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Mario Draghi: l’appello di Coimbra. Testo integrale

Mario Draghi: l’appello di Coimbra. Testo integrale

Mario Draghi ormai ci sta abituando ai continui aggiustamenti delle sue profetiche sentenze. Scusate l’ossimoro, ma ormai queste giungono sempre troppo tardi e non colgono l’aspetto centrale delle questioni. Sino a pochi giorni fa parlava di divario incolmabile del differenziale europeo sulla intelligenza artificiale (IA) con gli Stati Uniti; oggi diventa strenuo sostenitore della necessità di colmarlo. Si arrabatta a sollecitare un coordinamento centralizzato delle politiche europee, specie di difesa, ma elude sui presupposti, politici e culturali, che dovrebbero sottendere a questo proposito. Rappresenta la massima espressione del metodo funzionalista di costruzione della Unione Europea (UE) apparentemente privo di strategie politiche. In apparenza, per l’appunto. Il sotteso rimane sempre quello: la ragione d’essere della UE rimane l’ostilità alla Russia, secondo la visione e gli interessi di una sola parte dei paesi e leadership europei e soprattutto statunitensi. Gli sfugge un piccolo particolare: questa opzione sta perdendo rovinosamente terreno proprio negli Stati Uniti. Il nodo gordiano irrisolvibile rimane la discrasia, fonte primaria di polarizzazione e divisione interna, tra i criteri stabiliti dalla Commissione Europea e l’adozione di questi da parte di stati e governi in condizioni strutturali diverse e con diverse capacità di influenza nella determinazione delle regole europee. Un genio ormai talmente incompreso da far dubitare delle sue facoltà. Giuseppe Germinario

«Torneremo a investire in Europa, in modo massiccio e responsabile.

Affronteremo gli interessi consolidati che oggi ostacolano il nostro cammino verso un futuro basato sull’innovazione piuttosto che sul privilegio.

E proteggeremo e preserveremo la nostra libertà.»

In Portogallo, davanti a capi di Stato europei, Mario Draghi ha stabilito una nuova diagnosi e fissato una rotta.

Pubblichiamo il suo appello di Coimbra.

Autore Il Grand Continent • Cover © SIPA


A Coimbra, una delle più antiche città universitarie del continente, nel Convento di San Francesco dove si è tenuta oggi l’edizione 2025 del Vertice COTEC, davanti al re di Spagna e al presidente portoghese Marcelo Rebelo de Sousa, l’ex presidente del Consiglio e della Banca centrale europea ha pronunciato un discorso chiave.

Andando oltre il suo rapporto e quello di Enrico Letta — che cita più volte nel suo intervento — Draghi ha lanciato un nuovo appello all’azione dopo il suo discorso al Parlamento europeo a Bruxelles.

Questo aggiornamento — iniziato a Roma davanti al Senato in un precedente intervento a febbraio — assume qui una svolta ancora più radicale.

Oltre agli appelli a investimenti massicci e a un debito comune, l’ex banchiere centrale chiede un’accelerazione della deregolamentazione, uno shock che dovrebbe portare all’abolizione dei privilegi e delle rendite di posizione per sbloccare finalmente la crescita europea di fronte alla minaccia russa e alla rottura trumpista.

Questo appello inizia con un monito: sebbene forte e fondata su un potente mercato unico, l’Unione è anche uno degli attori più esposti alla guerra commerciale, data la sua apertura al mondo. Anche se riuscisse a trovare un accordo con Trump, gli shock indiretti dei dazi doganali a livello mondiale la colpirebbero duramente.

Come nel suo rapporto, Mario Draghi passa anche in rassegna i settori che ritiene fondamentali per i quali occorre trovare soluzioni a brevissimo termine per ritrovare l’autonomia: l’energia, le nuove tecnologie e la difesa.

Non è un caso che Draghi si sia recato a Coimbra sullo stesso aereo ufficiale del presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella, che poche settimane fa ha delineato il programma di resistenza contro la «vassallaggio felice».

Secondo lui, al termine di una «crisi ventennale», oggi ci sono le condizioni per un cambiamento radicale.

La storia dell’Europa può tornare a scriversi al futuro?

Con il suo Appello di Coimbra, Mario Draghi sembra esserne convinto.

Signore e signori,

sono particolarmente onorato da questo invito a riflettere insieme sulle sfide per l’Europa derivanti da questo periodo di profondi cambiamenti nel commercio e nelle relazioni internazionali.

Questi cambiamenti sono in atto da diversi anni e la situazione aveva iniziato a deteriorarsi già prima dei recenti sconvolgimenti tariffari. Finora, la frammentazione politica interna e la crescita lenta hanno ostacolato una risposta europea efficace.

Ma gli eventi recenti rappresentano un punto di rottura. Il vasto ricorso ad azioni unilaterali per risolvere controversie commerciali, insieme alla definitiva delegittimazione del WTO, hanno minato l’ordine multilaterale in un modo difficilmente reversibile.

Per essere una grande economia, l’UE è altamente aperta al commercio.

Quasi un quinto del nostro valore aggiunto totale proviene dalle esportazioni, il doppio rispetto agli Stati Uniti. Più di 30 milioni di posti di lavoro sono sostenuti dalle esportazioni, circa il 15% dell’occupazione. E registriamo anche un ampio surplus delle partite correnti di circa il 3% ogni anno, il che implica che – in termini netti – assorbiamo domanda dal resto del mondo.

Questa apertura aumenta notevolmente l’esposizione della nostra crescita e occupazione alle azioni di policy dei nostri partner commerciali e a cicli politici che hanno origine al di fuori dell’Europa. E la nostra principale esposizione è verso gli Stati Uniti.

Siamo esposti direttamente, poiché gli Stati Uniti sono il nostro maggiore mercato di esportazione, con oltre il 20% delle nostre esportazioni di beni che attraversano l’Atlantico.

E siamo esposti indirettamente, poiché gli Stati Uniti sono la principale fonte di domanda per i nostri partner commerciali. Ciò significa che se la domanda statunitense vacilla, anche le importazioni dei nostri partner dall’Europa vacilleranno. Le analisi della BCE mostrano che, in caso di shock al PIL degli Stati Uniti, questi effetti indiretti sull’area dell’euro superano in realtà gli effetti diretti.

Le recenti azioni dell’amministrazione statunitense avranno certamente un impatto sull’economia europea. E anche se le tensioni commerciali dovessero diminuire, è probabile che l’incertezza persista e agisca come un vento contrario per gli investimenti in tutto il settore manifatturiero dell’UE.

Ora, dovremmo chiederci come mai siamo finiti nelle mani dei consumatori statunitensi per guidare la nostra crescita. E dovremmo chiederci come possiamo crescere e generare ricchezza da soli.

Realisticamente, non possiamo diversificarci dagli Stati Uniti nel breve periodo. Possiamo e dovremmo cercare di sbloccare nuove rotte commerciali e far crescere nuovi mercati. Ma qualsiasi speranza che un’apertura al mondo possa sostituire gli Stati Uniti è destinata a essere delusa.

Gli Stati Uniti rappresentano quasi due terzi del deficit commerciale globale di beni. Le altre due maggiori economie – Cina e Giappone – registrano anch’esse persistenti surplus delle partite correnti. Dovremo quindi raggiungere con gli Stati Uniti un accordo che ci lasci aperto un accesso.

Nel lungo periodo, tuttavia, è un azzardo credere che torneremo alla normalità nel nostro commercio con gli Stati Uniti, dopo una rottura unilaterale così importante in questa relazione – o che nuovi mercati cresceranno abbastanza velocemente da colmare il divario lasciato dagli USA.

Se l’Europa vuole davvero essere meno dipendente dalla crescita degli Stati Uniti, dovrà produrla da sé.

La prima azione che dobbiamo intraprendere è cambiare il quadro di politiche macroeconomiche che abbiamo progettato dopo la grande crisi finanziaria e la crisi del debito sovrano.

Fino ad allora, l’UE aveva avuto una posizione delle partite correnti sostanzialmente equilibrata e una domanda interna adeguata. Ma di fronte alle conseguenze di queste crisi – una ripresa lenta e un alto debito pubblico – i governi hanno cercato di riorientare l’economia verso i mercati mondiali e importare domanda dall’estero.

Il quadro aveva tre elementi principali.

Il primo era una politica fiscale restrittiva. Dal 2009 al 2019, la posizione fiscale complessiva nell’area dell’euro, corretta per il ciclo, è stata in media dello 0,3%, rispetto al -3,9% negli Stati Uniti. La principale vittima di questo consolidamento sono stati gli investimenti pubblici, che sono scesi di quasi un punto percentuale come quota del PIL e non hanno recuperato i livelli pre-crisi fino alla pandemia.

Il secondo elemento era rappresentato da un’attenzione alla competitività esterna più che alla produttività interna.

Dal 2000, la crescita annuale della produttività del lavoro nell’UE è stata solo la metà di quella degli Stati Uniti, causando un divario di produttività cumulativo di 27 punti percentuali nell’intero periodo. Ma invece di cercare di invertire la tendenza della produttività, abbiamo costruito le nostre politiche del lavoro in modo da adattarle ad essa.

Soprattutto dopo le crisi, abbiamo fatto uno sforzo deliberato per reprimere la crescita dei salari in modo da aumentare la competitività esterna. I nostri salari reali non sono riusciti a tenere il passo nemmeno con la nostra lenta produttività, mentre i salari reali negli Stati Uniti sono aumentati di 9 punti percentuali in più rispetto ai salari nell’area dell’euro nello stesso periodo.

Questa repressione salariale ha frenato i consumi e ha rafforzato il colpo alla domanda interna causato dalla politica fiscale restrittiva. Prima del 2008, la domanda interna nell’area dell’euro cresceva circa allo stesso ritmo degli Stati Uniti. Da allora, la domanda interna negli Stati Uniti è cresciuta a un ritmo più che doppio.

Il terzo elemento è consistito essenzialmente nel rinunciare allo sviluppo del mercato interno come fonte di crescita.

Le regole non sono state applicate, i procedimenti d’infrazione sono diminuiti del 75% dopo il 2011. E si sono fatti pochi progressi nell’abbassare le barriere interne nei servizi. Sorprendentemente, le barriere esterne nei servizi sono diminuite più velocemente di quelle interne, reindirizzando la domanda al di fuori dell’UE.

Questo contesto ha portato a una depressione dei tassi di rendimento per gli investitori, e il capitale è stato spinto fuori dall’UE alla ricerca di opportunità. Dal 2015 al 2022, le grandi società quotate europee hanno avuto un tasso di rendimento sul capitale investito di circa 4 punti percentuali inferiore rispetto ai loro omologhi statunitensi.

Recenti rapporti commissionati dalla Presidente della Commissione Europea e dal Consiglio Europeo forniscono una tabella di marcia per un nuovo quadro di policy. Tra le varie indicazioni, propongono investimenti più elevati e lo smantellamento delle barriere che ostacolano il funzionamento del mercato interno.

Queste misure sono auto-rafforzanti.

Investimenti più elevati possono generare un forte impulso alla domanda interna, compensando qualsiasi vento contrario proveniente da una domanda statunitense più debole. Barriere interne più basse aumenteranno l’elasticità dell’offerta, contribuendo a mitigare le pressioni inflazionistiche che derivano da maggiori investimenti – soprattutto se il commercio mondiale diventa più frammentato.

Parallelamente, un mercato unico ben funzionante aumenterà la crescita della produttività, innalzando i tassi di rendimento e attirando più investimenti privati. E ciò porterà a sua volta a salari e consumi più elevati, sia per compensare la maggiore produttività, sia perché un mercato interno forte significa un minor focus sulla competitività esterna.

Per finanziare l’aumento degli investimenti, tuttavia, l’Europa si affida principalmente ai bilanci nazionali.

L’UE ha recentemente riformato le sue regole fiscali per consentire maggiori investimenti, oltre ad attivare la clausola di salvaguardia per facilitare maggiori spese per la difesa. Ma finora solo 5 dei 17 paesi dell’area dell’euro – che rappresentano circa il 50% del PIL – hanno optato per un periodo di adeguamento esteso secondo le nuove regole. E diversi paesi hanno indicato che non utilizzeranno la clausola di salvaguardia a causa della mancanza di spazio fiscale.

Il che sottolinea che, quando il debito è già elevato, esentare dalle regole fiscali determinate categorie di spesa pubblica può sì dare risultati, ma solo fino a un certo punto.

In questo contesto, l’emissione di debito comune dell’UE per finanziare spese comuni è una componente chiave della tabella di marcia politica. Può garantire che la spesa aggregata non risulti insufficiente. E può garantire – soprattutto per la difesa – che maggiori spese avranno luogo in Europa e che contribuiranno all’efficacia operativa e a una crescita economica più elevata di quanto avverrebbe altrimenti.

Inoltre, l’emissione di debito comune fornirebbe l’”anello mancante” nei frammentati mercati dei capitali europei, ovvero l’assenza di un asset sicuro comune. Ciò contribuirebbe a rendere i mercati dei capitali più profondi e liquidi, creando un circolo virtuoso tra tassi di rendimento più elevati e maggiori opportunità di finanziamento.

Nel complesso, questa tabella di marcia aumenterebbe la nostra crescita e, al contempo, dimostrerebbe che siamo in grado di produrre ricchezza per i nostri cittadini al nostro interno.

La nostra storia recente ci rende credibili nell’attuare un simile programma?

Si dice spesso che “l’Europa avanza solo in caso di crisi”. Ma a dire la verità la nostra crisi è iniziata quasi vent’anni fa.

È in quel periodo che la costruzione geopolitica creata dopo la Seconda Guerra Mondiale, e che aveva raggiunto il culmine con la caduta dell’Unione Sovietica, ha iniziato a sgretolarsi. Ed è in quel periodo che abbiamo iniziato a restare indietro sul fronte dell’innovazione globale e della tecnologia. Da allora in poi, però, per la maggior parte del tempo abbiamo ignorato tutti i segnali.

Consideriamo l’energia. Le nostre importazioni di gas dalla Russia hanno continuato a crescere anche dopo la sua invasione della Crimea, e ben oltre la fase in cui l’ostilità di Putin verso l’Occidente e l’UE era ormai stata ampiamente dichiarata.

Abbiamo pagato un prezzo elevato quando il gas è stato tagliato, perdendo più di un anno di crescita economica, e ora stiamo cercando di accelerare la transizione verso le energie rinnovabili per rafforzare la nostra indipendenza energetica. Ma questo richiede una trasformazione fondamentale del nostro sistema energetico che non siamo stati in grado di realizzare.

Siamo ostacolati dall’intermittenza intrinseca delle rinnovabili, dalle nostre reti inadeguate e dai lunghi ritardi burocratici per le nuove installazioni. Vediamo frequenti impennate dei prezzi dell’energia quando le rinnovabili non generano e devono essere utilizzate costose fonti di riserva. I prezzi elevati dell’energia e le carenze della rete sono, in primo luogo, una minaccia alla sopravvivenza della nostra industria, un grande ostacolo alla nostra competitività e un peso insostenibile per le nostre famiglie, nonché, se non affrontati, la principale minaccia alla nostra strategia di decarbonizzazione.

Sono necessarie tre linee d’azione. In primo luogo, dobbiamo mettere in campo un vasto piano di investimenti a livello europeo per costruire le reti e gli interconnettori necessari per far sì che una rete basata sulle rinnovabili risulti adeguata alla trasformazione energetica cui aspiriamo. In secondo luogo, dobbiamo riformare il funzionamento del nostro mercato dell’energia, lavorando per allentare il legame tra i prezzi del gas e quelli delle rinnovabili. È sconfortante vedere come l’Europa sia diventata ostaggio di interessi particolari ormai consolidati. La Commissione Europea, che ha già creato una task force sulla trasparenza, potrebbe anche avviare un’indagine indipendente sul funzionamento complessivo dei mercati energetici dell’UE. E poiché in Europa il sole e il vento non possono garantire la sicurezza dell’approvvigionamento in nessuno scenario, dobbiamo essere pronti a utilizzare tutte le possibili fonti di energia pulita e ad essere neutrali verso nuove soluzioni energetiche.

Consideriamo poi la tecnologia. Con l’avanzare delle rivoluzioni del cloud computing e dell’IA, l’Europa si è ritrovata tagliata fuori. Eppure abbiamo continuato a creare un ambiente che ostacola l’innovazione radicale.

La frammentazione del nostro mercato unico ha ostacolato le startup tecnologiche nel tentativo di raggiungere la scala necessaria per avere successo in questo settore. Le nostre politiche di concorrenza non sono state in grado di adattarsi alla natura della trasformazione tecnologica che stava avvenendo davanti ai nostri occhi. Tra gli altri cambiamenti, l’innovazione avrebbe dovuto giocare un ruolo maggiore nelle decisioni sulla concorrenza.

E abbiamo permesso alla regolamentazione di crescere mentre i servizi digitali si espandevano. Alla base di ciò vi era una preoccupazione per la protezione dei consumatori certamente fondata, ma non si è preso in considerazione l’effetto sulle piccole imprese tecnologiche europee che – a differenza dei loro grandi concorrenti statunitensi – non avevano la capacità di adeguarsi. Ora, ci troviamo di fronte a un quadro normativo che risulta eccessivo in alcune delle aree chiave e, peggio ancora, frammentato. Ci sono oltre 270 regolatori attivi nelle reti digitali in tutti gli Stati membri.

Si dice che l’IA sia una tecnologia “trasformativa”, come lo è stata l’elettricità 140 anni fa. Ma l’IA è in realtà basata su un’orchestrazione di almeno altre quattro tecnologie: il cloud, con la sua capacità di memorizzare grandi quantità di dati; il _supercomputing_, con la sua capacità di eseguire rapidamente un enorme numero di operazioni per unità di tempo; la sicurezza cyber, che protegge i dati in settori altamente sensibili come la scienza, la difesa, la salute e la finanza; e infine le reti e la trasmissione dei dati, come il 5G e il 6G, la fibra ottica e e satelliti.

L’Europa ha perso terreno nell’IA e in tutte e quattro le altre tecnologie – e dobbiamo lavorare in tutte queste aree se vogliamo recuperare. Non sarebbe realistico pensare che si possa colmare questo divario nel breve termine, ma quel che potremmo e dovremmo fare è concentrarci su settori specifici che sono fondamentali per la crescita, il benessere e la sicurezza dei nostri cittadini.

Ad esempio, dovremmo creare un cloud strategico europeo che ci dia sovranità sui dati in domini critici, come la difesa e la sicurezza. Dobbiamo investire di più per costruire la nostra infrastruttura comune di supercalcolo, la rete Euro-HPC. E dobbiamo sviluppare una capacità europea di sicurezza cyber, poiché stiamo perdendo competitività nel 5G e siamo deboli nelle comunicazioni satellitari. Oggi, c’è un rischio concreto che l’Europa finisca per dover dipendere dalla tecnologia statunitense e cinese proprio nella componente più sensibile, che è la trasmissione sicura dei dati.

Tutto ciò richiederà una grande strategia industriale in Europa. Ed solo attraverso la messa in comune delle nostre risorse e capacità potremo raggiungere la scala che queste tecnologie richiedono.

Consideriamo ancora la difesa. Le crescenti minacce sul nostro confine orientale sono evidenti da almeno un decennio. La Russia non fa mistero di considerarci un nemico da indebolire tramite la guerra ibrida. Dieci anni fa ha invaso la Crimea, e tre anni fa ha proceduto a invadere l’Ucraina.

Ma mentre questa minaccia è aumentata, noi abbiamo fatto ben poco per rafforzare la nostra difesa comune. Oggi, l’Europa può contare su un organico militare di 1,4 milioni di unità, il che la rende una delle forze più grandi al mondo. Ma è divisa in 27 eserciti, senza una catena di comando comune, tecnologicamente frammentata e priva di strategie comuni – e tutto ciò ci rende irrilevanti dal punto di vista militare.

Con il ritrarsi dell’ombrello di sicurezza degli Stati Uniti, stiamo cominciando a renderci conto della nostra debolezza. Ma l’unica cosa di cui dovremmo sorprenderci è la velocità di questo cambiamento. La strategia della Russia era stata annunciata già anni fa.

Potrebbe essere ormai troppo tardi per influenzare gli eventi a breve termine. Anche se abbiamo fornito circa la metà degli aiuti militari all’Ucraina, probabilmente saremo spettatori in una negoziato di pace che riguarda il nostro futuro e i nostri valori.

Ma non è troppo tardi per cambiare le prospettive tra 5-10 anni, se oggi prendiamo le misure giuste per sviluppare la nostra capacità industriale di difesa e le capacità strategiche.

Dobbiamo ridurre la frammentazione della nostra industria della difesa e incoraggiare il consolidamento in pochi grandi attori. Dobbiamo creare un piano di difesa europeo basato sull’interoperabilità tra tutti gli asset militari che produciamo – terra, mare, aria e spazio. Dobbiamo creare un cyberspazio europeo sicuro attraverso un maggiore coordinamento e investimento in tecnologie digitali comuni. E dire che tutto questo è un’utopia, impossibile da realizzare, equivale ad accettare la nostra irrilevanza militare.

E per quanto riguarda il settore spaziale, dobbiamo riformare drasticamente l’interazione tra le agenzie dell’UE e quelle nazionali, e abbiamo bisogno di un maggiore coinvolgimento del settore privato. Negli Stati Uniti, ad esempio, il 50% degli investimenti spaziali è finanziato privatamente, mentre in Europa il settore pubblico finanzia l’80%. Il che a sua volta comporta gravi inefficienze, come il principio del ritorno geografico che frammenta il settore spaziale europeo e che dovrebbe essere abbandonato, poiché da decenni ostacola il progresso.

Tuttavia, non dovremmo dimenticare che i nostri padri fondatori ci hanno lasciato in eredità un’Europa di cui dovremmo essere orgogliosi. E mentre valutiamo le debolezze del presente dell’Europa, dovremmo cercare incessantemente speranza nel suo futuro.

Nelle occasioni in cui l’UE ha fatto salti significativi verso una maggiore integrazione, tre fattori sono stati tipicamente presenti.

Primo, una crisi che dimostra oltre ogni dubbio che il sistema precedente è diventato insostenibile. Secondo, un grande shock politico che sconvolge l’ordine istituzionale. E terzo, un piano d’azione già esistente cui tutte le parti possono aderire.

Prendiamo l’esempio della creazione dell’euro. L’idea era sul tavolo dagli anni ’60 ma era sempre stata vista come ben al di là delle possibilità attuali. Poi, in un breve lasso di tempo, i tre fattori si sono uniti.

Negli anni ’80 una serie di crisi dei tassi di cambio ha iniettato nell’economia una volatilità inaccettabile e ha reso le persone disposte a prendere in considerazione come alternativa possibile la moneta unica. Poi è avvenuta la riunificazione tedesca, che richiedeva un nuovo assetto per legare più strettamente la Germania all’Europa. E il Rapporto Delors, che era stato pubblicato nel 1989, ha fornito il piano d’azione per capitalizzare questo momento politico.

Oggi, per la prima volta in forse 30 anni, tutti e tre i fattori sono presenti di nuovo.

Dal 2020 abbiamo perso il nostro modello di crescita, il nostro modello energetico e il nostro modello di difesa. Gli europei avvertono in modo acuto il senso di crisi. Crescita, energia e difesa sono le aree fondamentali in cui i governi devono provvedere ai loro cittadini, eppure in ciascuna di esse ci siamo trovati ostaggio della sorte ed esposti alle decisioni imprevedibili degli altri.

Di conseguenza, lo stato d’animo diffuso tra industriali, lavoratori, politici e mercati è passato dalla noncuranza all’allarme. I rischi materiali cui andiamo incontro per la nostra crescita, i nostri valori sociali e la nostra identità, incombono su tutte le nostre decisioni.

Stiamo assistendo a grandi fratture istituzionali. Lo shock politico dagli Stati Uniti è massiccio. E ad esso si accompagnano un completo cambio di rotta in paesi come la Germania, e una nuova determinazione nella Commissione ad affrontare barriere e burocrazia.

E abbiamo l’inizio di un piano d’azione, che è quello offerto dai recenti Rapporti. Le raccomandazioni di policy in esse contenute sono oggi, se possibile, ancora più urgenti.

Torneremo a investire in Europa, in modo massiccio e responsabile. Affronteremo gli interessi consolidati che oggi ostacolano il nostro cammino verso un futuro basato sull’innovazione piuttosto che sul privilegio. E proteggeremo e preserveremo la nostra libertà.

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E come sempre, grazie a chi fornisce instancabilmente traduzioni in altre lingue. Maria José Tormo pubblica traduzioni in spagnolo sul suo sito qui , e alcune versioni italiane dei miei saggi sono disponibili qui. Anche Marco Zeloni pubblica traduzioni in italiano su un sito qui. Sono sempre grata a chi pubblica occasionalmente traduzioni e riassunti in altre lingue, a patto che citi l’originale e me lo faccia sapere. E ora…

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Questi saggi si sono guadagnati la reputazione di essere pessimisti in alcuni ambienti. Non era questa l’intenzione – cerco solo di analizzare le cose come credo siano e come potrebbero diventare – ma mi fanno riflettere ancora una volta sull’importante distinzione tra ciò che, se si può fare qualcosa, si può fare a livello istituzionale e ciò che tutti possiamo fare personalmente, con ciò che abbiamo.

Ho già scritto in due occasioni sugli insegnamenti che possiamo trarre dall’Esistenzialismo, e ho dedicato un altro saggio a celebrare coloro che hanno perseverato nonostante tutto, anche quando ogni speranza sembrava perduta. Personalmente, ho poco tempo per il pessimismo, e sono noto per fare smorfie di rabbia a persone il cui motto non ufficiale sembra essere “se al primo tentativo non ci riesci, arrenditi”. (Se fossi più giovane, avrei una maglietta-pantaloncino stampata con la scritta: “C’è sempre qualcosa che puoi fare”).

