Introduzione a geopolitica e Internet Di  Laurent BLOCH

Introduzione a geopolitica e Internet

Di  Laurent BLOCH , 23 marzo 2017  Stampa l'articolo  lettura ottimizzata  Scarica l'articolo in formato PDF

Precedentemente responsabile dell’informatica scientifica presso l’Institut Pasteur, direttore del sistema informativo dell’Università Paris-Dauphine. È autore di numerosi libri sui sistemi di informazione e sulla loro sicurezza. Si dedica alla ricerca nella cyberstrategia. Autore di “Internet, vettore di potenza degli Stati Uniti”, ed. Diploweb 2017.

Internet è un fattore di potenza degli Stati Uniti? Se sì, come? Perché? fino a quando? Lo scopo di questo libro è di fornire alcune risposte a queste domande.

Laurent Bloch presenta in questa introduzione il suo approccio e il suo piano.

Diploweb.com , pubblica questo libro di Laurent Bloch, Internet, vettore del potere degli Stati Uniti?; fornisce a tutti gli elementi necessari per una corretta valutazione della situazione. Questo libro è già disponibile su Amazon in formato digitale Kindle e in formato cartaceo stampato . Sarà pubblicato qui in serie, capitolo per capitolo, ad una velocità di circa uno per trimestre.

introduzione

Internet è un fattore di potenza degli Stati Uniti? Se sì, come? Perché? fino a quando?

Lo scopo di questo libro è di fornire alcune risposte a queste domande.

Il primo capitolo ricorda brevemente il processo di creazione di Internet , non come spesso si legge per scopi militari, ma attraverso finanziamenti militari statunitensi, e in gran parte da cittadini statunitensi, nonostante importanti contributi europei come French Louis Pouzin  [ 1 ] . Il fatto di essere gli inventori di Internet ha dato agli Stati Uniti un’egemonia in quest’area. Sarebbe irragionevole aspettarsi che desistessero di propria iniziativa.

Il secondo capitolo specifica precisamente la natura di questo dominio che è Internet e introduce a questo scopo la nozione di cyberspazio , a cui verrà data una definizione e un modello operativo. Il cyberspazio sarà paragonato ad altri spazi pubblici globali (Global Commons) come l’alto mare, lo spazio aereo e lo spazio esterno. Come si esercita l’egemonia nel cyberspazio? Come si muovono gli Stati Uniti e le aziende statunitensi? Perché ora nel cyberspazio viene decisa l’attribuzione dell’egemonia globale?

Le polemiche sulla corsa alle elezioni presidenziali americane del 2016 hanno suggerito che la Russia sarebbe in grado di sfidare il dominio degli Stati Uniti sul cyberspazio: vedremo che non è così, anche supponendo che la Russia sia stata in grado di trarre vantaggio abilmente delle sue abilità in un approccio classico da debole a forte. Se l’egemonia americana nel cyberspazio è effettivamente soggetta a sfide, vengono piuttosto dall’Asia orientale, così come le debolezze interne della società americana, incluso il suo sistema educativo (vedi capitolo 7).


Un libro pubblicato da Diploweb.com, Kindle e formato tascabile


Il capitolo 3 analizza il funzionamento delle istituzioni di fatto che regolano il funzionamento di Internet e la posizione dominante degli americani. Capitolo 4 è dedicato alle grandi dati (Big Data) e il suo utilizzo da parte delle imprese (quasi tutti americani) per aumentare il loro potere . Il capitolo 5 esamina gli aspetti legali degli equilibri di potere nel cyberspazio . Nessuna egemonia politico-militare duratura è possibile senza egemonia culturale: questo è il tema del capitolo 6 sull’egemonia culturale nel cyberspazio . In un universo economico dove avere ricercatori e ingegneri di alto livello è un fattore di successo cruciale,il sistema educativo , che è l’argomento del capitolo 7, ha un ruolo decisivo.

Per comprendere le lotte di potere nel cyberspazio è necessario collocarle nel loro contesto storico, e per far ciò tornare alla guerra economica che ha contrapposto il Giappone agli Stati Uniti negli anni ’70 e ’80 , riassunto nel capitolo 8 Cercheremo di estrapolare le lezioni di questo conflitto all’ipotesi di conflitti sino-americani e russo-americani nel futuro (anche nel presente!).

Nel cyberspazio, come in altri spazi, le questioni topografiche hanno una grande influenza sull’esito delle battaglie, e nel Capitolo 9 esamineremo le ragioni che fanno di una posizione centrale una risorsa decisiva nel cyberspazio; questa posizione è occupata oggi dagli Stati Uniti .

Per comprendere tutti gli eventi che avvengono nel cyberspazio, oggi a vantaggio degli Stati Uniti, è necessario collocarli nel contesto di una rivoluzione industriale in atto dalla metà degli anni ’70, che mette il calcolo e Internet nel cuore del sistema industriale contemporaneo, al posto dell’elettricità industriale e del motore a combustione interna che dominava la grande industria del secolo precedente. Per fare luce sul nostro argomento, abbiamo aggiunto al nostro testo un allegato A che spiega brevemente la nozione della rivoluzione industriale e come si applica al nostro oggetto.

Molti aspetti dell’equilibrio di potere descritti nelle linee seguenti sono difficili da capire se non abbiamo un’idea abbastanza precisa degli aspetti materiali del cyberspazio, l’enorme quantità di investimenti da fare per occupare una posizione di potere. , la pesantezza dell’infrastruttura di Internet. Queste realtà devono essere lette, che è l’argomento dell’Appendice B, per capire che il cyberspazio non è solo uno spazio “virtuale” .

1 ]  Louis Pouzin, ingegnere e ricercatore francese, ha inventato alcuni importanti artefatti ancora in uso nell’informatica contemporanea: la shell per comunicare con un sistema operativo, e specialmente il datagramma, descritto nel primo capitolo di questo libro, concetto base rivoluzionaria del funzionamento di Internet

Tulsi Gabbard, di Giuseppe Germinario

Qui sotto il video di Tulsi Gabbard, membro del Congresso Americano e candidata alle primarie del Partito Democratico per le elezioni presidenziali del 2020. In calce la traduzione in italiano del suo appello. Segue qualche considerazione.

“Ho rivendicato con forza che si consentisse a Muller di completare l’ indagine sulle accuse al Presidente Trump di aver tramato con la Russia per influenzare le elezioni del 2016. Mi fa molto piacere che Muller abbia potuto concludere le sue indagini, e presentarne le risultanze. Il popolo americano deve poter accedere al rapporto di Muller. Ma ora che Muller ha dichiarato che dalle indagini non risulta alcuna cospirazione, dobbiamo tutti mettere in secondo piano i nostri interessi di parte e riconoscere che è bene per il nostro Paese che il Presidente degli Stati Uniti non abbia cospirato con la Russia per manipolare le elezioni, perché se il Presidente fosse stato posto in stato d’accusa per aver cospirato con la Russia allo scopo di manipolare le elezioni e influenzarne l’esito, il nostro Paese sarebbe precipitato in una crisi terribile, che avrebbe potuto sfociare nella guerra civile. Dunque, dovrebbe essere un sollievo per tutti che il Presidente Trump non sia stato trovato colpevole di collusione con i russi. Ora dobbiamo superare questo tema divisivo, e agire per proteggere il corretto svolgimento delle nostre elezioni, proteggere il corretto svolgimento delle elezioni del 2020, e approvare la mia proposta di legge, il Securing the American Elections Act, che consentirebbe a tutti gli Stati di usare schede elettorali cartacee verificate da scrutatori, e renderebbe impossibile per la Russia, qualunque altro paese straniero o gruppo criminale di manipolare o cambiare il risultato delle nostre elezioni. E’ essenziale che mettiamo in secondo piano gli interessi di parte, lavoriamo insieme per unire il nostro Paese, per affrontare i seri compiti che ci attendono, come ricostruire le nostre infrastrutture in pessime condizioni, porre fine alle guerre combattute per impiantare regimi democratici, proteggere l’ambiente, assicurare a tutti l’assistenza sanitaria, implementare una riforma complessiva dell’immigrazione, e tanto altro.”

Tulsi Gabbard sembra avere i requisiti necessari all’investitura di candidata alle elezioni presidenziali. Di origine multietnica, postura solenne, sguardo solare ma determinato, aspetto attraente ma non vistoso, eloquio chiaro e diretto, ma anche determinato, atteggiamento autorevole ma non autoritario.

 

I suoi trascorsi di militare e di sportiva ne hanno forgiato il carattere; gli studi le hanno dato gli strumenti culturali necessari a sostenere il confronto politico; la gavetta e gli antefatti paterni in politica le hanno garantito, pur alla sua relativamente giovane età (38 anni), una sufficiente esperienza.”

Tulsi Gabbard sembra possedere i crismi necessari all’investitura a candidata democratica alle elezioni presidenziali del 2020.

 

 

Fedele al partito sin dagli albori del suo impegno politico; sostenitrice, ma senza eccessi, come deve esserlo un potenziale uomo di stato, dell’affermazione di tutto il catalogo dei diritti umani proprio di quel partito, a cominciare dall’aborto in stato avanzato di gravidanza per finire  con il matrimonio tra omosessuali e con le rivendicazioni LGBT.

Eppure Tulsi Gabbard certamente non gode del sostegno dello stato maggiore democratico; la stessa componente radicale di quel partito non sembra particolarmente convinta delle sue potenzialità. L’onnipresente George Soros, proprio lui, le ha messo alle calcagna, nel suo stesso collegio elettorale delle Hawaii, un avversario apparentemente ben più radicale nelle posizioni politiche, ma soprattutto dotato di un sostanzioso corredo di svariati milioni di dollari. Un impegno spropositato, non per le tasche del noto filantropo, certamente per il peso politico di quel collegio nell’agone statunitense.

Quali possono essere i motivi di tanta attenzione e di altrettanta avversione?

Come qualsiasi persona, in particolare personaggio politico, anche Tulsi sembra nascondere qualche ombra agli occhi di costoro.

La sua conversione alla causa dei diritti civili è un po’ tardiva e stride leggermente con precedenti prese di posizione; qualche sospetto sulla effettiva genuinità delle posizioni può insinuarsi. Non si sa se sia stato il suo fermo proposito di maggior impegno nel Partito Democratico a determinare la conversione o se sia stata quest’ultima a spingerla ad un maggiore impegno politico. Sia Soros che la dirigenza democratica hanno accettato e sostenuto per altro operazioni trasformistiche ben più stridenti e clamorose senza batter ciglio e garantendo il necessario conforto, anche il più prosaico. Non pare quindi un motivo sufficiente di ostracismo.

Con coerenza Tulsi si è sempre schierata apertamente contro gli interventi militari americani a sostegno dei cambiamenti di regime, in particolare in Iraq, in Libia e in Siria. Una posizione che certamente può destare qualche inquietudine in quegli ambienti. I suoi trascorsi recenti da militare impegnato in alcune di quelle campagne le danno più autorevolezza e potrebbero offrirle qualche antidoto e qualche resistenza in più a possibili ripensamenti più o meno indotti. Ma i circoli sorosiani e i centri dello stato profondo sono riusciti facilmente a travisare gli impegni più solenni; è ancora vivo il ricordo dell’impegno solenne di Obama, il primo premio Nobel per la pace preventivo, ad uscire dalle guerre di Bush e la sua repentina conversione a paladino della destabilizzazione e della sovversione caotica nel Nord-Africa, nel vicino e medio oriente e nell’est europeo. In tempi più incerti, ma per loro orribili ed ostici, sono riusciti comunque a neutralizzare i propositi di Trump favorevoli ad una distensione con la Russia. Non hanno ragione quindi di temere particolarmente i propositi di una ragazza proveniente dalla periferia politica e ancora ancorata a quella terra.

Con vigore, ma senza eccessi agonistici, la Gabbard ha sempre sostenuto diritti e stato sociali, dal salario minimo alla assistenza sanitaria generalizzata al diritto universale allo studio. Argomenti che la collocano e la rendono popolare negli ambienti più radicali interni e ai margini del Partito Democratico sula scia del successo di Bernie Sanders. Ambienti attualmente in auge in quell’area politica; non si sa, però, quanto stabilmente.  Personaggi navigati come Soros e come quelli presenti nei centri decisionali strategici sanno benissimo che spesso è necessario cedere, nei momenti più critici e almeno temporaneamente, sulle rivendicazioni economiche e sociali pur di mantenere le prerogative di potere e di controllo politico. Nemmeno questo, appare quindi un motivo dirimente per tanta avversione e circospezione verso la Gabbard.

Non rimangono da esaminare che due altre posizioni della neofita tra quelle che possono aver scatenato tante attenzioni.

  • Il primo è rappresentato dall’appello alla riconciliazione nazionale a seguito dell’esito del Russiagate e dall’evidente compiacimento riguardo all’assoluzione di Trump. Una sconfessione pacata ed impietosa della partigianeria e della faziosità che ha informato l’azione politica democratica e dei neocon. Soprattutto, il campanello di allarme su di una possibile futura saldatura di fatto, se non proprio dichiarata, tra la componente trumpiana dello schieramento conservatore ormai prevalente nel Partito Repubblicano e quella radicale di sinistra, su alcune tematiche fondamentali di politica estera e politica economica. Una prospettiva fantasmagorica sino ad un paio di anni fa, ma che deve aver cominciato a rovinare i sonni di più di qualche stratega politico dell’ “ancien regime”. Personaggi scafati come Soros e come gli alti strateghi hanno comunque la possibilità di tentare appelli retorici alla riconciliazione, per quanto compromessi siano dai comportamenti recenti particolarmente faziosi
  • George Soros per altro ci ha rivelato da sempre la sua particolare sagacia e attenzione ai problemi di indirizzo e di strategie politiche confortata da altrettanto dispendio di risorse finanziarie per altro ben remunerate. Il suo inedito attivismo mediatico negli ultimi due anni ci ha svelato un aspetto inedito del suo impegno politico: la certosina attenzione agli aspetti pratici della azione politica sino ai particolari più minuti. Nell’ “annus horribilis” a cavallo dell’elezione di Trump George Soros ha infatti confessato apertamente alcuni propri fallimenti sia nella selezione delle classi dirigenti, sia nella inaspettata sconfitta nelle elezioni dei procuratori in diverse contee americane. Una notazione apparentemente astrusa e di tono minore. Tulsi Gabbard d’altro canto è stata componente del DNC (comitato di controllo) del Partito Democratico sino alle sue dimissioni per protesta, avvenute una volta emersa la truffa ai danni di Bernie Sanders ad opera del clan dei Clinton. La stessa Gabbard ha sottolineato più volte, anche in questa breve registrazione, la necessità di tornare al voto abolendo il sistema elettronico di votazione e introducendo un sistema certo di registrazione degli aventi diritto al voto. Il motivo conclamato è quello di limitare le influenze esterne, comprese quelle russe, sugli esiti elettorali. Il motivo reale è quello di mettere fine al sistema truffaldino di manipolazione delle espressioni di voto, particolarmente facilitato dalle modalità elettroniche di esercizio del diritto nelle elezioni americane. Un sistema che avvicina l’attendibilità del voto americano a quello delle primarie del PD italiano e delle consultazioni on line pentastellate. Una mossa tanto abile nella modalità di presentazione, tesa a neutralizzare la componente russofoba sul suo stesso terreno, quanto dirompente nella ordinaria gestione interna del consenso elettorale. Tanto più che la raccolta e la gestione elettronica dei dati elettorali è da tempo in mano ad una società di George Soros, il noto filantropo, così impegnato nelle sue opere di bene anche a favore dei più riottosi a riceverle da chiudere spesso gli occhi sui mezzi per rifilarle.

Sarà, ma probabilmente è proprio questa la soglia banalmente prosaica che Tulsi non avrebbe dovuto oltrepassare per evitare attenzioni così malevoli. La “Pianta” (il significato di tulsi) però sembra avere radici più forti addirittura del corpo emerso. Che a Trump si aggiunga una Trumpina con l’asinello? Il confronto è assolutamente impari. Lo era anche quello tra Clinton e Trump

La trentottenne Tulsi Gabbard, o chi per lei, tanto ingenua probabilmente non è. George Soros, da uomo di mondo quale è, & C qualche ragione profonda a temerla e soprattutto a prevenirla devono averla. Buona fortuna, Tulsi. Di tanto in tanto guardati alle spalle.

IL PROCESSO DI VERONA…, di Antonio de Martini

IL PROCESSO DI VERONA…
( tardivo ma non privo di ragioni, proprio come l’altro)

Leonardo Da Vinci nacque mezzo millennio fa da una relazione, illegale secondo il congresso di Verona .
Anche Lawrence d’Arabia fu frutto di una relazione adulterina.

La mancanza della possibilità di abortire ha provocato la nascita di numerosi inutili contemporanei che conosciamo bene.
Leonardo scrisse “ molti non lasciano dietro di se che cessi pieni”.

La materia è complessa e, chi voglia regolamentarla dovrebbe tener conto sia dei diritti naturali che di alcune esigenze della società.

Esempi.

a) Divorzio. Ogni essere umano ha diritto a sbagliare e avere un’altra opportunità , ma non indefinitamente. Dopo un secondo matrimonio/unione la terza volta dovrebbe essere preceduta da un test psicologico che assista chi ha evidentemente difficoltà a non ripetere scelte che lui/lei stesso considera poi errate.

Uomini molto ricchi o donne intraprendenti che si sposano cinque o sei volte non dovrebbero essere disponibili per pubblici uffici o impiegati nel media mainstream.
In alcune zone del mondo ( America Latina, Africa, Asia ) viene riconosciuto uno status pubblico alle amanti ( e diritti ereditari ai figli). Ma siccome di amanti tutti i congressisti ne hanno una/o, sull’argomento si sorvola.

b) Aborto. È certamente un diritto dei concepitori abortire, ma , se non si è psicolabili capricciosi e non vi sono inderogabili esigenze terapeutiche, cinque mesi sono un lasso di tempo sufficiente per prendere una decisione tanto drammatica e abortire ripetutamente non può essere consentito, salvo serie ragioni mediche.
Abortire è un diritto, ma – non illudiamoci- specie se fatto dopo il quinto mese, resta un omicidio. In Francia, un deputato ottenne la bocciatura delle legge facendo sentire in aula il battito del cuore del nascituro. A Verona hanno fatto il “ gadget” del feto. “ Convenscion molto lumbard “.

Gli esempi di famiglie non abbienti e numerose sono troppo noti perché ci si debba soffermare.
I figli sono, dovrebbero essere, frutto di amore, non cagione di bonus ad personam. I servizi sociali collegati alla vita familiare dovrebbero essere impeccabili ed avere una qualche forma riconosciuta di priorità.

Coi fondi del MOSE si sarebbero potuti assistere tutti i bambini del paese , mentre il MOSE è servito ad assistere qualche decina di figli di donne che non usufruitono, a suo tempo, del diritto all’aborto.

Il presidente del Consorzio “ Venezia Nuova” Zanda ( nato Zanda Loi , ma che non si vuole far ricordare la discendenza dal capo della polizia degli anni in cui il PCI prese potere) è quello stesso che adesso – tesoriere del PD dopo essere stato capo del gruppo parlamentare- ha proposto di aumentare le indennità dei Deputati.

Si, sono tanto favorevole all’aborto che a volte lo vorrei retroattivo.

c) Adozioni. L’ideale è che i bambini vengano dati in adozione a una coppia rappresentativa della famiglia tipo , ma , in mancanza, qualsiasi altra soluzione è preferibile all’orfanatrofio.
Numerose coppie si rivolgono all’estero per aggirare una legge che favorisce attese secolari, pone paletti illogici, pretende la perfezione dei candidati e favorisce in realtà lo sfruttamento dei bambini da parte di industriali dell’infelicità.

d) Unioni omosessuali. Sono sempre esistite e non vedo perché proibirle. Hanno certamente alcuni dei diritti e doveri tipici di una unione familiare. Possono ottenere ogni cosa, ma non l’equiparazione alla famiglia perché non sono la strada maestra per la perpetuazione della società. Sono una strada privata.

