La guerra dei due islam, di Bernard Lugan

Volgiamo ancora una volta lo sguardo all’Africa. Se il confronto multipolare non vuole arrivare ad uno scontro diretto distruttivo e catastrofico deve trovare le proprie valvole di sfogo nelle varie periferie del mondo, in un quadro comunque di sempre maggiore consapevolezza delle classi dirigenti in quelle aree, ben più chiara e disincantata che nel periodo post-coloniale. I paesi, come quelli europei, che hanno deciso di tagliare drasticamente i ponti e i legami commerciali con la Russia e ridurre quelli con la Cina dovranno necessariamente rivolgere lo sguardo e le mire verso l’Africa. Lo faranno al guinzaglio del loro padrone statunitense e ritroveranno in quell’area i nemici più o meno costruiti dalle strategie americane, ma con il pesante retaggio del loro passato coloniale e la realtà della loro debolezza politica, militare ed economica. Buona lettura, Giuseppe Germinario

Il terrorismo islamico attualmente attivo in Mali, Niger, Ciad, Burkina Faso, Nigeria, in Camerun, ma anche più a sud, nella fascia sahelo-guineana è giustificata dai suoi autori in nome della natura stessa della religione. Si oppone a un radicato Islam africano e a un Islam arabo importato

Islam purificato e islam eretico

Per quanto riguarda la sua componente religiosa, il fenomeno jihadista in cui osserviamo
tutto il Sahel è quello di un tentativo di presa controllo delle popolazioni musulmane da parte dei sostenitori di un Islam importato dall’Arabia. Per quest’ultimo, l’Islam tradizionale dell’Africa occidentale deve effetto da “purificare” perché eretico per due grandi ragioni:
1) In Africa occidentale, all’interno del sunnismo quasi esclusivo, domina il malekismo, scuola di diritto Musulmano che, oltre alla sunnah e agli hadith, utilizza anche nella sua giurisprudenza la consuetudine degli antichi abitanti di Medina. Trasposta in Africa, questa scuola naturalmente ha preso conto delle usanze preislamiche locali, che spiegano l’esistenza di questo Islam festivo, terapeutico e perfino taumaturgico denunciato dai
Wahhabiti.
2) Anche l’Islam tradizionale dell’Africa occidentale lo è largamente influenzato dal sufismo, che prese il sopravvento modulo di borsa di studio. Così è con il Tijaniyya,
maggioranza in Senegal e fortemente radicata in Camerun dove ancora la dominazione dei Fulani e degli Hausa.
Il suo fondatore, Ahmed al Tijani, ha affermato discende da Hassan, nipote del Profeta
Maometto. Nel 1881, lo stesso Profeta sarebbe sembrato dirgli che lo era stato scelto per essere, presso di lui, l’intercessore dei credenti che hanno seguito il suo cammino: «Sii mio vicario sulla terra (…) sarò il tuo intercessore con Dio “.
Il Profeta gli avrebbe poi insegnato il rituale religioso della confraternita che gli ordinò di fondare in un modo nuovo che gli rivelò. Scorso portatore della parola divina, è Ahmed al Tijani quindi indicato dai suoi seguaci come il “sigillo dei santi (“khatm al-awliya”), quello che completa la trasmissione del messaggio divino.
A Fez, intorno alla sua tomba, i pellegrini girati verso la Mecca per rivolgerti ad Allah
chiedendo ad Ahmed al Tijani e al Profeta di intercedere in loro favore.
Per i wahhabiti, associando il nome di Allah e il Profeta a colui che considerano un
“ciarlatano”, è sia blasfemia che politeismo perché ad Allah, Dio unico, meritevole di Sola preghiera e invocazione, è vietato chiedere altri ciò che appartiene solo a Lui.
La purificazione di questo Islam che considerano come essere “deviante” ed “eretico” è quindi per loro una necessità che passa attraverso il ritorno al solo Corano e dal rifiuto di ogni tradizione umana, inquinando per definizione il messaggio divino.
Il wahhabismo si sviluppò contro le usanze locali. Vieta severamente la costruzione
di mausolei funerari, sostiene un rapporto diretto del credente a Dio vietando gli intermediari, quindi marabutti e altri santi venerati dall’Islam africano. Allah, unico dio meritevole esclusivo di preghiera e invocazione; infatti non è questione di chiedere agli altri cosa che appartiene a Lui. Anzi, l’unico peccato irrinunciabile per l’Islam è associazionismo (shirk). Lo sconto causa dell’unità divina (tawhid) dall’introduzione
