Trump, Pareto e la caduta delle élite, di Norman Rogers

Il significativo manifesto di una élite emergente

https://www.americanthinker.com/articles/2019/05/trump_pareto_and_the_fall_of_the_elites.html

Trump, Pareto e la caduta delle élite

Il sociologo ed economista italiano Vilfredo Pareto morì nel 1923. Vide le credenze e le azioni degli uomini motivate dal sentimento e dall’interesse personale. Le motivazioni apparenti date per certe credenze e azioni, come aiutare i non privilegiati, sono spesso la copertura di azioni realmente motivate dal desiderio di proteggere i privilegi delle élite – la struttura del potere. Ad esempio, i democratici sostengono di essere motivati ​​dal desiderio di aiutare i meno abbienti. Ma le loro azioni sono chiaramente motivate dal desiderio di proteggere il proprio potere e privilegi. Incoraggiare l’immigrazione di massa di clandestini che competono per posti di lavoro di livello inferiore non aiuta i diseredati, ma crea un nuovo gruppo di elettori che sosterrà i democratici. Aiuta anche gruppi privilegiati fornendo manodopera a basso costo.

Prendiamo, ad esempio, la ricca contea di Marin , in California. Marin è in gran parte popolato da professionisti benestanti e altamente istruiti. Una sottoclasse di immigrati spesso illegali fornisce servizi a prezzi accessibili come il lavoro in giardino e il servizio di babysitting. Nelle elezioni presidenziali del 2012, Marin ha votato il 74% per Obama . Nelle elezioni del 2016, Marin ha votato il 77% per Hillary e solo il 16% per Trump. Un’altra ricca contea della California, Santa Clara County, è il cuore della Silicon Valley. Nelle elezioni del 2016, la Contea di Santa Clara ha votato solo il 21% per Trump. La Contea di Fresno, in California, una contea a maggioranza ispanica con un tasso di povertà molto elevato, ha votato il 43% per Trump. La California nel suo complesso ha votato il 32% per Trump. La nazione nel suo complesso ha votato il 46% per Trump. Nel distretto di Manhattan, a New York City, uno dei posti più ricchi del paese, solo il 10% dei voti è andato a favore di Trump. Chiaramente la classe privilegiata vota democratica e si oppone fortemente a Trump.

In luoghi abitati da élite, i democratici dominano. La vittoria di Trump è stata costruita con il voto pesante delle persone della classe operaia che non condividono il patrocinio che i Democratici conferiscono ai gruppi di identità considerati vittime. I gruppi che sono vere vittime, come le persone il cui lavoro è stato esternalizzato a paesi a basso reddito, si sono ribellati ai democratici ed hanno eletto Trump. Chiaramente i democratici rappresentano l’élite, classe dominante. Questo non vuol dire che i repubblicani non sono compagni di viaggio con i democratici. Gran parte delle classi intellettuali e politiche di destra si schiera con i democratici nel loro odio per Trump. Molti politici nascondono la loro antipatia per Trump per paura di essere primari.

La reazione delle élite all’elezione di Trump fu di lanciare un attacco extra-giudiziario con accuse false di collusione russa. L’FBI e il Dipartimento di Giustizia hanno adottato tattiche di stato di polizia come intercettazioni, intrappolamento e persino il collocamento di sospetti in isolamento per lunghi periodi al fine di esercitare pressioni su di loro per testimoniare contro Trump. La maggior parte della stampa, a sua volta parte dell’élite, ha partecipato con tutto il cuore a questo sforzo per distruggere Trump e rimuoverlo dall’incarico.

Trump ha, finora, respinto gli attacchi dell’élite establishment. La sua prestazione come presidente è stata molto forte. Ha cambiato le leggi fiscali con l’effetto di migliorare notevolmente la competitività dell’economia statunitense. Ha risollevato l’industria del petrolio e del gas. Gli Stati Uniti ora sono indipendenti dal punto di vista energetico e diventeranno uno dei maggiori esportatori di energia. È in procinto di rinegoziare le condizioni commerciali di vecchia data che sono state sfavorevoli ai lavoratori statunitensi e americani, in particolare con la Cina. Ha cambiato la relazione tra gli Stati Uniti e i nemici della Corea del Nord e dell’Iran, mettendo quei nemici sulla difensiva. Ha fatto queste cose di fronte agli attacchi implacabili dei media e dell’élite establishment.

L’élite, i democratici e i repubblicani, che gestivano il paese prima che Trump presiedesse a un lento declino nazionale.L’economia era incatenata dalla regolamentazione e dalle tasse. I problemi non sono stati risolti ma buttati giù per la strada.La crisi del riscaldamento globale è un esempio di una crisi fasulla, credenza in cui è diventata una necessità politicamente corretta.Le soluzioni proposte per il riscaldamento globale non in crisi, come capovolgere l’economia e alimentarla con mulini a vento, sarebbero comiche se non che i sostenitori di tali politiche sono seri. Ovviamente le misure per ridurre le emissioni di CO2 sono inutili perché l’86% delle emissioni proviene da altri paesi, molti dei quali non hanno intenzione di aderire al Green New Deal suicida. Prima di Trump, gli Stati Uniti erano alla deriva senza direzione e distratti da mode irrilevanti e problemi immaginari.

Trump è entrato in carica con una serie di politiche completamente diverse che hanno rimesso in discussione la precedente saggezza convenzionale sull’economia, il commercio, la difesa e l’energia. Le sue politiche stanno cambiando opinione pubblica e intellettuali. È arrivato un nuovo paradigma e sta guadagnando terreno. Questa è una minaccia per il vecchio establishment dell’élite. Devono fermare Trump e screditarlo, altrimenti il ​​vecchio establishment sarà ulteriormente screditato e perderà la sua capacità di governare.

Pareto ha visto la vita di un paese influenzato dalla crescita e dal declino delle classi dirigenti d’élite. Quando una classe dirigente perde la sua vitalità, è probabile che una nuova classe dominante sorgerà e sostituirà la vecchia classe dominante. In questa transizione, la vecchia classe dominante potrebbe tentare di preservare i suoi privilegi attaccando selvaggiamente l’aspirante classe dominante. Trump è il capo dell’aspirante classe dominante. Lui e i suoi sostenitori sono selvaggiamente attaccati. Trump è raffigurato come un criminale, un eccentrico conoscitore, come qualcuno guidato da una mancanza di controllo degli impulsi o da un razzista. Ma Trump è un vero talento politico. Ha astutamente respinto gli attacchi e ha un’eccellente possibilità di essere rieletto. È aiutato dalla disorganizzazione e dall’estremismo dei suoi avversari nella classe dirigente in declino.

Se una nuova classe dirigente, ispirata da Trump, consolida il potere, molti degli occupanti di sinecure nel governo e nell’istruzione correranno il rischio di perdere il lavoro. Sotto la vecchia élite, le università sono diventate mostri sovrafinanziati, sfruttando gli studenti il ​​cui futuro è ipotecato dal debito degli studenti. Questo oltraggio può continuare perché le università fanno il lavaggio del cervello ai giovani per sostenere la vecchia classe dirigente e perché le università forniscono supporto intellettuale per le politiche della vecchia classe dominante. Sotto la vecchia classe dominante, il governo è diventato pesantemente popolato da server temporali il cui impiego continuato sarebbe diventato inutile in seguito a una riorganizzazione del governo ispirata da Trump.

Il cambiamento è un pericolo chiaro e presente per i responsabili. Questo è ciò che sta dietro gli attacchi feroci e illegali contro Trump. Trump è chiaramente la migliore speranza per il futuro degli Stati Uniti. Siamo molto fortunati che Trump sia riuscito a superare in astuzia l’establishment e rimanere presidente.

Norman Rogers è l’autore del libro: Dumb Energy: A Critique of Wind and Solar Energy .

In memoria di una insolita intelligenza travolta dagli eventi, di Antonio de Martini e Giuseppe Masala

 

ANTONIO de MARTINI

 

Mi è appena giunta la notizia della morte di Gianni de Michelis.

Ministro a 39 anni, professore universitario di chimica, presidente della federazione italiana pallacanestro e mio amico.

L’ho conosciuto dopo che la tempesta di tangentopoli lo aveva travolto.
Figlio di un pastore protestante sentiva tutto il peso di colpe non sue. Lo ospitai casualmente a casa mia a un incontro sociale e diventammo amici.

Berlusconi lo ha usato e poi odiato per una sciocchezza e lo fece mettere fuori gioco da Umberto Bossi con una dichiarazione pre elettorale stupida e ingenerosa.L’idiota temeva che volesse prendere il suo posto. Lo stesso mi aveva detto , tempo prima, il generale Luigi Calligaris, cofondatore di Forza Italia.