MEDIOEVO E DINTORNI

La TV del TG1 ieri sera ha presentato le tesi del presidente del “ convegno mondiale sulla famiglia” e il parere contrario di una decina di oppositori della stessa.

In coro tutto gli intervistati, accuratamente scelti, hanno lamentato un – da loro paventato – ritorno al Medioevo.

Guardandoli e ascoltandoli , ho pensato che ho ragione io ad essere ostinatamente favorevole all’aborto retroattivo.

Si continua a credere che il Medioevo sia un periodo di oscurantismo, vessazioni, infelicità.

Il povero Umberto Eco sta rigirandosi nella tomba al vedere che nessuno di questi virgulti progressisti , accuratamente scelti lo ripeto, ha letto i suoi testi.

È nell’alto Medioevo che sono nate le signorie comunali di cui tutta Italia mena ancor oggi vanto.

In quel periodo l’Italia ha creato il mestiere bancario e lo ha diffuso nel mondo, ha ripreso la guida culturale e spirituale del consorzio umano.

In quel periodo sono diminuite le tasse a causa dell’abitudine a pagare i soldati in terre e del conseguente diminuito bisogno di denaro da parte delle autorità.

La crescita di ricchezza provocò la reintroduzione delle monete d’oro come strumento di pagamento. Nacquero le Repubnliche marinare. Si iniziò a commerciare con la Cina.

È in quel periodo che nacque e si sviluppò l’Islam e vennero preservati – grazie a questo- secoli di cultura e sapienza greca che altrimenti sarebbero andati perduti.
Fu inventato lo zero e l’algebra, introdotta la bussola.
Nacquero gli ospedali e la scuola salernitana, la lingua italiana, il movimento benedettino è quello francescano , l’amor cortese, Dante, Petrarca e Boccaccio non hanno partecipato alla Resistenza, ma alla cultura medioevali come Chaucer e Shakespeare.
Federico I e II e la riforma gregoriana del calendario sono prodotti della cultura medievale. Nacquero le Università tra cui prime tra tutte Padova e Bologna .
Guglielmo di Occam , Bruno, Campanella e tanti altri pensatori iniziarono la marcia verso l’era moderna.
Ritenere negativo questi periodi medioevali e positivi questi tempi odierni può essere spiegato solo con la psicoanalisi.
Approfondita.

La Santa Inquisizione, la persecuzione e le torture degli alchimisti e filosofi, lo sterminio degli indiani del centro e Sud America , la reintroduzione della schiavitù ( finita con la nascita, medioevale, delle città) , le guerre di religione e di successione e dei trenta anni , sono tutti frutti del tardo cinquecento e del seicento.
Roba da scuola dell’obbligo ragazzi.

Al presidente RAI mi permetto di suggerire la buona pratica di mettere in sovrimpressione – come fanno nei paesi “avanzati”- nomi e cognomi degli intervistati invece di quelli dei cameraman di cui non ci importa nulla.

La religione del progetto europeo_Intervista a Régis Debray

http://www.lefigaro.fr/vox/societe/2019/03/29/31003-20190329ARTFIG00111-regis-debray-a-force-de-vouloir-accueillir-toutes-les-identites-l-europe-n-a-plus-d-identite.php

Il progetto europeo è, secondo Régis Debray, una religione prima ancora che un’impresa politica. Per questo motivo, sostiene, nonostante il fallimento politico dell’Unione Europea, i nostri leader continuano a crederci. Come infestato dall’Europa fantasma.

Le Figaro.- il tuo libro, l’Europa fantasma *, sotto la collana “Tracts”, esce a tre mesi dalle elezioni europee. È un caso?

Régis Debray.- No, ma l’attualità è solo un aggancio; Antoine gallimard e Alban Cerisier hanno ripreso il titolo di una collezione degli anni ‘ 1930, che ha pubblicato gide, Thomas Mann, giono e altri. L’ idea è di richiedere a scrittori  testi brevi, senza gergo e senza ingiurie, sul momento storico. Per tanto non è l’elezione europea, con le sue pie intenzioni, che mi ha interessato, ma le basi spirituali di un’utopia politica. Non dimentichiamo che la sua bandiera blu cielo procede dall’apocalisse di San Giovanni. Le Dodici stelle sono quelle di Notre Dame.

Cosa significa questo titolo, l’Europa fantasma?

E’ un occhiolino all’Africa fantasma di Michel Leiris dove rivela la sua delusione di occidentale che sperava con il raid Dakar-Gibuti, nel 1932, di diventare un altro uomo al contatto di un’altra civiltà, e che finisce con ” Rifiutare la pienezza di esistenza a questa Africa in cui avevo trovato molto ma non il rilascio “. Anche noi aspettavamo di essere rilasciati dal nostro pesante passato, dai nostri egoismi, dalle nostre passioni assassine, da un’Europa serenamente unita ed ecco che tornano in forza, questi egoismi e che questa costruzione ideale si rivela in realtà evasiva, randagia e senza corpo. Una non-persona. Questo non ha solo svantaggi. Un essere galleggiante e sfocato può continuare a perseguitare gli spiriti, come un ritorno. E di fatto, da lontano, in lontananza arriva il rilancio, il piano miracoloso, l’annuncio di Rinascimento, per resuscitare la fiamma e i cuori. Il ritmo è decennale.

Stai paragonando il progetto europeo a un messianismo, a una religione. In che modo lo è?

Da molti lati, l’europeismo è l’oppio delle nostre elite, espressione del loro sconforto politico e protesta contro questo sconforto. Io faccio una parodia della formula marxiana, ma accanto al comunismo e al nazionalismo, il supplemento d’anima del techno fa una religione laica molto debole, che non mobilita nessuna influenza, non ricorda nessun passato e non definisce alcun futuro. “in nazionalità è proprio come in geologia, il calore è giù”, diceva Michelet. Per L’ Unione Europea il calore è in alto e non scende. È una locomotiva senza carri, constata proprio Védrine. A Pechino non importa, e le elezioni europee sono in realtà un sondaggio di opinione a grandezza naturale, ad uso domestico, e che interessa solo professionisti, politici e media.

Detto questo, c’è stato in partenza, all’indomani della guerra, un fervore, uno slancio grazie alla convergenza di due messianismi, il cristiano e il progressista – una giunzione miracolosa tra l’impero della grazia, per un ritorno di Cristianesimo, e l’impero della ragione, come vuoto unificante e pacificatore. Jacques Delors è servito da ponte tra questi due versanti, da cui il consenso sul suo nome. Purtroppo, i due pilastri del tempio, il democratico cristiano e il socialdemocratico, sono crollati, e non resta altro che un neoliberalismo secco e crudo. Non molto motivante. Ma alla fine, religione viene dal latino religare, collegare, raccogliere. Questo pone una base comune agli eletti, come testimonia l’ultima conversazione del presidente con i suoi consiglieri e gli intellettuali del suo cenacolo. La Fede è sparita, ma l’autostima rimane. È un narcisismo al più. Umiliante per il gregge delle grandi menti allineate dall’Eliseo, ma gratificante per il maestro d’opera.

Se è una religione, il numero dei suoi fedeli appare oggi in declino?

Il piccolo numero di fedeli, e la debolezza delle adesioni sempre più titubanti, mi sembra abbiano diverse cause. Il mondo è cambiato dal trattato di Roma, nel 1957. Si è globalizzato nella sua dimensione e saccheggiato nella sua composizione – questo spiega quello. Che la globalizzazione techno-economica sfoci in una balcanizzazione culturale e politica, con una crescente frammentazione dei set organizzati, è una prova. Ne parlo ripetendolo da quarant’anni, e tutto ciò finisce per imporsi alla vista di tutti. Poi non siamo più all’età dei blocchi politico-militari, e non ne esistono più, a parte la Nato. C’ era un nemico, una cortina di ferro, una nicchia da tenere. Di fronte a Stalin, fare blocco è giustificato. Oggi l’Unione Europea è un anacronismo: troppo piccolo per le sfide mondiali, economiche, ecologiche e altri, e troppo grande, a 27, per una qualsiasi coerenza. È diventato un giogo, non un trampolino di lancio.

L’ Europa attuale è tedesca o americana?

Entrambi non sono incompatibili. L’ Europa dei fondatori è iniziata a matrice americana, nella sua ispirazione e nel suo finanziamento più o meno segreto; è diventata a preponderanza tedesca, dopo l’allargamento che ha spostato ad est il centro di gravità. È normale che un’Europa fondata sul primato dell’homo oeconomicus sia dominata dalla prima economia del continente.

L’ homo oeconomicus americano si è unito a una fede in Dio, “in Dio noi confidiamo”. E da noi si vuole autosufficiente. Confronta un biglietto da 10 dollari, che articola una metafisica su una storia concreta e una geografia precisa, con un biglietto di 10 euro, che è un biglietto di monopoli senza valuta, senza volto e senza luogo, e capirai tutto … Non una silhouette sotto questi archi in sospensione tra cielo e terra, come apparizioni spettrali. Da un lato, un popolo, quindi una storia. Dall’altro, un aggregato, fuori terra e fuori dalla storia.

Cosa ne pensa dell’idea che l’Europa avrebbe portato la pace?

Non è l’Europa di Bruxelles che ha fatto la pace, è la pace mondiale che ha fatto questa Europa, quando la dissuasione nucleare ha congelato da una parte e dall’altra i conflitti in ogni campo, ogni signore, Stati Uniti e URSS , non avendo alcun interesse a vedere i suoi protetti dvidersi. E questa Europa ha dovuto chiamare gli Stati Uniti per riportare la pace nell’ex Jugoslavia, incapace di restaurarla da sola. Non può né fare guerra né fare pace. Che peccato.

Lei dice che istituzionalizzandosi, l’Europa si è sconfitta…

La vostra domanda mi fa sovvenire una risposta di de De Gaulle a Malraux nelle querce che si abbatte: ” L’ Europa le cui nazioni si odiavano aveva più realtà di oggi.” bisogna rileggere questa intervista del 1969, premonitrice, come tutti I PRONOSTICI GAULLIANI. ” senza dubbio assistiamo, disse, alla fine dell’Europa. Buona fortuna a questa federazione senza soggetto federativo.” potrebbe essere l'” Anglobal ” il grande e unico federativo. La famosa parola apocrifo di Jean Monnet, “se avessi saputo avrei iniziato con la cultura”, non ha senso, visto che la cultura è prima la lingua! Se vai a Bruxelles, vedrai che è diventata una città inglese, mentre Ginevra è rimasta francofona. A forza di voler accogliere tutte le identità, l’Europa non ha più identità. Il nostro grande promulgatore di allarmi ha lanciato nei suoi ultimi giorni un avviso sul quale i nostri responsabili nella loro fuga in avanti avrebbero interesse a meditare: ” non ho mai creduto bene di affidare il destino di un paese a ciò che svanisce.”

A domani de Gaulle?

Non facciamone un nazionalista. E’ lui che ha assicurato e formalizzato la riconciliazione franco-tedesca, con Adenauer; instaurato l’ufficio Franco-tedesco della gioventù. E ha sinceramente voluto un’Europa europea con il trattato dell’Eliseo e il piano Fouche. Purtroppo il Bundestag, consigliato da Jean Monnet, l’ha inviato sulle rose. Da qui la sua battuta: ” i trattati sono come le ragazze e le rose. Dura quello che dura.” uscire dal protettorato americano è sembrato sacrilego ai nostri amici tedeschi. Speriamo che questa paura non durerà per sempre. Possiamo dubitarne.

Non vi riconoscete nell’opposizione tra nazionalisti e progressisti concettualizzata da Emmanuel Macron?

No, affatto. Questa opposizione è stata concettualizzata, non molto tempo fa, da Drieu la Rochelle, eminente progressista che chiedeva a “L’ Europa nuova” di trascendere i vecchi nazionalismi mortiferi.

Ecco perché, disse, lui così come un numero di intellettuali e accademici di questo periodo, per liberarsi degli sciovinismi che ci hanno fatto tanto male, bisognava difendere tutti insieme la fortezza Europa contro le orde bolsceviche, ciò di cui si sono caricati nel 1944 le waffen ss della divisione Carlo Magno, con i suoi 7000 volontari. Dovremmo riaprire i nostri libri di storia, ma non è mai troppo tardi per fare bene. Non c’è solo l’economia nella vita.

Questa opposizione, Ariel contro Calibano, un imperium economico e giuridico contro le culture locali maltrattate, l’ovest contro l’est, fa ovviamente il profitto dei nazionalisti. Per resistere agli imperi, l’Europa centrale e balcanica non ha mai potuto riposare su uno stato, ma sulla sua cultura ancestrale, e la resistenza passa sempre lì attraverso la lingua e la religione. Perché riaccendere questa brutta tradizione?

Andiamo verso il ritorno delle nazioni o l’Europa delle tribù?

Fai la domanda chiave. Bisogna assicurare un futuro alla Nazione civica, la nostra, fondata sul “è francese chi lo vuole”, e impedire a tutti i costi che la nazione etnica, fondata sulla legge del sangue, non venga a sostituirla. Questo è il grande pericolo. La tribù, contrariamente a ciò che si crede, è una forma di organizzazione ahimè sempre più moderna, e l’Europa, che doveva federare, diminuisce e frammenta gli stati nazioni, accelera i separatismi, vedi la Spagna, il Belgio, la Gran Bretagna, la Padania italiana. Auguriamo che la Repubblica dei cittadini resista al grande ritorno del feudalesimo, a cosa porta, paradossalmente, il sovranazionale.

Come si fa a fare questo insieme?

Non ne ho idea. Bisogna lasciare tempo al tempo. Ci saranno soprassalti, effetti di traino e senza dubbio un’unione doganale mantenuta, e alcune giurisprudenze. Ma i popoli rischiano di stancarsi di vedere giudici non più servi della legge, ma medici di norme che dimenticano che la legge repubblicana è l’espressione di una volontà generale, deliberata dai rappresentanti del popolo e applicata nel suo nome. La giuridizzazione di tutti i crini della vita pubblica, sono già le dimissioni della politica.

Esiste un popolo europeo?

Purtroppo no, anche se si mette l’aratro prima dei buoi, pensando che un parlamento possa provocare un popolo. Un popolo, non è solo una comunità di interessi economici ma una comunità immaginaria. Questa suscita una comuni societatis, una solidarietà affettiva, intima e istintiva. Un calaisien è interessato a ciò che sta accadendo a Marsiglia. Un francese non è interessato a ciò che sta accadendo in Polonia o in Estonia.

C’ è un cinema americano ma non c’è cinema europeo, colpa di una lingua comune e di star che parlano a tutti i paesi. “gli unici attori che si hanno in comune in Europa sono americani”, nota Jean-Jacques Annaud. E’ un sintomo interessante, anche se un po’ triste.

Sei un euroscettico?

In nessun modo. La domanda non è sapere se si è pro o contro l’Europa ma di quale Europa si parla. È come se ti chiedessero: sei pro o contro la Francia? Ma quale Francia, quella di Michelet o quella di Maurras? Di Jean  Moulin o di Le pen? Quale Europa? Ce ne sono diverse. C’ è l’Europa medievale del cattolico nostalgico, l’Europa dei lumi cara a Valéry, l’Europa carolingia del tempo dell’occupazione e l’Europa tecnocratica della Commissione. Perdonami, ma io opto per quella di Valéry.

Parigi brucia! E lui…?_di Michel Onfray

On l’aura désormais bien compris, en matière de crise des gilets-jaunes, Macron joue la pourriture… [ Si sarà ben compreso, a proposito di crisi di giubbotti gialli, Macron gioca nel torbido …] C’est bien sûr une option éminemment dangereuse. [ Questa è ovviamente un’opzione particolarmente pericolosa.]  C’est celle de la ville dont le prince est un enfant… [ È la città il cui principe è un bambino …] Elle peut sembler rentable à cet enfant-roi qui sait que, dans la logique binaire installée par ses grands prédécesseurs, tout a été fait pour qu’aux présidentielles le choix final oppose un candidat maastrichtien et un autre qui ne l’est pas -le premier présentant le second comme le chaos fasciste. [ Può sembrare redditizio a questo re-bambino che sa che nella logica binaria introdotta dai suoi grandi predecessori, tutto è stato fatto perché la scelta presidenziale finale scelta fosse tra un candidato Maastrichtiano opposto a un altro che non  lo era -con il primo a presentare il secondo come caos fascista.] De ce fait, pareille logique contraint à porter au pouvoir n’importe quel homme lige de l’Europe maastrichtienne. [ Pertanto, tale logica stringente spinge a portare al potere ogni qualsivoglia uomo ligio all’Europa di Maastricht.] Il est l’un des serviteurs de ce pouvoir-là et s’en sait fort. [ È uno dei servitori di questo potere e lo sa bene.] Mais c’est la force d’un domestique. [ Ma è la forza di un servo.]

Voilà pour quelles raisons, dans le chaos actuel, la liste macronienne arrive malgré tout en tête des intentions de vote aux prochaines élections européennes. [ Questo è il motivo per cui, nell’attuale caos, la lista dei Macroniani è ancora in testa al voto nelle prossime elezioni europee.] De sorte qu’après dix-huit semaines de mépris, d’insolences, d’insultes, de désinformation, de fausses nouvelles, de morgue, d’injures, d’offenses, d’affronts à l’endroit des gilets-jaunes, Macron persiste dans une communication dont il sait qu’elle lui est rentable: pendant que Paris brûle, que des banques sont incendiées, que le Fouquet’s est en flammes, qu’un feu dans un immeuble menace de faire périr ses habitants, que les échauffourées sont démultipliées, que des leaders pilotés en sous-main par des politicards appellent désormais à l’insurrection violente, que les mêmes souhaitent une convergence des luttes entre Blacks Blocs et “gens des cités” sous prétexte de gilets-jaunes, que l’arrivée en masse de Blacks Blocs est annoncée par le ministère de l’Intérieur sans que rien ne soit fait en amont pour les empêcher de nuire,  Emmanuel Macron skie… [ Così, dopo diciotto settimane di sfida, di insolenza, insulti, disinformazione, notizie false, obitorio, insulti, offese, affronti all’indirizzo dei gilet gialli, Macron persiste in una comunicazione che sanno che è redditizia: mentre Parigi sta bruciando, in quanto le banche sono state bruciate, il Fouquet è in fiamme, un incendio in un edificio minaccia di distruggere i suoi abitanti, siccome gli scontri sono moltiplicati, siccome i leader controllati segretamente dai politicanti ora richiedono l’insurrezione violenta, che lo stesso desiderio di una convergenza di lotte tra blacks blocs e la ‘gente delle città’ sotto il pretesto del soccorso dei gialli, l’arrivo in massa di Blacks Blocs viene annunciato dal Ministero degli Interni senza che nulla venga fatto a monte per impedire loro di fare del male, Emmanuel Macron scia…] Le roi fait du ski! [ Il re sta sciando!] En compagnie de sa femme, de sa famille, de ses amis, peut-être même avec son ami Benalla, il fête la vie à grand renfort de raclette et de fendant! [ In compagnia di sua moglie, della sua famiglia, dei suoi amici, forse anche con il suo amico Benalla, celebra la vita con un sacco di raclette e cracking!] Tout va bien à Versailles… [ Tutto va bene a Versailles …]

Pourquoi en effet devrait-il se ronger les sangs? [ Perché in realtà dovrebbe rodersi il fegato?]

