La crisi siriana e l’Italia, di Roberto Buffagni

La crisi siriana e l’Italia

 

Mentre scrivo è in corso la riunione del Consiglio di Sicurezza ONU sulla crisi siriana. Registro le due dichiarazioni molto dure e direttamente antirusse di Stati Uniti e Francia, la dichiarazione interlocutoria della Cina che invita a una soluzione politica e non militare della crisi, e la dichiarazione più cauta del Regno Unito che non dà per scontata la responsabilità siriana nell’uso dei gas: il governo May è debole, i laburisti protestano, i conservatori non sono saldamente uniti, e il Ministro della Difesa russo proprio oggi ha ufficialmente accusato il governo britannico di aver appoggiato chi ha inscenato “il falso attacco provocatorio con i gas”.

In Italia non si registrano prese di posizione serie sulla crisi siriana. Si è costretti a prendere atto, con dispiacere e vergogna, di un allineamento totale del PD alle posizioni USA più oltranziste, quando persino all’interno dell’Amministrazione americana e tra gli alti gradi delle FFAA USA ci sono serie perplessità e posizioni nettamente contrarie a un attacco non dimostrativo contro Siria e Russia. Unico a invitare alla calma e a non invischiarsi in una situazione pericolosa, Matteo Salvini: nel paese dei ciechi l’orbo è re, ma non basta.

Che cosa rischiano l’Italia e il mondo intero? In sintesi, quanto segue. In caso di un attacco USA non dimostrativo contro la Siria e il suo alleato russo, l’enorme superiorità di mezzi di cui dispongono gli USA nel teatro mediterraneo può soverchiare le difese siriane e russe. Una prima fitta ondata di missili viene abbattuta dal sistema difensivo russo-siriano che però esaurisce lo stock missilistico, che non è possibile rifornire in tempo utile per le difficoltà logistiche imposte dalla distanza tra Russia e Siria. Una seconda ondata passa e causa gravi danni, colpendo personale siriano e russo. I russi sono costretti a rispondere dal Mar Caspio e dal Mar Nero, forse anche dal suolo russo. Gli USA rispondono, lo scontro si internazionalizza. Se un missile USA colpisce il suolo russo, la Russia colpirà il suolo americano. Sebbene lo scenario sinora tratteggiato non preveda l’uso di armi nucleari, nessuno può escludere che l’escalation vi conduca. E naturalmente, a ogni passo dell’escalation diventa sempre più difficile la de-escalation, sempre maggiori le probabilità di una perdita di controllo da parte di uno o entrambi i contendenti.

Per la sua posizione geografica, in caso di attacco USA non dimostrativo l’Italia sarà in prima linea, perché gli USA vorranno usare le loro basi situate su territorio italiano. Chi dice “siamo nella NATO e dunque dobbiamo appoggiare l’intervento americano contro la Siria” mente spudoratamente. La NATO non, ripeto NON c’entra niente con l’intervento USA contro la Siria. Un’azione aggressiva NATO esige l’accordo unanime, ripeto unanime, dei membri dell’alleanza. Né alcun membro NATO è stato aggredito dalla Siria o dalla Russia. Se dalle basi USA (USA, non NATO) presenti sul territorio italiano partissero truppe o voli diretti ad aggredire la Siria, questo avverrebbe con la piena corresponsabilità del governo italiano e della nazione. Nelle basi USA su territorio italiano, infatti, ci sono due comandanti, uno americano uno italiano. Il comandante americano è tenuto a comunicare in anticipo al comandante italiano tutte le operazioni, e il comandante italiano può autorizzarle oppure no, ripeto OPPURE NO. In caso di attacco USA contro la Siria che parta da basi USA su territorio italiano, il comandante italiano della base USA è tenuto a comunicare ai superiori gerarchici il piano operativo a lui sottoposto dal comandante americano, e i superiori gerarchici a informarne il governo e il Presidente della Repubblica, comandante in capo delle FFAA, perché un atto di guerra contro la Siria e la Russia intrapreso da base USA su territorio italiano configura un identico atto di guerra dell’Italia contro Siria e Russia. Per intenderci: se la Russia rispondesse a un attacco USA partito dall’Italia attaccando obiettivi militari su territorio italiano, sarebbe giustificata dal diritto di guerra. Invitiamo caldamente tutte le forze politiche che abbiano a cuore la sicurezza e l’onore nazionale a fare pressione sul governo e sul Presidente della Repubblica, comandante in capo delle FFAA, perché con apposita comunicazione scritta ribadiscano a tutti comandanti italiani di basi militari USA che è loro diritto e dovere esigere dal comandante americano il controllo preventivo del piano di operazioni, e comunicare prontamente per via gerarchica al governo eventuali piani di operazioni USA contro Siria e Russia che partano dal suolo italiano. Se questa possibilità si verifica, viste le gravi ripercussioni possibili e anzi probabili, il governo è politicamente e moralmente tenuto a darne notizia al Parlamento, e a sottoporre a un voto delle Camere l’autorizzazione italiana di qualsivoglia operazione americana contro Siria e Russia in partenza dal territorio nazionale. Vogliamo sperare che i rappresentanti del popolo italiano si mostrerebbero all’altezza del loro ufficio, negando l’autorizzazione e così tutelando sicurezza e onore dell’Italia. Chi non lo facesse si assumerebbe una gravissima responsabilità storica e morale.

