I pensatoi americani al soldo del Pentagono?_di Giuseppe Gagliano

La qualità dei pensatoi (think tank) possono essere considerati una cartina di tornasole dello stato di salute di un paese egemone o al centro di un impero. Sono in gran parte strumenti di influenza, di manipolazione sino a diventare veri e propri portatori impropri di interessi lobbistici. Tutte caratteristiche però che non differenziano sostanzialmente la natura e il peso di questi rispetto a quelli operanti nella provincia e nella periferia imperiale ossequiente se non nel livello di sciatteria, rozzezza e provincialismo e nella collocazione gerarchica di questi ultimi. Significativa è invece la presenza o meno in esso di aree e centri di elaborazione indipendenti e alternativi, magari anche autonomi. Non sono necessariamente solo il segno di una tolleranza e di un paternalismo di centri decisionali ed egemoni sicuri della propria posizione; sono anche l’indizio di vitalità e soprattutto della necessità dei centri decisori di disporre di diversi punti di vista e della propensione ad accettare proficuamente spazi conflittuali necessari a rigenerare il sistema. Un equilibrio difficile da mantenere la cui caduta può altresì rivelare una condizione inquietante di declino o il limite che impedisce di assumere stabilmente una posizione egemonica. Buona lettura_Giuseppe Germinario

Gagliano Giuseppe I pensatoi americani al soldo del Pentagono?

Che i celebri pensatoi americani – e non solo -fossero privi della necessaria neutralità e imparzialità nell’analizzare le scelte di politica estera americana e di politica militare lo aveva già ampiamente compreso Noam Chomsky analizzando i report dei pensatoi americani durante l’impegno fallimentare della guerra del Vietnam. Uno dei tanti impegni fallimentari sul piano militare gli Stati Uniti… Grazie alle indagini del periodico indipendente americano The Intercept sappiamo che il governo ha assegnato un massiccio contratto da 769 milioni di dollari ad Alion Science and Technology, un appaltatore della difesa, per soluzioni tecnologiche e di intelligence “all’avanguardia” “che supportano direttamente il combattente”. Tuttavia parte del denaro contenuto in quel contratto è andato anche ai più importanti think tank della nazione, che di routine sostengono budget più elevati del Pentagono e una maggiore proiezione della forza militare americana. Il Center for Strategic and International Studies, o CSIS, e il Pacific Forum sono solo due degli istituti di ricerca indipendenti a cui sono state assegnate parti dei 769 milioni di dollari ad Alion Science come subappaltatori. (Gli altri – Russia Research Network Limited, Center for Advanced China Research e Center for European Policy Analysis – sono meno importanti). sovvenzioni che affluiscono agli istituti di ricerca. Nello specifico Andrew Schwartz, un portavoce del CSIS, che ha ricevuto poco meno di 1 milione di dollari dal contratto di intelligence di Alion, ha scritto in una e-mail che il finanziamento è stato utilizzato “per aiutare gli analisti del governo degli Stati Uniti, incluso ma non limitato al personale militare, a comprendere meglio il processo decisionale russo, impatti climatici sulla sicurezza nell’Artico, problemi di sicurezza africana, compresi i legami sempre più profondi della Cina con il settore della sicurezza africano, e minacce alla sicurezza interna, compresa la cibernetica”. A luglio, Alion Science and Technology è stata acquisita da Huntington Ingalls Industries, un importante costruttore navale e una delle più grandi aziende di difesa del mondo. La società ha rifiutato di commentare i suoi legami con i pensatoi o come è stato utilizzato il contratto di intelligence. Il Pacific Forum non ha risposto a una richiesta di commento. L’organizzazione ha ricevuto $ 586.555 dal contratto di Alion. Il Forum del Pacifico ha fatto pressione in modo aggressivo per una maggiore difesa missilistica e spese navali. L’Hudson Institute – che non a caso fu oggetto di pesanti ironie da parte Chomsky -è un altro think tank aggressivo che fa molto affidamento sui finanziamenti del Pentagono. Il gruppo ha recentemente spinto per “avanzamenti all’avanguardia come aerei stealth”ft” per competere con la Cina e una maggiore attenzione alle capacità di guerra informatica. Il gruppo ha ricevuto quest’anno un contratto da 356.263 dollari direttamente dal Pentagono per produrre un report sulla difesa aerea. L’anno scorso, il gruppo ha ricevuto quasi mezzo milione di dollari per produrre rapporti e seminari per conto del Dipartimento della Difesa. Il Center for a New American Security, un think tank che quest’anno ha testimoniato davanti al Congresso per sollecitare maggiori finanziamenti per la tecnologia militare avanzata sul campo di battaglia e una maggiore attenzione alle armi che potrebbero essere utilizzate per uno scontro con la Cina, ha ricevuto almeno 1,1 milioni di dollari in Finanziamento del Pentagono. Ma perché è così importante analizzare il rapporto diretto tra il report prodotti da questi pensatori e finanziamenti provenienti dal Pentagono? Il ruolo dei think tank nel dibattito politico non può essere sottovalutato. Dalla metà del XX secolo, centri accademici apparentemente indipendenti, spesso con fonti di finanziamento opache, hanno svolto un ruolo smisurato nel consigliare il Congresso e le agenzie federali sulle principali priorità politiche. I media spesso si appoggiano all’opinione del gruppo di esperti quando cercano l’opinione degli esperti. E dato che i funzionari dei think tank raramente si registrano come lobbisti, sono visti come esperti politicamente neutrali che vengono assunti per lavorare all’interno di varie amministrazioni presidenziali. Opportuno- nonché ironico -è il giudizio di Ben Freeman direttore della Foreign Influence Transparency Initiative presso il Center for International Policy, un istituto di ricerca che non accetta finanziamenti militari secondo il quale con così tanti think tank che ottengono una fetta del budget del Pentagono, non sorprende che il coro dei think tank di Washington canti le lodi del Pentagono. Ma ancora più interessanti sono i dati rilevati dal Center for International Policy che ha esaminato i 50 migliori think tank del paese. Il rapporto ha rilevato ampi legami tra il Pentagono e gli appaltatori militari con i think tank più influenti. Il CSIS, osserva il rapporto, ha ricevuto oltre $ 5 milioni di finanziamenti dal governo e dagli appaltatori della difesa dal 2014 al 2019. Proprio per questo Freeman ha commentato “Nascondere potenziali conflitti di interesse nelle testimonianze del Congresso o nei lavori pubblicati dai gruppi di esperti dà al pubblico e ai responsabili politici l’impressione di leggere ricerche imparziali o ascoltare un esperto veramente obiettivo, quando in realtà potrebbero ascoltare qualcuno il cui lavoro viene finanziato da un’organizzazione con un’immensa partecipazione finanziaria nell’argomento di quella ricerca”. Un’ultima considerazione: i consigli di questi esperti profumatamente pagati dal Pentagono hanno condotto l’America a scelte spesso disastrose . Per questo i loro report, le loro relazioni e le loro pubblicazioni dovrebbero essere oggetto di un pubblico dibattimento all’interno del Congresso ma soprattutto da parte delle organizzazioni della società civile. Certe scelte non solo costano soldi ma costano anche il sangue dei cittadini americani.

La chimera delle forze armate comuni europee_con Gianandrea Gaiani

Il tema delle forze armate comuni europee ricorre periodicamente nei propositi dichiarati della dirigenza europea. Per un paradosso solo apparente il tentativo più serio e promettente lo avviarono negli anni ’50 gli statunitensi. Fallì nel momento in cui inglesi e francesi compresero di non detenere più il pallino delle dinamiche geopolitiche e che la Germania, per grazia americana ricevuta, avrebbe assunto un ruolo importante nel gioco europeo. Oggi il tema si ripropone come sempre per costrizione e contingenza esterna piuttosto che per consapevolezza e determinazione. Il tema di una forza comune è tuttavia troppo ambiguo e sottende ruolo geopolitico e sistemi di relazioni diverse se non antitetiche. Il rischio è che nella ricerca di una forza comune si nascondano sotto diverse spoglie le subordinazioni scaturite dall’esito della seconda guerra mondiale piuttosto che la ricerca di una autonomia politica che non può prescindere da una forza militare realmente autosufficiente. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

https://rumble.com/vmo9ab-la-chimera-delle-forze-armate-europee-con-gianandrea-gaiani.html

 

Da Est sull’Ovest, di Antonio de Martini

QUALI CONSEGUENZE AVRA’ IL BIDONE “UKAUS” DI BIDEN ALL’EUROPA E A MACRON ?

L’ultimo “tradimento” della settimana a Macron l’ha fatto Yves Le Drian, il ministro degli Esteri, che , nel richiamare gli ambasciatori a Washington e a Canberra , ha precisato – a scanso di equivoci- di averlo fatto “ su richiesta del Presidente della Repubblica”.

La Francia ha mal digerito l’essere stata esclusa – lei membro permanente del Consiglio di sicurezza e alleata degli USA fin dalla guerra di indipendenza americana- dall’area indopacifico dove ha possedimenti ( la Nuova Caledonia e la Polinesia) e truppe ( ottomila uomini).

Il gesto non é inconsueto – la Francia lo fece, per un paio di giorni, nel 2019 anche verso l’Italia di De Maio che flirtava con i maillot jaunes– Ma è la prima volta che la reazione francese assume questa intensità multipla, anche se non é la prima crisi franco americana.

Charles De Gaulle mise in difficoltà gli USA chiedendo il rimborso in oro di due importanti partite di dollari che misero la parola fine al sistema di Bretton Woods, ma fu una guerra segreta.

Ecco un articolo inglese anni sessanta che parla di ” guerra segreta ” di De Gaulle con gli USA. Ora la guerra diventa pubblica e apre spazi all’Italia.

Il Ministro degli Esteri Michel Rocard criticò Russia e USA accoppiati per essere contemporaneamente i più grandi produttori di petrolio al mondo e pretendevano di essere anche i rappresentanti dei paesi che ne volevano l’abbassamento del prezzo.

Dominique de Villepin – ministro degli Esteri- nel 2003 in piena assemblea dell’ONU si dichiarò contrario alla guerra irachena di Bush jr e compari, scoprendo gli altarini della cricca di Dick Cheney.

Questa volta la crisi é più importante perché investe il Presidente della Repubblica, perché lo scontro non é rimasto nel chiuso delle cancellerie e perché la partecipazione alla “ congiura” ha coinvolto anche l’Inghilterra – da poco uscita dalla UE , il che dà un tocco antieuropeo alla mossa americana – poco dopo la solenne promessa di Joe Biden di non fare più come Donald Trump e consultarsi sempre con gli alleati europei, prima di fare scelte importanti.

Ma il Donald non avrebbe saputo far meglio: uno schiaffo politico, diplomatico e industriale ad un tempo a un alleato di sempre cui ha mandato un avviso di sfratto dal Pacifico…

Questa crisi giunge alla vigilia delle elezioni presidenziali francesi, in un momento di vuoto di potere in Germania, proprio in contemporanea alla proposta di creazione di una forza armata europea autonoma e alla fine di una settimana in cui il Presidente Mattarella ha giurato fedeltà alla NATO e all’Europa a due giorni di intervallo. La nostra intelligence non é tale se permette un contropiede di questa portata al Presidente della Repubblica.

Peggiore, se possibile, la situazione con l’Inghilterra. La Francia l’ha snobbata non richiamando l’ambasciatore come ha fatto coi protagonisti dell’Indopacifico dove gli inglesi non contan più, ma il gesto di Boris Johnson ha reso irrevocabile e geopolitica la secessione commerciale già consumata e questa scelta – se non sconfessata dal Parlamento britannico – potrebbe avere influenza su tradizionali ” amici” dell’Inghilterra, Italia inclusa, anche se sto pensando all’Ungheria e ai paesi del patto di Visegrad.

