio standard che, sperano, metterà la Germania in imbarazzo a sufficienza da spingerla a pagare finalmente i risarcimenti anche alla Polonia. Il ministro degli Esteri polacco Radek Sikorski, rappresentante della “Coalizione Civica” liberal-globalista, ha lamentato che “sebbene moralmente la Polonia meriti un risarcimento per i crimini tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale, dal punto di vista legale la questione è purtroppo senza speranza”.

Ricordiamo che circa 6 milioni di polacchi furono uccisi dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale, pari a circa 1/5 della popolazione prebellica, la percentuale più alta di qualsiasi altro Paese. I polacchi furono anche le prime vittime dei genocidi nazisti, essendo stati presi di mira per lo sterminio fisico anche prima della guerra lampo del 1° settembre 1939, come dimostrato dal Libro Speciale dell’Accusa – Polonia , che portò all’Operazione Tannebnerg e all’Intelligenzaktion . Queste azioni precedettero la ” Soluzione Finale ” per il genocidio degli ebrei.

Mentre alcuni sostengono che la cessione da parte della Germania di quelli che la Polonia considera i “Territori Recuperati” fosse una forma di risarcimento, in realtà fu concordata dagli Alleati a Potsdam come compensazione per la perdita da parte della Polonia di quelli che considerava i “Kresy”, o “Terre di Confine Orientali”. Questa metà della Polonia tra le due guerre era divisa tra le ex repubbliche sovietiche di Lituania, Bielorussia e Ucraina. Fu la patria di molti re, leader militari e personalità culturali che plasmarono la civiltà-stato polacca.

Tornando al presente, la soluzione creativa di Nawrocki alla controversia polacco-tedesca sulle riparazioni, riaccesa dai suoi alleati del PiS nel 2022, mira a far sì che la Germania ridistribuisca alla Polonia parte della ricchezza destinata alla rimilitarizzazione , modernizzando così più rapidamente il complesso militare-industriale del suo Paese. Il riferimento al fianco orientale della NATO intende suggerire che la Germania abbia un interesse strategico-militare condiviso (almeno secondo la sua élite ) nel rafforzare il ruolo della Polonia come avanguardia anti-russa del blocco.

Ora comanda il terzo esercito più grande della NATO dopo la sua militarizzazione e spende più PIL per la difesa di qualsiasi altro membro, ma questo potrebbe essere finanziariamente oneroso da mantenere, da qui la proposta della ben più ricca Germania di sovvenzionarlo con il pretesto delle riparazioni. La Germania potrebbe ancora rifiutare per ragioni di prestigio nazionale, ma se Nawrocki convincesse il suo alleato Trump che la Polonia può guidare il contenimento della Russia in Europa dopo la fine del conflitto ucraino , allora gli Stati Uniti potrebbero costringerla ad adeguarsi.

Rassegna Stampa Tedesca 52 puntata_a cura di Gianpaolo Rosani

Narva è un collo di bottiglia, uno dei dieci valichi di frontiera rimasti tra la Russia e l’UE, molti dei
quali funzionano solo in modo limitato. Alle sette apre il cosiddetto “ponte dell’amicizia” che
conduce in Russia. Qualche anno fa, autobus e automobili attraversavano ancora il confine qui, c’è
persino un cartello che indica una pista ciclabile che un tempo indicava ai cicloturisti la strada per
la Russia. Oggi sulla carreggiata ci sono rotoli di filo spinato e barriere anticarro, solo uno stretto
corridoio per i pedoni è percorribile. La gente si lamenta di dover aspettare tante ore, nessuna
merce soggetta a sanzioni entra in Russia. Nella primavera del 2024 l’Estonia ha introdotto un
controllo doganale completo. Chiunque voglia entrare in Russia viene sottoposto a un’accurata
perquisizione.