 

SIRIA! ELOGIO DELLE SORELLE TRAPPISTE, di Luigi Longo

ELOGIO DELLE SORELLE TRAPPISTE IN SIRIA

di Luigi Longo

 

Chiedo la pubblicazione della lettera aperta delle sorelle trappiste in Siria apparsa sul blog: www.oraprosiria.com del 4 marzo 2018.

E’ una analisi e una denuncia lucida, materiale e spirituale della pesante e drammatica situazione in Siria.

E’ un pensiero critico femminile che si pone nelle contraddizioni reali della vita ben sapendo che il bene e il male fanno parte della storia umana sessuata.

Soltanto la ricerca del senso della vita può tracciare e progettare la strada del bene: il pensiero critico femminile è fondante per la ricerca di un’altra strada sessuata e sensata della vita.

 

Lettera aperta delle Monache siriane: Chiamare le cose con il loro nome, è questo l’inizio della pace

 

Quando taceranno le armi ? E quando tacerà tanto giornalismo di parte ?

Noi che in Siria ci viviamo, siamo davvero stanchi, nauseati da questa indignazione generale che si leva a bacchetta per condannare chi difende la propria vita e la propria terra.

Più volte in questi mesi siamo andati a Damasco; siamo andati dopo che le bombe dei ribelli avevano fatto strage in una scuola, eravamo lì anche pochi giorni fa, il giorno dopo che erano caduti, lanciati dal Goutha, 90 missili sulla parte governativa della città. Abbiamo ascoltato i racconti dei bambini , la paura di uscire di casa e andare a scuola, il terrore di dover vedere ancora i loro compagni di classe saltare per aria, o saltare loro stessi, bambini che non riescono a dormire la notte, per la paura che un missile arrivi sul loro tetto. Paura, lacrime, sangue, morte. Non sono anche questi bambini degni della nostra attenzione?

Perché l’opinione pubblica non ha battuto ciglio, perché nessuno si è indignato, perché non sono stati lanciati appelli umanitari o altro per questi innocenti? E perché solo e soltanto quando il Governo siriano interviene, suscitando gratitudine nei cittadini siriani che si sentono difesi da tanto orrore (come abbiamo constatato e ci raccontano), ci si indigna per la ferocia della guerra?

Certo, anche quando l’esercito siriano bombarda ci sono donne, bambini, civili, feriti o morti. E anche per loro preghiamo. Non solo i civili: preghiamo anche per i jihadisti, perché ogni uomo che sceglie il male è un figlio perduto, è un mistero nascosto nel cuore di Dio. Ed è a Dio che si deve lasciare il giudizio, Lui che non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva.

Ma questo non significa che non si debbano chiamare le cose con il loro nome. E non si può confondere chi attacca con chi si difende.

A Damasco, è dalla zona del Goutha che sono cominciati gli attacchi verso i civili che abitano nella parte controllata dal governo, e non viceversa. Lo stesso Goutha dove – occorre ricordarlo ? – i civili che non appoggiavano i jihadisti sono stati messi in gabbie di ferro: uomini, donne, esposti all’aperto e usati come scudi umani. Goutha: il quartiere dove oggi i civili che vogliono scappare, e rifugiarsi nella parte governativa, approfittando dalla tregua concessa, sono presi di mira dai cecchini dei ribelli…

Perché questa cecità dell’Occidente? Come è possibile che chi informa, anche in ambito ecclesiale, sia così unilaterale?

La guerra è brutta, oh sì, sì se è brutta! Non venitelo a raccontare ai siriani, che da sette anni se la sono vista portare in casa… Ma non si può scandalizzarsi per la brutalità della guerra e tacere su chi la guerra l’ha voluta e la vuole ancora oggi, sui Governi che hanno riversato in Siria in questi anni le loro armi sempre più potenti, le loro intelligence… per non parlare dei mercenari lasciati deliberatamente entrare in Siria facendoli passare dai Paesi confinanti (tanti che poi sono diventati Isis, va ricordato all’Occidente, che almeno questa sigla sa cosa significa). Tacere sui Governi che da questa guerra hanno guadagnato e guadagnano. Basta vedere che fine hanno fatto i più importanti pozzi petroliferi siriani. Ma questo è solo un dettaglio, c’è molto più importante in gioco.

La guerra è brutta. Ma non siamo ancora arrivati alla meta, là dove il lupo e l’agnello dimoreranno insieme, e per chi è credente bisogna ricordare che la Chiesa non condanna la legittima difesa; e se anche non si augura certamente il ricorso alle armi e alla guerra, la fede non condanna chi difende la propria patria, la propria famiglia, neppure la propria vita. Si può scegliere la non-violenza, fino a morirne. Ma è una scelta personale, che può mettere in gioco solo la vita di chi lo sceglie, non si può certo chiederlo ad una nazione intera, a un intero popolo.

Nessun uomo che abbia un minimo di umanità vera, può augurarsi la guerra. Ma oggi dire alla Siria, al governo siriano, di non difendere la sua nazione è contro ogni giustizia : troppo spesso è solo un modo per facilitare il compito di quanti vogliono depredare il Paese, fare strage del suo popolo, come accaduto in questi lunghi anni nei quali le tregue sono servite soprattutto per riarmare i ribelli, e i corridoi umanitari per far entrare nuove armi e nuovi mercenari.. e come non ricordare quali atrocità sono accadute in questi anni nelle zone controllate dai jihadisti? violenze, esecuzioni sommarie, stupri… i racconti rilasciati da chi alla fine è riuscito a scappare ?