L’unto dai signori, di Antonio de Martini

La prima vittima della lotta per il potere é sempre il negoziatore preferito dagli USA. Baradar non ha fatto eccezione ed era facilmente prevedibile. Ecco la previsione fatta il 16 agosto.

Se fai satira di costume, limitati a quella.

“Trasmetto a riprova il servizio del Washington post di oggi a conferma che:

Il costo dell’impresa è stato di un trilione di dollari. Immaginate cosa ci si sarebbe potuto fare invece di ingrassare mercenari, Lockheed e compari.

I morti 3500 circa più gli alleati (800 inglesi, 50 italiani ecc)

Lo Stato Maggiore USA aveva previsto 90 giorni di resistenza dell’esercito regolare. Hanno resistito dieci.

Il Dipartimento di stato prevedeva una durata da sei a 12 mesi…

Ghani è partito “ per evitare spargimento di sangue”( il suo).

Baradar, il negoziatore talebano di Doha è stato tagliato fuori e resta a fare comunicati stampa ignorati dai generali vincitori.

I “ negoziati li fa chi ha combattuto e vinto “ sul campo”.

Questo spiega la fretta ad occupare la Capitale e ricorda analoghe corse di De Gaulle e di Tito ad occupare la Capitale anche un attimo prima del grande alleato, o l’attesa dei russi che finisse la rivolta di Varsavia prima di entrare per non spartire il potere.

L’ultima speranza degli Americani di avere una interlocuzione dal profilo conosciuto, crolla.

Mazziati e cornuti.

L’ex presidente Karzai ha deciso di restare in Patria con la famiglia e ha detto che i Talebani garantiranno vita e proprietà a tutti.

Anche Heikmatar ha aderito al nuovo regime assieme ai governatori di alcune provincie.

Il governo provvisorio ha comunicato un NUMERO VERDE ( di periferia) cui i cittadini vittime di soprusi o necessitanti aiuto possono ricorrere e ha comunicato che presìdi di 15 uomini ciascuno sono stati assegnati a tutte le ambasciate a protezione di persone e beni.

Russi e Turchi hanno gia annunziato che non se ne andranno, gli inglesi hanno detto che l’ambasciatore partirà stasera e tedeschi,danesi e Finlandesi alleggeriranno l’organico sospendendo la cooperazione.

Dalla ambasciata italiana nessuna nuova, buona nuova: la Difesa chiede di consentire l’ingresso in Italia a quattromila collaboratori.

In pratica chiunque abbia scopato con un italiano otterrà il visto d’ingresso.

Precauzioni anticovid, nessuna….”

http://italiaeilmondo.com/2021/09/16/e-sul-cadavere-della-nato-che-si-deve-costruire-una-difesa-delleuropa-a-cura-di-theatrum-belli/

Relazioni amorose di un altro mondo, a cura di Piergiorgio Rosso

Qui sotto la trascrizione del discorso di benvenuto del Ministro della Difesa giapponese indirizzato all’omologo vietnamita durante la visita ad Hanoi del 12 settembre scorso. Al di là della banalità dei convenevoli, assume un significato politico rilevante. E’ solo uno degli eventi che stanno investendo ormai freneticamente l’area indo-pacifica. Gli Stati Uniti stanno intensificando la collaborazione militare con l’Australia ai danni della Francia; la Cina inizia a spingere il proprio naviglio militare verso l’Alaska e l’Artico suscitando l’ovvia diffidenza statunitense, ma anche della Russia; l’India, attratta dalle lusinghe americane, rimane spiazzata dagli eventi in Afghanistan e tende ad assumere una postura più autonoma. Il default di oltre trecento miliardi di dollari in Cina del China Evergrande Group sembra essere ancora una sorta di pesante regolamento di conti interno alla dirigenza cinese tra la componente strategico-politica e parte di quella finanziaria-imprenditoriale; può altresì innescare una crisi finanziaria difficilmente controllabile. Si potrebbe continuare ad enumerare per parecchio. Sino a pochi anni fa le dinamiche geoeconomiche hanno avuto il netto sopravvento in quell’area. Le delocalizzazioni partite dagli Stati Uniti, ma ora avviate anche dalla Cina, le ambizioni di numerose classi dirigenti di quell’area tese a sfruttare con abilità in maniera selettiva e opportunistica le opportunità della globalizzazione hanno creato un groviglio di relazioni ormai molto complicato da districare tra paesi e formazioni politicamente rivali e spesso confliggenti. Le dinamiche geopolitiche, però, hanno ripreso a regolare e sussumere sempre più strettamente quelle geoeconomiche che sembravano sino a poco tempo fa alimentarsi di vita propria. Si sta avviando un confronto tra giganti, con popolazioni dell’ordine delle decine e centinaia di milioni di persone, dalle caratteristiche diverse da quelle offerte dallo scenario europeo e nel quale gli europei sembrano essere risucchiati senza alcun riguardo ai propri interessi strategici da perseguire autonomamente_Giuseppe Germinario

“La cooperazione Giappone-Vietnam per la difesa raggiunge un “nuovo livello”: una partnership focalizzata a livello globale”

(Traduzione provvisoria)

 

Xin chao. Piacere di conoscerti, sono KISHI Nobuo, Ministro della Difesa del Giappone.

È un grande onore visitare il Vietnam durante la mia prima visita all’estero come ministro della Difesa. Prima di tutto, vorrei esprimere la mia sincera gratitudine al tenente generale Vu Chien Thang, direttore generale del dipartimento per le relazioni estere, ministero della Difesa nazionale, Vietnam, e a tutti i partecipanti di oggi per avermi dato questa opportunità.

La cooperazione per la difesa tra Giappone e Vietnam è solida e ha un grande potenziale di crescita. Oggi sono qui per esprimere i miei pensieri su come possiamo sviluppare ulteriormente questo partenariato per la pace e la stabilità della regione e della comunità internazionale. Per questo motivo, vorrei esprimere candidamente le mie opinioni, compresi quei punti su cui noi, Vietnam e Giappone, potremmo non essere allineati.

Colgo l’occasione per parlare dei miei ricordi speciali in Vietnam. La mia esperienza personale con il Vietnam è iniziata quasi 20 anni fa. Prima di diventare membro della Dieta, ho viaggiato in tutto il mondo mentre lavoravo per una società commerciale. Ho lavorato qui in Vietnam per un anno e mezzo dall’estate del 2000. Ho girato per Hanoi, Ho Chi Minh City, Can Tho nel bacino del fiume Mekong, Kamau all’estremità meridionale, Phan Thiet sul mare, il Dalat Altopiano, e le montagne vicino al confine con la Cina.

All’epoca in cui la “Politica del Doi Moi” iniziò a decollare, ricordo di aver sentito che le persone e la città stavano esplodendo e che il paese si stava veramente sviluppando. E oggi continuo ad assistere allo sviluppo del Vietnam, che è un potente leader nella regione.Ricordo distintamente un’interazione con un collega vietnamita generoso e gentile. A quel tempo, ho avuto una disputa sul lavoro, e quando mi sono lamentato perché: “hai detto che avresti potuto farlo in quel momento“, ha risposto con un grande sorriso, “Signor KISHI, se avessi detto che non potevo farlo in quel momento, saresti stato triste, non volevo vedere il tuo viso triste.” Non avevo altra scelta che perdonarlo.Il tipo non era solo accomodante e divertente, ma lavorava anche sodo. Abbiamo potuto intenderci e costruire un buon rapporto di fiducia, anche se litigavamo per differenze di pensiero. Il Vietnam, dove ho lavorato duramente con molte persone, è speciale per me. Questo è il motivo per cui ho fatto del Vietnam la meta della mia prima visita all’estero come ministro della Difesa.Sono convinto che è grazie al popolo vietnamita che possiamo sviluppare ulteriormente la cooperazione in materia di difesa tra i nostri due paesi. Questa convinzione non è cambiata dalla mia visita qui come Viceministro Parlamentare della Difesa nel 2009.”Quando siamo nei guai, ci aiutiamo a vicenda.” Questa è una virtù che i giapponesi hanno cara da lungo tempo. Gli amici si aiutano a vicenda nei momenti di difficoltà. Nella sfida senza precedenti della pandemia, e per affrontare insieme questa difficoltà da amico, il Giappone ha fornito circa 3 milioni di dosi di vaccino al popolo del Vietnam, con il quale abbiamo una lunga e profonda amicizia.Se ricordiamo, 10 anni fa, nel marzo 2011, sulla scia del grande terremoto del Giappone orientale, un disastro naturale senza precedenti, il Giappone ha ricevuto una quantità straordinaria di donazioni e sentite condoglianze da molte persone in Vietnam. Abbiamo ricevuto un caloroso sostegno in varie forme come lettere, scritti e disegni. Il Giappone non lo dimenticherà mai.”Gian nan mới biết bạn hiền“, quanto è incoraggiante per noi giapponesi essere colpiti e incoraggiati dalle virtù di tutti espresse in questa lingua vietnamita. Vorrei ringraziarvi ancora. E questa è stata anche un’opportunità per noi Giappone e Vietnam per renderci conto ancora una volta che condividiamo la virtù di aiutare i nostri amici in difficoltà e quanto siano forti i nostri “legami”. Le relazioni bilaterali tra Giappone e Vietnam continuano a svilupparsi. Da quando le relazioni Giappone-Vietnam sono state elevate a “partenariato strategico globale” nel 2014, i due paesi si sono sviluppati fortemente in tutti i campi.Questo si estende al campo della difesa. Sulla base dei risultati cumulativi delle varie cooperazioni e scambi fino ad oggi, quando ci siamo incontrati con il ministro della Difesa GIANG nel giugno di quest’anno, egli ha proposto di elevare la cooperazione in materia di difesa tra i due paesi a un “nuovo livello”.
Vorrei fare di questa visita una pietra miliare che segna l’inizio della cooperazione per la difesa del Giappone-Vietnam verso un “nuovo livello”. Prima ho accennato al fatto che noi, Giappone e Vietnam, condividiamo la virtù dell’impegno ad aiutare i nostri amici di fronte alle difficoltà. E, insieme a questa virtù, condividiamo altri valori universali che sono essenziali per regolare le relazioni internazionali. Uno di questi è lo “stato di diritto” in mare. Ciò che ha collegato il Giappone e il Vietnam fin dall’antichità è stato il mare vasto e abbondante. Dal XVI al XVII secolo, i mercanti giapponesi navigavano liberamente dal Mar Cinese Orientale al Mar Cinese Meridionale sui “Goshuinsen”, velieri mercantili giapponesi, alla ricerca di un ampio commercio con i paesi del sud-est asiatico. Il “Raienbashi”, noto anche come “Nihonbashi”, che rimane ancora nell’antica città di Hoi An, città natale del presidente Nguyen Xuan Phuc, ricorda i vivaci scambi tra Giappone e Vietnam dell’epoca. I mari liberi e aperti sono stati la pietra angolare della nostra prosperità fin dall’antichità. Il precetto che il Giappone continua a difendere in mare è molto semplice e basilare. Il Giappone ha costantemente promosso lo “stato di diritto” anche in mare. La nostra prosperità non sarebbe possibile senza la libertà di navigazione e di sorvolo e la sicurezza delle rotte marittime. Il Vietnam, che si trova geopoliticamente alla sovrapposizione del sud-est asiatico e dell’Asia orientale, svolge un ruolo importante nella regione. Noi, Giappone, abbiamo molto apprezzato la leadership del Vietnam nella regione durante il suo ADMM Plus, sottolineando al contempo il valore universale dello “stato di diritto”. Quelli di noi, che condividono valori, hanno una missione comune per proteggere la pace e la stabilità della regione. Ora stiamo affrontando una realtà senza precedenti, anche nell’arena della sicurezza, oltre alle difficoltà di affrontare il COVID-19.