Car, si la dissolution de l’Assemblée nationale avait lieu, Macron sait bien qu’il resterait président de la République. [ Perché se lo scioglimento dell’Assemblea nazionale avesse luogo, Macron sa bene che sarebbe rimasto Presidente della Repubblica.]   Son obligation constitutionnelle et politique se limiterait à nommer un Premier ministre issu de la nouvelle majorité… [ Il suo obbligo costituzionale e politico sarebbe limitato alla nomina di un primo ministro uscito dalla nuova maggioranza …] qui ne manquerait pas d’être macronienne! [ che non mancherebbe di essere macroniano!]

Si, par une très improbable extravagance, le Rassemblement national arrivait en tête de ces élections législatives après cette hypothétique dissolution, Macron nommerait Marine Le Pen à Matignon. [ Se, con una stravaganza molto improbabile, il Rassemblement National dovesse arrivare in testa a queste elezioni legislative dopo questo ipotetico scioglimento, Macron desinerebbe Marine Le Pen a Matignon.] Le premier travail de cette dame serait de faire du Chirac des années 80 en prenant bien soin de ne toucher ni à l’euro, ni à l’Europe libérale, ni à Maastricht et de n’envisager en aucun cas un Frexit -elle a déjà prévenu… [ Il primo impegno di questa signora sarebbe quello di imitare Chirac degli anni ’80, che non si preoccupasse di toccare l’euro, né l’Europa liberale, né Maastricht e di non considerare in ogni caso un Frexit -è già avvertita …]  Ajoutons à cela que, conditionnée par des années de propagande, la rue refuserait cette nomination après que les médias aux ordres eussent fait fuiter le projet: Macron aurait alors la rue pour lui… [ Aggiungete a ciò che, condizionata da anni di propaganda, la strada rifiuterebbe questo appuntamento dopo che i media agli ordini avranno fatto trapelare il progetto: Macron avrebbe quindi la strada spianata per lui …] Pour éviter pareil scénario, il pourrait alors préférer Dupont-Aignan qui arriverait en courant pour occuper le poste. [ Per evitare un simile scenario, potrebbe quindi preferire Dupont-Aignan che arriverbbe di corsa a riempire la posizione.] La réélection de Macron lors des présidentielles suivantes serait assurée. [ La rielezione di Macron sarebbe assicurata]

Si Macron démissionnait, ne rêvons pas, il sait également que ni le Parti socialiste, qui à cette heure confie les clés européennes du parti de Jaurès à Raphaël Glucksmann qui n’en a pas même la carte, ni la France insoumise, qui a montré en boucle sur les médias un Mélenchon psychiquement problématique, ni le parti de Wauquiez, qui tente de survivre en exhibant une chimère politique faite d’un jeune philosophe catholique flanqué de quelques chevaux de retour du sarkozysme guère encombrés par la morale catholique, ne sont à même de lui succéder à l’Élysée. [ Se Macron dovesse dimettersi, non illudiamoci, sa anche che né il Partito socialista, che al momento ha affidato la chiave europea del partito di Jaurès a  Raphael Glucksmann  senza disporre della mappa, né la France insoumise che ha mostrato un Mélenchon sul precipizio, psicologicamente problematico con i media, né Wauquiez, che cerca di sopravvivere, mostrando una chimera politica fatta di un giovane filosofo cattolico affiancato da alcuni cavalli di ritorno del Sarkozysmo gravati da morale cattolica, sono in grado di succedergli all’Eliseo.]

Tout va donc très bien pour lui. [ Tutto sta andando bene per lui.]

Choisir le pourrissement, parce qu’on sait qu’il fera notre affaire, même si tout cela dessert le petit peuple, les pauvres, les miséreux, les sans grades et tous ceux qui constituent le fond ontologique de la rébellion des gilet-jaunes, c’est agir comme Attila ou n’importe quel autre chef barbare: c’est opter pour la politique de la terre brûlée. [ Scegliere il torbido, perché sappiamo che farà il nostro interesse, anche se questo serve il piccolo popolo, i poveri, i diseredati, senza gradi e tutti coloro che costituiscono lo sfondo ontologico del ribellione dei gilet-gialli, è agire come Attila o qualsiasi altro capo barbaro: è optare per la politica della terra bruciata.] Après moi, ou sans moi, ou hors de moi, le déluge! [ Dopo di me, o senza di me, o fuori di me, il diluvio!]

C’est donc prendre en otage les Français en croyant qu’ils sont là pour nous et non qu’on se trouve là pour eux. [ È quindi prendere in ostaggio i francesi credendo che loro sono lì per noi e non che noi siamo lì per loro.]  Cet homme qui fait semblant de placer son quinquennat sous les auspices de Jupiter et du général de Gaulle le place finalement sous celui de Peter Pan, cet enfant qui ne veut pas grandir. [ Quest’uomo che finge di porre il suo mandato quinquennale sotto gli auspici di Giove e del Generale de Gaulle lo pone infine sotto quello di Peter Pan, questo bambino che non vuole crescere.]

Pour qui prend-il les gens? [ Come pensa di trattare le persone?]

Il a d’abord méprisé les maires, puis il a prétendu qu’ils étaient le sel de la démocratie, avant de partir à leur rencontre pour leur faire la leçon comme un instituteur d’antan avec sa classe d’élèves en blouse et aux ordres. [ Inizialmente ha disprezzato sindaci, poi ha affermato che erano il sale della democrazia, prima di andare loro incontro per impartire loro la lezione come un ex insegnante con la sua classe di studenti in camicie e agli ordini.] Les premiers magistrats, choisis et triés sur le volet par les préfets payés pour relayer la politique du Président, ceints de leur écharpe tricolore, n’en sont pas revenus que le chef de l’État daigne monologuer devant eux pendant des heures. [ I primi magistrati, selezionati e estratti con cura tra i prefetti pagati per trasmettere la politica del Presidente, cinti con la loro sciarpa tricolore, sono tornati perché il capo dello stato si degna di monologizzare davanti a loro per ore.]

Il a ensuite méprisé les Français, des Gaulois rétifs aux changements, des râleurs éternellement rebelles, des crétins incapables de comprendre la nécessité des changements voulus par sa majesté, au contraire des peuples luthériens du nord de l’Europe, avant d’organiser de faux débats, vrais monologues, tout en délaissant son métier qui est de présider la France et non de militer pour lui-même, sa cause et son succès aux prochaines élections européennes. [ Ha poi disprezzato i francesi, i Galli restii a cambiare, i brontoloni eternamente ribelli, gli idioti incapaci di capire la necessità di cambiamenti desiderati da sua maestà, a differenza dei popoli luterani del nord Europa, prima di organizzare falsi dibattiti, veri monologhi, mentre abbandona il suo lavoro che è quello di presiedere alla Francia e non combattere per se stesso, la propria causa e il proprio successo nelle prossime elezioni europee.]

Il a enfin méprisé les intellectuels qui ne lui léchaient pas les bottes avant d’en inviter une soixantaine triée sur le volet -il est intéressant d’ailleurs de voir qui a été convié. [ Alla fine ha disprezzato gli intellettuali che non leccavano gli stivali prima di invitarne una sessantina scelti a mano: è interessante vedere chi è stato invitato.] Frédéric Lordon, gauchiste en chef, mais subventionné par le contribuable via le CNRS où il est directeur de recherche, l’aurait été et a bruyamment fait savoir qu’il n’irait pas. [ Frédéric Lordon, capo della sinistra, ma sovvenzionato dal contribuente attraverso il CNRS, dove è direttore della ricerca, lo è stato ma a gran voce ha detto che lui non sarebbe andato.] Michel Wieviorka, “sociologue”, mais est-ce vraiment le cas pour ce monsieur qui affirme sans barguigner sur Canal+ que le A entouré d’un cercle est un symbole d’extrême-droite, fait bien sûr partie des élus. [ Wieviorka, ‘sociologo’, ma è davvero il caso per il signore che afferma senza esitazione su Canal+ che A in un cerchio è un simbolo della destra, è, naturalmente, una parte degli eletti.] Après avoir dit qu’il n’y avait pas de culture française, Macron invite donc six dizaines de ses représentants pour débattre avec eux sur France-Culture, haut lieu de liberté intellectuelle s’il en est. [ Dopo aver detto che non c’era cultura francese, Macron invita sei dozzine dei suoi rappresentanti a discutere con loro su France-Culture, un grande luogo di libertà intellettuale, se esiste.] Gageons que débattre avec soixante personnes à la fois le contraindra à une performance longue d’une quinzaine de jours non-stop, à défaut, cette rencontre ne sera rien d’autre qu’une danse du ventre présidentiel devant une assemblée captive. [ Speriamo che discutere con sessanta persone alla volta lo costringerà a una prestazione che durerà quindici giorni senza sosta, in caso contrario, questo incontro non sarà altro che una danza del ventre presidenziale di fronte a un’assemblea prigioniera.] A moins qu’on lui offre la grille d’été sur cette chaîne du service public, le créneau est disponible, je crois, après qu’il eut été occupé pendant seize années par un philosophe viré par ses soins. [ A meno che non gli venga offerta la griglia estiva su questo canale di servizio pubblico, lo slot è disponibile, credo, dopo essere stato occupato per sedici anni da un filosofo trasferito dalle sue cure.]

Il méprise les gilets-jaunes depuis le début et traite leur souffrance par l’insulte: antisémites, homophobes, racistes, xénophobes, incultes, illettrés, avinés, fascistes, lepénistes, vichystes, pétainistes, tout est bon qui permet de dire à ceux qui se sont contentés de manifester leur souffrance sociale qu’ils sont des salauds de pauvres. [ Egli disprezza i gilet gialli dal principio e tratta la loro sofferenza insultando: semita, omofobo, razzista, xenofobo, ignoranti, analfabeti, ubriaco, fascista Le Pen, Vichy, Pétain, tutto è buono ciò che permette di dire a coloro che hanno semplicemente manifestato la loro sofferenza sociale che sono dei bastardi, dei poveri.] Cette maladie sociale que sa politique maastrichtienne brutale diffuse comme une épidémie foudroyante est traitée par lui avec arrogance, suffisance, provocation. [ Questa malattia sociale, che la sua brutale politica Maastrichtiana si diffonde come un’epidemia tuonante, è trattata da lui con arroganza, sufficienza, provocazione.] A quoi bon, sinon, s’afficher en train de boire un coup avec ses amis en terrasse dans une station de ski à l’heure même où Paris brûle? [ Qual è il punto, se non di mostrare di bere un drink con gli amici sulla terrazza in una stazione sciistica nello stesso momento in cui brucia Parigi?]  Plus cynique que cela, tu meurs… [ Più cinico di così, muori …]

Choisir l’humiliation n’est pas de bon profit. [ Scegliere l’umiliazione non è una buona cosa.] Il faut être un demeuré fini pour l’ignorer. [ Devi essere un uomo finito per ignorarlo.] L’un de ces soixante intellectuels choisis par le prince pour lui servir de miroir devrait offrir à ce faux intellectuel vrai cynique un livre que Marc Ferro a publié en 2007 et qui s’intitule “Le Ressentiment dans l’histoire”. [ Uno di questi sessanta intellettuali scelti dal principe come specchio dovrebbe offrire a questo cinico vero falso intellettuale un libro che Marc Ferro ha pubblicato nel 2007 intitolato ‘Il risentimento nella storia’.] Ce livre est rapide, indicatif et vite fait, on l’aimerait avec mille pages de plus tant ses intuitions et ses informations sont justes. [ Questo libro è veloce, indicativo e veloce, vorremmo farlo con migliaia di pagine in più perché le sue intuizioni e le informazioni siano accurate.] Quelle est sa thèse? [ Qual è la sua tesi?] On n’humilie jamais impunément les peuples et l’avilissement un jour génère une réplique toujours. [ Le persone non vengono mai umiliate impunemente e l’umiliazione un giorno genera sempre una risposta.]

A quoi peut bien ressembler cette réplique? [ A cosa può somigliare questa replica?]

Personne ne peut imaginer que ce fameux débat puisse accoucher d’autre chose que d’une souris. [ Nessuno può immaginare che questo famoso dibattito possa dare alla luce qualcosa di diverso da un topolino.] Macron avait prévenu dès le départ que le bavardage national allait avoir lieu mais qu’à son issue, il n’était pas question de changer de cap. [ Macron aveva previsto sin dall’inizio che il pettegolezzo nazionale avrebbe avuto luogo ma che alla fine non si trattava di cambiare rotta.] A quoi bon, dès lors, un débat si l’on fait savoir en amont qu’il ne changera rien à l’essentiel? [ A che serve un dibattito se si sa in anticipo che non cambierà nulla all’essenziale?] On ne pouvait mieux avouer qu’il s’agirait de parler pour ne rien dire. [ Non potrebbe essere meglio ammettere che sarebbe una questione di parlare per non dire nulla.]

Il a nommé des médiateurs, des coordinateurs, des animateurs, il a créé un dispositif pour faire remonter, centraliser, synthétiser les demandes exprimées dans des Cahiers de doléances aux marges étroites et aux contenus guindés, il a trouvé des budgets pour financer tout ça, il a parlé tout seul en prétendant qu’il dialoguait, il a saturé les médias avec sa présence logomachique, il a voyagé partout en France et s’est montré dans les endroits les plus improbables de la province, il s’est fait annoncer et il est venu, il est venu sans se faire annoncer, il a pris des notes devant les caméras qui en profitaient pour effectuer un gros plan rentable d’un point de vue de la communication- cet homme écoute attentivement se disait le péquin moyen, la preuve, il a sorti son stylo…-, il a tombé la veste, mouillé la chemise, fait des bons mots, il a même, rendez-vous compte, pris place auprès d’un gilet-jaune qui arborait sa fluorescence à côté de lui… [ Ha nominato mediatori, coordinatori, animatori, ha creato un dispositivo per rintracciare, centralizzare, sintetizzare le richieste espresse in Cahiers de graces con margini ristretti e contenuti soffocanti, ha trovato budget per finanziare tutto ciò, ha parlato da solo, sostenendo che stava parlando, ha saturato i media con la sua presenza logomachica, ha viaggiato in tutta la Francia e si è presentato nei luoghi più improbabili della provincia, è stato annunciato e è venuto, è venuto senza essere annunciato, ha preso appunti di fronte alle telecamere che hanno colto l’occasione per fare un grande piano redditizio da un punto di vista della comunicazione – quest’uomo ascolta attentamente si dice che il peixe medio, la prova, ha tirato fuori la sua penna …-, ha lasciato cadere la giacca, ha bagnato la maglietta, ha proferito delle belle parole, anche lui, ti rendi conto, ha avuto luogo vicino a un giubbotto giallo che sfoggiava la sua fluorescenza vicino a lui …] Mais on le sait, tout ça ne servira à rien puisque le cap, qui est le bon, sera maintenu! [ Ma sappiamo, tutto questo sarà inutile perché il tappo, che è buono, sarà mantenuto!]

Ce grand enfumage procède de ce qu’en son temps Ségolène Royal avait appelé la démocratie participative sans s’apercevoir que la nécessité de recourir à ce pléonasme était bien la preuve qu’en démocratie le peuple avait cessé de participer… [ Questa grande cortina fumogena deriva dal fatto che a suo tempo Ségolène Royal aveva definito la democrazia partecipativa senza rendersi conto che la necessità di ricorrere a questo pleonasma era la prova che in democrazia il popolo aveva smesso di partecipare …] C’est la même personne, Ségolène Royal, qui avait recruté et appointé le scénariste des Guignols de l’info afin qu’il lui trouve des petites phrases assassines pour truffer ses discours et qui soient susceptibles d’être retenues et reprises par les journalistes. [ è la stessa persona, Ségolène Royal, che aveva reclutato e nominato lo scénariste des Guignols delle informazioni così che trovasse piccole frasi omicide per blandire i suoi discorsi suscettibili di essere riprese dai giornalisti.] Déléguer la démocratie participative à un guignol, fut-il de l’info: tout était dit, déjà… [ Delegare la democrazia partecipativa a un guignolo, era la notizia: tutto è stato detto, già …]

A quoi bon partir à la rencontre des gens dans les sous-préfectures pour leur demander ce qu’ils souhaitent quand on aspire à la magistrature suprême de la Cinquième République, comme madame Royal en son temps, voire quand on s’y trouve, comme monsieur Macron aujourd’hui? [ A che serve incontrare persone nelle sotto-prefetture per chiedere loro cosa vogliono quando aspiriamo all’ufficio supremo della Quinta Repubblica, come la signora Royal ai suoi tempi o quando siamo lì, come Mr. Macron oggi?] La réponse est simple: pour les images des journaux de vingt-heures, il faut en effet laisser entendre par ces mises en scène qu’en choisissant de se trouver au centre d’une assemblée réunie en rond autour du mâle dominant qui feint de jouer le rôle de Gentil Organisateur du Club Med, on écoute, on se renseigne, on prend des avis, on descend dans l’arène, on n’a pas peur, on va au contact et, surtout, qu’on est proche des gens… [ La risposta è semplice: per le immagini di giornali di venti ore, deve essere implicitamente indovinato da queste messe in scena scegliendo di essere al centro di un’assemblea riunita in circoli attorno al maschio dominante che finge di giocare il ruolo di Gentil Organizzatore Club Med, ascoltiamo, otteniamo informazioni, prendiamo consigli, scendiamo nell’arena, non abbiamo paura, entriamo in contatto e, soprattutto, siamo vicini alle persone …]

On peut ne pas souscrire à cette thèse de communicant d’un niveau Bac moins cinq. [ Non si può sottoscrivere questa tesi comunicativa di un livello Bac meno cinque.] Car, une personne qui aspire à ce poste ou, pire, qui s’y trouve déjà et a malgré tout encore besoin de ces rencontres pour savoir ce que pense le peuple avoue clairement de la sorte qu’il ignore la vie de ceux dont il souhaite administrer l’existence et, de ce fait, qu’il ne mérite pas son poste sinon de candidat encore moins de premier élu de la Nation. [ Perché, una persona che aspira a questa posizione o, peggio, chi è già lì e ha ancora bisogno di questi incontri per sapere cosa la gente pensa chiaramente ammette di ignorare le vite di coloro che desidera amministrare l’esistenza e, quindi, che non merita la sua posizione se non addirittura candidato ancora meno da premier eletto dalla nazione.]

Macron dit qu’il écoutera mais n’en fera rien, il l’a dit lui-même; il organise à grand renfort de médias complices cette rencontre sous prétexte d’apprendre ce que veut le peuple; or, les souhaits des gilets-jaunes sont connus depuis le premier jour, bien avant que la pourriture voulue par le chef de l’État ne s’y installe. [ Macron dice che ascolterà ma non farà nulla, lo disse lui stesso; organizza a gran beneficio dei media complici questo incontro col pretesto di apprendere ciò che la gente vuole; Ora, i desideri delle giacche gialle sono stati conosciuti fin dal primo giorno, molto tempo prima che la putredine voluta dal Capo dello Stato fosse stabilita lì.]