E c’è sempre qualcosa che tu o io possiamo fare per noi stessi, a patto che non pensiamo di doverci appellare a istituzioni o a sostituti dei genitori perché lo facciano per noi, né di fantasticare di essere salvati da forze superiori o da eventi improbabili e provvidenziali. Quindi l’argomento di questa settimana è come potremmo sopravvivere personalmente, e persino mantenere la nostra sanità mentale, quando governi e istituzioni di ogni tipo sembrano irrecuperabili e persino irreparabili, eppure, paradossalmente, ci si aspetta che le persone dipendano sempre di più da loro. Quindi, prima di tutto, dobbiamo guardare a dove siamo, e spiegherò la tesi secondo cui l’ordine politico e sociale degli ultimi quarant’anni sta crollando, e quindi ognuno di noi deve pensare a come potremmo reagire. Poi fornirò alcune riflessioni (molto preliminari) su come potremmo reagire.

Io e altri abbiamo scritto abbastanza sul declino di governi e istituzioni di ogni tipo da non avere molto da aggiungere. Ma è forse interessante soffermarsi un attimo su cosa questo significhi per gli individui , che è il fulcro di questo saggio. Dopotutto, le istituzioni dovrebbero esistere per servire le persone, anche se solo indirettamente. Questo punto viene spesso trascurato nelle giustificate critiche al declino organizzativo: dall’altra parte ci sono le persone. È più evidente nel governo e nel settore pubblico in generale, ma vale quasi altrettanto nel settore privato. Se do dei soldi alla vostra azienda, presumibilmente mi aspetto che mi forniate qualcosa che altrimenti non potrei avere. E a dire il vero, a volte è ancora così.

Ma ci stiamo muovendo sempre più verso un’economia del tipo “stand-and-deliver”, una situazione in cui vengono posti ostacoli sul tuo cammino e devi pagare per rimuoverli. (C’è un’analogia piuttosto calzante con i “checkpoint” presidiati dalle milizie nelle società post-conflitto.) Cose che un tempo erano relativamente semplici ora sono diventate sempre più complicate, e naturalmente la complicazione esiste per inserire il massimo numero di opportunità per il massimo numero di guardiani in cerca di rendita di estorcerti denaro. Se hai mai provato a pagare il parcheggio di notte, quando piove, dovendo scaricare un’applicazione, creare un account con nome utente e password, e poi registrarti e convalidare una carta di credito, il tutto per trenta minuti di parcheggio, e per qualcosa che prima richiedeva cinque secondi con una moneta, beh, allora capisci cosa intendo. Ora, per l’argomentazione di questo saggio è importante comprendere che questo non è un passo verso il futuro, ma un passo indietro, verso un modello precedente di attività economica estrattiva, ed è in questo che sono consistiti in gran parte i cambiamenti economici degli ultimi quarant’anni, nonostante tutto il loro splendore superficiale, ed è il motivo per cui non possono durare.

Ma a volte la vita diventa complessa anche quando non c’è denaro da guadagnare direttamente da quella complessità: è piuttosto la trasformazione di un processo per riflettere gli interessi di un numero crescente di gruppi che desiderano esercitare influenza. Il risultato tipico è quello di far sì che coloro che dovrebbero effettivamente beneficiare dei servizi investano più tempo, sforzi e denaro in ciò che ricevono, mentre allo stesso tempo ne ricevono di meno. Prendiamo un caso in cui mi sono trovato occasionalmente coinvolto: le ammissioni universitarie. A tutti i livelli, dalla laurea triennale al dottorato, l’ammissione degli studenti era un giudizio espresso dal personale accademico, basato sulle capacità accademiche percepite dal candidato. Ma ora è fin troppo semplicistico. Dopotutto, che senso ha avere un Vice-Preside Aggiunto per la Diversità Studentesca, se il suo personale non ha alcuna influenza su chi viene selezionato come studente? E poi, che senso ha istituire il Gruppo Interdipartimentale di Vigilanza Anti-Sessismo? E una volta che si ha un gruppo di studenti, adatti o meno dal punto di vista accademico ai loro studi, come può il vicepreside aggiunto per il benessere degli studenti giustificare la sua esistenza se non c’è un intenso traffico di alloggi per studenti per malattie, problemi di salute mentale, difficoltà di apprendimento, sensibilità alla materia e incapacità di rispettare le scadenze o svolgere le letture prescritte?

Ora, notate che questa non è l’ennesima lamentela sui giovani di oggi: anzi, provo molta simpatia per loro. Stiamo chiedendo loro di trattare l’ammissione all’università come la ricerca di un lavoro, e di permettere che la loro carriera accademica e il loro futuro personale siano influenzati e persino decisi da gruppi di interesse particolari che combattono battaglie di potere all’interno delle istituzioni (di cui le università sono solo un esempio). Da tempo, le università di vari paesi accolgono studenti che non si sentono a loro agio (più studenti = più soldi) con capacità limitate ma con le giuste opinioni e una gamma di attività extracurriculari attentamente coltivate, e li promuovono con titoli di studio che non hanno conseguito, lasciando intendere che abbiano competenze che non possiedono. Il che va bene finché non arriva la vita reale, e la gente si aspetta che tu sappia davvero le cose, e gli adattamenti per le difficoltà di apprendimento non sono più accettabili.

Con tutto questo non stiamo facendo alcun favore ai nostri giovani, ma non è questo il punto. Sono materia prima per cui contendersi il controllo. Sono vittime passive di un sistema che chiede di più e offre di meno, e lascia le persone meno adatte al mondo esterno, dove non esiste un Vice Preside Aggiunto per la Prevenzione dell’Infelicità. La crescente tendenza a trattare gli adolescenti come bambini e gli adulti come adolescenti non è in definitiva a vantaggio di nessuno, tranne di coloro per i quali garantire un’adolescenza permanente fa parte del loro lavoro. E per sottolineare ancora una volta un tema di questo saggio, non può durare.

Una delle più profonde ironie odierne è che la nostra società incoraggia le persone a dipendere sempre di più da organizzazioni che funzionano sempre meno bene, rendendole così meno capaci di funzionare da sole. “Crescere”, come si diceva una volta, non era mai facile, e per molti giovani di indole sensibile poteva essere una prova. Ma andava fatto. Tuttavia, una delle richieste chiave dei radicali degli anni Sessanta era che crescere fosse facoltativo, e questa richiesta è stata ora ampiamente soddisfatta. I figli della classe medio-alta ora ritardano di fatto l’età adulta fino alla fine dei vent’anni, passando attraverso l’istruzione superiore, anni all’estero e tirocini, il tutto sostenuto da una burocrazia in continua crescita e da un insieme di regole e regolamenti in continua proliferazione, come se fossero ancora a scuola.

Ho scritto diverse volte dell’infantilizzazione della nostra cultura politica, e credo che possiate coglierne il nesso. Molti dei nostri politici e manager di oggi non sono veramente “cresciuti” nel senso tradizionale del termine. Loro, e i loro consiglieri ancora più giovani, hanno festeggiato i loro compleanni in un mondo sempre più pieno di regole, regolamenti e vincoli taciti ma reali, in cui erano teoricamente liberi ma in pratica costantemente sorvegliati da genitori e autorità. Raramente autorizzati a commettere errori e a imparare da essi, si sono affidati a sistemi di regole sempre più complessi, credendo in definitiva che le risposte su come condurre la propria vita si potessero trovare nei libri. Man mano che acquisivano potere senza aver maturato esperienza o capacità di giudizio, è venuto loro spontaneo cercare di controllare l’inquietante, persino spaventosa confusione della vita reale imponendo ulteriori regole e, quando ciò non funzionava, imponendone ancora di più. Se da un lato, la moltiplicazione delle regole rendeva le persone poco disposte a rischiare di commettere errori e a imparare da essi, dall’altro l’ossessione istituzionale per regole, norme, misurazioni, risultati e obiettivi ha di fatto distrutto quelle stesse organizzazioni. Ben presto è diventato chiaro che avere successo negli studi, o svolgere correttamente il proprio lavoro, era meno importante che spuntare tutte le caselle giuste. Nessuna organizzazione può sopravvivere a lungo in tali circostanze, come sta diventando evidente ora.

La tendenza sempre più autoritaria negli stati occidentali e nelle organizzazioni del settore pubblico e privato è quindi il risultato di debolezza e disfunzione, non di forza. Le autorità a tutti i livelli sono ormai incapaci di esprimere quel tipo di giudizi pragmatici e basati sull’esperienza che erano normali anche solo una generazione fa. L’incertezza è spaventosa e, poiché coloro che sono teoricamente responsabili non hanno più la fiducia personale necessaria per esprimere giudizi difficili, ricadono su regole sempre più dettagliate e restrittive. Mentre iniziavo a scrivere questo saggio, ho letto di una legge in fase di approvazione al Parlamento francese che imporrebbe una “formazione” obbligatoria sull’antisemitismo (qui inteso come qualsiasi critica a Israele) a tutto il personale e agli studenti universitari, e istituirebbe organi disciplinari a cui le persone potrebbero presentare reclami contro gli altri. Solo un sistema politico e accademico totalmente disfunzionale potrebbe contemplare una cosa del genere; tanto più che dall’altra parte, pesantemente sostenuti dal circo di M. Mélenchon e da parte dei media, c’è chi cerca di fare lo stesso per l'”islamofobia”. Lo scontro frontale di queste iniziative promette di essere spettacolare e poco illuminante.

Questo è, in effetti, tipico del comportamento attuale delle istituzioni: essenzialmente privi dell’esperienza e del giudizio necessari per risolvere pragmaticamente i problemi, i loro leader si inchinano al gruppo di interesse che li attacca più violentemente. C’è una mordace ironia nelle lamentele provenienti dalle istituzioni educative negli Stati Uniti per l’improvvisa perdita di libertà accademica, se si considera il loro recente comportamento. La Polizia del Pensiero è ancora al comando, in realtà, è solo l’ideologia che è cambiata. (In effetti, qualsiasi posizione morale che le università occidentali nel loro complesso avessero mai avuto per difendere il concetto di “libertà di parola” è scomparsa da tempo.)

Una volta accettato che i leader e i manager di oggi sono essenzialmente ancora adolescenti, diverse cose diventano più facili da capire: la gestione della crisi ucraina ne è un esempio lampante. (Vorrei anche sostenere che l’entusiasmo per la cosiddetta Intelligenza Artificiale sia solo l’ultima iterazione del chiedere consiglio ai genitori – più affidabili di Internet o YouTube – prima di fare qualsiasi cosa.) Gli adolescenti vivono in un mondo complesso e confuso, alle prese con inspiegabili processi di crescita fisica e mentale. In passato li abbiamo superati, più o meno bene, e siamo emersi nella vita adulta. Oggi, al contrario, l’adolescenza permanente della nostra classe dirigente ha importato le norme e le usanze del cortile della scuola nella vita pubblica.

Ecco perché, in effetti, la tattica normale dei gruppi con interessi particolari non è quella di fare le cose per sé stessi, ma di pretendere che gli altri se ne assumano la responsabilità: come correre dai genitori o dall’insegnante e lamentarsi che “non è giusto”. Beh, una cosa che si impara crescendo è che la vita non è giusta. Ma ciò a cui abbiamo assistito nelle istituzioni nell’ultima generazione è stata la normalizzazione di questo tipo di cultura da cortile: denunce anonime, diffamazione, bullismo autorizzato nei confronti degli anticonformisti, abusi rituali sugli oppositori e così via. Quindi costringere qualcuno in una posizione di responsabilità a dimettersi a causa di accuse anonime e non provate è una vittoria per… qualcosa, suppongo.

I nostri leader vivono in un mondo adolescenziale fatto di ribellione irriflessiva e rifiuto delle conseguenze, dove le figure genitoriali sistemeranno tutto. Sono la naturale conseguenza di quel recente fenomeno sociale, il laureato ventenne che vive ancora con i genitori, incapace di trovare un lavoro e che passa tutto il giorno a giocare online. Infatti, se si considera che la nostra classe dirigente confonde sempre più il mondo con cui ha a che fare con un gigantesco videogioco dove non ci sono conseguenze e nulla è reale, il loro comportamento diventa più facile da comprendere. Solo che, ovviamente, non amano perdere, e allora fanno i capricci. È utile considerare l’atteggiamento della classe dirigente nei confronti dell’Ucraina, ad esempio, come un atteggiamento di rabbia e incredulità di fronte a un gioco che pensavano facile ma che ora scoprono di non poter vincere. E se avete mai avuto figli, sapete che la rabbia tende a essere proiettata sui genitori. In questo caso, il signor Putin è il genitore accigliato, e noi lo odiamo e lo odiamo , e non lo perdoneremo mai perché non ci lascia avere ciò che vogliamo, in questo caso l’Ucraina.

Ma credo che sia più di questo. È anche la più ampia incapacità dei nostri governanti di confrontarsi con la realtà e di nascondersi invece in mondi virtuali. È stato ampiamente notato che c’è una totale discrepanza tra l’idea che i nostri governanti hanno dell’economia nella maggior parte dei paesi e la realtà vissuta dalla gente comune. Ma la verità è che i nostri governanti non sono emotivamente in grado di confrontarsi con quella realtà e usano la loro ricchezza e i loro privilegi per nascondersi da essa, non solo fisicamente, ma anche concettualmente, attraverso diagrammi e fogli di calcolo. Se alcuni dei nostri leader e i loro parassiti mediatici dovessero vivere con uno stipendio medio da lavoro per un mese, probabilmente avrebbero un crollo nervoso. (A proposito, vi è mai venuto in mente cos’è un “foglio di calcolo”? È un foglio che si stende su se stessi e sotto cui ci si nasconde per sfuggire alla realtà, proprio come si faceva da bambini.)

La verità fondamentale di tutto questo è che non funziona, e in effetti non avrebbe mai funzionato. Ciò che trovo più spaventoso degli ultimi quarant’anni è che così tanti danni sono stati arrecati alla nostra società da persone a cui non importava se le loro idee funzionassero o meno. In effetti, vivendo gli anni Ottanta e Novanta nel Regno Unito, si provava una sensazione surreale nel vedere i drughi di Alex di Arancia Meccanica distruggere tutto per puro divertimento. Ma anche allora, non avevano più idea, rispetto ai personaggi di Burgess, del perché stessero facendo quello che facevano, ed erano altrettanto privi di senso morale. C’era una terribile negligenza in queste persone, un po’ come quella di Tom e Daisy, come ho osservato un paio di anni fa parlando della Casta Professionale e Manageriale (PMC). A pensarci bene, però, credo che la questione sia molto più ampia.

Nonostante tutti i tentativi dell’epoca di fingere che l’ascesa del neoliberismo e del globalismo fosse naturale e inevitabile, nonostante diversi autori abbiano fatto risalire le origini del dogma al periodo tra le due guerre, la vera domanda è come idee di governo, economia e società, palesemente folli, siano diventate non solo accettabili, ma addirittura obbligatorie. Si potrebbe provare a farne una tragedia, se non fosse che i responsabili erano troppo piccoli e patetici per essere figure tragiche. La carneficina perpetrata in Gran Bretagna in quei giorni fu perpetrata da politici non molto brillanti e dai loro non altrettanto brillanti consiglieri, comodamente isolati dagli effetti delle proprie politiche e guidati tanto dal panico e da manovre a breve termine quanto da una qualsiasi ideologia logora. Oh, guardate, sembra che abbiamo distrutto i sistemi di trasporto del Paese. Oh mio Dio, chi se lo sarebbe mai aspettato? E la Gran Bretagna è stata la nazione pioniera, anche se non avrebbe dovuto esserlo, e il neoliberismo è stato ampiamente salutato come un successo, il che evidentemente non è stato, e molti paesi hanno seguito il suo esempio, anche se non avrebbero dovuto farlo.

Considerate quanto fosse contingente l’intera faccenda. Se i grandi conservatori fossero stati abbastanza competenti da organizzare a dovere le elezioni per la leadership del 1975, Thatcher non avrebbe mai vinto. Se Callaghan avesse indetto le elezioni generali nell’ottobre del 1978, come molti avrebbero voluto, i laburisti avrebbero potuto benissimo vincere, e avrebbero certamente mantenuto la maggioranza conservatore a una manciata di seggi, che avrebbero presto perso. Se i politici laburisti di destra non avessero diviso il partito nel 1981 e non se ne fossero andati per fondarne un altro, allora i laburisti avrebbero vinto le elezioni del 1983, nonostante il rimbalzo post-Falkland. Thatcher sarebbe morta nell’attacco dell’IRA al Congresso del Partito Conservatore nel 1984, se non fosse stato per un colpo di fortuna straordinario. E così via. Ma la divisione irrimediabilmente discendente del voto anti-Tory (che tuttavia crebbe costantemente nel corso degli anni ’80) conferì il potere a un governo che si trovava quasi sempre in crisi economica e sociale e si ritrovò a ricorrere a misure come la privatizzazione, che non era stata nemmeno menzionata nel manifesto del 1979, solo per raccogliere fondi.

In effetti, era un governo che non aveva mai veramente il controllo di nulla, passando da un’improvvisazione all’altra, lasciandosi alle spalle una scia di distruzione di cui, francamente, non gli importava. E mentre i conservatori tradizionali con legami e lealtà locali venivano espulsi dal partito, esso si muoveva sempre più in direzione neoliberista, alienando molti dei suoi sostenitori tradizionali e distruggendo in larga misura la sua base elettorale tradizionale tra le classi medie delle piccole città e delle periferie. (In effetti, Thatcher diede inizio alla distruzione del Partito Conservatore, che ora è quasi completa). Nel frattempo, la sua ascesa al rango di divina fu favorita da media compiacenti, convinti che sarebbe rimasta al potere per una generazione. (Di persona, era piccola e insignificante, motivo per cui veniva sempre fotografata dal basso, per farla sembrare più alta.) Quando cadde dal potere, il partito la ignorò completamente, proprio come era successo a Stalin.

Quindi, mentre i propagandisti dell’epoca, e alcuni accademici da allora, hanno cercato di trasformare questa serie di eventi e politiche in gran parte incoerenti in una dottrina coerente, allora non era così. Neoliberismo e globalismo erano in parte una razionalizzazione dell’avidità, in parte una razionalizzazione di ogni sorta di idee bizzarre imposte ai governi dall’opportunismo. Ed era ovvio, anche all’epoca, che l’ideologia si sarebbe autodistrutta se non fosse stata domata. L’impoverimento della società, l’esportazione di posti di lavoro, la distruzione dell’industria manifatturiera, la gente comune impossibilitata ad acquistare una casa, le famiglie separate e distrutte dalle tensioni economiche, tutto ciò non poteva continuare indefinitamente senza che qualcosa si sgretolasse. Palliativi a breve termine come l’immigrazione di massa di manodopera a basso costo potevano solo ritardare l’inevitabile. Ora, non solo in Gran Bretagna ma ovunque, è il turno dei quasi-ricchi che ne hanno beneficiato per così tanto tempo di essere divorati dal sistema, il che significa che non può essere lontano dalla sua fine.

Diversi pensatori rivendicano l’idea che sia più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo. Non sono sicuro che ciò sia vero, almeno al di fuori del tipo di persone che scrivono di questi argomenti, ma in fin dei conti non ha importanza. Quarant’anni fa, la fine del comunismo sarebbe stata altrettanto impensabile, ma è comunque accaduta. Ciò che significa, però, è che la nostra opinionista, che un tempo vedeva i Tories come una forza inamovibile, che un tempo vedeva il neoliberismo trionfare ovunque, che un tempo vedeva un’iperpotenza americana dominare il globo per sempre, che un tempo vedeva la democrazia liberale diffondersi inarrestabilmente in Medio Oriente, si sarà sbagliata di nuovo. Negli Stati Uniti possiamo già assistere a una guerra civile intracapitalistica in corso, e questo tipo di lotta è solitamente il preludio alla fine di un sistema.

È anche vero che la “cugina” del neoliberismo, la Giustizia Sociale o Politica Identitària (in breve IdiotPol), si sta lacerando come era prevedibile. Da un lato, siamo chiaramente a una sorta di nadir concettuale, con femministe e transessuali che si strappano gli occhi a vicenda, e diversi gruppi sub-sub-identitari che si combattono con la stessa asprezza con cui i gruppi marxisti marginali facevano negli anni ’70. Dall’altro lato, nella maggior parte dei paesi le persone si stanno stancando di essere preventivamente ascritte a un “gruppo” o a un altro, e di sentirsi dire di seguire e obbedire ai loro leader. Era inevitabile che un’ideologia derivata da concetti semi-compresi della “Teoria Francese” (un termine non riconosciuto in Francia) che contrapponeva uomini contro donne, omosessuali contro eterosessuali, neri contro bianchi e, in definitiva, tutti contro tutti, in una spietata lotta per il potere, la ricchezza e l’influenza, e che vedeva la vita come nient’altro che una cupa lotta darwinista sociale per il predominio, prima o poi sarebbe crollata. Resta da vedere se altri Paesi seguiranno l’esempio dell’amministrazione Trump su questo tema, ma sospetto che la sua iniziativa rivelerà effettivamente quanto siano ristrette e fragili le fondamenta su cui questa ideologia si è sempre fondata, e potrebbe scomparire più velocemente di quanto ci aspettiamo, una volta che diventerà chiaro che il vantaggio politico da ottenere attraverso di essa sarà sempre minore.

Come ho già accennato, il comportamento attuale della nostra classe dirigente è in gran parte dovuto alla paura. Gli ultimi quarant’anni hanno permesso la fuga di demoni che non possono controllare. Sono stati negligenti e imprudenti. È stato divertente, e non si sono preoccupati di rompere cose, o addirittura persone. Ma comincio a pensare che, ironia della sorte, i figli dell’attuale classe dirigente – diciamo quelli nati all’inizio del secolo – potrebbero essere in realtà i più colpiti, e potrebbero semplicemente dover essere cancellati. Iperprotetti e iperregolati, timorosi di instaurare relazioni personali perché pericolose e potenzialmente pericolose, i lavori che speravano di fare, da avvocati e commercialisti a giornalisti e media, sono proprio quelli che vengono divorati dall’IA. (Tra non molto, le domande di finanziamento delle ONG ai donatori saranno redatte dall’IA, valutate dall’IA e respinte dall’IA, senza alcun coinvolgimento umano). Vedo questa generazione che non riuscirà mai a instaurare una relazione seria e a trovare un lavoro vero, mentre trascorrerà il resto della vita a casa dei genitori. Ebbene, come semini tu, così raccoglieranno i tuoi figli. Al contrario, i figli della classe operaia avranno sempre un lavoro (l’intelligenza artificiale non sostituirà mai un idraulico) e sono stati in gran parte risparmiati dal lavaggio del cervello di IdiotPol sulle relazioni personali. Ecco un’idea.

Niente di tutto questo era previsto, ma tutto era prevedibile. L’ascesa dei partiti politici “populisti” (cioè democratici), lo svuotamento delle città, l’aumento della criminalità legata all’insicurezza e all’immigrazione, la mancanza di sostegno o persino di interesse per il sistema politico, la mancanza di interesse nel servire il proprio Paese, il preoccupante aumento di solitudine e depressione, la mancanza di posti di lavoro per i più qualificati, la rottura dei legami sociali, l’inaccessibilità degli alloggi… tutti, credo, potrebbero aggiungere una dozzina di altri fattori prevedibili ma non previsti, e che i nostri governanti non hanno idea di come affrontare.

Il nuovo sta morendo, quindi, ma il vecchio può rinascere? Su larga scala, ho sostenuto abbastanza spesso che strutture complesse che sono state distrutte non possono più essere ricostruite. E temo che lo stesso valga per le comunità e le famiglie allargate. Ma lasciamo perdere per il momento e dedichiamo il resto del tempo a considerare se, come esseri umani, individualmente e collettivamente, abbiamo una via d’uscita. Come sempre, rinuncio a ogni pretesa di saggezza speciale, o a qualsiasi ambizione di essere un maestro, ma possiamo almeno guardare a ciò che abbiamo come esseri umani, che potrebbe aiutarci ad affrontare meglio la fine imminente delle nuove ideologie che hanno causato così tanta devastazione negli ultimi quarant’anni.

Torniamo per un attimo a Sartre e alla sua austera convinzione di essere liberi e responsabili delle nostre azioni. Se c’è una caratteristica comune a tutte le ideologie dell’ultimo mezzo secolo, è l’imposizione di servitù in nome della liberazione. Le nostre presunte “libertà” economiche si riducono in pratica all’essere consumatori, cliccare su caselle, essere bombardati da proposte algoritmiche che ci spingono a spendere ancora di più, difenderci dalla pubblicità ingannevole, consentire che i nostri dati personali vengano condivisi con chissà chi, essere tracciati ovunque andiamo su Internet anche quando neghiamo il permesso, e spesso essere tenuti in ostaggio da qualche fornitore o appaltatore a causa dell’immensa quantità di tempo e sforzi che richiederebbe cambiare. Nella maggior parte dei paesi, una generazione fa, l’elettricità era fornita dal comune, e questo era tutto. Oggigiorno, rivenditori di elettricità in continua evoluzione si contendono la vostra clientela, cambiando nome e proprietà, offrendo offerte speciali con pagine di clausole scritte in piccolo. Di fatto, anziché basarsi sul presupposto tradizionale che lo Stato fornisca servizi ai propri cittadini, ora è il consumatore a svolgere gran parte del lavoro non retribuito per l’ente che cerca di vendergli qualcosa.