 

Soprattutto nel mare e nello spazio aereo del Mar Cinese Orientale e del Mar Cinese Meridionale, ci sono casi in cui vengono intraprese azioni, basate su asserzioni unilaterali che sono incompatibili con l’ordine internazionale esistente.

La libertà di navigazione e la libertà di volo non devono essere indebitamente violate. A tal fine, è importante promuovere ripetutamente l’importanza dello “stato di diritto” e del principio fondamentale della risoluzione pacifica dei conflitti e, soprattutto, metterlo in pratica.

Nel Mar Cinese Orientale, continuano i tentativi di cambiare lo status quo con la coercizione, anche nelle acque intorno alle Isole Senkaku, che è un territorio intrinseco del Giappone. La situazione si fa sempre più grave, con ripetuti casi di navi della Guardia costiera cinese che si sono insinuate nelle acque territoriali, avvicinandosi ai pescherecci giapponesi.

Nel Mar Cinese Meridionale, la Cina ha continuato a militarizzare il terreno conteso, ha condotto frequentemente esercitazioni militari e si ritiene che abbia lanciato missili balistici, intensificando le sue azioni. Il Giappone si oppone fermamente ai tentativi unilaterali di cambiare lo status quo con la coercizione e a qualsiasi attività che aumenti le tensioni e condivide le preoccupazioni con il Vietnam.

Nel febbraio di quest’anno è entrata in vigore la legge sulla guardia costiera cinese. Questa legge include clausole problematiche in termini di coerenza con il diritto internazionale, come la sua applicazione a zone marittime ambigue e l’autorizzazione all’uso delle armi. I diritti giustificati di tutti i paesi interessati, inclusi Giappone e Vietnam, non dovrebbero mai essere compromessi a causa della legge sulla guardia costiera e non possiamo mai tollerare nulla che possa aumentare le tensioni sull’acqua, come nel Mar Cinese Orientale e nel Mar Cinese Meridionale.

 

Inoltre, Taiwan si trova al nesso tra il Mar Cinese Orientale e il Mar Cinese Meridionale, che è un punto chiave per la sicurezza marittima regionale. La pace e la stabilità nello Stretto di Taiwan sono importanti sia per la regione che per la comunità internazionale. È stata una posizione coerente del Giappone aspettarsi che sarà risolta pacificamente attraverso dialoghi diretti da parte delle parti interessate.

Inoltre, è un fatto indiscutibile che ci siano varie sfide per garantire la pace e la stabilità della regione indo-pacifica.

In primo luogo, il lancio di missili balistici da parte della Corea del Nord, indipendentemente dalla loro gittata, è una violazione delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che non solo minaccia la pace e la stabilità regionali, ma è anche un problema serio per l’intera comunità internazionale. Il Giappone sta lavorando con i paesi interessati per attuare pienamente le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per lo smantellamento completo, verificabile e irreversibile del programma di armi nucleari della Corea del Nord e la cooperazione con il Vietnam è importante.

Per quanto riguarda la situazione in Myanmar, il Giappone chiede con forza l’immediata sospensione delle violenze contro i civili, il rilascio dei detenuti e il rapido ripristino del sistema politico democratico, in collaborazione con la comunità internazionale. Il Giappone considera i “cinque consensi” come il primo passo verso una svolta e accoglie con favore la nomina di S.E. Erywan, Ministro degli Affari Esteri II del Brunei, come inviato speciale dell’ASEAN. In futuro sarà importante ottenere risultati concreti attraverso l’attuazione dell’iniziativa.

 

È inoltre necessario rispondere a questioni globali come la sicurezza informatica e la diffusione di nuove infezioni da coronavirus.

 

La regione indo-pacifica, dove viviamo, è al centro della vitalità del mondo. E quindi, la pace e la stabilità della regione sono essenziali per la prosperità del mondo.

I tentativi di cambiare lo status quo con la coercizione che abbiamo di fronte, possono colpire non solo questa regione ma l’intera comunità internazionale, e dovrebbero essere visti come una sfida globale che minaccia l’ordine internazionale esistente.

Tuttavia, ci sono naturalmente dei limiti a ciò che possiamo fare come singolo paese. È importante utilizzare tutte le partnership per affrontare questo problema.

Soprattutto, dobbiamo lavorare insieme per mantenere e rafforzare l’ordine internazionale basato sulle regole, libero e aperto, che è fondato sul diritto internazionale e ci ha portato prosperità. In queste circostanze, ciò a cui stiamo assistendo ora è che paesi che la pensano allo stesso modo condividono questa visione di come dovrebbe essere la regione indo-pacifica e si preoccupano e lavorano per la pace e la stabilità regionali. È qualcosa che stiamo cercando di rafforzare come mai prima d’ora.

Anche i paesi che sono partner chiave del Giappone stanno prestando attenzione al Vietnam. Dagli Stati Uniti, il segretario alla Difesa Lloyd J. Austin ha visitato la regione alla fine di luglio e il vicepresidente Kamala D. Harris ha visitato la regione ad agosto. Entrambi gli alti funzionari hanno scelto di fermarsi in Vietnam come parte del loro viaggio. Ciò dimostra chiaramente che gli Stati Uniti riconoscono l’importanza strategica del Vietnam.

E quest’anno, di particolare interesse è il maggiore coinvolgimento dei paesi europei nella regione. Il ministro della Difesa britannico Ben Wallace, che ha visitato il Giappone a luglio, ha visitato Hanoi per la prima volta come ministro della Difesa britannico. Il lancio della politica “Tilt to the Indo-Pacific” è rivoluzionario per la Gran Bretagna.

Al fine di promuovere con forza la visione del Giappone per un “Indo-Pacifico libero e aperto”, è indispensabile la cooperazione con i paesi europei che condividono l’ambizione di sostenere lo “stato di diritto”. Da quando ho assunto la carica di ministro della Difesa, ho lavorato attivamente per rendere l’impegno dell’Europa in questa regione ancora più forte e permanente

 

Nel 2019, il Vietnam, insieme a tutti gli altri paesi dell’ASEAN, ha annunciato l'”ASEAN Outlook on the Indo-Pacific (AOIP)” come proprio percorso. In esso, lo stato di diritto, l’apertura, la libertà, la trasparenza e l’inclusione sono promossi come principi di azione. Il Giappone sostiene pienamente l’AOIP, che condivide i principi essenziali con la FOIP. Andando avanti, continueremo a incoraggiare sforzi tangibili e cooperativi per realizzare l’AOIP, sostenendo nel contempo la centralità e l’unità dell’ASEAN.

L’espansione dei partenariati nell’Indo-Pacifico contribuirà a garantire la pace e la stabilità regionali. Cosa dovrebbero fare gli amici insostituibili, Giappone e Vietnam, nel mezzo di questa espansione delle partnership globali? La mia risposta è far evolvere la cooperazione di difesa Giappone-Vietnam a un “nuovo livello” adatto all’era attuale. E così facendo, vorrei camminare insieme come compagni che si tengono per mano, per adempiere al nostro obbligo di proteggere la pace e la stabilità della regione e della comunità internazionale. Fino ad ora, le autorità di difesa del Giappone e del Vietnam hanno rafforzato la loro capacità di proteggere le loro terre con sforzi continui. Sulla base delle rispettive capacità, abbiamo promosso la cooperazione e gli scambi in una vasta gamma di settori tra i due paesi, e i risultati hanno portato grandi benefici sia al Giappone che al Vietnam. Le forze di autodifesa giapponesi stanno ora contribuendo al mantenimento e al rafforzamento dell'”Indo-Pacifico libero e aperto”, e l’esistenza del potente esercito popolare vietnamita – che continua a migliorare ulteriormente le sue capacità – è diventata essenziale per mantenere la pace e stabilità nella regione. Alla luce della cruda realtà dell’ambiente di sicurezza che ci circonda, la nostra cooperazione deve mirare a ulteriori vette. In altre parole, nello spirito di “quando siamo in difficoltà, ci aiutiamo a vicenda” e “Gian nan mới biết bạn hiền”, siamo amici che danno una mano ad altri amici in difficoltà in questa regione e nella comunità internazionale. Dovremmo dire che siamo entrati in quella fase. Qui oggi vorrei “ridefinire” che la cooperazione per la difesa del Giappone e del Vietnam mira a contribuire in modo più positivo alla pace e alla stabilità non solo dei nostri due paesi, ma della regione e della comunità internazionale. Questo è l’intento della cooperazione di difesa Giappone-Vietnam nella “nuova fase” di cui parlavo prima.

 

Sia il Giappone che il Vietnam collaboreranno per affrontare varie questioni di sicurezza nella regione, sottolineando al contempo lo “stato di diritto”. Lavoreremo a stretto contatto non solo a livello bilaterale, ma anche con i paesi regionali e l’ASEAN a beneficio di tutti i paesi. Vorremmo fornire una pace duratura alla comunità locale e internazionale. Per il Giappone va detto che il Vietnam è uno dei paesi importanti con cui condividiamo la stessa barca.

 

Con la cooperazione che raggiunge questo “nuovo livello”, rafforziamo ulteriormente la cooperazione per la difesa tra Giappone e Vietnam, spostando la nostra attenzione sulla pace e la stabilità dell’Indo-Pacifico e del mondo.

Ora abbiamo un nuovo strumento per questo. È l’accordo di trasferimento di attrezzature e tecnologie per la difesa Giappone-Vietnam firmato ieri.

In futuro, in base a questo accordo, accelereremo le discussioni verso la realizzazione di trasferimenti tangibili di attrezzature, come la cooperazione nel campo delle navi che contribuiscono alla sicurezza marittima regionale.

E amplieremo l’ambito della cooperazione a campi senza precedenti e nuovi domini.

Ad esempio, rispondere alle minacce nel cyberspazio è una sfida urgente per la sicurezza globale. Lo scorso dicembre ho annunciato gli sforzi per migliorare le capacità di sicurezza informatica con i paesi dell’ASEAN. Lavoreremo a stretto contatto con il Vietnam per migliorare la sicurezza informatica nella regione in modo che questa iniziativa serva da modello per la cooperazione di difesa ASEAN Giappone-Vietnam al “nuovo livello”.

 

Anche la diffusione globale delle infezioni da coronavirus ha avuto un forte impatto sulla sicurezza. Alla teleconferenza dei ministri della Difesa Giappone-Vietnam nel novembre dello scorso anno, abbiamo deciso di promuovere la cooperazione nel campo del controllo delle malattie infettive.

Alla luce di questi sviluppi, le autorità di difesa di Giappone e Vietnam continueranno a coordinare la firma di un memorandum d’intesa in questi due importanti ambiti, al fine di promuovere la cooperazione nei settori della sicurezza informatica e della medicina militare.

 

Anche le operazioni di mantenimento della pace delle Nazioni Unite sono un campo in cui la cooperazione Giappone-Vietnam è notevole. Al fine di migliorare la capacità del personale PKO, il Giappone ha lanciato il Progetto ONU di Partenariato Triangolare (UNTPP) con le Nazioni Unite nel 2015. Finora, il Ministero della Difesa giapponese e le Forze di autodifesa hanno inviato un totale di circa 230 istruttori , e ha formato circa 360 persone – provenienti da 17 paesi dell’Asia e dell’Africa – per le missioni delle Nazioni Unite.

Dal 2018, con la piena collaborazione dell’Esercito popolare del Vietnam, gli istruttori delle forze di autodifesa giapponesi addestrano il personale dei paesi asiatici qui ad Hanoi e sotto la bandiera delle Nazioni Unite. Tale cooperazione tra Giappone e Vietnam sostiene fortemente le operazioni di mantenimento della pace delle Nazioni Unite.

Inoltre, da quest’anno Giappone e Vietnam co-presiedono il gruppo di lavoro di esperti dell’ADMM Plus sulla PKO e hanno tenuto la loro prima riunione ad aprile. Nei prossimi tre anni condurremo discussioni costruttive tra i paesi partecipanti e gli esperti di PKO.