In queste settimane ci hanno fatto leggere un articolo veramente incredibile: tante parole per far passare in fondo una sola tesi, e cioè che tutte le Chiese di Oriente sono solo serve del potere…per convenienza… Qualche bella frase ad effetto, tipo la riverenza di Vescovi e Cristiani verso il Satrapo Siriano…un modo per delegittimare qualunque appello della Chiesa siriana che faccia intravedere l’altro lato della medaglia, quella di cui non si parla.

Aldilà di ogni inutile difesa e polemica, facciamo un ragionamento semplice, a partire da una considerazione. E cioè che Cristo – che conosce bene il cuore dell’uomo, e cioè sa che il bene e il male coabitano in ciascuno di noi, vuole che i suoi siano lievito nella pasta, cioè quella presenza che a poco a poco, dall’interno, fa crescere una situazione e la orienta verso la verità e il bene. La sostiene dove è da sostenere, la cambia dove è da cambiare. Con coraggio, senza doppiezze, ma dall’interno. Gesù non ha assecondato i figli del tuono, che invocavano un fuoco di punizione .

Certo che la corruzione c’è nella politica siriana (come in tutti i Paesi del mondo) e c’è il peccato nella Chiesa (come in tutte le Chiese, come tante volte il Papa ha lamentato).

Ma, appellandoci al buon senso di tutti, anche non credenti : qual è l’alternativa reale che l’Occidente invoca per la Siria? Lo Stato islamico, la sharia? Questo in nome della libertà e la democrazia del popolo siriano? Ma non fateci ridere, anzi, non fateci piangere…

Ma se pensate che in ogni caso non sia mai lecito scendere a compromessi, allora per coerenza vi ricordiamo, solo per fare un piccolo esempio, che non potreste fare benzina ‘senza compromessi coi poteri forti’, dato che la maggior parte delle compagnie ha comprato petrolio a basso costo dall’Isis, attraverso il ponte della Turchia: così quando percorrete qualche chilometro in auto, lo fate anche grazie alla morte di qualcuno a cui questo petrolio è stato rubato, consumando il gasolio che doveva scaldare la casa di qualche bambino in Siria.

Se proprio volete portare la democrazia nel mondo, assicuratevi della vostra libertà dalle satrapie dell’Occidente, e preoccupatevi della vostra coerenza, prima di intervenire su quella degli altri..

Non ultimo, non si può non dire che dovrebbe suscitare almeno qualche sospetto il fatto che se un cristiano o un musulmano denuncia le atrocità dei gruppi jihadisti è fatto passare sotto silenzio, non trova che una rara eco mediatica, per rivoli marginali, mentre chi critica il governo siriano guadagna le prime pagine dei grandi media.. Qualcuno ricorda forse l’intervista o un intervento di un Vescovo siriano su qualche giornale importante dell’Occidente? Si può non essere d’accordo, evidentemente, ma una vera informazione suppone differenti punti di vista.

Del resto, chi parla di una interessata riverenza della Chiesa siriana verso il presidente Assad come di una difesa degli interessi miopi dei cristiani, dimostra di non conoscere la Siria, perché in questa terra cristiani e musulmani vivono insieme. E’ stata solo questa guerra a ferire in molte parti la convivenza, ma nelle zone messe in sicurezza dall’esercito ( a differenza di quelle controllate dagli ‘altri’) si vive ancora insieme. Con profonde ferite da ricucire, oggi purtroppo anche con molta fatica a perdonare, ma comunque insieme. E il bene è il bene per tutti: ne sono testimonianza le tante opere di carità, soccorso, sviluppo gestite da cristiani e musulmani insieme.

Certo, questo lo sa chi qui ci vive, pur in mezzo a tante contraddizioni, non chi scrive da dietro una scrivania, con tanti stereotipi di opposizione tra cristiani e musulmani.

“Liberaci Signore dalla guerra…e liberaci dalla mala stampa…”.

Con tutto il rispetto per i giornalisti che cercano davvero di comprendere le situazioni, ed informarci veramente. Ma non saranno certo loro ad aversene a male per quanto scriviamo…

 

Le sorelle Trappiste in Siria

 

IRAN, COSE CURDE_ di Antonio de Martini

IRAN: COSE CURDE

KERMANSHAH, ZANJAN, IZEH, tutte località poste in zona curda.
Abbiamo visto come i curdi siano sparsi su quattro confini: Iran Irak, Turchia e Siria.
I curdi iraniani sono alla testa dei moti di questi giorni. E non possono fare marcia indietro. Hanno già versato sangue.

L’obbiettivo USA nel fomentare questa rivolta priva di capi e di programmi ( come in Libia…) è anzitutto calmare le paure israeliane inducendo gli iraniani a ritirare i loro volontari all’estero ( Siria, Irak, gli istruttori di Hezbollah in Libano e in Yemen).

L’idea non è malvagia in se, ma è foriera di un danno maggiore a carico degli USA rispetto alla minaccia a Israele che permarrà intatta.

Anzitutto l’espansione iraniana è dovuta più alle sciocchezze fatte dagli USA ( dare il potere agli sciiti in Irak e attaccare a freddo la Siria, far eleggere alla presidenza in Libano il generale Aoun invece che Samir Geagea).

Secondo poi, affidare ai curdi anche questa funerea incombenza ( hanno già ucciso un poliziotto) rappresenta IL TERZO COLLANTE in un mese che lega in una coalizione dai comuni interessi L’Iran, la Siria, l’Irak e la Turchia contro un comune nemico oltre alla vicenda di Gerusalemme e del problema palestinese.
Tutti col patrocinio russo.

