Covid 19_Lettera al Presidente, del dr Giuseppe Imbalzano

Il male non è soltanto di chi lo fa, è anche di chi, potendo impedire che lo si faccia, non lo impedisce.
Tucidide
Ill.mo Sig. Presidente.
Mi rivolgo a Lei perché molto di quanto debba essere fatto per mitigare la diffusione di questa epidemia non viene messo in atto.
Sono stato direttore sanitario di più aziende sanitarie in Lombardia, tra cui Lodi e Bergamo. Ho predisposto più piani di emergenza e il piano pandemico della influenza H1N1, attuandolo poi nello sviluppo degli interventi di mitigazione e gestione dei servizi sanitari specifici.
Sarò molto semplice nelle considerazioni. Posso fornire la documentazione relativa per dare atto di quanto scrivo in questa breve presentazione. Se mi verrà fornito un indirizzo mail invierò il libro “Il Covid 19-I costi del non fare o del non fare bene” e alcuni articoli in cui ho cercato di identificare tutti gli errori e gli elementi critici che hanno determinato questo disastro epocale che, purtroppo, non è ancora concluso. E che non si concluderà con la vaccinazione se non della intera popolazione.
La mancata capacità di gestione e di governo di questa infezione, che è comunque gestibile (come dimostrato da più nazioni dove l’epidemia è ben controllata), è correlata ad errori gravi che sono stati perpetuati nel corso di questi 15 mesi di disastro sanitario, economico e sociale.
La carenza di esperti di governo delle attività sanitarie territoriali e ospedaliere, della organizzazione e gestione delle criticità relative alle esigenze assistenziali, crea certamente un difetto nella riorganizzazione degli interventi e nella risposta coerente a tutte le esigenze che si manifestano e alle risposte che devono essere garantite per ridurre la diffusione epidemica.
È stato dimostrato che oltre il 50% dei nuovi casi (in Cina era superiore all’80%) avviene in famiglia, non durante gli incontri familiari sporadici, ma per la presenza di un singolo malato che poi diffonde la malattia agli altri componenti della famiglia. L’errore, gravissimo, è stato quello di utilizzare lo stesso modello, l’isolamento fiduciario domiciliare (l’assistenza del malato in isolamento fiduciario è la norma per i malati infettivi delle infezioni endemiche per le quali gran parte della popolazione è protetta, vaccinata o ha avuto le infezioni, come esempio le infezioni infantili), per una infezione che interessa una popolazione vergine con la relativa immediata diffusione (l’indagine Istat pubblicata in agosto indica le principali linee di trasmissione infettiva e individua nel 60% la trasmissione intrafamiliare).
Non voglio parlare di aperture o chiusure dell’Italia, ma di cosa debba essere riorganizzato nella gestione della epidemia, che è stata, ed è, la maggiore causa di questa condizione di tragedia che si sta protraendo ormai da oltre 15 mesi.
La riapertura delle attività in Italia pone gravi rischi, ed è la situazione economica a governare tale scelta, con molte distorsioni rispetto a quanto sia necessario fare.
Ma molte azioni sono mancate e mancano.
Le enumero e sono a disposizione per illustrare e approfondire
• La comunicazione è stata ed è del tutto inadeguata, il “dirigismo” non educa e crea reazioni incontrollate e prive di razionalità
• I Cittadini ancora non hanno compreso cosa sia questa infezione e come si diffonda e come evitare di diffonderla e di ammalarsi
• Mancano i piani operativi corretti locali e regionali per la gestione di questa epidemia
• Non riusciamo a prevenire i contagi
• Non siamo arrivati a tracciare e a interrompere la catena di trasmissione del virus
• Non riusciamo a testare i sintomatici e rintracciare i loro contatti in modo completo
• Non riusciamo ad assistere in modo adeguato i malati non ricoverati in ospedale, separandoli dai sani, e garantendo un rientro in famiglia solo quando il paziente è completamente guarito e non infettivo
• Non riusciamo ad individuare ambienti in cui assistere i possibili contatti da mantenere in quarantena e ad avere sufficienti luoghi di ricovero extraospedaliero per non creare cluster familiari, che, come abbiamo visto, hanno determinato quasi il 60% dei nuovi casi
• L’attivazione di USCA (Unità Speciali di Continuità Assistenziale), mediche ed infermieristiche ambulatoriali e domiciliari, in sostituzione della medicina generale classica per pazienti affetti da patologie infettive trasmissibili, non è stata completa e ben distribuita su tutto il territorio regionale e nazionale.
• Non abbiamo la garanzia che il 100% dei pazienti sia assistito adeguatamente in ambienti protetti per evitare ulteriori infezioni senza la creazione di cluster familiari o locali
• Sono stati distinti gli ospedali e le strutture sanitarie indirizzate unicamente ad attività di ricovero per malati infettivi senza creare, in alcun modo, ospedali misti?
• Il personale sanitario è garantito nella propria attività quotidiana, evitando ambienti sociali in cui è possibile la diffusione infettiva?
• Le informazioni e l’educazione dei Cittadini è adeguata e possiamo essere certi che i messaggi di protezione individuale e di prevenzione della infezione siano stati compresi e applicati? Ancora oggi le persone non sanno portare la mascherina in modo adeguato
• Il materiale di protezione è disponibile e garantito e ha un costo accettabile?
• È stato distribuito a tutti i cittadini non in condizione di acquistarlo (vediamo molti Cittadini con le stesse mascherine che usano ormai da mesi)?
• Le regole che sono state indicate sono sufficienti e sono state esposte in modo adeguato a chi dovrebbe seguirle?
• Viene garantito il controllo delle regole?
• Qual è il modello di gestione della comunità in attesa che sia dispensato a tutta la popolazione il vaccino e siano disponibili terapie adeguate, considerato che è indispensabile, durante e dopo la vaccinazione, mantenere un comportamento rigoroso per evitare nuovi cluster infettivi?
• La popolazione a rischio, anziani, malati cronici, immunodepressi, soggetti fragili, etc. è sufficientemente protetta e garantita?
• È garantita particolare attenzione alle esigenze sociali e cliniche dei pazienti fragili, non Covid, a domicilio per permettere di svolgere una assistenza che non conduca alla necessità di ricoveri ospedalieri?
• Considerato che dobbiamo attenderci nuove recrudescenze del virus, come dobbiamo operare per garantire l’intera popolazione e quella più suscettibile a subire i danni più gravi determinati dal virus?
• È stato attivato un servizio di sorveglianza e follow up dei malati che sono stati affetti da Covid?
Il nuovo modello di gestione “a colori”, in vigore da novembre, ha ridotto e controllato effettivamente il numero di casi o ha indotto comportamenti opportunistici che hanno consentito alle Regioni di ridimensionare la casistica effettiva delle infezioni e ottenere un riconoscimento “sbiadito” della colorazione delle proprie Regioni?
Valutazioni internazionali indicano come in Italia i casi effettivamente individuati sono circa il 50% di quelli effettivamente presenti (IHME Italy covid-19 results briefing April 15, 2021).
Dalla mia analisi personale alcune Regioni hanno percentuali di ricoverati pari al 2% mentre altre superano il 15% dei malati, condizione del tutto irrealistica e non coerente con questa infezione. Alcune Regioni hanno un comportamento di estremo rigore mentre altre tendono ad “alleviare” quantitativamente le proprie situazioni epidemiche. La tensione alla riapertura dei bar supera la responsabilità ad evitare nuove infezioni e nuovi decessi e sono del tutto inaccettabili. Solo l’eliminazione del virus potrà consentire un ritorno alla normale vita per tutti noi
L’indice individuato (250 casi per 100 mila abitanti a settimana, corrispondono a circa 7 milioni di casi all’anno, con un denominatore che resta sempre di 60 milioni mentre tra popolazione vaccinata e che ha avuto il covid (in totale oltre il 20% della popolazione) dovrebbe portare ad un denominatore di 45- 48 milioni di Cittadini. Questo limite porta ad una proiezione di mortalità di oltre 140 mila persone, come limite per la sospensione delle attività. Non è certo coerente con una garanzia di sicurezza e rappresenta un elemento di elevata criticità per i Cittadini. In Germania il limite è di cento (100) casi per centomila abitanti, solo per fare un confronto
Le vaccinazioni sono diventate un elemento non sempre gestito adeguatamente. Il mancato coinvolgimento, costi quel che costi, dei medici di famiglia, coadiuvati da volontari per l’organizzazione, oltre a rendere disponibili oltre 50 mila operatori, la selezione dei vaccinandi e la risposta positiva della popolazione sarebbe stata ben più elevata, non creando molte delle criticità che sono in atto e non dimenticando soggetti “fragili” come neoplastici, diabetici etc. anche di giovane età. E invenzioni organizzative non sempre condivisibili.
Questi sono molti degli errori e delle criticità che sono in atto e che vanno modificati per poter ridurre da subito i casi di infezione e garantire un ritorno alla normalità che tutti ci attendiamo. E poi un consolidamento della riduzione dei casi sino all’eradicamento di questa infezione.
Ci sono anche altri problemi, che sarebbe bene approfondire e modificare per ovviare a quanto sta accadendo e alla confusione attuale, senza prospettive di risultato, che abbiamo in atto in questo periodo.
Se potrò trasmettere qualche altro documento saranno chiare anche le modalità operative per gestire diversamente quanto sta accadendo (e perché non si risolve) la situazione epidemica in atto.
Sono a Sua disposizione per ogni eventuale chiarimento e approfondimento. Sottolineo che i nostri organismi scientifici mancano di figure operative e che conoscano il sistema e la gestione territoriale, con le conseguenze che la lettura che viene messa in atto non sempre corrisponde alla realtà presente.
Con il massimo ossequio
Giuseppe Imbalzano

SOVRASTRUTTURALISMO ENDEMICO, di Andrea Zhok

SOVRASTRUTTURALISMO ENDEMICO
Per 14 mesi ci hanno raccontato l’epopea di “Aperturisti” contro “Rigoristi”, come se fosse un grande dilemma morale.
Il grido di battaglia dei primi era l’invocazione dell’inviolabilità della Libertà. Quello dei secondi la sacertà di ogni singola Vita Umana.
Per 14 mesi abbiamo seguito quest’appassionante vicenda in uno snervante alternarsi di colpi di scena, con il succedersi, in una dialettica senza sintesi, di isterie di senso opposto.
C’era la settimana in cui la parola d’ordine sui giornali era “Il paese deve ripartire!”, e quella in cui era “Il contagio è fuori controllo!”
Il paese, inizialmente unito, saldo e disposto anche al sacrificio, è stato sbrindellato con la creazione di un’apparente opposizione di principio, su cui si sono infrante amicizie, disfatti progetti politici, e in cui si è pervenuti all’ennesima frammentazione in una guerra di tutti contro tutti: la situazione più facile da guidare docilmente in qualsivoglia direzione.
E pensare che ciò sia stato fatto avendo in mente una direzione, che si è stati strumentalizzati per uno scopo, sarebbe quasi consolante.
Invece qui l’unico fine è come al rodeo: stare in sella il più a lungo possibile, e tutto il resto è noia.
Ebbene, oggi, dopo 14 mesi di gloriose battaglie ideali, i malati di Covid continuano ad aspettare a casa test che arrivano con dieci giorni di ritardo, se arrivano, avendo come baluardo contro la malattia un po’ di tachipirina fai-da-te e, i più fortunati, il saturimetro comprato in farmacia, sperando nella buona sorte che non degeneri in polmonite interstiziale, perché da lì all’obitorio il passo può essere abbastanza lesto.
Per altre malattie, in ospedale è comunque meglio non andarci, se non sei moribondo, perché i contagi ospedalieri sono stati spettacolari e ripetuti (come lo erano già prima del Covid: nel 2019 si sono contati 49.000 morti per infezioni ospedaliere).
Quanto alla “battaglia del Covid”, con i relativi dati sulla mortalità italiana in rapporto al numero dei contagi, il quadro è eloquente.
Italia: 3.842.079 casi, 116.366 morti (mortalità 3%)
UK: 4.383.572 casi, 127.225 morti (mortalità 2,89%)
Germania: 3,116,950 casi, 80,387 morti (mortalità 2,5%)
Spagna: 3.407.283 casi, 76.981 morti (mortalità 2,26%)
Francia: 5.224.321 casi, 100.404 morti (mortalità 1,9%)
Svizzera: 632.399 casi, 10.503 morti (1,58%)
Insomma, persino il devastato sistema sanitario inglese, mai più rimessosi dopo la cura Thatcher, presenta dati migliori.
E gli stessi che hanno tagliato il sistema ospedaliero per anni ce li siamo trovati in televisione su ogni canale a spiegarci come non fosse affatto vero, che non c’erano stati tagli (semmai “razionalizzazioni”), e che comunque non era quello il problema. (O, in alternativa, che sì, forse un problemino c’era, ma che in fondo era colpa nostra, perché non volevamo usare il MES.)
Ecco, ora, il punto è semplice, ed è una costante in questo paese.
A noi piace tanto presentare i problemi come se fossero sempre grandi ed eroiche questioni morali, profonde visioni del mondo, incommensurabili e non negoziabili.
Su questi giochi di contrapposizione ci campa, è comprensibile, una fetta di professionisti dell’informazione, che amano la narrazione per grandi opposizioni in quando vivacizza la narrativa e nutre di polemiche i Talk Show, che sennò l’audience langue.
Ma soprattutto su questi giochi ci campa una classe politica che inscena grandi battaglie di principio, il cui solo scopo è conservarsi in sella cavalcandole, aizzando la plebe a “prendere posizione”.
Insomma soggetti la cui negoziabilità sul mercato politico è leggenda si fanno vessilliferi di battaglie ideali la cui sola funzione è essere stabilizzatori del potere (inclusa la propria fettina).
Di contro, in questo paese sembra che lo sguardo al funzionamento concreto, all’organizzazione materiale delle cose faccia schifo a tutti. Insomma è volgare prosa, mentre noi siamo nati poeti e moralisti della politica.
Questa disposizione onnicomprensiva la potremmo chiamare “sovrastrutturalismo”: dei processi reali nella società noi non ci occupiamo; non vogliamo che nessuno ci parli degli anelli intermedi, dell’olio negli ingranaggi, dell’organizzazione, delle soluzioni pragmatiche, delle specifiche di sistema, dei ‘decreti attuativi’, ecc.
E quando il teatro dei “grandi principi” inizia a stancare, quando qualcuno inizia a capire di essere preso per il naso da questo teatrino dei massimi sistemi senza costrutto, et voilà, ecco pronta la soluzione di riserva nella forma di un’ideologia supplementare, sotto mentite spoglie: l’Efficientismo (“Fare, fare, fare!”), con le correlate invocazioni ai Tecnici, la promozione trombona delle “Eccellenze”, ecc.
Dopo qualche mese o anno di questa ideologia di riserva, una volta che il gioco si scopre gradatamente, ecco che la giostra può proseguire come prima.
Ecco, in 14 mesi dall’inizio della pandemia si potevano fare mille interventi di dettaglio, a livello ospedaliero, di cure territoriali, di uniformazione di criteri e comunicazione a livello nazionale, di accesso a terapie disponibili (care, ma disponibili), e poi come organizzazione dei trasporti, come selezione accurata dei rischi settore per settore, ecc.
Invece no.
Abbiamo vissuto 14 mesi di tiramolla psicologico, con presunte alte motivazioni etiche sullo sfondo, ma senza cambiare niente nei funzionamenti del sistema. (E accetto scommesse che non è finita: l’annuncio della Grande Riapertura mentre navighiamo sui 400 morti al giorno e con terapie intensive ancora sopra il livello di guardia ci garantisce almeno un’altra ripartenza della giostra delle chiusure.)
Questo “sovrastrutturalismo” endemico è la somma tra un generale processo di dequalificazione dei ceti politici, che ha investito tutto l’Occidente, e alcune specifiche caratteristiche italiche, tra cui un certo amore per la teatralità e la passione agonistica, dove alla fine noi vogliamo sapere se vince il Papa o l’Imperatore, e che non ci si annoi con dettagli superflui.
Nessuno ne è esente, neppure i “Tecnici”. Cos’altro è, infatti, l’uscita di Draghi sul “dittatore Erdogan” se non l’improvvisata di qualcuno che vuole anche lui il suo quarto d’ora da “cavaliere dell’ideale”.
E poi, quando arriva il conto, che se ne occupi la servitù.
In questo quadro, discutere se il ministro Speranza deve o non deve andarsene è solo l’ennesima occasione per chiacchierarsi addosso a colpi di ‘simboli’ e fantasmi di ‘idee’, come se il problema fosse cambiare il nome del fantino senza accorgersi che chiunque vada in sella frusta da tempo un cavallo morto (sapendo di farlo).
Ecco, vorrei tanto chiudere con un brillante consiglio su come se ne esce, solo che non ne ho davvero idea.