Questo tipo di cooperazione tra i nostri due paesi dimostra la forte volontà che condividiamo entrambi di contribuire attivamente alla pace e alla stabilità della comunità internazionale. Continueremo a promuovere ulteriore cooperazione in futuro.

 

Oggi ho una visione grandiosa e ambiziosa della cooperazione per la difesa tra Giappone e Vietnam in una “nuova fase”. Alcuni di voi che hanno sentito questa aspirazione potrebbero chiedersi: “È davvero possibile?”

Ma sono molto convinto. Insieme al fermo popolo vietnamita che conosco, sono sicuro che sarò in grado di superare molte sfide e raggiungere questo obiettivo immenso e alto.

Oggi, mentre le partnership più forti che mai si espandono nella regione indo-pacifica, Giappone e Vietnam lavoreranno insieme per promuovere risultati positivi. Inoltre, in cooperazione con i paesi associati, lavoreremo insieme per affrontare questioni comuni e per contribuire alla pace e alla stabilità nella regione e nella comunità internazionale.

https://www.mod.go.jp/en/article/2021/09/418fe0507c857ab01e14fe7f2dc8d547410018da.html#1

L’EUROPA IN TRANSIZIONE DI FASE, di Pierluigi Fagan

L’EUROPA IN TRANSIZIONE DI FASE. Nella logica dei sistemi, le transizioni di fase sono cambiamenti strutturali dello stato, logica o ordine interno del sistema. Considerando l’Europa politica (l’UE) un sistema, vediamo di fare una fotografia aggiornata di quella che sembra proprio una transizione di fase.
La notizia, ed è una vera e propria notizia, è che Italia e Francia starebbero per firmare un trattato bilaterale, sul tipo di quello a suo tempo firmato da De Gaulle ed Adenauer agli albori della Comunità europea (1963), poi rilanciato nel famoso trattato di Aquisgrana (2019) tra Francia e Germania. Di questo hanno discusso nel recente incontro di Marsiglia Macron e Draghi, per cui pare che ora la bozza approvata a Parigi sia in ultimo esame a Roma per poi arrivare alla firma. I temi dell’accordo sono vari ma alcuni sono più rilevanti di altri.
Il tema fondamentale però, non è un contenuto dell’accordo ma l’accordo stesso. Gli accordi bilaterali Francia e Germania erano di corredo alla ragione prima sottostante la stessa idea di Comunità e poi Unione europea ovvero incatenare tra loro le due potenze continentali che hanno dato vita a una lunga sequenza di guerre lungo gli ultimi tre secoli. Erano quindi accordi diciamo “difensivi”, a difesa dal pericolo del riproporsi di una sregolata competizione diretta. Ma i singoli stati europei oggi, non vivono più una fase in cui il primo pericolo è interno, ma esterno. Russia, Cina, Medio Oriente, Africa, pandemie, nuove tecnologie, corsa allo spazio, precario sviluppo economico, migranti, difesa, demografia, ecologia, sono la sempre più problematica agenda del mondo a cui ci si deve politicamente adattare.
In più, l’atteggiamento americano verso l’Europa inaugurato da Trump, pur con stile diverso, viene conformato nei fatti da Biden. Gli USA hanno problemi loro, strategie loro, nuovi egoismi quali nascono dall’essere sottopressione e vivere una fase di contrazione di potenza. Tra cui l’ossessione cinese che invece per gli europei, tale non è affatto, anzi. Tanto per dirne una, il prossimo 24 settembre, Biden farà un vertice QUAD con Australia, India e Giappone ovvero l’asse Indo-Pacifico, il vero contesto primo delle preoccupazioni americane ovvero il contenimento della Cina. A tale proposito, spero siano fake news quelle che spifferano di una eventuale intenzione americana di aprire una propria base a Taiwan. Lo spero proprio, la reazione cinese potrebbe esser imprevedibile.
Passando dalla fase “difensiva” a quella “progettuale”, i francesi hanno dovuto prender atto che ciò che gli unisce alla Germania è davvero poco, se si esce da una logica di relazione di convenienza limitata, senz’altro meno di quello che li unisce all’Italia e più in generale ai paesi latino-mediterranei. Potenza della geo-storia, questa logica a lungo trascurata per dominio della logica puramente economicista. Da un paio di anni, la Francia capeggia per molti versi le richieste verso l’Europa del gruppo latino-mediterraneo di cui, in tutti i sensi, fa parte anche se da sempre coltiva una sua schizofrenia interna che vagheggia un asse franco-carlomagnesco.
In più, i tedeschi sono anche loro in transizione di fase. Lo sono perché lo è l’Europa ed il mondo (vedi “globalizzazione”), ma anche perché dopo sedici anni, perderà la sua capofamiglia, la signora Merkel. Tra undici giorni si vota per il nuovo Bundestag e nuovo Cancelliere. Al momento, si prevede un successo SPD ma soprattutto un crollo verticale di CDU/CSU, tanto da presentare l’ipotesi di un governo SPD-Verdi-Liberali con i democristiani fuori, una vera novità tellurica. Ma è prematuro fare congetture sull’esito del voto, però si possono fare tre considerazioni. La prima è che la Germania termina la sua lunga stabilità in accordo ad una relativa stabilità del quadro mondiale. La seconda è che l’eventuale coalizione “semaforo” è più numerica che politica. La terza è che sarà molto importante capire come e se si sposteranno gli equilibri interni alla Germania in rapporto ai problemi europei cosa che in sostanza si capirà quando verrà stabilito il ministro delle finanze, pare non prima di dicembre. I tedeschi impiegano molto tempo a fare un governo di coalizione dopo le elezioni, poi dura tutta la legislatura. Noi facciamo governi di coalizione in una settimana, poi durano qualche mese.
Due questioni, più di ogni altra, si presentano in chiave europea. La prima è la riforma del Patto di Stabilità. Qui si stanno già da tempo muovendo i pezzi sulla scacchiera con Francia-Italia e paesi latino-mediterranei da una parte e Austria, Finlandia, Paesi Bassi, Danimarca, Lettonia, Slovacchia, Svezia e Repubblica Ceca, dall’altra. In gioco, ovviamente, le questioni di bilancio, il debito comune e tutta la cascata di dettagli architettonici dell’economia e finanza dell’Unione per i prossimi anni che i latino-mediterranei vorrebbero più simili agli ultimi due che non ai precedenti intercorsi tra il 1997 e l’inizio della pandemia. Ma è forse la seconda questione la più importante. All’interno della Commissione, gli italo-francesi vorrebbero portare il principio di maggioranza semplice rompendo il paralizzante dogma dell’unanimità. Ad occhio, infatti, gli otto paesi detti “frugali” contano -tutti assieme- un terzo di popolazione dei cinque latino-mediterranei e gli interessi delle nazioni si pesano, non si contano solo come diceva il buon vecchio Cuccia a proposito delle azioni nei consigli di amministrazione. E’ ovvio che questo nuovo principio sovvertirebbe le logiche unioniste ed è quindi ovvio si aspetti di vedere cosa succede in Germania per capire i margini di manovra di tale possibile innovazione che procurerebbe qualche strappo politico di una certa rilevanza.
A latere, ci sono anche le questioni sulla nuova forza armata di pronto intervento europea con seimila effettivi tra esercito-marina-aeronautica. Piccola forza, ma di una certa rilevanza politica e geopolitica. La forza, infatti, presuppone un comando politico e questo, di nuovo, deve prodursi per maggioranza semplice stante che tale forza sarebbe in pratica fatta da francesi, italiani, spagnoli e tedeschi ed agli interessi geopolitici di questi risponderebbe. Interessi geopolitici che per Spagna, Francia ed Italia, non possono che esser mediterranei (Africa, Medio Oriente, Turchia) come geo-storia indica con precisione.
Ci sarebbe molto altro da dire ed approfondire su tutte queste ed altre questioni, ma qui siamo su un formato che ci limita. Aggiungerei solo due cose.
La prima è che dell’eventuale nuovo trattato italo-francese abbiamo anticipazioni, ma ovviamente nessun contenuto preciso. Il tono però sembra complesso e non solo formale. Si prevedono, almeno nelle intenzioni, forti intendimenti comuni certo economici, ma anche politici, culturali, geopolitici, insomma qualcosa di più che non una amicizia occasionale. Il che, lo diciamo chiaramente, ci piace assai. Chi segue questa pagina da più tempo, saprà che per quanto alle mie analisi, il futuro auspicato è quello di una vera Unione politica dei paesi latino-mediterranei, costituzionalizzata e parlamentare, quindi democratica e politica. Lo richiede l’adattamento al mondo dei prossimi trenta anni. La sovranità non è un principio astratto, si deve difendere con la potenza ed oggi, nessun singolo stato europeo ha la potenza adeguata. E quanto a “potenza” non ci sono solo questioni militari, si tratta anche di nuove tecnologie, investimenti e ricerca, politiche energetiche, questioni demografiche, peso geopolitico, peso economico-finanziario-monetario, peso culturale. Naturalmente questo prescinde da simpatie ed antipatie, anche da Macron e Draghi, non sottostima il pericolo che la Francia pensi di dominare la relazione a proprio egoistico vantaggio. Non so se mai si farà, come e quando, però dai contenuti che emergono del trattato una certa propensione a davvero unirsi ad altri per aver maggior massa che è presupposto della potenza necessaria a far qualsiasi cosa, sembra emergere. Ma siamo alla prima riga di un lungo romanzo ipotetico. Vedremo.
La seconda è che Italia e Francia sono i due soli paesi europei in cui si applica il Green Pass con una certa decisione. I due paesi hanno una quota vaccinati (completi) simile intorno al 67%, più bassa di Spagna e molto più bassa di Portogallo. I greci, invece, stanno più indietro. L’obiettivo mai esplicitato ufficialmente, ma quello che si ritiene a grana grossa tale, è arrivare il prima possibile almeno ad una copertura del 75%. Questo darebbe ragionevole garanzia (“ragionevole” per quanto lo permetta lo stato attuale delle conoscenze su questo virus che, come tutti notano, è quantomeno incerta) di un più limitata circolazione del virus, limitata cioè “gestibile” senza ricorrere di nuovo alle zone colorate, alle chiusure o limitazioni segmentate o addirittura a nuovi lockdown. E’ la capienza ospedaliera che fa da termine ultimo, fatto questo noto da due anni ma su cu i governi tacciono per pudore e cattiva coscienza e gli anti-governisti tacciono perché vanno appresso ad una loro nuvola di diversi presupposti per sostenere la loro narrazione sulla dittatura biopolitica ordita a Davos che ha come obiettivo ultimo la sola Italia perché “chi doma l’Italia doma il mondo”. Potenza degli immaginari. Problemi di gestibilità invece, attiverebbero di necessità nuove norme limitanti che limiterebbero la ripresa economica che limiterebbero lo spazio di agibilità politica per andare in Europa a richiedere di estendere in permanenza forme di debito comune e minor ossessione sulle politiche di bilancio. Quindi i due governi italiano e francese sono quelli che vanno più per le spicce, hanno fretta e non possono sbagliare, questo è per altro noto a tutte, ripeto “tutte” le fazioni politiche di governo e non in Italia che infatti stanno zitte, assecondano o giocano a fare la forza di lotta -su twitter- e di governo -nei fatti-. Fallire la ripresa economica e fallire l’utilizzo dei miliardi -per quanto condizionati- dati dall’UE, sarebbe la morte per il progetto di parziale modifica della logica UE italo-francese. E si tenga pure conto che Macron, ad aprile, va ad elezioni e sulla carta, pure non proprio per lui promettenti.
Bene, il post è ricco, lo saranno immagino anche i commenti. Tutti benvenuti eccetto quelli che invece di trattare l’argomento nel suo insieme ovvero nel suo complesso, estrapoleranno singoli fatti per esprimere qualche inutile, più o meno biliosa, convinzione personale non poggiata su analisi razionali. Del tutto da evitare, invece, polemiche sulle faccende Covid, il post non è su quello. Per vostra conoscenza non sono favorevole al Green Pass, lo sono personalmente verso i vaccini, preferirei lo sviluppo di forme di cura a casa per evitare le temute invasioni ospedaliere, trovo l’intera gestione di comunicazione del problema Covid delirante con distribuite responsabilità tra Governo, circo mediatico ed una certa parte di area critica egemonizzata da vari tipi di deliri anche psichici, ma non è di questo che il post invita a discutere.