Era l’unico con cui si potesse parlare indifferentemente delle varie etnie abissine, o dell’Amu Daria; delle problematiche di Maastricht su cui scrisse in esclusiva un saggio su Nuova Repubblica andato a ruba, o del Vicino Oriente.

Fu l’inventore della Ost-Politik italiana e fece creare la SIMEST , una banca destinata a finanziare la nostra penetrazione nei Balcani, poi fu usata da altri per altri fini.

Lo stuolo di diplomatici che ha continuato a frequentarlo ad onta delle persecuzioni ministeriali ufficiali è indicativo del rispetto professionale e umano che riscuoteva.
Erano anni che era ridotto malissimo, difeso ferocemente dal protettivo figlio.

Ho già perso il prezioso rapporto con l’ex comunista Giovanni Posani. Ora le parche hanno reciso un altro filo importante che mi legava alla vita.

Forse andrebbe detto – e scritto- che accusato di finanziamento illecito assieme ad altri, chiese – su suggerimento del legale- il patteggiamento e si prese una condanna.
I suoi ‘“correi” che non patteggiarono furono tutti assolti. A lui lasciarono la condanna a riprova che viviamo in un paese di str…ambi personaggi.

 

 

GIUSEPPE MASALA

Se ne va Gianni De Michelis, firmatario del Trattato di Maastricht che per noi è stato un capestro. Probabilmente nella sua visione si trattava solo di una sottoscrizione formale tanto poi lo avrebbe rigettato il Parlamento.

Sfortuna volle che quel maledetto trattato fu votato nel momento di massima debolezza del Parlamento. Gli uomini della DC e del PSI o in galera o in procinto di entrarci sotto lo scherno di folle idiote che applaudivano ai propri carnefici. Il PDS in vendita al miglior offerente votò si alla Truffa del Secolo nella speranza che il servizio gli valesse poltrone e potere.

Disserro no solo gli uomini del Msi con motivazioni nazionalistiche e quelli di Rifondazione Comunista con motivazioni sociali, economiche e strategiche. Troppo pochi gli assennati. I pannelliani pur ultraliberisti fanatici uscirono dall’aula; non se la sentirono di votare quel Trattato, e anche questo da l’idea di che batosta abbiamo preso.

Ancora oggi paghiamo quel disastro. Vuoi o non vuoi di De Michelis rimarrà quella maledetta firma. Se ne parlerà anche tra mille anni.

ELABORAZIONE DI UNA TRAGEDIA, a cura di Giuseppe Germinario

ANDREA ZHOK

CENSURE

E’ uno spettacolo bellissimo vedere come schiere di ‘libertari antifascisti’ e di ‘liberali progressisti’ si sbraccino per contestare la presenza di autori o editori di estrema destra alla fiera del libro di Torino.

Come sempre tocca a marxisti, gramsciani, socialisti, e storicisti in generale mostrare come la tutela della libertà da parte di liberali e libertari sia al solito una finzione strumentale, che quando non serve ai loro scopi viene revocata.

Ora, per quanto sia banale ricordarlo, quelli che avevano la coda di paglia per la mancanza di argomenti, e finivano per bruciare i libri e esercitare la censura, erano proprio i fascisti.

Un libro non ti piega il braccio dietro la schiena per costringerti a capire quello che c’è scritto, tantomeno ad aderirvi.
Un libro è un oggetto che ha la forza della sua debolezza: è alla mercé del lettore, e dell’uso che ne farà. Se esiste una forma culturale che rispetta ed alimenta la libertà, per essenza, questa è proprio l’editoria libraria.

A chi invoca la XII disposizione transitoria della Costituzione, o la legge Scelba, è essenziale ricordare che un conto sono forze politiche neofasciste o in generale antidemocratiche, tutt’altro sono le idee.

Uno degli argomenti decisivi a favore della democrazia è proprio la sua disponibilità ad accogliere e discutere ogni contenuto, anche quelli più avversi e lontani, perché non di rado anche nell’errore si scoprono aspetti interessanti o fecondi.

E uno degli argomenti decisivi per detestare i fascismi è proprio la loro incapacità di stare ad ascoltare posizioni da sé distanti, e la volontà di metterle preventivamente a tacere.

Solo chi ha dichiarato la bancarotta della ragione e della riflessione invoca la censura (e che sia la censura del Minculpop o quella di ‘progressisti’ politicamente corretti non fa nessuna significativa differenza).

LA REGOLA DELL’ISMO

La regola universale con il fenomeno dei ‘fascismi’ è sempre una sola: il fascismo (archetipo) viene fuori quando la democrazia perde colpi.
Questa è la realtà del 1919, o del 1922, o del 1933, ecc.
In questo senso, focalizzare sulle manifestazioni fasciste è cosa appropriata per le forze dell’ordine, ogni qual volta ce ne siano gli estremi.
Tuttavia concentrarsi sullo spettro fascista da parte di chi ha (o ha avuto) in mano le leve del potere democratico è autoassolutorio e privo di senso.
E’ privo di senso non necessariamente perché l’allarme sia infondato.
E’ privo di senso perché i ‘prodromi fascisti’ sono gli starnuti di una democrazia col raffreddore: non si curano gli starnuti, si cura il raffreddore.

Quando in un paese la democrazia non riesce a soddisfare le esigenze dei propri cittadini, quando a colpi di austerità e di ramanzine su quanto ‘abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità’ si lasciano sguarnite le periferie, e indifesi i ceti più deboli, quando dai propri attici con portineria si plaude all’accoglienza illimitata, quando dalla sicurezza della propria area gentrificata si deridono le proteste sgrammaticate contro l’insicurezza, quando si spediscono all’estero in cerca di fortuna 250.000 persone all’anno presentando questo scempio come “le virtù della mobilità”, quando viene fatto tutto questo, lamentarsi del fascismo è come lamentarsi per il rumore degli starnuti di qualcuno dopo che lo hai lasciato nudo sotto la pioggia.

GIUSEPPE MASALA

INTERESSANTE

Sono andato nel sito della casa editrice Altaforte. Non so perché, ma sono stato attratto dalla sezione graphic novel. Vedo che hanno tradotto la bellissima opera di Jacques Terpant “le chien de dieu” sulla vita di Louis Ferdinand Céline. Ammetto la mia colpa, né ho una copia francese peraltro autografata e con tanto di ritratto fatto dall’autore. Chiaro segno di fascismo per qualcuno, mio e ovviamente di Jacques. Provo davvero tristezza contro la barbarie di questo fascismo mascherato da antifascismo manierista e di cartone.

Parliamo seriamente: l’Italia è davvero una polveriera a rischio fascismo. Lo penso, lo penso fortemente. Vedo rafforzato il mio convincimento ora che ho iniziato a leggere M di Scurati. Abbiamo tutti gli ingredienti: una classe politica “per bene” corrotta e ipocrita. Crescenti diseguaglianze. Bande di Fasci da Combattimento spuntate da chissà dove e chissà come. Manca solo lui: M. Una figura carismatica, istrionica, trascinatrice e pronta a tutto per prendere il potere. Lui non c’è, per fortuna nostra. E non fatemi ridere ipotizzando parallelismi tra Salvini e M. Il Ganassa non vale manco l’alluce di M. Dico per la statura dell’uomo: da un lato una figura tragica dall’altra davvero un piccolo borghese dei nostri giorni che recita una parte, e nulla di più.

Ma in tutta questa situazione che può destare preoccupazione il peggio del peggio è il fascismo degli antifascisti. Fascismo degli antifascisti che è comunque roba da operetta e per questo irritante; come tutte le cose inutili e intrise di manierismo ipocrita. Vietare ad una casa editrice di esporre i propri libri è sempre un errore e non me ne frega nulla che tra questi ci sia ciarpame (tutte le case editrici pubblicano il proprio e chi è senza peccato scagli la prima pietra). Altaforte pubblica anche roba interessante che merita di essere letta: penso ad alcune opere di Antoine de Saint-Exupéry a Howard P. Lovecraft fino ad arrivare ad alcune opere di epoca fascista – che sì sono fasciste – ma sono comunque importanti documenti storici che possono interessare a storici, a scrittori o a semplici appassionati dell’epoca. Non è importante le tesi che questi libri espongono, ciò che conta è lo spirito con il quale il lettore si approccia. Esisteranno ancora i lettori dotati di spirito critico, o no? Su chi sia l’editore non mi interessa: se ha problemi giudiziari s’arrangerà lui.