Adesso i quattro stati – oltre al Libano- hanno un nemico per ora militarmente imbattibile, Israele, e uno bastonabile a piacere: i curdi.

La reazione anti USA ha numerose possibilità .

La guerra in Afganistan ne trarrà certamente nuova linfa e i diecimila yankees in arrivo non basteranno più, tenuto conto che Trump ha appena litigato con il Pakistan che è l’altro paese confinante e permeabile a piacere dai guerriglieri afgani e in flirt coi russi.

Quindi gli afgani coi ” safe heaven” da uno sono passati a due ( Iran e Pakistan)
I curdi da tre safe heaven, sono passati a due ( Siria e Iran) e poi a uno ( Iran) e adesso, nessuno.

Il Presidente USA ha detto che “un regime che dura da quaranta anni è ora che cambi.” Giustissimo ( vale anche per noi che li abbiamo sul gobbo da settanta?), ma come?

Vediamo cosa succede se si verificasse un “regime change.”

Cade il solo Rouhani. Verrà un Ahmadinejad e non un democratico a 18 carati. Credo che non convenga a nessuno.
Assieme a Rouhani cade il regime clericale. Dubito che nasca un regime democratico.
Caduti i preti ( da sempre sostenuti dagli inglesi) verrà certamente un regime nazionalista ispirato a Mossadeq ” il vecchio padre della Patria, che accentuerà il suo appoggiarsi alla Russia e vorrà consolidare la propria sfera di influenza nel bassopiano arabo accentuando le pressioni su Bahrein ( sciiti dove c’è la base navale USA della flotta del golfo persico) e Arabia Saudita ( zona est dove ci sono sciiti e petrolio).

Quanto al ritiro dei volontari iraniani dai vari impegni esteri, non se ne parla.
Finora l’esercito non è stato utilizzato perché all’estero hanno mandato solo la milizia su base volontaria. L’esercito verrà impiegato contro i traditori e si scateneranno i pogrom.

Con un buon coordinamento tra i paesi interessati, di curdi presto non se ne troverà più uno. Intanto, Yeni Safak e Yeni Akit, due giornali turchi accusano apertamente gli USA, mettono in guardia contro escalation e dicono apertamente che, in caso di successo, l’obbiettivo N 2 sarebbe la Turchia.
E le stelle ( e strisce) staranno a guardare, sempre più isolati.

Post aggiornato nel finale sulla posizione della Turchia.

FRONTIERA E SOLITUDINE, di Antonio de Martini

due incisivi post di Antonio de Martini

SOLITUDINE

Chi volesse indicare l’uomo più solo della terra in Trump o Netanyahu, sbaglierebbe.

Si chiama Mohammed ben Salman, Crownprince dell’Arabia Saudita e difensore delle città sante di Mecca e Medina.

Novanta anni fa, conquistando l’Hejaz, suo nonno Abdel Aziz Ibn Saud aveva spodestato la dinastia Hashemita – la più longeva della terra- e su questa conquista aveva fondato la sua dinastia.

Oggi, dopo aver perso la guerra in Yemen e tentato di provocare una catastrofe umanitaria che ha causato un milione di casi di colera in un paese con nove milioni di abitanti; dopo le voci di contatti nemmeno troppo segreti con Israele; dopo non essere riuscito a gestire la crisi siriana e dopo essersi classificato buon ultimo nell’elenco dei difensori della santità di Gerusalemme ( dopo i rivali di area e religione Turchia e Iran e Giordania) , è detestato anche dal re suo padre nei momenti di lucidità.

Lo stuolo di familiari arrestati ” per corruzione” il giorno dopo essersi insediato alla presidenza della commissione anticorruzione da lui stesso istituita, non ha migliorato la sua situazione relazionale.

Potrebbe riallacciarsi agli USA, offesi dal fatto che ha dovuto votare contro Trump alle Nazioni Unite, se solo non avesse tolto i membri della casa reale dai posti di ministro degli esteri e di Ambasciatore a Washington per sostituirli con funzionari privi di relazioni di lunga data e di qualità.

Ora tenta di rimediare liberando i tre figli dell’ex re Abdallah.
Mitaab ben Abdallah, il più influente, ha comunque ormai sborsato un miliardo di dollari di ” ravvedimento operoso” pochi giorni fa e non deve essere di buon umore.

Gli altri due fratelli Mishaal ben Abdallah e un altro che ora non ricordo, sono stati liberati ieri presumo come gesto di buona volontà e forse su pressione USA-UK congiunte.
Troppo poco e troppo tardi e c’è sangue versato da lavare.

Penso che più che aiutarlo ad uscire dall’isolamento, alla prima occasione gli faranno la pelle per aver messo in pericolo la dinastia e il suo ruolo di protettrice delle città sante: Mecca, Medina e Gerusalemme, ridando vita e significato alla dinastia degli Hashemiti che regnano sulla piccola Amman, ma ricordano tutto

FRONTIERA

BEIT JENN nella zona di Jabal El Cheikh è il luogo sconosciuto più sensibile del Vicino Oriente.

Situato nel triangolo tra Libano, Siria e Israele è stato presidiato dai mercenari di Al Nusra fino a due giorni fa quando è stato espugnato dall’esercito siriano.