Covid 19, come prima più di prima_intervista al dottor Giuseppe Imbalzano

La crisi pandemica prosegue senza soluzione di continuità. La sequela di provvedimenti poco coerenti tra di loro, la logica raffazzonata che guida i comportamenti e informa le direttive, la sovrapposizione di funzioni rischiano di neutralizzare quel poco di iniziative più lucide intraprese dal nuovo governo. Il fattore tempo è cruciale per un paese in una condizione di emergenza dai tempi indefiniti. Un vero e proprio ossimoro che rischia di dilapidare le residue risorse e i residui fattori di coesione indispensabili a consentire una ripresa quantomeno accettabile. La crisi pandemica ha messo completamente e contemporaneamente a nudo le troppe debolezze di un paese ormai sempre più esposto passivamente alle intemperie politiche interne e geopolitiche. E’ qualcosa di più serio di un complotto e di un piano preordinato da soggetti ben individuati o quantomeno individuabili; è una situazione di stallo e di degrado opera di una classe dirigente decadente impegnata a perpetuarsi a scapito di gran parte del nostro paese. E’ in questo contesto e con questo presupposto che si inseriscono i complessi giochi e gli enormi interessi politici di destabilizzazione, periferizzazione, colonizzazione e di degrado socioeconomico._Buon ascolto, Giuseppe Germinario

Giuseppe Imbalzano, medico, specialista in Igiene e Medicina preventiva. Direttore sanitario di ASL lombarde per 17 anni (Ussl Melegnano, Asl Milano 2, Ao Legnano, Asl Lodi, Ao Lodi, Asl Bergamo, Asl Milano 1). Direttore scientifico progetti UE (Servizi al cliente, Informatizzazione della Medicina Generale). Si è occupato di organizzazione sanitaria, prevenzione, informatica medica, etica, edilizia, umanizzazione ospedaliera e psicanalisi.

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I disastri sanitari della gestione della pandemia in Italia, di Davide Gionco

I disastri sanitari della gestione della pandemia in Italia
Davide Gionco
08.04.2021

Dopo 14 mesi di pandemia del covid-19, cerchiamo di fare il punto della situazione sanitaria in Italia. Non dal punto di vista di un medico professionista, ma dal punto di vista di un cittadino che cerca di informarsi e di ragionare su quello che vede.

La prima constatazione è che, pur avendo l’ISTAT registrato un aumento del tasso di mortalità del 15% rispetto agli anni precedenti, l’aumento sarebbe probabilmente passato inosservato, se non ci fosse stato l’amplificatore dei mass media.

Se questo virus fosse arrivano 30 anni fa, nessuno si sarebbe accorto di nulla, in quanto ci sono sempre state delle oscillazioni statistiche sul numero annuale di morti. Chi viene a sapere della morte di una persona cara a motivo di malattia non ha la percezione dell’incremento statistico complessivo del numero di decessi in un intero paese. Se non ci avessero detto nulla, avremmo continuato a vivere normalmente.

Se il coronavirus fosse arrivato 30 anni fa sarebbe stato trattato come una influenza “più virulenta” fra quelle che ciclicamente. La febbre asiatica degli anni ’50 fece molti più danni del covid-19, per intenderci, perché colpì soprattutto i bambini, segnandoli per tutta la vita. Una mia zia, colpita dall’asiatica quando aveva 4 anni, rimase colpita al cervello è rimasta debilitata mentalmente, causando 44 anni di progressivo decadimento fisico e di crescente disabilità, fino alla morte.

La situazione ci è stata presentata come “senza precedenti” dai mass media, i quali l’hanno da subito presentata come una malattia pericolosa e incurabile, tale da giustificare i ripetuti lockdown, con gravissimi danni all’economia e impedendo a molta gente di analizzare in modo ragionevole la situazione.
E’ una delle famose tecniche di manipolazione delle masse: “Crea il problema ed offri l'(unica) soluzione”.

Non ci hanno mai detto che avremmo probabilmente evitato i 3/4 dei morti se:

1) Se avessimo avuto il piano pandemico nazionale aggiornato. Il piano pandemico esistente risaliva addirittura al 2006. E nel 2016 Matteo Renzi aveva fatto chiudere il CNESPS, istituto specializzato nella individuazione tempestiva delle epidemie. Un’azione tempestiva del CNEPS avrebbe probabilmente consentito di confinare l’epidemia fin dagli inizi, evitando che si diffondesse in tutta Europa.

2) Se avessimo avuto come dirigenti presso il Ministero della Sanità (da Roberto Speranza in giù) e presso le aziende sanitarie pubbliche territoriali delle persone assunte per le loro competenze e capacità e non i soliti “amici dei politici”.

3) Se non avessimo tagliato decine di miliardi sulla spesa sanitaria, riducendo i posti letto per le cure, il personale, i macchinari, la formazione.

4) Se non avessimo trasformato i medici di famiglia in passacarte per indirizzare i pazienti verso le strutture specialistiche, mentre una volta erano responsabili delle prime cure domiciliari in caso di malattia.

5) Se non avessimo imposto da qualche decennio il numero chiuso nelle facoltà di medicina e limitato le assunzioni di infermieri, riducendo il numero di personale sanitario disponibile per le cure. Per formare un medico servono 10-15 anni di studi. Non è cosa che si può improvvisare quando arriva una pandemia. Ci si deve pensare per tempo, almeno 10-15 anni prima. Ovvero: abbiamo bisogno permanentemente di più medici e di più infermieri.

6) Se in questi mesi avessimo assunto più personale sanitario, ora dovremmo temere molto meno l’afflusso di persone nelle terapie intensive. E ci sarebbero risorse per curare adeguatamente le persone colpite da altre patologie. E non si trovi la scusa della mancanza di soldi, dato che per il 2020 e il 2021 la UE ha concesso di sforare i limiti al deficit pubblico, per cui per avere soldi basta chiederli alla BCE.

7) Se, dopo oltre un anno dall’arrivo della pandemia, avessimo aggiornato i protocolli di cura domiciliare per le persone con sintomi da covid-19, sulla base delle esperienze di molti medici. Come ad esempio quelli del Movimento Ippocrate, che hanno sviluppato dei protocolli di cura basate sul trattamento precoce della malattia. Purtroppo, dopo oltre un anno di esperienze, i protocolli di cura sono sempre gli stessi, basati sull’attesa dello sviluppo dei sintomi e sui tamponi. Sono i protocolli che hanno portato decine di migliaia di persone nelle terapie intensive ed alla morte. Sbagliare è umano, quando la malattia non è conosciuta, ma perseverare…

8) Se in televisione avessero spiegato ogni giorno, anziché martellare inutilmente la gente con i soliti bollettini di guerra, che il covid-19 si combatte prima di tutto con la prevenzione, fatta di costante assunzione di vitamina C e D, disponibili per tutti a costi molto accessibili, e fatta di permanenza il più possibile all’aria aperta ed al sole (anziché tenere la gente chiusa in casa).

9) Se in televisione ci avessero spiegato la differenza fra le mascherine FFP2 e le mascherine chirurgiche.
Le mascherine FFP2 sono di tipo passivo ovvero “filtrano” l’aria che respiriamo, riducendo del 95% la quantità di agenti patogeni che ci colpiscono tramite la respirazione. Sono mascherine che ci proteggono dal contagio. Ideali per le categorie a rischio di morte per covid (anziani, malati di altre patologie), per ridurre il rischio che vengano contagiati.
Le mascherine chirurgiche, invece, riducono del 95% la quantità di agenti patogeni che emettiamo verso l’ambiente tramite la nostra espirazione. Sono mascherine che riducono la contagiosità verso gli altri delle persone infettate. Ideali per le categorie non a rischio di morte per covid (probabilmente almeno l’80% della popolazione), per ridurre la diffusione della malattia.
Tutto questo non è mai stato spiegato, per cui abbiamo dotato gli anziani di mascherine chirurgiche che non li proteggono dal contagio ed abbiamo dotato molti giovani sani di mascherine FFP2, che non hanno impedito il diffondersi della malattia.

10) Se avessimo spiegato per evitare i contagi per contatto con superfici infettate è opportuno disinfettarsi le mani non solo all’entrata dei supermercati, ma soprattutto all’uscita, per non portarsi dietro i virus raccolti toccando le superfici infettate da altri. Eppure continuiamo a trovare il gel disinfettante solo all’ingresso e non all’uscita dei punti vendita e dei mezzi di trasporto.

11) Se avessimo (dopo un anno) raddoppiato il numero dei mezzi pubblici di trasporto, magari assumendo gli autisti licenziati dei servizi turistici, si sarebbe dimezzato l’indice di affollamento dei mezzi di trasporto pubblico, riducendo i rischi di contagio. Ma non è stato fatto,

Si potrebbe continuare con l’elenco…

La responsabilità di tutto questo, con le decine di migliaia di morti che ne sono seguiti, non è della fatalità, né del popolo italiano. La responsabilità è della classe dirigente che ha governato e che governa tutt’ora il nostro Paese. Persone che, per incompetenza o mala fede, hanno preso le decisioni sbagliate, senza preoccuparsi delle conseguenze e senza farsene carico. Il risultato è stato un tasso per mortalità per covid-19 fra i più elevati d’Europa.

Nel contempo i mezzi di informazione, altrettanto asserviti alla classe di potere, anziché svolgere un corretto servizio di informazione e di controllo critico sul disastroso operato della classe dirigente, hanno dedicato gli ultimi 14 mesi di informazione unicamente a colpevolizzare gli italiani come unici responsabili di quanto accaduto.
Misure di limitazione delle libertà personali prive di fondamento costituzionale e medico-scientifico, come il divieto di uscire di casa fra le 22 e le 5 del mattino o di varcare il pericoloso confine fra una regione e l’altra sono state costantemente sostenute come “normali” dai mezzi di informazione. Questo mentre paesi “normali” e guidati da politici più seri, come la vicina Svizzera, hanno giustamente vietato unicamente gli assembramenti fra persone estranee e non gli spostamenti. Il contagio, infatti, non avviene quando le persone si spostano, ma solo quando si avvicinano fra loro.
Ci hanno trattati da bambini, come se fossimo un popolo di pecore.

Per quale motivo fra le soluzioni molteplici prospettate non ce n’è nessuna di quelle sopra elencate, ma si propone come una via di uscita possibile la vaccinazione di 60 milioni di italiani, fra i quali almeno 50 milioni di persone sane, che non correrebbero alcun rischio ad essere contagiate dal virus, se curate per temo.
Non era mai storicamente accaduto che venissero isolati i sani per proteggere i malati.
Non era mai storicamente accaduto che si vaccinasse una intera popolazione somministrando dei prodotti sperimentali di ingegneria genetica (quelli di Pfizer & c. non hanno nulla a che vedere con i vaccini tradizionali). Sperimentali, perché non c’è stato il tempo di testarli.
Non era mai accaduto che si sottoponesse una intera popolazione sana ai rischi della vaccinazione, con una malattia avente un tasso di mortalità molto basso fra le persone non a rischio.

(Fonte: Dati ISS)

Non era mai accaduto che si volesse imporre agli operatori sanitari (e in futuro forse a tutta la popolazione) di assumere un vaccino che non riduce in alcun modo i rischi di contagio verso altri. Gli attuali vaccini garantiscono (probabilmente) un decorso sostenibile della malattia, ma non evitano la trasmissione verso terzi nel caso si sia contagiati.

Ricordiamoci di tutto questo, la prossima volta che andremo a votare.

E, nel frattempo, chiediamoci il perché di tutto questo.

NB_apparso anche su https://www.sovranitapopolare.org/2021/04/08/i-disastri-sanitari-della-gestione-della-pandemia-in-italia/

IL COVID-19 È UNO STRUMENTO DEL POTERE NEL CONFLITTO STRATEGICO, a cura di Luigi Longo

IL COVID-19 È UNO STRUMENTO DEL POTERE NEL CONFLITTO STRATEGICO

a cura di Luigi Longo

 

 

Invito alla lettura della interessante intervista di Valentina Bennati ad Andrea Bolognesi, medico omeopata e specialista in psichiatria, La pandemia che ha deformato la mentalità del genere umano, pubblicato sul sito www.comedonchisciotte.org, del 12/3/2021.