Quello che fa impressione – ripeto – è l’antifascismo manierista con modalità squadriste di chi prova a nutrire il proprio vuoto non solo politico ma esistenziale con queste scemenze. Mentre i Fasci da Combattimento dilagano nelle periferie a causa delle crescenti diseguaglianze che i nostri antifascisti di maniera – generalmente con il culo al caldo – non riescono a vedere. Per fortuna che non si vede un M all’orizzonte. Se no ci sarebbe da preoccuparsi.

senza e oltre l’Unione Europea con Pier Paolo Dal Monte

Siamo al terzo appuntamento sull’argomento. Dopo Pierluigi Fagan http://italiaeilmondo.com/2019/04/01/quale-europa-e-quante-europa-nel-prossimo-futuro_intervista-a-pierluigi-fagan/

e Piero Visani http://italiaeilmondo.com/wp-admin/post.php?post=3810&action=edit

è la volta di Pier Paolo Dal Monte_Buon ascolto_Giuseppe Germinario

Trump e la decinesizzazione degli Stati Uniti, a cura della redazione

Qui sotto il testo tradotto di due brevi articoli apparsi sulla stampa americana. Rivela un aspetto, quello del recupero del controllo della logistica, della vera e propria guerra economica intrapresa con sempre maggior convinzione dagli Stati Uniti. Non è solo un confronto di natura economica, quanto l’aspetto economico di un confronto politico sempre più serrato, aperto e ampio. Spazia ormai dall’ambito militare, a quello tecnologico più raffinato, al controllo delle comunicazioni e dei trasporti. La permeabilità della formazione sociale statunitense, contestuale al processo di globalizzazione così come si è sviluppato negli ultimi trenta anni, sta subendo una battuta di arresto che nemmeno un eventuale rovesciamento della Presidenza Trump potrà rimettere interamente in discussione. E’ il prodromo alla formazione di più sfere di influenza entro le quali la potenza egemone dovrà mantenere un fermo controllo. Il corollario nel frattempo è che negli Stati Uniti si è innescato un processo di reindustrializzazione e di ricostruzione delle infrastrutture in grado di garantire maggiore coesione e forza alla formazione sociale, registrando tassi di crescita sino ad ora sconosciuti in questo millennio_Buona lettura_Giuseppe Germinario

 

ll Dipartimento per la Sicurezza Interna (Department of Homeland Security) dell’Amministrazione Trump ha costretto, per motivi di sicurezza, la compagnia statale cinese Cosco a cedere il controllo del porto di Long Beach in California. Long Beach è uno dei maggiori porti degli Stati Uniti (il quarto per esattezza). Il terminal di Long Beach ha registrato, nel 2018, un valore contabile netto di 345,24 milioni di dollari. Il suo utile netto lo scorso anno ha raggiunto 85,86 milioni di Dollari, in aumento di quattro volte rispetto all’anno precedente, il 2017.

Orient Overseas (International) Limited (OOCL) ha dichiarato di aver venduto il 100% del terminal container di Long Beach (LBCT) per $ 1,78 miliardi a un consorzio guidato da Macquarie Infrastructure Partners. Macquarie Infrastructure Partners Inc. è una società specializzata in investimenti infrastrutturali. L’azienda investe in strade, ferrovie, progetti di ponti, aeroporti, porti, acqua e acque reflue, energia e servizi pubblici, nonché infrastrutture sociali e di comunicazione. Gli investimenti di Macquarie Infrastructure Partners Inc si concentrano in Nord America, in particolare Stati Uniti e Canada. Macquarie Infrastructure Partners ha sede a New York.

OOCL è stato obbligato a vendere il terminale, uno dei più automatizzati del paese, ai sensi dell’Accordo sulla sicurezza nazionale con il Dipartimento di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti e il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti.

Il governo federale ha intimato la cessione del terminale dopo che una verifica dell’anno scorso, ha confermato l’acquisto di OOCL da parte di COSCO Shipping Holdings. La società cinese Cosco Shipping Holdings, acquirente di OOCL (Orient Overseas International), con sede ad Hong Kong, è stata costretta quindi a vendere la proprietà del Terminal californiano.

L’amministrazione Obama aveva concesso nel 2012 il via libera ad OOCL per la firma di un contratto di locazione di 40 anni con la Città di Long Beach per il controllo del porto. La maggior parte dei movimenti di container Asiatici (Cinesi)in America, passa per Long Beach. L’accordo faceva parte del “Middle Harbor Redevelopment Program” per finanziare l’espansione per 1,5 miliardi di dollari del porto di Long Beach entro il 2020.

Ma una delle prime azioni del Department of Homeland Security, sotto l’amministrazione Trump, è stata la formazione, nel marzo 2017,  del Comitato per gli  Investimenti Esteri negli Stati Uniti. Una commissione di revisione e controllo su investimenti fatti da compagnie straniere che potrebbero minare la sicurezza nazionale. La commissione era nata sulla scia di una denuncia dell’acquisizione da parte di Cosco di un ex impianto portuale della Marina statunitense.

La Cina gestisce sei dei dieci porti container più trafficati del mondo. Il governo cinese ha anche finanziato la costruzione e la gestione di 43 porti in 35 paesi nell’ambito dell’iniziativa “One Belt and One Road” (OBOR) lanciata cinque anni fa dal Ministero dei Trasporti Cinese.

A complemento dei suoi sforzi per ottenere il predominio sulle attività, la Cina ha indotto le proprie compagnie statali ad acquistare esclusivamente prodotti e servizi da altre imprese statali cinesi.

Di conseguenza, il China International Marine Containers Group è diventato il più grande produttore mondiale di container e Shanghai Zhenhua Heavy Industries ha guadagnato una quota di mercato internazionale del 70% per le gru portuali e ora esporta in 300 porti di 100 paesi.

Secondo i termini dell’acquisizione di Macquarie, Orient Overseas International intascherà un guadagno di 1,29 miliardi di dollari; continuerà a controllare il traffico di navi e ferrovie negli impianti di container per i prossimi vent’anni, poiché i termini del precedente accordo fatto durante il regno dell’amministrazione Obama, non è annullabile in tutte le sue forme.

 

 

https://www.americanthinker.com/blog/2019/05/trump_administration_forces_china_to_sell_the_port_of_long_beach.html

https://www.americanshipper.com/news/macquarie-consortium-buying-long-beach-container-terminal?autonumber=848093

https://www.bloomberg.com/research/stocks/private/snapshot.asp?privcapId=8642218

1 – Internet, vettore di potere degli Stati Uniti?, di Laurent Bloch

Internet, vettore di potere degli Stati Uniti?

1 – Egemonia degli Stati Uniti su Internet

Di  Laurent BLOCH , 23 marzo 2017  Stampa l'articolo  lettura ottimizzata  Scarica l'articolo in formato PDF

Precedentemente responsabile dell’informatica scientifica presso l’Institut Pasteur, direttore del sistema informativo dell’Università Paris-Dauphine. È autore di numerosi libri sui sistemi di informazione e sulla loro sicurezza. Si dedica alla ricerca nella cyberstrategia. Autore di “Internet, vettore del potere degli Stati Uniti”, ed. Diploweb 2017.

Laurent Bloch ci spiega in questo primo capitolo cos’è Internet, il controllo degli standard e della governance, il dominio delle infrastrutture e delle industrie.

Diploweb.com , pubblica questo libro di Laurent Bloch, Internet, vettore del potere degli Stati Uniti? per fornire a tutti gli elementi necessari per una corretta valutazione della situazione. Questo libro è già disponibile su Amazon in formato digitale Kindle e in formato cartaceo stampato . Sarà pubblicato qui come una serie, capitolo per capitolo, ad una velocità di circa uno per trimestre.

Stiamo vivendo oggi una rivoluzione, la terza rivoluzione industriale, che chiamerò rivoluzione ciberindustriale; crea un nuovo spazio, il cyberspazio, che si basa su Internet (il concetto di rivoluzione industriale è esposto per esempio qui ). Fino ad ora gli Stati Uniti hanno esercitato in questo spazio una dominazione egemonica che è un vettore sempre più essenziale della loro politica di potere; questo libro esamina le sorgenti di questo potere, l’opposizione e la rivalità che potrebbe affrontare le condizioni di sostenibilità, aree in cui questa egemonia si esercita. Vedremo che per quanto appaiano in posizione di dominio gli Stati Uniti hanno punti deboli, e anche rivali hanno i loro punti di forza.

1 - Egemonia degli Stati Uniti su Internet
Laurent Bloch, autore di “Internet, vettore del potere degli Stati Uniti?”, Ed. Diploweb via Amazon
Laurent Bloch spiega con pedagogia e precisione la geopolitica di Internet.

Cos’è Internet?