Roi de la manœuvre, avec ce Grand Débat national, Emmanuel Macron a créé la diversion parce qu’il en avait besoin pour jouer la carte du pourrissement. [ Re della manovra, con questo Grande dibattito nazionale, Emmanuel Macron ha creato il diversivo perché ne aveva bisogno per giocare la carta del decadimento.] Toute semaine passée sans que les gilets-jaunes ne parviennent à s’organiser jouait en sa faveur. [ Ogni settimana trascorsa senza le giacche gialle siano organizzate gioca a suo favore.] C’était autant de temps utile pour organiser la riposte non pas politique mais policière, qui plus est de basse police: laisser les casseurs agir, laisser faire les dépavages, donc laisser les pavés voler, laisser les Blacks Blocs taguer et piller, laisser les casseurs des banlieues se joindre à ces Black Blocs afin que quelques-gilets-jaunes s’y agrègent afin de disposer d’images de vandalisation à associer aux gilets-jaunes: les Champs Élysées, parfait, l’Arc de Triomphe, mieux encore, des incendies, super, des voitures retournées et en feu, génial… [ Era tanto il tempo utile per organizzare la risposta non politica, ma di polizia, di bassa polizia: lascia agire i demolitori, lascia i saccheggiatori, quindi lascia volare i blocchi, lascia che i Blacks Blocks taggano e depredano, lascia che i demolitori della periferia si uniscano a questi Black Blocks in modo che alcuni giubbotti gialli vengano uniti lì per avere immagini di vandalismo da associare alle giacche gialle: gli Champs Elysees, perfetto, l’Arc de Triomphe, meglio ancora, fuochi, super, macchine alzate e infuocate, geniale …] Roulez BFM & C°! [ Rotolo BFM * C °!] Entre deux soirées en boîtes de nuit, le ministre de l’Intérieur, couvert par les médias, dénonçait ce que le pouvoir avait laissé faire: c’est ainsi qu’on instille le virus dans un corps social. [ Entro due serate in discoteca, il Ministro degli Interni, coperto dai media, ha denunciato ciò che il potere aveva permesso di fare: è così che instilliamo il virus in un corpo sociale.] Il suffit ensuite de laisser faire: incubation, fièvre, symptômes, la maladie est bel et bien là, il n’y a plus qu’à attendre qu’elle progresse, qu’elle empire, puis souhaiter que la mort soit au rendez-vous. [ Basta quindi lasciar fare: incubazione, febbre, sintomi, la malattia è davvero lì, c’è più che aspettare che progredisca, che dia potere, poi auguri che la morte sia all’appuntamento.] Voilà la stratégie de Macron, elle lui permet, en attendant le trépas, d’aller aux sports d’hiver tout en sachant que pareille activité n’est réservée qu’aux privilégiés de cette société malade. [ Questa è la strategia di Macron, che gli consente, in attesa della morte, di andare agli sport invernali pur sapendo che tale attività è riservata ai privilegiati di questa società malata.] Cynique, arrogant, prétentieux, sûr de lui et de sa méthode, quand Paris brûle, il skie… [ Cinico, arrogante, pretenzioso, sicuro di se stesso e del suo metodo, quando Parigi brucia, lui scia …]

Mais, à la manière d’un apprenti sorcier, cet homme qui a lâché les virus pour contaminer ce corps social des gilets -jaunes a pris le risque d’une infection bien plus grande. [ Ma, come un apprendista stregone, quest’uomo che ha fatto cadere i virus per contaminare il corpo sociale dei giubbotti gialli ha rischiato un’infezione molto più grande.] Quand son Grand Débat va accoucher de réformettes sociales (pourquoi pas le retour à 90 km/h sur certaines routes de campagne dont la réglementation en la matière pourrait être rendue aux conseils départementaux ou régionaux comme un signe qu’on donne à la France périphérique le pouvoir qu’elle souhaitait lui voir revenir…), ou de réformes techniques en matière de fiscalité (auxquelles personne ne comprendra rien, sauf les professionnels des impôts), quand il décevra avec des réformes en trompe l’œil (du genre: faux référendum qu’in fine les élus contrôleraient par des dispositions techniques leur permettant de reprendre d’une main ce qui aurait été donné de l’autre), quand, donc, les gilets-jaunes verront que le Président leur offre finalement de la poudre aux yeux pour tout traitement de leurs blessures, alors le ressentiment sera plus grand encore -et avec lui la colère majuscule. [ Quando il suo grande dibattito darà vita a riforme sociali (perché non il ritorno a 90 km / h su alcune strade di campagna la cui regolamentazione in materia potrebbe essere restituita alla contea o ai consigli regionali come segno che diamo alla Francia periferica il potere che voleva che tornasse …), o riforme tecniche sulla tassazione (che nessuno capirà nulla se non i professionisti delle tasse), quando deluderà con le riforme ingannevoli (come: un falso referendum che nei benemeriti funzionari avrebbe il controllo di disposizioni tecniche che permettessero loro di riprendere con una mano ciò che sarebbe stato dato con l’altra), quando, quindi, le giacche gialle vedranno che il Presidente finalmente offrirà ai loro occhi della polvere per qualsiasi trattamento delle loro ferite, allora il risentimento sarà ancora maggiore – e con esso la rabbia maiuscola.]

Et que fera-t-il de cette colère décuplée lui qui a déjà répondu à une moindre colère par une vague de répression tellement disproportionnée que le Haut-Commissariat aux droits de l’Homme à l’Organisation des nations unies, via   Michelle Bachelet qui fut présidente du Chili, lui a fait savoir qu’il installait la France dans le pays qu’internationalement on remarque pour son non-respect des droits de l’Homme? [ E che cosa farà con questa rabbia accresciuta lui che ha già risposto a una rabbia minore con un’ondata di repressione così sproporzionata che l’Ufficio dell’Alto Commissario per i diritti umani alle Nazioni Unite, attraverso Michelle Bachelet che è stato presidente del Cile, lo ha informato che ha inserito la Francia tra i paesi internazionalmente noti per il suo mancato rispetto dei diritti umani?]

La même Michelle Bachelet a formidablement résumé la nature du mouvement des gilets-jaunes en affirmant: “En France, les gilets-jaunes protestent contre ce qu’ils perçoivent comme une exclusion des droits économiques et de la participation aux affaires publiques.” [ La stessa Michelle Bachelet ha riassunto la natura del movimento dei giubbotti gialli, affermando: \”In Francia, le giacche gialle protestano contro ciò che considerano un’esclusione dai diritti economici e dalla partecipazione agli affari pubblici\”.] Pour Emmanuel Macron, on sait qu’il n’en est rien et qu’il s’agit bien plutôt d’un mouvement de factieux d’extrême-droite homophobes, racistes, antisémites, climato-sceptiques et conspirationnistes -autrement dit: une offense faite à sa propre personne… [ Per Emmanuel Macron, sappiamo che questo non è il caso e che è piuttosto un movimento di omofobi di estrema destra, razzisti, antisemiti, scettico-ambientalisti e cospirazionisti – in altre parole: un offesa fatta alla propria persona …]

J’ai eu recours à l’histoire de l’apprenti sorcier. [ Ho usato la storia dell’apprendista stregone.] Rappelons comment elle se termine chez Goethe: le jeune sorcier a besoin de son vieux maître qui arrive pour arrêter le délire. [ Ricordiamo come finisce con Goethe: il giovane mago ha bisogno del suo vecchio maestro che viene a fermare il delirio.] Sauf que, dans notre réalité, il n’y a pas un vieux maître sage en attente (que Sarkozy & Hollande ne rêvent pas…), mais de jeunes sorciers aussi dépourvus de cervelles que le président de la République. [ Solo che, nella nostra realtà, non c’è un vecchio maestro saggio in attesa (che Sarkozy * Holland non sognano …), ma giovani maghi privi di cervello come il Presidente della Repubblica.] C’est désormais violence d’État contre violences populeuses. [ Ora è la violenza di stato contro la violenza populista.]

Le peuple est mort étranglé par Macron en dix-huit semaines. [ Il popolo è morto strangolato da Macron in diciotto settimane.] Ce populicide en chef lui a préféré la populace qui lui doit sa généalogie. [ Questo populicida in capo ha preferito il popolaccio cui deve la sua genealogia.] La populace, c’est le peuple moins son cerveau, c’est la foule reptilienne, la masse acéphale, un corps sans tête, un Léviathan conduit par les instincts; elle est l’animal aux babines retroussées, aux crocs menaçants, aux griffes sorties; elle est faite d’hommes au cortex grillé -elle est aussi et surtout le meilleur ennemi du peuple. [ Il popolaccio è la gente, meno il cervello, la folla rettiliana, la massa acefala, un corpo senza testa, un Leviatano guidato da istinti; lei è l’animale con le labbra arrotolate, zanne minacciose, artigli fuori; è fatto di uomini con una corteccia unta: è anche e soprattutto il miglior nemico del popolo.]

Pour empêcher la naissance de cette bête enragée désormais très dangereuse, il suffisait d’écouter le peuple, de l’entendre dès les premiers jours et de lui répondre dignement. [ Per impedire la nascita di questa bestia rabbiosa ora molto pericolosa, bastava ascoltare la gente, ascoltare i primi giorni e rispondergli con dignità.] C’eut été dans la logique du contrat social qui lie le chef et son peuple par la grâce d’un transfert de souveraineté républicaine synallagmatique -et non unilatéral donc despotique. [ Era nella logica del contratto sociale, che lega il capo e il suo popolo per la grazia di un  trasferimento di una sovranità répubblicana synallagmatica – non un sovrano unilaterale dunque dispotico.]

Au lieu de cela, comme un vulgaire tyranneau de république bananière, il a lancé sa soldatesque. [ Invece, come una volgare tiranno da repubblica delle banane, ha lanciato la sua soldataglia.] Une partie du peuple s’est retirée pour laisser place au ressentiment pur et simple de la populace. [ Una parte della gente si è ritirata per lasciare il posto al risentimento totale del popolaccio.] La bonhomie des ronds-points a laissé place à la logique incendiaire. [ La bonarietà delle rotonde ha lasciato il posto alla logica incendiaria.] Avec ce poison d’une hyper toxicité qu’est le ressentiment, quelques gouttes suffisent pour abattre une civilisation qui se trouve dans l’état de la nôtre. [ Con questo veleno di iper-tossicità che è il risentimento, bastano poche gocce per abbattere una civiltà che è nella nostra condizione.] Loin du général de Gaulle, Emmanuel Macron prend le risque de laisser son nom dans l’Histoire entre ceux de Néron et Caligula. [ Lontano dal generale de Gaulle, Emmanuel Macron si assume il rischio di lasciare il suo nome nella storia tra quelli di Nerone e Caligola.] On retiendra que, quand Paris brûlait, il skiait… [ Ricorderemo che quando Parigi bruciava, stava sciando …]

Michel Onfray [ Michel Onfray]

tratto da https://michelonfray.com/interventions-hebdomadaires/paris-brule-t-il-

Crisi climatica? Quattro importanti parametri che dicono un’altra verità_traduzione di Giuseppe Germinario

Questa settimana abbiamo assistito ad una perfetta combinazione di eventi che ha consentito a tutto il sistema mediatico di suonare in coro la gran cassa dei più potenti stereotipi cui sono aggrappati i circoli del “politicamente corretto”. Una combinazione talmente opportuna da lasciare dubitare della loro casualità. Del primo, legato al problema dei cambiamenti climatici, ne illustreremo la genesi nell’articolo apparso in contemporanea http://italiaeilmondo.com/2019/03/16/terrorismo-climatico_-traduzione-di-gianfranco-campa/. Del secondo, l’efferata strage nelle moschee in Nuova Zelanda, si può ragionare su supposizioni. L’autore della strage è certamente un fanatico razzista; ha agito per altro in buona compagnia; è nutrito da un odio psicotico impressionante; come da copione non ha fatto niente per nascondere il proprio punto di vista e le proprie intenzioni specie sui social network; è difficile quindi che sia passato inosservato agli osservatori delle forze dell’ordine e dell’intelligence. E’ così difficile ed improbabile far scattare la molla omicida nel momento propizio in persone così labili ed infervorate psicologicamente ed ideologicamente?_Buona lettura_Giuseppe Germinario

Crisi climatica? Quattro importanti parametri che dicono un’altra verità

Joe Bastardi · 13 marzo 2019
Per molto tempo ho sostenuto che i climatologi seguono l’andamento sulle previsioni a lungo termine in modo che possano capire meglio gli errori intrinseci al tentativo di prevedere il tempo o il clima. Nel dibattito sul destino del pianeta, dove una parte sta sempre spingendo verso l’isteria, il tempo chiaramente non agisce a favore del messaggio.

I meteorologi prendono lezioni di climatologia e ora viene loro insegnata la narrativa unilaterale del clima; ma in generale i climatologi non devono imparare come prevedere. Se lo facessero, avrebbero dovuto affrontare il peso degli errori. Ho dovuto confrontarmi con il mio; l’ultimo esempio è la pessima previsione di questo inverno passato per il sud-est. Poiché i climatologi non sono esposti alla verifica preventiva, ha portato a un’iniziativa audace che semplicemente spinge un problema perché nessuno lo mette in discussione.

Dalle prove che ho visto, non solo la causa del riscaldamento è discutibile (non c’è dubbio che si scaldi, la domanda è perché si sta surriscaldando), ma gli impatti negativi impliciti sono anche discutibili, perché ci sono esempi concreti di eventi opposti .

Non sto cercando di dire cattiverie. Questa non è la mia missione. La mia missione nello scrivere un pezzo come questo è mostrare ciò che guardo e perché metto in discussione ciò che mi viene detto. Non mi fa bene impegnarmi nel tipo di attività che vedo oggi con un’etichettatura spregiativa. In effetti, sto cercando di andare dall’altra parte.

L’assunzione, ovviamente, è che tutti sono veramente alla ricerca della risposta giusta. Ma se questo è il caso, il messaggio è spinto sino al punto di usare il frutto di un albero avvelenato, in cui i mezzi giustificano i fini? Cosa succede se i fini non sono affatto ciò che si pretende di essere? Se una catastrofe che sta spingendo i bambini a citare in giudizio il governo è effettivamente in corso, perché ci sono parametri importanti opposti rispetto a ciò che viene richiesto?

Da bambino, non avevo interesse a denunciare il governo. Mi è stato dato un libro in cui un intero capitolo era dedicato al clima. Diceva che se la terra si riscaldava, nevicava di più perché il riscaldamento non sarebbe stato sufficiente a prevenire la neve in luoghi molto freddi, e il riscaldamento sarebbe dovuto a più vapore acqueo. E a causa del deflusso di acqua nell’oceano da ulteriore scioglimento della neve, avrebbe avuto inizio un ciclo di raffreddamento. L’ho letto 55 anni fa.

Quando sono arrivato al college, è proprio quello che ci è stato insegnato in climatologia. Naturalmente, il sole è coinvolto, e ci sono persone che sostengono che la bassa attività solare comporti un po’ di glaciazione. Credo che nel corso degli anni sia cresciuto troppo il calore negli oceani a causa dei processi naturali (forse inclusi 200 anni di alte macchie solari) affinché si realizzassero. In breve, vedo un stato di equilibrio naturale del sistema che si verifica e gli umani lo osservano – ogni persona con un modo diverso di vedere le cose. Ho scritto in precedenza sulla prospettiva, e penso che sia molto importante.

Non si può negare che il pianeta sia più caldo ora di quanto lo fosse all’inizio dell’era satellitare, e si vede chiaramente un collegamento con gli oceani. Detto questo, il luogo in cui si verifica il riscaldamento ci dà un indizio sul motivo per cui il pianeta si sta scaldando. Più riscaldamento nelle zone più fredde e più asciutte è una funzione dell’aumento del vapore acqueo, non della CO 2 . Poiché gli oceani si sono riscaldati, c’è più vapore acqueo nell’aria. Comprendo l’argomentazione di feedback sulla CO 2 , ma come affermato in precedenza, di fronte all’intera storia del pianeta, perché non dovremmo mettere in discussione tale argomento?

In ogni caso, uno sguardo al manto nevoso lungo l’emisfero settentrionale mostra l’incremento in corso, che è in linea con la teoria del ciclo climatico naturale.

Quindi, ecco la domanda: se hai imparato qualcosa quando eri giovane e poi lo hai visto accadere di fronte a te, non metteresti in discussione le idee che dicono che è il risultato di qualcosa di diverso? È irragionevole farlo? Perché le grida “niente più neve” che abbiamo sentito nel 2000 non sono state messe in dubbio?

Il back-end del freddo nel periodo DOP 2007-2013 ha prodotto molta siccità negli Stati Uniti. Questa è stata trasformata in un messaggio di perma-siccità, prima in Texas poi in California. E, naturalmente, se guardiamo all’indice Palmer Drought, vediamo che nel 2012 era asciutto.

All’epoca, la mia azienda prese l’iniziativa di sottolineare le somiglianze con gli anni ’50 nelle pianure meridionali. E puntualmente si è trasformato. Lo abbiamo detto perché avevamo interessi non nel cambiamento climatico, ma nel fornire ai clienti idee accurate su dove stavano andando i modelli. Se si versa cemento o si raccolgono raccolti o si devono programmare partite di baseball della Little League, è utile sapere se sarà più secco o più umido della media. Questo è quello che facciamo. Questo è sempre il mio obiettivo principale.

Ma puoi vedere come ciò può entrare in conflitto con un messaggio che dice qualcosa di molto diverso. Se quasi tutti dicono che sei in una condizione di siccità, e una voce solitaria sta dicendo che invertirà, allora qualcuno deve avere ragione e qualcuno deve sbagliare. La mia domanda è perché nessuno si è preso la briga di richiamare l’isteria dopo i grandi anni di siccità. Da allora si è inumidito in California quando la Pacific Decadol Oscillation (PDO) si è riscaldata.

Il risultato è il contrario dell’isteria. Tanto che ora la missiva è troppa pioggia, che ovviamente si invertirà come sempre nei prossimi anni.

Le temperature superficiali del mare sono passate da questo (si noti l’anello freddo nel Pacifico) …

… a questo negli ultimi 5 anni:

Il PDO è un noto driver principale del tempo, eppure le persone che spingono la narrativa della perma-siccità non riconosceranno nemmeno il collegamento diretto.

I tornado sono un grosso problema, ovviamente. Ma su tutta la linea, le metriche mostrano il contrario dell’isteria che viene spinta. La frequenza del tornado diminuisce:

Anche la frequenza dei tornado da forte a violento sta diminuendo:

Avrai sempre una fonte di aria calda per i tornado. Ma se si riscalda di più dove l’ambiente è naturalmente più fresco, diminuisce il potenziale di scontro complessivo. I periodi freddi del passato hanno chiaramente caratterizzato i tornado più forti rispetto ai tempi caldi recenti. Quest’anno pensiamo che il conteggio dei tornado sarà un po ‘inferiore alla media, ma puoi scommettere se sopra o sotto la media, qualsiasi tornado distruttivo verrà rappresentato come prova della catastrofe climatica in cui ci troviamo.

La diminuzione delle morti è un riconoscimento agli uomini e alle donne che stanno aprendo la strada nell’emissione di allarmi. Questo mostra esattamente come adattarsi al tempo con una tecnologia migliore, non provare a cambiare ciò che non possiamo. Hai una possibilità molto migliore di allontanarti abbastanza da salvarti la vita con un avvertimento di 10 minuti rispetto a un avviso di due minuti – il che, ancora una volta, è un grande tributo al progresso fatto nelle previsioni e al grande lavoro fatto da NOAA nel provvedere alla difesa comune. Non posso esagerare abbastanza la mia ammirazione.

Dato che più persone stanno vivendo in pericolo, questo grafico è un dito negli occhi di coloro che affermano che la situazione sta peggiorando.

La tendenza è chiaramente in generale. Eppure, perché i giornalisti mainstream non sono curiosi di questo?

Infine, per quanto riguarda gli uragani, quante volte abbiamo sentito che è peggio che mai? O che l’aberrazione di una stagione attiva è un presagio di disastri futuri?

Il dott. Phillip Klotzbach fornisce questi grafici che mostrano un netto declino nella frequenza degli uragani e dell’intensità degli approdinegli Stati Uniti.

Qualunque giornalista mainstream resisterà alle persone affermando il contrario?

Con l’arrivo della stagione estiva, ci allontaniamo dalla stagione delle nevi per concentrarci su siccità, trombe d’aria e uragani. Riteniamo che sarà una nuova estate umida nel suo insieme per gli Stati Uniti, con la siccità che si terrà sotto pressione – il che, ovviamente, farà crescere l’isteria per la pioggia eccessiva.