01.10.2025
Come un piccolo Paese tiene testa alla Russia
L’Estonia si trova continuamente confrontata con provocazioni. Recentemente, jet da combattimento
russi hanno violato il suo spazio aereo. La rivalità che dura dal distacco da Mosca sta ora raggiungendo il
suo apice. Lo si può osservare in uno degli ultimi valichi di frontiera ancora aperti.

Erik Purgel dirige l’ufficio di frontiera di Narva. Dietro di lui inizia il «ponte

dell’amicizia» che conduce in Russia.
Di JULIUS FITZKE
Quando l’autobus proveniente da Tallinn arriva di prima mattina a Petersplatz, nella terza città più grande
dell’Estonia, Narva, sta appena sorgendo il sole.

Il contenimento dell’immigrazione per motivi di asilo è uno dei progetti più importanti della
coalizione nero-rossa. Il respingimento dei richiedenti asilo, controlli più severi alle frontiere, la
sospensione parziale del ricongiungimento familiare e espulsioni ancora più rigorose dovrebbero
garantire una diminuzione del numero di richiedenti asilo in Germania. Cosa ha portato finora la
svolta migratoria annunciata a gran voce? Ha davvero effetto sul territorio, nelle città e nei comuni?
O è soprattutto una cosa: politica simbolica?

26.09.2025
Effetto limitato
Immigrazione – Il ministro dell’Interno della CSU Dobrindt persegue la sua “linea dura” alla frontiera,
mentre la SPD lo segue a malincuore. Cosa ha portato finora la svolta in materia di migrazione e cosa no.

Di Judith Bootsmann, Jürgen Dahlkamp, Jan Friedmann, Sophie Garbe, Paul-Anton Krüger, Livia Sarai Lergenmüller, Philipp Wittrock
L’allitterazione suona già accattivante: «Munich Migration Meeting». Per l’inizio di ottobre, il ministro degli
Interni federale ha invitato i suoi omologhi europei e il commissario europeo per gli Affari interni al
Bayerischer Hof di Monaco.

Negli Stati Uniti è in vigore da gennaio un divieto di Tiktok, emanato da Joe Biden, che vieta alle
aziende americane di collaborare con Tiktok o di distribuire l’app, a meno che la piattaforma non
sia più controllata dalla sua società madre cinese Bytedance. Trump ha sospeso più volte il divieto
per dare tempo ai negoziati con gli investitori USA per rilevare le attività di TikTok: un accordo
dovrebbe essere firmato entro il 16 dicembre. Dopo una telefonata tra il presidente degli Stati Uniti
Donald Trump e il capo del governo cinese Xi Jinping, la Casa Bianca ha fornito i primi dettagli su
un accordo quadro che regola il passaggio di proprietà. La parte cinese si è finora espressa in
modo più cauto. In un comunicato si afferma che si rispetta la “volontà” delle aziende private.
Secondo fonti interne, alcuni dettagli giuridici non sono ancora stati chiariti in modo definitivo. Qual
è l’oggetto del conflitto tra Stati Uniti e Cina? Fin dall’inizio, uno dei punti controversi è stato il
futuro dell’algoritmo di raccomandazione dei contenuti di TikTok. La società madre cinese ha poco
interesse a divulgarlo, sarebbe come se Xi vietasse la Coca-Cola in Cina, a meno che la società
statunitense non ne rivelasse la ricetta segreta.

22.09. 2025
L’accordo su TikTok si avvicina: ruolo centrale
per Oracle
Poche piattaforme attraggono le masse come l’app video dell’azienda tecnologica cinese Bytedance. Ora
i nuovi azionisti di TikTok dovrebbero avere voce in capitolo sull’algoritmo. I dettagli sono ancora da
definire.

Di Philipp Alvares de Souza Soares – San Francisco
Il destino dell’app video TikTok negli Stati Uniti sembra essere stato deciso. Dopo una telefonata venerdì tra
il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il capo del governo cinese Xi Jinping, sabato la Casa Bianca ha
fornito i primi dettagli su un accordo quadro che regola il passaggio di proprietà a investitori statunitensi.