Genesi di un progetto

Internet è stato inventato negli Stati Uniti dagli americani (con l’aiuto di alcuni europei), tutti sono d’accordo. Prima di internet c’era ARPAnet nel 1969, che non è nato come spesso si crede per uso militare, ma piuttosto per semplificare la comunicazione tra università e centri di ricerca sotto contratto con l’ Advanced Research Projects Agency (ARPA)  [ 1 ] . La transizione da ARPAnet a Internet può essere datata dal 1984, con la crescente importanza della rete della National Science Foundation, NSFnet e l’apertura di collegamenti internazionali. L’apparizione del Web (1993) e la successiva apertura della rete ad uso commerciale e ad usi particolari ha innescato una rapidissima espansione sino a raggiungere la situazione attuale in cui Internet è la spina dorsale dell’economia, della cultura e della politica mondiale. Possiamo ancora dire che questa spina dorsale è americana? Dare alcuni elementi di risposta a questa domanda è l’oggetto di questo libro.


Un libro pubblicato da Diploweb.com, Kindle e formato tascabile


Natura tecnica di Internet

Internet è basato su protocolli di comunicazione TCP / IP  [ 2 ] , sviluppati nel 1973 da Vinton Cerf e Robert Kahn, con notevoli contributi europei, come l’invenzione del datagramma  [ 3 ] di Louis Pouzin. La generalizzazione del TCP / IP nella rete inter-universitaria statunitense sotto la supervisione della National Science Foundation(NSF) è stata attiva solo nel 1984. L’Internet aperto, come lo conosciamo, è nato nel 1994, poco dopo il primo browser Web apparso nel 1993, quando l’NSF rinunciò a controllare i suoi usi, che potrebbero quindi essere personali, accademici, commerciali, ecc. È anche la data dell’allargamento internazionale e l’ascesa che conduce all’ubiquità attuale.

Domain Name System (DNS)

I protocolli TCP / IP sono stati completati nel 1983 da un importante dispositivo tecnico, il Domain Name System (DNS), che è la directory di Internet: un nome di dominio in modo che www.diploweb.comcorrisponda all’indirizzo di rete del server del sito in questione, proprio come la rubrica telefonica corrisponde al nome di un abbonato con il suo numero di telefono. Il DNS è un database distribuito su tutto il pianeta e aggiornato automaticamente. La radice DNS fornisce gli indirizzi dei server di domini di primo livello, come quelli che corrispondono ai nomi dei paesi (.fr per la Francia .be per il Belgio, .dz per l’Algeria …) o i cosiddetti domini generici (.com, .org, .edu, .info). Il possesso di un nome di dominio di primo livello è una questione importante per un paese o di un’organizzazione non governativa; la sua attribuzione si fa sotto il controllo di ICANN(ICANN), un organismo del quale analizzeremo l’importante ruolo politico nelle pagine seguenti.

Controllo degli standard e governance

L’apertura internazionale della rete e la sua espansione eccezionalmente rapida sono state possibili senza l’istituzione di un’amministrazione centralizzata, grazie ai suoi principi tecnici altamente innovativi, prima di tutto un protocollo con datagrammi, IP e una directory distribuita in automatico, il DNS. Ma i suoi principi di organizzazione amministrativa, ben adattati ai principi tecnici, hanno anche svolto il loro ruolo in questo successo tanto imprevedibile quanto smisurato.

Internet rimane una rete di reti, il cui funzionamento è regolato da standard stabiliti da organizzazioni aperte a tutti i casi in cui le decisioni sono prese per consenso dopo una discussione generale; non esiste un’organizzazione gerarchica, nulla assomiglia a una direzione generale di Internet. Un’organizzazione così flessibile e priva di autorità centrale proibisce giochi di potere e dominio egemonico? Nulla è meno certo, come vedremo.

In effetti, c’è uno iato sempre più stridente tra l’ideologia delle origini di Internet, libertaria e orientata verso la libera condivisione della cultura e della conoscenza nel modo usuale per gli accademici, e la sua attuale realtà industriale che la rende la colonna vertebrale e il sistema nervoso dell’economia mondiale, con le conseguenti conseguenze mercantili.

Tutti gli organi di governo di Internet, tra cui l’ICANN, che controlla l’attribuzione dei nomi di dominio di primo livello, erano originariamente specificamente americani e non riguardavano l’esistenza di altri paesi. Questa situazione si è evoluta man mano che Internet si diffondeva al di fuori degli Stati Uniti, principalmente in Europa, nelle università e nei centri di ricerca. Così il francese Christian Huitema è stato il primo presidente non americano di Internet Architecture Board (IAB) dall’aprile 1993 al luglio 1995.

Nella misura in cui gli Stati Uniti sono il maggiore contributore all’infrastruttura tecnica e finanziaria che sostiene il funzionamento di Internet, il suo peso è largamente dominante, in particolare attraverso il canale dell’ICANN che è l’organo con il ruolo politico più significativo e quindi più discutibile.

Nel marzo 2014 gli Stati Uniti hanno annunciato che avrebbero rinunciare al controllo esclusivo di ICANN a partire dal 2015 a favore di un modello multi-stakeholder (multi-partner). La nomina del direttore generale Fadi Chehadé nel 2012, una personalità aperta alla cooperazione internazionale, è sembrata auspicabile per questo sviluppo. Ma Fadi Chehadé ha lasciato il suo posto a marzo 2016 e il futuro di ICANN sembra piuttosto oscuro. Sembra improbabile che gli Stati Uniti rinuncino spontaneamente al controllo esclusivo di tale posizione strategica.

A partire dal 11 settembre 2016, l’amministrazione Obama persisteva nella sua intenzione di cedere il controllo di ICANN, ma con un grande rischio di essere smentita da parte del Congresso e del Senato  [ 4 ] .

Al 10 dicembre 2016, la posizione del presidente eletto Donald Trump sulla questione non è stata ancora specificata, ma ICANN ha tenuto nel marzo 2016 a Marrakech una sessione ICANN55  [ 5 ]  [ 6 ] dedicata in particolare alla “transizione IANA” e con l’aggiunta di un comitato consultivo governativo  [ 7 ](GAC), la fraseologia dei comunicati finali evoca irresistibilmente quella dei congressi dei partiti comunisti cinesi o sovietici del periodo. Ma queste buone parole non chiariscono molto la domanda.

Dominio di infrastrutture e industrie

La posizione dominante degli Stati Uniti nel forum Internet e nel suo ecosistema più ampio non si basa solo su una priorità cronologica e sulle cariche istituzionali che essa conferisce, ma anche su un’egemonia industriale la cui perennità non è garantita, specialmente di fronte al progresso cinese, come vedremo nelle pagine seguenti.

La maggior parte dell’infrastruttura di Internet è costituita da reti in fibra ottica che forniscono collegamenti a lunga distanza  [ 8 ] e centri di interconnessione tra reti di diversi operatori, gli Internet Exchange Points (IXP). Queste infrastrutture sono di solito di proprietà di uno o più operatori, generalmente definiti Internet Service Provider (ISP). Si noti che la posa sottomarina di fibre ottiche è una delle aree di questo ecosistema in cui la Francia occupa una buona posizione.

Oltre alla realizzazione di queste infrastrutture, la base industriale di Internet consiste principalmente nella progettazione e produzione di apparecchiature di trasmissione e commutazione, tra le quali i più emblematici sono i router, che sono gli switch della rete  [ 9 ] . Vedremo che l’industria di questi materiali attivi è dominata dalle imprese americane minacciate dai produttori cinesi, mentre gli attuali sviluppi tecnologici potrebbero aprire questo mercato a nuovi attori.

Studieremo queste questioni industriali in modo più dettagliato nel capitolo Infrastrutture e mezzi di produzione del cyberspazio.

Per saperne di più: 2 – Un nuovo spazio strategico, il cyberspazio

Copyright 2017-Bloch / Diploweb.

introduzione http://italiaeilmondo.com/2019/04/19/introduzione-a-geopolitica-e-internet-di-laurent-bloch/

Salvini, Di Maio e il Terzo_di Giuseppe Germinario

La conferenza stampa del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte con oggetto il caso Armando Siri è stata un piccolo capolavoro di sottili argomentazioni tese a giustificare la decisione di dimissionamento del sottosegretario. http://www.governo.it/articolo/conferenza-stampa-del-presidente-conte/11474La prevedibile accalorata reazione dei due esponenti politici maggiormente interessati alle implicazioni dell’affare, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, non ha colto e centrato il punto focale di quella prolusione. Nella costruzione logica del discorso l’effetto scatenante sono state ovviamente le indagini giudiziarie, ma il motivo della defenestrazione riguarda il comportamento politico di un esponente di governo impegnato a difendere retroattivamente, consapevolmente o meno che fosse, interessi particolari piuttosto che l’interesse generale, non tanto il suo coinvolgimento giudiziario.