E’ un’ottima sintesi, chiara su tutte le questioni riguardanti la gestione del covid-19, a partire dalla incapacità di affrontare una malattia curabile ai domiciliari (il 95% dei casi) o in strutture ospedaliere (il 5% dei casi con una minima percentuale di morti).

Qui si pongono due domande: perché una vaccinazione di massa apparentemente libera? Perchè non trattare la malattia come una influenza normale-particolare facendo attenzione agli anziani e ai portatori di patologie? Le risposte presuppongono una trattazione a parte.

Questa incapacità è stata chiaramente dimostrata dall’operato dei medici di base (rete dei medici per la cura domiciliare a livello nazionale) che sono andati contro la legge (cioè, oltre la legge, come insegna il pensiero femminile) e hanno curato e guarito i malati da covid-19. Hanno nei fatti smentito tutte le misure assurde e illogiche deliberate dai governi (Giuseppe Conte e Mario Draghi) supportati dalle istituzioni sanitarie, dagli scienziati, dagli esperti, dai mass-media e da “intellettuali”, tutti a servizio del potere dominante del Paese, servo, a sua volta, a livello internazionale (USA).

A monte c’è il fatto (il tempo si incaricherà di dimostrarlo), che si tratta di una pandemia causata da un virus (covid-19) particolare (troppo veloce nella diffusione) che ha origine artificiale e non naturale. Il covid-19 è uno strumento del conflitto strategico tra le potenze per l’egemonia mondiale: gli USA in relativo declino e la Cina e la Russia in ascesa.

La potenza più aggressiva e spregiudicata è quella degli Stati Uniti d’America: perché è nella loro storia, perché sono per un dominio unilaterale, perché sono in chiara fase di inizio declino insieme a tutto l’Occidente (che si butta sul postumano in nome delle magnifiche sorti e progressive dell’umanità invece di dare senso alla vita individuale e sociale), perché hanno un conflitto interno tra gli agenti strategici irreversibile, perché non riescono a fare sintesi nazionale capace di rilanciarsi come grande potenza, perché sono leader mondiali della ricerca, produzione e uso di armi batteriologiche.

Vediamo, in estrema sintesi, l’utilizzo dello strumento covid-19 in Italia ricordando che l’OMS non ha mai dichiarato la pandemia e che già nel 2017-2018 si era verificato negli USA uno dei più gravi focolai di influenza della storia recente. Fu una catastrofica influenza almeno tre volte più letale dell’attuale crisi sanitaria legata al coronavirus (covid-19). Allora l’OMS ritenne non necessario (sic) allertare il mondo o arrestare tutte le attività commerciali planetarie come ha fatto con il covid-19. Stranamente l’OMS non si era nemmeno preoccupato di etichettare l’epidemia americana come un’epidemia o una pandemia. Si era trattato solo di una “normale influenza” nonostante l’entità dei decessi, l’enorme numero di ricoveri e l’alto tasso di infezione (Gilad Atzmon, L’amnesia è un sintomo del Covid-19?, in www.comedonchisciotte.com, 21/4/2020).

  1. 1. Il progetto di Mario Draghi (un agente strategico esecutivo), a grandi linee, è abbastanza chiaro e sarà realizzato attraverso lo strumento pandemico del Covid-19. L’emergenza economica, sociale, sanitaria permette di dichiarare (come se ce ne fosse stato bisogno) che l’Italia non si schioda dalla Nato e dalla UE, istituzioni ad egemonia (nell’accezione gramsciana) statunitense. Per queste ragioni il governo appronta e realizzerà le infrastrutture (Tav, Ponte sullo stretto di Messina, eccetera) per le strategie Usa-Nato che solo applicando la logica del conflitto strategico si possono comprendere, altrimenti si rimane nella logica dello sviluppo (liberista, keynesiano e marxista) dei pre e sub-dominanti che vela molto bene il conflitto tra le potenze mondiali. La nostra presenza incondizionata nella UE (che è un progetto USA, non dimentichiamolo) serve per tenere unita la UE per le strategie Usa contro la Russia; questo è ciò che appare in superficie; in realtà gli Stati Uniti temono fortemente l’alleanza tra Cina e Russia (le forme di collaborazione tra le due potenze in ascesa sono sempre più consistenti, non fosse altro per battere un nemico comune). E’ mia convinzione che la UE è finita ed è tenuta in piedi dagli Usa attraverso Nato, che si è terribilmente trasformata (si interessa di quasi tutte le sfere sociali) e fa da collante e da coordinamento (via Germania e Francia) dell’Europa; per non parlare del ruolo che svolge nei Balcani con il coordinamento della Polonia e in Medio Oriente con il coordinamento di Israele.

L’Italia resta una nazione geograficamente importante per le strategie USA (in Europa, nel Mediterraneo, nel Medio Oriente): è dal Risorgimento che l’Italia è una espressione geografica per i conflitti tra le potenze, allora per l’Inghilterra, oggi, per gli USA.

2.Il covid-19 permette il passaggio ad una forma di “democrazia” autoritaria che nella fase multicentrica è necessaria per accorciare la filiera del comando per la strategia, per la gestione e per la esecuzione del potere, non dominio perché parliamo di sub-dominanti (il governo sta preparando le riforme delle regioni in macro aree e lavora a nuovi strumenti giuridici: altro che difesa della Costituzione avanzata da ritardati giuristi e costituzionalisti).

La decisione di affidare all’Esercito l’emergenza Covid-19 (cosa che andava fatta dal primo momento non fosse altro per la prontezza della macchina organizzativa) è simbolico di un ruolo sempre più presente della sfera militare nel blocco degli agenti sub-dominanti. Mentre è preoccupante la militarizzazione delle città (per ora solo polizia e carabinieri, in attesa, come scrissi nel mio Americanizzazione del territorio, della «… forza di polizia multinazionale a statuto militare composta dal Quartier Generale permanente multinazionale, modulare e proiettabile con sede a Vicenza (Italia). Il ruolo e la struttura del QG permanente, nonché il suo coinvolgimento nelle operazioni saranno approvati dal CIMIN – ovvero – l’Alto Comitato Interministeriale. Costituisce l’organo decisionale che governa EUROGENDFOR». Questa nuova “super-polizia” è, recita l’art. 1 del Trattato, «una Forza di Gendarmeria Europea operativa, pre-organizzata, forte e spiegabile in tempi rapidi al fine di eseguire tutti i compiti di polizia nell’ambito delle operazioni di gestione delle crisi», al servizio, non tanto dei cittadini dell’Ue o degli Stati firmatari del Trattato (le “Parti”), ma, sostiene l’art. 5, sarà «messa a disposizione dell’Unione Europea (UE), delle Nazioni Unite (ONU), dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) e di altre organizzazioni internazionali o coalizioni specifiche».

Intanto, in questa fase, è sospesa la “democrazia” con tutte le violazioni che gli amanti dello stato di diritto non vedono.

3.L’economia è a pezzi, è stato dichiarato lo sterminio delle PMI (di tutti i settori), così come delle imprese che gli algoritmi decideranno che non vanno salvate (sic): il governo prevede la loro distruzione creatrice che nulla ha a che fare con quella pensata da Joseph A. Schumpeter. << […] la grande struttura delle multinazionali americane entrerà nel mercato italiano, gli interi settori che spariranno verranno comprati dalle multinazionali […] >> (Valerio Malvezzi, E’ drammatico le piccole imprese italiane spariranno, www.radioradio.it, 13/3/2021). Per i dominanti nostrani che vogliono farci credere di risollevare la crisi profonda dell’economia italiana con il Recovery Fund, riporto quanto dichiarato da Emiliano Brancaccio e Riccardo Realfonso in una intervista al Financial Times del 12/2/2021:<< Se esaminiamo i 209 miliardi che il Recovery Plan stanzierà per l’Italia per i prossimi sei anni, 127 sono prestiti che prevedono solo un risparmio sullo spread tra tassi di interesse nazionali ed europei: anche con previsioni pessimistiche sui tassi italiani, non più di 4 miliardi all’anno. Per quanto riguarda i restanti 82 miliardi di risorse a fondo perduto, l’importo netto dipenderà dal contributo dell’Italia al bilancio europeo. Considerato che un accordo su rilevanti imposte pan-europee appare improbabile, i paesi membri dovranno contribuire come di consueto in relazione al pil annuale. Il che implica che l’Italia dovrebbe pagare non meno di 40 miliardi. La sovvenzione netta europea è quindi di soli 42 miliardi, ovvero 7 miliardi l’anno. Infine, se si considera che nella prossima sessione l’Italia contribuirà alla parte restante del bilancio Ue per circa 20 miliardi, il trasferimento netto totale scende a meno di 4 miliardi l’anno [corsivo mio] >>.

4.Il territorio è sempre più venduto, vulnerabile e fragile: il locale viene annientato dal globale senza una minima strategia nazionale. << L’Italia […] il campo di battaglia delle guerre che i principi stranieri conducevano per impadronirsi dei suoi territori […]>> (Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Scritti politici, a cura di Claudio Cesa, Einaudi, Torino, 1972, pag.102). Così come sono in crisi sia la relazione tra città e campagna sia la relazione tra ruralità e l’approvvigionamento alimentare (altro che green economy; per dirla con Niccolò Macchiavelli i nostri dominanti sono dei porci!).

5.Le industrie strategiche neanche a parlarne (Eni, Leonardo se non hanno una nazione forte alle spalle faranno ben altri interessi e seguiranno ben altre alleanze), tant’è che, per scelte strategiche USA, l’Ilva di Taranto è stata ceduta ad una multinazionale straniera (e meno male che era strategica per il Paese! Ma in mano a chi siamo?) che è l’anticamera della chiusura della fabbrica con gestione sociale a carico dello Stato, un film già visto a Bagnoli.

6.La sanità sta subendo una grande ristrutturazione (se ci fosse un po’ di serietà si evidenzierebbero i morti che l’emergenza covid-19 ha prodotto a causa della riduzione degli interventi e delle cure in tutti i reparti ospedalieri; le modalità con cui ci vengono dati i numeri relativi alle malattie, ai decessi e alla diffusione del virus è una vera disinformazione statistica. E’ una vergogna istituzionale!) nella quale le garanzie della tutela della salute per tutti sono quasi ridotte all’osso (con l’aggravante che accogliamo migranti in maniera delinquenziale a cui va garantita l’assistenza sanitaria con l’innesco di una guerra tra poveri).

Il covid-19 è il cavallo di Troia per riorganizzare la sanità con una lotta senza quartiere, nei vari dipartimenti, per accaparrarsi risorse, tecnologie, nuovi settori di ricerca, sulla pelle della maggioranza della popolazione.

7.Mancano in generale sia le condizioni oggettive: una fase di trapasso d’epoca con crisi irreversibile dell’Occidente con un cambiamento antropologico delle relazioni umane (le relazioni digitali imposte via covid-19 sono un ottimo allenamento per snaturare l’essenza umana fatta di relazioni, di contatti, di corpi, di presenze); sia le condizioni soggettive: mancano i soggetti ed è assente, per dirla con Costanzo Preve, la tensione da passione durevole; rischiamo, cioè, di creare soggetti virtuali e non materiali.

 

 

 

LA PANDEMIA CHE HA DEFORMATO LA MENTALITÀ DEL GENERE UMANO

 

di Valentina Benna

Un anno che ha sconvolto le nostre vite e messo a dura prova la nostra psiche. Prima la paura di un virus nuovo, poi il distanziamento sociale, le limitazioni alle libertà, la mancanza di lavoro, la didattica a distanza, le difficoltà di assistenza sanitaria per altre patologie, il blocco delle attività ricreative, culturali e religiose. Si è alzata un’onda di malessere mentale dall’impatto devastante perché interessa e interesserà moltissime persone.

Se intendiamo la salute come equilibrio di corpo-mente-spirito, davvero siamo in grave pericolo perché tutto ciò che è accaduto e sta accadendo sta cambiando in modo drammatico, e forse definitivo, i rapporti umani e sta minando la nostra stabilità e vitalità.

E’ un problema grave che, però, non trova abbastanza spazio sui media. Anzi, proprio Tv e giornali sono intenti a diffondere e amplificare dati allarmanti e sensazioni di pericolo.

Quali sono i rischi di questa comunicazione ‘ammalata’? Quanta parte della popolazione sa verificare la fonte e la veridicità delle notizie? Quanti possiedono gli strumenti psicologici ed emotivi per gestire la narrativa catastrofista e unidirezionale che da mesi viene fatta di questo virus? Penso soprattutto alle persone più vulnerabili (gli anziani e i giovani) e a chi è solo e in difficoltà e non può far conto su nessuno.

Sfiducia, sconforto, paura, senso di frustrazione, sono emozioni sempre più evidenti, basta guardarsi un po’ intorno o parlare con la gente. E non può passare inosservato l’aumento dei disturbi psichici che sono sempre di più in rapida crescita, soprattutto nelle città. E’ utile approfondire l’argomento con il Dottor Andrea Bolognesi, medico omeopata e specialista in psichiatria. Bolognesi è anche consulente presso la Fondazione Internazionale Valsé Pantellini per lo studio e la ricerca nell’ambito delle malattie degenerative e tumorali e, di recente, è entrato a far parte della rete di medici attivi in tutta Italia per la cura tempestiva domiciliare covid in ogni regione, iniziativa partita dall’Avvocato Erich Grimaldi che si batte da mesi per la modifica dei protocolli ministeriali che non tengono conto delle esperienze ed evidenze dei territori.

Dottor Bolognesi sono ormai passati molti mesi dall’inizio della ‘pandemia’, alla paura iniziale è subentrata la crisi economica con il senso di incertezza per il futuro, poi la stanchezza e infine anche la rabbia. Sono insorte, e nel tempo si sono aggravate, varie forme di disagio psicologico e molte persone hanno cominciato a fare uso di ansiolitici, antidepressivi, sonniferi e tranquillanti. Quali sono i disturbi principali rilevati? Ci sono già dei dati nazionali ufficiali?

“È giusta la distinzione in due fasi: la prima caratterizzata dalla reazione euforico/patriottica dell’andrà tutto bene e dei canti sul balcone, la seconda invece dal graduale scoramento, al limite della rassegnazione, sia perché dopo un anno esatto siamo tornati al punto di partenza, sia perché l’emergenza socio-economica si è sommata in modo drammatico a quella sanitaria.

Non sono a conoscenza di dati ufficiali, ma l’evidenza di un aumento del consumo di ansiolitici, antidepressivi e ipnoinducenti è nota a tutti così come, in parallelo, l’aumento dei disturbi connessi.

