Riequilibrio, di SIMPLICIUS
Una mano nascosta ci muove da oltre il velo dell’invisibile. Attraverso il purdah metafisico che isola la nostra realtà dal substrato sottostante, siamo governati dalle sue leggi segrete. Gli antichi hanno colto la più fondamentale di queste come la media aurea, o qualche sua variante; il custode di pesi e contrappesi, la corda tesa di una tensione armonica che funge da autoregolamentazione dell’ordine. Quando questo equilibrio viene alterato o distrutto, le cose vanno in tilt.
Riflettere: Nella vita, i momenti di massima bellezza si trovano spesso all’incrocio di polarità opposte o di tensioni contrastanti. Questi sono gli zenit metafisici dell’esperienza, dove la natura raggiunge le sue vette crescenti; istanze di perfezione tragicamente fugaci e per questo ancora più rare e belle.
Prendiamo il cibo: alcuni dei migliori chef del mondo insistono sul fatto che le prelibatezze più pregiate sono in equilibrio sul fragile filo del deterioramento e della decomposizione, come ad esempio i formaggi ben stagionati. Un attimo in più lo fa marcire, un attimo in meno e diventa imperfettamente incompiuto.
Allo stesso modo, l’apoteosi magica dell’estate nell’emisfero settentrionale vive per poco tempo, poiché la marea del Solstizio ha già iniziato a portare indietro l’orologio. I giorni ora si accorciano, lasciando sulla loro scia la breve scintilla di una promessa, un momento di perfetta unità di tutte le forze della natura che si scontrano in direzioni opposte, sovrapponendosi brevemente: effimero, e per questo ancora più prezioso.
Anche la vita sembra maturare nel punto in cui l’età e la giovinezza si scontrano, lasciando l’espressione più pura del godimento come una precarietà transitoria, da afferrare a fatica prima di essere spazzata via. Si entra nel vivo, si impara a conoscere la propria identità, i propri gusti e le proprie preferenze, i propri bisogni e le proprie necessità, si batte e si cristallizza la propria sicurezza e la propria personalità, proprio nel momento in cui gli anni iniziano a superarci, e la giovinezza, per la quale questi consolidamenti del carattere sarebbero stati la più pronta scintilla di gioia espressiva, è ora a lungo nell’ombra, derubata per sempre della sua vivacità.
La natura è ferocemente protettiva nei confronti dei suoi tesori più rari, nella cui penombra abitiamo per sempre.
È con questo spirito che custodiamo tutti i doni effimeri della vita. Le fessure tra il tempo e l’attualità, create – come se fossero state progettate – per farci apprezzare ciò che era stato ottenuto e poi perso. L’abisso tra il “era” e il “avrebbe dovuto essere”. Sbocciare e cogliere l’apice del potenziale, come un insetto che gesta per anni per esplodere tumultuosamente in forma per un breve periodo, per poi morire altrettanto rapidamente.
In ogni angolo troviamo riflessi di queste verità: tensioni naturali in competizione che tengono in piedi l’impalcatura. Queste dualità sono sempre più sotto attacco da parte dell’élite manageriale, degli armeggiatori sociali e dei farisei culturali che cercano di tagliare i legami che ci uniscono al palladio del nostro passato spirituale, di ridefinire i nostri miti e le nostre tradizioni e di cancellare i progetti immemorabili che hanno guidato i nostri istinti fin dalla notte dei tempi.
Più si va avanti, più ci si rende conto di quanto siano stati realmente contrari alla natura molti dei movimenti e dei concetti generati dall’Illuminismo; il culto del progresso della modernità ne è un esempio lampante. Di recente ho richiamato l’attenzione sullo spoglio di Alastair Crooke di un paio di pensatori centrali legati al movimento e alle sue propaggini. Egli affronta abilmente l’idea che gran parte dell’ideologia di Rousseau sia in realtà una foglia di fico per la de-civilizzazione dilagante:
Il rapporto familiare si trasmuta così sottilmente in un rapporto politico; la molecola della famiglia viene spezzata negli atomi dei suoi individui. Con questi atomi oggi ulteriormente preparati per liberarsi del loro genere biologico, della loro identità culturale e della loro etnia, essi vengono riuniti di nuovo nell’unica unità dello Stato.