Ha piovuto molto in California, quindi indovina un po’? Un’altra grande stagione di incendi boschivi è in arrivo lì come abbiamo dimostrato per voi negli ultimi due anni.

Penso che il conteggio dei tornado sia leggermente inferiore alla norma, ma non è così basso come in altre fonti. Tuttavia, se capita di essere al di sopra del normale, sarà un’aberrazione contro la tendenza.

Prevediamo anche una stagione di uragani inferiore alla media, ma dovresti sapere bene che se ne colpisce uno grande, ne scaturirà l’isteria.

Puoi vedere quanto sono diventate fangose ​​le acque. La purezza di ciò che amo viene distrutta. Come può essere? Vi è stato detto che i numeri sono fuori controllo, tuttavia ho fornito quattro parametri principali secondo i quali chiaramente non è il caso. Non sono un “cherry picking”. Lo sono le persone che insistono sul fatto, che continuano a insistere sul fatto anche se sta accadendo l’opposto, e stanno usando le loro affermazioni per cercare di portare a casa un punto che credo sia basato su un ordine del giorno. Le loro affermazioni sono chiaramente non in linea con gli esempi mostrati sopra. Ecco perché dico alla gente che il dialogo odierno sul clima e le condizioni meteorologiche in realtà ha poco a che fare con il clima e le condizioni meteorologiche. Questa è la più grande vergogna di tutti.


Joe Bastardi, un pioniere in condizioni meteorologiche estreme e previsioni a lungo raggio, contribuisce a The Patriot Post sulle questioni ambientali. È l’autore di “The Climate Chronicles: Scomode rivelazioni che non ascolterai da Al Gore – e da altri”.

intellettuali e popolo, di Andrea Zhok

SU INTELLETTUALI E POPOLO – (PRIMA PARTE)

Il tema del rapporto tra ‘élite’ e ‘popolo’ e quello del rapporto tra ‘intellettuali’ e ‘popolo’ si è spesso intrecciato nell’ultimo secolo e mezzo, da quando due intellettuali borghesi rispondenti ai nomi di Karl Marx e Friedrich Engles hanno prodotto la più radicale critica sistemica del nuovo “modo di produzione delle élite”, il Capitalismo.

Leggendo recentemente il “Diario di uno scrittore” di Dostoevsky mi sono sorpreso della straordinaria similitudine tra i problemi che in quel testo il grande scrittore si poneva e quelli con cui ci troviamo a trattare oggi. Il testo risale agli anni ’80 del ‘800 e discute insistentemente, quasi ossessivamente, del problema dell’identità del popolo (russo); dei rischi di abbrutimento del popolo medesimo; del contrasto tra dimensione cosmopolita delle élite e radicamento del popolo alla terra; della difficile collocazione degli intellettuali, socialmente spesso prossimi alle élite, ma altrettanto spesso critici delle stesse e delle loro forme di vita inautentiche; del rapporto tra la normatività della tradizione, talvolta ottusa e talaltra saggia, e le pretese emancipative delle élite liberali, talvolta illuminate e talatra nichiliste.

Come osservato più volte, lo sviluppo europeo tra il 1870 e il 1914 presenta davvero analogie fortissime con lo sviluppo innescatosi a partire dagli anni ’80 del ‘900. (Ciò, incidentalmente, non lascia presagire niente di buono.) Ma soprattutto ciò ci dovrebbe mettere all’erta rispetto a quella rilevante massa di intellettuali che, siccome ora smanettano su di uno smartphone e fanno il check-in in aeroporto, pensano di essere di fronte a chissà quale straordinario, inedito, rinnovamento dell’umanità, che ne rende la natura e i problemi incommensurabili con tutto quanto c’era prima.

In quest’ottica il problema annoso del rapporto tra ‘intellettuali’ e ‘popolo’, quel problema su cui litigavano Vittorini e Togliatti, dovrebbe essere rimesso al centro della riflessione.
Questo per una ragione tanto semplice quanto radicale: le speranze di un popolo, qualunque popolo, dipendono in modo cruciale dal ruolo giocato dai suoi intellettuali.
Questa frase può suonare come ‘presunzione intellettualistica’ o magari come ‘compiacimento inopportuno’, tuttavia esprime un punto forse frustrante, ma ineludibile. Se l’opposizione ‘popolo’-‘élite’ viene sovrapposta all’opposizione ‘popolo’-‘ceto intellettuale’ – tentazione non rara – l’esito non può che essere catastrofico, e specificamente catastrofico per il popolo.

Tutto questo discorso è oggi rischiosamente avvelenato dalla presunzione con cui una ristretta selezione di rappresentanti ortodossi della ‘ragione liberal-liberista’ sono stati imposti mediaticamente come il ceto ‘competente’ per definizione.
Questa sovrapposizione di tutela ideologica di interessi costituiti e di dichiarazione di ‘competenza’, anche quando non viene accolta nel senso di chi la propone, finisce però spesso per creare davvero una cesura percepita, un sospetto che ‘intellighentsia’ e ‘popolo’ siano in qualche modo destinati a muoversi su binari paralleli e incomunicanti (o difficilmente comunicanti). Questo sospetto, questo pregiudizio serpeggia in molte discussioni, in molte contrapposizioni, in molti argomenti che fanno opinione pubblica, dove la stizza nei confronti di criteri epistemici e di solide pezze d’appoggio argomentative è palese.

Come precisamente siano da configurarsi i rapporti tra ‘intellettuali’ e ‘popolo’ dovrebbe essere oggetto di un’analisi separata, ma una cosa dovrebbe essere tenuta ferma: nessun popolo è in grado di emanciparsi ‘contro’ la ‘cultura dei libri’, ‘contro’ la riflessione economico-sociale, ‘contro’ il sapere storico, ‘contro’ la scienza.
L’idea di sostituire una proficua sintesi tra lavoro intellettuale e lavoro non intellettuale con una qualche idea di ‘popolo’, ‘collettività’, ‘movimento’ o ‘partito’ inteso come un’intelligenza collettiva è un errore fatale, un errore che semplicemente sostituisce, secondo forme note da due millenni e mezzo, la retorica e l’autorità alla ragione e alla ricerca del vero. E ‘ragione’ e ‘ricerca del vero’ non sono qualcosa da plaudire in omaggio a qualche desueta tradizione, ma semplicemente perché restano le armi migliori che abbiamo per far funzionare le cose, che si tratti di processi tecnici e locali o macroscopici e spirituali.

Algeria: dietro le enormi manifestazioni di rigetto della candidatura di Abdelaziz Bouteflika a un quinto mandato, il salto verso l’ignoto è assicurato …, di Bernard Lugan

Qui sotto la traduzione di un bollettino informativo di Bernard Lugan riservato agli abbonati. La situazione in Algeria ormai si sta incancrenendo a dispetto o forse a causa delle enormi riserve di idrocarburi alcune delle quali in via di esaurimento altre immobilizzate dalla situazione di paralisi politica e sociale. La maledizione delle economie monoculturali sta per colpire una nazione dal passato glorioso,in prima linea nei movimenti anticolonialisti, ma incapace di completare il processo di emancipazione. L’Italia dipende in buona parte dalle forniture di petrolio e soprattutto di gas del paese. La gestione delle condotte è in condominio con l’azienda di stato algerina SONATRAC, la quale detiene le partecipazioni azionarie maggioritarie sia dei pozzi che dei dotti_Giuseppe Germinario

L’offerta di un quinto mandato al presidente Abdelaziz Bouteflika, morto-vivente silenziato e paralizzato nelle uscite, legato ad una sedia a rotelle, caduto nel patetico, è molto mal vista in Algeria.

La portata delle manifestazioni di rigetto di questa candidatura e con essa di tutti i profittatori del regime, FLN in testa è tale che, senza svolta, il tempo di sopravvivenza del clan Bouteflika sembra contato. Tanto più che le forze di sicurezza appaiono vinte dal dubbio e che l’esercito non è più monolitico.

In ogni caso, si tratta di  un’Algeria in rovina e divisa che erediteranno coloro che hanno il compito molto difficile di cercare di evitare l’affondamento di un Paese fratturato tra arabismo e berberismo con sullo sfondo gli islamisti in agguato. Come faranno a raddrizzare un paese colpito al cuore dall’esaurimento delle sue riserve di petrolio quando il 60% delle entrate di bilancio e il 95% delle entrate in valuta estera dipendono dagli idrocarburi? Secondo l’Ufficio nazionale di statistica del 12 gennaio 2019, nel corso del 3 ° trimestre 2018, il settore degli idrocarburi nel suo complesso è sceso del 7,8%, petrolio greggio e produzione di gas naturale è diminuito del 3% e la raffinazione del petrolio greggio del 12%.

Il calo di produzione e del corso dei prezzi degli idrocarburi comporta una caduta delle rimesse e la necessità che lo stato attinga alle sue riserve in valuta estera per finanziare le importazioni. L’Algeria non produce nulla o in quantità insufficiente, deve infatti comprare tutto sui mercati esterni, sia per l’alimentazione, che semplicemente l’abbigliamento, gli equipaggiamenti e la cura della popolazione.

Le riserve valutarie dell’Algeria che erano di 170 miliardi di euro nel 2014, prima del crollo del prezzo del petrolio, sono poco più di 62 miliardi nei primi mesi del 2019, secondo le proiezioni, si raggiungeranno 34 miliardi entro il 2021.

In queste condizioni, come può  comprare la pace sociale con la crescita della popolazione che cancella ogni possibilità di sviluppo? Come affrontare un Algeria sul punto di deflagrare con un tasso di disoccupazione giovanile pari ad almeno il 40%, un enorme miseria sociale, un settore industriale inesistente, un’agricoltura in rovina, il sistema bancario d’altri tempi e una amministrazione apoplettica?

Come riavviare l’Algeria saccheggiata dai satrapi della nomenklatura incistata intorno al clan Bouteflika e che tra il 2000 e il 2015, quindi prima del crollo dei prezzi, ha “sperperato”  600 miliardi di $ provenienti dalla vendita di idrocarburi, in ” deflussi “di diverse centinaia di miliardi di dollari più oltre 100 miliardi di dollari spesi” a discrezione dei governi “(El Watan 31 Gennaio 2016), eufemismo delicata che maschera l’opacità della loro destinazione …?

Nessuno vorrà rivendicare una tale eredità, nessuno vuole associare il suo nome con decenni di implementazione delle risorse pubbliche a servizio di un clan familiare; la rottura è quindi annunciata. A beneficio di chi? Il futuro ormai prossimo lo dirà.

Bernard Lugan

SOVRANISMO EUROPEISTA O “INTER-NAZIONALISMO” EUROPEO? UNA BREVE REPLICA A FRANCO CARDINI, di Fabio Falchi

SOVRANISMO EUROPEISTA O “INTER-NAZIONALISMO” EUROPEO? UNA BREVE REPLICA A FRANCO CARDINI

il link di riferimento http://italiaeilmondo.com/2019/02/18/per-un-sovranismo-europeista-di-franco-cardini-tratto-da-https-www-vision-gt-eu-wp-content-uploads-2019-02-ad_6_2019-pdf/
“Per un sovranismo europeista”* di Franco Cardini (uno degli intellettuali italiani più lucidi e capaci)  è certo un articolo che merita di essere letto, giacché, oltre ad evidenziare i gravi limiti di un “sovranismo” che rischia di configurarsi come una forma di nazionalismo “incapacitante” nell’attuale fase multipolare**, offre l’occasione per una riflessione critica sulla questione della costruzione di un autentico polo geopolitico europeo. Infatti, pure a Cardini si possono – e si devono – rivolgere diverse critiche. Vediamone brevemente alcune1) Cardini (ma non è il solo) pare non tener conto che civiltà e cultura si collocano su un piano distinto (benché non irrelato) da quello geopolitico. Ad esempio, la civiltà e la cultura greca erano imperniate sulle poleis che continuarono a farsi la guerra pure dopo la guerra del Peloponneso, finché le poleis dovettero riconoscere la supremazia del regno macedone.
Insomma, civiltà e cultura (europea) non bastano per dar vita ad un soggetto geopolitico (europeo).2) Cardini difende un sovranismo europeo, ma nulla dice del debito sovrano dei singoli Stati europei. Dovrebbe allora esserci un unico debito pubblico europeo? E la Germania che non ha voluto nemmeno gli eurobond accetterebbe? Quello che le banche tedesche e francesi hanno fatto alla Grecia non ha nulla da insegnare? Inoltre, è davvero possibile che un generale greco o italiano possa comandare la difesa europea, inclusa la force de frappe? E quale dovrebbe essere la politica estera dell’Europa? In altri termini chi deciderebbe? La Germania vuole un seggio all’Onu (e non ne vuole sapere di un seggio europeo) e la Francia non è certo disposta a rinunciare al suo. Come la mettiamo allora con il sovranismo europeo?
3) Cardini da un lato sostiene che l’Europa dovrebbe smarcarsi dai potentati economici e finanziari, che ritiene dei poteri “transnazionali”, dall’altro però pensa che per riuscirvi l’Europa si dovrebbe sganciare dall’America, ossia da uno Stato nazionale. La contraddizione è palese, perché in pratica questo equivale a riconoscere che i potentati economici e finanziari sono e non sono “transnazionali” in quanto di necessità “agganciati” a precisi centri di potenza (geo)politici, ossia in quanto non possono non agire in sinergia con uno Stato nazionale egemone o con più Stati nazionali (anti-egemonici o sub-dominanti), che del resto sono ancora i principali attori geopolitici sulla scacchiera globale. Difatti, solo gli Stati possiedono i mezzi di coercizione (satelliti, missili, aerei, navi da guerra, forze corazzate, servizi, polizia, tribunali, prigioni, ecc.) per “regolare” i rapporti internazionali. D’altronde, è forse possibile spiegare la guerra in Siria o il conflitto israelo-palestinese o lo scontro tra Israele e l’Iran o la questione dell’Ucraina o la guerra dell’Arabia Saudita nello Yemen o il terrorismo islamista e via dicendo “solo” con il potere della finanza o la geoeconomia? Ovviamente no. Qualunque riflessione sulla questione di uno spazio geopolitico europeo e della “sovranità nazionale” quindi dovrebbe perlomeno tener presente che per comprendere la realtà geopolitica occorrono non solo categorie economiche o “ideologiche” ma anche e soprattutto categorie politico-strategiche.D’altronde è noto che terminata la Seconda guerra mondale gli americani erano disposti ad appoggiare i vari movimenti nazionalisti del Terzo Mondo. Tuttavia dovettero riconoscere che pure i comunisti erano nazionalisti. Come allora giustificare la lotta contro il comunismo? Il problema lo risolsero sostenendo che i comunisti non erano veri nazionalisti.
In realtà, era vero l’opposto. Ho Chi Minh, ad esempio, era comunista ma pure nazionalista dalla punta dei piedi fino alla punta dei capelli, per così dire. Il fatto che i vietnamiti comunisti fossero nazionalisti  rappresentava la regola non l’eccezione per quanto concerne le varie lotte di liberazione dopo la Seconda guerra mondiale.
In questa prospettiva, si dovrebbe allora comprendere che oggi più che di un sovranismo europeista vi sarebbe bisogno di una lotta di liberazione nazionale dei popoli europei, ossia di una “Internazionale” dei popoli europei. In definitiva oggi essere “inter-nazionalisti” significa sia difendere il “senso di appartenenza” che opporsi al capitalismo predatore neoliberale ovvero opporsi tanto all’euro-atlantismo (mascherato da europeismo) degli eurocrati quanto all’imperialismo neoatlantista di Trump e Bannon.
*Vedi https://www.vision-gt.eu/platform-europe/per-un-sovranismo-europeista/?fbclid=IwAR3IuoODDScZH4zjsiWOZQ_P-Z5TEQBngxxQvY9hW4-rkPDEmVocx2lQD6g
** Tuttavia, si deve distinguere tra diverse forme di nazionalismo. Un conto è lo sciovinismo, che genera intolleranza e xenofobia, un altro il patriottismo, ovverosia la difesa del “senso di appartenenza” ad una terra, ad una cultura, ad un popolo. In quest’ultimo caso non si può certo parlare di nazionalismo ottuso, basti pensare alle lotte di liberazione nazionale.

ORDINAMENTO ED ORGANIZZAZIONE TRA PLURALISMO ED UNITÀ DELL’ISTITUZIONE, di Teodoro Klitsche de la Grange

Qui sotto un saggio di Teodoro Klitsche de la Grange pubblicato nel 1990 dal periodico Behemoth http://www.behemoth.it/index.php?nav=Home.01

Considerazioni sul pensiero di Hauriou, Schmitt e Romano

SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. Il pensiero istitu­zionista di Hauriou, Romano, Schmitt. – 3. Linee di ela­borazione successiva. – 4. Il carattere fondamentale del­ l’organizzazione nel pensiero istituzionista. – 5. Conclu­sione.

 

  1. – All’influenza di Santi Romano dob­ biamo che, per i giuristi italiani non orientati verso il nor­mativismo, è quasi un luogo comune affermare che è l’ordi­namento a produrre il diritto, o meglio il diritto è tale, in quanto è ordinamento. E, per definire l’ordinamento, si è per lo più ricorsi al concetto di organizzazione (1), impie­ gato dal giurista siciliano per dare l’idea di che cosa, in primo luogo, fosse l’ordinamento giuridico. Da questa con­sapevolezza si è fatta derivare la necessità di studiare, per capire il fenomeno giuridico, le organizzazioni; e, del pari, che queste sono fonte non solo di rapporti giuridici, ma di norme, e, in genere, di diritto oggettivo.

Se però  andiamo  a vedere  cosa  s’intende per organizza­zione (lasciando momentaneamente  da parte l’ordinamen­to) si scopre una genericità definitoria, e spesso, un’assenza totale  di definizione.  Così  tale  concetto,  indicato  talvolta come  la  nuova  frontiera  del diritto  (pubblico),  assume  le sembianze  dell’araba fenice, di cui secondo un noto detto, tutti  giuravano  dell’esistenza,  ma  senza sapere, non  aven­dola vista, come fosse. Soluzione che appartiene al genere delle scorciatoie  scientifiche,  restie  alla precisione  concet­tuale, quanto prodighe nell’impiego di termini, che, indefi­niti, proprio perciò sono assai comodi. Ciascuno infatti può connotarli come vuole, e trovarsi tuttavia d’accordo, come i teologi ricordati nelle “Lettres Provinciales”  con chi, pur servendosene, ne ha un concetto opposto.

Accanto a chi si contenta di questo approccio pirandellia­no, vi sono altri che, volenterosamente, hanno voluto dare una fisionomia all’araba fenice. E così si è sostenuto che perché un gruppo umano possa avere un’organizzazione occorre: a) una distinzione di compiti – questa ritenuta essenziale -; b) per il raggiungimento di un fine : non sem­ pre ritenuto essenziale né necessario.

A ben vedere non ci si può ritenere appagati da tale con­notazione tributaria più all’analisi semantica del termine che alla sua effettiva corrispondenza alla realtà.

Invero, se la si volesse seriamente applicare nel mondo giuridico, non si potrebbe fare a meno di considerare orga­nizzazioni -e per tale via, almeno in parte e/o in nuce ordi­namenti, anche gruppi umani a carattere effimero ed occa­sionale. I turisti di un viaggio “organizzato” o i bambini che giocano ai quattro cantoni sarebbero così la morula delle grandi organizzazioni sociali (2). Identiche nei connotati essenziali – come l’individuo sviluppato rispetto all’em­brione – e diverse solo quantitativamente, perché, come l’individuo, enormemente più ricche di cellule e assai più differenziate.