L’apparente profusione di “libertà di scelta” è stata a lungo riconosciuta come una chimera: anche se la mente umana fosse in grado di gestire l’enorme quantità di possibilità presentate, la realtà è che le differenze tra loro sono spesso minime, e l’esperienza di una scelta apparente senza alternative reali può essere estenuante e demotivante. Possiamo essere “liberi di scegliere”, nella nota formulazione di Milton Friedman, ma non siamo liberi di avere ciò che vogliamo. Siamo consumatori, spinti e algoritmicamente indotti a fare ciò che vogliono gli altri .

Anche nella nostra vita quotidiana, siamo sempre più smistati in blocchi identitari ascrittivi, di natura essenzialista, dai quali non c’è via di fuga. Molto tempo fa, nel pieno della crisi degli anni Sessanta, la parola “liberazione” era associata a molte rivendicazioni socio-politiche, avanzate da gruppi di donne, omosessuali ecc. Oggi, l’obiettivo di conquistare posizioni di ricchezza e potere da parte di coloro che allora non erano rappresentati in modo proporzionale è stato ampiamente raggiunto, e quindi discorsi di liberazione e libertà sono raramente ascoltati. Sono stati sostituiti da un discorso disperato e coercitivo che afferma che nasciamo pre-smistati in categorie essenzialiste basate su fattori come il colore della pelle e la disposizione dei genitali, e in gerarchie competitive di vittimismo e dominio. Se apparteniamo (o scopriamo di essere stati attribuiti) a un gruppo di vittime riconosciuto, allora non ci aspetta altro che una lotta eterna, in ultima analisi infruttuosa, contro schemi misteriosi e nascosti di gerarchia e dominio, dove ogni apparente vittoria nasconde solo un’altra, più sottile, sconfitta. Tutto ciò che si può fare è seguire ciecamente i leader, di solito individui di successo appartenenti alla classe media, che in qualche modo si sono emancipati dalle gerarchie di dominio, cosa che il loro gruppo identitario più ampio non è riuscito a fare, e che hanno poi imposto le proprie gerarchie. Il resto di noi deve semplicemente accettare il proprio ruolo ascrittivo di carnefici e criminali, anche se noi stessi siamo poveri e impotenti.

Gran parte del malessere della nostra società, e di noi come individui, deriva da questo conflitto tra presunta libertà e reale servitù, tra la fatua promessa di essere il “CEO della tua vita” e la realtà dell’insicurezza e dello stress, e tra la concessione di “diritti” e la realtà della sottomissione. Oggigiorno, consideriamo la “libertà” o la “libertà” come qualcosa che ci viene concesso da governi o istituzioni, spesso a seguito di pressioni legali o coercitive. Ma è diventato chiaro che la “libertà” e i “diritti” nozionali riflettono in gran parte la distribuzione del potere politico ed economico tra gruppi in competizione e la loro capacità di farli rispettare: la critica marxista dei diritti “borghesi” non è mai stata così attuale. In effetti, sempre più spesso i “diritti” assegnati a gruppi dopo lotte politiche minano i “diritti” di altri gruppi, più deboli o più emarginati.

Ebbene, Sartre ha atteso pazientemente le ultime due pagine. Cosa direbbe? Innanzitutto, credo, che la libertà non è qualcosa che si può dare o che deve essere preteso, ma piuttosto qualcosa che possediamo intrinsecamente e che non ci può mai essere tolto. In un’epoca intollerante e sempre più repressiva, in cui le persone sentono di avere poca scelta in ciò che fanno e in ciò che dicono, è bene ricordarlo. Sartre ha sempre sottolineato quanto ci inganniamo presumendo di non avere libertà. C’è sempre qualcosa che possiamo fare. Se diciamo, ad esempio, “Vorrei lasciare questo lavoro, ma non posso”, allora in tutte le circostanze normali stiamo mentendo a noi stessi. Ciò che intendiamo in realtà è “Potrei lasciare questo lavoro se volessi, ma non sono disposto ad affrontarne le conseguenze”, il che è quantomeno onesto.

Potremmo quindi dire di non avere “scelta” se partecipare o meno a una sessione universitaria di lotta contro il razzismo condotta da un personaggio televisivo, ma in realtà non è così. Non vogliamo che la nostra carriera ne risenta. Potremmo pensare di non poter parlare di Gaza al lavoro, perché abbiamo paura di essere definiti antisemiti. Ma potremmo farlo se volessimo, proprio come potremmo criticare Hamas su quel sito internet “dissidente” che frequentiamo, rischiando di essere definiti apologeti sionisti. Questo, dice Sartre, significa vivere autenticamente, vivere per sé stessi e non per gli altri. E se viviamo per gli altri, ad esempio seppellendo le nostre opinioni, allora siamo responsabili delle conseguenze, tra cui sentirci infelici, depressi e arrabbiati con noi stessi.

Ora, ovviamente, tutto ha i suoi limiti, e dubito che persino Sartre approverebbe dire la propria opinione senza mezzi termini in qualsiasi circostanza. La vita sociale è possibile, e le relazioni a maggior ragione, solo perché siamo disposti a moderare ciò che diciamo e facciamo in base al contesto. (Sebbene Sartre direbbe che dovremmo essere consapevoli di ciò che stiamo facendo). Ma se abbiamo una relazione che dura solo perché certe cose non possono mai essere dette o fatte e certi eventi non possono mai essere menzionati, beh, forse abbiamo bisogno di una nuova relazione. Almeno questa sarebbe autentica.

Quindi la prima cosa da fare è essere onesti con noi stessi. Uno dei libri meno noti di Sartre è uno studio psicologico e filosofico del poeta Charles Baudelaire, che si presentò, ed è ancora ricordato, come l’emblematico poeta maledetto del romanticismo , il “poeta maledetto”, che condusse una vita di tragedia e disperazione che non meritava. Non è così, dice Sartre, che aveva letto i diari e le lettere di Baudelaire. Baudelaire fece una serie di scelte pessime e autodistruttive nella sua vita, e la sua stessa vita infelice ne fu il risultato. Ebbe la vita che si meritava, e in effetti tutti noi abbiamo la vita che meritiamo.

Qualcuno ha trovato quest’ultima affermazione scandalosa (“E i bambini di Gaza!”), ma ovviamente non è questo che intendeva Sartre. Ciò che intendeva, e che a me sembra incontrovertibilmente vero, è che nella vita ci vengono presentate molte più scelte di quanto immaginiamo, e che la nostra vita è determinata in larga misura dalle scelte che facciamo o che non facciamo. Siamo molto meno vittime indifese degli altri e delle circostanze esterne di quanto vorremmo credere. In definitiva, siamo ciò che facciamo: ci definiamo con le nostre azioni, piuttosto che permettere agli altri di definirci. Non “creiamo la nostra realtà” nel banale senso New Age, ma abbiamo un’influenza maggiore sulla nostra realtà di quanto spesso siamo disposti ad ammettere.

Naturalmente, questo tipo di pensiero va completamente contro l’ideologia liberal-libertaria dell’ultimo mezzo secolo. Sotto il discorso superficiale di “libertà” e “scelta” siamo incoraggiati a credere di non avere, in realtà, alcun potere decisionale. Il “mercato” è un’entità misteriosa e onnipotente, di fronte alla quale persino le più grandi aziende private sono inermi iloti, e se il tuo lavoro scompare o la tua azienda viene delocalizzata, allora non è “colpa” di nessuno, è solo la mano implacabile del mercato. Se non riesci a trovare un lavoro, se il lavoro che hai non vale la pena di essere fatto o ti sta facendo impazzire, devi solo sopportarlo. Allo stesso modo, se appartieni a un gruppo etnico minoritario, il razzismo strutturale della tua società è indistruttibile, e tutto ciò che sembra un progresso significa semplicemente che il razzismo strutturale si ritira in una posizione di potere ancora più subdola. Se appartieni al gruppo etnico maggioritario, per quanto tollerante e persino militante tu possa essere su tali questioni, non puoi sfuggire al tuo destino razziale. Se sei un uomo, sei uno stupratore, reale o potenziale. Se sei una donna, sei una vittima, reale o potenziale. Tutto ciò che puoi fare è partecipare a marce, firmare petizioni, cercare di distruggere coloro che ti viene detto di odiare e comprare libri scritti da coloro che ti dicono di odiare, mentre vieni arruolato in una lotta infinita e vana contro pure astrazioni e asserzioni infondate.

Non è solo che questo è un modo terribile di vivere, è anche che non sono sicuro che vivremo in questo modo ancora per molto. Sarà come svegliarsi da un brutto sogno, solo che le cose brutte del sogno sono ancora lì. L’incoerenza del sistema moderno è tale che non tutto si degraderà alla stessa velocità, e probabilmente andrà in pezzi, col tempo. Il problema è che lascerà dietro di sé un mondo occidentale in cui per una generazione le persone sono state educate all’impotenza e spinte a fare appello in modo competitivo a un’autorità superiore (i genitori, i tribunali o il vice-preside aggiunto per far sentire le persone a proprio agio, alla fine è tutto lo stesso). Non possiamo vivere così ancora a lungo, e l’unico modo in cui sopravviveremo come individui, e quindi contribuiremo a preservare qualsiasi tipo di società, è riconoscere e utilizzare la libertà che abbiamo, anche se ciò è scomodo.

Stati Uniti: il nocciolo duro dell’amministrazione Trump Con Gianfranco Campa

A distanza di quattro mesi dall’insediamento, Trump, a differenza del precedente mandato, sta riuscendo a definire meglio gli equilibri interni della sua amministrazione senza sacrificare MAGA, lo zoccolo duro che gli può garantire l’esistenza politica e un minimo di coerenza nella sua condotta. Gli Stati Uniti hanno ripreso una postura attiva e flessibile nel gioco geopolitico; in qualche maniera stanno prendendo atto della forza acquisita dai nuovi e vecchi attori nell’agone internazionale. Ogni atto, ogni intenzione sono, comunque, ricondotti all’obbiettivo strategico di ricostruzione e coesione della propria formazione sociale. Ci vorranno, per conseguirla, parecchi lustri durante i quali non potrà rimanere invischiata in conflitti senza fine pur in un quadro di competizione sempre più accesa. Un dilemma che attanaglierà per molto tempo la leadership statunitense. In questo video cercheremo di approfondire il senso delle politiche interne dell’amministrazione. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Un rapporto bomba del NYT rivela un F-35 “invisibile” quasi abbattuto dagli Houthi, di Simplicius

Un rapporto bomba del NYT rivela un F-35 “invisibile” quasi abbattuto dagli Houthi

Simplicius 15 maggio∙Pagato
 
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Questo articolo di quasi 4.000 parole copre le recenti notizie “bomba” sui fallimenti degli Stati Uniti nello Yemen, per poi passare al tema perenne della “guerra dei droni”, con nuovi aggiornamenti dal fronte che includono le nuove unità di droni russi, la tecnologia, i missili e il modo in cui i militari del mondo si stanno adattando.


Un articolo davvero “bomba” del New York Times ha rivelato pochi giorni fa la sconvolgente verità sulle vere ragioni per cui Trump si è ritirato dallo Yemen.

https://www.nytimes.com/2025/05/12/us/politics/trump-houthis-bombing.html

Prima un riassunto per chi non vuole leggere l’articolo:

Secondo un articolo del New York Times, il presidente degli Stati Uniti Donald J. Trump si è sentito frustrato per la mancanza di risultati immediati e per i numerosi incidenti e contrattempi durante l’operazione Rough Rider (ORR), l’operazione volta a degradare e distruggere le capacità militari degli Houthi e a ostacolare la loro capacità di colpire le navi commerciali e navali nel Mar Rosso.

Nell’articolo sono stati rivelati anche nuovi dettagli, tra cui quelli sulla natura stessa delle operazioni di attacco. Già noti a molti, gli Houthi hanno abbattuto ben 7 droni MQ-9 “Predator” nei soli primi 30 giorni di ORR, iniziata nel marzo 2025.

Inoltre, citando funzionari statunitensi senza nome, un numero imprecisato di caccia F-35 e F-16 è stato quasi abbattuto dalle difese aeree degli Houthi nello stesso periodo. Sebbene i piloti statunitensi siano sufficientemente addestrati per essere in grado di eludere, contrastare e/o sconfiggere i missili terra-aria in arrivo, l’articolo descriveva la possibilità incombente che un pilota statunitense potesse essere abbattuto, ucciso o catturato.

Alla fine, le agenzie di intelligence sono state in grado di quantificare “un certo degrado” delle capacità degli Houthi, ma hanno messo in guardia dalla possibilità che gli sforzi di ricostituzione siano facili per gli Houthi.

Dopo aver deliberato con gli alti funzionari statunitensi e con l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, attori chiave nella lotta contro gli Houthi, non è stato possibile raggiungere un consenso su come procedere. la goccia che ha fatto traboccare il vaso per il Presidente Trump? La perdita accidentale di due caccia F/A-18 in altrettante settimane.

Come si legge nelle note precedenti, Trump non ha voluto entrare in un lungo intreccio e ha chiesto un “rapporto sui progressi” della campagna yemenita dopo 30 giorni. Il rapporto non è stato promettente: gli Stati Uniti non sono riusciti nemmeno a stabilire una “superiorità aerea” sugli Houthi:

Ma i risultati non si sono visti. Gli Stati Uniti non avevano nemmeno stabilito la superiorità aerea sugli Houthi. Invece, dopo 30 giorni di campagna intensificata contro il gruppo yemenita, è emerso un altro costoso ma inconcludente impegno militare americano nella regione.

Prima di tutto chiariamo una cosa. Alcuni hanno affermato che gli Stati Uniti hanno stabilito la “superiorità aerea” ma non la “supremazia aerea”, come se ci fosse una differenza tra le due cose. In realtà, si tratta di termini fasulli inventati – o almeno diffusi – dal MIC statunitense per vendere le sue avventure nella guerra in Iraq, con la pretesa che la moderna “inarrestabile” potenza aerea americana sia in grado di dominare totalmente i cieli contro un nemico. In realtà, non esiste una vera e propria “supremazia aerea” in un conflitto quasi alla pari e non è mai stata stabilita nella storia su un nemico in grado di reagire. Questi non sono altro che termini di marketing per vendere armi per una guerra che non esiste.

Quello che si scopre in Yemen è che gli Stati Uniti hanno dovuto impegnarsi in attacchi “stand off” a distanza, come è successo con Israele quando ha tentato di colpire l’Iran. Tempo fa, il nostro lavoro investigativo qui ha dimostrato che Israele stava lanciando missili da ben all’interno dei confini iracheni, con i suoi F-35 terrorizzati dall’idea di sconfinare in Iran. Tra le altre prove, questo è stato indicato dal ritrovamento dei bossoli dei missili balistici Air LORA sparati dagli F-35 israeliani ben all’interno del territorio iracheno, dove sono stati lanciati.

Ma torneremo agli F-35 tra poco.

L’articolo del NYT continua menzionando come gli Stati Uniti siano stati essenzialmente accecati e accecati dalla distruzione da parte degli Houthi di una grande quantità di droni Reaper entro il primo mese dell’operazione:

In quei primi 30 giorni, gli Houthi hanno abbattuto sette droni americani MQ-9 (circa 30 milioni di dollari l’uno), facendo vacillare la capacità del Comando centrale di tracciare e colpire il gruppo militante.

Come sappiamo, gli Houthi hanno poi fatto perdere alla USS Truman due F/A-18 Super Hornet, del valore di circa 70 dollari ciascuno. Il NYT scrive che a quel punto Trump ne aveva abbastanza.

Ma il costo dell’operazione era impressionante. Il Pentagono ha schierato in Medio Oriente due portaerei, altri bombardieri B-2 e caccia, nonché le difese aeree Patriot e THAAD, come hanno riconosciuto in privato i funzionari. Alla fine dei primi 30 giorni della campagna, il costo aveva superato il miliardo di dollari, hanno detto i funzionari.

Ma naturalmente la più scioccante delle ammissioni dell’articolo, che ha mandato tutti in fibrillazione, riguarda il fatto che un F-35 americano sarebbe stato quasi abbattuto dalle difese aeree degli Houthi. L’attacco è stato così ravvicinato che l’F-35 ha dovuto effettuare manovre di evasione:

Diversi F-16 americani e un caccia F-35 sono stati quasi colpiti dalle difese aeree degli Houthi, rendendo concreta la possibilità di vittime americane, hanno dichiarato diversi funzionari statunitensi.

Molte testate militari di alto livello si sono immediatamente scagliate contro questa notizia:

https://www.twz.com/air/f-35-dovuto a una manovra per evadere-il missile aria-superficie degli houthi-u-s-officiale

TWZ fornisce un ulteriore scoop:

Un ufficiale statunitense ha dichiarato a The War Zone che un caccia stealth F-35 ha dovuto effettuare manovre evasive per evitare di essere colpito dai missili terra-aria (SAM) degli Houthi.

“Si sono avvicinati abbastanza da costringere l’F-35 a manovrare”, ha detto l’ufficiale.

La conclusione di TWZ dice tutto:

Il fatto che persino gli Houthi, con le loro difese aeree relativamente rudimentali, siano stati in grado di impedire a molti aerei statunitensi di sferrare attacchi diretti, con una forte dipendenza da preziose armi standoff e persino da bombardieri stealth, ha certamente implicazioni più ampie che esploreremo ulteriormente nei prossimi articoli.

Prima di tutto, ricordiamo questa precedente citazione sul fatto che gli Stati Uniti favoriscono pesantemente le munizioni a lungo raggio, in particolare quelle utilizzate con i bombardieri stealth B-2 Spirits:

Tuttavia, “si stavano usando così tante munizioni di precisione, soprattutto quelle avanzate a lungo raggio, che alcuni pianificatori di contingenza del Pentagono stavano diventando sempre più preoccupati per le scorte complessive e le implicazioni per qualsiasi situazione in cui gli Stati Uniti avrebbero dovuto scongiurare un tentativo di invasione di Taiwan da parte della Cina”, ha spiegato il Times.

Questo ci dà un quadro chiaro della situazione. Gli Stati Uniti non sono in grado di condurre operazioni sicure nemmeno in prossimità dello spazio aereo dello Yemen, con le sue difese aeree cosiddette “rudimentali”. Gli F-35, definiti “i caccia più avanzati mai assemblati”, non sono in grado di operare in sicurezza senza essere individuati. Secondo lei, cosa può essere che permette agli Houthi di rilevare gli F-35 “invisibili” a tal punto da sparare su di loro, causando manovre evasive? Si tratta di radar iraniani di seconda mano, che probabilmente sono a loro volta di seconda mano russi? Come farebbero i vantati F-35 e B-2 a gestire la rete AD nazionale iraniana, molto più grande e superiore, se non riescono a gestire nemmeno quella degli Houthi?

Ora ha ancora più senso il motivo per cui Israele non ha osato avvicinarsi al confine iraniano con i propri F-35I: l’Occidente sa che i suoi aerei sono di fatto rilevabili dai radar della resistenza, e l’ultimo episodio non fa che dimostrarlo. L’unico motivo per cui gli Houthi non sono stati abbattuti è probabilmente il fatto che è più facile produrre un radar – una tecnologia molto più vecchia – che un missile con le proprietà cinematiche che gli permettono di inseguire un caccia manovrabile; il radar ha probabilmente fatto il suo lavoro, ma il missile non è riuscito a finirlo.

Il fatto è che l’Occidente ha trascorso decenni a costruire un’intera dottrina di guerra che sta lentamente diventando obsoleta, basata su armi ad alta tecnologia e ad alto costo che non possono essere riprodotte su scala. In parte ciò è dovuto al fatto che, con la crescente complessità delle moderne armi “high-tech”, le catene di approvvigionamento diventano problematiche, soprattutto quando la Cina controlla la maggior parte delle terre rare del mondo.

Ascoltate questa nuova sorprendente dichiarazione di Macron, in cui ammette che la Francia non ha più nulla da dare all’Ucraina perché il suo modello di guerra non è mai stato progettato per combattimenti ad alta intensità:

“Dovete capire che avevamo un modello di esercito che non era stato progettato per conflitti terrestri ad alta intensità. Così abbiamo dato tutto quello che avevamo, producendo sempre più velocemente… ma non possiamo dare quello che non abbiamo” .

Questo è stato il tema sempre più ricorrente nei conflitti mondiali degli ultimi tempi: l’ondata di innovazioni del Sud globale che supera i modelli militari obsoleti e orientati al profitto dell’Occidente.

Il recente scontro tra Pakistan e India sembra esserne un altro esempio: si dice che le armi cinesi nelle mani dei pakistani abbiano superato il loro peso e, se i rapporti sono accurati, siano state più che all’altezza delle armi occidentali equivalenti, in particolare nel caso dei jet da combattimento:

Da Bloomberg:

https://www.bloomberg.com/news/articles/2025-05-13/successo dei jet cinesi-contro l’India-che-alza-l’allarme-in-asia

Inizia con:

Il recente conflitto tra India e Pakistan sta spingendo a rivalutare le armi cinesi, sfidando le percezioni a lungo sostenute della loro inferiorità rispetto alle armi occidentali e scatenando preoccupazioni in luoghi diffidenti nei confronti di Pechino.

Taiwan ha osservato da vicino il conflitto tra India e Pakistan e un gruppo di esperti del governo taiwanese si è detto estremamente preoccupato per le prestazioni degli armamenti cinesi:

“Potrebbe essere necessario rivalutare le capacità di combattimento aereo del PLA, che potrebbero avvicinarsi – o addirittura superare – il livello di dispiegamento del potere aereo degli Stati Uniti in Asia orientale”, ha detto Shu, aggiungendo che Washington potrebbe prendere in considerazione la vendita di sistemi più avanzati a Taiwan.

Altre nazioni vedono le scritte sul muro e si preparano a futuri conflitti abbandonando le armi e le dottrine occidentali obsolete. Per esempio, un rapporto del giornale sudcoreano Chosun afferma che la Corea del Sud sta cercando di abbandonare i suoi F-35 in favore di droni su una futura “portaerei leggera”:

https://militarnyi.com/en/news/south-korea-to-replace-f-35bs-with-drones-on-future-aircraft-carriers/

La Corea del Sud ha rivisto il suo piano per la costruzione di una portaerei leggera, scegliendo di rinunciare all’acquisto di jet da combattimento F-35B in favore dell’impiego di droni sviluppati a livello nazionale, secondo quanto riportato dal quotidiano Chosun.

Il concetto aggiornato riflette un cambiamento nelle priorità strategiche e una spinta verso una maggiore autonomia nelle tecnologie di difesa.
Al posto dei jet F-35B a decollo corto e atterraggio verticale di produzione statunitense, la portaerei sarà equipaggiata con veicoli aerei senza pilota di fabbricazione sudcoreana.

Elon Musk si è scagliato contro questo problema nell’ultimo anno su X:

A questo proposito, ci sono grandi novità anche dalla Russia. La Marina russa sta creando diverse unità di droni subordinate:

https://iz.ru/1884980/roman-krecul-bogdan-stepovoi/budet-polk-v-vmf-sozdaut-morskie-casti-bespilotnyh-sistem

La Marina sta creando reggimenti marini di sistemi senza pilota, hanno dichiarato a Izvestia fonti del dipartimento militare. Saranno formati come parte di tutte le flotte. Le nuove unità militari disporranno di sistemi robotici che opereranno in ambienti diversi: UAV aerei, droni terrestri, imbarcazioni senza equipaggio e veicoli subacquei disabitati.

Come già detto, includerà UAV aerei, droni terrestri e navali, sia per missioni di ricognizione che di attacco:

Le unità effettueranno missioni di ricognizione e di attacco. Inoltre, sorveglieranno le nostre navi, distruggeranno i droni nemici e le imbarcazioni senza equipaggio e cercheranno e distruggeranno le mine marine.

Questa sembra essere una risposta al successo dei droni russi contro i droni navali dell’Ucraina. Ho già scritto in passato di quanto sia difficile tracciare e colpire con successo i droni ucraini di ultima generazione, che sono dotati di missili antiaerei e hanno firme e profili molto bassi che li rendono difficili da individuare, tracciare e colpire.

Drone ucraino Magura V7 con due missili AIM-9 Sidewinder.

Una delle mie principali lamentele – e di altri analisti – è che la Russia non ha sfruttato le sue capacità di UCAV e di ricognizione aerea lungo il Mar Nero come avrebbe dovuto. Il Mar Nero avrebbe dovuto essere pattugliato da flotte di UAV MALE (Medium Altitude Long Endurance), che sarebbero stati in grado di rilevare i droni navali provenienti da Odessa molto prima che si avvicinassero alla Crimea o a Novorossijsk. Presumibilmente, l’annuncio di cui sopra include esattamente questo come parte del piano.

Ulteriori dettagli in accordo con quanto detto sopra:

Secondo l’esperto, gli UAV saranno responsabili della ricognizione, della sorveglianza e di colpire obiettivi marini e costieri. I reggimenti saranno armati con veicoli a medio e lungo raggio – si tratta di “Aquile”, “Avamposti”, munizioni da sbarramento “Lancet” e veicoli più seri.È logico includere droni FPV che risolvono i compiti tattici nelle unità della zona d’acqua.

Le imbarcazioni senza equipaggio (BEK) avranno anche il compito di monitorare l’area acquatica, di ricognizione, di azione contro le mine, di difesa antisommergibile e, se necessario, di colpire il nemico, ha osservato l’esperto.

Infatti, notizie recenti provenienti da fonti di intelligence ucraine descrivono un nuovissimo missile russo chiamato Banderol che sembra essere la mossa della Russia nella direzione sopra descritta: .

https://war-sanctions.gur.gov.ua/it/componenti

Il sito web di GUR includeva un missile da crociera russo chiamato S8000 Banderol di Kronstadt JSC con una gittata dichiarata di 500 km, che sarà trasportato dall’UCAV Orion / Inokhodets e, in futuro, dall’elicottero d’attacco Mi-28.