Il merito degli argomenti è però tanto efficace nella rappresentazione mediatica, quanto debole nella consistenza.

La gestione degli incentivi e delle agevolazioni ai consumi, atori e soprattutto alle imprese impegnate nel settore delle energie alternative, in particolare eolica e solare, è il frutto avvelenato del fondamentalismo ambientalista delle politiche energetiche perpetuate negli ultimi due decenni soprattutto dai governi di centrosinistra, parallelamente alla liberalizzazione del settore e bruscamente interrotte da un paio di anni.

Una mole spropositata di incentivi, introdotti repentinamente che hanno indotto enormi investimenti su tecnologie ancora poco efficienti, suscettibili solo nel tempo di migliorie significative; un ambito nel quale era del tutto assente sia l’industria di produzione degli utensili che l’artigianato competente nell’installazione e manutenzione. Il risultato ottenuto fu un notevole incremento della quota di energia verde prodotta al prezzo però di massicce importazioni di pannelli e tecnologie dalla Cina e installatori dalla Spagna. In poco tempo si assistette alla fioritura di numerose aziende di produzione e distribuzione nonché di intermediari nell’acquisizione di terreni per i parchi di produzione; attività rese profittevoli esclusivamente dall’entità degli incentivi, ma entrate immediatamente in crisi con l’altrettanto repentino scemare degli stessi. Attività di tipo speculativo nelle quali sono implicate, oltre alle scontate cosche mafiose, figure imprenditoriali ben più importanti dei tal Arata, ben ammanicate con il vecchio establishment.

Deve essere stato evidentemente uno dei servizi resi al paese e all’umanità, tra i tanti, del verde Pecoraro Scanio; servizi che gli hanno garantito un posto in prima fila alle europee in quota M5S; ma anche una scelta che ha creato l’humus adatto alla proliferazione di corruzione, parassitismo ed assistenzialismo da una parte e a interventi riparatori dall’altro.

Con questa puntualizzazione l’intervento di Conte assume ben altra caratteristica e ben altra durezza, se non proditorietà, stando almeno allo stato attuale delle indagini e della posizione giudiziaria di Siri.

Giuseppe Conte è diventato Presidente del Consiglio in quota 5Stelle, ma in virtù del contratto di governo e del protagonismo dei due vice ha potuto assumere, almeno in apparenza, la figura di terzo.

Come Schmitt, Freund e pochi altri hanno insegnato, quella del terzo è una posizione fondamentale ed indispensabile nel gioco politico. Può assumere di volta in volta la veste di mediatore, di arbitro e giudice pur essendo il più delle volte parte in causa.

Nella fattispecie Giuseppe Conte ha assunto, nell’ordinaria amministrazione, la funzione di mediatore. Nella ripartizione dei beni disponibili, quindi, l’onore della prima fila spetta ai beneficiari Salvini e Di Maio. In almeno un paio di occasioni, in questi dieci mesi, la figura di Conte si è però elevata al rango di arbitro: la gestione delle trattative con la Commissione Europea sulla Finanziaria e la gestione della conferenza internazionale sulla Libia. Si tratta però ancora di una funzione il cui esercizio è possibile grazie al riconoscimento delle parti in causa. Quando esso manca, lo vediamo nelle partite di calcio, all’arbitro non resta che la fuga e il riparo in luogo sicuro.

Con il caso Siri si è verificato il salto di qualità. Non ostante le esortazioni salomoniche alla calma rivolta ai due contendenti l’avvocato Giuseppe Conte ha assunto la veste di giudice. Di fatto un intervento a gamba tesa col fine di ripristinare e mantenere un equilibrio, un rapporto di forze in via di alterazione.

Il Presidente rischia di cadere nella tentazione ricorrente al quale cede il terzo. Quella di diventare esplicitamente parte in causa del conflitto e di trarne il massimo vantaggio specie nel momento di debolezza di entrambe i contendenti. Per il momento il bersaglio designato è Salvini. Il varco che si è cercato invano di aprire con il caso Diciotti, potrà determinarsi sfruttando la crepa del caso Siri entro la quale ancora una volta potrà agire la magistratura, parti di essa, per delimitare l’agone politico. Il moltiplicarsi delle azioni giudiziarie lasciano intravedere che sarà ancora una volta questa la modalità per tentare di ridisegnare e ripristinare lo scenario politico. Per il resto, ad alimentare i dissidi e il senso di impotenza, ci penserà la risicatezza del bottino disponibile grazie ai vincoli-capestro sottoscritti da tutti in sede comunitaria.

A Giuseppe Conte, però, manca una referenza fondamentale per esercitare compiutamente questa ultima funzione di terzo: la disponibilità delle leve di potere e di una forza propria, giacché la forza è un atout imprescindibile in politica. Lo ha dimostrato nel prosieguo delle due occasioni nelle quali ha potuto emergere: in Libia con il chiaro ridimensionamento della funzione mediatrice del Governo Italiano, in Europa con l’intangibilità dei parametri che regolano le politiche economiche degli stati europei.

L’ambiguità e la opacità di questo suo ruolo deriva dalla discrepanza netta tra la rappresentazione del conflitto e delle divisioni sullo scenario pubblico e le divisioni e i contrasti effettivi che agiscono nell’ombra e dietro le quinte. Lo scenario ci offre la contrapposizione tra Salvini e Dimaio, la Lega e i Cinque stelle.

Il Governo in realtà è composto da tre attori, una delle quali, la componente “tecnica”, rappresenta il vero giudice. Una componente composta in parte da figure autonome, in parte da figure cooptate nel seno dei due partiti, specie dai 5Stelle, per mancanza di una propria classe dirigente. È pervaso, altresì, da due anime, queste sì in fondamentale conflitto tra di esse. Una apertamente europeista, pedissequamente atlantista, ben disposta verso l’umanitarismo e il politicamente corretto; ben salda nel controllo delle leve di potere, ma incapace di offrire una prospettiva accettabile per quanto ingannevole. L’altra con aspirazioni di indipendenza politica, incapace però di tradurle in strategie e tattiche politiche adeguate con il risultato di ricadere continuamente nel trasformismo più becero. Due anime che attraversano entrambe i partiti al governo anche se sotto mentite spoglie di diversa foggia. Quella restauratrice in uno si manifesta con il progressismo dei diritti, nell’altro con quello della persistenza di una classe dirigente più preparata e navigata, addestrata da venti anni di esperienza amministrativa, ma legata ad una visione localistica e regionalista sostanzialmente compatibile con le attuali opzioni europeiste e con la attuale insignificanza nell’agone geopolitico. Una mistura particolarmente deleteria e mistificante per il paese. Il resto, comprese le migrazioni incontrollate di adepti nei partiti, di fatto nel partito, è un corollario per quanto rischioso

In questo contesto e con queste dinamiche la funzione di Giuseppe Conte rischia di apparire inesorabilmente più che di Terzo per “conto terzi”. Una funzione che potrà portare al drastico ridimensionamento, se non al dissolvimento di uno, dell’ultimo arrivato quindi tra i partiti e al pieno rientro nei ranghi dell’altro. Gli osanna mediatici a Mario Draghi e la posizione di attesa del PD lasciano intendere questi propositi. Tra il dire e il fare, fortunatamente, c’è di mezzo un vecchio ceto politico troppo screditato ed incapace e un contesto geopolitico, compreso il presunto asse franco-tedesco, sempre più mutevole e meno stabile nella stessa Europa. Per ora può essere ancora una opportunità; tra non molto potrà rivelarsi, se procrastinata, una vera e propria iattura e catastrofe per l’intera Europa e soprattutto per l’Italia; senza nemmeno il palliativo del declino languido conosciuto dall’Italia postrinascimentale.

 

perplessità, di Andrea Zhok

Confesso di avere una certa difficoltà a capire la strategia, in vista delle elezioni europee, dei nostri due dioscuri al governo.

Inizialmente pensavo ad un semplice gioco delle parti, tacitamente pattuito: io gioco a fare la sinistra (Di Maio), tu ti polarizzi a destra (Salvini) e facendoci un po’ di finta guerra interna copriamo l’intero spazio elettorale.

Una strategia non certo geniale, ma insomma, buona come altre, tutto sommato.

Però ho l’impressione che le strategie machiavelliche richiedano per realizzarle dei machiavelli, sia pure in sedicesimo, personaggi comunque capaci di avere il polso degli umori popolari e il senso del limite.