In effetti al di là delle considerazioni che possono farsi su tali concezioni, appare chiaro che sono assai lontane (e non hanno colto i caratteri più pregnanti) del concetto (di ordi­namento e) di organizzazione, formulato dai giuristi – comunemente “classificati” come istituzionisti -come Santi Romano, Maurice Hauriou ed, in certa  misura,  il “secondo” Carl Schmitt (3). A questi, in effetti non sarebbe capitato di formulare un concetto così poco adattabile al fenomeno primario dell’esperienza giuridica da essi considerato, e cioè lo  Stato.

Nel loro pensiero è l’analisi dell’istituzione-Stato a costi­tuire la base per la costruzione dei concetti su ricordati, di cui rappresenta la forma-concreta-più complessa ed avan­zata. E, dello Stato, l’essenziale è costituito dalla stabilità e dall’effettività; pertanto tutti, in misura maggiore o minore, sottolineano tali caratteri, che un gruppo umano deve avere per costituire un ordinamento. Stabilità i cui connotati sono variamente individuati: da quello puramente temporale (la durata) alla certezza dei rapporti, al progetto politico (all”‘idea” e forse anche alla “formula politica” di Gaetano Mosca) e soprattutto al concreto rapporto di comando – obbedienza che deve sussistere in ogni organizzazione sociale che non sia effimera od occasionale. Su quest’ultimo aspetto (che ha carattere determinante rispetto agli altri, perché è il sussistere di rapporti di comando ed obbedienza che conferisce durata, certezza e concretezza all’istituzio­ne) è d’uopo soffermarsi.

 

  1. Il pensiero istituzionista di Hauriou, Romano, – In effetti nel pensiero degli autori citati, tranne che per Schmitt, l’essenzialità del rapporto comando-obbe­ dienza per l’esistenza di un’organizzazione sociale non è stata posta in rilievo maggiore di altri caratteri; ciò spiega in parte perché sia stata successivamente quasi totalmente dimenticata a beneficio d’interpretazioni riduttive del pen­ siero dei due giuristi, ma, soprattutto, della teoria istituzio­nista. Hauriou, com’è noto, pone in rilievo, nel costruire il proprio concetto d’istituzione, quelli di “potere” “ordine” e “libertà”. Non è inesatto affermare che dei tre concetti è stato il secondo ad aver più successo. Primo e terzo sono stati assai meno considerati. Ma non è inutile notare come è il”potere” a costituire la base del pensiero di Hauriou, nel quale tutti e tre confluiscono e caratterizzano il concetto di istituzione.

È questa a ricondurre ad unità la dialettica fra questi ele­menti. Ma non può dimenticarsi che nel concetto di potere il giurista francese concentrava gli aspetti volontaristici e soggettivistici della propria concezione del diritto; secondo Hauriou  “Il potere  è una  libera  energia  della  volontà che assume  il  compito  del  governo  di  un  gruppo   umano mediante la creazione dell’ordine e del diritto” (4). Essen­ziale a questo compito creativo è il comando, per cui, qual­ che pagina dopo, nel delineare i caratteri dell’organizza­zione sociale, specifica: “Il y a d’abord une erreur à éviter (dans laquelle, bien entendu, des quantités de gens se sont précipités): c’est l’explication  de l’organisation  sociale par la divisione du travail ou par la différenciation des fonctions entendue au sens économique de la loi du moindre effort. Il y a une trentaine d’années, on a cru à cette explication par les organismes vivants; je pense qu’on en est revenu. En tout cas, en matiére d’organisation sociale, la differéncia­ tion des organes et des fonctions, au sense économique, est un phénomène tardif, et non point primaire. Les phénomèns primaires sont d’ordre politique,  c’est l’apparition d’un centre directeur ou fondateur, celle d’organes de gouverne­ment, celle d’equilibres gouvernamentaux et, enfin, des consentements” (5); onde conclude che “l’apparizione del Centro fondatore e degli organi di governo costituisce, se si vuole, una differenziazione tra governcmti e governati, ma questa è di natura politica e non ha alcun rapporto con la divisione del lavoro” (6). L’organizzazione sociale lungi dallo spiegarsi con il meccanico svolgersi di leggi naturali, sorge da una “libera energia della volontà”, questa energia crea “l’ordine ed il diritto”; l’ordinamento (e l’organizza­zione) nasce con la differenziazione tra governanti e gover­nati, distinzione  che non ha nulla  d’economico.

Per Santi Romano, “ogni forza che sia effettivamente sociale e venga quindi organizzata si trasforma perciò stesso in diritto… Viceversa non è diritto… soltanto ciò che non ha organizzazione sociale” (7). E che cos’è un’organizza­zione sociale? Santi Romano aveva una giusta diffidenza verso il concetto: ma quando giunge a dare una rappresen­tazione delle istituzioni (in rapporto al concetto d’organiz­zazione), scrive che: “…Tali enti vengono a stabilire quella sintesi, quel sincretismo in cui l’individuo rimane chiuso; è regolata non soltanto la sua attività, ma la sua stessa posizio­ne, ora sopraordinata ora subordinata a quella di altri, cose ed energie sono adibite a fini permanenti e generali, e ciò con un insieme di garanzie, di poteri, di assoggettamenti, di libertà, di freni, che riduce a sistema e unifica una serie di elementi in sé e per sé distinti. Ciò significa che l’istituzione, nel senso da noi profilato, è la prima, originaria ed essen­ziale manifestazione del diritto. Questo non può estrinse­carsi se non in un’istituzione, e l’istituzione intanto esiste e può dirsi tale in quanto è creata e mantenuta in vita dal dirit­to” (8).

Anche nel trattare della giuridicità degli ordinamenti considerati “antigiuridici” sostiene che è “un’ordinamento giuridico…; in quanto irreggimenta e disciplina i propri ele­ menti” (9). È significativo che Romano dia quasi per nulla peso alla differenziazione delle funzioni, e ne attribuisca tanto ai concetti di “unità” e “chiusura” per definire l’istitu­ zione: ma, in relazione a ciò, giova sottolineare che è diffici­le, se non impossibile, concepire un ordinamento “unito”, se non attraverso il potere di comando di un individuo (o di un organo) su altri individui (od organi) e il correlativo crearsi di posizioni  (status) di sovra e sottoordinazione.

C’è poi un passo dell’ Ordinamento giuridico in cui ilgiu­ rista chiarisce in modo decisivo tale carattere essenziale del­l’ordinamento: ed è quando ricorda “che è possibile conce­pire un ordinamento, che non faccia posto alla figura del legislatore,  ma  solo a quella  del giudice … Se così  è,  il momento giuridico, nell’ipotesi accennata, deve rinvenirsi, non nella norma, che manca, ma nel potere, nel magistrato, che esprime l’obiettiva coscienza sociale, con mezzi diversi da quelli che son propri di ordinamenti più complessi e più evoluti” (10). Anche in questo passo Santi Romano indivi­dua nel potere (di comando) la condizione necessaria per­ché sussista un ordinamento (e con ciò l’organizzazione del gruppo sociale). D’altra parte in ciò è coerente col pensiero espresso in altri saggi. In uno dei più interessanti, !”‘Instau­razione di fatto di un ordinamento giuridico” , il rapporto forza-diritto-legittimità è analizzato in modo che risulte­rebbe incomprensibile, a non tener presente il concetto di istituzione, proficuamente caratterizzato dal rapporto comando-obbedienza. Analogamente nel descrivere l’or­ganizzazione unitaria  di un movimento rivoluzionario (che è un ordinamento giuridico, “sia pure imperfetto, fluttuan­te, provvisorio”), Romano ricorda “ci saranno dirigenti … norme di vario genere che regolano le attività rivoluziona­rie, persone ed enti che obbediscono a tali norme, sanzio­ni…” (11).

Sembra superfluo sottolineare che il concetto d’ordina­mento giuridico da Schmitt tratteggiato negli anni ’30 pre­suppone, anzi è costruito, intorno al rapporto comando­ obbedienza. Non solo Schmitt parla ripetutamente, nel riferirsi all’ordinamento concreto ed all’istituzione, di gerarchia e di disciplina, proprio negli scritti in cui sarebbe avvenuta la svolta del grande giurista verso l’istituzionismo; ma anche negli scritti precedenti, specialmente nella Politi­ sche Theologie I e nella Verfassungslehre è manifesto che l’esistenza di un’ordinamento (anche se Schmitt si riferisce quasi sempre ad un ordinamento politico) è determinato dal fatto che alcuni uomini hanno il (diritto di) comando su altri uomini.

Una comunità e un ordinamento sono tali in quanto sussi­ stono rapporti di sovra e sotto ordinazione tra le persone che vi partecipano (12). La stessa polemica che Schmitt svolge contro il concetto di ordinamento – come inteso dai giuristi normativisti – (13) rivela, accanto alla contrapposi­zione principale (tra diritto come ordinamento e diritto come norma) una, secondaria ma rivelatrice, tra conce­zione d’ordine” elaborato sui concreti rapporti tra compo­nenti l’istituzione e quella fondata su regole meramente tec­niche o comunque applicabili solo in una società dove vigono norme basate sullo “scambio” (cioè in definitiva, costituita  di rapporti tendenzialmente  e prevalentemente economici). Il carattere di categoria generale ,che ha un ordine del primo tipo e quello -limitato, se non  eccezionale

– del secondo non hanno bisogno di essere sottolineati.

Schmitt non sottovaluta gli elementi dell’istituzione non totalmente riducibili al rapporto comando-obbedienza: nel suo pensiero la legittimità è (in parte) il corrispondente dell’idea di Hauriou. Tuttavia l’ispirazione continua che trae dai pensatori controrivoluzionari, (il cui pensiero giuridico

– in termini necessariamente generici – potrebbe definirsi un misto di istituzionismo e decisionismo) gli evita di cadere nel soggettivismo esasperato, che è la principale strada che si apre ad un decisionista conseguente. La polemica anti­ romantica, contro un “Io” politico svincolato da ogni riferi­mento alla concreta situazione storica e politica; il suo stesso definirsi, negli anni ’30 “organo del pensiero giuri­ dico del popolo tedesco”, ancorava il suo decisionismo all”‘ubi consistam” della situazione storica, determinata da tutte le “costanti” di cui l’uomo di governo (e lo scienziato politico) deve tener conto.

Resta il fatto, di per sé incontrovertibile, che tutti e tre i grandi giuristi delineavano il concetto di organizzazione in termini che hanno poco a che vedere con la divisione dei compiti tra più soggetti: questa appare loro secondaria, e, tutto sommato, derivata da quell’altra, essenziale, divi­ sione dei compiti, che vuole il gruppo sociale costituito quando qualcuno comanda e gli altri obbediscono. Del pari la stessa attività “regolativa” o di normazione, appare secondaria e derivata rispetto all’essenzialità di quel rap­porto, come giustamente rilevava Santi Romano, coll’e­sempio – dinnanzi ricordato – di una comunità il cui tessuto connettivo era costituito dalle decisioni dei giudici (14).

  1. Linee di  elaborazione    – Nella  successiva elaborazione  del  concetto  anche  da  parte  dei  giuristi  più vicini  all’ipotesi  istituzionista,  questa  costante  dell’idea  di ordinamento   (ed  organizzazione)  è  andata  – in  parte  – smarrita. C’è, quindi, chi ha identificato gli elementi neces­ sari  dell'”ordinamento  giuridico”,  nella  plurisoggettività, nella  normazione,  e  nell’organizzazione.  E  quest’ultima, come accennato sopra, è caratterizzata  esclusivamente  dalla divisione  dei  compiti,  con  relativa  istituzione  di  “uffici”. Talaltro  ha  voluto  ricavare  il  concetto  d’organizzazione basandosi  su  quello  di  “potere”  (giuridico),  ritenuto  un prius  rispetto  a quello di diritto, e in grado di spiegare, in tali termini,  i rapporti tra organi della stessa organizzazio­ne,  che  è  poi  uno  dei  punti  dolenti  delle  tematiche  degli ordinamenti.  Con  ciò indubbiamente  ci  si avvicina  di più alle concezioni dei tre giuristi ricordati, non foss’altro per­ché, nell’analisi semantica del termine “potere” è implicito, in una certa misura, minima se si vuole, il concetto di domi­nio,  di  signoria  e  quindi  di comando.  Ma  le potenzialità positive di tale concezione non sono state spesso conseguentemente sviluppate e portate alle logiche conclusioni.

Il potere diventa così, più che altro, il contenuto (e il limi­te) della competenza dell’organo, anfibiologicamente (e, talvolta, ambiguamente) definibile sia in termini di divi­sione dei compiti (o del lavoro) sia in relazione ai rapporti di sovra e sottoordinazione. In questo si può notare la dimenticanza di un dato giuridico essenziale, costante preoccupazione dei teorici dell’istituzione, espressa in par­ticolare da Schmitt e da Romano: quello dell’unità dell’or­dinamento. A tale proposito è appena il caso di rilevare, prescindendo, al momento, da considerazioni di teoria generale e di sociologia del diritto, che qualsiasi organizza­zione sociale può agire per il diritto, in quanto “unità”. Il diritto positivo non prende in considerazione, come sog­getti di diritto, se non persone, fisiche o giuridiche che  siano. Perché un gruppo possa essere centro d’imputazione   di rapporti, occorre che i componenti raggiungano un’unità (di volizione e/o di azione). È solo questa che consente al gruppo d’agire e di avere rilievo giuridico.

A ·trasporre questo dato in termini di teoria  generale (cioè in quelli in cui lo formulavano Schmitt, Hauriou e Romano) ciò significa che un gruppo sociale può avere con­sistenza d’ordinamento, quando (attraverso la sua organiz­zazione) opera la reductio ad unitatem delle volontà dei membri; al minimo, attraverso un differente potenziale di potere tra i componenti, che assicuri in ogni caso una deci­sione valevole per tutti. Se questa unità non c’è, non c’è neppure  ordinamento,  né organizzazione.  Di guisa che   il problema di quale ne sia l’elemento essenziale e basilare consiste nell’identificare quello che consente di unificare le varie componenti, e renderle così capaci di agire unitaria­mente. Questo è, indubbiamente, l’organizzazione “gerar­chica” (intendendo tale termine in senso ampio) del gruppo (15), per cui ogni organizzazione ha un centro di riferi­mento dominante e decisivo rispetto agli altri. È significa­tivo del disinteresse verso tale approccio, che sia stato poco considerato come il diritto positivo, laddove, in un’ente, non si riesca a raggiungere questa unità (e conseguente­mente capacità d’agire), provveda con meccanismi “di sup­plenza”, tipici gli organi straordinari commissari o i provve­dimenti “sostitutivi”, nominati o deliberati da uffici ed organi di Enti sovraordinati. La scarna riflessione su questi istituti è in puntuale corrispondenza con la sottovaluta­zione dell’elemento “autoritario” e del carattere unitario dell’istituzione,  che da quello è assicurato.

D’altra parte, l’acuta sensibilità di Schmitt e Romano ai problemi del diritto “statu nascenti” ed alla concretezza sto­rico-politica faceva dell’idea di unità il dato (e l’esigenza) necessaria e centrale. Lo studio, acuto anche se non appro­fondito, dell’organizzazione rivoluzionaria che fa il giurista siciliano, lo rende palese. Tutti, d’altra parte, possono immaginare che fine avrebbe fatto la Rivoluzione d’otto­bre, se, dopo la votazione del comitato centrale nella notte del 23 ottobre 1917, maggioranza e minoranza bolscevica fossero andate ciascuna per la propria strada, e, ancor di più se i militanti non avessero eseguito (o eseguito solo in parte) le decisioni del Comitato  centrale.

L’idea di unità è d’altronde implicita nel concetto di “pouvoir” che tanta importanza ha nel pensiero di Hauriou. È importante notare come allo stesso appariva del tutto naturale che nell’idea di “pouvoir de droit” confluiscano i due aspetti della competenza (intesa in senso lato) e del dominio (che per Hauriou, dato il carattere burocratico del­l’istituzione-Stato consiste soprattutto nel potere di con­trollo).

Dato che, come abbiamo visto, il concetto d’organizza­zione accolto da alcuni giuristi successivi non è, se non in modesta misura, riferibile al pensiero di Romano, Schmitt ed Hauriou occorre ricavare quali referenti  culturali abbia la concezione criticata.

È condivisibile che una teoria istituzionista del diritto, è, come sostiene Schmitt con espressione sintetica, una teoria caratterizzata dal carattere di sovrapersonalità, cui si contrappongono la personalità del decisionismo e l’impersona­lità dell’impostazione normativistica (16). Tale scriminan­te, in sé riferibile più che al pensiero concretamente espresso, a tipi ideali, è un punto di partenza per comprendere i presupposti di una teoria istituzionale “debole”.

È indubbio che dopo il soggettivismo ed il razionalismo della seconda metà del XVIII secolo, fondamenti ideali della rivoluzione borghese, col XIX si apriva un periodo di prevalenza degli aspetti oggettivistici, considerati le “deter­minanti” del diritto. Non era solo la Scuola storica del dirit­to, né la filosofia hegeliana o i suoi epigoni (tra cui Marx): era la maior pars del pensiero politico-giuridico a reagire al soggettivismo razionalistico della Rivoluzione Francese. In linea generale ciò appare evidente: è più interessante però notarne  le conseguenze  sulla teoria  generale del diritto.

A tale proposito, la prevalenza, nella seconda metà del XIX secolo, del positivismo giuridico, ha costituito un freno al formarsi di concezioni giuridiche che tenessero in gran conto gli aspetti sociologico-fattuali non solo come condi­ zionanti (in modo decisivo) il diritto, ma come costitutivi dello stesso,  attraverso concetti come !'”istituzione” o simili ( ciò con l’eccezione, notata abitualmente, di Otto  Gierke).

In questo senso, il positivismo giuridico della seconda metà dell’800 ha impedito che le concezioni maturate in altri ambiti scientifici potessero avere compiuta rispon­denza in quello giuridico. Questo è vero in particolare per la teoria dell’istituzione. È certo, a tale riguardo, che tra il pensiero istituzionista e le (prevalenti) concezioni politico­ istituzionali del periodo della Restaurazione c’è un nesso evidente; del pari molti giuristi hanno sottolineato il carat­tere “sociologico” della concezione istituzionista, creando un nesso (che c’è, ma probabilmente più tenue di quanto si creda) tra sociologia e teoria istituzionale.

Senonché la sociologia, come qualunque scienza natura­le, va alla ricerca delle determinanti e delle costanti dell’a­gire sociale; una spiegazione del diritto in termini puramente (meglio sarebbe dire piattamente) sociologici porta a sottovalutare e ad espungere dal mondo giuridico l’azione della libera volontà umana (Hauriou) e l’orgoglio della decisione fondamentale (Schmitt). E, quel che è più gra­ vido di conseguenze negative, la sociologia studia il diritto come fatto, mentre la scienza del diritto ha – ovviamente – una visione più ampia, comprensiva e diversa del fenomeno giuridico.

Ad applicare (con una certa ingenuità) il metodo delle ricerche sociologiche, è chiaro che costituiscono fatti l’esi­stenza di un gruppo sociale, la normazione che questi si da e l’organizzazione in cui si articola. Mentre sono spiegazioni di tali fatti, che l’organizzazione sia tale anche perché c’è una distinzione tra chi comanda e chi obbedisce, tra ciò che è comune e ciò che è individuale, o per la funzione che ha l’i­stituzione.

La spiegazione di un fatto però si presta, agli occhi di metodologi incantati dalla “oggettività” e dalla “misurabili­tà” del dato empirico, ad essere tacciata di non scientificità, se non di pregiudiziali ideologiche. A poco vale che, in uno specifico campo d’indagine, il dato empirico spieghi assai meno di una valutazione e definizione degli elementi in gio-

 

co, o meglio che quello sia solo (e in parte) la base su cui lavorare per  arrivare  a conclusioni  di reale interesse.