A causa del lockdown sicuramente abbiamo assistito ad un aumento degli episodi di violenza domestica, dovuti a convivenze forzate di coppie già in crisi o di nuclei familiari confinati in spazi angusti e non abituati a vivere insieme per tante ore. Attingendo alla mia personale esperienza di psichiatra posso dire che durante il lockdown dell’anno scorso son dovuto intervenire d’urgenza per episodi di aggressività e violenza ad opera di soggetti con crisi psicotica scatenata dalla chiusura forzata. Molto frequenti anche le crisi depressive aggravate dall’isolamento e con necessità di aumentare il dosaggio dei farmaci già in uso.”

La gestione del nuovo coronavirus ha cambiato in modo drammatico i rapporti umani. Mascherine, distanziamento, smart working, didattica a distanza, divieto di riunirsi e stare vicini, disinfezione continua di mani e locali, misurazione della temperatura: tutto necessario, ci è stato detto, ma è aumentata inesorabilmente la distanza tra le persone ed è diminuita la capacità di empatia. E’ qualcosa di profondo e dirompente, eppure è una questione sottovalutata che non trova adeguata analisi da parte dei media così intenti a comunicarci solo numeri di contagi e notizie relative al vaccino. Quanto tutto questo sta incidendo sulla nostra psiche e che peso avrà sulle nuove generazioni?

“L’opportunità delle misure adottate, fatta eccezione per un ragionevole distanziamento nei luoghi chiusi, è tutta da dimostrare e siamo ancora in attesa della pubblicazione dei verbali del Comitato Tecnico Scientifico che ci spieghino PER OGNI SINGOLO PROVVEDIMENTO il razionale e quindi, in virtù di questo, la reale efficacia. Riguardo ai cambiamenti nei rapporti umani si è consumata di fatto la morte della prossemica e sappiamo quanto l’essere umano, per sua natura sociale, si giovi del linguaggio non verbale, della gestualità, del contatto, della vicinanza, specialmente nei paesi dell’area mediterranea, per stabilire e mantenere rapporti. Tutto ciò è stato inibito e/o negato e inevitabilmente modificherà gli stili e gli assetti comportamentali soprattutto nelle fasce d’età in formazione, private sul nascere della naturale propensione all’incontro.

Visi che fino a ieri ci erano familiari all’improvviso siamo stati costretti a percepire come minacciosi tanto da scendere istintivamente dal marciapiede se li vediamo dirigersi verso di noi, amici che salutavamo con una stretta di mano o con un abbraccio che temiamo di incontrare perché non sappiamo se lo accetterebbero, e così via con esempi infiniti.

L’enfasi sulla malattia, i toni catastrofisti dei mass media non lasciano spazio per riflessioni su questo tema”.

All’inizio l’emergenza sanitaria c’è sicuramente stata e ha mandato in tilt il nostro ‘depotenziato’ sistema sanitario, poi le terapie sono stata individuate e i tanti medici che già hanno curato a domicilio con successo hanno dimostrato che di covid si guarisce, basta intervenire subito adeguatamente in modo da evitare ricoveri ospedalieri. C’è stato però il problema dei protocolli ministeriali a base di solo paracetamolo ‘nei primi giorni di vigile attesa’, proprio quelli che invece dovrebbero essere decisivi per aggredire il virus …

“Ho avuto modo di esprimere in più occasioni e in maniera netta il mio pensiero su questo argomento attraverso i social nel corso di tutto l’anno e approfitto di questa preziosa occasione per ribadirlo con forza. L’emergenza nella quale ci troviamo è SANITARIA e NON medica in quanto riguarda essenzialmente l’assenza di terapie domiciliari corrette e tempestive e la carenza – grave prima, ma imperdonabile dopo la pausa estiva – delle strutture ospedaliere e in particolare dei posti letto in terapia intensiva. È insopportabile che l’AIFA solo in questi giorni, e grazie a una sentenza del TAR, sia stata costretta ad abbandonare le linee guida, reiterate fino al 20/11/2020, dove si indicava l’uso della ‘tachipirina e vigile attesa’ nelle fasi iniziali della malattia. Da mesi era noto ai medici che lavorano sul campo, curando e guarendo malati in carne ed ossa, che tali indicazioni erano addirittura controindicate e responsabili dell’aggravarsi del quadro clinico, spesso con esiti nefasti. Tali linee guida vengono partorite dalle menti geniali di ‘esperti’ che, chiusi nei loro uffici, non hanno visto un malato da anni e che attendono gli studi clinici pubblicati, magari come quello pubblicato sul Lancet e poi ritirato che screditava l’uso dell’idrossiclorochina, prima di dare via libera all’uso di un protocollo.

Ma io domando: è più importante basarsi sui risultati ottenuti da medici che hanno curato malati guarendoli, e quindi evitandone il ricovero, oppure attendere mesi o anni che gli studi clinici vengano pubblicati? La Medicina non è una scienza esatta, è al massimo una pratica empirica e in caso di emergenza come questo non ci si dovrebbe soffermare su tali sottigliezze.

Un’altra domanda mi sorge spontanea: come mai tutti gli organismi di controllo dei farmaci, AIFA compresa, non hanno preteso lo stesso rigore metodologico prima di approvare l’uso dei vaccini?”

Le persone mal curate a casa fanno inevitabilmente risalire i ricoveri, di conseguenza si rimette in moto la macchina dei lockdown (che per la verità non si è mai arrestata) con i relativi danni economici, sociali e psicologici causati dalle chiusure. Aumenta, dunque, l’angoscia nelle persone. Del resto i media stessi, con i dati che danno, enfatizzano continuamente l’impressione che siamo ancora in pericolo e non informano, invece, dell’opportunità delle cure domiciliari e della necessità di potenziarle. Non c’è il rischio, in questo modo, di incidere i modo serio sulla stabilità mentale delle persone?

“La paura nasce in genere dall’ignoto, dall’imprevisto, dall’imponderabile e la comparsa di un virus sconosciuto che si diffonde rapidamente nel mondo intero racchiude in sé tutte queste caratteristiche ma questa è, si può dire, la paura come espressione naturale, direi ancestrale dell’essere umano. Altra cosa è la paura, in certi casi il terrore, veicolata da una martellante, asfissiante comunicazione monotematica, unilaterale, ubiquitaria quale è stata ed è tuttora quella proposta da TUTTI i mass media. Tale assedio quotidiano fatto di bollettini di contagi, di morti e, ultimamente, di vaccini offusca la capacità di discernere e induce, specie i soggetti più fragili e meno dotati di capacità critica, a una sorta di ‘trance cognitiva’.

Soltanto chi riesce a sottrarsi a questa dittatura mediatica può distinguere il vero dal falso o quantomeno riportare i fatti nelle giuste proporzioni. Auspico che col tempo il numero di queste persone ‘mainstream free’ siano sempre di più e possano creare una massa critica tale da arginare il pensiero unico dominante della ‘scienza non è democratica’ di buroniana memoria”.

Ci sono famiglie angosciate perché impossibilitate a vedere i figli o i parenti che soggiornano in strutture che forniscono cure difficilmente garantibili a domicilio e anche disabili abbandonati dall’assistenza domiciliare o scolastica che sono totalmente a carico delle famiglie in seguito al lockdown. E’ pesante anche la situazione di molti anziani residenti nelle case di riposo privati delle visite di famigliari e amici. Quanto la solitudine e l’isolamento incidono sulla salute?

“Uno dei fatti più disumani che hanno caratterizzato questo anno di pandemia è stata la negazione della sepoltura dei morti, un atto vile e inspiegabile che grida vendetta alla dignità e stravolge le basi della convivenza tra esseri umani, un VULNUS ANTROPOLOGICO incancellabile. Altre gravi criticità sono state e sono, indubbiamente, la solitudine e l’isolamento dei malati, la trascuratezza nei confronti dei malati cronici, in primis oncologici, con un conseguente aumento dei decessi e un ritardo nelle diagnosi e nelle cure. Per non parlare dell’isolamento degli anziani, rinchiusi per interminabili settimane nelle RSA o nei reparti di lunga degenza, proprio nei momenti in cui la presenza di una persona cara o di un familiare era necessaria come l’aria per respirare.

Ho una certa esperienza sia come psichiatra che come medico della Fondazione Pantellini e ho spesso a che fare con pazienti terminali o con i loro familiari, posso dire con certezza che l’isolamento forzato può far precipitare un quadro clinico di per sé precario”.

E poi ci sono le nuove generazioni: preoccupa molto l’aumento dei disturbi psichici, in particolare presso le fasce giovanili. Ci sono sintomi che per primi hanno esordio e che possono denunciare, con un minimo di anticipo, una condizione destinata ad aggravarsi e ai quali i genitori devono stare attenti? Con quali mezzi è possibile arginare la situazione?

“Ritengo che il danno maggiore sarà quello a carico dei bambini in età scolare che, costretti a folli rituali privi di ogni fondamento scientifico, introietteranno convinzioni e comportamenti dettati dalla paura e pian piano li crederanno ‘normali’. Si stanno verificando perfino casi di bambini che rifiutano di togliere la mascherina una volta rientrati a casa da scuola o che rimproverano un genitore se non la indossa correttamente. Non voglio poi entrare nel dibattito sui danni enormi creati dalla cosiddetta DAD, danni dal punto di vista formativo, cognitivo e psicologico.

Dalla permanenza forzata in casa un altro grave fenomeno tipico dell’età giovanile è l’accentuarsi della dipendenza dal cellulare, fino alla perdita di contatto con la realtà, assorbiti totalmente da dimensioni virtuali. Conseguenze di ciò, e anche del danno intrinseco da esposizione a inquinamento elettromagnetico, possono essere un aumento dell’irritabilità, dell’aggressività, una flessione nel rendimento scolastico per disturbo dell’attenzione, della concentrazione e, nei casi più gravi, apatia e anedonia fino agli estremi della sindrome Hikikomori.

Infine in età adolescenziale o giovanile uno stato di allarme e di ipervigilanza costante può slatentizzare, in soggetti predisposti, gravi patologie psichiatriche quali disturbo ossessivo compulsivo, paranoia, angoscia ipocondriaca, fobie, in particolare rupiofobia, e di ciò sono stato testimone nella mia attività professionale.

Suggerisco quindi ai genitori di essere molto attenti e alla comparsa delle prime anomalie di comportamento quali, ad esempio, una eccessiva ritualità nell’igiene, una improvvisa chiusura in sé con ritiro e apatia, una attenzione eccessiva allo stato di salute, di non sottovalutare questi sintomi onde evitare lo strutturarsi degli stessi in patologie”.

Infine c’è l’odio per chi è diverso, per chi si pone domande, per chi dissente, chi chiede chiarezza, chi ricorre alla legge per vedere tutelati i propri diritti. Quanto ciò è frutto della propria bolla di ansia, paura e psicosi e quanto invece è conseguenza della narrativa catastrofista alimentata da media, politici ed esperti di turno?

“Abbiamo già accennato all’ostracismo, ai limiti della dittatura, cui vengono sottoposte tutte le voci fuori dal coro, emarginate o nella migliore delle ipotesi dileggiate dai mass media, acritici megafoni del pensiero unico dominante. Medici radiati o censurati solo per aver espresso opinioni in piena libertà di coscienza e pronti al dibattito, ma sistematicamente inascoltati e sanzionati da un Ordine professionale che invece dovrebbe tutelarli.

Purtroppo ho dovuto constatare che la ‘costruzione della paura’, così pervicacemente alimentata dai mass media, ha inciso negativamente anche su menti o coscienze che reputavo refrattarie e ho visto sfumare amicizie storiche perché l’incomprensione, la radicale opposizione si erano frapposte tra di noi”.

E’ scientificamente provato che la paura, protratta nel tempo, può alterare il buon funzionamento del sistema immunitario che, invece, è proprio il nostro principale alleato contro le infezioni virali. Come vincere questa emozione se diventa tanto forte e distruttiva?

“Poco fa parlavo di ‘vulnus antropologico’, ebbene credo che questa pandemia prolungata abbia a tale punto deformato la mentalità del genere umano da trasformare la Paura in un valore intellettuale e il Panico come scelta intelligente, ‘vincente’ nei confronti di chi rifiuta questo ed è etichettato come complottista , negazionista, soggetto pericoloso. Si è ribaltato il cardine assiologico della nostra cultura occidentale: l’eroe di oggi non è più quello del Mito a noi noto, ma è chi abbraccia il panico, chi considera la paura come segno distintivo di superiorità e chi vi si oppone è un pericoloso incivile.

Sappiamo che il sistema immunitario, UNICA arma sicura contro qualsiasi infezione, oltre a necessitare di un microbiota intestinale in sufficiente equilibrio, risente anche di influenze dal sistema nervoso centrale, attraverso i meccanismi ben descritti dalla PNEI, psico-neuro-endocrino-immunologia. È evidente che uno stato di paura persistente, di ipervigilanza costante alteri questo delicato meccanismo con ricadute sul sistema immunitario.

Per concludere, però, vorrei tranquillizzare ricordando che la malattia da SARS-Cov19 è nel 95% dei casi ad andamento benigno e curabile a domicilio, nel 5% dei casi può dar luogo a complicazioni e necessità di cure ospedaliere e in una minima percentuale di casi ha esito infausto, in genere in pazienti molto anziani con grave comorbilità. Riguardo alle terapie domiciliari, invece, posso assicurare che esistono dei protocolli ormai consolidati e praticati da una rete di medici che fa capo a diversi comitati di cui io stesso faccio parte che naturalmente si affiancano o sopperiscono al lavoro dei medici di base: ippocrateorg.org e terapiadomiciliarecovid19.org sono i più attivi.

Esiste anche un protocollo di prevenzione che io suggerisco da tempo ai miei pazienti che consiste nell’uso delle Vitamine D, C, K2MK7, quercetina, lattoferrina, zinco e, più specificamente, anti-CD26 (prodotto omeopatico specifico in fiale). Per i dettagli sono disponibile ad essere contattato in privato (abolognesi9@gmail.com).

Infine, per vincere la paura, un semplice consiglio che già un anno fa avevo suggerito ai miei pazienti e che ribadisco volentieri è di NON guardare la televisione o meglio, se volete guardarla, dedicatevi a canali culturali, musicali, storici, film. Cercate di ascoltare musica, leggere più libri e state all’aria aperta rispettando le regole in modo da non creare conflitti con i vostri simili.