 

È sul “cadavere” della NATO che si deve costruire una difesa dell’Europa, a cura di Theatrum Belli

Proseguiamo con la pubblicazione di saggi ed articoli di militari francesi a proposito di difesa europea_Giuseppe Germinario

È sul “cadavere” della NATO che si deve costruire una difesa dell’Europa secondo GA (2S) Jean COT, che la vede come una federazione degli Stati Uniti nella loro diversità.
Ci chiede di darci finalmente i mezzi di questa difesa altrimenti siamo condannati a cancellarci.
Europa e Difesa – Fascicolo G2S n° 24 – Luglio 2019 28

La difesa dell’Europa, del suo territorio e delle sue popolazioni, questo è il bene più evidente comune ai cittadini dell’Unione Europea (UE). Quella avrebbe quindi dovuto essere uno dei temi principali della campagna elettorale europea di maggio 2019.
Problema, non è l’UE come istituzione che ha la responsabilità della sua propria difesa, ma l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) in cui predominano gli Stati Uniti.
Un po’ di storia.

Fuori dalla seconda guerra mondiale, i paesi dell’Europa occidentale non potevano che mettersi sotto la protezione degli Stati Uniti, di fronte alla formidabile minaccia sovietica. Lo hanno fatto attraverso la NATO fondata nel 1949. Dobbiamo essere grati agli Stati Uniti per aver molto largamente contribuito a vincere la Guerra Fredda, senza sparare un colpo di cannone.
Ma siamo nel 2019. A settant’anni dal 1949, i rischi e le minacce si sono diversificate, globalizzate. Gli Stati Uniti hanno disegnato le conseguenze ritirando quasi tutte le loro forze dal suolo europeo,
dando priorità strategica all’Asia, la loro nuova sfida.
D’altra parte, l’UE è risorta dalle sue rovine. La sua ricchezza complessiva – il suo PIL – è ora equivalente a quello degli Stati Uniti. Non è quindi plausibile di 500 milioni di europei nell’UE, compresi di nuovo i nostri amici britannici!
– dipendono ancora a questo punto, per la loro difesa, da 325 milioni di americani. Mr. TRUMP dice lo stesso, senza mezzi termini, che gli Stati Uniti danno troppo per la difesa degli europei.
La NATO è un’organizzazione obsoleta e, altrettanto, l’articolo 5 del suo statuto che sancisce un reciproco impegno militare in caso di aggressione.
Sarebbe un grosso errore pensare che dopo TRUMP tutto rientrerà nell’ordine. TRUMP sta solo dicendo ad alta voce quello che molti negli Stati Uniti pensano sottovoce. Potrei dare molte testimonianze. Io ricorderò uno, da MM. SHAPIRO e WITNEY, degli eminenti membri di un importante Think Tank americano, riportato su Le Monde il 5 novembre 2009:
Gli europei hanno un rapporto infantile con gli Stati Uniti e feticista, nutrito di illusioni, tra cui:
Che gli interessi degli americani e gli interessi degli europei siano sostanzialmente identici,
 Quello secondo cui la sicurezza dell’Europa dipende ancora dalla protezione americana.
Bisogna ammettere che noi europei siamo abbastanza sordi e ciechi da non ammettere questa verità e trarne le conseguenze? È vero che dal Trattato di Maastricht del 1992, si costruisce lentamente una politica di sicurezza e un sistema di difesa comune (PSDC), i cui risultati non sono
trascurabili:
 Documento strategico europeo in materia di sicurezza e difesa (ESDS);
 Agenzia Europea per la Difesa (EDA) per gli armamenti;
 Embrione di staff per crisi civili e generazione di forze;
 Cooperazione strutturata permanente (CSP);
Fondo europeo per la difesa (FES).
Per limitarmi all’essenziale.

Il problema – capitale – è che questa difesa europea in gestazione non ha nulla a che vedere con la difesa dell’Europa sopra definita. È limitato all’effetto delle cosiddette missioni Petersberg, sotto l’egida dell’ONU:
 Mantenimento e applicazione della pace;
 Evacuazione di cittadini UE;
 Aiuti umanitari, disarmo, cooperazione.
Quindi ecco, in sintesi, l’incredibile paradosso:
 La NATO ha diritti esclusivi per difendere l’Europa mentre la credibilità degli Stati Uniti, che la dominano su testa e spalle, sono sempre di più incerti.
 L’UE si limita a esotici interventi di Petersberg senza nemmeno darsi uno staff operativo permanente per guidarli.
Questo paradosso non sembra preoccupare le autorità politiche e militari dell’UE, che lo ha mascherato dietro il comodo concetto di complementarietà, condivisione dei compiti tra NATO e UE. In realtà nessuno si lascia ingannare: la NATO è un buon alibi per limitare il loro sforzo di difesa. Perché pagare di più per la nostra difesa, anche se, attraverso la NATO, dipendiamo da
Stati Uniti ? Questa cultura della sottomissione agli Stati Uniti è inaccettabile.
Lo dico e lo scrivo da venticinque anni, un po’ meno solo oggi: la NATO è il principale ostacolo alla costruzione di una difesa dell’Europa indipendente. Ecco perché dobbiamo uccidere la NATO. Il meglio sarebbe che Mr TRUMP decida da solo.
Con la NATO morta, le potenze europee saranno costrette ad assumere prima le proprie responsabilità sovrane, la difesa del territorio e delle popolazioni e ne pagano il prezzo.
Questa potrebbe essere la mia conclusione. Aggiungo due osservazioni:
1. Ho letto il libro del generale de Villiers “Cos’è uno chef? ” Del proprio
Dei suoi propositi, ne estrapolerò due:
 “L’esercito europeo amalgamato è un sogno che potrebbe essere trasformarsi in un incubo. Credo nelle sovranità nazionali, non alla sovranità europea. ”
 “Se l’esercito europeo è composto da forze giustapposte, fondersi, trasformandosi in unità di combattimento agli ordini di una ipotetica sede a Bruxelles, lo ritengo IMPOSSIBILE. ” (le lettere maiuscole provengono da lui).
Queste osservazioni sono piuttosto illustrative della riluttanza che potrebbe rimanere anche nei nostri ranghi. Chiedono qualche risposta…
Cos’è allora la NATO se non un quartier generale – SHAPE –
a Bruxelles, quartier generale di corpi d’armata multinazionali, di cui uno corpo tedesco-polacco, l’altro corpo tedesco-olandese, un corpo della Unione Europea a Strasburgo con quattro nazionalità, un organismo di Reazione rapida francese (CRR) a Lille che può ospitare una mezza dozzina
contingenti stranieri?

Ciò che è giusto nella NATO sarebbe insopportabile in un quadro Europeo? L’esercito europeo non sarebbe altro, tanto per cominciare, che la NATO senza gli americani. Non che non li amiamo più,
ma semplicemente perché non possiamo più, non dobbiamo più contare su di essi. Lo dicono loro stessi. Devo ricordarti che avremmo avuto un Esercito europeo dal 1954 se DE GAULLE, all’opposizione, non avesse affondato il progetto, portato avanti dalla Francia? Allora ero a Saint-CyrCoëtquidan. Ero molto triste, come molti dei miei compagni.
Infine, allargherò il dibattito al di là della questione della difesa di Europa. La scelta da fare, come ce l’hanno le recenti elezioni europee ricordato, è quella tra due visioni inconciliabili dell’Europa di metà di questo secolo. O la visione esclusiva, sovranista, nazionalista, appoggiata al sacro stato-nazione: America First – Deutschland über alles – Francia prima. O una visione inclusiva, aperta, umanista, che non considera lo stato-nazione come il fiore all’occhiello dell’organizzazione
politica dell’Europa.
Credo di essere un buon patriota ma sono anche un fervente europeo, un cittadino dell’Europa. Nessuna contraddizione in questo! La mia Europa è quella del suo motto:
“Unità nella diversità”. Gli Stati Uniti d’Europa non sono un parolone! Questa è la condizione necessaria perché l’Europa conti domani nel contesto delle grandi potenze del pianeta.
UNITI o CANCELLATI – Gli Stati Uniti d’Europa Oppure i Balcani del mondo. Non c’è
bisogno di particolare passione per iscriversi a questo. Un piccolo motivo dovrebbe essere sufficiente.

https://theatrum-belli.com/wp-content/uploads/2019/06/G2S-Dossier-24-Europe-et-D%C3%A9fense-Juin-2019.pdf

Crisi pandemica. I vivaci pro e contro di una gestione politica. A cura di Giuseppe Germinario

Qui sotto il resoconto sintetico di un vivace dibattito in corso su facebook, non proprio la sede più appropriata, sui risvolti politici della gestione della crisi pandemica. Gli argomenti addotti sono indubbiamente interessanti ma soffrono spesso di un non detto e di fondamenti comuni impliciti ma non definiti con il necessario rigore tale da stabilire punti fermi più solidi. L’affermazione di potere implicita nelle scelte politiche di soluzione di problemi reali; il controllo crescente come aspirazione di ogni centro decisore politico, ma anche base necessaria di ogni progresso umano; la corrispondenza univoca o meno tra intensità del controllo e affermazione di processi totalitari; la definizione più o meno strumentale e manipolata delle priorità e del terreno di scontro e le modalità di reazione più opportune a questa definizione; la chiarezza nella distinzione tra l’analisi politica e la concreta capacità e possibilità di azione politica. Sono alcune delle questioni implicite che informano il dibattito. Per ultimo una considerazione: è un caso che la fossilizzazione del dibattito sul Green Pass avvenga soprattutto in Italia, poi in Francia e meno in paesi più centrali come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna? Ha qualche significato il paradosso che l’ambizione esplicita al controllo trovi più spazio in Cina, il paese che teoricamente dovrebbe contrastare meglio i propositi di “Grande Reset” e di dominio della cupola capitalistico-finanziaria? Sono i discrimini che separano le interpretazioni delle dinamiche politico-sociali e la valutazione delle capacità e delle possibilità operative e di pianificazione dei centri decisori. Mi pare che si stia perdendo il senso della priorità, della misura e dei tempi di una azione politica di contestazione. Il dato certo sono la progressiva prevalenza di dinamiche, di atteggiamenti e posizioni manichee che non fanno presagire nulla di buono. Sembrano impulsi piuttosto che calcolo politico; parte di scaramucce strumentali, piuttosto che dichiarazioni di guerra. Sono il seme del peggio che può scaturire dalla banalità. Giuseppe Germinario
Alessandro Visalli
Non so se nel frastuono che tutto copre delle polemiche su Green Pass e vaccini ci sia un’astuzia del potere, o se, semplicemente è l’effetto di una banale dinamica autorafforzante del mercato delle ‘notizie’ (il tema ‘vende’), unito alla lotta partitica feroce in corso sottotraccia, entro l’artificiale perimetro governativo (per cui si provoca la Lega, per danneggiarne il leader rispetto ai competitori esterni -Meloni- ed interni -Giorgetti-, e, d’altra parte se ne subiscono i veti, da cui la politica vorrei-ma-non-posso del GP), ma l’effetto oggettivo è quello di una nuvola nerastra e polverosa di polemiche vacue e urlate che nascondono completamente le tantissime cose serie, importanti, persino epocali che stanno accadendo (entro e soprattutto fuori del paese).
La dinamica dei prezzi e della sconnessione delle supply chain mondiali mostra l’avvio di un passaggio tra il modo di produzione neoliberista mondializzato e qualcosa di diverso (quanto, come e quando, nonché dove lo potremo misurare in qualche anno); la ritirata anglosassone prelude ad una avanzata del ‘mondo multipolare’ (che ha molto a che fare con il punto precedente); il lavoro potrebbe cambiare, tornando ad una qualche forma di potere e, al contempo trascinando modifiche della forma territoriale; la risposta politica a queste tensioni di trasformazione potrebbe prendere la forma di un attivismo statalista di nuovo conio. Nessuna di queste cose è già formata, sono tutti piani di conflitto intrecciati e possono andare in direzioni diverse.
—–
Ma noi discutiamo di ciò che ci viene messo davanti agli occhi. Se uno insiste a sottoporre un tema ciò che bisognerebbe chiedersi non è se è giusto o sbagliato, ma quale altro nasconde. Ovvero, di cosa non si deve parlare.