Questo è l’inganno che si nasconde nel linguaggio del liberalismo classico sulla libertà e l’individualismo – la “libertà” viene comunque salutata come il principale contributo della Rivoluzione francese alla civiltà occidentale.
Eppure, perversamente, dietro il linguaggio della libertà si nascondeva la de-civilizzazione.
L’eredità ideologica della Rivoluzione francese, tuttavia, fu una radicale de-civilizzazione. L’antico senso di permanenza, di appartenenza a un luogo nello spazio e nel tempo, è stato cancellato per lasciare il posto al suo esatto contrario: la transitorietà, la temporaneità e l’effimero.
Il link è a un altro brillante pezzo di Substack, scritto dall’importante professore e sociologo Frank Furedi, che si concentra su questo ben più pernicioso degli impulsi telici nascosti nel tessuto dei grandi gesti liberatori e degli appelli umanistici dell’Illuminismo:
Scrive:
Kenneth Clark, nel suo affascinante Civilisation (1969), ha associato la civiltà a “un senso di permanenza”.
Aggiungeva che “unuomo civile, o almeno così mi sembra, deve sentire di appartenere a qualche parte nello spazio e nel tempo; deve guardare consapevolmente avanti e indietro“. Come ho notato in diverse occasioni in Roots & Wings, la cultura occidentale ha adottato una visione profondamente presentista e non guarda né avanti né indietro. Il senso di permanenza ha lasciato il posto al suo esatto contrario: la transitorietà, la temporaneità e l’effimero.
Nel suo saggio, Furedi arriva a qualcosa di criticamente importante: l’uomo senza un senso di permanenza perde ogni stabilità, la sua valenza per il mondo :
Nel corso della storia dell’umanità, il senso di permanenza è stato il presupposto per consentire alle persone di sognare la possibilità di creare qualcosa di duraturo e costruito per il futuro. Sulla base di un passato condiviso, le società possedevano una forma di coscienza che incoraggiava il tentativo di costruire un ponte temporale tra il presente e il futuro.
Senza un senso di permanenza c’è poco incentivo a stabilirsi, a sviluppare società agricole o a costruire templi e città. Il prerequisito per lo sviluppo e la riproduzione di un senso di permanenza è la coltivazione di un legame organico tra presente e passato. Questo risultato di civiltà è essenziale per dare un senso all’esistenza umana e per sviluppare identità sociali e individuali stabili. Al contrario, la decivilizzazione fiorisce nei momenti storici in cui le comunità faticano a dare un senso alla propria esistenza.
È l’ablazione totale dell’uomo, la cancellazione dell’istinto radicato, della tradizione e del mythos culturale. Uso spesso la parola “radici”, che credo serva come simbolo adatto per la “permanenza” e che può essere abbastanza scambiata.
Ciò che Furedi descrive sopra può essere riformulato come segue: se vi imbatteste in un terreno argilloso molto umido e sprofondante, ci costruireste sopra le fondamenta della vostra casa? Certo che no; sapreste che la casa non durerà, non c’è alcuna prospettiva futura che rimanga salda e in piedi per la prossima generazione dei vostri figli; non è sicura, non è permanente.
La stessa logica si applica alle categorie più astratte e metafisiche della permanenza. Se sapete che lo spazio in cui vi siete stabiliti culturalmente non ha un futuro che possa sostenere la crescita della vostra prossima generazione nel modo in cui si suppone che la vera cultura debba fare, ad esempio infondendo loro una conoscenza generazionale che arricchisca il loro percorso di vita, approfondendo la loro comprensione, alleviando i loro travagli e i loro momenti di sofferenza, ecc.
Furedi produce molti interventi ricchi di significato, colpendo qui il culto del progresso, così spesso oggetto del mio biasimo, che egli attribuisce a un feticcio:
La diminuzione del senso di permanenza è stata inversamente proporzionale all’ascesa della coscienza del cambiamento. Oggi sembra spesso che se qualcosa è permanente è la permanenza del cambiamento. La percezione che la cultura sia discontinua influenza il comportamento della vita pubblica. Questa percezione è sostenuta dalla trasformazione dell’idea di cambiamento incessante in un vero e proprio feticcio. Per oltre un secolo, generazione dopo generazione, è stato detto e creduto che la loro era fosse unica, caratterizzata da un rapido cambiamento senza precedenti. La percezione del rapido cambiamento va di pari passo con la tendenza a dichiarare superate e obsolete le conquiste culturali precedenti.