Infine vorrei dire che, a mio parere, questa pandemia finirà, come è sempre accaduto, quando il virus diventerà endemico e stagionale come tutti i virus con i quali, nel corso dei secoli e dei millenni, l’uomo ha sempre convissuto. Così avverrà anche per questo, e ancora più facilmente se non ci saranno troppe forzature. La fine della paura sarà invece legata a quando gli artefici di essa smetteranno di propinarla senza ritegno e ciò potrebbe essere legato, ad esempio, a praticare i tamponi diminuendo i cicli di amplificazione onde evitare i falsi positivi e al fatto che si curino tempestivamente i malati a domicilio liberando così gli ospedali e i reparti di terapia intensiva.

Non faccio alcun appello alla classe politica, vista la assoluta inettitudine dimostrata in questo anno”.

 

 

Per paura di morire, abbiamo smesso di vivere_ di Davide Gionco

Per paura di morire, abbiamo smesso di vivere
di Davide Gionco

La perdurante campagna di terrorismo mediatico intorno alla pandemia del covid-19 (perché se fosse informazione corretta, sarebbe un’altra cosa) fa leva sul nostro istinto di sopravvivenza: se so che una certa azione comporta dei rischi per la mia incolumità, la evito. Si tratta di un atteggiamento che funziona bene nel caso di un pericolo immediato, come il rischio di un incidente stradale, ma che non sempre porta dei vantaggi nel caso di situazioni che perdurano nel tempo.
Un esempio classico è quello del fumo: tutti sanno che fumare fa male e che riduce la speranza di vita, tuttavia molti fumano (per la cronaca: non sono un fumatore), perché ritengono che fumare sia un “piacere della vita”, che la rende più piacevole, anche se forse più breve. Tutti sanno che un’alimentazione sana unita ad una regolare attività fisica è qualcosa che può allungare la vita, ma molte persone preferiscono alimentarsi con cibi più saporiti (anche se meno sani) e non affaticarsi a fare sport, preferendo altre attività ritenute più piacevoli. Tutti sanno che è pericoloso viaggiare, tuttavia molte persone viaggiano, perché viaggiare consente di lavorare, di rendere visita a persone care, di gustare qualche splendido angolo del mondo.
Il famoso filosofo Epicuro di Samo (341-270 a.C.) si era giustamente occupato del ruolo del piacere nella vita umana. Non siamo dei vegetali che devono sopravvivere, ma delle persone che desiderano vivere, riempire la propria esistenza di esperienze piacevoli che rendano la vita degna di essere vissuta.
Ho conosciuto una signora che era terrorizzata dai “microbi” che avrebbero potuto far ammalare i suoi figli. Per questo non lasciava mai i figli uscire di casa, per ridurre i rischi di malattie. Alla fine i figli si ammalarono comunque, una volta diventati adulti. E in compenso crebbero come delle persone tristi ed asociali, perché per evitare le malattie avevano sistematicamente evitato di tessere relazioni sociali.

Gli gnu della savana sanno che per vivere (nutrirsi, accoppiarsi, riprodursi) dovranno passare dall’altra parte del fiume, dove li attendono i verdi pascoli. Per questo motivo non esitano ad attraversare il fiume infestato dai coccodrilli. Sanno che qualcuno morirà (il quale lotterà per non soccombere), ma sanno anche che è il prezzo da pagare per continuare a vivere.

E noi essere umani, come ci siamo ridotti dopo un anno di pandemia e di misure di confinamento?
Abbiamo ridotto ai minimi termini le nostre relazioni sociali, proprio noi che siamo la specie sociale per eccellenza: chiusi in casa per evitare i rischi del contagio, senza potere scherzare (o piangere) con gli amici, senza poter corteggiare una ragazza di cui ci siamo innamorati, senza poter partecipare al funerale di una persona cara deceduta (sì, siamo arrivati anche a questo), senza poterci gustare un’opera d’arte o un concerto musicale, senza poter andare al mare a godersi il tramonto sulla spiaggia.
Si tratta di attività definite “non essenziali”, senza le quali, però, nessuno di noi potrebbe vivere. Se i nostri genitori non si fossero innamorati in occasione di attività “non essenziali” (un ballo, una vacanza al mare, in pizzeria, tutte cose oggi rigorosamente vietate in nome del covid…), non ci avrebbero messi al mondo e nessuno di noi oggi esisterebbe. Le attività legate alla socializzazione sono quindi più che mai essenziali per l’esistenza degli essere umani e per la perpetuazione della nostra specie.

Stiamo smettendo di fare all’amore. Secondo uno studio che ha coinvolto 500 italiani fra i 16 ed i 55 anni, lo stress generato al terrore sociale e dalle misure di confinamento ha portato ad un calo del desiderio sessuale, con conseguente riduzione dei rapporti. Fare all’amore con la persona che si ama è una attività essenziale o non essenziale?

Stiamo smettendo di fare figli. Nel 2020 ci sono stati circa 80 mila morti in più rispetto alla media, ma nessuno ha fatto notare come ci siano stati 160 mila nati in meno rispetto al 2010 (nostra stima, in attesa dei dati ufficiali ISTAT per il 2020). Questo processo di denatalità è peraltro in atto da molti anni, probabilmente causato dalle paure e dalle incertezze della persistente crisi economica, perché sempre meno giovani coppie osano investire nel futuro. Se giustamente intendiamo salvare dal covid-19 le persone anziane che abbiamo a cuore, per quale motivo abbiamo rinunciato a dare origine a nuove vite? Il fatto di non mettere al mondo dei figli, che certamente saprebbero riempire di gioia la vita degli adulti, oltre che garantire un futuro alla nostra società, significa privarsi di affetti fondamentali per la nostra esistenza, probabilmente molto di più di quanto lo siano gli affetti verso le persone anziane delle quali prolungheremo la vita grazie alle misure anti-covid.
Anche se, ovviamente, non si tratta di numeri comparabili, vale di più prolungare di qualche anno la vita delle persone anziane o mettere al mondo dei nuovi bambini che le sostituiscono, secondo come ha previsto Madre Natura? Che senso ha attuare misure di restrizione sociale anti-covid (unite al terrorismo mediatico) che consentono di salvare alcune decine di migliaia di vite di persone anziane, se poi questo ci costa, socialmente parlando, una riduzione del numero delle nascite di nuovi bambini? Oltre a danni sociali difficilmente misurabili in tutta la società.

Ogni anno in Italia muoiono circa 70 mila persone per le conseguenze del fumo (il “piacere della vita” sopra citato). Nessuno se ne scandalizza, eppure potremmo evitare queste morti con un ferreo divieto del fumo in Italia, che sarebbe certamente molto meno devastante, dal punto di vista sociale, delle limitazioni imposte per evitare un numero eccessivo di morti per covid-19.
Ogni anno muoiono in Italia circa 40 mila persone per le conseguenze dell’alcolismo. Nessuno se ne scandalizza. Perché non si vieta in modo assoluto il consumo di alcool? Non lo si fa, perché l’alcool, se assunto con moderazione, è uno dei piaceri della vita, ma un divieto assoluto dell’alcol sarebbe socialmente meno dannoso dell’attuale lockdown.

Con le restrizioni anti-covid abbiamo sostanzialmente sospeso ogni iniziativa di tipo economico: chi mai può pensare (a parte Jeff Bezos, che ci sta guadagnando con le vendite online) di fare investimenti economici in un periodo portatore di tutte queste incertezze per il futuro?
E’ stata uccisa la speranza in un futuro migliore, ciò che dà sapore alla vita che viviamo. Siamo stati ridotti a vegetali da mantenere in vita, mentre prima eravamo persone che vivevano.

In tutta la sua storia l’umanità ha affrontato numerose pandemie, anche molto più gravi di quella attuale, senza per questo mai cessare di godersi la vita, di fare figli e di investire nel futuro. La naturale paura di morire non ha mai portato a smettere di vivere, riducendosi a sopravvivere. Agli eventi della vita, comprese guerre e malattie.

Non si tratta di un discorso cinico, ma del significato e della qualità della nostra vita: fino a che punto ha senso che una intera società RINUNCI A VIVERE, per mesi e mesi, senza prospettive, solo per ridurre l’incidenza di una delle molte cause di morte fra la popolazione?
E’ qualche cosa che ricorda la situazione di persone che sono state rapite, rinchiuse in carcere a vita o detenute in confino, le quali sono ridotte a vivere alla giornata, senza poter guardare al futuro, senza poter sognare qualcosa che possa dare senso alla loro vita. La speranza viene ridotta all’attesa che la situazione di reclusione finisca, senza alcuna idea su quello che seguirà.

Il coronavirus in un anno ha fatto 80 mila morti su di una popolazione di 60 milioni di abitanti, il che significa lo 0,13% di morti per questa malattia. Se non ci fossero state le misure restrittive, ma sono misure mirate a proteggere le persone a rischio, supponiamo che saremmo arrivati ad un tasso di mortalità dello 0,2% (120 mila morti). Evitare la morte dello 0,2% della popolazione vale il prezzo della distruzione della socialità, del senso di vivere delle restanti 59’780’000 persone?

Forse dietro a tutto questo c’è una visione egoistica della vita: abbiamo paura di morire, abbiamo paura che muoiano i nostri cari. Per questo preferiamo imporre a tutti quanti di smettere di vivere, per ridurre il rischio a nostro carico di dover soffrire.
Anche io ho toccato con mano la morte di persone care a causa del covid, anche io sto attento a non contagiare le persone a rischio, per rispetto della salute di quelle persone. Ma per questo non mi sento in diritto di mancare rispetto alla stragrande maggioranza di persone “non a rischio”, privandole del mio apporto di socialità, di vita piena.

Mi auguro che queste riflessioni aiutino a superare la sterile contrapposizione “normali contro negazionisti” o “vaccinisti contro antivaccinisti”. Non è questo il punto. Il punto è che, senza accorgercene, stiamo diventando persone disumane, perché stiamo reprimendo la nostra umanità in nome delle misure di prevenzione anti-covid. Siamo davvero sicuri che il prezzo che pagheremo per questo, alla fine, non sia ben più alto di quello che avremo guadagnato?

NB apparso anche su https://www.sovranitapopolare.org/2021/03/06/per-paura-di-morire-abbiamo-smesso-di-vivere/

Nessuno deve morire_ del dr Giuseppe Imbalzano

Nessuno deve morire

 

Il male non è soltanto di chi lo fa è anche di chi, potendo impedire che lo si faccia, non lo impedisce.

Tucidide

Esiste un solo bene la conoscenza. Esiste un solo male l’ignoranza.

Socrate

Se l’incendio non si spegne subito, è il momento di chiamare i pompieri.

Generali Assicurazioni

 

Why did the world’s pandemic warning system fail when COVID hit?

Nearly one year ago, the World Health Organization sounded the alarm about the coronavirus, but was ignored. Nature 589, 499-500 (2021)

Perché il sistema di allarme pandemico mondiale ha fallito quando COVID si è diffuso?

Oltre un anno fa, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato l’allarme sul coronavirus, ma è stato ignorato.

 

Il Covid 19 non è stato eradicato sin dalle prime manifestazioni epidemiche, come indicato dall’OMS.

Considerato che avevamo, e abbiamo, di fronte un problema grave di sanità pubblica, l’obiettivo dell’Oms era sicuramente quanto di più corretto e concreto si potesse proporre.

Invece non tutti hanno avuto la sensibilità di promuovere azioni utili e necessarie per raggiungere questo risultato.

Ed anzi le idee meno coerenti rispetto alle soluzioni che garantivano di più e meglio la nostra comunità, sono state esposte, espresse e purtroppo realizzate in modo concreto, con danni che possiamo definire disastrosi per la comunità stessa e per i singoli cittadini e le loro famiglie, sia per la salute che economiche, di vita e di relazioni sociali.

Se abbiamo un incendio, non è lasciando consumare tutto quello che trova sulla sua strada che diventa la soluzione al problema.

L’incendio va spento e bisogna evitare che si espanda. Ed evitare di trasportare i tizzoni ardenti in ambienti dove rischia di determinare ulteriori focolai.

L’incendio va spento subito e con tutte le risorse disponibili. I malati devono essere evitati, i contagi devono essere evitati. Bisogna impedire che l’infezione si diffonda e la sicurezza deve essere assoluta, non relativa.

La comunicazione e le informazioni nel corso di questa epidemia sono state molto carenti e spesso contradditorie, con toni inutilmente conflittuali e critici quando, per spegnere un incendio, è necessario dare coordinamento e partecipazione e risposta ai bisogni per garantire coesione e soddisfazione ai bisogni di tutti.

Il Covid 19 non è una infezione presente da tempo nella comunità, non è correlata al clima e alla temperatura, ma può essere trasmessa con il semplice contatto, al solo contagio diretto con un soggetto non infetto.

La trasmissibilità infettiva, le conseguenze, molto spesso gravi, per alcune categorie di cittadini, l’insidiosità e la facilità diffusiva sono temibili strumenti di danno individuale e sociale.

È complesso agire di conseguenza, in modo sollecito e radicale, per garantire un ambiente che sia adeguato per una vita sociale libera e senza limitazioni.

Ci chiediamo se in questi mesi sia stato predisposto un vero piano delle emergenze a qualsiasi livello (Stato, Regioni, Aziende sanitarie e tutti coloro che ne sono direttamente coinvolti), considerato che era evidentemente assente quando si è posto il problema nella nostra comunità, oppure gli interventi sono stati svolti all’impronta, con una esperienza non sempre brillante alle spalle, che ha portato a risultati, non raramente, del tutto inadeguati per garantire una vita sociale sicura e nella normalità quotidiana.

La sintesi di quanto accaduto, senza voler entrare nel merito di quanto avvenuto è nella conoscenza di tutti. Il disastro sanitario e sociale è sottostimato poiché il numero dei malati e dei deceduti è ben più elevato di quanto non descriva la curva di mortalità e i dati dei malati che sono stati esposti in questi mesi.

Sono deceduti di Covid? Per Covid?

Crediamo che la scelta di dare responsabilità o meno, diretta o indiretta alla epidemia in atto, non abbia valore, poiché, purtroppo, le persone sono decedute.

Lo sapremo in futuro.

Ma è chiaro che la condizione devastante e priva di confronti con il passato recente ha determinato questa gravissima perdita di vite umane, di libertà personale, di impossibile sviluppo economico e sociale, proprio per la presenza di questa epidemia che ha avuto una grande e importante diffusione nazionale ed internazionale.