Con la ripresa del controllo di questa zona strategica che domina le alture del Golan, Assad è tornato a contatto diretto con Israele, vanificando il piano israeloamericano di impiantarvi una zona cuscinetto. Molto di questo fallimento è dovuto al governo giordano che ha fatto orecchie di mercante alle reiterate proposte USA di mandare truppe a rinforzo dei mercenari antigovernativi.

Il rifiuto giordano a combattere in favore di Israele ha rinsaldato rapporti arrugginiti e dato uno strumento negoziale alla monarchia Hashemita che osserva con attenzione gli errori sauditi nella mai sopita speranza di tornare al controllo delle città sante dell’Islam.

Partiti con lo scopo di rovesciare il regime siriano, gli Stati Uniti avevano nell’ultimo anno ridimensionato le proprie ambizioni alla creazione di una zona cuscinetto a protezione dei confini di Israele. Adesso resta loro soltanto di erogare la causa curda limitatamente al confine siriano.

Le grandi speranze accese dalle sette primavere arabe hanno prodotto una montagna di morti anche se i due regimi superstiti ( Siria e Bahrein) si sono salvati al prezzo di affidarsi a eserciti stranieri.
Negli altri cinque paesi il “regime change” non ha prodotto che qualche irrilevante cambio di persone al potere.

Israele, nato come rassicurante testa di ponte dell’occidente a difesa del fianco destro NATO, si è sviluppato al punto da provocare una reazione di rigetto che ha disarticolato l’intero fianco destro dello schieramento e consentito alla Russia una penetrazione politica mai sognata nemmeno nei momenti di massimo splendore imperiale.
Complimenti!

IUS SOLI, DI ROBERTO BUFFAGNI

Ius soli 3: come funziona la propaganda, di Roberto Buffagni

 

IUS SOLI 2, di Roberto Buffagni

Ius soli: prendiamolo un po’ sul serio, tanto per cambiare. Se si vuole fare una società multiculturale, multietnica, multireligiosa, ci vuole un Impero, cioè a dire una forma di civiltà dove a) le addizioni al nucleo originario vengono fatte, sempre o quasi, per conquista b) il centro imperiale è dominato, di fatto e di diritto, da una etnia e da una religione gerarchicamente superiori alle altre c) il sistema politico NON è una democrazia a suffragio universale d) il centro imperiale coopta progressivamente le classi dirigenti dei paesi conquistati, concede gradualmente alle altre etnie e alle altre religioni, in misura variabile, libertà (nel senso antico di franchigie), mai immediatamente eguaglianza di diritti politici con l’etnia e la religione centrale d) il centro imperiale divide per imperare, cioè gioca l’una contro l’altra le etnie e religioni subalterne per impedire che l’una o l’altra prenda il sopravvento o addirittura scalzi i dominanti. Solo dopo qualche secolo, in caso di effettiva assimilazione dei fondamentali culturali, il centro imperiale concede a tutti indistintamente i sudditi la cittadinanza politica piena (ma comunque NON introduce MAI la democrazia a suffragio universale).
Così sì che funziona, una società multitutto, e in effetti così hanno funzionato l’Impero romano, l’austriaco (poi austro-ungarico), l’ottomano, il cinese, il britannico, lo zarista, etc. Non che sia una cosetta facile farli funzionare, ci vuole una classe dirigente coi controfiocchi. Attualmente, c’è in corso d’opera l’edificazione o riedificazione dell’impero russo, che cerca di ricostruirsi by stealth pur in presenza di un regime di democrazia parlamentare a suffragio universale, ma corretta dalla presenza di fatto dell’impianto base imperiale: etnia dominante (russa) e religione dominante (cristiana ortodossa)+ solida primazia dei ministeri della forza nel governo (le FFAA intervengono con durezza in caso di sollevazioni centrifughe i etnie e/o religioni subalterne, v. le due guerre di Cecenia). Nella celebrazione per l’anniversario 2015 della Grande Guerra Patriottica, il ministro della difesa Shoigu è entrato sulla piazza Rossa del Cremlino per passare in rivista le truppe, e mentre passava, in piedi sull’auto di servizio, sotto la porta sovrastata dalla grande icona del Cristo Salvatore, si è scoperto il capo e si è fatto il segno della croce. N.B.: Shoigu è buddhista, ad attenderlo c’erano anche reparti mussulmani. Il significato del gesto mi pare chiaro.
NON funziona, invece, una società multitutto che sia uno Stato nazionale basato su un regime politico democratico a suffragio universale, 1 testa = 1 voto. NON funziona perchè gli Stati nazionali democratici, per funzionare, devono basarsi su quel che gli studiosi chiamano l’ “idem sentire” dei cittadini: “sentire”, non lavorare o andare al cine o pagare le tasse. Cioè a dire, che tutti i cittadini devono condividere sentimenti ed emozioni simili in merito all’oggetto cui va la loro lealtà primaria. Se va alla nazione, allo Stato che la rappresenta e la guida, alla patria che le dà vita storica, tutto ok. Se invece una parte cospicua della cittadinanza dà la sua lealtà primaria alla sua razza, alla sua religione, alla sua tribù, etc., avviene quanto segue: che il conflitto politico ed elettorale si disegnerà anzitutto lungo le linee di frattura più profonde, le differenze incomponibili e non mutabili a piacere in seguito a sola decisione razionale quali razza, religione, tribù, clan, etc. Rimarranno anche gli altri conflitti, ricchi/poveri, città/campagna, centro/periferia, etc.: ma mentre è relativamente facile mediare questi ultimi, se tutti i cittadini condividono un “idem sentire” nazionale, è molto difficile mediare conflitti come il razziale (ognuno porta la sua bandiera sulla pelle, e non può cambiarla) o il religioso (ognuno porta la sua bandiera nei costumi e nella sensibilità, ed è molto difficile fargliela cambiare).
Quindi, se per ragioni endogene o esogene in uno Stato nazione multitutto, dove l’idem sentire non c’è, i conflitti si inaspriscono, possono succedere tre cose: a) guerra civile su base etnico/religiosa b) una razza/religione/tribù giunge al potere per via elettorale, si impadronisce dello Stato che è per sua natura una macchina da guerra e opprime brutalmente/istituisce un regime di apartheid di fatto o di diritto/stermina le altre razze/religioni/tribù (esempi infiniti in Africa, v. anche l’insolubilità del problema palestinese in Israele) c) un misto tra a e b.
Ecco perchè estendere lo ius soli NON è una buona idea: perchè compito della politica è antivedere il peggio, e dotarsi della capacità di sventarlo (Julien Freund, “Sociologie du conflit”, cito a memoria).