In un altro articolo, intitolato La civiltà occidentale sarà conquistata dall’interno, Furedi fa notare un’importante scoperta dei suoi studi: che la principale differenza tra la civiltà occidentale e quella degli altri è la sua unica separazione tra Chiesa e Stato :
Il mio interesse per il disarmo morale dell’Occidente mi ha inevitabilmente portato a esplorare il significato della civiltà che ne è alla base. Attraverso i miei studi mi è apparso subito evidente che la civiltà occidentale è diversa dalle altre sotto molti aspetti, ma probabilmente la sua caratteristica più importante e unica è la sua tradizione secolare di separazione tra la sfera religiosa e quella secolare. A sua volta, la separazione di queste due sfere distinte e la sua codificazione hanno creato il presupposto per la successiva e graduale diminuzione del potere della religione.
Lo storico francese Fernand Braudel “ha sostenuto che ‘fin dallo sviluppo del pensiero greco’ la ‘tendenza della civiltà occidentale è stata verso il razionalismo e quindi lontano dalla vita religiosa’” e che “nella storia del mondo al di fuori dell’Occidente non si trova un allontanamento così marcato dalla religione”.
Quasi tutte le civiltà sono pervase o sommerse dalla religione, dal soprannaturale e dalla magia: ne sono sempre state impregnate e ne traggono i motivi più potenti della loro psicologia particolare”.
Egli sottolinea inoltre come l’Islam e l’India siano esempi di civiltà che continuano ad attingere alle “risorse morali” che la loro religione mette a disposizione, mentre è solo l’Occidente ad aver abbracciato totalmente lo scientismo e il razionalismo dell’Illuminismo sopra ogni altra cosa.
Ciò che è realmente accaduto è che l’uomo occidentale ha semplicemente trasmutato la ricerca dell’ineffabile nella religione nel regno dell’empirico e del razionale; in breve: la “scienza” di tutti i tipi è diventata la nuova religione e il dogma secolare ha sostituito la ricerca spirituale interiore.
Ma ci torneremo tra poco.
A proposito del feticcio del cambiamento, che si affianca all’ossessione “cultuale” per il “progresso” insensato, abbiamo un altro incisivo articolo di Substack che, per caso, ha coinciso con i miei pensieri di questa settimana. L’ultimo articolo di Mary Harrington, The Reactionary Feminist, mette a fuoco molti di questi punti da una prospettiva unicamente femminista regredita:
In questo caso, l’autrice sottolinea il punto precedente: il Progresso è solo un surrogato, un pastiche del filone teologico. Ma, al di là di questa osservazione di routine, l’autrice fa un collegamento affascinante e inedito: il culto del progresso non è semplicemente la continuazione del filone teologico, ma, nello specifico, di quelloescatologico :
In effetti, il fatto che il “progresso” possa essere valutato solo dall’occhio onniveggente di un essere divino ci dà un indizio: il “progresso” è una continuazione della teologia con altri mezzi. In particolare, la struttura del “progresso” è una versione dell’escatologia cristiana.
Non si tratta affatto di un’osservazione originale. Christopher Lasch ha descritto il “progresso” come “una versione secolarizzata della credenza cristiana nella Provvidenza”. È tipicamente cristiano vedere la storia in termini lineari, come se iniziasse con la creazione e assumesse la forma di una lotta morale ascendente che si conclude con una grande rivelazione e la fine di ogni peccato e sofferenza.
È una conclusione che lascia senza fiato perché ha molto senso, per una volta, equiparare logicamente il fanatismo assoluto dei più ferventi devoti del culto del progresso: attraverso il transfert psicologico hanno proiettato il paradigma colpa-peccato-salvezza, inconsciamente radicato nell’Occidente, sulla tabella di marcia scientifica per la redenzione utopica della società. È il transumanesimo tecnocratico come rivelazione e salvezza in uno: il Rapimento cibernetico.