Thomas Fazi

Attenzione: il fatto che ci sia un’operazione di distrazione in atto non vuol dire che l’oggetto della distrazione non sia reale (anche perché altrimenti non funzionerebbe). Quindi va bene denunciare l’operazione di distrazione (io parlo di strategia della tensione ma il concetto è quello) ma questo, ahimè, non esime dal confrontarsi con l’oggetto della distrazione.

Andrea Zhok

Tutto molto giusto. Succedono un sacco di altre cose importanti in Italia e nel mondo.
Solo mi sfugge come qualcuno pensi di poter eccepire a quei grandi movimenti se non riusciamo neanche a sottrarci a un TSO di massa, dichiaratamente pretestuoso e privo di qualunque fondamento sanitario.
Chissà come bloccheremo le manovre del grande capitale, se il controllo su movimenti e opinioni è illimitato, se non riusciamo neppure a proteggere i nostri figli, se la censura è sistematica, la demonizzazione del nemico pure.
Ah, ma scusa, questo è controllo, imposizione, censura e demonizzazione fatti per una giusta causa!

Pierluigi Fagan

Già. “Noi discutiamo di ciò che ci viene messo davanti agli occhi” e che i nostri e gli altrui occhi riescono a vedere. La dinamica è che c’è chi dice e chi ascolta e chi dà l’agenda. Il livello di questo dibattito è dato dalla qualità dell’ultimo livello, dal livello di chi ascolta. Tutta questa faccenda arriva a colpire direttamente le persone base, decisioni da prendere, paure da gestire, attraverso fatti semplici: farsi o non farsi una puntura, accettare o meno il GP etc. Su questa sensibilità attivata infuria la pressione informativa ufficiale perché ad oggi, in Italia, siamo a circa 67% vaccinati a doppia dose, una percentuale ritenuta insufficiente per arrivare a quella che erroneamente è detta “immunità di gregge” e che statisticamente è solo il fatto che dal 75% in su si è ragionevolmente sicuri di poter gestire l’eventuale pressione ospedaliera che è “il” problema che poi porta a codici colorati e lockdown che poi portano a distorcere i normali comportamenti economici che impediscono l’agognata “ripresa” per cui Draghi si è fatto dare i miliardi condizionati dall’UE. Un “prestito” che non può fallire. Sul fatto che i soldi dati all’Italia siano davvero utili a rimetterci -più o meno- in piedi si giocano molte partire in UE, ricordando che andiamo verso una UE post Merkel. Da cui anche le ambizioni personali tanto di Draghi che di Macron, non a caso i due politici dei due paesi che usano il GP in modo più feroce. La pressione crea disagio perché timori e paure non vengono superate con gli ordini. La mancanza di intelligenza sociale in senso prettamente “politico” di Draghi che culturalmente è un tecnico, più simile all’ingegnere che al coltivatore sociale, non prevede altro che “ordini” non c’è tempo e modo di agire una maniera più sofisticata. Nella forbice tra chi dà questa agenda ed un pubblico ancora per una significativa minoranza restio a conformarsi, c’è chi vede l’opportunità politica e culturale di inserirsi per approfondire la contraddizione. A me pare un calcolo sbagliato ma è solo la mia personale opinione. Del resto, la pressione è tale e la scarsa conoscenza di base è tale, che questo è l’unico livello di attenzione che è attivato, quindi l’unico gioco che si può giocare per chi vuole fare politica nel qui ed ora. Tuttavia, rivolgendomi solo ad uno sparuto gruppetto di non coordinate intelligenze politiche critiche, mi domando se ci si pone la domanda “conviene alimentare questo incendio?”. Intendo il fatto che nonostante il tema attiri con la gravità di un buco nero, forse i più avveduti dovrebbero domandarsi quanto farsi attrarre e quanto resistere e prender altra rotta. Quanto cioè la nostra incapacità non di dire il simmetrico contrario di ciò che viene detto dal potere, che è relativamente facile, ma il fatto che si accetti la loro agenda, sia la migliore garanzia del fatto che le questioni più decisive non verranno trattate ed alla fine, per cause di forza maggiore, mugugnando e maldicendo, questa cosa andrà come deve andare e tutte le altre che rimangono ignorate e non notate, ancor di più.

Andrea Zhok

Pierluigi Fagan Capisco, ma sono in disaccordo. Innanzitutto, la possibilità di sottrarsi al “buco nero” è nulla per una ragione di fondo: in politica è l’agenda del presente immediato a dettare l’oggetto di attenzione, non gli orizzonti più o meno remoti. Io posso vedere che le battaglie strategiche si faranno sull’uso del PNRR, ma oggi si tratta di far andare a scuola, in biblioteca o a lavorare gente che sta semplicemente decidendo del proprio corpo in maniera immediata, e cui questa libertà primaria viene sottratta. Se non hai potere su questo, se una serie di palle raffazzonate pompate dai media consentono di far passare questa libertà primaria in cavalleria, beh, è finita. E’ del tutto inutile discettare del futuro remoto, perché comunque non ne saremo noi i protagonisti.
Io mi rendo conto che se uno prende per buone le fiabe mediatiche sembra che l’oggetto della questione sia una fisima, una bazzecola su cui ci si impunta per oscure ragioni. Solo che NON è così quando si fa una anche breve indagine sui presupposti mancanti per questa operazione. Si tratta di un’imposizione sulla base di un ragionamento utilitaristico dimostrabilmente falso, dove la decisione di cosa è utile pubblico è demandato ad alcune emanazioni del governo, e propagandato dal 95% dei media.
Se un’emergenza costruita ad arte (non il virus, ma il modo di (non) affrontarlo) diviene il passe-partout che mette a tacere ogni dissenso a furor di popolo, immagina quanto sarà facile fare la stessa operazione sugli “impieghi verdi” del PNRR, o su quelli delle “pari opportunità”, o sull’inderogabile “necessità di crescita”, ecc. Su ogni argomento c’è bell’e pronta un’inderogabile emergenza che non può attendere e rispetto a cui chi obietta è solo un rompipalle.

Alessandro Visalli

Andrea Tutto sta su pretese di verità. Se, ovvero, sia vero che sono “palle raffazzonate” e “dimostratamente falso” o meno. Ho letto i paper che mostri, non tutti, ho anche da lavorare nella vita e non sono un virologo e non mi pare lo confermino (ma, scusa dimentico – anche io so usare il registro ironico/polemico – quelle sono frasette messe per farsi pubblicare). Certo, poi, se rubrico quel che non mi quadra come “frasette” e prendo di un testo solo quel che mi si adatta al frame che mi sono fatto, allora viene facile. Che dici leggiamo così anche la letteratura che conosci? Ha, ma è un piano mondiale per vendere vaccini (invece di farmaci che costano molto di più)? Oppure per il Grand Reset? Cosa altro? Che possa essere più semplice, agende eterogenee che si scontrano, opportunismo, confusione, tendenza ad applicare le soluzioni già pronte e facili rispetto a quelle difficili e/o ignote, vincoli di sistema (europei), classica logica DAD (Decidi, Annuncia, Difendi), no. Più bello vedere che c’è un cattivo (quello che si dice buono, ovviamente) e ci sono delle vittime inermi.

Pierluigi Fagan

Andrea Zhok Sì questo l’avevo capito come tua posizione, mi era chiaro. Non so, sono differenti valutazioni Andrea. Ho detto anche io che per chi vuole far politica nel qui ed ora, se questo è il tema del giorno, questo è il gioco. Però c’è anche da rimarcare che negli ultimi anni, ci sono stati altri incendi che sembravano promettenti, penso al “sovranismo” o al “populismo”, ridotti ormai a braci spente e sono pure fenomeni relativamente recenti, consumati in breve tempo. Sono almeno quaranta anni che in Occidente si mette a tacere o s’ignora o si isola ogni dissenso, non credo che si possa invertire la tendenza su questa nuove linea di fronte che cumula tra l’altro posizioni assai diverse che vanno da più che condivisibili resistenze “giuridiche” a vari tic psicotici anarco-libertari a paranoie personali. Sono due piani diversi, c’è la posizione sul discorso e la costruzione del discorso. Non credo che sommando posizioni sul discorso si riuscirà a costruire un discorso diverso. Molti che oggi sono anti-green pass domani saranno più che a favore di altre posizioni più che conformiste su altri argomenti. Comunque, non è faccenda da bianco o nero, se c’è chi vuole ingaggiarsi sul tema, bene lo faccia. Quello che più mi preoccupa è che non pare esserci più qualcun altro che porti avanti gli altri.

Andrea Zhok

Alessandro Visalli Guarda, se hai letto il dialoghetto che ho postato l’altro giorno, con le note, c’è tutto quello di cui c’è bisogno per farsi un’idea. Non è necessario essere persuasi di ogni dettaglio. Basta essere persuasi di alcuni punti elementari, cioè del fatto che è una balla incontrovertibile:
1) che i vaccinati non contagiano;
2) che se non vacciniamo tutti avremo di nuovo gli ospedali in overbooking;
3) che così facendo eradicheremo il virus attraverso l’immunità di gregge.
Questo è sufficiente per sapere al di là di ogni possibile dubbio che l’operazione è una – mi voglio esprimere con garbo – puttanata criminale.

Alessandro Visalli

1- non sono d’accordo (i vaccinati possono contagiare, talvolta e meno, c’è tutta la differenza pertinente per una logica epidemiologica). 2) si. Ma il numero non è ancora sufficiente, basta contare i posti letto in terapia intensiva e confrontarli con il potenziale di 5-6 milioni di vulnerabili. Su questo, però, si può arrivare forse anche con meno enfasi (forse, non ho visto i modelli e non ne conosco l’affidabilità). 3) Si, assolutamente. Il Virus è chiaramente non eradicabile (il che è una tragedia, per cui va nascosta. Questa critica è giusta, ma, purtroppo non stupisce, basta aver letto anche solo distrattamente la letteratura americana sulla teoria delle decisioni pubbliche). Dunque NI, è un caso di decisione difficile con agende plurime. Criticabile, anche aspramente, ma per le ragioni corrette.

Andrea Zhok

Pierluigi Fagan Quella sul GP non è una battaglia su fronti filosofici. Ci partecipano comunisti e anarchici, liberali e neofascisti e leghisti, (piddini no). Non è che alla fine si fonderà un partito. E’ una battaglia specifica (le uniche, incidentalmente, che accreditano davvero). Ma la concretezza di poter decidere del proprio corpo (o di quello dei propri figli) è una cosa talmente primordiale, talmente potente e ovvia che non è possibile fingere che sia una bazzecola. (Ed è questo punto che mi sconcerta in chi invece pensa che imporre una cosa del genere da parte di uno Stato neoliberale sia una quisquilia.)