LA GERUSALEMME LIBERATA_UNA SFIDA CAPITALE_una conversazione con Antonio de Martini

Trump ha dato seguito ad un altro degli impegni elettorali. Con la sua decisione di procedere al trasferimento, entro due anni, dell’ambasciata americana a Gerusalemme ha sparigliato le carte e strappato il velo di ipocrisia che ammantava il groviglio mediorientale, e gli atteggiamenti delle classi dirigenti arabe; ha privato gli Stati Uniti del ruolo di mediatore; sta sancendo la realtà dell’ingresso di nuovi soggetti politici nel gioco di quella zona cruciale. Qui sotto una interessante conversazione con Antonio de Martini

TRUMP UNIFICA IL MONDO ARABO E RICOMPATTA L’ISLAM CONTRO ISRAELE. POSSIAMO APPROFITTARNE. di antonio de martini

oggi, 6 dicembre, Trump – per rispettare una promessa elettorale- riconoscerà Gerusalemme capitale di Israele e trasferirà l’ambasciata USA costì. È una scelta che mi ricorda l’adozione del proibizionismo che si ritorse contro gli autori e poi dovette essere rimangiata.

Non accadrà nulla di epocale, tanto la impopolarità e l’odio nei confronti degli Stati Uniti erano già al massimo storico e così rimarranno molto a lungo.

Diversa la situazione di Israele che potrebbe essere nuovamente isolata mentre stava per incassare il riconoscimento saudita, che ora non potrà non sfumare.
Si intravede una nuova rottura dei rapporti con la Turchia e forse persino con l’Egitto.

Per riempire il vuoto politico ed economico che viene lasciato dagli USA ( che a loro volta avevano sostituito gli inglesi dal 1948 in poi) ecco apparire la Francia di Macron.

È possibile che al vuoto politico segua quello economico deciso a livello popolare, che potremmo riempire noi, dato che il gettito maggiore gli USA lo registravano negli approvvigionamenti alimentari all’area MENA e noi potremmo intervenire proficuamente in tutta l’area facendo uscire dallo stato di crisi le fabbriche di pollame e carne non suina in scatola,tabacchi,bibite e dolciumi, condizionatori, distribuzione energetica ecc.

Il settore trainante dell’economia USA non è mai stato la tecnologia o gli armamenti, bensì l’agroindustria e il suo maggior cliente è proprio il mondo arabo.

Per noi è una occasione da non perdere.

Politicamente, il mondo intero – il mondo islamico moderato in particolare- vede questa scelta come un grave errore ed uno schiaffo alla credibilità ONU oltre che ai leaders arabi alleati che vedono traballare i loro troni. Difficile che qualcun altro leader si dichiari alleato o amico degli USA di Trump. Nemmeno i curdi.

Oltre ai tradizionali avversari, anche il Vaticano che puntava alla internazionalizzazione di Gerusalemme e i cristiani palestinesi si muoveranno in senso contrario a queste scelte USA.

Credo che nessun paese occidentale seguirà l’esempio americano e la speranza di promuovere una qualche forma di pace tra palestinesi e israeliani andrà in soffitta per un bel pezzo.

Per ogni paese che trasferirà l’ambasciata a Gerusalemme, si apriranno opportunità commerciali per noi se ci allineeremo col Vaticano invece che con Trump e suo genero.

La conseguenza politica di maggior rilievo, sarà l’atteggiamento delle Nazioni Unite che vedono stracciata la loro storica risoluzione costitutiva dello Stato di Israele del 1948 che in contemporanea stabiliva che Gerusalemme sarebbe stata internazionalizzata.
La credibilità ONU è così azzerata definitivamente.

La reazione araba è scontata ed è possibile che assuma anche forme creative alla Ben Laden. La distinzione molto pompata tra sciiti e sunniti perderà significato.

Meno scontata e prevedibile la reazione dell’Europa e dell’Asia nei confronti di Israele che rischia di fare la spese della bella figura di Trump i cui elettori amano molto vederlo “rompere gli schemi.”

Rischiamo una crisi internazionale di lunga durata per consentire al Presidente americano di conquistare gli elettori dell’Alabama.

Possiamo però trasformare questo problema in una grande occasione commerciale e industriale per occupare le aree in cui gli arabi ( e gli islamici) boicotteranno gli Stati Uniti.

THE DAY AFTER

gli ultimi tentativi di pace tra israeliani e palestinesi ci furono nel 2014, John Kerry consule, e finirono in un nulla di fatto.
Oggi tutti gli israeliani festeggeranno il riconoscimento degli Stati Uniti di quel che già avevano, cioè Gerusalemme capitale.