E questa è una storia religiosa che fa di tutto per nascondere il vero contenuto della sua teologia, che è lastessa mentalità tecnologica . Cioè, non un insieme di strumenti, ma una relazione con il mondo che ci circonda. L’articolazione più chiara che ho trovato di questo concetto proviene da Martin Heidegger, in La questione della tecnologia. Heidegger caratterizza l’essenza della tecnologia come una mentalità, che chiama Gestell, solitamente tradotto come “incorniciatura”. In questa mentalità le creature, gli ecosistemi, le risorse naturali e persino le persone ci appaiono non nel loro pieno essere, ma solo per come possono essere strumentalizzate per favorire il nostro progetto di padronanza e perfezione.
La fede nel “Progresso” richiede che assumiamo questa mentalità enframing come disposizione di base nei confronti della realtà. Come possiamo perfezionare questa vita se non padroneggiandola e reingegnerizzandola? Il progresso, quindi, è fondamentalmente un progetto tecnologico e contemporaneamente morale. Si tratta, infatti, di una visione del mondo profondamente religiosa, che finge solo di essere neutrale, scientifica e utilitaristica.
Ma è qui che si ricollega alla premessa operativa delle leggi naturali. L’ultima osservazione chiave di Harrington è fatta attraverso la lente femminista della maternità.
L’autrice premette di essere stata una convinta femminista classica, aderendo a tutti gli ideali emancipatori del post-strutturalismo: la necessità di liberare le donne dai ruoli sessuali normativi e dalle costrizioni di genere, nonché l’idea, dovuta a Rousseau, che siamo tutti esseri naturalmente separati e indipendenti – senza alcun senso di appartenenza reciproca innata – prima di “aderire” a un contratto sociale.
Ma poi si è scontrata con un muro: la realtà schiacciante delle leggi della natura l’ha colta di sorpresa, spazzando via le infinite astrazioni circolari del moderno “progresso” socio-scientifico:
Queste convinzioni si sono arenate, per me, sull’esperienza di avere un figlio.
Sono arrivata alla maternità tardi, a 38 anni. L’ho trovata difficile, ma anche trasformativa. Mi sonosentita rifatta nell’esperienza di relazione con mio figlio e attraverso la vita familiare, ma soprattutto in modi che mi sembravano radicalmente in contrasto con l’ideologia del progresso.
Ho scoperto che quando si ama un bambino dipendente in modo così viscerale da morire per lui, la “libertà” in questo senso sottile non significa nulla. Nel frattempo, il fatto di essere quasi morta di parto mi ha guarito da ogni residua convinzione che il sesso possa essere socialmente costruito. Ma come neo-mamma e femminista, ho faticato a capire quanto la maternità sia marginale per il femminismo moderno. Non riuscivo a collegare la comprensione rousseauiana della personalità liberale con la mia esperienza incarnata di non appartenenza a me stessa. Nella misura in cui il mio bambino aveva bisogno di me, non ero più libera – ma, come si è scoperto, non mi dispiaceva!
Sta usando la maternità per analogizzare una connettività molto più ampia, o risonanzaumana , comedice più avanti. Lo stesso altruismo che descrive può essere applicato ai partner, alle persone amate, persino alla società nel suo complesso: è l’idea di comunità, comunanza, unicità: tutte cose eliminate dall’individuazione del liberalismo.
Poi riunisce il tutto nel punto chiave e culminante:
Essere moderni, tecnologici, progressisti, significa vedere il mondo in termini di come può essere utilizzato permigliorarlo e realizzare il paradiso in terra. Che si tratti di minerali, animali, piante o altre persone, lamodernità mi invita a vedere le persone in termini di ciò che posso ottenere da loro. Ma la maternità è l’opposto di questo! Non mi occupo di mia figlia perché ho in mente un obiettivo utilitaristico, ma perché ci apparteniamo l’un l’altro – e questo rende la cura di lei una necessità anche per la mia esistenza.
Ma questo significa che anche la mentalità necessaria per crescere un bambino è in tensione con il mondo moderno. Essere madre di un bambino significa incontrare un essere assolutamente dipendente dove si trova e cercare di intuire, soddisfare e dare forma ai suoi bisogni (questo è ciò che si intende per “sintonia” negli studi sull’attaccamento). (Il filosofo Hartmut Rosa definirebbe questa forma di relazione come “risonanza”: un incontro con l’altro in cui entrambi siamo mossi dall’esperienza dell’essere dell’altro.