Invece sembra che il giochino astuto stia sfuggendo completamente di mano.
La percezione pubblica è quella di una polarizzazione secondo le usuali, stantie, linee oppositive di Destra versus Sinistra. Questa polarizzazione trasforma entrambe le forze di governo in repliche di roba già vista mille volte e già rigettata, perdendo quel tratto di novità, e di non immediata collocabilità, che inizialmente le aveva caratterizzate.
Al tempo stesso la litigiosità, le ripicche, i celodurismi e i dispetti quotidiani fatti su temi che tutto sono meno che centrali per gli italiani, danno una tale impressione di piccineria, da logorare rapidamente il credito acquisito con un’azione di governo discutibile, ma non priva di aspetti innovativi e anche proficui.

Infatti, paradossalmente, il governo che cresceva quando affrontava, non senza problemi, temi di particolare difficoltà (immigrazione, recessione, ecc.), inizia a perdere colpi nei sondaggi proprio quando alcuni frutti potrebbero essere raccolti (uscita dalla recessione, riduzione degli sbarchi, aumento dell’occupazione, diminuzione dei poveri).

Un fenomeno di antropologia politica interessante, che sarebbe anche piacevole trattare con la levità dell’ironia e di qualche sfottò,
se non rischiasse di lasciarci nelle mani di un governo tecnico telecomandato da Bruxelles.

tratto da https://www.facebook.com/andrea.zhok.5

MIGRAZIONE SOSTITUTIVA: E’ UNA SOLUZIONE PER IL DECLINO E L’INVECCHIAMENTO DELLA POPOLAZIONE?_ a cura di Gianfranco Campa

Qui sotto la traduzione della parte del rapporto delle Nazioni Unite riguardante la situazione e le proiezioni delle dinamiche demografiche riguardanti l’Italia. L’apparente oggettività delle proiezioni statistiche tende quasi sempre a rappresentare come inevitabili se non addirittura auspicabili gli attuali processi di mobilità demografica, in particolare i complessi fenomeni delle migrazioni, frutto in realtà di politiche. Come ogni interpretazione, anche le proiezioni statistiche si fondano sempre e comunque su delle ipotesi. E’ indubbio che in quasi tutte le società occidentali, ma anche in Cina e in Giappone, il costante e drammatico calo di fertilità in corso ormai da più di un decennio sta creando una voragine nell’indispensabile ricambio generazionale e nel mantenimento di un ragionevole rapporto tra popolazione attiva e in quiescenza. Il dato statistico, però, sta diventando un’arma che impedisce di considerare le cause del fenomeno, di individuare le possibili soluzioni, di adottare eventuali misure compensative, di evidenziare gli acceleratori di queste dinamiche. L’Italia è uno dei paesi che soffre maggiormente del processo di invecchiamento. E’ anche il paese, però, che soffre di un grave problema di emigrazione, specie delle leve più giovani e qualificate; di un tasso di occupazione specie di giovani e femminile largamente inferiore alla gran parte dei paesi industrializzati; di una economia industriale e dei servizi estesa ma organizzativamente e tecnologicamente piuttosto arretrata. E la tecnologia e il modello organizzativo sono strumenti utili a compensare i limiti fisici di una popolazione sempre più anziana. L’andamento demografico inoltre è legato al patrimonio culturale e alla rappresentazione ideologica dominante in una formazione sociale. Di fatto esso, di conseguenza la natalità stessa, è il riflesso delle caratteristiche di una formazione sociale e delle capacità e delle ambizioni di una classe dirigente in grado di tracciare, offrire e realizzare una prospettiva ambiziosa e realistica di forza, autorevolezza e sviluppo di un paese. Sarebbe bene iniziare a utilizzare gli strumenti statistici in funzione di questo piuttosto che dell’accettazione fatalistica di tendenze deleterie per il paese ma utili a procrastinare il dominio delle nostre siffatte classi dirigenti così decadenti e servili; tanto accoglienti nella loro retorica quanto inadeguate di fatto a gestire il problema dell’immigrazione specie di popolazioni dal bagaglio culturale e ideologico così distante e, spesso, ostile rispetto ai paesi ospitanti._Giuseppe Germinario

NB_ le statistiche e i grafici sono disponibili sui link originali

 

 

MIGRAZIONE SOSTITUTIVA: E UNA SOLUZIONE PER IL DECLINO E L’INVECCHIAMENTO DELLA POPOLAZIONE?

 

Le proiezioni di studio delle Nazioni Unite indicano che nei prossimi 50 anni, le popolazioni di quasi tutti i paesi europei e quella giapponese dovranno affrontare il declino e l’invecchiamento della popolazione. Le nuove sfide del declino e dell’invecchiamento della popolazione richiederanno una revisione completa di molte politiche e programmi tradizionalmente consolidati, compresi quelli relativi alla migrazione internazionale.

Concentrandosi su questi due sorprendenti e critici trend sulle popolazioni, allo studio contenuto nel rapporto, si consiglia la migrazione sostitutiva per otto paesi a bassa fertilità (Francia, Germania, Italia, Giappone, Repubblica di Corea, Federazione Russa, Regno Unito e Stati Uniti) e in generale due regioni geografiche (Europa e Unione Europea). La migrazione sostitutiva si riferisce alla migrazione internazionale di cui un paese avrebbe bisogno per compensare il declino e l’invecchiamento della popolazione a causa della bassa fertilità e dei tassi di mortalità.

 

3.Italy

 

(a) Tendenze passate.

Il tasso di fertilità totale in Italia è passato da 2,3 nel 1950-1960 a 2,5 nel 1960-1970 e da allora è in costante calo. È sotto il livello di ricambio generazionale dal 1975 e nel 1995-2000 è stato stimato a 1,20 figli per donna, uno dei tassi di natalità più bassi del mondo. Dal 1950, la mortalità è diminuita costantemente, con un conseguente aumento dell’aspettativa di vita per entrambi i sessi da 66,0 anni nel 1950-1955 a 77,2 anni nel 1990-1995. Nonostante un’immigrazione annua stimata annua di 70.000 nel 1995-2000, la popolazione italiana è diminuita nel periodo 1995-2000. Tra le conseguenze di questi cambiamenti demografici c’era il più che raddoppiamento della percentuale della popolazione di oltre 65 anni, dall’8,3% della popolazione nel 1950 al 16,8% nel 1995.

Come conseguenza di questi cambiamenti, il potenziale indice di sostegno per l’Italia è diminuito da 7.9 persone di età compresa tra 15 e 64 anni per ogni persona di oltre 65 anni nel 1950 a 4.1 nel 1995.

(b) Scenario I

Questo scenario, che è la variante media della Revisione delle Nazioni Unite del 1998, presuppone che ci saranno 660.000 immigrati netti tra il 1995 e il 2020, dopo di che non ci sarà più alcuna migrazione verso l’Italia. In questo scenario, la popolazione italiana diminuirebbe del 28%, passando da 57,3 milioni nel 1995 a 41,2 milioni nel 2050 (i risultati delle proiezioni delle Nazioni Unite del 1998 sono riportati nelle tabelle allegate). La popolazione di età compresa tra i 15 e i 64 anni diminuirebbe del 44% nello stesso periodo, mentre la popolazione oltre i 65 anni aumenterebbe del 49%, da 9,6 milioni a 14,4 milioni. Le persone di età pari o superiore a 65 anni rappresenterebbero più di un terzo della popolazione italiana entro il 2050. Di conseguenza, il potenziale indice di sostegno diminuirebbe del 63%, da 4,1 nel 1995 a 1,5 nel 2050.

(c) Scenario II

Scenario II, che è la variante media con migrazione zero, ipotizza che la fertilità e la mortalità cambieranno in base alle proiezioni di variante media della Revisione delle Nazioni Unite del 1998, ma che non ci sarà alcuna migrazione in Italia dopo il 1995. I risultati sono molto simili a quelli dello scenario I. La popolazione italiana nel 2050 sarebbe 40,7 milioni, solo 475.000 persone in meno rispetto allo scenario I. Ci sarebbero rispettivamente 21,6 milioni e 14,2 milioni di persone di età compresa tra 15-64 e 65 anni, nel 2050. Come nello scenario I, il potenziale indice di sostegno diminuirà del 63% passando da 4,1 nel 1995 a 1,5 nel 2050.

(d) Scenario III

Si presume, per lo scenario III, che tra il 1995 e il 2050 la popolazione totale dell’Italia rimarrà costante nella sua dimensione del 1995 di 57,3 milioni di persone. Un totale di 12,9 milioni di migranti netti tra il 1995 e il 2050 sarebbe necessario per raggiungere questo obiettivo. L’immigrazione netta annuale aumenterebbe costantemente da 75.000 nel 1995-2000 a 318.000 nel 2045-2050. In questo scenario, entro il 2050 un totale di 16,6 milioni di persone, pari a circa il 29% della popolazione, sarebbero immigrati post-1995 o loro discendenti.