Quando poi l’empirismo sociologico si coniuga con il determinismo economico, la distorsione del dato reale è assicurata.  Da un  simile mélange , tutti i concetti  giuridici

vengono piegati ai presupposti elementari di un sistema di pensiero  economico.  La distinzione  dei  compiti nell’appa­rato di “governo” del gruppo diventa così una sottospecie della divisione del lavoro: come questa è determinata dalla razionalità funzionalistica di una migliore  utilizzazione delle attitudini di ciascuno, ai fini di una maggiore produtti­vità sociale; la stessa distinzione tra chi comanda e chi obbe­disce (che è la base, sia pure funzionale, dell’ineguaglianza tra governanti e governati) diventa irrilevante, ma più ancora incompatibile, con un sistema di pensiero dominato dai postulati dell’eguaglianza tra homines  aeconomici  e della loro libertà di scegliere, acquistare e vendere, a pari condizioni,  dei beni.

Al termine di questa strada, non si riesce più a compren­dere in cosa una società cooperativa differisca dallo Stato, o, all’altro estremo sociologico, da un gruppo sociale occa­sionale. Che proprio teorici come Schmitt ed Hauriou aves­ sero messo in guardia contro queste interpretazioni econo­micistiche del diritto e del concetto d’istituzione è cosa che potrebbe, al limite, interessare poco, se non si volesse poi, attribuire alla teoria istituzionale implicazioni espressa­mente rifiutate dai “soci fondatori”. Come del pari, è evi­ dente che, come sopra cennato, lungi dal ricondursi ad una qualche forma di determinismo sociale, il pensiero di Hau­riou appare ispirato al bergsoniano èlan vita!, all’istituzione come impresa della volontà umana libera e creatrice; e quello di Schmitt alla decisione sovrana, condizionata sì dalla situazione storica, ma, quanto meno nel caso d’ecce­zione, libera nei mezzi e, in certa misura, negli stessi   fini.

Sotto un diverso aspetto, la teoria dell’istituzione è stata percepita (e recepita) come reazione avverso la “statalità” del diritto e come negazione del “monopolio” statale alla sua produzione, cui contrappone la pluralità degli ordina- menti giuridici.

Le valenze pluralistiche della teoria sono state tra le meglio accette, specie quando si coniugavano con precise (ancorché differenti) posizioni ideologiche. È stato quindi una conseguenza logica che dalla constatazione della plura­lità degli ordinamenti si passasse al pluralismo, dal relativi­smo vitalistico e realistico all’ideologia del neo-corporativi­smo, se non  del neo-feudalesimo  (17).  Questa è stata grandemente facilitata dall’immissione di robuste dosi di nor­mativismo nella teoria dell’istituzione: il pluralismo così inteso consente infatti di coniugare il diritto “originario” all’esistenza ed all’autonomia dei più svariati gruppi (ed istituzioni) con le garanzie che solo uno Stato legislativo parlamentare, con le sue norme “misurabili”, promulgate con leggi (costituzionali ed ordinarie) non facilmente modi­ficabili, può  offrire congruamente.

Applicando ai tipi di pensiero  giuridico  le correlazioni che Schmitt stabilisce tra “tipi” di Stato (giurisdizionale, legislativo-parlamentare, governativo-amministrativo) e scelte politiche (conservatorismo, evoluzionismo progressi­sta, radicalismo di destra o di sinistra), si può affermare che un tipo istituzionale “puro”, si coniuga col  conservatori­smo; quello normativista col progressismo moderato ed evoluzionista; il decisionismo col radicalismo. Con tutte le approssimazioni e i distinguo che il tema ed il carattere di queste classificazioni impone, il massimo della chiarezza nei risvolti politici di tali concezioni può però ancor meglio ritrovarsi nelle forme “miste” che nei tipi “puri” di pensie­ro. Sotto tale profilo, nella realtà storica la miscela più con­ servatrice è indubbiamente quella tra istituzionismo e nor­mativismo. (nel senso precisato). In effetti una teoria istitu­zionale “pura” è una  teoria  del  “movimento”  (evolutivo) del diritto prodotto dalle varie articolazioni dell’istituzione (Hauriou); mentre una regolamentazione legislativa rigida dell’attività sociale tende ad imbalsamarla in forme e rap­ porti la cui evoluzione viene resa più  difficile.

A ben vedere questa particolare “garanzia” della stabili­tà, tipica della vulgata pluralista, non la si trova nel concetto d’istituzione (o di ordinamento) di nessuno dei tre grandi giuristi: il paragone della scacchiera di Santi Romano, con l’organizzazione come prius e “ragione sufficiente” rispetto alla produzione normativa, con la stessa coesione dell’ordinamento  ritenuta  indipendente  dalle  “norme”,  ma assicu­rata dal comando, rende bene il senso del concetto, in cui è il reale che precede e prevale, in ogni caso, sul normativo.

Come lo rende la contrapposizione di Schmitt tra la neces­saria indeterminatezza di certi concetti, peculiari di un ordi­namento concreto, perciò stesso applicabili solo in un determinato contesto di rapporti sociali, ed il concetto di “norma” della dottrina normativista (18).

Ciò perché, a differenza di alcune impostazioni “plurali­stiche”, la teoria dell’istituzione non prescinde mai dai rap­porti di sovra e sotto-ordinazione, né dalla concreta situa­zione che in quelli trova una costante. La pluralità di ordi­namenti e la loro compresenza nella realtà sociale non ne significa l’eguaglianza, né tanto meno il diritto all’esistenza. Un pluralismo, gravido di implicazioni giusnaturalistiche, concepisce invece l’esistenza di una pluralità di ordinamenti come diritto all’esistenza medesima. Sostituendo così l’indi­ viduo ed i diritti dell’uomo, punto di partenza del liberali­ smo politico, con i gruppi ed i loro diritti “naturali” o “stori­ci”, senza che con ciò, mutino presupposti e risultati; né si attingano le valenze realistiche della teoria dell’istituzione.

Partendo da un simile pluralismo non si riesce a compren­dere neppure il reale significato di quello che è il punto d’Archimede della teoria istituzionale: e cioè l’esistenza di ordinamenti illeciti accanto (e/o all”‘interno” di) quelli leci­ti. L’apparente antinomia si risolve, per Santi Romano, nel­l’effettività (e quindi nella “validità”) di entrambi, assicu­rata dal rapporto comando-obbedienza all’interno di cia­scuno di essi; per un pluralista coerente il problema è – a ben vedere -irrisolvibile: o la liceità reciproca è frutto di un impossibile  “riconoscimento”,  o l’asserita illiceità dell’uno

è frutto di un errore evidente se non di un inammissibile sopruso.

La caratteristica saliente, e il risultato, cui porta la conce­ zione criticata è la spoliticizzazione di ogni istituzione e di ogni teoria del diritto pubblico che si basi – anche se non totalmente – su categorie “politiche”. Organizzazione senza gerarchia e parità tra ordinamenti significa null’altro che la realizzazione del sogno sansimoniano di sostituire al governo degli uomini l’amministrazione delle cose (19).

Un’organizzazione caratterizzata dalla mera ripartizione di competenza e lavoro tra più uffici, a cui è estraneo ogni rapporto di subordinazione, non ha, invero, altro senso. Politica è invece, in primo luogo, comando e subordinazio­ ne: anche se tale requisito non basta a qualificare il “politi­co”, è indubbio che la sua eliminazione dal mondo signifi­cherebbe rendere impossibile l’attività politica, che, per definizione, è attività di gruppi umani fortemente  coesi.

Del pari la rivendicazione della “parità” tra ordinamenti (o del diritto all’esistenza) si muove sullo stesso percorso. Parità tra ordinamenti vuol dire parità ed eguaglianza tra uomini che ne fanno parte, e, più ancora, tra coloro che li guidano. Il “diritto” all’esistenza di più ordinamenti, del pari, significa negazione dell’assolutezza della volontà che ne tiene unito almeno uno. Infatti ad una volontà che si assume assoluta non può contrapporsi alcun ostacolo giuri­dico. Entrambe le affermazioni sono quindi contrarie all’es­senza del politico, che postula la subordinazione  dell’uomo all’uomo e un comando privo di limiti, perché sussista una comunità politica (20). In questo contesto l’interpretazione pluralista della teoria dell’istituzione è l’esito, compiuto e coerente, della tendenza alla spoliticizzazione, tipica di un certo pensiero moderno.

  

  1. Il carattere fondamentale dell’organizzazione nel pen­siero – È stato asserito che la teoria istituzio­nale (specie nella formulazione di Hauriou) peccherebbe di “sociologismo”. L’errore (o meglio l’insufficienza) sarebbe quella di costruire il diritto sul “gruppo sociale”, mentre, perché un gruppo sociale sia coeso, occorre che i rapporti si organizzino nel (e con il) diritto. Questo sarebbe così l’ele­mento determinante nel dare consistenza giuridica al grup­po. Il fatto che questo esista viene così svalutato essendo, nella ipotesi più favorevole, una condizione, necessaria ma non sufficiente, perché si possa parlare di diritto.

In effetti la concezione criticata prende le mosse dalla necessità   di  differenziare,   nei  gruppi  sociali,  quelli  che costituiscono istituzioni da quelli occasionali, ed effimeri: e sarebbe il diritto a distinguere gli uni dagli altri. Inoltre è stato sostenuto, specie per Hauriou, che la sua imposta­zione non tiene conto della possibile genesi “contrattuale” delle istituzioni, che farebbe così venir men il presupposto “autoritario” della volontà del fondatore. Tale critica non pare cogliere nel segno: è infatti viziata, in primo luogo, dalla mancata individuazione dell’elemento essenziale del­l’istituzione, che imprime giuridicità (ed assieme lo rende tale) al gruppo sociale: la presenza dei rapporti di sovra e sotto ordinazione. Infatti, anche se da taluno è stato notato l’elemento “autoritario” che segna l’istituzione, è chiaro che tale critica presuppone di non tener conto (o non tenere nel dovuto rilievo), il rapporto comando-obbedienza. Invero ciò che differenzia un gruppo occasionale da un'”istituzione” non è il carattere giuridico (che è poste­rius), ma, come già scritto, tale rapporto, che ne assicura l’unità e la stabilità, e con ciò la giuridicità. Non è in altri termini il diritto ad autocrearsi, ma è sempre un elemento pre-giuridico a generare i rapporti giuridici.

Inoltre non è stato notato come sostenere che vi è un ordinamento “giuridico” quando è organizzato dal (o mediante  il) diritto vuol  dire esprimersi  per   tautologie,

come il malato immaginario di Molière durante l’esame di dottorato (21). Resta così da tale impostazione inspiegato il principale carattere innovativo della teoria dell’istituzione; quello di ridurre a questa il diritto, stabilendone l’identità. In realtà come scrive Schmitt, ciò che differenzia un giurista “istituzionista” da un “decisionista” o da un “normativi­sta”, non è il negare che il diritto consista, oltre che di istitu­zioni, di norme e decisioni (e viceversa, per gli altri “tipi” di pensiero giuridico), ma a quale di questi tre concetti, possa ridursi, in ultima analisi, il diritto. Affermare che un ordi­namento è giuridico in quanto “organizzato” dal diritto, significa sottrarre dalla connotazione del concetto il ter­mine diritto, dando per scontato che debba aggiungersi dal­ l’esterno, e, nel contempo, negando l’identità tra diritto ed istituzione, su cui si regge la teoria istituzionista (22).

D’altra parte l’elemento normativo (inteso nel senso di comando, e non di regola) è per il diritto necessario ed inso­stituibile: è strano che questo, ritenuto generalmente essen­ziale per il “giuridico”, sia stato trascurato nello studio della teoria istituzionale.  Specie se si tien conto che l’accentuato che la definizione dell’istituzione formulata da Hauriou non ne esclude affatto la fondazione “pattizia” (23), v’è da dire che gli istituzionisti pensavano principalmente alle istitu­ zioni – comunità (e non alle istituzioni – società) (24), non solo perché quella più complessa ed interessante per il giuri­sta, ovvero lo Stato, è un’istituzione – comunità (25); ma perché queste non consentono di spiegare il diritto in base a termini giuridici, spiegazione che può essere avanzata per le altre. Sono, in parole diverse, gli ordinamenti comunitari a costituire il caso-limite (il quale, proprio per questo, è più interessante in sede scientifica), che permette d’individua­re, nella purezza concettuale, gli elementi essenziali del diritto. La comunità prescinde dal consenso individuale, dal patto tra volontà libere ed eguali: l’elemento sociale e il carattere necessario (se non  “naturale”)  dell’ordinamento ne vengono così esaltati; la comunità è, per definizione, intessuta di rapporti di sovra e sotto-ordinazione, sin dal momento “costitutivo” (quasi sempre non individuabile); non è fondata sullo “scambio”. L’istituzione-società può prescindere  da gran parte  di questi  elementi:  solo da uno (forse da due) non può sfuggire: dalla presenza, una volta costituita, di una (o più) volontà “prevalenti”, decisive per l’agire comune. Così lo stesso carattere “pattizio” della costituzione di un associazione non toglie che, perché que­ sta possa esistere, vi debba essere un centro direttivo, che esercita dei poteri sociali, quanto meno quelli che consen­tono all’istituzione  di agire unitariamente  (26).

 

  1. – Secondo la nota tesi, esposta da Schmitt nella Politische Theologie e in Politische Romantik, De Bonald, de Maistre e Donoso Cortès sono pensatori emblematici del decisionismo politico. In effetti Schmitt ne espone il pensiero contrapponendolo sia al liberalismo della restaurazione che al romanticismo politico. Di fronte a posizioni ispirate al soggettivismo, al razionalismo, all’occasionalismo e alla sostanziale negazione della sovranità, il pensiero dei controrivoluzionari, dominato dall’oggettività della concreta situazione storica e dalla costante afferma­zione dell’insostituibilità di decisione e sovranità, ha il pre­gio della chiarezza e della coerenza, che solo una radicale opposizione, intessuta (e derivata) di esperienze di vita oltre che di convinzioni e di cognizioni teoriche può dare. Ciò non toglie che il giurista tedesco sia troppo avvertito per sottovalutare i tratti del pensiero dei controrivoluzionari riconducibili al “tipo ideale” del pensiero istituzionista: solo che non li sviluppa, probabilmente perché non interes­santi i temi affrontati nella Politische Theologie (alcuni cen­ ni, anche se non riçollegati alla teoria istituzionale, vi sono invece in “Politische Romantik” ). Nella realtà la concezione dei controrivoluzionari può essere ricondotta ad un mélange di istituzionismo e decisio­nismo, o meglio dei “tipi ideali” dell’uno e dell’altro. Del primo i controrivoluzionari hanno il senso del condiziona­mento storico-sociale delle istituzioni, l’infuenza su queste del sentire comune; un certo (limitato) determinismo stori­co; e la coscienza che ciò che è esistente, duraturo e proprio perciò vitale è, di per sé, produttivo di diritto. Del secondo la consapevolezza che comunque la comunità è tale (e può esistere) in quanto vi è un autorità assoluta, capace di pren­dere decisioni inappellabili; e che il potere consiste nel deci­dere per (e al di sopra degli altri). La formula paolina “om­ nis auctoritas a Dea”, (che si converte in quella maistriana che ogni potere è buono quando è costituito), non è inter­pretata dai controrivoluzionari nel senso, fatalista e deter­minista, dell”‘impersonalità” del potere, determinato da scelte imperscrutabili della Provvidenza (e/o della Storia), ma, in quello della necessità dell’autorità (cioè nel senso della “costante” storico·-politica di un potere sovrano), e nel contempo della personalità della stessa, libera nel prendere le decisioni fondamentali (27).È capitato così che i controrivoluzionari sono stati i primi ed energici assertori, in epoca contemporanea, di quelle tesi ricordate, fondamentali nel pensiero istituzionista. La consapevolezza di ciò non è stata, in genere avvertita; e, conseguentemente si è studiato poco o punto il rapporto tra questi e quelli.Ma, indubbiamente, il limite più grave che ne è derivato, è non aver compreso appieno il pensiero dei teorici dell’isti­tuzione, non avendo tenuto conto, nella giusta misura, del carattere decisivo che gli stessi attribuivano ai rapporti di sovra e sotto-ordinazione, ed all’importanza dell’organiz­zazione “gerarchica” dell’istituzione. Ne è conseguita l’ac­centuazione del carattere sovra-personale (e, a tratti, impersonale) del pensiero istituzionale. Del determinismo sociale rispetto all’azione e alla volontà umana. Dell’istitu­zione come “cosa” (se non “macchina”), rispetto all’istitu­zione come insieme organizzato di rapporti tra uomini. Da ciò a passare ad una concezione tendenzialmente sansimo­niana ed “oggettivistica” dell’istituzione il passo è stato bre­ve
    1. Nella realtà, questo può compiersi solo a costo di fer­marsi all’aspetto superficiale ed esteriore dell’istituzione, dimenticandone la funzione e, soprattutto, omettendo di approfondire i risvolti più interessanti.

    Nel pensiero dei tre grandi giuristi, come dei loro precur­sori contro-rivoluzionari, l’istituzione è strettamente legata alla decisione ed alla struttura “gerarchica”; l’oggettività dell’organizzazione non prescinde, anzi è fondata sulla sog­gettività del comando. Elementi oggettivi e soggettivi stanno in equilibrio. Anche perciò può parlarsi di una con­cezione che è un misto dei tipi ideali dell’istituzionismo e del decisionismo. L’impostazione vitalistica e l’approccio reali­stico con cui si accostano ai problemi del diritto li colloca, anche se in misura diversa, vicini ai più noti scienziati  politici italiani del primo novecento, loro contemporanei, in cui la sensibilità sociologica si coniugava col realismo con cui indagavano  sui rapporti politici.

    La teoria della classe politica e delle élites, la legge ferrea delle oligarchie, la funzione ordinatrice dei principi di legit­timità, sono acquisizioni che appaiono – in larga parte – comuni ai “machiavellici” ed ai giuristi ricordati (28). La relazione tra il pensiero degli uni e quello degli altri, come

    • per i controrivoluzionari, è ancora poco approfondita, pro­babilmente in omaggio a specializzazioni scientifiche che sovente riescono, così, ad occultare le relazioni più interes­santi ed a precludersi una comprensione esauriente. Ma è sicuramente vero, come scrive Schmitt, che chi disturba questa divisione del lavoro nell’ingranaggio scientifico, diventa un guastafeste. E il guastafeste è, com’è noto, “sempre l’aggressore”.

    Teodoro Klitsche de la Grange

( 1) Il concetto (o meglio il termine) di organizzazione è stato impiegato per  connotare  sia  il  concetto di ordinamento  che come  “nuova  frontiera” della dottrina del diritto pubblico. In ambo  i  casi  la  letteratura  non manca, per  cui  ci  limitiamo  a citare  i  contributi  più  caratterizzanti,  rimandando per il resto alla dottrina citata da F. MODUGNO voce “Ordinamento giuridico­ dottrina” in Enciclopedia del diritto, p. 678 n. Quanto al primo problema si veda M.S. GIANNINI. Glielementi degli ordinamenti giuridici, in Rivista tri­ mestrale di diritto pubblico, 1958, p. 219; quanto al secondo i contributi sono assai più numerosi. A prescindere dalla nota impostazione di DE VALLES. Teoria giuridica dell’organizzazione dello Stato, Padova 1931 e 1936; v .. da ultimo, G. BERTI Il principio organizzativo del diritto pubblico, Padova 1986 (con ampia trattazione del concetto di organizzazione); per contributi meno recenti v. S. FODERAR O La personalità interorganica, II ed, Padova 1957; il volume collettaneo L’organizzazione amministrativa. Atti del IV Convegno di scienza dell’amministrazione, Milano 1959.