Ci auguriamo che ci sia stata genuinità nelle richieste di mantenere funzionanti tutte le attività sociali ed economiche e non ci siano state spinte a creare condizioni di opposizione e di rifiuto a quanto, obiettivamente, stava accadendo. Questo ha creato danno a molte più persone, e un atteggiamento di cautela e di logica attenzione ad impedire la diffusione infettiva avrebbe evitato molte delle vittime e dei malati che abbiamo avuto in questo periodo.

Non si può passeggiare in mezzo al bosco in fiamme.

Nessuno lo farebbe e nessuno pretenderebbe che accadesse.

Vite in pericolo e certamente persone morte, anche solo soffocate dal fumo, per rifiutare un accorgimento che appare chiaro e indiscutibile.

Solo i pompieri, adeguatamente protetti, possono intervenire per spegnerlo.

Per spegnerlo, non per sfidarlo o per diffonderlo.

La contrapposizione che è stata determinata ha creato focolai che potevano essere evitati?

Gli atteggiamenti liberali e lassisti sono stati causa di diffusione infettiva e creazioni di cluster gravi e importanti?

La gestione dell’assistenza sanitaria che ha utilizzato in modo misto presidi ospedalieri, case di riposo e domicilio dei malati ha determinato un incremento dei casi e danni gravi a molte persone?

Temiamo di sì rivedendo alcuni comportamenti avvenuti nel corso di questa epidemia.

Una epidemia è meno evidente, molto più insidiosa, si diffonde per contiguità e, come il fuoco, si espande in modo rapido e colpisce chiunque sia nel proprio raggio d’azione.

Ma può e deve essere spento, con le necessarie azioni ed interventi.

Con le risorse necessarie e indispensabili.

Oltre 100 mila persone decedute in più, in meno di un anno.

Forse in questo periodo dovremmo ipotizzare alcune domande.

Sono giustificate per una epidemia di questa importanza, nel 2020?

Gli interventi che sono stati messi in atto sono stati sufficienti ed efficaci?

Il sistema sanitario ha reagito adeguatamente?

Ha operato in modo corretto e coerente con le tecniche di igiene e prevenzione e cliniche consolidate?

Siamo riusciti a comprendere e far comprendere cosa si intenda per prevenzione e come applicarla?

È stato predisposto un piano locale e regionale per la gestione di questa fase e delle successive dell’epidemia?

Le Autorità, il Prefetto, i Presidenti delle ex Province, i Comuni e i Sindaci sono stati coinvolti e sono partecipi in questi interventi per la sicurezza e la salute pubblica?

I Datori di Lavoro, i gestori di strutture di comunità, i gestori di servizi al pubblico, i responsabili dei servizi comunitari sono stati adeguatamente informati e formati per garantire sicurezza ai propri dipendenti e alla propria clientela?

È il caso di identificare un “Covid Manager” di comunità o dei singoli settori, delle Aziende, per garantire che le indicazioni, generali e specifiche, vengano attivate e attuate nei diversi ambienti?

Riusciamo a prevenire i contagi?

Siamo arrivati a tracciare e a interrompere la catena di trasmissione del virus?

O eseguiamo solo i tamponi nella prospettiva, speranza, di individuare nuovi casi?

Sapendo che sono nuovi malati e che abbiamo perso il momento della prevenzione?

Sapendo anche che i test negativi possono essere positivi il giorno successivo ad aver effettuato il prelievo?

Riusciamo a testare i sintomatici e rintracciare i loro contatti?

O abbiamo perso il tracciamento dei contatti?

I sistemi proposti per il tracciamento dei contatti sono efficaci?

Riusciamo ad assistere in modo adeguato i malati non ricoverati in ospedale, separandoli dai sani e garantendo un rientro in famiglia solo quando il paziente è completamente guarito e non infettivo?

Riusciamo ad individuare ambienti in cui assistere i possibili contatti da mantenere in quarantena e ad avere sufficienti luoghi di ricovero extraospedaliero per non creare cluster familiari, che come abbiamo visto, hanno determinato quasi il 60% dei nuovi casi?

L’attivazione di USCA (Unità Speciali di Continuità Assistenziale), mediche ed infermieristiche ambulatoriali e domiciliari, in sostituzione della medicina generale classica per pazienti affetti da patologie infettive trasmissibili, è stata completa e ben distribuita su tutto il territorio regionale? Nazionale?

Abbiamo la garanzia che il 100% dei pazienti sia assistito adeguatamente in ambienti protetti per evitare ulteriori infezioni senza la creazione di cluster familiari o locali?

Gli ospedali e le case di riposo sono stati messi in sicurezza?

Sono stati distinti gli ospedali e le strutture sanitarie indirizzate unicamente ad attività di ricovero per malati infettivi senza creare, in alcun modo, ospedali misti (salvo che per malati nei servizi di malattie infettive)?

Il personale sanitario è garantito nella propria attività quotidiana?

Cosa stiamo facendo per la prevenzione?

Le informazioni e l’educazione dei Cittadini è adeguata e possiamo essere certi che i messaggi di protezione individuale e di prevenzione della infezione siano stati compresi e applicati?

Il materiale di protezione è disponibile e garantito e ha un costo accettabile?

È stato distribuito a tutti i cittadini non in condizione di acquistarlo?

Le regole che sono state indicate sono sufficienti e sono state esposte in modo adeguato a chi dovrebbe seguirle?

Viene garantito il controllo delle regole?

Qual è il modello di gestione della comunità in attesa che sia dispensato a tutta la popolazione il vaccino e siano disponibili terapie adeguate?

La popolazione a rischio, anziani, malati cronici, immunodepressi, soggetti fragili, etc. è sufficientemente protetta e garantita?

È garantita particolare attenzione alle esigenze sociali e cliniche dei pazienti fragili, non Covid, a domicilio per permettere di svolgere una assistenza che non conduca alla necessità di ricoveri ospedalieri?

Considerato che dobbiamo attenderci nuove recrudescenze del virus, come dobbiamo operare per garantire l’intera popolazione e quella più suscettibile a subire i danni più gravi determinati dal virus?

È stato attivato un servizio di sorveglianza e follow up dei malati che sono stati affetti da Covid?

Il Virus è un serio pericolo per la Salute Pubblica, ma non è una minaccia incombente se gli interventi di protezione e prevenzione sono ben attivati e coerenti con il problema da affrontare.

La Coscienza di una Nazione, se compatta e coerente di fronte ad un pericolo, può affrontarlo e risolverlo più rapidamente e con una modalità solidale e cooperativa.

La creazione di conflitti o il prevalere di interessi di parte non può che rendere più complessa e difficile la soluzione dei problemi, ed ancora di più quello di una epidemia vera, significativa, che ha determinato oltre 100 mila decessi e milioni di casi in Italia, oltre 100 milioni di casi nel Mondo.

 

Economia e Covid 19

 

L’impatto che ha avuto l’epidemia a livello mondiale è stato variabile ma comunque molto importante ovunque e persino devastante per alcune categorie.

Una brevissima analisi economica serve per comprendere quali siano le politiche che hanno ottenuto migliori risultati e costi meno elevati, sia per i malati che per la propria economia.

Il danno è stato gravissimo perché dobbiamo tenere conto non solo della perdita di Pil ma anche del mancato incremento mondiale di circa il 3% che era previsto. Ed è una condizione che, se non verrà modificata rapidamente verrà recuperata con tempi particolarmente lunghi.

Sicuramente ha creato danni importanti che sono, tipicamente, determinati da una pandemia espansiva e diffusiva come lo sono quelle per virosi aerotrasmesse.

Il diverso approccio delle Nazioni alla pandemia cosa ha comportato?

E con quali risultati economici e sociali?

C’è stata una correlazione tra la gestione della epidemia e le condizioni economiche?

E se sì, quale comportamento nella gestione della epidemia ha dato migliori risultati sanitari, sociali ed economici?

Partiamo da questi perché solo con le valutazioni concrete possiamo evidenziare i risultati effettivi.

In Europa abbiamo avuto una diversificazione del calo del PIL, ma va valutato anche quali prospettive di sviluppo avessero le diverse Nazioni europee, e confrontare le diverse realtà nazionali. La gestione della epidemia è stata differenziata tra le diverse realtà europee, ma i danni economici sono stati significativi e con valori mediamente importanti.

La perdita del PIL è stata mediamente del 8,5% con variazioni tra le differenti realtà nazionali.

La realtà delle Nazioni sudamericane è stata simile a quanto avvenuto in Europa.

Gli Stati Uniti hanno avuto una riduzione percentuale molto inferiore alla perdita economica europea che è certamente molto significativa. Il danno è comunque maggiore poiché le prospettive di crescita erano più elevate rispetto alla realtà europea.

Crediamo che, nonostante le diverse modalità di valutazione e di rilevazione dei dati sulla mortalità (che è ampiamente sottostimata per gli eccessi di mortalità avvenuti in questo periodo) possano rappresentare una informazione adeguata nel confronto tra i risultati ottenuti nel corso di questi mesi di pandemia.

 

Gli abitanti in Europa sono circa 750 milioni mentre negli Stati Uniti sono circa 344 milioni.

La mortalità è risultata, sinora, praticamente equivalente.

Su quanto accaduto effettivamente lo sapremo tra qualche tempo quando verranno riviste le statistiche sanitarie con una diversa attenzione e quelle di mortalità in modo più equilibrato e approfondito.

Siamo ad un tasso di mortalità, in meno di un anno, di circa 120 – 130 deceduti per 100 mila abitanti.

Il Brasile ha circa 210 milioni di abitanti e il tasso di mortalità è simile ai precedenti riferimenti.

Circa 1,45 miliardi di abitanti, meno di 5 mila morti. Il tasso di mortalità cinese è dello 0,34 per milione di abitanti (0,034 per centomila abitanti)

In Australia il tasso di mortalità è stato dello 0,4 circa per centomila abitanti.

Con circa 5 milioni di abitanti ha avuto una mortalità di circa lo 0,5 per centomila abitanti

Con circa 51 milioni di abitanti hanno avuto una mortalità di circa 3 casi per centomila abitanti.

Quali sono stati i problemi economici e come è variato il PIL in queste quattro Nazioni?

I loro modelli, particolarmente rigidi, hanno creato maggiori danni all’economia e al benessere dei cittadini? Hanno determinato una gestione critica delle attività sanitarie e condotto ad una gestione complicata e con disagio dei malati di patologie croniche e acute nei loro servizi sanitari?

Naturalmente la seconda domanda ha una risposta semplice perché il sistema sociale e sanitario sono stati appena sfiorati dal problema. Un impegno fondamentale, invece, è stato indirizzato all’eliminazione del rischio e alla identificazione dei positivi, alla separazione dei contatti e ad evitare, in qualsiasi modo, la diffusione dei contagi.

Non possiamo considerare, comunque, il mero dato economico come vantaggioso o meno del risultato ma deve essere inserito nella valutazione generale della libertà e del benessere generale della popolazione, delle condizioni di vita e di salute di tutta la popolazione in generale.

I fattori di costo e di danno devono essere anche considerati secondo altri parametri. Certamente i costi sanitari del Covid 19 (che vanno a creare Pil) sono elemento critico. Gli extra costi nei servizi e dei danni possibili per le patologie sofferte e le conseguenze che saranno possibili nel futuro dei malati e di chi è stato infettato, sono ulteriori elementi critici. I danni, malattie e perdite di operatori, al servizio sanitario sono ulteriori elementi critici che vanno sommati ai danni economici di chi ha avuto un numero elevato di decessi, che vanno considerati come danno sociale ed economico, e dei debiti che comunque si sono accresciuti nel periodo di gestione delle problematiche sociali e che comunque sono inseriti in valori incrementali del Pil.

 

Australia

La riduzione del PIL è del 4,2%

 

Nuova Zelanda

La riduzione del Pil è del 6,1%

 

Cina

Il Pil è cresciuto dell’1,9%

 

Repubblica di Corea (del Sud)

Riduzione del Pil 1,9%.

 

Come abbiamo premesso la valutazione economica è molto semplice e su un macrovalore come il Pil che può rappresentare, in forma indiretta, il disagio economico e i danni sociali prodotti dalla epidemia a livello mondiale.

Appare chiaro che gli interventi preventivi e radicali che sono stati messi in atto sono particolarmente vantaggiosi per il benessere dei cittadini, per la libertà individuale, per la sicurezza sociale e per la cura dei malati, acuti e cronici che si presentano annualmente.

Con la produzione del vaccino, reso disponibile in tempi rapidi rispetto ad ogni più rosea previsione, appare molto preoccupante immaginare che non si possa abbattere in modo imponente la diffusione epidemica e rendere più serene e vivibili la gestione e la relazione comunitaria nei mesi a venire.

Ma è necessario intervenire e perseguire obiettivi di grande rigore e correttezza gestionale della epidemia, che invece non appare essere condotta in modo adeguato e spesso appare priva di attenzione all’elemento principale, la prevenzione della diffusione infettiva.

Ancora oggi sono troppi gli operatori che si infettano e purtroppo anche i decessi e le malattie che ne conseguono.

Un sistema “premiante”, non quello dei colori, con numeri settimanali talmente elevati da rappresentare casistiche dell’intera epidemia in alcune Nazioni, potrebbe garantire una diversa tranquillità sociale e una ripresa economica più rapida e robusta, solida.

Non sono ammissibili disattenzioni nel tracciamento e separazione dei malati e dei contatti, proprio per impedire la diffusione di questa infezione, che non è stata certamente affrontata in modo adeguato e ne vediamo purtroppo i risultati.

La mortalità ha superato costantemente i 3000 casi settimanali e ha una tendenza a mantenere questo livello nonostante appaia (o sembri) che i casi siano in calo.

È evidente che qualcosa, tra la gestione del tracciamento e la sicurezza dei malati, non riduce la diffusione e i danni relativi.

La scelta, nei fatti, di rendere endemica l’epidemia, non va certo verso la sicurezza sanitaria e sociale e verso la garanzia di una ripresa rapida delle attività sociali in tranquillità e fiducia.

Si ribadisce la necessità di perseguire gli obiettivi che sono stati proposti in apertura di questo contributo.

Vorremmo vedere la curva tendere costantemente verso nessun decesso.

È molto più semplice (e meno costoso) evitare una malattia che doverla curare.

 

L’incendio va spento subito, non si può lasciar bruciare l’intera foresta.