(e) Scenario IV

Questo scenario ipotizza che la popolazione italiana tra 15 e 64 anni rimarrebbe costante al livello del 1995 di 39,2 milioni, arrestando il calo delle dimensioni di questa fascia di età. Per raggiungere questo obiettivo, sarebbero necessari 19,6 milioni di immigrati tra il 1995 e il 2050. Il numero medio annuo di migranti lo farebbe variare, raggiungendo un picco di 613.000 persone all’anno tra il 2025 e il 2030 e poi abbassandosi a 173.000 all’anno nel 2045-2050. In base a questo scenario, la popolazione italiana crescerebbe del 16% passando da 57,3 milioni nel 1995 a 66,4 milioni nel 2050. Entro il 2050, il 39% della popolazione sarebbe stata costituita da migranti post-1995 o da loro discendenti. Il potenziale indice di sostegno diminuirà da 4,1 nel 1995 a 2,2 nel 2050.

(f) Scenario V

Scenario V non consente al potenziale rapporto di proporzione di scendere al di sotto del valore di 3.0. Per raggiungere questo obiettivo, non sarebbero necessari immigrati fino al 2010, e tra il 2010 e il 2040 sarebbero necessari 34,9 milioni di immigrati, una media di 1,2 milioni all’anno in quel periodo. Entro il 2050, su una popolazione totale di 87,3 milioni, 46,6 milioni, ovvero il 53%, sarebbero gli immigrati post-1995 o  loro discendenti.

(g) Scenario VI

Lo Scenario VI mantiene il potenziale indice di supporto al livello di 4.08 del 1995. Sarebbe necessario un totale di 120 milioni di immigrati tra il 1995 e il 2050 per mantenere questo rapporto costante, con una media complessiva di 2,2 milioni di immigrati all’anno. La popolazione italiana risultante nel 2050 in questo scenario sarebbe 194 milioni, più di tre volte la dimensione della popolazione italiana nel 1995. Di questa popolazione, 153 milioni, ovvero il 79%, sarebbero immigrati post-1995 o loro discendenti.

(h) Ulteriori considerazioni

Nel 1995-2000, il tasso di crescita della popolazione italiana era stimato a -0,01%. Questo calo della popolazione era previsto nonostante un’immigrazione netta di 70.000 persone all’anno. Il numero di stranieri nati in Italia è quasi raddoppiato, da 821.000 nel 1965 (1,6 per cento della popolazione totale) a 1,5 milioni nel 1995 (2,7 per cento della popolazione). Secondo lo scenario III, per mantenere la popolazione italiana in declino rispetto alle dimensioni del 1995, i flussi migratori annuali dovrebbero essere, in media, più grandi di tre volte tra il 1995 e il 2050 rispetto al periodo 1990/1995. Per mantenere la popolazione di l’età lavorativa in declino richiederebbe più di cinque volte il livello annuale di migrazione 1990-1995. Inoltre, per gli scenari III e IV, la proporzione della popolazione italiana nel 2050 che sarebbe costituita dagli immigrati post-1995 o dai loro discendenti, rispettivamente 29% e 39%, è più di 10 volte la proporzione di popolazione nata nel 1995. La figura 13 mostra, per gli scenari I, II, III e IV, la popolazione italiana nel 2050, indicando la quota che comprende i migranti post-1995 e i loro discendenti.

I cambiamenti demografici sono ancora maggiori nello scenario VI. Questo scenario richiede oltre il doppio di immigrati tra il 1995 e il 2050 come popolazione totale del 1995 nel paese. Inoltre, quasi i quattro quinti della risultante 2050 popolazione di 194 milioni sarebbero costituiti da immigrati post-1995 o dai loro discendenti.

In assenza di migrazione, i dati mostrano che sarebbe necessario aumentare l’età lavorativa a 74,7 anni per ottenere un rapporto di supporto potenziale di 3,0 nel 2050. Mantenere nel 2050 il rapporto del 1995 di 4,1 persone in età lavorativa per ogni persona anziana l’età lavorativa passata richiederebbe un aumento del limite superiore della durata dell’età lavorativa a 77 anni entro il 2050. Aumentare i tassi di attività della popolazione, se fosse possibile, sarebbe solo un palliativo parziale al declino del tasso di sostegno dovuto all’invecchiamento . Se i tassi di attività di tutti gli uomini e donne di età compresa tra 25 e 64 dovessero aumentare fino al 100 per cento entro il 2050, ciò rappresenterebbe solo il 30 per cento della perdita nel rapporto di sostegno attivo risultante dall’invecchiamento della popolazione.

https://www.un.org/en/development/desa/population/publications/pdf/ageing/replacement-chap4-it.pdf

https://www.un.org/en/development/desa/population/publications/pdf/ageing/replacement-at-it.pdf

 

IDEOLOGIA VERDE E POLITICA, di Vincenzo Cucinotta

Parto da lontano, ponendomi la domanda di quale sia la questione centrale della politica.

Non avrei dubbi, la questione al centro della politica è quella che riguarda il potere, chi ha il potere, in quali forme lo esercita, quali conseguenze pratiche ha sui modi di convivenza di quella società.

Affermando ciò, non intendo certo delimitare la politica a questo ristretto ambito, ma invece ricordare che ogni ipotesi strategica che non sia in grado di affrontare questa questione di fondo finisce per restare in un ambito che potremmo chiamare prepolitico.

Aggiungo che molte volte non c’è bisogno di entrare esplicitamente nel merito di questo fondamentale aspetto perchè esso appare scontato, ma credo sia buona norma ritornarci almeno di tanto in tanto per verificare se, magari seguendo un evento dell’attualità politica, non si finisca per trascurarlo finendo con l’uscire proprio dall’ambito politico.

Questa premessa risulta tanto più necessaria quando si parla di ambientalismo.

Il fatto è che l’ecologia risulta essere la scienza più difficile che ci sia, richiedendo così una pluralità di competenze, assieme alla necessità di raccogliere una gran mole di dati. Ciò porta automaticamente a una centralizzazione degli studi e di conseguenza della sede delle decisioni.

Se aggiungiamo a questo fatto obiettivo e sostanzialmente inevitabile gli enormi interessi che gravitano sulle politiche ambientali, tali che un dato provvedimento legislativo può determinare arricchimenti o impoverimenti formidabili, si capisce come l’attenzione di chi detiene il potere economico verso queste tematiche sia asfissiante e determini strategie di controllo ben più sofisticate della narrazione comune che vorrebbe che i capitalisti vogliano semplicemente negare i problemi ecologici, cosa forse vera in un passato nel quale se ne sapeva molto di meno a livello scientifico e figuriamoci poi a livello di cosiddetta opinione pubblica. Adesso, tanto per fare un semplice esempio, i produttori automobilistici potrebbero ben essere interessati a una conversione verso le auto elettriche, perchè porterebbe certamente a una maggiore obsolescenza delle attuali automobili a combustibile fossile e quindi aprire a un possibile aumento del ritmo di produzione di nuove autovetture.

Con tali premesse, ditemi chi potrebbe fidarsi di questi centri mondiali di studi scientifici. E’ evidente che uno scienziato non è un santo, e i rischi di corruzione sono oggettivamente enormi. Inoltre, data la complessità di questi studi come dicevo all’inizio, utilizzare l’enorme mole di dati accumulati in un modo piuttosto che in un altro, utilizzare un modello piuttosto di un altro, consente di confondere un caso esplicito di corruzione con una valutazione errata dei dati. Nè d’altra parte è possibile escludere clamorosi errori, anche dovuti ad esempio alla presenza di un fattore ignoto che viene tralasciato.

E’ per questo che testardamente continuo a insistere su un punto, che porre alla ribalta i problemi ambientali non solo non aiuta a risolverli, ma addirittura, visto il controllo sostanzialmente monopolistico dei media da parte di questa ristretta elite finanziaria, serve a fare confusione.

La vicenda di Greta del resto in questo senso è emblematica. Essa dice agli adulti “avete creato danni ambientali e siamo molto incazzati, ora dovete fare qualcosa per riparare”.

Cosa vi colpisce in questa espressione? Che Greta non mette minimamente in dubbio la sede del potere, si affida anzi esplicitamente a questi, anche se sotto la forma della pretesa imperiosa.

La cosa colpisce, perchè come puoi affidare la soluzione del problema proprio a coloro che l’hanno creato? Che senso ha dare agli assassini la delega a condurre le indagini e a comminare le sanzioni necessarie?