Ma questo significa che la maternità è in profonda tensione con la mentalità caratteristica della modernità, così come Rosa la delinea: un desiderio di controllare ogni aspetto dell’esistenza, e trattare la vita come “punti di aggressione” che devono essere affrontati: lavori da fare, problemi da risolvere, situazioni da controllare. Possiamo più o meno ricondurre tutto questo alla mentalità della Gestell descritta da Heidegger.
Questo è il sovvertimento del trucco dello scientismo della modernità e la sua usurpazione della metanarrativa spirituale che ha guidato il nostro passaggio per millenni. È ciò che ha fatto nascere il materialismo dialettico scientifico di Marx, il freddo rigore del mckinseyianesimo e tutte le altre malattie moderne responsabili della riduzione della condizione umana a un calcolo, privilegiando il “progresso scientifico” nella forma di un “progresso” perpetuo rispetto a quello dello sviluppo spirituale.
Harrington spiega come gli impulsi biologici fondamentali dell’uomo siano in contrasto con i regimi psicologici imposti che siamo costretti ad adottare per “prosperare” in un ambiente moderno, privo di spirito e antiumanistico, volto a trasformarci tutti in obbedienti narcisisticamente “liberati”:
La mia teoria (non molto scientifica) sullo stato sognante e non mondano della coscienza delle neomamme, a volte definito con accondiscendenza “cervello del bambino”, è che sia un effetto del mondo poco ospitale che abbiamo creato per la risonanza. Come madre, sentite il bisogno viscerale di entrare in risonanza con il vostro bambino; ma farlo, oggi, significa percorrere una distanza mentale incalcolabile dalla coscienza necessaria per funzionare efficacemente nella modernità, allo spazio mentale in cui dovete trovarvi per sintonizzarvi con il vostro bambino e quindi essere in grado di intuire i suoi bisogni.
All’inizio è difficile da comprendere, perché la narrazione progressista adotta – o meglio ,si appropria e coopta – laposizione secondo cui il movimento si occupa di connettere la società attraverso la “risonanza”; dopo tutto, è il “progressismo” che nobilmente difende l’equità e solleva gli emarginati, proteggendoli dall'”odio” e dal “bigottismo”. Sulla carta, sembra che il movimento abbracci il tipo di interdipendenza che Harrington cita come così in disaccordo con la modernità. Ma scavando più a fondo, si scopre subito che la prassi effettiva su cui si fa affidamento per promuovere queste iniziative apparentemente benintenzionate è quanto di più volatile e ostile possa esistere alla vicinanza e alla famiglia.
Non solo il progressismo semina vaste divisioni, ma la natura radicale e rivoluzionaria di queste iniziative forzate spesso richiede che le famiglie non conformi vengano fatte a pezzi: basti pensare a ciò che accade quando i genitori non sono d’accordo con le “cure per l’affermazione del genere” per il proprio figlio. Piuttosto che essere progettate per rendere comune la società, queste iniziative sono in realtà sovvertimenti mirati per eliminare l’opposizione.
In secondo luogo, anziché promuovere uno stile universale di “risonanza” con il prossimo, il progressismo moderno si limita a promuovere una “risonanza” di gruppo tra l’avanguardia rivoluzionaria che funge da minoranza sociale, spingendo al contrario per un’aperta ostilità contro tutti gli altri. In questo modo, il movimento si arricchisce di un senso di tribalismo radicale, piuttosto che del tipo di risonanza umana universale che la natura ci ha donato.
Senza contare che, spingendo gli esseri umani nelle braccia delle corporazioni e del grande governo socializzato, il progressismo moderno contraddice le sue stesse pretese di “emancipazione” umana e i nobili ideali di individualità: non si può essere un “individuo” libero quando si è resi dipendenti, come servi della gleba neofeudali, dai partner e dalle alleanze transazionali delle grandi corporazioni e del grande governo.