di una sacra mediazione tra i fedeli e Dio.
Nasce così il concetto di innovazione biasimevole (Bid’a) indica qualsiasi credenza, pratica o consuetudine, che non sia basata su una datazione precedente dal tempo del Profeta.
Per i wahhabiti, tutto ciò che non è prescritto nel Corano deve essere combattuto ed è per questo che i mausolei funerari dei santi intercessori devono essere rasi, come è stato il caso a Timbuctù nel 2012.
Le confraternite vengono così duramente attaccate. I loro maestri sono chiamati stregoni a causa del loro culto della possessione, uso dei tamburi, danza, credenza negli amuleti e
spiriti. Inoltre, il loro rifiuto delle barbe lungo, la “fattorizzazione”[1] delle preghiere in moschea, il rito della morte che prevede il funerale tre giorni dopo la morte, e non nella
ore che lo seguono, li fa considerare come “eretici” dai sostenitori delle varie correnti wahhabite.
Un Islam importato e rivoluzionario
L’introduzione dell’Islam wahhabita in Africa risale all’era della Guerra Fredda. Nel
contesto della lotta allora condotta dall’Arabia, alleato saudita dell’Occidente e l’Egitto laico del Colonnello Nasser, la dinastia Saud ha cercato di farlo bypassare l’Egitto da sud, esportando a sud del Sahara la sua ideologia di stato, il Wahhabismo.
Nel maggio 1962, alla Mecca, la Lega mondiale musulmana. Nel gennaio 1973,
si è tenuta a Riyadh una Conferenza Mondiale della Gioventù Musulmana. In questa occasione si definiva una vera politica missionaria con la costruzione di moschee e scuole coraniche libere Wahhabite.
Il successo del wahhabismo è ampiamente spiegato dal suo ruolo sociale a favore delle piccole élite declassate. Nel moderno sistema educativo, la stragrande maggioranza di coloro che frequentano la scuola ne sono sprovvisti uso. Per quanto riguarda la scuola coranica tradizionale, la medersa, è del tutto inadatto perché, se i bambini imparano sicuramente l’arabo e il Corano lì, è proprio così la frequenza, tuttavia, non dà accesso a
lavoro perché la società riconosce solo i diplomi rilasciati per tipo di istruzione
occidentale.
Dopo aver analizzato attentamente la situazione, i wahhabiti fondarono quindi scuole coraniche in cui è certamente insegnato l’Islam rigoroso, ma anche scienza moderna. Paradossalmente, il ritorno alle fonti religiose permette un’apertura a conoscenza, quindi al lavoro.
Questo Islam radicale sintetizza le delusioni, le delusioni e le frustrazioni delle popolazioni del Saharosahel. Offre loro un cambio di paradigma. Quindi, lungi dal negare la loro arretratezza, lo spiega: se alcune aziende sono in stallo, è perché volevano imitare l’Occidente. Essi devono quindi interrogare l’ordine economico e politico mondiale con i suoi valori, aderire o ritorno alle radici dell’Islam.
Contemporaneamente a questo interrogatorio, gli standard elementi visibili del wahhabismo si stanno gradualmente affermando grande giorno: burqa, separazione di genere, nuovo riti funebri, preghiera notturna (tahajjud), tutto pratiche finora sconosciute a sud del Sahara.
Ormai ben consolidati, hanno spiegato gli imam sauditi, del Qatar e del Pakistan
popolazioni africane che la loro arretratezza è dovuta a questo che i loro capi volessero imitare l’Occidente. il passa così la via del progresso e della liberazione dal rovesciamento di quest’ultimo, dal rigetto del valori empi e dall’adesione all’Islam “autentico”.
Il successo di questo Islam importato sta gradualmente conducendo sulla creazione di un’identità africana artificiale musulmano arabo che incoraggia la vendetta precedentemente dominato. In nome di un Islam purificato e egualitari, questi ultimi sono incoraggiati a combattere i loro ex padroni che sono seguaci di un Islam “corrotto”.
Giovani musulmani sempre più arabizzati della zona sahelo-guineana vede così in questo
Islam rivoluzionario, il modo per sfidare il volte il potere degli ex gruppi etnici dominanti
(i Fulani in Camerun, i Mori e i Tuareg in Mali ecc.), un sistema religioso fraterno che
li imprigiona, e le oligarchie che sono al potere fin dall’indipendenza.