 

Giuseppe Imbalzano – Medico

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Paradossi di una pandemia, di Vincenzo Cucinotta

C’è questo di paradossale in questa vicenda COVID, che una elite tecnico-scientifica si impone sull’intera popolazione saltando anche la garanzie costituzionali, ma lo fa imponendo una sua modellazione che per ragioni di forza maggiore non può essere oggetto di verifica sperimentale, e quindi non è distinguibile dai dogmi che una casta sacerdotale impone ai sudditi.
L’unica fonte di verifica sperimentale potrebbe essere costituita da un raffronto tra stati differenti per verificare se una certa strategia abbia o no avuto più successo di un’altra differente. Seppure non si possa mai raggiungere l’affidabilità di un vero e proprio esperimento di laboratorio nel quale hai il controllo su ciascuna variabile sperimentale, e quindi devi tollerare che esistono condizioni sperimentali non identiche nei paesi messi a raffronto, tuttavia ciò non può arrivare fino al punto da chiudere gli occhi di fronte a queste differenze che costituiscono in ogni caso evidenze sperimentali che dovrebbero quanto meno essere spiegate e inserite nel modello. Un modello se pretende di stare nella pertinenza delle scienze sperimentali e non si considera articolo di fede non può essere costruito su una base dogmatica, deve sempre confrontarsi con dati sperimentali, e anche se qui sconfiniamo nella filosofia della scienza, bisogna che i dati raccolti abbiano un carattere davvero obiettivo. Ad esempio, non credo che ci sia scienziato che metta in dubbio il significato di temperatura corporea, è un dato facilmente misurabile e che comunque denota uno stato di sofferenza dell’organismo. Si tratta semmai, è questo il suo punto debole, di un dato generico perchè le cause che portano all’alterazione febbrile possono essere le più diverse, ma certo nessuno può ragionevolmente affermare che sia un dato di fantasia, generico sì, fittizio certamente no.
Lo stesso non può dirsi, per fare un esempio estremamente significativo, del numero di persone che risultano positive al tampone rinofaringeo.
La cosa che dovrebbe mettere all’erta tutti coloro che sono interessati a capire cosa stia succedendo, è che tale test finisce per mettere assieme “pere e mele” per citare un insegnamento che si da sin dai primi rudimenti dell’istruzione scolastica, anzi si separano tra loro le pere a seconda la varietà, ad esempio le pere coscia dalle dalle pere decane, mettendo quelle di quest’ultimo gruppo assieme alle pere. Uscendo di metafora, separiamo tra loro le persone sane oggi improvvidamente definite asintomatiche, a seconda della risposta al tampone, e quelli che rispondono positivamente ad esso vengono raggruppate assieme ai malati. Giornalmente, ognuno di noi non può accendere la TV senza che in uno dei numerosissimi notiziari o talk-show di ogni tipo, gli venga dato il numero dei positivi al tampone, cioè stiamo sommando alle mele le pere decane sol perchè hanno un peso comparabile, e teniamo da parte le pere coscia sol perchè pesano di meno.
Aggiungiamoci che questo test non da risposte univoche perchè si basa su cicli di amplificazione del segnale che tendono a farlo individuare al di sopra del rumore di fondo, e chiunque capisce che la scelta del numero di cicli di amplificazione fornisce numeri di positivi differenti. Ormai, ad esempio, sembra chiaro che la situazione tedesca difforme dagli altri paesi europei derivi dalla scelta lì fatta di usare cicli di amplificazione in numero nettamente inferiore.
Per chiarezza ulteriore, quando l’amplificazione del segnale è eccessiva, il rischio di produrre un segnale che non c’è, cioè di trasformare qualcosa che appartiene al rumore di fondo in segnale, è inevitabile. Non è che se amplifichiamo di più otteniamo sempre più informazione, a volte esagerando creiamo un’informazione fittizia.
Riassumendo, usare una variabile chiaramente determinabile come la temperatura corporea e un’altra legata a una procedura complessa, che richiede l’uso di costose apparecchiature, e che crea nella sua stessa modalità di esecuzione variabili aggiuntive (nel nostro caso i cicli di amplificazione), non sono cose equivalenti. Sia chiaro, non è che io sostenga che non si debba attingere a dati sperimentali di più difficile reperibilità e interpretazione, dico che quando tentiamo di trarre delle conclusioni, non dovremmo mai dimenticare la natura delle informazioni che stiamo usando e la fonte di tali informazioni.
Invece, questi organismi tecnico-scientifici che presiedono alle scelta fatte, hanno del tutto rimosso ogni riferimento a una questione che per qualsiasi scienziato è fondamentale, sulla affidabilità dei dati che usa in termini di accuratezza, riproducibilità e significato univoco. Tutto si decide sulla base di un modello preconfezionato, che punta su una variabile del tutto inventata e senza riscontro nelle realtà (nella metafora da me usata, il peso dei frutti indipendentemente dal tipo di frutto, come se resistesse una singola persona che sceglie cosa mangiare purchè stia in una determinata fascia di peso).
Voglio inoltre ricordare che non si parla di contagi ma di nuovi contagi, come se il fatto che una persona sia stata sottoposta a tampone in un determinato giorno significasse che il contagio fosse stato contratto quello stesso giorno, e infine che si usa una procedura di estrapolazione dei dati in funzione del tempo che rimane comunque una procedura di trattamento dei dati molto pericolosa perchè si basa sulla condizione in sé arbitraria che l’andamento osservato in un certo intervallo di tempo si estenda a un futuro, tra l’altro spesso imprecisato.
La cosa che tuttavia ritengo più grave in assoluto è questo negare l’unica forma che citavo di evidenza sperimentale, il raffronto tra differenti strategie di contrasto alla COVID-19.
Eppure, i risultati di numerosi possibili raffronti ci dicono che le misure di isolamento che si praticano soprattutto nell’Europa occidentale e in alcuni paesi sudamericani, a partire dal caso dell’Argentina particolarmente nell’area di Buenos Aires, non abbiano avuto successo. Difatti, a queste obiezioni, i favorevoli non sanno opporre altro che la sciocca affermazione che senza di queste misure sarebbe stata un’ecatombe, come l’annuncio che dopo la morte ci aspetta l’inferno, fede allo stato puro.
Si impone qui una spiegazione di tipo differente che avrei voluto leggere da parte degli esperti in materia, genetisti, virologi ed epidemiologi in primis, ma che, seguitando a non vedere, proverò, mettendo assieme informazioni raccolte da varie fonti, a descrivere in un prossimo post, a cui vi rimando.

Per capire meglio cosa non vada nelle strategie così invadenti e aggressive anti-contagio proprie della fascia più occidentale dell’Europa così come dell’Argentina e di altri paesi sud-americani, rivolgiamo la nostra attenzione a paesi che al contrario hanno usato strategie del tutto differenti.
In particolare occupiamoci del Brasile, di alcuni degli stati USA nei quali si è seguita una filosofia più permissiva, e infine dal caso più citato, quello della Svezia.
In questi paesi che ho elencato e che hanno sposato una strategia ben differente da quella italiana, si è osservata una prima fase durante la quale i casi erano più numerosi che da noi, la COVID-19 galoppava dando apparentemente ragione ai fautori di una severa politica di isolamento.
Successivamente però, complice forse, ma certo non nel caso del Brasile che si trova nell’emisfero australe, il sopravvenire della stagione calda, si osservava come anche da noi una diminuzione nella diffusione della malattia e soprattutto dei suoi effetti nocivi e a volte letali.
Potremmo quindi riassumere dicendo che dopo una fase iniziale in cui chi sceglieva una politica più permissiva si avevano più casi, si aveva poi una situazione abbastanza omogenea nei differenti paesi indipendentemente dalle scelte delle modalità di contrasto all’epidemia.
A settembre tuttavia, da noi e ancora di più in altri paesi che avevano adottato una analoga politica di contenimento, si iniziava ad osservare un certo incremento di ammalati che man mano è andato crescendo fino ai nostri giorni, quando la versione ufficiale è che i casi aumentano ancora ma con minore rapidità, insomma la velocità aumenta, ma l’accelerazione diminuisce.
Basta consultare i dati diffusi su più siti nel web per verificare che analogo incremento non si è osservato in quei paesi prima elencati che avevano scelto strategie più morbide.
Questo dato è estremamente interessante e va spiegato perché così si può mettere alla prova le tesi OMS, cioè quelle subite passivamente nell’Europa occidentale.
Ci sono due aspetti nel meccanismo di diffusione dell’epidemia che vanno considerati, l’uno è che ogni agente infettivo, avendo una velocità di riproduzione elevatissima, va facilmente incontro a mutazioni e tali mutazioni ne determinano un rapido processo di selezione, favorendo quel tipo di mutazioni che ne favoriscono la diffusione. In particolare, è noto che un virus che sia molto aggressivo con alti indici di letalità viene sfavorito perchè portando a una rapida morte dell’organismo ospite, ha meno tempo per contagiare soggetti terzi e quindi rischia di sparire assieme ad esso. Così si dice con un’espressione imprecisa ma efficace, che il virus sceglie di diventare meno aggressivo così da potere permanere nell’organismo ospite per un tempo sufficiente al contagio di altri soggetti. Ciò spiegherebbe la tendenza di epidemie che inizialmente si mostrano molto aggressive, col tempo a divenire poco letali e divenire magari infezioni che si cronicizzano nelle società colpite.
Parallelamente, il sistema immunitario dell’uomo sviluppa delle forme di resistenza al virus che pure in presenza di mutazioni frequenti, danno comunque una certa copertura seppure parziale e temporanea.
Si tratta di due meccanismi del tutto indipendenti che agiscono su organismi differenti, l’agente infettante da una parte, e l’organismo infettato dall’altra, che non per caso contribuiscono a attenuare gli effetti più clamorosi di un’epidemia trasformandola in poco tempo in un evento seppure nocivo per soggetti particolarmente deboli, innocuo dal punto di vista di una società organizzata come effetto complessivo.
Rimane da capire perchè da noi questo meccanismo stenta a manifestarsi più che in paesi più permissivi. Dobbiamo a questo scopo ricordare che questi fenomeni avvengono in presenza di contagio, è il contagio che induce una minore virulenza del virus, come è il contagio che consente a una frazione più ampia di popolazione di immunizzarsi, e quindi quando tu, anche in presenza di un rallentamento fino a un arresto vero e proprio dell’epidemia (ironizzavo quest’estate quando si arrivò ad avere decessi che si contavano sulle dita di una sola mano, sul fatto che il governo puntava a osservare qualche resurrezione (😎) tanto basso era il rischio presente), non dismetti immediatamente ogni forma di isolamento ed anzi promuovi un aumento deliberato del contagio, tu stai impedendo al meccanismo naturale classico di difesa dalle malattie infettive, di agire liberamente, in preda a un delirio di onnipotenza, contrasti la natura per imporre un addomesticamento guidato da tecnologie la cui efficaci assumi dogmaticamente, anche rispetto ad evidenze opposte.
La strategia che l’OMS ha deciso e che molti paesi sviluppati hanno sposato è sbagliata non in dettagli, o almeno non solo in numerosi dettagli che tutti noi abbiamo avuto in questi mesi modo di osservare, ma proprio nella filosofia di fondo, non di concentrare ogni sforzo nell’assecondare le difese naturali, come è proprio nello sviluppare forme di cura, ma con la pretesa rivelatasi fallimentare di sradicare del tutto un virus in una fase in cui esso si era ormai capillarmente diffuso e che ha determinato questo spreco di risorse economiche, strumentali e umane collegate a questa assurdità di eseguire tamponi a tappeto, perfino più di 250 mila al giorno, così distraendole da quel compito primario di ogni sistema sanitario, quello di curare e guarire gli ammalati.
Vorrei che questa triste esperienza della COVID-19 soprattutto per come è stata affrontata dai vari paesi servisse anche a ricordare che qualsiasi sviluppo culturale, per quanto sofisticato, non può sostituire, né contrastare frontalmente la nostra natura, ma deve partire da essa per assecondarla quanto è necessario e indirizzarla verso obiettivi desiderabili quanto è possibile. Andare oltre queste finalità sin dall’inizio da concepire come limitate, presto porterà alla stessa estinzione dell’umanità, o alternativamente all’estinzione della tecnologia, cioè a un ritorno a un mondo selvatico, due prospettive che spero riteniamo tutti da evitare accuratamente.

Sui rischi sociali della pandemia da Covid-19, di Andrea Zhok

Mentre continua la battaglia senza esclusione di colpi tra titolisti in cerca di scoop, nella stasi agostana e complottisti in cerca di congiure, per dare un po’ di pepe al vuoto pneumatico di idee, è opportuno cercare di fare chiarezza su alcuni punti relativi alla crisi da Covid-19.

Al netto degli argomenti capziosi e raffazzonati, il problema di fondo dell’estesa area ‘complottista’ che si è manifestata in questo periodo sta nel fatto di prodursi in un (doveroso) esercizio del dubbio omettendo però comodamente qualsivoglia articolata tesi positiva. In sostanza legioni di persone che si esprimono con saccenza e irrisione verso “le verità ufficiali”, concedono a sé stessi un supersconto quando si tratta di proporre “verità alternative”.

Tutto quello che si riesce ad ottenere sono gesti, suggestioni oracolari o insinuazioni che vorrebbero lasciar a intendere chissà quale chiarezza di visione, ma dietro a cui non c’è nient’altro che un sentimento a metà strada tra il disagio personale e la cultura del sospetto. Finché qualcuno non si farà carico di spiegare quale sarebbe (per lui) la “verità alternativa” alle screditate “verità ufficiali” siamo al livello zero della ragione. Questa è la comodissima posizione di chi saltabecca tra contraddizioni e discordanze (vere o immaginarie), senza mai proporre apertis verbis un modo migliore di unire i puntini.

Ora, detto questo, proviamo per un momento a fare un abbozzo del lavoro che i ‘complottisti’, troppo occupati ad applaudirsi a vicenda, si rifiutano di fare, cioè andare a vedere quali sono i rischi effettivi di manipolazione, impliciti nella presente crisi pandemica.

L’opzione più popolare e meno sostenibile la citiamo qui all’inizio, solo per lasciarcela rapidamente alle spalle: l’idea di un complotto mondiale che avrebbe utilizzato un virus prodotto in laboratorio per produrre effetti specifici pro domo sua. Premesso che, per quel che ne sappiamo, può ben darsi che un genio del male abbia creato e diffuso un virus per ragioni sue, è insostenibile che questa operazione possa coinvolgere una pluralità globale di interessi politici ed economici in contraddizione. Stati potenti e settori economici enormi sono stati messi in grave difficoltà dal Covid, che ha messo in moto processi fuori controllo. Che, nonostante la divergenza degli interessi, vi sia una discreta concordia globale nelle modalità di riconoscere e affrontare la pandemia toglie di mezzo ogni teoria del complotto ‘ex ante’, come progetto a tavolino.