Questo “missile misterioso” era già stato avvistato in precedenza durante un evento militare russo, ma nessuno era riuscito a capire di cosa si trattasse:

Ora è stato rivelato che il missile è destinato ad essere equipaggiato, tra le altre cose, con il primo UCAV MALE russo, l’Inokhodets o “Orion”. E non appena è apparsa la notizia, sono emerse anche immagini che mostrano l’Orion che sta già trasportando questo missile in combattimento sull’Ucraina:

Scarica

Il missile ha una gittata estremamente lunga per una munizione lanciata da un drone, ed è specificamente progettato per una produzione a basso costo e ad alto volume. Il rapporto dell’intelligence di cui sopra afferma che è fatto quasi interamente di componenti stranieri, e c’è una ragione per questo. La maggior parte delle persone non capisce bene questo concetto, quindi va detto: La Russia utilizza componenti stranieri nelle sue armi non perché ne ha bisogno, ma perché semplicemente rende la produzione in scala molto più economica. La Russia è in grado di sostituire ogni singolo componente straniero delle sue armi con parti di produzione nazionale: ha tutti i circuiti e gli aggeggi, ma costano semplicemente molto di più, il che ostacolerebbe la produzione di massa. Ma naturalmente, se mai fosse veramente necessario, potrebbe effettuare questa “sostituzione delle importazioni” e continuare a produrre: lo fa per scelta, non per necessità.

A questo si aggiunge un nuovo aggiornamento da parte di una fonte militare ucraina:

I russi hanno iniziato a usare i droni in sciami, utilizzando “centinaia” di volte più UAV rispetto a un anno fa, – ex deputato e soldato delle Forze Armate ucraine

Se prima i droni erano utilizzati da alcune unità russe, “ora tutto è su larga scala” e i sensori ucraini registrano “un numero enorme di droni in aria” che attaccano sistematicamente a una profondità di 10-15 km, scrive Yegor Firsov.

La Russia sta anche sviluppando l’uso della guerra elettronica, disturbando i droni ucraini. Firsov invita quindi Kiev ad adottare un approccio sistematico all’implementazione delle tecnologie e a sostenere il lavoro degli ingegneri ucraini.

RVvoenkor

Anche il Regno Unito si sta mettendo al passo con la tendenza dei droni navali:

La Royal Air Force britannica ha iniziato a copiare le tattiche FPV sviluppate dalla Flotta del Mar Nero della Russia, che ha intercettato gli USV ucraini da elicotteri Mi-8MT e Mi-8AMTSh che fungono da vettori FPV.

In questo modo gli inglesi si stanno addestrando a schierare droni FPV multiruolo da bordo di elicotteri da trasporto pesante/multiruolo CH-47F Chinook.

Questo fa parte del programma Wasp Nest, che mira a lanciare un gran numero di droni FPV da piattaforme aeree, a integrare i droni nei sistemi d’arma di tutti i rami delle forze armate e a sviluppare nuovi concetti operativi. In effetti, la Gran Bretagna sta costruendo le proprie forze di droni, simili a quelle già schierate da vari rami dell’esercito russo, anche se ancora in una fase iniziale di sviluppo rispetto alle forze e alla dottrina russa, molto più avanzata.

Nel 2025, il Ministero della Difesa britannico ha firmato un contratto con Viking Weapons per la fornitura rapida di droni FPV per l’addestramento delle forze britanniche. Inoltre, il Ministero della Difesa sta sostenendo un programma di investimenti da 4,5 miliardi di sterline per finanziare lo sviluppo di droni per l’esercito, la marina e l’aeronautica.

Uno dei modi in cui si sta sviluppando questa direzione drone-centrica è stato rivelato in un nuovo articolo del NYPost:

https://nypost.com/2025/05/12/us-news/ukraine-relies-on-secret-weapon-in-drone-attacks-on-russia/

In sostanza, tra la diminuzione della forza lavoro, l’Ucraina ha reclutato giocatori stranieri da tutto il mondo per venire a pilotare droni FPV sul fronte. Ciò si adatta perfettamente alla nuova dottrina non dichiarata dell’Ucraina, secondo la quale tutti gli sforzi e le speranze vengono riposte nei droni per tenere a bada l’assalto russo. Poiché il pilotaggio di questi droni è relativamente sicuro rispetto ai ruoli di assalto in prima linea, l’Ucraina è in grado di attrarre grandi folle di “giocatori” stranieri che vogliono mettere alla prova le loro abilità in veri e propri safari umani:

Un americano che si è identificato come Sam, un ventenne di Charleston, in Georgia, ha detto di essere ansioso di dimostrare le sue capacità dopo aver partecipato a tornei di corsa di droni in tutti gli Stati Uniti.

“In gara si vola attraverso cancelli di un metro e mezzo a 100 miglia all’ora, facendo curve strette. È tutta una questione di precisione e di riflessi. Ho intenzione di usare tutto ciò che ho imparato per aiutare l’Ucraina”, ha dichiarato all’Independent.

L’articolo prosegue:

“La destrezza che si ottiene con un controller Xbox è direttamente trasferibile al pilotaggio dei droni”, ha dichiarato Grabovyy, di Syracuse, a The Independent. “Il miglior pilota FPV che abbia mai conosciuto era un giocatore incessante”.

Gli arruolati provengono da America, Gran Bretagna, Canada, Australia e Francia, molti dei quali si sono riversati nella 25ª Brigata aviotrasportata dall’inizio della guerra nel 2022 e negli ultimi mesi dopo che il sostegno occidentale all’Ucraina è rallentato.

“Sarete sorpresi di quanti ne stanno arrivando, centinaia e centinaia da tutto il mondo. Ci sono molti giovani americani di 18, 19, 20 anni”, ha detto Grabovvy. “Pensano che il loro governo abbia abbandonato l’Ucraina”.

Come ultima esclusiva sul tema della guerra con i droni in Ucraina, questa settimana è stata diffusa un’interessante notizia secondo cui gli hacker russi avrebbero violato il sistema ucraino di gestione del campo di battaglia Virage, che l’AFU utilizza per monitorare le risorse aeree russe su tutto il fronte tramite tablet e sistemi informatici collegati in rete. È collegato al sistema DELTA, di cui ho già parlato in passato. Questa volta gli hacker avrebbero mandato in tilt il sistema Virage, causando danni su larga scala ai database che richiederanno tempo per essere riparati.

È stata mostrata una visione un po’ ridimensionata di tale sistema:

Dall’outlet russo Mash:

Le forze armate ucraine hanno perso il loro principale sviluppo segreto, il programma Virage PVO. Con il suo aiuto, hanno coordinato gli attacchi contro la Russia, monitorato lo spazio aereo sopra l’Ucraina, mascherato gli attacchi contro obiettivi civili, facendoli passare per attacchi delle Forze Armate russe.

Il software forniva informazioni sulla situazione aerea. La raccolta e l’analisi delle informazioni avvenivano online. Era utilizzato dai mitraglieri antiaerei e dal personale della difesa aerea, che lo controllavano da telefoni o tablet tramite l’applicazione “Virage-Tablet”. Nel programma è possibile impostare e modificare coordinate, aggiungere punti e costruire rotte per i droni ucraini. Oppure monitorare il volo dei nostri droni. Il programma stesso calcolava i punti di tiro ottimali e il tempo di avvicinamento al bersaglio.

Inoltre, con l’aiuto di “Virage-Planshet”, gli ucraini hanno falsificato “prove” per l’ONU. Hanno creato false coordinate su screenshot per pubblicazioni su presunti attacchi delle Forze Armate russe. Ad esempio, su raid contro ospedali. Uno dei casi più recenti è l’attacco al collegio di Sudža, che gli ucraini hanno nuovamente cercato di spacciare per opera delle Forze Armate russe.

Gli hacker di Killnet hanno crackato questo programma e ne hanno fatto trapelare il software. Ora gli specialisti IT ucraini dovranno cambiare completamente tutto, ricostruire “Virage PVO”: l’operazione potrebbe richiedere diversi mesi. E questo significa che durante questo periodo l’esercito ucraino sarà “senza occhi”: sarà molto più difficile monitorare la situazione in cielo.

Questo è il secondo caso di hacking nell’ultima settimana. L’altro giorno abbiamo scritto che le Forze Armate ucraine hanno perso la capacità di individuare i droni russi sulla linea di contatto. I ragazzi di Killnet hanno identificato le stazioni e trasmesso le posizioni nemiche all’88ª brigata “Espanyola – Melodiya”. Insieme alle forze alleate delle Forze Armate russe, hanno colpito Airfaince.

Per coincidenza, l’Ucraina ha pubblicato un suo video di pubbliche relazioni più completo e interessante sul suo famoso sistema DELTA in funzione: si noti l’attenzione intenzionale rivolta alla Crimea, in modo da dare l’impressione di una sorta di controllo strategico ucraino sulla penisola russa:

Il sistema ucraino DELTA è un elemento semplificato della guerra incentrata sulla rete. Il sistema collega i dati provenienti da droni, intercettazioni e truppe in tempo reale, tracciando un quadro generale della battaglia sullo schermo dello smartphone. L’artiglieria riceve i bersagli all’istante, i comandanti vedono tutto dall’alto e la connessione non teme interruzioni. Invece di costosi satelliti, Internet mobile e chat per il coordinamento. Non a caso la NATO è già interessata a questi sviluppi, perché sono economici e funzionano in condizioni di dura realtà.

In sostanza: velocità e flessibilità competono con la potenza.

Sal.

La Crimea sui monitor.

Da notare in particolare il riferimento al fatto che DELTA abbia un “modulo” di IA – una sorta di componente aggiuntivo o “estensione” – dotato di una funzionalità per l’identificazione autonoma dei bersagli tramite IA, presumibilmente a partire da riprese di droni e satelliti. Si tratta di capacità a lungo discusse nell’ambito di Project Maven, White Stork, ecc., di cui ho già parlato in precedenza.

Certo, la Russia ha i suoi analoghi, ma essendo una forza più nominalmente “professionale”, mantiene l’OPSEC e quindi non si conoscono molte informazioni sulle sue capacità. Per necessità, l’Ucraina è stata costretta a diventare la prima forza militare sperimentale “open source” al mondo, il che non è stato del tutto negativo, tutto sommato. Ma significa che ci sono molti più cuochi in cucina, e molti di loro condividono volentieri i loro ingredienti con il pubblico, mentre la Russia continua a operare più come una struttura militare tradizionale e chiusa.

Come ultimo messaggio di commiato sul tema dei droni, ecco una dichiarazione rilasciata oggi dal commentatore russo Starshe Edda:

Il nemico si lamenta sempre più del lavoro dei nostri droni, e di diversi fattori contemporaneamente. In primo luogo, il crescente numero di applicazioni, in secondo luogo, l’aumento della gamma di applicazioni e, in terzo luogo, la tattica, con cui i punti di forza del nemico vengono annientati dagli operatori di droni, e a quel punto i nostri caccia vi si infiltrano.

È buffo che gli ucraini definiscano tali azioni vigliacche, a quanto pare in realtà l’uccello giallo-blu brucia bene. Dato il ritmo che la nostra industria ha acquisito (e la produzione di droni ha già superato l’industria militare nazionale, diventando una vera e propria industria), molto presto sciami di droni pesanti inizieranno a demolire i rifugi nemici con unità da combattimento pesanti, e gli uccelli leggeri isoleranno il campo di battaglia a una profondità di oltre 20 km. Questo momento arriverà molto presto e, unito al nostro innegabile vantaggio in artiglieria, aviazione e armi missilistiche, l’effetto riceverà sinergia e il numero di perdite degli ucraini aumenterà notevolmente.

Gli ucraini sono diventati i fondatori della “rivoluzione dei droni”, ma prima rinunceranno alla leadership e poi li finiremo con la loro stessa invenzione.


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Lettera di Xi ai russi e discorso alla CELAC, di Karl Sanchez

Lettera di Xi ai russi e discorso alla CELAC

Karl Sánchez14 maggio
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Difficile tenere il passo con eventi che necessitano di una diffusione più ampia. La lettera di Xi ai russi è passata inosservata e l’ho scoperta quando sono andato a leggere il suo discorso alla riunione della CELAC in Cina all’inizio di questa settimana. C’è ancora molto da scrivere sulle politiche della Cina in relazione a ciò che sta accadendo a livello globale, che sarà presto disponibile. Gran parte della lettera di Xi fa riferimento alla Celebrazione del Giorno della Vittoria, sebbene contenga alcuni punti chiave politici. L’impegno della CELAC è pieno di proposte politiche. E sì, ci sono collegamenti tra i due. La prima è la lettera di Xi ai russi:

Imparare dalla storia per costruire insieme un futuro più luminoso

SE Xi Jinping

Presidente della Repubblica Popolare Cinese

Quest’anno ricorre l’80° anniversario della vittoria nella Guerra di Resistenza Popolare Cinese contro l’aggressione giapponese, nella Grande Guerra Patriottica dell’Unione Sovietica e nella Guerra Mondiale Antifascista. Ricorre anche l’80° anniversario della fondazione delle Nazioni Unite (ONU). In questa stagione in cui “i meli e i peri fioriscono”, presto compirò una visita di Stato in Russia e parteciperò alle celebrazioni per l’80° anniversario della vittoria nella Grande Guerra Patriottica dell’Unione Sovietica, unendomi all’eroico popolo russo nel rendere omaggio alla storia e agli eroi caduti.

Dieci anni fa, più o meno in questo periodo, venni in Russia per celebrare il 70° anniversario della vittoria. Durante quella visita, presi un appuntamento speciale per incontrare 18 rappresentanti di veterani russi che avevano sopportato il sangue e il fuoco dei campi di battaglia durante la Grande Guerra Patriottica dell’Unione Sovietica e la Guerra di Resistenza Popolare Cinese contro l’Aggressione Giapponese. La loro incrollabile determinazione e il loro carattere indomito mi hanno lasciato un’impressione indelebile. Negli ultimi anni, sono scomparsi il Generale M. Gareyev, il Maggiore Generale T. Shchudlo e altri veterani. Rendo il mio più profondo omaggio a loro e a tutti i veterani, dai generali ai semplici soldati, per il loro straordinario servizio e le loro eroiche imprese nell’assicurare la vittoria sui fascisti in tutto il mondo. Non li dimenticheremo mai. Gli eroi non periscono mai; il loro nobile spirito vive per sempre.

Durante la Guerra Mondiale Antifascista, i popoli cinese e russo combatterono fianco a fianco e si sostennero a vicenda. Nelle ore più buie della Guerra di Resistenza Popolare Cinese contro l’Aggressione Giapponese, il Gruppo Volontari Sovietici, che faceva parte dell’Aeronautica Militare sovietica, giunse a Nanchino, Wuhan e Chongqing per combattere al fianco del popolo cinese, affrontando coraggiosamente gli invasori giapponesi in combattimenti aerei, molti dei quali sacrificando la propria preziosa vita. Nel momento critico della Grande Guerra Patriottica dell’Unione Sovietica, Yan Baohang, un leggendario agente segreto del Partito Comunista Cinese (PCC), acclamato come il “Richard Sorge d’Oriente”, fornì all’Unione Sovietica informazioni di intelligence di prima mano. Nel crogiolo degli anni devastati dalla guerra, l’Unione Sovietica fornì alla Cina ingenti quantità di armi e equipaggiamento. La Cina, da parte sua, inviò rifornimenti strategici di cui aveva tanto bisogno all’Unione Sovietica. I due paesi stabilirono congiuntamente una linea di rifornimento che attraversava l’insidioso deserto del Gobi. Era un’ancora di salvezza internazionale, vitale per il nostro reciproco sostegno nella lotta contro i fascisti. Il forte cameratismo tra le nostre due nazioni, forgiato nel sangue e nel sacrificio, si alimenta incessantemente, possente come il Fiume Giallo e il Volga. È una fonte eterna che alimenta la nostra amicizia senza tempo.

Ottant’anni fa, le forze della giustizia in tutto il mondo, tra cui Cina e Unione Sovietica, si unirono in coraggiose battaglie contro i loro nemici comuni e sconfissero le prepotenti potenze fasciste. Ottant’anni dopo, tuttavia, unilateralismo, egemonismo, prepotenza e pratiche coercitive stanno gravemente minando il nostro mondo. Ancora una volta l’umanità è giunta a un bivio tra unità o divisione, dialogo o confronto, cooperazione reciprocamente vantaggiosa o giochi a somma zero. In Guerra e Pace , il grande scrittore Lev Tolstoj osservava: “La storia è la vita delle nazioni e dell’umanità”. In effetti, la memoria storica e la verità non svaniranno con il passare del tempo. Servono da ispirazione, rispecchiando il presente e illuminando il futuro. Dobbiamo imparare dalla storia, soprattutto dalle dure lezioni della Seconda Guerra Mondiale. Dobbiamo trarre saggezza e forza dalla grande vittoria della Guerra Mondiale Antifascista e resistere risolutamente a ogni forma di egemonismo e politica di potenza. Dobbiamo lavorare insieme per costruire un futuro più luminoso per l’umanità.

Dobbiamo mantenere una corretta prospettiva storica sulla Seconda Guerra Mondiale. Cina e Unione Sovietica furono i principali teatri di quella guerra, rispettivamente in Asia e in Europa. I due Paesi costituirono il pilastro della resistenza contro il militarismo giapponese e il nazismo tedesco, dando un contributo fondamentale alla vittoria della Guerra Mondiale Antifascista. La Guerra di Resistenza Popolare Cinese contro l’Aggressione Giapponese iniziò per prima e durò più a lungo. Unito sotto la bandiera del Fronte Unito Cinese contro l’Aggressione Giapponese, sostenuto e istituito dal PCC, il popolo cinese lanciò una lotta instancabile contro i brutali militaristi giapponesi e li sconfisse. Con immenso sacrificio, diede vita a un’epopea immortale di eroica resistenza e vittoria finale contro l’aggressione giapponese. Nel teatro europeo, l’Armata Rossa sovietica avanzò come una marea di ferro con incrollabile forza d’animo e valore, annientò le ambizioni della Germania nazista e liberò milioni di persone dalla sua brutale occupazione, scrivendo un’epopea di vittoria nella Grande Guerra Patriottica dell’Unione Sovietica.

La storia ci insegna che la luce vincerà sempre le tenebre e che la giustizia alla fine prevarrà sul male. Il Tribunale Militare Internazionale di Norimberga e il Tribunale Militare Internazionale per l’Estremo Oriente hanno condannato i criminali di guerra condannati a un’infamia perpetua. La giustizia e l’integrità di due processi epocali, il loro significato storico e la loro rilevanza contemporanea sono inconfutabili. Qualsiasi tentativo di distorcere la verità storica della Seconda Guerra Mondiale, negarne l’esito vittorioso o diffamare il contributo storico della Cina e dell’Unione Sovietica è destinato a fallire. Nessuna delle nostre due nazioni tollererà alcun atto che possa invertire il corso della storia, né lo tollereranno i popoli del mondo intero.

Dobbiamo sostenere con fermezza l’ordine internazionale del dopoguerra. La decisione più significativa presa dalla comunità internazionale alla fine della Seconda Guerra Mondiale fu quella di istituire l’ONU. Cina e Unione Sovietica furono tra i primi a firmare la Carta delle Nazioni Unite. La nostra appartenenza permanente al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è frutto della storia, conquistata con sangue e sacrificio. Quanto più turbolenta e complessa diventa la situazione internazionale, tanto più dobbiamo sostenere e difendere l’autorità delle Nazioni Unite, sostenere fermamente il sistema internazionale incentrato sulle Nazioni Unite, l’ordine internazionale fondato sul diritto internazionale e le norme fondamentali delle relazioni internazionali basate sugli scopi e sui principi della Carta delle Nazioni Unite, e promuovere costantemente un mondo multipolare equo e ordinato e una globalizzazione economica universalmente vantaggiosa e inclusiva.

Quest’anno ricorre anche l’80° anniversario della restaurazione di Taiwan. La restituzione di Taiwan alla Cina è un esito vittorioso della Seconda Guerra Mondiale e parte integrante dell’ordine internazionale del dopoguerra. Una serie di strumenti con effetto giuridico ai sensi del diritto internazionale, tra cui la Dichiarazione del Cairo e la Proclamazione di Potsdam, hanno tutti affermato la sovranità della Cina su Taiwan. Il fatto storico e giuridico ivi contenuto non ammette contestazioni. E l’autorità della Risoluzione 2758 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite non ammette contestazioni. Indipendentemente da come si evolverà la situazione sull’isola di Taiwan o dai problemi che le forze esterne potrebbero causare, la tendenza storica verso la riunificazione definitiva e inevitabile della Cina è inarrestabile.

Cina e Russia si sono sempre sostenute a vicenda con fermezza su questioni che riguardano i rispettivi interessi fondamentali o le principali preoccupazioni. La Russia ha ribadito in numerose occasioni di aderire rigorosamente al principio di una sola Cina, di considerare Taiwan parte inalienabile del territorio cinese, di opporsi a qualsiasi forma di “indipendenza taiwanese” e di sostenere fermamente tutte le misure adottate dal governo e dal popolo cinese per raggiungere la riunificazione nazionale. La Cina elogia vivamente la posizione coerente della Russia.

Dobbiamo difendere con fermezza l’equità e la giustizia internazionale. Ora, i deficit globali in termini di pace, sviluppo, sicurezza e governance continuano ad aumentare senza sosta. Per affrontare questi deficit, ho proposto di costruire una comunità con un futuro condiviso per l’umanità e ho proposto la Global Development Initiative, la Global Security Initiative e la Global Civilization Initiative come strada da percorrere per orientare la riforma del sistema di governance globale verso una maggiore equità e giustizia.

Il mondo ha bisogno di giustizia, non di egemonismo. La storia e la realtà hanno dimostrato che per affrontare le sfide globali è importante sostenere la visione di una governance globale caratterizzata da ampie consultazioni e contributi congiunti per un beneficio condiviso. È altrettanto importante scegliere il dialogo anziché lo scontro, costruire partnership anziché alleanze e perseguire una cooperazione vantaggiosa per tutti anziché giochi a somma zero. È altrettanto importante praticare un autentico multilateralismo, accogliere le legittime preoccupazioni di tutte le parti e salvaguardare le norme e l’ordine internazionale. Crediamo fermamente che le persone in tutto il mondo sceglieranno di stare dalla parte giusta della storia e dalla parte dell’equità e della giustizia.

Cina e Russia sono entrambi Paesi importanti con un’influenza significativa a livello mondiale. Le due nazioni rappresentano forze costruttive per il mantenimento della stabilità strategica globale e per il miglioramento della governance globale. Le nostre relazioni bilaterali si fondano su una chiara logica storica, sorrette da una forte spinta interna e radicate in un profondo patrimonio culturale. La nostra relazione non è né diretta né influenzata da alcuna terza parte. Insieme dobbiamo sventare ogni piano volto a interrompere o minare i nostri legami di amicizia e fiducia, e non dobbiamo lasciarci sconcertare da questioni transitorie o turbare da sfide formidabili. Dobbiamo sfruttare la certezza e la resilienza del nostro partenariato di coordinamento strategico per accelerare congiuntamente la transizione verso un mondo multipolare e costruire una comunità con un futuro condiviso per l’umanità.

Cina e Russia sono entrambe grandi nazioni con splendide civiltà. I popoli cinese e russo sono entrambi grandi popoli, caratterizzati da un’eredità eroica. Ottant’anni fa, i nostri popoli vinsero la guerra antifascista attraverso lotte eroiche. Ottant’anni dopo, oggi, dobbiamo adottare tutte le misure necessarie per salvaguardare con risolutezza la nostra sovranità, la nostra sicurezza e i nostri interessi di sviluppo. Dovremmo essere custodi della memoria storica, partner nello sviluppo e nel ringiovanimento nazionale, paladini dell’equità e della giustizia globale, e lavorare insieme per forgiare un futuro più luminoso per l’umanità. [Corsivo mio]

Mi vengono in mente solo due presidenti degli Stati Uniti la cui retorica è paragonabile a quella di Xi Jinping: Roosevelt nei suoi discorsi sulle Quattro Libertà e su un Terzo della Nazione e JFK nel discorso all’Università Americana del 1963, “Una strategia di pace”. Va notato che solo il secondo dei tre si è avvicinato alla realizzazione, mentre il principale ostacolo al raggiungimento delle Quattro Libertà e della pace globale è l’Impero statunitense fuorilegge. Ironicamente, queste due frasi hanno anche un significato diverso per una inquietante porzione dell’umanità le cui aspirazioni attuali furono salvate dagli angloamericani alla fine della Seconda Guerra Mondiale:

In effetti, la memoria storica e la verità non svaniranno con il passare del tempo. Servono da ispirazione, rispecchiando il presente e illuminando il futuro.

Questi sarebbero i nazisti e il nazismo, che sono ancora vivi e prosperi grazie all’Occidente collettivo. Molti hanno affermato che è necessaria un’altra Yalta, eppure Yalta ha permesso la perversione della Carta delle Nazioni Unite attraverso il concetto di Sfere d’Influenza, utilizzato per negare l’autodeterminazione dei popoli da entrambe le parti durante la Guerra Fredda. Il compito di preservare la memoria storica è corretto, ma TUTTO deve essere preservato: il bene e il male, la giustizia e le ingiustizie. È molto più facile per le nazioni ribellarsi, confessare i propri crimini e annunciare come li espierà. Sfortunatamente, la maggior parte delle nazioni si è dimostrata codarda in questo senso, il che contribuisce al perdurare dell’inimicizia tra nazioni e popoli. Xi ha omesso di menzionare il periodo di conflitto tra URSS e Cina sulla corretta via socialista da seguire. A mio parere, quella situazione può essere utilizzata oggi come un’esperienza di apprendimento sia per la Cina che per la Russia. Vediamo che Russia e Cina hanno imparato e stanno cercando di dare l’esempio alla Maggioranza Globale.