Passata la sbornia, si renderanno conto di aver barattato la pace con una soddisfazione enorme ma psicologica.

Tutta la comunità internazionale mantiene il punto che i negoziati devono farsi tra le parti in causa ( Israele e i palestinesi) con trattative dirette e che la sola soluzione che tutti gli analisti individuano al problema è quella di creare due Stati .

La frattura stessa interna agli USA, tra democratici e parte dei repubblicani da una parte e seguaci di Trump dall’altra, fa sì che gli USA stessi non siano unanimi in questa scelta ed abbiano bruciato la credibilità delle Nazioni Unite che creava un sembiante di consenso internazionale a molte decisioni USA.

Trump dice che andava tolta la polvere dal negoziato che si trascina da mezzo secolo. Vero, ma andava usato il piumino, non l’idrante.

Netanyahu, è certamente felice di aver acquisito questo merito storico che spera allontani lo spettro della indagine della polizia israeliana che è giunta ormai al suo quinto interrogatorio sulla vicenda di corruzione sulle forniture militari tedesche. Per lui, ogni giorno in più è guadagnato, ma ha messo l’intero paese nella stessa situazione di precarietà.

Nessuno intanto tra gli amici di Israele risponde alla domanda posta da Paolo Sax Sassetti:
da domani Israele sarà più o meno sicuro?

SIRIA, il vaso di Pandora dalle tante sorprese_ conversazione con Antonio de Martini

Continua il viaggio in Medio Oriente. Antonio de Martini è la bussola che ci consente di orientarci in quel vero e proprio vaso di Pandora che sta diventando il Medio Oriente. Questa volta si parte dalla Siria, l’attuale epicentro di una competizione, grazie soprattutto ai Saud, dai tratti a volte medievali_ Giuseppe Germinario

La saga dei Saud_una conversazione con Antonio de Martini

L’Arabia Saudita sta vivendo da tempo una defatigante fase di successione all’interno della dinastia regnante. Il sistema di trasmissione del potere ha sino ad ora consegnato le leve di governo ad una paradossale gerontocrazia. L’ascesa di Selman sembra contraddire questa prassi e condurre all’epilogo la saga; con essa il perseguimento di alcuni capisaldi della politica estera e della politica interna sta trovando nuove ed inquietanti modalità operative, grazie anche agli sconvolgimenti in corso nella casa-madre americana_ Buon ascolto_ Germinario Giuseppe

https://www.youtube.com/watch?v=hyxQVMqEkG8&t=72s

MACBETH D’ARABIA, di Antonio de Martini (con aggiornamento)

L’arguzia di Antonio de Martini, di chiaro stampo partenopeo, è pari alla sua competenza. Non occorrono commenti_Giuseppe Germinario

MACBETH D’ARABIA (tratto da https://www.facebook.com/antonio.demartini.589/posts/1277556099056845 )

È successo l’impensabile.
L’Arabia saudita , da sempre teocrazia autocratica, vede realizzarsi un giro di vite nel senso del rafforzamento del potere personale del principe ereditario Mohammed Ben Salman.

Quattro ministri in carica, dieci ex ministri e, sembra, anche il miliardario principe Waleed ben Talal, ( oltre a 11 principi minori) sono stati arrestati ” per corruzione” e per aver ” approfittato dl loro incarico per lucrare”.

In più, il comandante della guardia nazionale ” è stato avvicendato”.

Lettura: il trentaduenne principe ereditario ( Mohammed ben Salman) aveva già dato segni di smodata ambizione e scarso discernimento politico.

Nominato dal re suo padre, ministro della Difesa, aveva d’iniziativa mosso guerra allo Yemen rimanendoci malamente impelagato.

Aveva ottenuto la nomina “a principe ereditario del principe ereditario” in carica ( il cugino Mohammed ben Nayaf) con scelta inedita.

Approfittando dell’Alzheimer del padre – re Salman- si è accaparrato maggiori attribuzioni fino a che ha ottenuto dall’affetto e dalla malattia paterna, di sostituire il cugino nel ruolo di principe ereditario ( che in Arabia Saudita svolge il ruolo di Primo ministro, dato che il re viene eletto dal consiglio di famiglia).

Affetto dal complesso di Macbeth, ha messo il cugino – da due generazioni ministro dell’interno- agli arresti domiciliari e adesso ha arrestato i suoi amici principali.
Il” comandante della guardia nazionale” avvicendato è, guarda caso, il fratello dell’ex ministro dell’interno e concorrente-cugino.

Credo che il padre – ultra ottuagenario, plurioperato e affetto da anni di demenza senile- ormai stia morendo e poiché il crownprince NON diventa automaticamente re, il giovanotto – forte dell’approvazione dell’americano di turno che ha incassato cospicui ordini di materiale bellico grazie allo Yemen – stia apprestandosi a fare campagna elettorale in famiglia a modo suo.

Ha tagliato i rifornimenti a amici e parenti stretti del candidato-cugino e spera di intimidire gli altri parenti con la sua recente autonomina ( fatta da papà ) a presidente di un fantomatico “comitato anticorruzione” , quando la corruzione è la principale se non unica attività del paese.

Il Giovin signore ritiene di avere le carte democratiche in regola con l’Occidente per aver dato la patente alle donne e concesso una intervista a un supplemento femminile di un noto quotidiano.