Seelow, cittadina di 5000 abitanti nel Brandeburgo orientale: dal 2023 Robert Nitz è sindaco. Egli
rappresenta una tendenza che da anni si manifesta in un numero sempre maggiore di villaggi,
paesi e città: per impedire l’elezione di un candidato dell’AfD, tutti gli altri gruppi politici si schierano
dietro un candidato comune, spesso un indipendente come Nitz. A livello nazionale il numero dei
sindaci indipendenti è in aumento, e la tendenza è particolarmente evidente nella Germania
orientale. I candidati indipendenti sono forse l’arma segreta contro la crescente influenza dell’AfD a
livello comunale?

STERN
18.09.2025


IL SIGNOR NITZ NON SI LASCIA INFLUENZARE
DA NESSUNO
In un numero sempre maggiore di città e comuni governano sindaci senza tessera di partito. Sono una
ricetta contro l’AfD o un pericolo per la democrazia?

Di Sabina Zollner (si è recata più volte a Seelow per la ricerca e non ha sentito dire nulla di negativo)
Robert Nitz non ha l’aspetto di un tipico sindaco. Pantaloni chiari, maglione casual, scarpe da ginnastica. E
la sedia su cui è seduto Nitz non sembra una tipica poltrona ufficiale.

La politologa Barbara Walter cita quattro condizioni che favoriscono la violenza politica: il declino
della democrazia, una profonda divisione sociale, una leadership politica che tollera la violenza e
un facile accesso alle armi. E gli Stati Uniti? Soddisfano tutti e quattro i criteri, con una tendenza al
rialzo. In passato, la coesione sociale era abbastanza forte da superare tali crisi e trarne
insegnamento; i sondaggi attuali non promettono nulla di buono: secondo il “Chicago Project on
Security and Threats”, sempre più americani considerano legittimo l’uso della violenza politica in
determinate condizioni. In un’America in cui destra e sinistra si odiano come mai prima d’ora, le
elezioni di medio termine dell’autunno 2026 potrebbero diventare un punto critico. La posta in
gioco è alta, forse addirittura altissima.

STERN
18.09.2025
POLITICA CON IL FUCILE
L’omicidio dell’attivista di destra Charlie Kirk potrebbe rappresentare una svolta per gli Stati Uniti. Ma in
quale direzione?

Di Leonie Scheuble
Martin Luther King e Charlie Kirk avevano ben poco in comune. Da un lato King, predicatore della non
violenza, attivista per i diritti civili che sognava uguaglianza e riconciliazione e dedicò la sua vita alla lotta
contro il razzismo.

Quasi tutti i Länder segnalano un massiccio aumento dei reati violenti e in particolare dei reati nei
loro centri urbani, nei parchi, nelle stazioni ferroviarie e nei luoghi pubblici. Solo lo scorso anno, le
autorità di polizia hanno registrato circa 74.000 reati, tra cui calci, coltellate, aggressioni con
bottiglie di birra, pugni e lancio di pietre, solo per citare alcuni casi “tipici”. Due sospetti su cinque
non avevano il passaporto tedesco, una percentuale nettamente superiore alla loro quota di
popolazione. Non è solo l’aumento dell’intensità che viene segnalato dai criminologi. “Stiamo
assistendo a un fenomeno nuovo, che non rientra in nessuno degli schemi tradizionali. I gruppi
sono multietnici e policriminali, quindi si distinguono per i tipi di reato più disparati. Il fattore
unificante è il quartiere, l’angolo di strada, il grattacielo in cui sono cresciuti i membri.


19.09.2025
Aumenta la brutalità nelle metropoli tedesche
Nelle aree metropolitane di tutta la Repubblica aumenta il numero dei reati violenti, in particolare quelli
commessi da minori. Le autorità di sicurezza sono preoccupate

Di PHILIPP WOLDIN E ALEXANDER DINGER
Da qualche tempo, nei corridoi dei tribunali di tutto il Paese si è affermato il concetto di “reati di
chiarimento”.

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