E ora il suo discorso programmatico alla cerimonia di apertura del quarto incontro ministeriale del Forum Cina-CELAC, dove Xi avanza proposte per animarne l’esempio:

Scrivere un nuovo capitolo nella costruzione di una comunità Cina-LAC con un futuro condiviso

Discorso di apertura di Sua Eccellenza Xi Jinping

Presidente della Repubblica Popolare Cinese

Alla cerimonia di apertura

Della quarta riunione ministeriale del Forum Cina-CELAC

Pechino, 13 maggio 2025

Sua Eccellenza il Presidente Gustavo Petro,
Eccellenza Presidente Luiz Inácio Lula da Silva,
Sua Eccellenza il Presidente Gabriel Boric,
Sua Eccellenza la Presidente Dilma Rousseff,
Delegati degli Stati membri della CELAC,
Signore e signori,
Amici,

È per me un grande piacere incontrare a Pechino così tanti vecchi e nuovi amici provenienti dai Paesi dell’America Latina e dei Caraibi (ALC). A nome del governo e del popolo cinese, vi porgo un caloroso benvenuto.

Nel 2015, io e i delegati dell’ALC abbiamo partecipato alla cerimonia di apertura della prima riunione ministeriale del Forum Cina-CELAC a Pechino, che ha segnato il lancio del Forum Cina-CELAC. Dieci anni dopo, grazie al costante impegno di entrambe le parti, il Forum è cresciuto da un tenero alberello a un albero imponente. Questo mi riempie di profondo orgoglio e soddisfazione.

Sebbene la Cina e la regione dell’America Latina e dei Caraibi siano geograficamente distanti, i legami della nostra amicizia risalgono a secoli fa. Già nel XVI secolo, le Nao de China, o “Navi della Cina”, cariche di amicizia, solcavano il Pacifico, segnando l’alba delle interazioni e degli scambi tra la Cina e la regione dell’America Latina e dei Caraibi. Dagli anni ’60 in poi, con l’avvio di relazioni diplomatiche tra la Nuova Cina e alcuni Paesi dell’America Latina e dei Caraibi, gli scambi e la cooperazione tra le due parti si sono intensificati sempre di più. Dall’inizio del secolo, e in particolare negli ultimi anni, la Cina e i Paesi dell’America Latina e dei Caraibi hanno inaugurato un’era storica di costruzione di un futuro condiviso.

Siamo fianco a fianco e ci sosteniamo a vicenda. La Cina apprezza l’impegno di lunga data dei paesi dell’America Latina e dei Caraibi (ALC) che intrattengono rapporti diplomatici con la Cina nei confronti del principio di una sola Cina. La Cina sostiene fermamente i paesi dell’America Latina e dei Caraibi (ALC) nel perseguire percorsi di sviluppo adatti alle loro condizioni nazionali, salvaguardando la sovranità e l’indipendenza e opponendosi alle interferenze esterne. Negli anni ’60 , in tutta la Cina si sono svolte manifestazioni e raduni di massa a sostegno della legittima rivendicazione del popolo panamense alla sovranità sul Canale di Panama. Negli anni ’70, durante la campagna latinoamericana per i diritti marittimi di 200 miglia nautiche, la Cina ha espresso il suo risoluto e inequivocabile sostegno alle legittime richieste dei paesi in via di sviluppo. Per 32 volte consecutive dal 1992, la Cina ha costantemente votato a favore delle risoluzioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (ONU) che chiedevano la fine dell’embargo statunitense contro Cuba.

Cavalchiamo insieme l’onda del progresso per perseguire una cooperazione reciprocamente vantaggiosa. Accogliendo la tendenza della globalizzazione economica, la Cina e i Paesi dell’America Latina e dei Caraibi hanno approfondito la cooperazione in ambito commerciale, degli investimenti, finanziario, scientifico e tecnologico, infrastrutturale e in molti altri settori. Nell’ambito della cooperazione di alta qualità della Belt and Road, le due parti hanno implementato oltre 200 progetti infrastrutturali, creando oltre un milione di posti di lavoro. Il programma di cooperazione satellitare Cina-America Latina ha definito un modello per la cooperazione Sud-Sud ad alta tecnologia. L’inaugurazione del porto di Chancay in Perù ha stabilito un nuovo collegamento via terra e via mare tra Asia e America Latina. La Cina ha firmato accordi di libero scambio con Cile, Perù, Costa Rica, Ecuador e Nicaragua. Lo scorso anno, il commercio tra la Cina e i Paesi dell’America Latina e dei Caraibi ha superato per la prima volta i 500 miliardi di dollari, con un aumento di oltre 40 volte rispetto all’inizio di questo secolo.

Ci uniamo nei momenti difficili per superare le sfide attraverso il supporto reciproco. La Cina e i paesi dell’America Latina e dei Caraibi hanno collaborato nella prevenzione, mitigazione e soccorso delle catastrofi e nella risposta congiunta a uragani, terremoti e altri disastri naturali. Dal 1993, la Cina ha inviato 38 équipe mediche nei Caraibi. Quando ha colpito la pandemia del secolo, la Cina è stata tra le prime a offrire assistenza ai paesi dell’America Latina e dei Caraibi, fornendo oltre 300 milioni di dosi di vaccini e quasi 40 milioni di unità di forniture e attrezzature mediche, e inviando numerose équipe di esperti medici. Tutto ciò ha contribuito a proteggere la vita di centinaia di milioni di persone in tutta la regione.

Sosteniamo la solidarietà e il coordinamento e affrontiamo le sfide globali con determinazione. Insieme, la Cina e i Paesi dell’America Latina e dei Caraibi promuovono il vero multilateralismo, l’equità e la giustizia internazionale, promuovono la riforma della governance globale e la multipolarizzazione del mondo e una maggiore democrazia nelle relazioni internazionali. Abbiamo lavorato insieme per affrontare sfide globali come il cambiamento climatico e promuovere il progresso nella governance globale della biodiversità. Cina e Brasile hanno emanato congiuntamente un’intesa comune in sei punti sulla risoluzione politica della crisi ucraina, che è stata approvata da oltre 110 Paesi, contribuendo con la nostra saggezza e forza alla risoluzione delle questioni internazionali più critiche.

I fatti dimostrano che la Cina e i Paesi dell’America Latina e dei Caraibi stanno avanzando di pari passo come una comunità con un futuro condiviso. Questa nostra comunità è fondata sull’uguaglianza, alimentata dal reciproco vantaggio e dalla reciproca vincita, animata da apertura e inclusività e dedita al benessere delle persone. Dimostra una vitalità duratura e racchiude un’immensa promessa.

Illustri Delegati,
Amici,

La trasformazione che ha segnato il secolo sta accelerando in tutto il mondo, con molteplici rischi che si aggravano a vicenda. Tali sviluppi rendono l’unità e la cooperazione tra le nazioni indispensabili per salvaguardare la pace e la stabilità globali e per promuovere lo sviluppo e la prosperità globali. Non ci sono vincitori nelle guerre tariffarie o commerciali. Prepotenza o egemonismo portano solo all’autoisolamento. La Cina e i Paesi dell’America Latina e dei Caraibi sono membri importanti del Sud del mondo. Indipendenza e autonomia sono la nostra gloriosa tradizione. Sviluppo e rivitalizzazione sono un nostro diritto intrinseco. E l’equità e la giustizia sono la nostra ricerca comune. Di fronte alle ribollenti correnti sotterranee di scontro geopolitico e di blocco e alla crescente ondata di unilateralismo e protezionismo, la Cina è pronta a collaborare con i nostri partner dell’America Latina e dei Caraibi per lanciare cinque programmi che promuovano il nostro sviluppo e la nostra rivitalizzazione condivisi e contribuiscano a una comunità Cina-America Latina con un futuro condiviso.

Il primo è il Programma di Solidarietà . La Cina collaborerà con i Paesi dell’America Latina e dei Caraibi (ALC) per sostenersi reciprocamente su questioni che riguardano i nostri rispettivi interessi fondamentali e le nostre principali preoccupazioni. Dobbiamo migliorare gli scambi in tutti i campi e rafforzare la comunicazione e il coordinamento sulle principali questioni internazionali e regionali. Nei prossimi tre anni, per facilitare i nostri scambi sulle migliori pratiche di governance nazionale, la Cina inviterà ogni anno 300 membri dei partiti politici degli Stati membri della CELAC a visitare la Cina. La Cina sostiene gli sforzi dei Paesi dell’America Latina e dei Caraibi per aumentare la loro influenza sulla scena multilaterale. Collaboreremo con i Paesi dell’America Latina e dei Caraibi per salvaguardare fermamente il sistema internazionale che ha come fulcro le Nazioni Unite e l’ordine internazionale fondato sul diritto internazionale, e per parlare con una sola voce negli affari internazionali e regionali.

Il secondo è il Programma di Sviluppo. La Cina collaborerà con i Paesi dell’America Latina e dei Caraibi per attuare l’Iniziativa di Sviluppo Globale. Sosterremo con fermezza il sistema commerciale multilaterale, garantiremo catene industriali e di approvvigionamento globali stabili e senza ostacoli e promuoveremo un ambiente internazionale di apertura e cooperazione. Dovremmo promuovere una maggiore sinergia tra le nostre strategie di sviluppo, ampliare la cooperazione di alta qualità della Belt and Road e rafforzare la cooperazione in settori tradizionali come infrastrutture, agricoltura e alimentazione, energia e minerali. Dovremmo espandere la cooperazione in settori emergenti come l’energia pulita, le telecomunicazioni 5G, l’economia digitale e l’intelligenza artificiale, e realizzare il Partenariato Scientifico e Tecnologico Cina-America Latina e dei Caraibi. La Cina aumenterà le importazioni di prodotti di qualità dai Paesi dell’America Latina e dei Caraibi e incoraggerà le sue imprese ad aumentare gli investimenti nella regione. Forniremo una linea di credito di 66 miliardi di yuan a sostegno dello sviluppo dei Paesi dell’America Latina e dei Caraibi.

Il terzo è il Programma Civilization. La Cina collaborerà con i paesi latinoamericani e latinoamericani per attuare la Global Civilization Initiative. Dovremmo sostenere la visione di uguaglianza, apprendimento reciproco, dialogo e inclusione tra le civiltà e sostenere i valori comuni dell’umanità: pace, sviluppo, equità, giustizia, democrazia e libertà. Dovremmo migliorare gli scambi di civiltà e l’apprendimento reciproco tra Cina e America Latina e Caraibi, anche attraverso una conferenza sul dialogo interciviltà tra Cina e America Latina e Caraibi. Dovremmo approfondire gli scambi e la cooperazione culturale e artistica e organizzare la Stagione delle Arti Latinoamericane e Caraibiche. Dovremmo rafforzare gli scambi e la cooperazione nei settori del patrimonio culturale, come progetti archeologici congiunti, conservazione e restauro di siti antichi e storici e mostre museali. Dovremmo inoltre condurre studi collaborativi sulle civiltà antiche e rafforzare la cooperazione per contrastare il traffico illecito di beni culturali.

Il quarto è il Programma di Pace. La Cina collaborerà con i Paesi dell’America Latina e dei Caraibi per attuare l’Iniziativa per la Sicurezza Globale. La Cina sostiene la Proclamazione dell’America Latina e dei Caraibi come Zona di Pace e la Dichiarazione degli Stati Membri dell’Agenzia per la Proibizione delle Armi Nucleari in America Latina e nei Caraibi. Le due parti dovrebbero cooperare più strettamente in materia di gestione delle catastrofi, sicurezza informatica, antiterrorismo, lotta alla corruzione, controllo degli stupefacenti e lotta alla criminalità organizzata transnazionale, al fine di salvaguardare la sicurezza e la stabilità nella regione. La Cina organizzerà programmi di formazione per le forze dell’ordine personalizzati in base alle esigenze degli Stati membri della CELAC e farà del suo meglio per fornire assistenza in termini di equipaggiamento.

Il quinto è il People-to-People Connectivity Program . Nei prossimi tre anni, la Cina offrirà agli Stati membri della CELAC 3.500 borse di studio governative, 10.000 opportunità di formazione in Cina, 500 borse di studio internazionali per insegnanti di lingua cinese, 300 opportunità di formazione per professionisti della riduzione della povertà e 1.000 tirocini finanziati attraverso il programma Chinese Bridge. Avvieremo 300 progetti di sostentamento “piccoli e belli”, promuoveremo attivamente programmi di cooperazione nell’istruzione professionale come il Luban Workshop e sosterremo gli Stati membri della CELAC nello sviluppo dell’insegnamento della lingua cinese. Inaugureremo inoltre una mostra di film e programmi televisivi cinesi nell’ambito di The Bond e collaboreremo con i Paesi dell’America Latina e dei Caraibi per tradurre e presentare reciprocamente 10 fiction televisive e programmi audiovisivi di alta qualità all’anno. La Cina ospiterà il dialogo turistico Cina-America Latina e dei Caraibi con i Paesi dell’America Latina e dei Caraibi. Per facilitare gli scambi amichevoli, la Cina ha deciso di implementare un’esenzione dal visto per cinque Paesi dell’America Latina e dei Caraibi come primo passo, e amplierà la copertura di questa politica al momento opportuno.

Illustri Delegati,
Amici,

Come scrisse un poeta cinese dell’XI secolo, “La gioia più grande della vita deriva dal trovare anime gemelle”. L’America Latina ha un proverbio simile che recita: “Chi ha un amico ha un tesoro”. Indipendentemente da come cambi il mondo, la Cina sarà sempre al fianco dei paesi latinoamericani e latinoamericani come un buon amico e un valido partner. Procediamo insieme lungo il nostro cammino verso la modernizzazione, lavorando insieme per scrivere un nuovo capitolo nella costruzione di una comunità Cina-LAC con un futuro condiviso. [Corsivo mio]

Come Xi ha proposto all’Africa lo scorso anno, la Cina è fortemente motivata a implementare le sue numerose iniziative globali, tutte volte a migliorare il mondo e a condurlo verso l’obiettivo di raggiungere l’Armonia. Sì, l’obiettivo della Cina è fornire all’America Latina e ai Caraibi un’alternativa migliore rispetto alla sottomissione alla Dottrina Monroe dell’Impero fuorilegge statunitense, che ha causato così tanti danni alle nazioni e ai popoli dell’America Latina e dei Caraibi fin dagli anni ’40 dell’Ottocento. Il riferimento di Xi alla lotta panamense per ottenere il controllo del canale, iniziata negli anni ’60 e portata a termine in molti decenni, ricorda che la comunità dell’America Latina e dei Caraibi ha bisogno di un alleato potente per contrastare l’egemone a Nord. C’è un legame logico tra l’America Latina e i Caraibi e le iniziative africane, dato che molti popoli dell’America Latina e dei Caraibi hanno legami con l’Africa. Uno degli obiettivi della Cina è far sì che l’Unione Africana faccia causa comune con l’America Latina e dei Caraibi incrementando il commercio e gli scambi interpersonali. Sembra che la Cina imiterà il progetto russo di scambi parlamentari a livello nazionale e regionale per generare legami più stretti.

La risposta alle proposte di Xi e alla dichiarazione di Pechino tra Cina e CELAC è stata guidata dal presidente brasiliano Lula, che ha manifestato grande entusiasmo:

Il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva ha elogiato la dichiarazione, definendola fonte di incoraggiamento per i paesi in via di sviluppo dell’America Latina e dei Caraibi (LAC). Lula ha affermato che porta speranza e dimostra che paesi economicamente forti come la Cina stanno valutando come contribuire allo sviluppo delle nazioni più povere del mondo. Il noto giornalista brasiliano Leonardo Attuch ha osservato che la dichiarazione apre una finestra storica per l’America Latina, consentendole di rimodellare il proprio futuro. Simboleggia un nuovo mondo che emerge dal crollo dell’ordine imperialista, un mondo che ricostruisce le relazioni internazionali sulle basi dell’equità, del rispetto e dell’autodeterminazione nazionale, secondo lui.

È stato concordato un altro documento che faciliterà la Dichiarazione, il Piano d’azione congiunto per la cooperazione in settori chiave tra la Cina e gli Stati membri della CELAC (2025-2027). Il prossimo articolo del Gym analizzerà la Dichiarazione di Pechino e le discussioni pubblicate al riguardo. Sebbene il Forum CELAC-Cina non abbia registrato il 100% di partecipazione da parte dei paesi della regione, la Cina rimane ottimista sul fatto che il Forum crescerà man mano che i suoi benefici diventeranno evidenti anche ai non membri.

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Lo Yemen ha insegnato a Trump alcune lezioni che farebbe bene ad applicare all’Ucraina, di Andrew Korybko

Lo Yemen ha insegnato a Trump alcune lezioni che farebbe bene ad applicare all’Ucraina

Andrew Korybko14 maggio
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Gli insegnamenti tratti dal disastro yemenita di Trump potrebbero influenzare le sue future decisioni sull’Ucraina.

Cinque giornalisti del New York Times (NYT) hanno collaborato all’inizio di questa settimana per produrre un rapporto dettagliato sul tema ” Perché Trump ha improvvisamente dichiarato vittoria sulla milizia Houthi “. Vale la pena leggerlo per intero se il tempo lo consente, ma il presente articolo ne riassume e analizza i risultati. Inizialmente, il capo del CENTCOM, il Generale Michael Kurilla, aveva proposto una campagna di otto-dieci mesi per smantellare le difese aeree degli Houthi prima di procedere con omicidi mirati in stile israeliano, ma Trump ha optato invece per 30 giorni. Questo è importante.

Il massimo funzionario militare regionale degli Stati Uniti sapeva già quanto fossero numerose le difese aeree degli Houthi e quanto tempo ci sarebbe voluto per danneggiarle seriamente, il che dimostra che il Pentagono considerava già lo Yemen del Nord controllato dagli Houthi una potenza regionale , mentre Trump voleva evitare una guerra prolungata. Non c’è da stupirsi quindi che gli Stati Uniti non siano riusciti a stabilire la superiorità aerea durante il primo mese, motivo per cui hanno perso diversi droni MQ-9 Reaper e hanno esposto una delle loro portaerei a continue minacce.

Il miliardo di dollari di munizioni speso in quel periodo ha amplificato le divisioni preesistenti all’interno dell’amministrazione sulla validità di questa campagna di bombardamenti, considerando i costi crescenti. Il nuovo Capo di Stato Maggiore Congiunto, Generale John Caine, temeva che ciò potesse sottrarre risorse alla regione Asia-Pacifico. Considerando che il grande obiettivo strategico dell’amministrazione Trump è quello di “tornare in Asia” per contenere la Cina in modo più efficace, questo punto di vista è stato probabilmente decisivo nei calcoli finali di Trump.

A quanto pare, l’Oman gli ha fornito la “via d’uscita perfetta” proponendo al suo inviato Steve Witkoff, in visita nell’ambito dei colloqui nucleari tra Stati Uniti e Iran , che gli Stati Uniti avrebbero potuto smettere di bombardare gli Houthi, mentre avrebbero smesso di colpire le navi americane, ma non quelle che ritengono utili a Israele. Questo richiama l’attenzione sull’enorme ruolo diplomatico di quel paese negli affari regionali, ma dimostra anche che gli Stati Uniti erano finora incerti su come porre fine alla loro campagna in modo da salvare la faccia, pur essendo già consapevoli del fallimento.

Furono prese in considerazione due strade: intensificare le operazioni per un altro mese, condurre un’esercitazione di “libertà di navigazione” e dichiarare vittoria se gli Houthi non avessero aperto il fuoco contro di loro; oppure continuare la campagna rafforzando al contempo la capacità degli alleati yemeniti locali di avviare un’altra offensiva nel Nord. Entrambe le opzioni furono scartate a favore dell’improvviso annuncio di vittoria da parte di Trump dopo che un altro aereo statunitense precipitò da una portaerei, un attacco statunitense uccise decine di migranti in Yemen e gli Houthi colpirono l’aeroporto Ben Gurion.

Dal rapporto del NYT si possono trarre cinque conclusioni. Innanzitutto, lo Yemen del Nord, controllato dagli Houthi, è già una potenza regionale e lo è da tempo, status che hanno raggiunto nonostante la precedente campagna di bombardamenti della coalizione del Golfo, durata anni, e il blocco parziale in corso. Questa impresa impressionante testimonia la loro resilienza e l’efficacia delle strategie che hanno implementato. La conformazione montuosa dello Yemen del Nord ha indiscutibilmente giocato un ruolo, ma non è stata l’unico fattore.

La seconda conclusione è che la decisione di Trump di autorizzare una campagna di bombardamenti a tempo limitato era quindi destinata a fallire fin dall’inizio. O non era pienamente informato del fatto che lo Yemen del Nord era già diventato una potenza regionale, forse a causa dell’autocensura dei funzionari militari per paura di essere licenziati se lo avessero irritato, oppure aveva secondi fini nel permettere agli Stati Uniti di bombardarlo solo per un breve periodo. In ogni caso, non c’era modo che gli Houthi venissero annientati in pochi mesi.

L’immagine è importante per ogni amministrazione, e la seconda di Trump le dà priorità più di qualsiasi altra nella storia recente, eppure la terza conclusione è che ha comunque battuto in ritirata frettolosa quando i rischi strategici hanno iniziato a crescere vertiginosamente e i costi ad accumularsi, invece di raddoppiare gli sforzi per sfidare la situazione. Questo dimostra che gli interessi legati all’ego e all’eredità non sempre determinano le sue formulazioni politiche. La sua rilevanza sta nel fatto che nessuno può quindi affermare con certezza che non taglierà la corda dall’Ucraina se i colloqui di pace fallissero .

Sulla base di quanto sopra, l’accettazione da parte dell’amministrazione Trump della proposta spontanea dell’Oman che ha portato alla “fuga perfetta” dimostra che ascolterà le proposte dei paesi amici per disinnescare i conflitti in cui gli Stati Uniti sono rimasti invischiati, il che potrebbe valere anche per l’Ucraina. I tre stati del Golfo che Trump visiterà questa settimana hanno tutti svolto un ruolo nell’ospitare colloqui o facilitare gli scambi tra Russia e Ucraina, quindi è possibile che condividano alcune proposte di pace per uscire dall’impasse.

Infine, il fattore Cina incombe su tutto ciò che gli Stati Uniti fanno oggigiorno, ergo uno dei motivi per cui Trump ha improvvisamente interrotto la sua infruttuosa campagna di bombardamenti contro gli Houthi, dopo essere stato informato dai suoi vertici che stava sprecando munizioni preziose che sarebbe stato meglio inviare in Asia. Allo stesso modo, Trump potrebbe essere convinto da argomenti simili riguardo ai costi strategici di raddoppiare sfacciatamente il sostegno all’Ucraina in caso di fallimento dei colloqui di pace, cosa che gli Stati del Golfo potrebbero comunicargli.

Collegando le lezioni apprese dal fiasco yemenita di Trump con i suoi continui sforzi per porre fine al conflitto ucraino, è possibile che inizialmente raddoppi istintivamente il suo sostegno all’Ucraina se i colloqui di pace dovessero fallire, per poi essere dissuaso poco dopo dai suoi vertici e/o dai Paesi amici. Certo, sarebbe meglio per lui limitare le perdite del suo Paese ora invece di continuare ad aggravarle, ma i suoi post sempre più emotivi su Putin lasciano intendere che potrebbe incolparlo e reagire in modo eccessivo se i colloqui dovessero fallire.

È quindi più importante che mai che i paesi amanti della pace e influenti sugli Stati Uniti condividano immediatamente qualsiasi proposta diplomatica creativa che abbiano in mente per uscire dall’impasse tra Russia e Ucraina. Trump si sta avvicinando a una debacle simile a quella yemenita in Ucraina, sebbene con potenziali implicazioni nucleari dato l’arsenale strategico russo, ma c’è ancora tempo per evitarla se si presentasse la “fuga perfetta” ed è convinto che accettarla aiuterebbe il suo “ritorno in Asia”.

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La frattura tra Trump e Bibi potrebbe essere inconciliabile

Andrew Korybko11 maggio
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Dal punto di vista degli interessi israeliani, questo rappresenterebbe uno scenario da incubo.

La scorsa settimana è circolata una notizia secondo cui Trump avrebbe interrotto ogni contatto diretto con Bibi dopo essersi sentito manipolato da lui. Per quanto sensazionalistico possa sembrare, il contesto più ampio suggerisce che potrebbe essere vero. Innanzitutto, tra i due non scorreva buon sangue dalla fine del 2020, dopo che Trump si sarebbe sentito tradito dal fatto che Bibi avesse riconosciuto la vittoria elettorale di Biden mentre Trump la stava ancora contestando in tribunale. Si tratta di una questione molto personale per lui, visto che continua a insistere di aver vinto, quindi non sarebbe una sorpresa.

Più di recente, Bibi ha fatto pressioni su Trump affinché bombardasse l’Iran, cosa che Trump non vuole fare poiché una guerra su larga scala nell’Asia occidentale vanificherebbe il suo piano di “ritorno in Asia” per contenere la Cina. A tal proposito, Trump avrebbe licenziato l’ex Consigliere per la Sicurezza Nazionale Mike Waltz a causa del suo presunto coordinamento troppo stretto con Israele. Rilevanti sono anche le voci secondo cui Israele sarebbe stato colto di sorpresa dalla ripresa dei colloqui tra Stati Uniti e Iran e sarebbe contrario a qualsiasi accordo tra i due Paesi.