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Yassin al-Haj Saleh: l’islamismo è islam?

Yassin al-Haj Saleh: l’islamismo è islam?

su suggerimento di Antonio de Martini

Foto D.R. Foto DR

L’Oriente letterario Nel suo ultimo libro, The Oppressed Imperialists, lo scrittore siriano Yassin al-Haj Saleh, un ex prigioniero politico che ha trascorso 16 anni nelle carceri del regime di Assad, ci offre una magistrale riflessione sulle condizioni storiche, politiche e ideologiche che hanno determinato l’emergere di movimenti islamisti.

Il jihadismo è il salafismo islamico? In altre parole, è la ferocia di organizzazioni belliciste islamiste come Daesh o al-Qaeda, se non l’espressione di un Islam autentico, almeno una delle potenzialità innate di questa religione? Per Yassin al-Haj Saleh, sono entrambi in errore quelli che dicono di sì e quelli che dicono di no.
Nel suo ultimo libro, Al-Imberyaliyoun al-makhouroun (The Oppressed Imperialists), questo scrittore siriano ed ex prigioniero politico che ha trascorso sedici anni nelle carceri del regime di Assad ci offre una riflessione magistrale sulle condizioni storiche, politiche e ideologiche che hanno determinato l’emergere di movimenti islamisti e, così facendo, travolge molte idee accettate sull’islam e ci consente così di dare uno sguardo un po ‘più lucido sul mondo in cui viviamo.
Secondo Yassin al-Haj Saleh, l’islamismo è un’invenzione moderna inseparabile dal crollo dell’Impero Ottomano e dall’emergere, durante il periodo tra le due guerre, di stati-nazione nel mondo arabo. Contro l’ipotesi storica che considera gli islamisti come una semplice manifestazione di una immutabile religione musulmana, attraversando i secoli pur rimanendo sempre identica a se stessa, al-Haj Saleh afferma che i movimenti, le organizzazioni e i gruppi islamici, jihadisti o no (la Fratellanza Musulmana, il Wahhabismo, al-Qaeda, Daesh, Jabhat al-Nusra, ecc.), nonostante le loro differenze dottrinali, tutti condividono la stessa visione implicitamente basata sulla sacralizzazione del moderno stato-nazione, o meglio, per fondarlo su un carattere fortemente religioso. Infatti, dice l’autore, volendo rendere il testo coranico una costituzione, la sharia (civile e penale) e Dio il governante politico, equivale a islamizzare lo stato laico (specialmente nella sua versione totalitaria, nazista o sovietica ) così come alcuni concetti chiave della moderna teoria politica, e in nessun modo rappresenta un ritorno alla purezza di uno stato islamico originale quale esisteva realmente in un particolare momento della storia.
Tuttavia, questa islamizzazione di alcuni elementi della modernità politica è resa irriconoscibile perché gli islamisti ricorrono a un processo di rimodellamento dell’Islam che li fa apparire, ai loro occhi come a quelli degli altri, come il prodotto necessario e l’espressione autentica di questa religione. È quindi facile fraintendere e credere che la violenza delle organizzazioni jihadiste sia direttamente derivata dalla stessa religione musulmana o, al contrario, inorridita dalla portata di questa violenza, a negare qualsiasi relazione tra queste organizzazioni e l’Islam. In realtà, l’islamismo jihadista è l’Islam e non lo è: l’ideologia salafita è composta da elementi di tutta la religione musulmana, ma sono strutturati insieme in modo da creare una dottrina storicamente nuova.
Secondo al-Haj Saleh, questa dottrina giustifica la violenza senza generarla; le cause di quest’ultima non sono religiose, ma storiche, politiche e sociali. Nella maggior parte dei paesi arabi, gli stati sono “privatizzati”, quindi non sono semplicemente regimi oppressivi e dittatoriali, ma un caso piuttosto singolare in cui tutte le istituzioni pubbliche sono, di fatto, di proprietà privata di una piccola minoranza (il più delle volte una famiglia) che usa queste istituzioni con il solo scopo di arricchire se stesse e il proprio potere, e tratta la stragrande maggioranza dei cittadini come se fossero una minoranza, privandoli di tutti i loro diritti politici. Queste oligarchie non possono resistere senza esercitare sul popolo una violenza periodica che talvolta raggiunge le dimensioni di un genocidio, né senza il sostegno delle potenze occidentali che vedono in ognuno di questi regimi presumibilmente laici una garanzia di stabilità politica, una diga contro la proliferazione dell’estremismo religioso, nonché un alleato nella “guerra al terrore”. A questo si aggiunge il fatto che noi arabi stiamo vivendo attualmente in un deserto intellettuale e ideologico, e tutte le condizioni saranno quindi soddisfatte per creare una situazione esplosiva in cui l’islamismo jihadista apparirà a molti come l’unica forma possibile di ribellione.
D’altronde gli islamisti, dice al-Haj Saleh, sono a immagine dei regimi che si propongono di combattere: come implica uno slogan come “L’Islam è la soluzione”, il loro obiettivo non si riduce a poter partecipare pienamente alla vita politica, ma piuttosto a prendere in mano lo Stato nella sua interezza, cioè ad islamizzarlo. E quando ci riescono, riproducono lo stesso tipo di stato di sicurezza che volevano rovesciare, uno stato che si comporta nei confronti della popolazione come una forza di occupazione estremamente repressiva e sanguinosa. Di questo, Daesh è un’illustrazione esemplare.
RIFERIMENTI
Al-Imberyaliyoun al-makhourun: fi al-mas’ala al-islamiya wa zuhour tawa’ef al-islamiyin (gli imperialisti oppressi: sulla questione islamica e l’emergere delle sette islamiste) di Yassin al-Haj Saleh , edizioni Riad el-Rayyes, 2019, 336 p.