L’ironia finale è che il “liberalismo” classico, che promuoveva le libertà individuali e il governo limitato, è passato al moderno “liberalismo sociale” che promuove il suo esatto opposto: enormi meccanismi di regolamentazione per controllare i “mandati di giustizia sociale” con una massiccia spesa governativa per programmi socializzati per sovvenzionare la classe “svantaggiata”, vittima perpetua. E poiché il progressismo è essenzialmente considerato un’ala del moderno liberalismo sociale, ciò significa che il progressismo è per definizione illiberale al massimo grado nel senso classico del termine. Si tratta di controllo: misure governative forzate per creare un’utopia di “equità” scientificamente quantificata.
Harrington conclude ribadendo il punto chiave:
Poi mi ricordo che viviamo in un mondo ordinato al Progresso, cioè alla ricerca religiosa del paradiso in terra, attraverso la logica strumentalizzante ed estrattiva della tecnologia. Unamentalità strutturalmente in contrasto con una mentalità fondata sull’interdipendenza, e quindi sul limite della relazione.
Questo ci riporta all’enigma principale della modernità: l’ascesa di uno sfrenato transnazionalismo corporativo-finanziario ha portato all’armamento del concetto di “indipendenza” allo scopo di renderci schiavi della quota di lavoro salariato estrattivo. Quasi tutti i movimenti di “liberazione” non sono stati altro che una campagna di astro-turfing delle multinazionali per spremere maggiori profitti, efficienza e, in ultima analisi, valore dal loro bestiame umano. La liberazione delle donne aveva lo scopo di raddoppiare le entrate fiscali, non esentando l’altra metà fungibile della popolazione; gran parte del movimento “marxista culturale” aveva lo stesso compito di spezzare l’unità familiare, minando l’autorità del padre – e alla fine anche quella dei genitori – per garantire che la nidiata crescesse in malleabili guardiani dello Stato.
Ma l’imposizione forzata di questi regimi sociali ha spezzato la delicata rete della legge naturale, sconvolgendo le gerarchie sociali tra i sessi, i membri della famiglia, i ruoli sociali, eccetera, il tutto per la decostruzione scientifica e “critica” di ogni e qualsiasi tradizione sulla base dell’annullamento di tutto ciò che è venuto prima.
L’ultimo pezzo dei Substack di Archedelia colpisce proprio questo aspetto :
Nel normale corso della società umana, si nasce in una cultura che ha preparato la strada per noi. Vi inizia alla sua lingua e vi racconta la storia da cui venite. Il mondo è saturo di significati grazie a una catena di nascite che risale nel tempo, ogni generazione delle quali è iniziata e cresciuta attraverso atti d’amore: al momento del concepimento e nel lavoro continuo di insegnamento, trasmissione e cura. In altre parole, il mondo è accogliente. È stato costruito dai vostri antenati, che vi hanno immaginato molto prima del vostro arrivo. Si sono chiesti che tipo di lavoro avreste potuto fare, prima che voi sapeste che esiste il lavoro. I vostri genitori potrebbero aver riconosciuto l’eco di un fratello o di un genitore nel vostro viso mentre cercavate il capezzolo. Vi hanno sorriso.
Questo senso di un mondo tramandato nell’amore si interrompe quando i contorni e le possibilità fondamentali della vita sembrano essere ordinati da forze impersonali.
Liberandoci dalla saggezza dei nostri antenati, ci hanno messo al servizio della macchina leviatanica, creando un tecno-nichilismo hobbesiano con accenti faustiani. Ora il panico della fallacia dei costi irrecuperabili impedisce loro di ammettere fatalmente che non hanno un percorso praticabile per il futuro; invece, andranno avanti, fingendo competenza e fiducia nel loro elefante bianco utopico. Ma il progetto di rimodellare un genere umano cancellato dalla memoria comune è come seminare un terreno incolto e salato e aspettarsi un raccolto abbondante. Gli equilibri devono essere ristabiliti, per evitare che il mondo vada in pezzi a causa dell’aggravarsi dei fattori di stress dell’imminente disastro di risonanza meccanica.
Gettate la mano nel fiume, mistico e inconoscibile, ma sempre familiare. Sentite il respiro fluente della vita che passa, portando con sé l’essenza alluvionale del restauro e del rinnovamento, che macchia il terreno sotto i nostri piedi con il limo del nostro diritto di nascita. Il sole si ritirerà da un momento all’altro; qui si trova – per poco tempo – il crocevia della nostra eventualità, la vampata temporale della vita vibrante, mentre si allunga, si inarca verso la sua infinità.
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