Poi c’è il recente accordo degli Stati Uniti con gli Houthi che esclude Israele, le notizie secondo cui gli Stati Uniti scollegheranno il riconoscimento saudita di Israele dai colloqui sul nucleare civile, e persino le speculazioni secondo cui Trump potrebbe riconoscere la Palestina durante la sua partecipazione al vertice Golfo-USA della prossima settimana a Riyadh. Nel complesso, è evidente che i rapporti tra Stati Uniti e Israele siano di nuovo alle prese con una serie di problemi, il che dà credito alla notizia citata in precedenza secondo cui Trump avrebbe interrotto ogni contatto diretto con Bibi.

La loro frattura potrebbe persino rivelarsi insanabile, a seconda delle prossime mosse di Trump. Dal punto di vista di Israele, era già abbastanza grave che gli Stati Uniti avessero raggiunto un accordo con gli Houthi subito dopo l’annuncio del loro piano di imporre un blocco aereo a Israele, ma slegare il riconoscimento saudita di Israele dai colloqui sul nucleare civile, per non parlare del riconoscimento della Palestina, potrebbe oltrepassare il Rubicone. In questo scenario, Israele e gli Stati Uniti rimarrebbero in disaccordo per il resto del mandato di Trump, e forse anche dopo, se Vance gli succedesse.

Le conseguenze di tale accadimento si ripercuoterebbero ampiamente in tutta la regione. Senza il continuo supporto del suo alleato più antico e affidabile, che è ancora il Paese più forte e influente al mondo nonostante la transizione sistemica globale verso il multipolarismo , Israele si troverebbe da solo ad affrontare le minacce provenienti da Iran e Turchia . A peggiorare la situazione, non si può escludere che gli Stati Uniti possano ridurre o addirittura sospendere i loro aiuti militari a Israele con qualsiasi pretesto, indebolendo così le sue forze armate.

Questa combinazione di fattori potrebbe portare Israele a scatenare una furia disperata contro i suoi avversari regionali, prima di perdere i suoi vantaggi strategico-militari, il che potrebbe innescare una guerra su larga scala, o a essere costretto a una serie di compromessi che accelererebbero la perdita di questi stessi vantaggi. Dal punto di vista degli interessi israeliani, si tratta di un dilemma a somma zero che deve essere evitato a tutti i costi, eppure la frattura potenzialmente insanabile tra Trump e Bibi potrebbe trasformare questo scenario da incubo in un fatto compiuto.

Tuttavia, come dimostra l’inaspettata riconciliazione di Trump con Zelensky , c’è sempre la possibilità che le tensioni tra loro possano essere superate. Perché ciò accada, tuttavia, Bibi dovrebbe probabilmente offrire a Trump qualcosa di valore strategico equivalente all’accordo sui minerali di Zelensky . Non è chiaro cosa potrebbe essere, e potrebbe arrivare troppo tardi per impedire agli Stati Uniti di slegare il riconoscimento saudita di Israele dai colloqui sul nucleare civile e/o di riconoscere la Palestina, ma Bibi farebbe bene a fare subito un’offerta di pace a Trump.

Potrebbe esserci un metodo dietro la follia di Trump che danneggia inaspettatamente i legami indo-americani

Andrew Korybko14 maggio
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Il “reset totale” di Trump con la Cina contestualizza ogni cosa.

Il New York Times ha pubblicato martedì un articolo informativo intitolato ” Mentre Trump esulta per aver posto fine a un conflitto, i leader indiani si sentono traditi “. L’articolo cita ex funzionari indiani e personalità in carica, di cui non si conosce il nome, i quali concordano sul fatto che le ripetute vanterie di Trump sulla sua mediazione nella conclusione dell’ultimo conflitto indo-pakistano implichino che gli Stati Uniti stiano ancora una volta equiparando, o mettendo un trattino, i due Paesi. Peggio ancora, ha affermato di aver ottenuto questo risultato minacciando di interrompere gli scambi commerciali in caso di rifiuto, cosa che l’India ha ufficialmente negato .

La sua dichiarata intenzione di mediare la fine del conflitto in Kashmir contraddice anche la posizione consolidata dell’India secondo cui la questione è strettamente bilaterale, mentre la sua ultima proposta di organizzare una cena tra i loro leader suggerisce che Modi e Sharif siano pari, il che è incredibilmente offensivo per gli indiani. È stato anche molto deludente per loro che i loro partner Quad, che includono Australia e Giappone oltre agli Stati Uniti, non abbiano espresso un pieno sostegno al loro Paese rispetto al Pakistan, come molti si aspettavano finora.

Prima dell’ultimo conflitto, circolavano voci secondo cui ” il futuro dei legami tra Stati Uniti e Pakistan è incerto a causa delle presunte divergenze tra i vertici americani e lo Stato profondo “, eppure ora sembrano essere state risolte. Gli Stati Uniti hanno evidentemente scelto di sostenere i militari di fatto al potere in Pakistan invece di continuare a fare pressione su di loro affinché cedano il potere a un governo democratico a guida civile. L’amministrazione Trump è rimasta in silenzio anche sulle preoccupazioni ufficiali dell’amministrazione Biden riguardo al programma missilistico a lungo raggio del Pakistan .

Sembra quindi che si stia lavorando a un accordo di grande portata. Ipotizzando, potrebbe comportare l’applicazione tacita da parte degli Stati Uniti di una politica di non intervento negli affari interni e militari del Pakistan (comprese le accuse indiane di coinvolgimento in attività terroristiche transfrontaliere) in cambio della conclusione di un accordo minerario favorevole con il Pakistan. Le minacce legate al terrorismo che ostacolano l’estrazione, descritte in dettaglio qui , potrebbero quindi essere attribuite dagli Stati Uniti ai Talebani e/o all’India, in linea con le rivendicazioni pakistane, al fine di esercitare congiuntamente pressione su entrambi.

Gli Stati Uniti vogliono ripristinare l’accesso alla base aerea di Bagram, in Afghanistan, senza sbocchi sul mare, e probabilmente stanno tenendo d’occhio anche i suoi minerali, stimati in un valore di 1.000 miliardi di dollari . Tutto ciò richiede un accordo con il vicino Pakistan, e al contempo vogliono costringere l’India a stipulare l’accordo commerciale più completo possibile. Sebbene le accuse di terrorismo contro entrambi i Paesi sopra menzionate possano essere un mezzo per raggiungere tale obiettivo, potrebbero essere applicate ulteriori minacce tariffarie all’India, insieme alla richiesta di formalizzare la spartizione del Kashmir.

Il ” reset totale ” di Trump con la Cina contestualizza l’enorme danno che ha arrecato ai rapporti indo-americani negli ultimi giorni. Se questo “reset” incentrato sul commercio dovesse reggere, allora non sarebbe più un grande imperativo strategico dare priorità al “ritorno in Asia” pianificato dalla sua amministrazione per contenere più energicamente la Cina, in cui l’India avrebbe dovuto svolgere un ruolo chiave. Al contrario, l’India diventerebbe un peso, poiché la sua continua ascesa potrebbe compromettere il ritorno alla bi-multipolarità sino-americana (G2/”Chimerica”), che Trump avrebbe potuto concordare con Xi.

In tale scenario, gli Stati Uniti avrebbero potuto anche accettare di non ostacolare più il progetto di punta della Belt & Road Initiative, il Corridoio Economico Cina-Pakistan, che attraversa il Kashmir rivendicato dall’India ma controllato dal Pakistan. Questo accordo di grande portata potrebbe anche spiegare perché gli Stati Uniti abbiano recentemente inasprito la loro posizione negoziale nei confronti della Russia, poiché potrebbe non preoccuparsi più di un’escalation del conflitto ucraino e di un’ulteriore caduta della Russia sotto l’influenza cinese se si negoziasse un accordo sulle “sfere di influenza” sino-americane in tutta l’Eurasia.

Naturalmente, anche i colloqui speculativi su un simile accordo potrebbero fallire, nel qual caso gli Stati Uniti potrebbero tornare a rivolgersi all’India, allontanandosi dal Pakistan, e costringere l’Ucraina alle concessioni richieste dalla Russia, portando così Russia e India nella sua “sfera” invece di “cedere” la prima alla Cina e allearsi contro la seconda. Per essere chiari, i paragrafi precedenti sono congetture plausibili, ma spiegano in modo convincente l’inasprimento inaspettato della posizione negoziale degli Stati Uniti nei confronti della Russia, con conseguente danno ai rapporti con l’India.

Se questo è effettivamente ciò che sta accadendo, allora Russia e India potrebbero raddoppiare gli sforzi per accelerare congiuntamente i processi di tripla-polarità al fine di scongiurare il ritorno della bi-multipolarità sino-americana, ma non è chiaro se i loro leader concordino sul fatto che questo complotto sia in atto. Non ci sono indicazioni pubbliche che lo siano, ma non farebbe male a loro seguire questo consiglio, a prescindere dalle loro opinioni sulle vere ragioni alla base del disgelo sino-americano, quindi gli influenti politici di entrambi i Paesi farebbero bene a presentare questa proposta ai decisori senza indugio.

La mediazione di terze parti tra Russia e Ucraina sta raggiungendo i suoi limiti

Andrew Korybko13 maggio
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Trump sta per trovarsi in un dilemma a causa della sua riluttanza o incapacità di costringere l’Ucraina a fare le concessioni richieste dalla Russia.

La mediazione degli Stati Uniti tra Russia e Ucraina ha affascinato il mondo grazie alle speranze che molti osservatori nutrivano di una svolta, ma da allora le aspettative si sono attenuate, anche da parte americana, come dimostra l’ inasprimento della sua posizione negoziale nei confronti della Russia. Gli ultimi sviluppi hanno visto l’Ucraina e l’Occidente chiedere alla Russia il rispetto di un cessate il fuoco incondizionato, al che Putin ha reagito offrendo invece la ripresa incondizionata dei colloqui bilaterali con l’Ucraina.

Zelensky ha risposto dichiarando che visiterà Istanbul giovedì, luogo e giorno suggeriti da Putin per la ripresa dei colloqui bilaterali, sebbene non sia chiaro se il leader russo vi parteciperà. Il processo di pace della primavera 2022 , menzionato da Putin nel suo videomessaggio di domenica mattina presto, ha coinvolto solo le delegazioni dei due presidenti, non colloqui diretti, inoltre Putin considera Zelensky illegittimo. È anche improbabile che lo incontrerà a meno che Zelensky non accetti concessioni significative in anticipo.

Il problema è che Zelensky si rifiuta di cedere alle richieste di Putin di ripristinare la neutralità costituzionale dell’Ucraina, smilitarizzare, denazificare e cedere i territori contesi, e nemmeno Trump lo costringerà a farlo. L’unico risultato degli sforzi di mediazione degli Stati Uniti finora è stato parlare di un partenariato strategico con la Russia, probabilmente basato sulla cooperazione in materia di energia e terre rare, tutto qui. Dal punto di vista della Russia, sembra che gli Stati Uniti vogliano comprarla, non risolvere le questioni fondamentali di questo conflitto.

Gli Stati Uniti sono l’unico paese con una leva su Russia e Ucraina che potrebbe essere esercitata per convincerle a scendere a compromessi nell’ambito di un accordo di ampia portata, cosa che altri potenziali mediatori come Cina e Turchia non hanno, eppure il loro approccio è stato disomogeneo. Gli Stati Uniti minacciano la Russia con ulteriori sanzioni e forse anche maggiori aiuti militari all’Ucraina, mentre l’unica minaccia per l’Ucraina è l’ uscita degli Stati Uniti dal conflitto, ma hanno appena dato il via libera a un nuovo pacchetto missilistico , quindi potrebbe trattarsi solo di un bluff.

Se gli Stati Uniti non correggono al più presto il loro approccio, esercitando una pressione equa su Russia e Ucraina, e considerando che nessun altro Paese è in grado di esercitare una leva su entrambi per convincerli a scendere a compromessi, la mediazione di terze parti avrà raggiunto i suoi limiti. In tal caso, un’escalation potrebbe essere inevitabile, sia perché la Russia la avvia attraverso la potenziale espansione della sua campagna terrestre in nuove regioni, sia perché gli Stati Uniti raddoppiano sfacciatamente il loro sostegno all’Ucraina, qualora Trump incolpisca Putin per il fallimento dei colloqui di pace.

Putin non ha ancora dato segno di essere disposto a congelare il conflitto e quindi a rinunciare tacitamente a tutte le altre richieste, il che potrebbe anche creare spazio per l’ eventuale dispiegamento di truppe in uniforme da parte degli europei in Ucraina durante un cessate il fuoco incondizionato, quindi è destinato a mettersi contro Trump a meno che qualcosa non cambi. Se Trump “escalation per de-escalation” a queste condizioni, rischia una guerra calda con la Russia, mentre un suo abbandono potrebbe renderlo responsabile di una delle peggiori sconfitte geopolitiche dell’Occidente, se la Russia dovesse poi schiacciare l’Ucraina.

Trump sta per trovarsi in questo dilemma a causa della sua riluttanza o incapacità di costringere l’Ucraina alle concessioni richieste dalla Russia. In tal caso, sarebbe meglio per lui rompere netta con questo conflitto piuttosto che intensificare il coinvolgimento degli Stati Uniti, ma l’ accordo sui minerali e i successivi pacchetti di armi suggeriscono che sia più probabile che raddoppi. In tal caso, però, rovinerebbe la sua ambita eredità di pacificatore e minerebbe il suo pianificato “ritorno in Asia” per contenere la Cina in modo più energico.

Il complesso militare-industriale polacco è imbarazzantemente sottosviluppato

Andrew Korybko12 maggio
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Per anni il suo duopolio al potere ha trascurato questo aspetto, preferendo acquistare principalmente attrezzature americane, il che ha creato una dipendenza che ora è praticamente impossibile eliminare e che potrebbe quindi porre fine per sempre alle sue aspirazioni di Grande Potenza.

L’aspirazione della Polonia a ripristinare il suo status di Grande Potenza, a lungo perduto, ha senso, dato che è lo stato orientale più popoloso dell’UE, ha la maggiore economia tra i Paesi membri e ora comanda il terzo esercito più grande della NATO . Tuttavia, quest’ultimo punto non è quello che sembra. Un recente articolo di Bloomberg ha rivelato quanto sia imbarazzantemente sottosviluppato il complesso militare-industriale (MIC) polacco, nonostante il Paese abbia raddoppiato il suo bilancio per la difesa. Il presente articolo analizzerà l’articolo e ne analizzerà i risultati.

Innanzitutto, il MIC polacco è dominato da un conglomerato statale di oltre 50 aziende noto come Polska Grupa Zbrojeniowa (PGZ, Gruppo Polacco degli Armamenti), fondato nel 2013. Nonostante le sue dimensioni, PGZ ha faticato per oltre un decennio a espandere la produzione di propellenti, in una vicenda descritta in dettaglio da Bloomberg. In breve, due piani distinti per l’apertura di impianti di questo tipo, denominati Progetto 44.7 e Progetto 400, non sono ancora entrati in funzione, il che ostacola la produzione nazionale di proiettili in Polonia.

A tale proposito, il Paese prevede di produrre solo 150.000 proiettili entro la fine dell’anno, mentre la vicina tedesca Rheinmetall prevede di produrne cinque volte di più, arrivando a 750.000, dopo aver decuplicato la produzione dal 2022. A peggiorare le cose, “l’artiglieria ucraina spara 5.000 o più proiettili da 155 millimetri al giorno, per un totale annuo di circa 2 milioni di proiettili”, secondo quanto riportato da Forbes a febbraio. Quindi, la PGZ può produrre in un anno solo quello che l’Ucraina spara contro la Russia in un solo mese.

La produzione di Piorun , il lanciamissili portatile per la difesa aerea che il Ministro della Difesa Władysław Kosiniak-Kamysz ha descritto come il prodotto di punta della Polonia, è altrettanto deprimente. È in produzione da quasi un decennio, dal 2016, ma esiste ancora una sola linea di produzione. Kosiniak-Kamysz ha annunciato all’inizio di aprile che è prevista un’altra linea di produzione, ma il precedente, già citato, del fallito tentativo della Polonia di espandere la produzione di propellenti nell’ultimo decennio non ispira ottimismo.

Invece di dare priorità alla produzione nazionale di propellenti, proiettili, missili antiaerei e altre attrezzature di cui la Polonia avrebbe bisogno nell’inverosimile scenario di una difesa contro un’invasione russa, la maggior parte delle spese di difesa polacche è stata destinata all’acquisto di equipaggiamenti esteri. Sebbene Bloomberg abbia sottolineato come la Polonia intenda assemblare parzialmente alcuni dei carri armati che prevede di acquistare dalla Corea del Sud, questi sforzi “sono naufragati” a causa dello stallo dei negoziati sui termini.

In ogni caso, l’assemblaggio parziale di equipaggiamento militare per lo più di produzione estera non è una soluzione ai problemi che affliggono il MIC polacco, che sono ormai chiaramente sistemici, ma devono le loro origini al duopolio al potere che preferisce acquistare principalmente equipaggiamento americano per ingraziarsi gli Stati Uniti. A prescindere dal fatto che al potere sia la “Piattaforma Civica” liberale o il relativamente (ma molto imperfetto) conservatore “Diritto e Giustizia”, entrambi hanno cercato di fare della Polonia il principale partner degli Stati Uniti in Europa .

La logica era che ciò avrebbe garantito il rispetto, da parte degli Stati Uniti, degli impegni di difesa reciproca previsti dall’Articolo 5 nei confronti della Polonia nell’eventualità estremamente improbabile di un’invasione russa, ma il costo opportunità di questo stratagemma politico era che il MIC del Paese era imbarazzantemente sottosviluppato. Questo non era un problema per la maggior parte dei polacchi finché Russia e Stati Uniti rimanevano in disaccordo, ma oggi riempie molti di loro di terrore nel contesto del nascente Russo – USA ” Nuovo Distensione ” che Putin e Trump prospettano congiuntamente.

Non è importante che la Russia non abbia intenzione di invadere la Polonia e che gli Stati Uniti non si lascino realisticamente da parte nella fantasia politica di un’invasione, dato che i polacchi nel loro complesso nutrono una paura quasi patologica della Russia per ragioni storiche. Nella mente di molti, la Russia potrebbe invaderli all’improvviso in qualsiasi momento, e le probabilità che ciò accada aumenterebbero se gli Stati Uniti si disimpegnassero gradualmente dall’Europa e prendessero esplicitamente le distanze dal garantire la sua sicurezza.

A quanto pare, questo è esattamente ciò che l’amministrazione Trump intende fare, sebbene sia improbabile che ritiri tutte le truppe statunitensi dall’Europa centrale e orientale (CEE), ridistribuendone alcune in Asia per contenere più energicamente la Cina, o abbandonando gli impegni previsti dall’Articolo 5. Ciononostante, il Segretario di Stato Pete Hegseth ha appena dichiarato che gli Stati Uniti non saranno più gli unici garanti della sicurezza europea, esortando i membri della NATO ad assumersi maggiori responsabilità, il che deve aver fatto venire i brividi alla maggior parte dei polacchi.

Oltre la metà di loro considera già gli Stati Uniti un garante inaffidabile della sicurezza della Polonia, secondo un sondaggio pubblicato all’inizio di marzo da un quotidiano polacco di riferimento, quindi un numero ancora maggiore di loro potrebbe presto condividere questo sentimento dopo le dichiarazioni di Hegseth. Più tardi, nello stesso mese, il capo dell’Ufficio per la Sicurezza Nazionale polacco ha rivelato in modo sconvolgente che il Paese ha munizioni per meno di due settimane, il che significa che, in caso di invasione russa, dipenderebbe completamente dall’impegno degli Stati Uniti nei confronti dell’Articolo 5 per sopravvivere come Stato.

Ancora una volta, la Russia non ha intenzione di farlo e gli Stati Uniti non lascerebbero la Polonia a bocca asciutta se ciò accadesse, ma la nascente “Nuova Distensione” russo-americana, l’ultima dichiarazione politica di Hegseth e il MIC (Ministero della Difesa) polacco, vergognosamente sottosviluppato, si sono combinati per esacerbare al massimo la percezione della minaccia da parte dei polacchi. Il loro paese è vulnerabile in modo senza precedenti perché mai era stato così dipendente da equipaggiamento militare straniero o da garanzie di sicurezza, né il suo MIC era mai stato così impreparato a combattere una guerra con la Russia.

L’aspetto positivo, dal loro punto di vista, è che le autorità stanno finalmente prendendo sul serio la risoluzione dei problemi legati al MIC, che costituiscono il fulcro di questa paranoia, recentemente esacerbata, riguardo a una futura invasione russa, come dimostrato dalla bozza di legge sulla difesa di inizio aprile per accelerare i progetti di difesa. Tuttavia, potrebbe essere ancora troppo poco e troppo tardi, e la Polonia prevede di firmare a breve un accordo con gli Stati Uniti per i missili Patriot da quasi 2 miliardi di dollari , che rafforzerà la sua dipendenza dal MIC statunitense, anche per manutenzione e pezzi di ricambio.

Considerando tutto ciò che è stato condiviso sul MIC polacco, sia i fatti che le analisi, le sue aspirazioni da Grande Potenza sono quindi irrealistiche, poiché non sarà mai in grado di esercitare un’influenza militare indipendente in nessuna parte della regione. Nonostante si vanti di comandare quello che oggi è il terzo esercito più grande della NATO, ha già esaurito tutte le sue scorte dopo averle donate all’Ucraina, e non dispone delle capacità di produzione militare nazionale necessarie per combattere un ipoteticamente prolungato conflitto con la Russia.

Queste non sono le caratteristiche di una Grande Potenza, ma di una tigre di carta, una descrizione cruda ma accurata dell’esercito polacco, le cui sofferenze e l’ansia associata che la più ampia consapevolezza della società crea sono interamente colpa del suo duopolio al potere, poco lungimirante. Hanno trascurato per anni il MIC del loro Paese, preferendo acquistare principalmente equipaggiamento americano, creando una dipendenza che ora è praticamente impossibile eliminare e che potrebbe quindi porre fine per sempre alle aspirazioni di Grande Potenza della Polonia.

La Polonia sta davvero pianificando di inviare truppe in Ucraina, come afferma Kellogg?

Andrew Korybko15 maggio
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La Polonia vuole influenza e profitti in Ucraina, ma non è chiaro fino a che punto si spingerà per ottenerli e garantirseli.

L’inviato speciale statunitense per l’Ucraina, Keith Kellogg, ha dichiarato a Fox Business: “Stiamo parlando di una ‘forza di resilienza’… Questo coinvolge britannici, francesi, tedeschi e ora anche i polacchi, che disporranno le loro forze a ovest del fiume Dnipro, il che significa che saranno fuori dalla portata della Russia”. Il Ministro della Difesa polacco Wladyslaw Kosiniak-Kamysz e il Ministro degli Esteri Radek Sikorski lo hanno tuttavia rimproverato su X, ricordando a tutti che la Polonia ha ripetutamente dichiarato di non avere piani del genere. Ecco cinque briefing di approfondimento:

* 15 dicembre 2024: “ La partecipazione della Polonia a qualsiasi missione di mantenimento della pace ucraina potrebbe portare alla terza guerra mondiale ”

* 29 dicembre 2024: “ Cinque motivi per cui la Polonia non dovrebbe partecipare direttamente a nessuna missione di mantenimento della pace in Ucraina ”

* 30 gennaio 2025: “ La Polonia non invierà truppe in Bielorussia o in Ucraina senza l’approvazione di Trump ”

* 20 febbraio 2025: “ Il rifiuto della Polonia di inviare forze di peacekeeping in Ucraina mette a repentaglio i piani dei guerrafondai europei ”

* 21 febbraio 2025: “ Il ministro della Difesa polacco ha detto all’Europa di dare priorità alla ricostruzione dell’Ucraina rispetto alle forze di peacekeeping ”

In sintesi, la Polonia teme di essere manipolata per assumere il ruolo più pesante in un’operazione di peacekeeping, il che potrebbe rendere le sue forze il bersaglio principale sia degli attacchi russi che degli attacchi terroristici ucraini ultranazionalisti. Faciliterà le operazioni di altri in Ucraina, incluso il centro logistico di Rzeszow da cui gli Stati Uniti si sono ritirati ad aprile, ora gestito dagli europei e ancora utilizzato dagli Stati Uniti, ma è riluttante a esporsi e a rischiare di essere abbandonata in difficoltà se la situazione si fa dura.

Tuttavia, alcuni ipotizzano che la coalizione liberal-globalista al potere potrebbe cambiare la sua posizione su questa delicata questione se il suo candidato vincesse le prossime elezioni presidenziali, sostituendo il conservatore uscente (molto imperfetto). Il primo turno si terrà domenica, mentre il secondo, se necessario, si terrà il 1° giugno. Tre recenti mosse, descritte nei seguenti briefing, suggeriscono che la Polonia potrebbe presto acquisire interessi strategici più concreti in Ucraina, il che potrebbe portare a un’espansione della missione:

* 16 aprile 2025: “ Valutazione della proposta informale della Polonia di affittare terreni e porti dall’Ucraina ”

* 23 aprile 2025: “ Le implicazioni politiche della pianificazione esplicita della Polonia di trarre profitto dall’Ucraina ”

* 6 maggio 2025: “ L’Ucraina ha inaspettatamente invitato la Polonia ad aiutarla a ricostruire il suo settore marittimo ”

Va anche detto che l’ultimo scandalo che ha coinvolto il candidato conservatore alla presidenza, che riguarda un discutibile accordo di appartamento tra lui e un anziano, ma che non gli ha impedito di ottenere autorizzazioni di sicurezza per 16 anni, potrebbe non essere tutto ciò che sembra. Alcuni sospettano che sia stato orchestrato dalla coalizione di governo, in collusione con membri corrotti dei servizi segreti, per rovinare il suo appeal tra la base anziana del suo partito e quindi favorire la vittoria del suo rivale liberal-globalista.