Pierluigi Fagan

Andrea Zhok Andrea, non sono appassionato come te sul tema, ma davvero ti risultano esser questi i punti del discorso? Chi davvero sostiene che i vaccinati non contagino? Contagiano forse un po’ meno. Chi ha mai davvero detto che dobbiamo vaccinarci tutti? Nei fatti, ad esempio la Danimarca, ha appena tolto ogni restrizione al raggiunto limite del 75% dei vaccinati. Sembrerebbe puntino ad un rischio calcolato e gestibile non a eradicare il virus. Sanno tutti e da due anni che a queste dimensioni di circolazione il virus non si eradica, il virus si gestisce. Poi sul fatto che come hai giustamente scritto si possa gestire anche meglio con procedure sanitarie che non si risolvono unicamente col vaccino, sono ovviamente più che d’accordo. Ma questi sono punti dentro il problema, è il contesto del discorso pubblico e sul subirne la struttura che politicamente stavamo ragionando.

Maurizio Denaro

se mi permettete, devo dire che spiace molto vedere una sorta di incomunicabilità tra persone che reputo non solo intelligenti non solo acculturate ma anche schierate su posizioni di critica radicale al sistema. Purtroppo anche questo è effetto della pandemia e della gestione, politica, della pandemia. Purtroppo non c’è stata alcuna vera analisi critica di tutta la faccenda, ed oggi il grande problema è che la propaganda del potere ha portato a creare due posizioni, che alla fine sono figlie dello stesso processo logico-manipolativo. Andrea ha molte ragioni, ma, se mi permettete voce da esperto, molte imprecisioni, che oggi fanno la differenza. Peccato che non si possa in una sede più consona discutere apertamente e identificare i dettagli, che son quelli che poi creano le grandi confusioni. In ogni caso, volenti o nolenti la pandemia è lo strumento biopolitico che il capitale sta usando per le sue ristrutturazioni e per creare le nuove di sfruttamento

Alessandro Visalli

Maurizio Denaro certo che lo è. Il capitale (che non è un soggetto, ma una logica di sistema che si impone ai soggetti) si adatta a d ogni condizione seguendo il proprio principio di autoaccrescimento. Quindi in un certo senso lo usa per la ristrutturazione, solo che non “usa”, e non “crea”, si potrebbe scrivere <la situazione crea nuove forme di sfruttamento>.

Andrea Zhok

Se non intendi vaccinare tutti perché premi per vaccinare quelle fasce che palesemente non rappresentano un problema sanitario significativo e che al contempo non presentano sperimentazione di sorta (giovani sotto i 16, donne incinte)?
Chi ha mai detto che il 75% per cento è una cifra adatta a limitare i contagi e i decessi? E’ una percentuale del tutto gratuita, perché non stiamo da tempo ragionando più in termini di ‘immunità di gregge’. Il punto è vaccinare chi, non quanto.
E soprattutto, e cerco di contenere la mia rabbia nel dirlo, CHI ti ha dato il permesso (non a te, è retorico) di impormi la somministrazione di un prodotto farmaceutico che NON può essere stato adeguatamente testato, su cui è stato messo su un impianto di controllo ridicolo, e che ha già mostrato effetti collaterali gravi? Ci si rende conto del livello di abuso di un atto del genere?

Pierluigi Fagan

Andrea Zhok Eddaje! E’ un abuso giuridico su questo non ci piove. Bene notarlo, sottolinearlo, scriverci sopra, ok. Non credo sia politicamente la battaglia del secolo ma è bene farci qualche resistenza, concordo. Ho fatto un ragionamento, ipotetico: debbono arrivare a … ? 73%? 75%? 80% quanto più tanto meglio dal loro punto di vista. Sparano in tutte le direzioni per far salire quella percentuale che poco meno di un mese fa era al 63%, sale quindi molto più lentamente dell’auspicato. Vanno di fretta, debbono raggiungere percentuali più alte entro ottobre quando le relazioni umane e sociali tornano allo standard. Se falliscono la piena ripresa economica sono fottuti. Quindi vanno per le spicce. Tutto l’arco parlamentare lo sa ed infatti fanno pippa, incluso l’opposizione da twitter che tanto cambia niente nei fatti. Ma ripeto, se iniziamo una discussione sul peso che l’argomento ha o dovrebbe avere nel dibattito pubblico, specie quello critico e finiamo a discutere di nuovo dell’argomento in sé per sé, allora facciamo altro che confermare che l’argomento è tutto ciò di cui c’è da discutere. Il che mi trova in disaccordo, tutto qua.

Luca Bertolotti

Maurizio Denaro sottolineo e ribadisco ” molte imprecisioni” . Come si possa costruire un discorso sensato senza aver capito il risultato dell’enorme cherry picking effettuato e utilizzando la fede in farmacisti, odontoiatri e fisioterapisti guidati da avvocati che in 16 mesi non hanno prodotto un cavolo di report sui risultati delle loro terapie precoci, non è dato sapere

Pino Timpani

Pierluigi Fagan è esattamente così, va anche aggiunto che in questa vicenda della pandemia chi ne esce meglio è il sistema cinese che ne può trarre una notevole accelerazione. Inoltre hanno un ulteriore vantaggio nel fatto che hanno ancora, diversamente che l’Occidente, un predominanza della politica sulla finanza. E’ anche vero che c’è il partito unico, ma se dovessimo comparare a fondo i due sistemi, quello cinese risulterebbe più democratico del nostro, perché quanto meno esiste un processo decisionale che coinvolge molta più popolazione, mentre a noi viene propinata una politica spettacolo, ricca di marketing e sondaggi e soprattutto completamente succube degli interessi della finanza. Mi sembra emblematica la situazione attuale del personaggio Salvini che è ora nelle mani di Draghi o anche l’atro personaggio, Meloni che fatica sempre di più a nascondere le finzioni. Ha detto bene molti giorni fa Alessandro Visalli: questa “battaglia” sul green pass si svolge sullo stesso campo liberale e quindi non può fare altro che alimentare e far stravincere quella ideologia. Inoltre, questo è uno dei più fumosi movimenti mai visti, destinato ad evaporare in mille direzioni, come hai fatto notare.

Roberto Buffagni

La cosa più importante secondo me è la “nuvola nerastra e polverosa “, una malattia psichica che in confronto il Covid19 è un cioccolatino. Ansia, nervosità, paranoia, brutalità, ipocrisia, menzogne a raffica, sguaiataggine, incitazione a disumanizzare, e tutto ciò dovunque. Normalità psichica che diviene una eccezione.

Edoardo Dallari, Il conflitto costituente. Da Platone a Machiavelli, recensione di Teodoro Klitsche de la Grange

Edoardo Dallari, Il conflitto costituente. Da Platone a Machiavelli, Mimesis edizioni, Milano 2021, pp. 122, € 9,00.

Questo saggio prende le mosse dal carattere peculiare della filosofia italiana, d’essere “una filosofia della ragione impura rivolta… a un’esperienza della negazione, della fallibilità… dell’impotenza della ragione”, e così filosofia della prassi. Ma “Il timbro prassistico della filosofia italiana è già tutto latino, ed è esattamente questo carattere che Machiavelli farà suo e rielaborerà”. In Machiavelli, scrive l’autore “convivono dunque tre prospettive che consentono, almeno è la credenza che regge questo saggio, di eleggere Machiavelli a figura del destino europeo e occidentale: anamnesi dell’antico, immanentizzazione del reale e possibilità astratta del nichilismo”.

Il confronto con Platone è indotto dal fatto che il pensiero del filosofo greco è volto alla ricerca e fondazione della città ideale, conforme agli ideali di giustizia e virtù; quello del segretario fiorentino all’esigenza di uno Stato solido perché indipendente e durevole. In questo senso è chiaro che Machiavelli pensava a Roma: una città che ha creato un impero, e di durata pluricentenaria: cinque secoli in occidente e quasi quindici in oriente, a considerare la datazione “ufficiale”.

Che poi, la caratteristica realista dipendesse anche dal pensiero latino lo dimostra anche il Somnium scipionis nel De republica, di Cicerone dove il grande oratore scrive che la costituzione romana è frutto dell’esperienza e della pratica di governo di molte generazioni: non di un legislatore o un progetto (come Licurgo, Solone) ma di un lavoro corale di tanti, raffinato dall’insegnamento delle crisi e delle vicende storiche.

In questa visione una particolare attenzione è dedicata al rapporto conflitto/ordine. Mentre nelle concezioni “ideali” il conflitto è considerato ciò che deve evitarsi nella polis ordinata, in Machiavelli è il conflitto interno che ha costituito la ragione dello straordinario successo della civitas.

Perché, data l’ineliminabilità del conflitto, interno come esterno, l’ordine idoneo è quello che si serve del conflitto per garantire l’ordine e accrescere la potenza dell’insieme.

Anche perché le crisi – ineliminabili come il conflitto – pongono la necessità di novità e cambiamento. Scrive Dallari “La storia di Roma è archetipo simbolico proprio perché testimonia che il conflitto è costituente, funzionale alla strutturazione della forma, che la scissione, la contraddizione è costante “essenziale” dell’ordine, che i tumulti sono il limite trascendentale dell’atto ordinante, che la storia è ricerca di equilibrio tra le forze nel co-implicarsi di ordine e conflitto”.

Una considerazione in margine a questo interessante saggio. La teoria del segretario fiorentino è assai simile, tra le altre, a quelle realistiche dei giuristi (non positivisti) del XX secolo: dalla considerazione di Carnelutti che il diritto nasce dal conflitto per l’appropriazione (senza conflitto non c’è diritto); che l’ordine giuridico è sempre in movimento (Hauriou, Smend); che la crisi (l’eccezione) ne fa parte come la normalità (Schmitt); che è la vitalità a costituire un ordinamento legittimo (Santi Romano).

Tutte concezioni ben corroborate dall’esperienza storica: ma finché si ritiene che una buona costituzione sia quella conforme ai principi, e alle “tavole di valori”, a diritti umani presenti in dichiarazioni solenni (e non nel cuore dei cittadini), e non nella capacità di assicurare l’esistenza politica di una comunità, la pace tra i cittadini e l’indipendenza dello straniero (“a ognuno puzza questo barbaro dominio”) il pensiero di Machiavelli sarà sempre attuale.

Teodoro Klitsche de la Grange

Intelligence strategica, geopolitica e guerra economica. Dagli anni ’50 ad oggi_di Giuseppe Gagliano

C’è chi fa, chi ci prova, chi lascia fare. La Francia potrebbe essere collocata in seconda fascia. Ha avuto nel dopoguerra il momento di maggior risolutezza nel periodo gaullista; in un contesto di decadenza e regressione ha conosciuto sussulti più che reazioni efficaci ad una politica di vera e propria colonizzazione ed espropriazione delle proprie capacità tecnologiche mascherate da una sterile prosopopea che non ha fatto altro che far perdere ulteriore credibilità alla classe dirigente. L’aspetto più interessante che differenzia quel paese dal nostro riguarda l’esistenza di un nucleo esplicito ancora in grado di porre la questione della sovranità e di condurre una battaglia politica. Su questo sito ne abbiamo parlato frequentemente. Buona Lettura, GIuseppe Germinario

Dall’affare Raytheon (1994) all’affare Alstom (iniziato nel 2014), la guerra economica ha colpito duramente le aziende francesi. Gli Stati, lontani dalle raccomandazioni liberali, sono attori costanti in questa guerra economica, in particolare paesi come il Regno Unito e gli Stati Uniti, che si dichiarano i più favorevoli alla libera impresa. Lungi dal fare il punto sulla posta in gioco strategica di questo terreno di scontro, la politica pubblica francese sull’intelligence economica è rimasta insufficiente poiché la caduta dell’URSS ha alzato la posta in gioco. La difesa delle imprese francesi contro acquisizioni estere che potrebbero portare al trasferimento di tecnologie sensibili, o mettere a rischio posti di lavoro, è rimasta quindi un aspetto dimenticato dell’azione pubblica.
Nella strategia economica come nell’arte militare, il successo di una politica pubblica richiede tanto iniziativa quanto anticipazione: questi sono i precetti che gli Stati Uniti applicarono all’indomani della seconda guerra mondiale. Al contrario, a partire dagli anni ’90, i governi francesi hanno reagito molto di più a shock che mettono in difficoltà le imprese nazionali, di quanto non abbiano sviluppato a priori elementi strategici di fronte alle nuove sfide della guerra economica.