Questa spaccatura in seno alla famiglia regnante saudita forte di 5.000 membri di casa reale e 11.000 principi, fragilizza ulteriormente l’Arabia Saudita in un momento drammatico.

L’Arabia Saudita si trova – col prezzo del petrolio dimezzato- con una guerra persa con la Siria, e una in via di sconfitta in Yemen, una alleanza antiterrorismo da operetta fatta con gli emirati e una serie di paesetti africani tra cui spicca per dimensioni il Burundi.

Il “blocco antiterrorismo” , che ha spaccato il Consiglio del Golfo ( equivalente emirati della UE) contro il Katar dal quale è stata sputtanata malamente in TV negli USA in una intervista in cui ha confessato la concertata cospirazione contro la Siria e il congiunto finanziamento al Daesch.
Con la spaccatura del Consiglio del Golfo, il giovanotto ha anche perso il ruolo egemone nella Lega Araba.

Per soprammercato, si trova con la crescente penetrazione iraniana in Irak e le dimissioni del primo ministro sunnita il Libano che ha confessato di temere per la sua vita.

Mohammed ben Salman minaccia la sopravvivenza della dinastia e questi sono fatti suoi, ma diventano fatti di tutti se si mette in pericolo l’approvvigionamento di petrolio al l’occidente e adesso si capisce meglio a che servivano le tonnellate di “droga del combattente” destinate alla Libia.

Con una guerra che incrudelisce in Libia, il principino sarebbe certo di non essere abbandonato al suo destino.

Ma gli USA, questa volta, hanno preferito soffiare la notizia alle autorità italiane e bloccare la merce perché forse cominciano a capire che i matti in famiglia sono due.

NOTA AGGIUNTIVA

ECCO LA LISTA DEGLI ARRESTATI IN ARABIA SAUDITA SECONDO L’AGENZIA REUTER. LA RIVOLUZIONE CALA DALL’ALTO.

A riprova che gli americani sapevano del repulisti, la REUTER ha pubblicato la lista degli arrestati.

Da questa lista si evince che il capo della guardia nazionale ( mi correggo, non è il fratello Ben Nayaf, ma cugino.) non è stato solo defenestrato, ma arrestato, assieme al fratello, entrambi figli dell’ex re Abdallah.(!) tra gli arrestati, anche il governatore della Capitale Riad e il finanziere Mohammed Al Amoudi che ha il monopolio di tutti gli uffici cambio del regno e una trentina di grandi società in Etiopia ( oltre ad interessi in Marocco ed Egitto) che spaziano dalle costruzioni al Turismo, alle miniere e alla finanza.

Ecco la lista:

Principe Al-Walid ben Talal, PDG di Kingdom Holding
– Principe Miteb bin Abdullah, ministro della guardia nazionale
– Principe Turki ben Abdullah, governatore della provincia di Riyad
– Khalid al-Tuwaijri, ex capo del cerimoniale di corte
– Adel Fakeih, ministro dell’economia.
– Ibrahim al-Assaf, ex ministro delle Finanze
– Abdullah al-Sultan, Comandante della Marina del regno.
– Bakr bin Laden, capo della Holding Ben Laden
– Mohammed al-Tobaishi, ex capo del protocollo.
– Amr al-Dabbagh, ex governatore della Saudi Arabian General Investment Authority
– Alwaleed al-Ibrahim, proprietario della catena Tv MBC
– Khalid al-Mulheim, ex direttore generale della Saudi Arabian Airways
– Saoud al-Daweesh, ex capo di Saudi Telecom
– Prince Turki ben Nasser ex capo della meteo e ambiente
– Prince Fahad ben Abdullah ex deputato ( fratello capo guardia nazionale)
– Saleh Kamel, businessman
– Mohammed al Amoudi, businessman

A giudicare dai nomi , anche fin troppo altisonanti, dell’elenco questi arresti avranno ripercussioni all’estero – ad esempio in Etiopia, in Tunisia e in Francia – e all’interno.

Mohammed ben Salman mira infatti anche a rendere la sua leadership credibile agli occhi del popolino che ormai non crede più alle parole e vuole i fatti concreti finora mai concessi. Non ha messo la polvere sotto il tappeto, ha fatto le pulizie pasquali e si è impadronito del potere politico e contemporaneamente di quello del business.

Dopo la ” DAVOS DEL DESERTO” dei giorni scorsi in cui MOHAMMED BEN SALMAN aveva presentato la sua “Vision 2030” a 2000 possibili investitori accorsi da ogni parte del mondo, il giovane, audace quasi monarca, ha capito che doveva presentare veri fatti concreti a pena di vedersi rinfacciare il libro dei sogni.

Ha colpito duro e tagliato le gambe ai figli del re predecessore oltre che al cugino-concorrente attuale e con l’occasione inferto un colpo ai Ben Laden sempre in odore di vendetta del sangue e a Al Waleed e Al Amoudi che rappresentano una enorme fortuna economica.

Adesso manca solo che perfezioni il colpo destituendo, forse con le buone, il padre.

L’ostacolo residuo è costituito dalla componente religiosa wahabita che fino a ieri era il suo bastione principale. Evidentemente pensa di convincerli a autoriformarsi o convincere gli americano che si sono autoriformati…da soli.

Finora MBS ( d’ora in poi lo chiameremo così) si è contraddistinto per l’audacia con cui ha fatto le pentole e per la sistematica mancanza dei coperchi, specie in politica estera. Ora vedremo se ha imparato a fare il lattoniere a regola d’arte.

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