Considerando il contesto geopolitico, lo scenario sopra descritto potrebbe avere a che fare tanto con l’invio di truppe polacche in Ucraina dopo le elezioni quanto con la politica interna, poiché il Presidente e il Primo Ministro devono entrambi concordare sul dispiegamento delle forze armate del loro Paese all’estero. Se il conservatore vincesse, potrebbe ostacolare i piani speculativi del premier liberal-globalista, per ragioni di partito o di principio, ma un presidente alleato potrebbe prevedibilmente assecondarli, se esistono.

Qui sta il problema, poiché nessun osservatore può affermare con certezza se Kellogg abbia rivelato i piani della Polonia di inviare truppe in Ucraina dopo le elezioni, in caso di vittoria del candidato liberal-globalista, o se abbia semplicemente commesso un errore e si sia confuso su cosa fosse stato esattamente discusso. In ogni caso, l’autorevolezza con cui ha rilasciato la sua dichiarazione in qualità di inviato speciale di Trump per l’Ucraina avvalora le speculazioni sui piani geopolitici post-elettorali della coalizione di governo, che potrebbero favorire il rivale.

L’86% dei polacchi si oppone all’invio di truppe in Ucraina, quindi è possibile che il commento di Kellogg possa far pendere la bilancia a sfavore del candidato liberal-globalista, se più elettori credessero alle parole di questo rappresentante del governo americano, nonostante i rimproveri dei loro Ministri della Difesa e degli Esteri. C’è anche la possibilità che alcuni siano indotti a credere che Kellogg abbia mentito sui piani della Polonia, definendolo una forma “plausibilmente negabile” di “ingerenza” a sostegno dei conservatori, raddoppiando così il sostegno al liberal-globalista.

Potrebbe anche non essere un problema in ultima analisi, ma lo sapremo solo dopo gli exit poll condotti durante il primo turno di votazioni di domenica, che forniranno maggiori dettagli sulle priorità degli elettori. Per il momento, la giuria è indecisa se la Polonia stia davvero pianificando di inviare truppe in Ucraina, ma sarebbe comprensibile, a posteriori, se ciò accadesse qualche tempo dopo lo scenario di una vittoria liberal-globalista. La Polonia vuole influenza e profitti in Ucraina, ma non è chiaro fino a che punto si spingerà per ottenerli e garantirseli.

Gli Stati Uniti stanno rafforzando la loro posizione negoziale nei confronti della Russia

Andrew Korybko10 maggio
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Ciò potrebbe presagire il collasso del processo di pace e la conseguente intensificazione della loro guerra per procura.

Gli ultimi commenti di Trump e Vance sui colloqui del loro Paese con la Russia dimostrano che la posizione negoziale degli Stati Uniti si è inasprita. Il primo ha fatto eco a Zelensky chiedendo un cessate il fuoco incondizionato di 30 giorni e minacciando di imporre sanzioni in caso di violazione, seguito dal secondo che ha rivelato che la richiesta russa al ritiro dell’Ucraina da tutte le regioni contese è ” chiedere troppo “. Nel complesso, confermano la crescente impazienza degli Stati Uniti nei confronti del processo di pace, iniziato a fine marzo.

All’epoca, Trump minacciò di imporre sanzioni secondarie rigorose contro chi acquistava petrolio russo se avesse ritenuto che fosse responsabile del potenziale fallimento dei colloqui di pace. Un mese dopo, ipotizzò che Putin “mi stesse solo prendendo in giro”, e in quell’occasione ribadì la suddetta minaccia di sanzioni. Poco dopo, Stati Uniti e Ucraina firmarono il loro atteso accordo sui minerali, che questa analisi, come correttamente previsto, sarebbe stato seguito da ulteriori pacchetti di armi americane .

Sebbene pianificato con largo anticipo rispetto agli sviluppi sopra menzionati, l’ultimo incontro di Putin con Xi a Mosca ha probabilmente preso la forma della risposta russa, visto che lui e la sua controparte cinese hanno trascorso ben sette ore insieme a colloqui. Poco prima del loro incontro, si prevedeva che ” Putin e Xi avrebbero potuto raggiungere un accordo grandioso che sarebbe entrato in vigore se i colloqui sull’Ucraina fossero falliti “, il che sembra essere esattamente ciò che è accaduto e potrebbe aver provocato l’ultimo post di Trump.

Gli Stati Uniti sanno già che la Russia è contraria a un cessate il fuoco incondizionato di 30 giorni perché, come nei precedenti cessate il fuoco durante l’era degli Accordi di Minsk, teme giustamente che questo venga sfruttato per dare all’Ucraina il tempo di ruotare le sue truppe e riarmarsi prima di riprendere le ostilità. È inoltre importante che la Russia ottenga il pieno controllo sull’intera area contesa nell’ambito di un accordo di pace, al fine di annettere e denazificare completamente quei territori che ora considera legalmente suoi.

I commenti di Vance chiariscono che gli Stati Uniti considerano questo “chiedere troppo” e pertanto non costringeranno l’Ucraina a ritirarsi, suggerendo così che la successiva richiesta di Trump di un cessate il fuoco incondizionato di 30 giorni abbia lo scopo di congelare a tempo indeterminato la Linea di Contatto contro la volontà della Russia. Minacciare sanzioni secondarie rigorosamente applicate per inosservanza, presumibilmente contro coloro che acquistano petrolio russo, mira a esercitare contemporaneamente pressione su Putin e sui principali clienti petroliferi del suo Paese.

A questo proposito, la rivelazione di Trump di aver discusso di sforzi congiunti per porre fine al conflitto ucraino nella sua ultima telefonata con Erdogan e la sua recente osservazione su come “credo sia naturale chiedere” alla Cina di contribuire a questo, suggeriscono che preveda che Erdogan e Xi facciano pressione su Putin. Sarebbero incentivati a farlo per paura che gli Stati Uniti impongano le sanzioni secondarie minacciate da Trump contro i loro Paesi in caso di rifiuto o fallimento dopo aver tentato. Anche Modi potrebbe essere coinvolto in questo, dato che l’India è un altro importante cliente del petrolio russo.

A meno che non si verifichi una svolta, come l’attraversamento a tappeto della Linea di Contatto da parte della Russia o la sua accettazione del suo congelamento in cambio di qualcosa di significativo da parte degli Stati Uniti (di cui l’opinione pubblica potrebbe non essere a conoscenza), questa sequenza di eventi suggerisce che il processo di pace potrebbe presto crollare. Gli Stati Uniti si stanno preparando a questo scenario, indicando perché potrebbe accadere dal loro punto di vista e suggerendo cosa farebbero in tal caso (ovvero, più sanzioni antirusse e armi all’Ucraina), quindi la loro guerra per procura con la Russia potrebbe presto intensificarsi.

Le posizioni dell’AfD sulla nazionalità non sono affatto estremiste

Andrew Korybko9 maggio
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Sono stati condivisi dalla stragrande maggioranza dell’umanità nel corso della storia, nei loro rispettivi contesti.

L’agenzia di intelligence interna tedesca ha definito l’AfD, appena arrivato in testa a un recente sondaggio come il partito più popolare del Paese, come “estremista”, prima di ritirarlo in attesa di un contenzioso. Questa etichetta ne legittimerebbe la sorveglianza e potrebbe fornire il pretesto per vietarlo. Il vicepresidente J.D. Vance ha condannato questa precedente mossa, definendola equivalente alla costruzione di un nuovo Muro di Berlino, mentre il Segretario di Stato Marco Rubio ha invitato la Germania a revocare la decisione e a porre fine alle sue “pericolose politiche di immigrazione con frontiere aperte”.

In mezzo a gran parte del dibattito su questa controversa decisione si nasconde il fondamento su cui è stata presa : “La concezione prevalente del popolo nel partito, basata sull’etnia e sulla discendenza, è incompatibile con l’ordine fondamentale della libera democrazia”. L’AfD ritiene che i tedeschi etnici abbiano un legame speciale con il loro Paese, dovuto alla loro cultura e alle loro esperienze condivise, che manca ai cittadini tedeschi non etnici, in particolare a quelli provenienti da società dissimili per civiltà nel Sud del mondo e arrivati lì solo di recente.

Queste opinioni in realtà non sono affatto estremiste, poiché sono state condivise dalla stragrande maggioranza dell’umanità nel corso della storia, nei loro contesti. Anzi, sono ancora diffuse nelle società non occidentali, gli stessi luoghi da cui proviene la maggior parte della popolazione non tedesca della Germania. Dall’Africa all’Asia occidentale e all’Indo-Pacifico, la maggior parte di questi paesi crede che gli abitanti originari abbiano un legame speciale con il proprio paese, che può richiedere diverse generazioni prima che i discendenti dei nuovi arrivati lo condividano.

È solo l’ ideologia liberal-globalista radicale, sostenuta dalle élite occidentali, a negare questo legame speciale o a fingere che sia sempre condiviso da tutti i nuovi arrivati una volta che mettono piede su suolo straniero. Per essere chiari, riconoscere questo legame speciale non implica che i membri di nazionalità non titolari che ottengono la cittadinanza di un altro Paese non meritino alcun diritto, ma piuttosto è inteso come una tutela dei diritti socio-culturali della nazionalità titolare. È qui che l’esempio russo è istruttivo.

Uno degli emendamenti costituzionali entrati in vigore dopo il referendum del 2020 stabilisce che “La lingua ufficiale della Federazione Russa su tutto il suo territorio è la lingua russa, in quanto lingua del popolo che forma lo Stato, parte dell’unione multinazionale di popoli uguali della Federazione Russa”. Ribadisce l’uguaglianza di tutti i cittadini russi, sottolineando al contempo il ruolo che i russi etnici e la loro lingua hanno storicamente svolto nella formazione del loro Stato-civiltà cosmopolita .

Separatamente, è stata approvata una legge che impone agli stranieri di superare test di lingua russa, storia e basi giuridiche per ottenere un permesso di soggiorno a lungo termine in Russia, per non parlare della cittadinanza. Questo mira ad attenuare la minaccia socioculturale rappresentata da coloro che rifiutano di assimilarsi e integrarsi, su cui il Patriarca Kirill ha richiamato l’attenzione in tre occasioni nel 2023 e nel 2024 qui , qui e qui . Lui e Putin, tuttavia, si sono uniti anche nel condannare i discorsi d’odio etnico-religiosi dopo l’ attacco terroristico al Crocus .

L’esempio russo dimostra che il legame speciale di una nazionalità titolare con il proprio Paese può essere riconosciuto senza che ciò vada a discapito di altre nazionalità. Lo stesso vale per le politiche volte a garantire l’assimilazione e l’integrazione dei migranti. Niente di tutto ciò è “estremista”; è rispettoso, pragmatico e sensato, ed è per questo che l’AfD vuole lo stesso in Germania. Queste opinioni sulla nazionalità sono la norma storica per l’umanità, non l’eccezione, il che rende i liberal-globalisti i veri estremisti.

Chi ha vinto l’ultimo conflitto indo-pakistano?

Andrew Korybko11 maggio
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L’India ha probabilmente vinto, visto che ha punito il Pakistan per l’attacco terroristico di Pahalgam bombardando numerose basi, il Trattato sulle acque dell’Indo resta sospeso ed è entrata in vigore una nuova dottrina militare.

Le opinioni su chi abbia avuto la meglio nell’ultimo conflitto indo-pakistano sono contrastanti , ma una cosa è certa: la nuova dottrina indiana è la lezione definitiva. Secondo alcune fonti , l’India considererà tutti i futuri atti di terrorismo come atti di guerra da parte del Pakistan, il che si tradurrà in attacchi transfrontalieri. Questo potrebbe non scoraggiare il Pakistan, la cui leadership militare fa affidamento sull’irrisolto conflitto del Kashmir per legittimare la propria smisurata influenza, ma potrebbe comunque indurlo a ripensarci prima di orchestrare futuri attacchi.

Inoltre, il Trattato sulle acque dell’Indo rimane sospeso nonostante il fragile cessate il fuoco/”intesa” tra i due Paesi, che contribuisce collettivamente alla nuova realtà nell’Asia meridionale. Alcuni rapporti suggeriscono inoltre che sia stato il Pakistan, non l’India, a chiedere agli Stati Uniti di intervenire diplomaticamente nell’ultimo conflitto. A questo proposito, l’India ha negato che sia avvenuta alcuna mediazione nonostante le affermazioni degli Stati Uniti, ma è probabile che gli Stati Uniti abbiano trasmesso messaggi dal Pakistan all’India per conto di Islamabad durante i colloqui tra i loro funzionari.

La CNN ha affermato che Vance ha chiamato Modi dopo aver ricevuto “informazioni allarmanti”, il che suggerisce che il Pakistan abbia detto agli Stati Uniti che avrebbe potuto usare armi nucleari in preda alla disperazione, probabilmente a causa dei bombardamenti indiani su diverse basi in tutto il paese. Se questo è effettivamente accaduto, ciò implicherebbe che il Pakistan ritenesse di essere in svantaggio, rafforzando così l’idea che l’India abbia avuto la meglio. Dopotutto, i suddetti attacchi non sono stati intercettati, il che dimostra che l’India ha raggiunto un dominio crescente sul Pakistan.

Sebbene alcuni droni e missili pakistani abbiano colpito obiettivi all’interno dell’India, gli S-400 russi sono stati elogiati dai media nazionali per aver neutralizzato molti degli attacchi in arrivo. Allo stesso modo, i missili da crociera supersonici BrahMos, prodotti congiuntamente, sono stati utilizzati negli attacchi vittoriosi dell’India contro le basi pakistane, dimostrando così che l’equipaggiamento militare russo è davvero tra i migliori al mondo. Al contrario, l’equipaggiamento pakistano, per lo più cinese, non ha soddisfatto le elevate aspettative di alcuni osservatori, il che si riflette negativamente su entrambi.

Ciononostante, molti membri della comunità dei media alternativi – inclusi alcuni importanti “filo-russi non russi” – insistono sul fatto che il Pakistan abbia sconfitto l’India, sebbene vi siano motivi per sospettare che non ci credano davvero, ma siano spinti da secondi fini nell’affermare il contrario. La maggior parte di queste stesse figure è nota per il suo sostegno alla Palestina e/o alla Cina, e dato che l’India è vicina a Israele e in contrasto con la Cina, sostenere il Pakistan è “ideologicamente coerente” con le loro opinioni e preclude accuse di ipocrisia.

Per quanto affidabili possano essere le loro opinioni su Ucraina, Palestina e qualsiasi altra cosa, le loro opinioni sull’ultimo conflitto indo-pakistano dovrebbero quindi essere prese con le pinze. È importante tenerlo a mente, poiché Putin e Modi “hanno sottolineato la necessità di combattere senza compromessi il terrorismo in tutte le sue forme” durante la loro chiamata della scorsa settimana, cosa che non trova riscontro in questi importanti “filo-russi non russi” che si presentano come interpreti della politica estera russa. Il loro sostegno al Pakistan rispetto all’India contraddice gli interessi russi.

Tutto sommato, mentre le opinioni su chi abbia avuto la meglio nell’ultimo conflitto indo-pakistano sono contrastanti, l’India ha presumibilmente vinto, visto che ha punito il Pakistan per l’ attacco terroristico di Pahalgam bombardando diverse basi, il Trattato delle acque dell’Indo rimane sospeso e una nuova dottrina militare è entrata in vigore. Il Pakistan non ha ottenuto risultati paragonabili, nonostante le affermazioni dei suoi sostenitori. Pur avendo perso, il Pakistan potrebbe non aver imparato la lezione, quindi non si può escludere una ripresa delle ostilità in futuro.

La decisione di Trump sul Giorno della Vittoria è in linea con la tendenza dei tempi

Andrew Korybko8 maggio
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Il revisionismo storico e il nazionalismo nostalgico caratterizzano le discussioni moderne sulla seconda guerra mondiale.

Trump ha annunciato che “ribattezzerà l’8 maggio Giorno della Vittoria per la Seconda Guerra Mondiale e l’11 novembre Giorno della Vittoria per la Prima Guerra Mondiale”, aggiungendo che “Abbiamo vinto entrambe le guerre, nessuno ci è stato vicino in termini di forza, coraggio o brillantezza militare, ma non celebriamo mai nulla. Questo perché non abbiamo più leader che sappiano come farlo!” Ha anche affermato che “abbiamo fatto di più di qualsiasi altro Paese, di gran lunga, nel produrre un risultato vittorioso nella Seconda Guerra Mondiale”.

Ha pubblicato questo articolo meno di una settimana prima dell’80 ° anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale, che si celebra in Occidente (e in Ucraina dal 2023) l’8 maggio e in Russia il 9 maggio, ma il contesto più ampio riguarda la tendenza al revisionismo storico nei confronti di quel conflitto e al nazionalismo nostalgico. La Seconda Guerra Mondiale ha assunto uno status quasi mitologico in Occidente e in Russia a causa della loro breve alleanza in tempo di guerra, della carneficina senza precedenti che ne è derivata e del modo in cui ha plasmato il mondo in cui tutti viviamo oggi.

L’80% delle perdite della Wehrmacht avvenne sul fronte orientale e l’URSS conquistò Berlino ponendo fine alla guerra, ma non prima che i nazisti uccidessero 27 milioni di cittadini sovietici, tutti ricordati dai russi in questo giorno sacro. Il contributo dell’Occidente alla vittoria non fu insignificante, né lo fu il numero dei suoi connazionali uccisi dai nazisti, ma quello dei sovietici fu comunque molto maggiore. Non si tratta di sminuire il ruolo e le sofferenze dell’Occidente, ma semplicemente di ricordare i fatti.

Negli ultimi anni, tuttavia, gli Stati baltici, l’Ucraina e altri paesi come la Polonia hanno guidato lo sforzo europeo di presentare il Patto Molotov-Ribbentrop, analizzato qui , come prova che l’URSS condivide la stessa responsabilità della Germania nazista per lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Hanno poi sfruttato questa accusa per sminuire il contributo sovietico alla vittoria, riportare l’attenzione sulle sofferenze del proprio popolo e, nel caso degli Stati baltici e dell’Ucraina, minimizzare la collaborazione locale su larga scala con i nazisti.

Mentre queste narrazioni proliferavano in Occidente, Paesi leader come Stati Uniti, Regno Unito e Francia le sfruttarono per esagerare il loro contributo alla vittoria, il che portò l’Occidente nel suo complesso a sviluppare una percezione distorta di ciò che accadde esattamente durante la Seconda Guerra Mondiale. Trump sembra essere uno di coloro che sono caduti in questa inquadratura revisionista, visto che ha falsamente affermato come un dato di fatto che “abbiamo fatto di gran lunga più di qualsiasi altro Paese nel produrre un risultato vittorioso nella Seconda Guerra Mondiale”, quando in realtà fu l’URSS a farlo.

Che conosca o meno la verità, la sua affermazione controfattuale è in linea con la tendenza dei politici occidentali a sfruttare la proliferazione di tali narrazioni nelle loro società per alimentare un nazionalismo nostalgico, che a volte si traduce in vantaggi politici. Nel caso di Trump, egli vuole che gli americani ricordino la grandezza militare del loro Paese, che ha contribuito in varia misura alla sua vittoria nelle due guerre mondiali, da qui la sua decisione di rinominare entrambi gli anniversari di conseguenza.

I russi e gli altri che conoscono i fatti storici sull’ineguagliabile contributo dell’Unione Sovietica alla vittoria nella Seconda Guerra Mondiale obietteranno comprensibilmente alla sua affermazione storicamente revisionista, ma non avrebbe dovuto sorprenderli, data la tendenza del momento. Semmai, è stato sorprendente che ci sia voluto così tanto tempo perché gli Stati Uniti raggiungessero finalmente i loro omologhi occidentali in questo senso, ma a differenza loro, Trump potrebbe cercare di enfatizzare l’alleanza degli Stati Uniti con l’URSS in tempo di guerra per legittimare il suo previsto ” Nuovo ” Distensione ”.

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Risultati dei colloqui commerciali di Ginevra, di Karl Sanchez

Risultati dei colloqui commerciali di Ginevra

Karl Sanchez13 maggio
 
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Ecco la dichiarazione congiunta sull’incontro economico e commerciale Cina-Stati Uniti a Ginevra:

Il Governo della Repubblica Popolare Cinese (“Cina”) e il Governo degli Stati Uniti d’America (“Stati Uniti”),

riconoscendo l’importanza delle loro relazioni economiche e commerciali bilaterali per entrambi i Paesi e per l’economia globale;

riconoscendo l’importanza di una relazione economica e commerciale sostenibile, a lungo termine e reciprocamente vantaggiosa;

Riflettendo sulle loro recenti discussioni e ritenendo che il prosieguo delle stesse sia potenzialmente in grado di affrontare le preoccupazioni di ciascuna parte nelle loro relazioni economiche e commerciali; e

Andando avanti nello spirito di apertura reciproca, di comunicazione continua, di cooperazione e di rispetto reciproco;

Le Parti si impegnano ad adottare le seguenti azioni entro il 14 maggio 2025:

Gli Stati Uniti (i) modificheranno l’applicazione dell’aliquota addizionale ad valorem del dazio sugli articoli della Cina (compresi gli articoli della Regione Amministrativa Speciale di Hong Kong e della Regione Amministrativa Speciale di Macao) di cui all’Ordine Esecutivo 14257 del 2 aprile 2025, sospendendo 24 punti percentuali di tale aliquota per un periodo iniziale di 90 giorni, mantenendo la restante aliquota ad valorem del 10% su tali articoli in conformità ai termini di detto Ordine; e (ii) eliminando le aliquote addizionali modificate del dazio ad valorem su tali articoli imposte dall’Ordine Esecutivo 14259 dell’8 aprile 2025 e dall’Ordine Esecutivo 14266 del 9 aprile 2025.

La Cina (i) modificherà di conseguenza l’applicazione dell’aliquota aggiuntiva di dazio ad valorem sugli articoli degli Stati Uniti di cui all’Annuncio della Commissione per la Tariffa Doganale del Consiglio di Stato No. 4 del 2025, sospendendo 24 punti percentuali di tale aliquota per un periodo iniziale di 90 giorni, mantenendo la restante aliquota addizionale ad valorem del 10% su tali articoli, e rimuovendo le aliquote addizionali ad valorem modificate su tali articoli imposte dall’Annuncio della Commissione per la Tariffa Doganale del Consiglio di Stato No. 5 del 2025 e dall’Annuncio della Commissione per la Tariffa Doganale del Consiglio di Stato n. 6 del 2025; e (ii) adottare tutte le misure amministrative necessarie per sospendere o rimuovere le contromisure non tariffarie adottate contro gli Stati Uniti dal 2 aprile 2025.

Dopo aver intrapreso le azioni summenzionate, le Parti stabiliranno un meccanismo per continuare le discussioni sulle relazioni economiche e commerciali. Il rappresentante della Cina per queste discussioni sarà He Lifeng, Vice Premier del Consiglio di Stato, e i rappresentanti degli Stati Uniti saranno Scott Bessent, Segretario del Tesoro, e Jamieson Greer, Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti. Le discussioni potranno svolgersi alternativamente in Cina e negli Stati Uniti o in un paese terzo, previo accordo tra le Parti. Se necessario, le due parti possono condurre consultazioni a livello operativo su questioni economiche e commerciali pertinenti. [.

Una riduzione delle aliquote fiscali ma non l’eliminazione delle tariffe. Un buon primo passo e molto meglio di nessuna riduzione. Il titolo principale di Guancha: “I risultati dei colloqui economici e commerciali tra Cina e Stati Uniti hanno superato di gran lunga le aspettative e sono un ottimo punto di partenza.“. Gli operatori dei mercati finanziari hanno chiaramente gradito la notizia e hanno registrato quasi universalmente dei rialzi. Tuttavia, “gli analisti ritengono che la questione commerciale tra Cina e Stati Uniti non debba essere facilmente risolta, ma il consenso raggiunto tra Cina e Stati Uniti ha allentato le tensioni commerciali e creato un buon punto di partenza per un impegno successivo”. La seguente osservazione è fondamentale:

Sebbene la reazione del mercato sia stata positiva, alcuni analisti hanno avvertito che si tratta solo di un risultato temporaneo e che le due parti non hanno ancora trovato una soluzione alle differenze e alle frizioni nelle relazioni economiche e commerciali sino-americane. Tuttavia, gli analisti ritengono che i colloqui economici e commerciali di Ginevra abbiano creato un buon punto di partenza per i successivi impegni…..

Anche se la situazione non è più così grave come si pensa, ciò non significa che sia tornata a prima dell’insediamento di Trump, con una moratoria di 90 giorni e la “tariffa base” del 10% annunciata dagli Stati Uniti ancora in vigore, “C’è ancora molta incertezza su come queste tariffe saranno risolte e sul loro impatto sulla crescita economica mondiale e sulla politica delle banche centrali.” [corsivo mio].

L’intensità della guerra commerciale è diminuita, ma è chiaro che non se ne vede ancora la fine, come ha detto Bessent in una conferenza stampa. Le merci che entrano nell’Impero americano fuorilegge dalla maggior parte del mondo continueranno a costare di più, alimentando l’inflazione e abbassando il tenore di vita. Da quello che vediamo ora, con il massiccio taglio applicato all’assistenza sanitaria nella proposta di bilancio di Trump, in modo che Trump possa dare ai miliardari più miliardi, la guerra di classe continua e non farà altro che rendere gli americani più arrabbiati. Questa mossa di Trump è essenzialmente una replica di ciò che ha tentato nel 2017 e che il Congresso ha respinto. Nessuna delle azioni intraprese da Trump ha fermato il declino dell’Impero e molti che lo sanno dicono che l’ha spinto ancora di più verso il baratro.