Grazie alla Guerra Fredda, e alle competizioni militari, ma anche alle tecniche, economiche e scientifiche a cui ha dato origine, le politiche pubbliche americane hanno affrontato a testa alta la questione dell’intelligence economica alla fine della seconda guerra mondiale. Il primo passo è stato quello di fornire alle aziende americane il beneficio dell’informazione pubblica: negli anni Cinquanta sono state istituite agenzie federali come la National Science Foundation per trasmettere alle aziende strategiche le informazioni prodotte dalle amministrazioni. Poiché la prospettiva di uno scontro militare con la Russia sovietica si allontanava, l’intelligence economica divenne una preoccupazione centrale del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, che in particolare mise in atto una strategia per finanziare e proteggere l’economia dell’innovazione. : il finanziamento della ricerca scientifica da parte del Dipartimento della Difesa , che salì bruscamente al 96% della R&S pubblica nel 1950, è stata mantenuta, ad esempio, al 63% della R&S nel 1987.

Questa precoce preoccupazione espressa dalla comunità dell’intelligence americana per questioni di strategia economica ha radicato potenti eredità e spiega, ancora oggi, la forza dei legami che uniscono le grandi imprese americane e servizi segreti. Alla fine della Guerra Fredda, parte delle risorse dell’intelligence americana furono, inoltre, dirottate, in mancanza di un nemico, verso l’intelligence economica; si è infatti inasprita la competizione tra attori nazionali per la conquista dei mercati. Tuttavia, questa cultura dell’intelligence economica non si è radicata nelle stesse condizioni in Francia, che fino agli anni ’90 è rimasta relativamente insensibile a questo concetto.Se la Francia era inizialmente interessata alle politiche di intelligence economica pubblica, è perché era obbligata a farlo dal contesto dell’affare Raytheon. Nel 1994, Thomson-CSF ha perso inaspettatamente il progetto brasiliano Sivam, un sistema di monitoraggio per la foresta pluviale amazzonica. E per una buona ragione: la NSA (National Security Agency) è intervenuta per intercettare le telefonate francesi e consegnare a Raytheon, concorrente americano di Thompson, informazioni strategiche che le hanno permesso di aggiudicarsi l’appalto.Nel contesto di una forte globalizzazione dei mercati, la Francia si è trovata male armata per parare questi colpi, che sono stati distribuiti tra gli alleati. I responsabili politici ora si sono resi conto che, lungi dall’idea di “concorrenza libera e non distorta”, gli Stati Uniti stavano realizzando in modo aggressivo coinvolgendo i propri servizi di intelligence nella conquista dei mercati internazionali da parte delle loro aziende.

In seguito all’affare Raytheon, alti funzionari, come l’ingegnere aeronautico Henri Martre, allora di stanza al Commissariat Général au Plan, erano convinti della necessità di colmare la “spartizione” tra aziende private e pubbliche amministrazioni per sostenere gli attori economici francesi. Grazie alla ricomposizione dell’ordine mondiale dopo la caduta dell’URSS, la “guerra economica”, intesa come la crescente importanza delle poste finanziarie nelle lotte globali tra le potenze, ha acquistato importanza, ed è stata finalmente considerata a pieno, in Francia, come una minaccia alla sicurezza nazionale.
Queste diagnosi hanno dato origine alla stesura del rapporto Martre, documento fondativo dell’intelligence economica francese, pubblicato nel febbraio 1994. Il rapporto definisce l’intelligence economica come “tutte le azioni coordinate di ricerca, elaborazione e distribuzione in vista del suo utilizzo, informazioni utili per gli attori economici.”Le proposte del rapporto hanno portato all’istituzionalizzazione di un ente pubblico dedicato all’intelligence economica, il Comitato per la competitività e la sicurezza economica (CCSE), che riferisce al presidente del Consiglio. Questo organismo, però, ha avuto le maggiori difficoltà a funzionare, abbandonato dal potere nel contesto delle elezioni presidenziali del 1995, e del fallito scioglimento del 1997. Il rapporto Martre aveva teorizzato l’intelligence economica francese, ma questa ebbe inizialmente molto poco seguito.
Contemporaneamente alla pubblicazione del rapporto Martre, negli anni ’90 la Francia si dotò di un arsenale legislativo più adatto alle minacce: fino al 1994 la tutela del patrimonio economico era disciplinata dall’ordinanza del 7 gennaio 1950, che poneva l’accento sulla regolamentare le carenze, lontano dagli imperativi della guerra economica. Solo nel 1994 la nuova versione del Codice penale incorporò, tra gli interessi fondamentali della nazione, “gli elementi essenziali del suo potenziale scientifico ed economico. Solo nel 2003 il sostegno del governo all’intelligence economica ha riscosso un rinnovato interesse.

Ciò è stato causato da un lato da un’altra vicenda di guerra economica, quella di Gemplus : nel 2003, la società francese Gemplus, leader mondiale nelle smart card, dopo aver accettato l’ingresso di Texas Pacific Group tra i suoi azionisti, non ha potuto impedire la nomina di Alex Mandl alla guida del suo consiglio di amministrazione… Alex Mandl era un direttore di In-Q Tel, un fondo di investimento creato dalla CIA, e supervisionava il trasferimento di queste tecnologie francesi negli Stati Uniti. Ancora una volta, un’impresa strategica francese fu vittima di intrighi americani in materia di guerra economica; ancora una volta, la Francia si è trovata politicamente male armata per rispondere a queste minacce. Gli avvisi dati al governo dalla Direzione della Sicurezza Territoriale (DST) non erano stati ascoltati, e i servizi segreti francesi non potevano impedire la distruzione di molti posti di lavoro alla Gemplus, né il trasferimento del brevetto dalla carta al chip al suolo americano .
Consapevoli di queste battute d’arresto, il primo ministro Jean-Pierre Raffarin e il parlamentare Bernard Carayon hanno spinto per la nomina di Alain Juillet, direttore dell’intelligence della DGSE, ad alto commissario per l’intelligence economica..
Tuttavia Tale organismo è poi entrato in concorrenza con il Servizio di coordinamento dell’informazione economica, che fa capo al Ministero delle finanze. Per evitare duplicazioni amministrative, i due organi sono stati accorpati per creare il Servizio di Informazione Strategica e Sicurezza Economica (SISSE), che costituisce il sistema esistente. Questa necessaria riforma non è stata completata fino al 2016: questa lentezza testimonia chiaramente la mancanza di considerazione da parte delle autorità pubbliche della politica di intelligence economica, in un contesto segnato dal passaggio del settore energetico del gruppo Alstom, nel 2014, sotto il controllo americano.

Come valutare oggi l’azione della SISSE, principale strumento delle politiche di sicurezza economica francesi? L’organizzazione sembra ridotta a reagire a posteriori alle minacce che incombono sulle aziende francesi, per due ragioni. In primo luogo, si occupa, come si evince dal suo titolo, solo di sicurezza economica: ciò significa che la Francia rinuncia a esercitare influenza e a sostenere in modo decisivo le sue imprese nella conquista dei mercati. In secondo luogo, come ha sottolineato Nicolas Moinet, specialista in intelligence economica,la struttura stessa della SISSE non è necessariamente la più adatta: di fronte a una minaccia multiforme che grava sulle aziende francesi , un organismo centralizzato all’interno della Direzione Generale delle Imprese (DGE) non è la forma più fluida che può assumere la politica di sicurezza economica. Al contrario, l’intelligence economica richiede adattamenti locali, che potrebbero passare in modo più deciso attraverso le prefetture, per raccogliere informazioni sul campo e contrastare più efficacemente le minacce. È vero che alle prefetture è stato affidato, da una direttiva del 2005, la conduzione delle politiche di sicurezza economica. Tuttavia, come già notato da Floran Vadillo e Nicolas Moinet nel 2012, questi servizi prefettizi non hanno raggiunto la dimensione critica che li renderebbe veramente efficaci.

L’intelligence economica francese soffre quindi della mancanza di risorse impiegate nei servizi statali decentralizzati. Mentre le iniziative stanno nascendo a livello di comunità, rimangono molto incerte e per molti insufficientemente operative: alcune regioni, come la regione dell’Alvernia Rhône-Alpes, producono così documenti destinati alle imprese per renderle consapevoli delle sfide della sicurezza economica , senza che il risultato di tali comunicazioni sia assicurato. La strategia di intelligence economica francese soffre quindi di due gravi carenze: da un lato, la SISSE, organismo specializzato in sicurezza economica, non è perfettamente idoneo a garantire la sicurezza delle imprese nazionali. D’altra parte, gli altri attori che intervengono sul campo sono troppo poco dotati finanziariamente, e troppo poco coordinati tra loro. Quali prospettive di sicurezza economica ci sono allora sul territorio francese? Gli strumenti di controllo degli investimenti esteri potrebbero dare i loro frutti se implementati: il caso Photonis ne è un esempio perfetto. Questa società con sede a Brive la Gaillarde, specializzata in sistemi di visione notturna – in particolare per uso militare – è stata oggetto di un’offerta di acquisto da parte del fondo di investimento Teledyne nel settembre 2020. Il Ministero delle Forze Armate si è poi opposto al suo veto alla vendita di questo azienda strategica. Alla fine, è stato il fondo europeo HLD ad acquisire questa azienda con 1.000 dipendenti.

In questo caso, lo stato è stato in grado di opporsi all’acquisizione di tecnologie sensibili da parte di investitori stranieri. Tuttavia, questo successo non deve essere un trionfo: mentre la natura strategica di Photonis non era in dubbio, viste le ovvie implicazioni militari delle tecnologie che stava sviluppando, lo stesso non vale per le altre azienda. La riflessione su cosa dovrebbe o non dovrebbe essere un asset strategico deve quindi essere avviata in modo sistematico e non occasionale : per esempio le fabbriche tessili di Gérardmer possono, ad esempio, essere considerate un asset strategico. La loro chiusura potrebbe causare un alto tasso di disoccupazione nel territorio, e pertanto devono essere messe in atto efficaci misure di tutela economica da parte delle autorità pubbliche per evitare acquisizioni che potrebbero mettere in pericolo l’attività, e per trovare, anticipando offerte di acquisto che mettano a rischio la sostenibilità dell’attività, acquirenti alternativi. Tuttavia, è improbabile che siano soggetti a un controllo sugli investimenti simile a quello applicato per Photonis.

Insomma Sostenere una politica di intelligence economica è un modo per la ripresa della Francia.E questo è una valutazione ampiamente condivisa non solo da Moinet,ma da Christian Harbulot e da Eric Denécé.
Il controllo degli investimenti esteri è quindi necessario, e nel caso Photonis ha dato risultati convincenti; non è però sufficiente definire un’adeguata politica di intelligence economica e tutelare le aziende in un contesto di guerra economica. Il disegno di legge portato da Marie-Noëlle Lienemann al Senato https://www.senat.fr/leg/ppl20-489.html
nella primavera del 2021 costituisce una buona risposta, oltre ai decreti Montebourghttps://www.legifrance.gouv.fr/loda/id/JORFTEXT000028933611/ e al necessario rafforzamento dell’arsenale giuridicohttps://www.economie.gouv.fr/extension-decret-2014-investissements-etrangers-entreprises-strategiques#
di fronte all’extraterritorialità del diritto americano.

https://www.iassp.org/2021/09/intelligence-strategica-geopolitica-e-guerra-economica-dagli-anni-50-ad-oggi/

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