ANDROMACA, OGGI, di Antonio de Martini

ANDROMACA, OGGI.

L’Europa ha appena abborracciato una soluzione per le ondate di profughi giunte dal Vicino Oriente che si profila la nuova ondata dei reduci della guerra di Siria che finisce.

Circa 30.000 uomini, induriti da tre/sei anni di combattimenti, col sistema nervoso danneggiato dal Captagon – la droga del jihadista- e con disponibilità di denaro sufficiente a comprarsi una nuova identità si affacceranno sul resto del mondo. Vediamo dove.k

Tra questi, immaginiamo che il grosso voglia stabilirsi nei Balcani dove la vita è più simile e i documenti meno costosi. Diciamo diecimila soggetti.

Altri diecimila vorranno tornare alle loro case in Tunisia, Marocco o Libia.

Una aliquota tornerà in Europa ( Inghilterra e Francia principalmente) e un’altra fetta si insabbierà in loco o vorrà continuare la lotta in Afganistan, Somalia o altre zone calde.

I piu decisi verranno in Europa.

Vogliamo dire che solo quattrocento ( su trentamila) verranno da noi ?

Ora sì che si confonderanno tra i profughi e nella migliore delle ipotesi contribuiranno a creare una nuova criminalità comune.

Quale sarà la sorte delle spose dei combattenti rimaste vedove e con bambini in tenera età ( da sei mesi a cinque anni).

Possiamo calcolarne ventimila?

Gli USA hanno avuto un problema grave di insufficienza di fondi, inefficienza e trascuratezza coi loro stessi veterani e certamente non si occuperanno dei reduci delle loro truppe mercenarie, figuriamoci se vorranno pensare alle vedove della jihad.

Irretite in giovanissima età ( 16/18) da mullah senza scrupoli che le hanno offerte ai combattenti, promettendo loro il paradiso, si trovano in terra straniera ( la Siria) certamente madri e senza mezzi di sostentamento.

Se tornassero a casa ( Marocco, Tunisia, Libia, U.K) ” disonorate” e con prole verrebbero uccise dagli stessi parenti assieme ai figli.

Nei campi profughi dei paesi limitrofi in cui tentano di sopravvivere coloro che sfuggirono alla loro guerra, verrebbero linciate.

La prostituzione in un paese devastato e impoverito dalla guerra non è un’opzione realistica.

Essere ridotte in schiavitù con un pugno di riso da contendersi col figlio in questo inverno, è la prospettiva più rosea che le attende.

Mi aspetto che i governi “democratici”, i giornali progressisti che hanno appoggiato la guerra, le organizzazioni femministe, l’Unicef dei salotti, la TV, l’organizzazione ONU per i rifugiati, dicano almeno una parola, ma credo che ignoreranno le dirette conseguenze questa parte della loro crociata anti Assad.

Presto avranno una nuova santa causa democratica per cui commuoversi e poi ….è Natale.