Se ci rivolgiamo invece alle tendenze che si possono sviluppare in forma non pianificata, ma opportunistica, data l’occorrenza casuale del Covid, qui troviamo questioni molto più interessanti e plausibili.

1) Una prima possibilità è data dalla tentazione degli stati di usare il Covid e l’emergenza sanitaria come occasione di tipo securitario e repressivo, come modo per stabilizzare il potere e tacitare le proteste.

Non c’è nessun dubbio che i ceti politici di molti paesi possono di volta in volta giocare la carta della sicurezza pubblica per far passare strategie di controllo. In Italia ne abbiamo buona memoria con la “strategia della tensione”. Interventi come il lockdown di due settimane imposto dal governo libanese in questi giorni è, abbastanza trasparentemente, un tentativo di quietare le folle in tumulto, evitando pericolose proteste. E’ parimenti evidente che la crisi sanitaria francese ha messo momentaneamente fine alle proteste dei gilet jaunes, e questo è sicuramente di conforto per Macron, che ne può trarre vantaggio.

Il rischio di questi utilizzi opportunistici da parte del potere politico c’è senza dubbio, tuttavia bisogna collocarlo nella dimensione che gli compete. Le stesse operazioni che congelano le proteste congelano anche l’economia, e nessun paese può permettersi di esagerare con il rallentamento economico, perché è ovvio che ad un certo punto il rischio sanitario diviene per troppa gente secondario rispetto al rischio economico personale, e dunque anche il rispetto per norme securitarie giustificate dal Covid finirebbe per dissolversi, creando una situazione sociale esplosiva.

Dunque, quanto a questo primo punto, un rischio c’è, ma nessuno stato può abusarne e dunque si tratta di un rischio moderato e temporaneo.

2) Un secondo orizzonte di possibilità realistiche è dato dalla tentazione di accelerare processi economici favorevoli al grande capitale. Questo orizzonte può essere scomposto in almeno tre sottocasi, di plausibilità (e gravità) crescente.

2.1) Esistono da tempo (in verità dalle origini della civiltà industriale) tendenze alla sostituzione della forza lavoro con forza meccanica. I processi di sostituzione sono in corso sin dalla ‘spinning Jenny’ e dai ludditi, ma hanno subito una potente accelerazione negli ultimi trent’anni. Ben prima del Covid questo problema era pressante, e naturalmente, visto che gli uomini si ammalano e le macchine no, il Covid potrebbe fungere da ulteriore accelerante.

E tuttavia anche questa opzione va collocata nello spazio di possibilità storiche che le compete. Se fosse possibile per i singoli produttori procedere senz’altro nella direzione desiderata, l’automazione sarebbe molto più avanzata di quanto già non sia. A frenare questo processo tuttavia, oggi come in passato, c’è un problema di fondo: le macchine sono pessimi acquirenti. Anche se per la singola azienda poter sostituire forza lavoro con macchine può rappresentare un vantaggio competitivo, tuttavia questo processo deve avvenire con un passo che consenta alla produzione complessiva di essere acquistata e consumata. E per quanto la produzione di Yacht e haute couture possa contare su fasce stabili di acquirenti facoltosi, la stragrande parte dell’economia non produce per questi soggetti.

Questo significa che tale tendenza non ha nessun bisogno per imporsi di un’occasione come il Covid. E’ già una tendenza dominante, ed è rallentata solo dalla catastrofica disfunzionalità (per il capitale) di una società dove le masse sono sottratte al loro ruolo di consumatori.

2.2) Un discorso parzialmente diverso può essere fatto per i meccanismi di ‘digitalizzazione’. Anche qui ci troviamo davanti a processi che si stanno dispiegando da lungo tempo. Dalla ‘dematerializzazione’ delle pratiche burocratiche alla scomparsa degli uffici fisici, delle filiali bancarie, allo smart working, ecc. questo processo si sta imponendo ovunque e non da oggi. Il Covid (o una qualunque altra pandemia) rappresenta una significativa pressione alla digitalizzazione, perché riduce la necessità di contatti fisici.

Ma qual è il problema rappresentato dalla digitalizzazione?

Qui la questione è più sfumata. Da un lato un sistema con livelli di digitalizzazione efficiente presenta alcuni vantaggi generalizzati. Poter ricevere una ricetta medica a domicilio, o poter consultare un catalogo bibliotecario in remoto, o poter svolgere attività burocratiche che riducano gli spostamenti fisici sono tutte opzioni che presentano indubbi vantaggi collettivi. D’altro canto non tutte le attività possono svolgersi con pari qualità in forma digitale, e la tentazione di ridurre le sedi fisiche per comprimere i costi è un’evidente tentazione, sia per l’impresa privata che per l’erario pubblico. Mentre poter consultare un catalogo bibliotecario online (e magari ricevere un volume a domicilio) possono contare senz’altro come progressi, svolgere lezioni online rappresenta una (a seconda delle età, più o meno grande) perdita rispetto a svolgere lezioni in presenza. Mentre svolgere pratiche burocratiche online può essere un bel vantaggio rispetto a fare la fila in un ufficio, svolgere attività lavorativa domiciliare senza una chiara regolamentazione può essere una fonte di grande sfruttamento.

Anche qui, dobbiamo renderci conto che la tendenza è presente da tempo e che finora ha visto scarsissima resistenza, dunque non è ben chiaro in che senso la pandemia possa essere considerata un momento decisivo: in Italia (e non solo) abbiamo accreditato università online dieci anni fa, nel silenzio generale, e interi settori, dalle filiali bancarie ai call center sono stati smantellati e/o delocalizzati. Abbiamo mugugnato davanti a un sistema in cui non avevamo più nessun referente fisico con cui interagire, abbiamo mugugnato davanti al call-center pakistano o albanese che aveva imparato quattro risposte meccaniche in un italiano claudicante, lasciandoci con gli stessi dubbi di prima. Abbiamo mugugnato, ma abbiamo lasciato fare.

Ecco, forse oggi, lungi dal pensare che è stata la pandemia a crearli, potremmo cogliere l’occasione della pandemia per porre davvero una buona volta questi problemi, presenti e taciuti da tempo. Una discussione su ciò che viene perduto in questi processi di digitalizzazione, su come sia folle che essi non siano attentamente regolamentati considerando le tecnologie disponibili (la normativa italiana a proposito è del 1973), su come essi si incardinino nella consueta tendenza a ridurre i costi di produzione e aumentare lo sfruttamento.

2.3) Un terzo orizzonte di rischio è quello che personalmente vedo come il più immediatamente insidioso. Per comprendere bene di cosa si tratta, bisogna partire da una considerazione di fondo: la presente pandemia ha posto rilevanti ostacoli a due sole delle tre matrici della globalizzazione economica. I movimenti di persone e quelli di merci ne sono usciti ridotti e affaticati. Ma assolutamente nulla è accaduto ai movimenti di capitale, che sono già compiutamente digitalizzati e possono spaziare senza ostacoli sull’intero pianeta.

Ciò significa che la pandemia 2019-2020 si configura come un’impennata nella divergenza di potere tra ‘economia reale’ ed ‘economia finanziaria’. Sappiamo tutti che da tempo il potere contrattuale dell’economia finanziaria, proprio grazie alla sua perfetta mobilità internazionale, è aumentato rispetto al potere della produzione reale e dei suoi protagonisti (imprenditori e, a maggior ragione, lavoratori). Lo slittamento verso una ‘finanziarizzazione dell’economia’ è già in corso da tempo e ha già prodotto danni gravissimi (a partire dalla crisi del 2007-2008). Ma ora siamo di fronte ad una divergenza travolgente: il potere del capitale finanziario non è mai stato più grande nella storia, neanche alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. Siccome la forza economica è sempre una questione relazionale, ciò che va ben inteso è che la potenza del capitale finanziario è proporzionale all’indebolimento delle sue controparti, ovvero agli indebitamenti privati e pubblici in crescita.

Sentivo proprio l’altro giorno, tra le pubblicità radiofoniche, una pubblicità da parte di un fondo privato che invitava alla vendita di ‘nude proprietà’. La prospettiva è chiarissima: fondi finanziari con capitali infiniti non hanno bisogno di realizzare rapidamente, né tanto meno di ‘abitare’. In una situazione in cui moltissime famiglie, soprattutto in Italia, hanno come unico vero e proprio asset la casa di proprietà, l’ultimo orizzonte di dispossessamento è quello di ‘mangiarsi la casa da vivi’, non lasciando più nulla alle generazioni successive. Non c’è dubbio che per molti questa finirà per essere una inesorabile necessità, in assenza di interventi statali.

Più in generale, a fronte di un sistema di debiti pubblici e privati cresciuti enormemente, il gioco del grande capitale privato diviene sempre più scoperto: si tratta di una grande occasione per acquistare a prezzi di saldo immobili, terreni e strutture produttive.

È un momento decisivo da questo punto di vista. Se di fronte a un sistema di capitali privati che ha ogni libertà, ogni tutela, e accesso ad ogni livello di potere, non si staglia con decisione un sistema di capitalizzazione pubblica, fondato sul controllo della moneta e con un’agenda propria, assisteremo al più grande saccheggio della storia, rispetto a cui la spoliazione degli asset pubblici alla caduta dell’URSS sarà un pallido precedente.

Questa è, a mio avviso, la battaglia decisiva che si giocherà nei prossimi mesi e anni. Gli stati che difenderanno la logica della remunerazione del capitale privato, cioè la logica che concepisce come unica fonte pienamente legittima di capitale il capitale privato prestato a interesse, quegli stati prepareranno il collasso del sistema pubblico e dunque la definitiva subordinazione civile della popolazione non facoltosa.

In questa cornice, va detto, poter contare su una Banca Centrale dotata della potenza di fuoco della BCE potrebbe essere risolutivo. Potrebbe, tecnicamente, esserlo perché il sistema produttivo europeo che sta dietro alla BCE è ancora il più solido al mondo e i margini di movimento di una BCE ispirata da un iorientamento keynesiano sarebbero enormi.

Ma è inutile dire che questo ‘potrebbe’ è una possibilità teorica contro cui rema l’intero apparato dei trattati europei, oltre alle intenzioni politiche esplicite dei maggiori azionisti. Dunque, sarebbe davvero bello poter contare su questa prospettiva (che peraltro verrebbe incontro a tutto quanto gli europeisti hanno gabellato come ovvio per decenni). Sarebbe bello, e per questo mi sentivo in obbligo di menzionarlo, ma qui l’ottimismo della volontà ha esaurito le riserve da tempo.

tratto da http://antropologiafilosofica.altervista.org/sui-rischi-sociali-della-pandemia-di-covid-19/

GIOCHI AGOSTANI

La dinamica di questo periodo tra media e social è spassosissima.

Ciò cui si sta assistendo è una guerra d’opinione tra soggetti che negano la gravità, o addirittura la realtà, del virus (chiamiamoli ‘minimizzatori’, perché ‘negazionisti’ è una reductio ad hitlerum) e soggetti che amplificano gli allarmi per la potenziale gravità e pericolosità del virus (chiamiamoli ‘allarmisti’).

Come criceti in corsa frenetica su ruote parallele, minimizzatori e allarmisti danno il meglio di sé in una competizione senza esclusione di colpi. Senza vedere minimamente la gabbia in cui si affaticano.

I ‘minimizzatori’ temono le conseguenze economiche (spesso per ottime ragioni personali) e tirano la coperta da una parte, cogliendo ogni occasione, ogni frase, filmato, battuta, o titolo di giornale per dire che ‘è tutta una finta’, un costrutto, una bufala, una rappresentazione drammatica strumentale.

Gli ‘allarmisti’ temono che i minimizzatori abbiano la meglio nell’opinione pubblica, incentivando comportamenti irresponsabili, e perciò enfatizzano gli elementi d’allarme per tenere alta la guardia.

Davanti all’accresciuto allarmismo i ‘minimizzatori’ vedono una conferma della loro idea che si tratti di una finzione, e perciò insistono, rincarando la dose ed attaccandosi ad ogni tassello fuori posto, ad ogni contraddizione vera o presunta.

Ciò naturalmente innesca una reazione accresciuta degli allarmisti, che vedono nei minimizzatori un’avanguardia di untori prossimi venturi.

E così avanti sulle loro ruote, in un crescendo esponenziale di incomunicabilità e disprezzo.

E’ un gioco divertentissimo con cui riempire l’usuale carenza di eventi del mese di agosto.

E in autunno, quando i nodi (economici, politici, forse anche sanitari) verranno al pettine, avremo una cittadinanza spappolata e convinta che la colpa di ‘tutto’ sia della controparte, dunque assai maldisposta a fare qualsivoglia sacrificio per ‘gli altri’, visto che tra gli ‘altri’ ci sono i responsabili del male che ci sta capitando.

In attesa della prossima versione dell’esercito di Carlo V con i suoi lanzichenecchi, invocati come liberatori.

Davvero, un gioco bellissimo.

 

DA  CTHULHU (MORBUS) SU  CORTESE   RICHIESTA  DI MASSIMO MORIGI: VERBA VOLANT SCRIPTA  MANENT 

DA  CTHULHU (MORBUS) SU  CORTESE   RICHIESTA  DI MASSIMO MORIGI: VERBA VOLANT SCRIPTA  MANENT   

 

https://www.fondazioneluigieinaudi.it/i-verbali-del-comitato-tecnico-scientifico/, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20200807150916/https://www.fondazioneluigieinaudi.it/i-verbali-del-comitato-tecnico-scientifico/

 

 

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https://www.fondazioneluigieinaudi.it/wp-content/uploads/2020/08/verbale-n-21-del-7-marzo-2020.pdf, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20200807151011/https://www.fondazioneluigieinaudi.it/wp-content/uploads/2020/08/verbale-n-21-del-7-marzo-2020.pdf

 

 

https://www.fondazioneluigieinaudi.it/wp-content/uploads/2020/08/verbale-completo-CTS-n-39-del-30-03-2020.pdf, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20200807151025/https://www.fondazioneluigieinaudi.it/wp-content/uploads/2020/08/verbale-completo-CTS-n-39-del-30-03-2020.pdf

 

https://www.fondazioneluigieinaudi.it/wp-content/uploads/2020/08/verbale-completo-CTS-n-49-del-09-04-2020.pdf, Wayback Machine: http://web.archive.org/web/20200807150947/https://www.fondazioneluigieinaudi.it/wp-content/uploads/2020/08/verbale-completo-CTS-n-49-del-09-04-2020.pdf

 

 Cthulhu – R’lyeh, A.D. MMXX, post Midsummer Night’s Dream

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