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Osservatori di mercato: i colloqui economici e commerciali tra Cina e Stati Uniti hanno ottenuto molto più di quanto previsto, un ottimo punto di partenza

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2025-05-12 22:26:33Dimensione carattere:A- A A+Fonte: OsservatoreLeggi 176250

[Dal 10 all’11 maggio si sono svolti a Ginevra, in Svizzera, i colloqui economici e commerciali di alto livello tra Cina e Stati Uniti, durante i quali le due parti hanno concordato di ridurre le tariffe entro 90 giorni, con un taglio del 115%.La notizia ha subito attirato una grande attenzione da parte della comunità internazionale e del mercato, e il mondo esterno ritiene in generale che questo sia un passo importante nel processo di risoluzione delle controversie commerciali tra le due maggiori economie mondiali.

Secondo Reuters 12, i colloqui di Ginevra, il primo incontro faccia a faccia tra funzionari cinesi e statunitensi dopo che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha lanciato una guerra tariffaria, hanno raggiunto risultati superiori alle aspettative del mercato.La fiducia degli investitori nell’evitare una vera e propria guerra commerciale è stata rafforzata dopo l’annuncio della notizia, con i mercati azionari in Europa e Asia in rialzo e gli indici azionari statunitensi in rialzo all’apertura.

Secondo Consumer News & Business Channel (CNBC), gli scambi commerciali tra Stati Uniti e Cina dovrebbero riprendersi rapidamente dopo la riduzione delle tariffe, invertendo il declino registrato dopo l’annuncio di Trump all’inizio di aprile.Gli analisti ritengono che le questioni commerciali tra Stati Uniti e Cina non dovrebbero essere risolte facilmente, ma il consenso raggiunto dalle due parti ha attenuato le tensioni commerciali e creato un buon punto di partenza per il successivo impegno.

“I risultati dei colloqui economici e commerciali hanno superato di gran lunga le aspettative del mercato”.

Secondo la CNBC, i mercati azionari europei e asiatici sono saliti in risposta all’annuncio dei risultati dei colloqui, con lo Stoxx 600 europeo che è salito dell’1%, il DAX tedesco che ha toccato il massimo di un anno e l’indice Hang Seng di Hong Kong, in Cina, che è salito di quasi il 3%.Anche gli indici azionari statunitensi hanno registrato un’impennata dopo l’apertura del 12 ora locale, con la ABC che ha riferito che il Dow Jones è salito del 2,4%, l’S&P 500 del 2,7% e il Nasdaq, dominato dal settore tecnologico, del 3,8%.

Secondo gli osservatori del mercato, la decisione di Stati Uniti e Cina di ridurre le tariffe è stata “migliore del previsto” e potrebbe addirittura essere descritta come uno “scenario da sogno”.Lo stratega della Deutsche Bank ha dichiarato alla CNBC: “L’annuncio di oggi ha superato le nostre aspettative costruttive.A nostro avviso, il risultato non solo è migliore di quanto ci aspettassimo, ma anche di quanto il mercato si aspettasse a marzo”.

Secondo questi strateghi, “Anche se è difficile dire come si evolverà la situazione da qui a 90 giorni, l’impatto sul mercato è chiaramente positivo …… rimangono rialzisti e considerano la possibilità di tornare nei settori colpiti dai dazi USA sulla Cina.”

Mikkel Emil Jensen, analista senior della Danish Southern Bank, ha dichiarato: “Questa notizia elimina gran parte dell’incertezza legata al commercio globale, almeno per ora.L’accordo potrebbe essere temporaneo, ma il risultato migliore del previsto potrebbe avere un effetto a catena positivo sul commercio globale, aumentando la domanda di trasporto containerizzato”.

Porto di Los Angeles, California, Stati Uniti, 9 maggio ora locale Vision China

William Xin, presidente della Chunshan Pujiang (Shanghai) Investment Management Co Ltd, ha osservato che l’esito dei colloqui ha superato di gran lunga le aspettative del mercato: “Prima si sperava solo che le due parti si sedessero a parlare, e il mercato era molto fragile.Ora c’è più certezza.Le azioni cinesi e lo yuan saranno in rialzo per qualche tempo”.

Sheldon MacDonald, chief information officer di Marlborough Group, una società britannica di investimenti in titoli, ha dichiarato a Reuters: “La nostra reazione è stata che le riduzioni tariffarie sono state molto più alte del previsto.Sì, è temporaneo, ma il mercato lo prenderà come una conferma del fatto che Trump non vuole davvero causare le perturbazioni che in precedenza sembrava poter accettare”.

Arne Petimezas, direttore della ricerca del brokeraggio olandese AFS Group, ha dichiarato che il cambiamento degli Stati Uniti sui dazi è sorprendente: “Le tariffe sulla Cina sembrano destinate a scendere a livelli gestibili, anche se temporaneamente, e i mercati dovrebbero di conseguenza recuperare.In quale altro modo Trump potrebbe aumentare le tariffe in modo credibile quando la pausa di 90 giorni finirà?Sta abbassando le tariffe più velocemente di quanto si potesse pensare”.

Commentando i colloqui, il Direttore Generale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio Iweala ha rilasciato una dichiarazione in cui afferma: “Sono molto lieto di vedere l’esito positivo dei colloqui economici e commerciali di alto livello tra Stati Uniti e Cina.I colloqui segnano un importante passo avanti, che speriamo sia di buon auspicio per il futuro”.Nell’attuale contesto di tensioni globali, questi progressi non sono solo molto importanti per la Cina e gli Stati Uniti, ma anche cruciali per il resto del mondo, comprese le economie più vulnerabili.”

“Un ottimo punto di partenza”.

Sebbene il mercato abbia reagito positivamente, alcuni analisti hanno ricordato che si tratta solo di un risultato temporaneo e che le due parti devono ancora trovare una soluzione alle differenze e agli attriti nelle relazioni economiche e commerciali tra Stati Uniti e Cina.Tuttavia, gli analisti ritengono che i colloqui economici e commerciali tenutisi a Ginevra abbiano creato un buon punto di partenza per i successivi contatti.

Jane Foley, responsabile della strategia FX di Rabobank, ha dichiarato: “Abbiamo avuto assicurazioni dagli Stati Uniti che i colloqui continueranno, che il tono dei colloqui è positivo, che gli Stati Uniti e la Cina non vogliono disaccoppiarsi, e quindi c’è più ottimismo sul fatto che le tariffe non avranno l’impatto devastante che avrebbero potuto avere, e i mercati stanno tirando un sospiro di sollievo collettivo”.”

Foley ha sottolineato che, sebbene la situazione non sia così negativa come si pensava, non significa che la situazione sia tornata a quella che era prima che Trump salisse al potere, con una moratoria di 90 giorni, e le “tariffe di base” del 10% annunciate dagli Stati Uniti sono ancora in vigore, e “c’è ancora una grande incertezza su come queste tariffe saranno risolte e quale impatto avranno sulla crescita mondialee sulle politiche delle banche centrali, c’è ancora molta incertezza”.

Xu Changtai (Tai Hui), Chief Market Strategist di JP Morgan Asset Management Asia-Pacific, ha dichiarato in una relazione ai clienti del 12, che i risultati dei colloqui di Ginevra sono stati migliori del previsto, ma che l’incertezza permane e che il mercato è in attesa di maggiori dettagli sull’accordo.Tuttavia, ha anche riconosciuto che questo risultato aiuterà il mercato a ripristinare la propensione al rischio, la pressione della Fed a tagliare i tassi di interesse potrebbe temporaneamente allentarsi.

Ovviamente, si tratta di una notizia molto positiva per entrambe le economie e per l’economia globale, che rende gli investitori molto meno preoccupati dei danni alle catene di approvvigionamento globali nel breve termine”, ha dichiarato David Cheung, capo economista di Pinpoint Asset Management a Hong Kong, in Cina.Ma dobbiamo anche ricordare che si tratta solo di tre mesi di sgravi tariffari temporanei, quindi è l’inizio di un lungo processo di negoziazione”.

A suo avviso, ci vorranno ancora mesi prima che la Cina e gli Stati Uniti trovino una soluzione definitiva, ma i colloqui economici e commerciali sono un ottimo punto di partenza.

Anche Simon Edelsten, gestore di fondi presso la società di gestione patrimoniale Goshawk Asset Management, con sede nel Regno Unito, ha sottolineato che, essendo le due maggiori economie mondiali, non sorprende che sia la Cina che gli Stati Uniti stiano cercando di risolvere questioni commerciali di lunga data, ma gli esterni non dovrebbero aspettarsi che i problemi vengano risolti facilmente.

“Né la Cina né gli Stati Uniti vogliono disaccoppiarsi”.

Il 12 maggio, ora locale, il Segretario al Tesoro statunitense Bessent e il Rappresentante per il Commercio Greer hanno tenuto un briefing con i media a Ginevra.Secondo Bloomberg, Besant ha annunciato che la Cina e gli Stati Uniti hanno concordato di ridurre significativamente le tariffe entro 90 giorni, con un taglio del 115%.

In un briefing, Besant ha dichiarato che la Cina e gli Stati Uniti hanno concordato nei colloqui che nessuna delle due parti vuole “disaccoppiarsi”: “Abbiamo avuto una discussione molto vivace ed entrambe le parti hanno mostrato grande rispetto.Siamo giunti alla conclusione che abbiamo interessi comuni, che siamo tutti interessati all’equilibrio commerciale e che gli Stati Uniti continueranno a muoversi in questa direzione”.

Alla domanda se sia possibile evitare un ritorno ai dazi dopo la fine della pausa di 90 giorni, Besant ha risposto: “Come tutti gli altri partner commerciali, finché ci sarà uno sforzo in buona fede, un impegno e un dialogo costruttivo, continueremo ad andare avanti”.

Secondo una dichiarazione congiunta rilasciata da Stati Uniti e Cina, entrambe le parti si sono impegnate ad agire entro il 14 maggio.

Il Segretario al Tesoro degli Stati Uniti Bessant e il Rappresentante per il Commercio Greer tengono un briefing con i media il 12 maggio Video screenshot

Il portavoce del Ministero del Commercio cinese ha dichiarato il 12 maggio sulla dichiarazione congiunta dei colloqui economico-commerciali sino-statunitensi a Ginevra, dicendo che i colloqui hanno raggiunto una dichiarazione congiunta, è un importante passo avanti per le due parti per risolvere le loro differenze attraverso il dialogo e la consultazione su un piano di parità, per colmare ulteriormente le differenze e approfondire la cooperazione per porre le basi e creare le condizioni.

Le due parti hanno raggiunto una serie di consensi positivi nella dichiarazione congiunta.Riconoscendo l’importanza delle relazioni economiche e commerciali bilaterali per i due Paesi e per l’economia globale, nonché l’importanza di relazioni economiche e commerciali bilaterali sostenibili, a lungo termine e reciprocamente vantaggiose, le due parti continueranno a procedere in uno spirito di apertura reciproca, comunicazione continua, cooperazione e rispetto reciproco.Le due parti hanno concordato di lavorare insieme sulle seguenti misure:

Gli Stati Uniti si impegnano a eliminare un totale del 91% delle tariffe imposte sulle merci cinesi ai sensi dell’Ordine Esecutivo 14259 dell’8 aprile 2025 e dell’Ordine Esecutivo 14266 del 9 aprile 2025, e a modificare il 34% delle tariffe reciproche imposte sulle merci cinesi ai sensi dell’Ordine Esecutivo 14257 del 2 aprile 2025, con il 24% delle tariffe sospese per 90 giorni e il restante 10% delle tariffe mantenute.Di conseguenza, la Cina ha cancellato un totale del 91% delle tariffe compensative sulle merci statunitensi; il 24% del 34% delle tariffe compensative sulle tariffe reciproche degli Stati Uniti è stato sospeso per 90 giorni e il restante 10% delle tariffe è stato mantenuto.La Cina ha anche sospeso o annullato le contromisure non tariffarie contro gli Stati Uniti.

Le due parti hanno concordato di istituire un meccanismo per le consultazioni economiche e commerciali tra Cina e Stati Uniti per mantenere una stretta comunicazione e condurre ulteriori consultazioni sulle rispettive preoccupazioni in campo economico e commerciale, ha dichiarato il portavoce.La parte cinese è rappresentata dal vice premier He Lifeng, mentre la parte statunitense è rappresentata dal Segretario al Tesoro Bessent e dal Rappresentante per il Commercio Greer.Le due parti condurranno consultazioni in Cina e negli Stati Uniti a rotazione regolare o irregolare, oppure in un Paese terzo concordato.Se necessario, le due parti potranno condurre consultazioni a livello operativo su questioni economiche e commerciali rilevanti.

Questo articolo è un’esclusiva dell’Observer e non può essere riprodotto senza previa autorizzazione.

Rassegna stampa tedesca 33 A cura di Gianpaolo Rosani

Il Servizio federale di protezione della Costituzione (funzione del Ministero degli Interni) , nella sua
relazione di 1108 pagine (non resa pubblica, ma lo SPIEGEL asserisce di averla visionata),
rimprovera al partito AfD di minacciare una «guerra contro il governo» e una «jihad dei coltelli»
sulle strade tedesche; chiede inoltre «milioni di rimpatri». L’ex ministra federale dell’Interno Faeser
ha reso pubblico il risultato della relazione: «L’Ufficio federale per la protezione della Costituzione
classifica l’Alternativa per la Germania come un movimento di estrema destra». Gli esperti del suo
ministero si aspettavano di poterla riesaminare con calma e ciò avrebbe richiesto diverse
settimane; la ministra uscente ha insistito affinché il risultato fosse reso noto immediatamente,
senza modificare nemmeno una virgola dell’analisi. Ne seguirà una battaglia legale, al termine
della quale i giudici dovranno rispondere alla domanda: l’AfD, un partito con decine di migliaia di
membri, seggi nel Bundestag, nel Parlamento europeo e in quasi tutti i parlamenti regionali, è
contrario alla Costituzione? L’AfD dà l’impressione che la classificazione la lasci indifferente: i
funzionari che sono stati classificati da tempo come estremisti di destra minimizzano l’accaduto:
secondo loro, l’Ufficio federale per la protezione della Costituzione perderà la causa contro l’AfD e
gli elettori si schiereranno dalla loro parte. Intervista: il ministro dell’Interno della Sassonia Armin
Schuster (CDU) vede poche possibilità di vietare l’AfD. Consiglia di combattere il partito sul piano
politico.

10.05.2025
«Non si intravede alcuna moderazione»
ESTREMISMO DI DESTRA – L’AfD minaccia una «guerra contro il governo», denuncia una «jihad dei
coltelli» sulle strade tedesche e chiede «milioni di rimpatri»: secondo le informazioni raccolte dallo
SPIEGEL, è quanto rimprovera al partito il Servizio federale di protezione della Costituzione nella sua
relazione di 1108 pagine.

Di Maik Baumgärtner, Ann-Katrin Müller, Ansgar Siemens, Wolf Wiedmann-Schmidt
Perché la perizia sull’AfD è riservata

L’Ufficio federale per la protezione della Costituzione verifica, attraverso una procedura complessa, se un gruppo o un
partito mette in pericolo l’ordine liberale e democratico. In determinate circostanze, il servizio può sorvegliare
l’organizzazione con mezzi di intelligence, ad esempio con informatori e osservazioni. Il gruppo può opporsi
legalmente. La magistratura verifica quindi se i sospetti sono sufficienti. A tal fine, l’Ufficio federale per la protezione
della Costituzione deve presentare documenti che i tribunali non prevedono di rendere pubblici.
È il 31 agosto 2024, il giorno prima delle elezioni regionali in Turingia. Sulla piazza del Duomo di Erfurt c’è il
candidato di punta dell’AfD Björn Höcke, che spera di diventare primo ministro. Per proseguire cliccare su:

Intervista al segretario generale della CDU Carsten Linneman, che ritiene controproducente vietare
il partito. Egli punta sul calo dei consensi nei sondaggi e sull’efficacia del principio anti-coalizione-
semaforo. “Sono sicuro che quando finiranno le dispute all’interno del governo e potremo rilanciare
l’economia e allo stesso tempo fermare l’immigrazione clandestina, insomma, quando la Germania
sarà finalmente governata di nuovo bene, allora indeboliremo notevolmente l’AfD. Perché allora
perderà il suo modello di business: stappare lo champagne quando ci sono cattive notizie”.

11.05.2025
Indeboliremo notevolmente l’AfD

Il giorno dopo le turbolenze che hanno caratterizzato l’elezione del cancelliere, Carsten Linnemann appare
ancora leggermente esausto, ma comunque ottimista. Nonostante la mancata maggioranza al primo
scrutinio, non ritiene che il cancelliere Friedrich Merz sia danneggiato.
DI JACQUES SCHUSTER
WELT AM SONNTAG: Signor Linnemann, con grande sgomento della maggior parte degli osservatori,
Friedrich Merz ha avuto bisogno di due scrutini per diventare cancelliere. In che misura questa sconfitta
peserà sul futuro lavoro del governo? Proseguire la lettura cliccando su:

La classificazione di AfD mette sotto pressione il governo federale appena insediato. Ora la
coalizione nero-rossa deve decidere quali misure adottare e come comportarsi con il principale
partito di opposizione, che è ora ufficialmente riconosciuto come di estrema destra. Finora le
risposte dei membri della coalizione non sono state uniformi. L’annuncio del nuovo ministro
federale dell’Interno Alexander Dobrindt (CSU) che non ci saranno conseguenze generali per i
funzionari pubblici iscritti all’AfD ha portato un po’ di sollievo all’AfD. Ogni caso sarà esaminato
singolarmente.

11.05.2025
Blu all’esterno, marrone all’interno

Con una svolta a destra: nemmeno una confezione accattivante può

nascondere il contenuto ripugnante dell’AfD. Foto: imago
L’AfD è classificato come partito di estrema destra. All’interno del partito, i funzionari temono ora per il
proprio posto di lavoro. E il nuovo governo federale sta lottando per trovare il modo giusto di affrontare
l’AfD.
Di Von Gareth Joswig und Konrad Litschko Per proseguire, cliccare su:

Tutta la Germania ha gli occhi puntati su questo documento: BILD ha visionato integralmente la
perizia di 1108 pagine redatta dall’Ufficio federale per la protezione della Costituzione sull’AfD e ne
ha pubblicato il contenuto, garantendo trasparenza e alimentando il dibattito. Ora tutti possono
farsi un’idea: estrema destra o no?

10.05.2025
L’AfD è davvero “di estrema destra”?
Perizia segreta: ecco cosa dicono gli esperti Proseguire cliccando su:

L’Ufficio federale per la protezione della Costituzione non definisce più l’AfD come “estremista di
destra accertato”. Non esiste alcun nesso diretto o automatismo tra il parere dell’Ufficio federale
per la protezione della Costituzione e un procedimento di messa al bando del partito dinanzi alla
Corte costituzionale federale: solo la Corte costituzionale federale può decidere se un partito è
incostituzionale. Si discute sulla riservatezza della perizia in merito: al momento non è possibile
valutare se il parere fornisca prove convincenti, poiché non è accessibile al pubblico.

12 maggio 2025
Procedimento di messa al bando dell’AfD
Ex giudici costituzionali criticano la mancanza di
trasparenza
L’Ufficio federale per la protezione della Costituzione non definisce più l’AfD come “estremista di destra
accertato”. Si discute sulla riservatezza della perizia in merito.

Le informazioni che devono essere utilizzate nel procedimento di messa al bando di un partito devono

essere rese pubbliche al più tardi nel corso di tale procedimento. Gertrude Lübbe-Wolff, ex giudice costituzionale
Di Heike Anger – Berlino
L’Ufficio federale per la protezione della Costituzione (BfV) ha concesso una “sospensione” Proseguire cliccando su:

L’Ufficio federale per la protezione della Costituzione ha assicurato che non definirà più
pubblicamente l’AfD come “estremista di destra accertato” fino a una decisione urgente del
tribunale amministrativo di Colonia. Tuttavia, nei ministeri dell’Interno federali e statali si sta
comunque valutando come una riclassificazione del partito da parte dei servizi segreti potrebbe
influire sui funzionari che ne fanno parte.

12.05.2025
Fedele alla Costituzione con la tessera dell’AfD?
Le conseguenze delle valutazioni dell’Ufficio federale per la protezione della Costituzione per i funzionari
pubblici

Di Stephan Klenner
L’Ufficio federale per la protezione della Costituzione ha assicurato che non definirà più pubblicamente
l’AfD come “estremista di destra accertato” fino a una decisione urgente del tribunale amministrativo di
Colonia. Proseguire cliccando su:

Gruppi mercenari e paramilitari russi in Africa_di Rand Corporation

Gruppi mercenari e paramilitari russi in Africa

Esame dei cambiamenti e degli impatti dopo la ribellione di Wagner

Ryan BauerAlexandra GerberErik E. MuellerCortney WeinbaumPaul CormarieOluwatimilehin SotuboWeilong KongAuburn BrownMelissa ShostakZara Fatima Abdurahaman

RicercaPubblicato il 1 maggio 2025

Cover: Russian Mercenary and Paramilitary Groups in Africa

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Dal 2018, gli appaltatori militari privati o mercenari russi sono proliferati in tutta l’Africa. Il più grande gruppo di mercenari è il Wagner Group, guidato da Yevgeny Prigozhin fino alla sua morte nel 2023. I mercenari russi sono un importante meccanismo con cui Mosca cerca di ridurre il suo crescente isolamento economico e politico internazionale. I mercenari aiutano a raggiungere questo obiettivo espandendo l’impronta e l’influenza della Russia a livello globale a un costo relativamente basso.

Sebbene la Russia abbia cercato di capitalizzare le sue relazioni ambigue con i mercenari per ignorare le norme internazionali, Mosca ha assunto un controllo pubblico e diretto su questi gruppi nei Paesi africani. I mercenari russi hanno gestito una forza di spedizione agile, apparentemente non vincolata dalle regole internazionali di guerra, che ha sostenuto i regimi autoritari in Africa a spese della popolazione civile e della sicurezza generale dei Paesi.

Gli autori descrivono come è cambiata la presenza armata della Russia in Africa dalla metà del 2023 al settembre 2024. Gli autori identificano dove i mercenari russi sono presenti in Africa, quali tipi di attività svolgono e le conseguenti implicazioni dell’uso dei mercenari per i governi, le economie e le popolazioni civili africane. Gli autori esaminano anche il modo in cui l’opinione pubblica dei Paesi in cui questi mercenari sono presenti e l’opinione pubblica dei Paesi limitrofi percepisce e discute i mercenari russi e la Russia stessa.

Risultati principali

  • I mercenari russi sono chiaramente presenti in sei Paesi africani.
  • Nonostante la creazione dell’Africa Corps (un’entità creata dopo il fallimento della ribellione di Wagner del 2023, con lo scopo di riprendere gli sforzi di Wagner in Africa), la struttura e il marchio del Gruppo Wagner continuano a essere utilizzati in diversi Paesi per sostenere le operazioni esistenti. Questa struttura può variare a seconda del Paese.
  • Piuttosto che affrontare i problemi di sicurezza e costruire la capacità di difesa dei Paesi in cui operano, i mercenari russi cercano di sfruttare e trarre profitto dall’insicurezza.
  • La situazione della sicurezza nei Paesi che impiegano mercenari russi sta peggiorando. Il numero di attacchi e di vittime commessi da gruppi militanti islamisti è aumentato significativamente da quando i mercenari russi hanno sostituito le forze di sicurezza delle Nazioni Unite e dell’Africa occidentale.
  • Un’analisi del sentimento pubblico mostra che in diversi Paesi africani le opinioni sui mercenari russi sono più negative che positive.
  • Le attività dei mercenari russi non riguardano solo i Paesi che li impiegano, ma anche quelli circostanti. Sia la violenza perpetrata dai mercenari che le attività economiche illecite non sono limitate dai confini e hanno interessato intere regioni.

Trump e Bin Selman, il mondo a rovescio

Un intervento che va certamente interpretato con giudizio e cautela. I vecchi stereotipi interpretativi necessari a dividere il mondo in buoni e cattivi, di sicuro non servono più. Giuseppe Germinario

“È fondamentale che il mondo intero sappia che questa grande trasformazione non è avvenuta grazie agli interventisti occidentali o a persone che volano su bellissimi aerei per darvi lezioni su come vivere e come governare i vostri affari”.

“Alla fine, i cosiddetti costruttori di nazioni hanno distrutto molte più nazioni di quante ne abbiano costruite e gli interventisti sono intervenuti in società complesse che non comprendevano nemmeno loro stessi”.

No, le scintillanti meraviglie di Riyadh e Abu Dhabi non sono state create dai cosiddetti “costruttori di nazioni”, dai neocon o da organizzazioni no-profit liberali come quelle che hanno speso trilioni e trilioni di dollari per non sviluppare Baghdad e tante altre città”.

“Invece, la nascita di un Medio Oriente moderno è stata portata avanti dagli stessi abitanti della regione, le persone che sono proprio qui, le persone che hanno vissuto qui per tutta la vita, sviluppando i vostri Paesi sovrani, perseguendo le vostre visioni uniche e tracciando i vostri destini a modo vostro”.

“Vi hanno detto come fare, ma non avevano idea di come farlo loro stessi. La pace, la prosperità e il progresso alla fine non sono venuti da un rifiuto radicale della vostra eredità, ma piuttosto dall’abbracciare le vostre tradizioni nazionali e da quella stessa eredità che amate così tanto”.

“Avete realizzato un miracolo moderno alla maniera araba”.

Per la traduzione andare su impostazioni, sottotitoli, traduzione, italiano

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