Cosa osserviamo? Che Greta evidentemente non affronta per niente il tema principale della politica, chi deve avere il potere, con il che non fa che adeguarsi a una lunghissima tradizione ambientalista, quella di pensare che la causa dei danni ambientali è sostanzialmente dovuto a un mix di ignoranza e di eccesso di interessi privati, tale che basti un atto di buona volontà perché una politica ambientalista venga avviata.

Insomma, l’ambientalismo non viene ancora oggi considerata una vera teoria politica, come tale autonoma e autoconsistente, ma innanzitutto un problema di natura scientifica che quindi va risolto dalla stesso incontrollato sviluppo tecnologico che ne è stato la causa.

E qui veniamo a un altro enorme tematica, quella dello sviluppo tecnologico e il suo rapporto con la scienza.

Come dicevo di recente, la scienza è solo un metodo, il metodo sperimentale, quelle che chiamiamo scienze sperimentali andrebbero piuttosto chiamate discipline sperimentali. La differenza sta nel fatto che così si elimina alla radice la pretesa di far coincidere tecnologia e scienza.

Visto che d’altra parte si è diffusa questa strana tesi che la scienza sia la verità, negando così la filosofia della scienza nella sua interezza, si usa questa scienza portatrice di verità indiscutibili per giustificare e anzi imporre ogni sviluppo tecnologico, in verità trainato da interessi economici, visto che l’economia costituisce l’ordinatore supremo della società contemporanea.

In questo quadro, è quasi inevitabile che gli scienziati, e in particolare quelli ambientali per ciò che oggi significa (in verità, non si è ancora formata una generazione completa di scienziati dell’ambiente, perchè a livello accademico ogni disciplina difende gelosamente il proprio campo di interesse e l’ecologia tende a infrangere quest’ordine, invadendo tutta una serie di discipline tradizionali, così che ad esempio un chimico ambientale rimane prima di tutto un chimico) finiscano per assumere il ruolo di supremi sacerdoti. La logica sottesa è quella che dicevo, che le tematiche ambientali possano essere affrontate sotto il profilo tecnico e essendo buoni, e quindi andiamo avanti con gli scienziati da una parte, le Greta dall’altra. D’altra parte, sapete che si è diffusa l’espressione “ecosocialismo” con il che si intende che il socialismo possa essere avveduto e attento alle tematiche ambientali, e tutto automaticamente si risolverà.

Come si capisce, io sono molto critico su l’intera storia dell’ambientalismo in politica, proprio perché sono convinto che invece l’ambientalismo è una teoria politica compiuta, e che come tale è autosufficiente e alternativa ad altre politiche.

Ma torniamo alla questione dell’uso strumentale che si fa della scienza, e ciò lo riscontriamo anche in ambiti ben differenti da quelli ambientali.

Il caso che mi viene alla mente è quello dei vaccini e di personaggi come Burioni che come i giornalisti, fa il politico al 100%, ma finge di parlare da scienziato e zittisce tutti sulla base dell’autorità della scienza. Da persona che ha dedicato la propria vita alla scienza, sono sconcertato da simili atteggiamenti. La scienza sin dai suoi fondamenti filosofici, non ha nulla a che fare con la verità, e coltiva sistematicamente il dubbio , così che ogni risultato raggiunto è automaticamente di tipo provvisorio e quindi suscettibile di modifica. Invece, cosa ti fa il Burioni? Non fa scienza, fa il politico della tecnologia, e il vaccino in sè è un prodotto tecnologico e come tale è prodotto prima di tutto per tornaconto economico. Seppure c’è un contenuto di disciplina medica, questa si aggiunge a interessi economici, e a una politica complessivamente portata avanti. Nello stesso tempo, non esita a invocare l’autorità della scienza per zittire ogni genere di obiezione.

Ad esempio, questa cosa di protezione degli immunodepressi come motivazione per costringere tutti a vaccinarsi, ha veramente elementi di demenza. Mi chiedo perchè le persone sane dovrebbero eventualmente mettere a rischio la propria stessa salute per garantire quella di persone che hanno problemi loro propri. Può uno stato senza chiamarsi etico obbligare i cittadini a una generosità che appare francamente eccessiva, il potenziale sacrificio di sè come dono mi pare non possa essere richiesto come obbligo, al massimo ci sarà qualcuno che lo vorrà fare per proprie personali convinzioni. Se proprio lo stato vuole intervenire, dovrebbe farlo in senso inverso, garantendo innanzitutto la salute dei cittadini sani, non pretendendo di difendere lo stato di buona salute di chi ha qualche problema sanitario probabilmente di natura genetica, a danno di chi può e vuole fare a meno dei vaccini. E in ogni caso, questo è un campo del tutto opinabile, tipico della politica: che c’entra invocare qui l’autorità della scienza?

La mia impressione è che i media distraggano l’attenzione dal problema fondamentale, quello del potere, attraverso le più improbabili digressioni, andando dietro alla Greta di turno, e perseguano implacabilmente un disegno autoritario che passa attraverso una estrema centralizzazione. Si toglie quindi potere agli stati moltiplicando sedi internazionali che finiscono per occupare spazi decisionali a danno proprio degli stati, e non si esita a usare anche la fama comune della scienza per imporre le più diverse decisioni.

Questo pericolo mi pare particolarmente attuale proprio nell’ambito ambientale. Ci sono tutte le condizioni, prima si nega la natura politica dell’ambientalismo, i vari partiti verdi finiscono per fare i predicatori, semplicemente imponendo le conclusioni degli scienziati e pretendendo che possano costituire una politica, e così si finisce per rivolgersi agli scienziati-sacerdoti perchè ci concedano la verità. A questo punto, è fatta, gli scienziati sono facilmente controllati dal capitale che può continuare a fare i propri porci comodi, e inoltre continuando a iniettare dosi crescenti di senso di colpa a un pubblico del tutto istupidito che penserà che l’ambiente è sempre più inquinato per i suoi colpevoli comportamenti individuali.

Io mi convinco sempre più che la democrazia effettiva richieda una certa vicinanza tra rappresentanti e rappresentati, quando dipendiamo completamente da una distante equipe di scienziati per stabilire misure legislative, la democrazia è definitivamente persa.

Sono infine pervenuto alla conclusione che esiste un sovranismo anche in ambito ambientale, ovvero un localismo che ci dovrebbe permettere di prescindere dai moniti di scienziati ignoti e distanti.

Sembra un paradosso, perchè se uno stato produce troppo biossido di carbonio, il peso va a ricadere anche sugli stati che fossero virtuosi. Ciò sottintende che bruciare combustibili fossili sia una cosa che porta vantaggi, e quindi imporre ai propri cittadini di non farlo, significherebbe svantaggiarli. Se però le cose non stessero così, e non stanno così se si guarda all’ambientalismo come una teoria complessiva e non come uno specifico tema trattabile all’interno di qualsiasi sistema di governo, allora lo stato che iniziasse a fare una vera politica ambientalista potrebbe divenire un modello imitabile da altri.

Ma la temperatura media della terra sta davvero aumentando? In effetti non possiamo essere certi che sia così, visto che non possiamo controllare l’intero procedimento richiesto per pervenire a questo dato. Però qualcosa la possiamo sapere egualmente, ad esempio il fatto che la temperatura superficiale del mediterraneo è certamente aumentata, fatto confermato da un cambiamento di flora e fauna. Tale aumento sta provocando variazioni climatiche che non possono essere ignorate, almeno qui dove vivo. Abbiamo avuto il 4 gennaio del 2018 un vero e proprio uragano con punte di velocità superiori ai 140 km/h, cosa che a memoria d’uomo non si è mai prima verificato, e da allora sembra sia intervenuta una modifica permanente nel regime dei venti, prima sempre deboli in questa specifica zona, mentre quest’anno, pur senza raggiungere questi estremi, abbiamo avuto, mi pare a fine febbraio un vento intenso che non si è chetato per circa 48 ore. Queste osservazioni, che naturalmente non implicano alcuna conclusione sul clima globale, ci dicono che la temperatura localmente è di certo aumentata, e che sembra ragionevole tentare di ridurre questo aumento con i mezzi disponibili, cioè intervenendo sui fattori che controlliamo, senza per questo dovere attendere chissà quale sentenza degli scienziati. Poi, ovviamente, nulla osta a convocare una conferenza dei paesi del mediterraneo e proporre a tutti di prendere provvedimenti simili a quelli che si vogliono introdurre nel proprio paese, e quindi in una logica di accordi multilaterali, ma senza delegare a un’incontrollabile unità centrale l’autorità di definire cosa dobbiamo fare.

E’ ovviamente un approccio del tutto nuovo e che andrebbe meglio approfondito, spero di avervi fatto cosa gradita nel proporvelo allo stato di elaborazione a cui sono giunto.

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