(2)È rilievo simile a quello formulato da M.S. GIA NNINI. Gli elementi,

cit.. che ne rileva la inconsistenza per la ricostruzione dei fenomeni giuridici.

(3)Per SANTI ROMANO v. L’Ordinamento  giuridico,  1918 v.  anche voce Organi in Frammenti di un dizionario giuridico, Milano 1983; Prin­ cipi di diritto costituzionale generale Milano 1947; per HAURIOU Préçis de droit constitutionel (1929), risi. 1965; IDEM. Theorie de l’institution et de la fondation ora in traduzione italiana ne la  Teoria giuridica  de/l’istituzione  e della fonda_zione, Milano 1967; per C. SCHMITT v. Legalitiit und legimitiit; Uber die drei Arten des Rechtwissenschaftlichen Denkens, ora  entrambi  tra­ dotti in italiano (anche se non totalmente) ed inseriti nella raccolta di saggi “Le categorie del politico” Bologna 1972.

(4)Préçis de droit constitutionel, , p. 15. D’altra parte tenuto conto del­ l’influenza che il pensiero di Bergson ha esercitato sul giurista francese, è proprio il “potere” col suo carattere dinamico e creativo a dover costituire l’elemento primario di un pensiero giuridico influenzato da una filosofia vita­ listica.

(5) cit., 72, si noti che Hauriou cita la tesi di Prévost-Paradol per cui

”l’obéissence est le lien des  Societès”.

(6)loc. cii.

(7)L’ordinamento giuridico, Firenze 1967, pp. 43-44

(8)ult. cii., p. 43.

(9)Op. ult. cii., p. 44.

( IO)  Op. ult. cit.. p. 21.

(11) Rivoluzione e diritto in Frammenti di un dizionario giuridico Milano 1983 p. 224.

(12) in C. SCHMI1T Politische Theologie I, trad. it. in “Le categorie del politico” pp. 57-58. Schmitt, esponendo il pensiero di Hobbes rivela il carattere personale e concreto di ogni forma di subordinazione. “Se un potere dev’essere sottoposto ad un altro, ciò significa soltanto che colui che ha il primo potere dev’essere sottoposto a colui che ha l’altro potere”.

(13) Nel saggio “Uber die drei Arten”, in particolare pp. 251-255 trad. cit.

(14) È interessante notare che nel concetto d’istituzione formulato da Max Weber il rapporto di comando è Infatti l’istituzione è defi- nita “gruppo sociale”, i cui ordinamenti statuiti vengono imposti (con rela- tivo successo), entro un dato campo di azione, ad ogni agire che rivesta deter- minate caratteristiche (Wirtschaft und Gese//schaft, trad. it., p. 51).

Inoltre Weber richiama continuamente, quando scrive di “ordinamenti” dei gruppi sociali, l’elemento autoritario: così “per costituzione di un gruppo si deve intedere la possibilità effettiva di disposizione ad obbedire … nei con­ fronti della forza di imposizione della autorità di governo sussistente” (op. cit., p. 48).

Peraltro secondo Max Weber si ha un “gruppo sociale” quando l’osser­ vanza dell’ordinamento di questo “è garantita dall’atteggiamento di determi­ nati uomini, propriamente disposti a realizzarlo, cioè di un capo e, eventual­ mente, di un apparato amministrativo” ( op. cit., p. 46); al riguardo perché si abbia un gruppo, non ha importanza la distinzione tra comunità ed “associa­ zione”. L’essenziale è che vi sia la presenza di un “capo capo di famiglia, comitato di un unione, direttore di un impero, principe, presidente della repubblica, capo della Chiesa, il cui agire sia disposto a realizzare l’ordina­ mento del gruppo”; agire “non soltanto orientato in vista dell’ordinamento ma diretto alla sua imposizione coercitiva”

Imposizione che diventa connotato essenziale del concetto di “gruppo sociale”. Infatti – prosegue Weber “non ogni comunità od associazione costituisce un gruppo sociale- ad esempio non lo costituisce né una relazione erotica né un gruppo parentale privo di “capo”. Onde !'”esistenza del gruppo sociale è interamente legata alla presenza di un   capo”.

Interessante è anche la distinzione che Weber fa tra “ordinamento ammi­ nistrativo” (che regola l’agire del gruppo) ed “ordinamento regolativo” che regola “un agire sociale di altro genere”, che, secondo lo stesso, coincide in generale – con quello tra diritto pubblico e diritto privato (p. 50).

Resta il fatto che, nella sociologia weberiana i concetti di “gruppo socia­le”, “ordinamento” ed istituzione sono strettamente collegati alle relazioni sociali di comando e potere. Rilievo minore ha, invece, l’esistenza e la pro­ duzione di “regole” o “norme” relative all’azione dei consociati.

Anche secondo altri sociologi, ilconcetto d’organizzazione è strettamente legato alla struttura gerarchica. Gli apparati organizzati sono “comporta­ menti collettivi che sono ordinati, gerarchizzati, centralizzati.” (v. Gurvitch Trattato di Sociologia, Milano 1967, p. 229 v. anche p. 295).

(15) È chiaro che nel testo il termine “gerarchia” non è inteso nel senso

“tecnico” e riduttivo con cui lo impiegano (correttamente nel loro campo d’indagine) gli studiosi del diritto amministrativo, dove tale termine significa un certo tipo di rapporto tra uffici amministrativi (ed anche Enti), che viene, con ciò, contrapposto, ad altri modelli d’organizzazione.

(16) il saggio Uber die drei Arten. cit., trad. it. cit.. p. 252.

(17)L’uso di termini come “neo-corporativismo” e “neo-feudalesimo” richiama istituzioni medievali, contrapposte allo Stato moderno e che riaffio­ rano nell’età contemporanea, che si pensa caratterizzata dalla crisi della forma -Stato. Con ciò si vuole denotare sia un processo di “patrimonializza­ zione” e di “appropriazione” collettiva (od individuale) dei poteri pubblici, accanto (o in luogo) dell’unità e della “sovranità” dello Stato. Senonché la differenza (se ne possono indicare tante) che pare opportuno sottolineare tra il pluralismo corporativo feudale medievale e quello sindacai-partitico moderno è che, mentre in quello si concepiva l’ecumene o l’unità politica (per debole e frammentaria che fosse) come una comunità di comunità; nel

secondo la si concepisce come una società di società. Con conseguenze assai rilevanti, sul carattere dell’autorità, sull’appartenenza individuale,  sui legami sociali e sulla stessa “governabilità” dei gruppi sociali (istituzioni) intermedi,  che è interessante  approfondire.

(18) Uber die drei Arten …, trad. it. cit., in particolare pp. 258-260

(19) Per la verità la frase di Saint-Simon (ripetuta poi da Engels), spesso interpretata nel senso utopistico cennato nel testo, aveva una valenza tecno­ cratica più che libertaria (o anti-autoritaria).

Come notava Michels “la scuola di Saint-Simon non immaginava affatto un avvenire senza classi …”. Essa anelava al contrario alla creazione di una nuova gerarchia, senza privilegi di nascita, ma con forti privilegi acquisiti, “deshommes /es plus aimant, /es plus intelligens et lesplus forts”; e proseguiva “uno dei più fervidi, sansimonisti … indotto a difendersi dal rimprovero di agevolare, mediante la sua dottrina, la via al despotismo, arrivò perfino al punto di sostenere che la maggioranza degli uomini deve ubbidienza all’auto­ rità emanata dalla capacità …” ( Studi sulla democrazia e l’autorità, Firenze 1933 pp. 4-5). Col tempo, in taluni, il carattere politico e (relativamente) “autoritario” del pensiero dei sansimoniani si è smarrito. Ne è rimasto quello utopistico,  il più adatto a mascherare  realtà,  di fatto, totalmente opposte.

(20) L’una e l’altra possono ricondursi al pensiero di  Schmitt, in  partico­ lare alla Politische Theologie, ed al Begriff des Politischen, trad. it. ne “Le categorie del politico”, cit., p. 89-208.

(21)In effetti le definizioni di Santi Romano (come quella di Maurice

48    Hauriou) non cadono nell’ingenuità scientifica di spiegare un.termine con un sinonimo, come fanno certi giuristi, col risultato di trovarsi così sempre   al

punto di partenza. Ma quel che più interessa è che la definizione di Santi Romano del diritto non contiene, nel “definiens” nessun termine (o elemen­ to) specificamente giuridico (v. L’ordinamento giuridico, cap. 10, p. 25, 28). Società, ordine sociale, organizzazione sono tutti termini che possono essere impiegati indifferentemente nella scienza giuridica ed in altre scienze sociali, e, quel che più conta, denotano enti e rapporti concreti e “fattuali”. La circo­ stanza che. in sede di definizione non abbia impiegato alcun termine giuridi­ co, dimostra non solo il carattere euristico del processo logico seguito, ma più ancora che Romano riduceva il diritto al fatto dell’esistenza, in un grup­ po, degli elementi indicati come qualificanti.

(22) Nella realtà l’interpretazione del pensiero di Santi Romano è stata spesso viziata da una serie di equivalenze e di presunte antinomie in cui il pensiero del giurista siciliano andava, in buona parte, perso. In effetti 9ndo Santi Romano, il rapporto tra i termini “diritto” “ordinamento giu­ ridfco” e “istituzione” sono perfettamente equivalenti , secondo il seguente schema logico: diritto=ordinamento giuridico=istituzione (anche se Santi Romano distingue due modi di intendere il termine diritto, v. “L’ordina­ mento giuridico”, p. 27).

Invece secondo la tesi criticata la sequenza è totalmente diversa, ed è gra­ ficamente esprimibile così: ordinamento+diritto=istituzione. In cui, in effetti il concetto d’istituzione non coincide con nessuno degli altri due. Ma tale impostazione è stata fuorviata da un altra equivalenza, più o meno espressa, per cui non tutti gli ordinamenti sociali, pur essendo gruppi (e, in certa misura, organizzati) sono ordinamenti giuridici

Nel pensiero dei tre giuristi considerati invece un gruppo sociale ordinato

è perciò stesso, un ordinamento sociale e, conseguentemente, giuridico (e l’equivalenza è chiarissima soprattutto in Schmitt. come rilevato da P.P. PORTINARO, La crisi dello jus publicum europaeum, Milano 1982, p. 98- 99); mentre un gruppo sociale “non ordinato”, perciò stesso non è un ordina­ mento giuridico. È il concetto d’ordine (di “chiusura”, di “orientamento” unitario e relativamente uniforme – dell’agire sociale attraverso una volontà prevalente) a costituire il discrimine tra gruppi sociali che sono ordi­ namenti (e quindi sono ordinamenti giuridici) e quelli che non Io sono. È a questo, ed ai connotati che esso ha necessariamente, che va ridotto il diritto. E concetti come ordine, comando, ed effettività del comando stesso, sono, occorre ripeterlo, “fattuali” prima che “giuridici”.

(23)la definizione in Préçis de droit constitutionel, cit. p. 73 (per la forma dell’istituzione).

(24) Hauriou (op. cit, 76), riferendosi allo Stato (come  istituzione) scrive che ha una “structure formelle parfait” (rispetto alle “institutiones simi­laires” ); esso è “/’organitation parfait de ce mouvement” (che è il “movimen­ to” intrinseco al concetto che dell'”ordre” ha Hauriou); mentre a pag. 1 ricorda che Io Stato è una forma perfezionata dell’ ordre.

La nozione di potere, ordine, Stato di Hauriou, con l’importanza che danno ai concetti di consenso “coutumier”; con il continuo richiamo alla communautè per la formazione dell’istituzione – Stato (ed anche per le altre istituzioni), mostrano come pensava, in primo luogo alle istituzioni “commu­nitaires”.

(25) Ci scusino i lettori esperti della metodologia weberiana l’impiego dei “tipi ideali” comunità e società per classificare situazioni Chi scrive pensa, che è nel giusto Cari Schmitt a sostenere che, al fondo, anche lo Stato (o l’unità politica) più impregnato dell’idealtipo “società” a fondo, o nelle situazioni d’emergenza, si rivela più vicino al tipo ideale “comunità”. In tal senso è da prendere l’affermazione del testo: non cioè che nello Stato moderno manchino gli elementi riconducibili al tipo “società”; ma solo che, in definitiva, sono (o diventano) prevalenti quelli accostabili al tipo “comuni­ tà”. In effetti talvolta tali concetti vengono impiegati non come “tipi ideali”, ma come denotanti realtà sociali concrete, riconducibili in tutto e per tutto agli stessi (come le classificazioni zoologiche e botaniche). Èsignificativo tal­ volta leggere scritti di giuristi tutti convinti che, come “esistono” in concreto contratti e provvedimenti, così dovrebbero esistere “comunità”, “società”, “patrimonialismo” e, quel che più conta, persuasi di aver compreso, così facendo il senso dell’opera e del metodo di Max Weber (in particolare per chiarire il reale pensiero di quest’ultimo v. la raccolta di saggi pubblicati in traduzione italiana col titolo “limetodo delle scienze storico-socia/i”, Torino 195).

(26) Ci riferiamo, per la contrapposizione e la definizione tra comunità e società (e quindi tra le istituzioni – comunità e le istituzioni – società) alla (classica) ripartizione di Ferdinand TONNIES (v. Gemeinschaft und Gesell­ schaft, it. Milano 1979, in particolare p. 45-47); non si comprende a tale proposito come taluno abbia potuto affermare (v. M.S. GIANNINI, Introduzione al diritto costituzionale, Roma 1984, p. 31) che TONNIES “di­ stinse due sorta di gruppi: quelli diffusi non organizzati, che sono la società e quelli, diffusi o concentrati o organizzati, che sono le comunità”. Mentre è noto che per TONNIES il fundamentum distinctionis tra le une e le altre non era, come pensa GIANNINI, di avere o meno un’organizzazione, ma quello di basarsi su rapporti di tipo “meccanico” o, invece su rapporti “organici”. Per TONNIES (com’è intuibile nell’osservazione della realtà sociale e giuri­ dica) la Fiat è una società, mentre la setta valdese è una comunità. Ciò non toglie che entrambe siano ed abbiano delle organizzazioni.

Invero secondo TONNIES comunità significa un certo modo di atteggiarsi di relazioni sociali per cui “la comunità debba essere intesa come un organi­ smo vivente, e la Società, invece come un aggregato e prodotto meccanico” ( op. cit., p. 47). La prima è concepita come “vita sociale ed organica”; la seconda è una “formazione ideale e meccanica” (op. cit., p. 45).

Com’è noto che TONNIES, sviluppando questa intuizione basilare, rap­ portava ad uno dei grandi gruppi (o meglio ai tipi ideali) di associazioni sociali una serie di concetti, anche giuridici, derivanti dallo schema comu­ nità/società, come: volontà essenziale/volontà arbitraria; io/persona; pos­ sesso/patrimonio; suolo/denaro; diritto familiare/diritto delle obbligazioni; status/contratto (op. cit., p. 229). In questo, com’è chiaro. non c’è nulla che lasci presagire un fundamentum distinctionis come quello che attribuisce GIANNINI al sociologo tedesco, tenuto conto anche del fatto sopra cenna­ to, che sia le “società” che le “comunità” hanno  un’organizzazione.

Il pensiero di TONNIES è stato peraltro costantemente interpretato nel senso esposto: basti citare all’uopo Max Weber, il quale pur innovando -in parte – alla distinzione di TONNIES, definisce “comunità” la relazione sociale in cui la disposizione dell’agire sociale poggia su una “comune appar­ tenenza oggettivamente sentita”; “associazione” se poggia “su una identità di interessi, oppure su un legame di interessi motivato razionalmente”. (Wirtschaft und Gesellschaft, trad. it. Milano 1980, p. 38).

(27) Il discorso sulla connessione tra istituzionismo e decisionismo nel pensiero dei controrivoluzionari potrebbe apparire impreciso, atteso l’im­ piego di termini e formule che, nate nella dottrina del diritto, possono tra­ sporsi con una certa difficoltà a problematiche non del tutto coincidenti

In effetti, come spesso notato, la dottrina dello Stato di Bonald, Maistre e Donoso Cortés (ma anche – in parte – quella di Haller) è incentrata sul rap­ porto tra metafisica (e visione del mondo) e società politica. L’uno determi­ nante l’altra; è il reale, che si tratti di leggi naturali o credenze, a determinare il normativo. In questo contesto il ruolo autonomo della decisione è quello (insopprimibile) della scelta -in un contesto dato-tra male e bene; è il libero arbitrio applicato alla politica. La libertà di scelta tra più situazioni determi­ nate. Il cattolicesimo di Bonald, Maistre e Donoso Cortés impediva loro di cadere sia in un determinismo storico-sociale assoluto, sia nell’altrettanto assoluto soggettivismo. L’espressione forse più chiara di questo rapporto la si trova formulata da Maistre all’inizio delle “Considerations sur la France”; “siamo tutti legati al trono dell’Essere supremo con una catena leggera, che ci trattiene senza asservirci. L’azione degli esseri liberi sotto la mano divina è quanto di più ammirevole esista nell’ordine universale delle cose. Libera­ mente schiavi, essi operano secondo volontà e necessità insieme: fanno real­ mente quel che vogliono, ma senza poter disturbare i piani generali. Ognuno di questi esseri occupa il centro di una sfera di attività, il cui diametro varia a piacere del geometra eterno, che sa estendere, restringere, arrestare o diri­ gere la volontà, senza alterare la sua natura. Nelle opere dell’uomo, tutto è misero come l’autore: le vedute sono ristrette, i mezzi rigidi, le molle infles­ sibili, i movimenti penosi, e monotoni i risultati. Nelle opere della divinità, le ricchezze dell’infinito si mostrano allo scoperto fin nel minimo dettaglio: la sua potenza agisce come per gioco; nelle sue mani tutto è docile, nulla le resiste; per essa tutto è mezzo, perfino l’ostacolo: e le irregolarità prodotte dall’operare dei liberi agenti trovano il loro posto nell’ordine   generale.

Se si immagina un orologio di cui tutte le molle variassero continuamente di forza, di peso, di dimensione, di forma e di posizione, e che indicasse tut­ tavia l’ora invariabilmente, ci si farà un’idea dell’azione degli esseri liberi in relazione ai piani del Creatore. Nel mondo politico e morale, come nel mondo fisico, esiste un ordine comune, ed esistono eccezioni a questo ordine. Comunemente vediamo una serie di effetti prodotti dalle stesse cause; ma in alcune epoche vediamo azioni sospese, cause paralizzate  ed effetti   nuovi.”

(v. trad. it., Roma 1985, p. 3). Dalle due impostazioni, soggettivismo ed oggettivismo, il primo negherebbe l’uomo, nella sua natura problematica e nel suo essere libero e perciò nelle sue possibilità di salvezza, ilsecondo Dio e la Sua trascendenza. Nella realtà i riferimenti di Bonald, Maistre e Cortès (nonché di Haller) ad una concezione “istituzionale” (ante litteram) dello Stato (e – in minor misura – del diritto) sono così frequenti e ripetuti che larga parte delle tesi di Hauriou, Schmitt e Santi Romano ne sembrano la diretta derivazione, se non un’aggiornata ripetizione. Data l’influenza delle concezioni aristotelico-tomistiche sui controrivoluzionari non c’è neppure da stupirsi che la loro visione dello Stato non sia diversa. All’uopo è sufficiente ricordare l’affermazione di Bonald che: “la costituzione di un popolo è il modo della sua esistenza” (v. Observations sur l’ouvrage de M.me la Barone de Stael, trad. it. La costituzione come esistenza, Roma, 1985 p. 35); e che ciò che fa uno Stato sono “monarchia, religione e giustizia” (op. cit., p. 36); ovvero l’importanza che tutti i controrivoluzionari danno all’idea (e cioè alla visione del mondo) come determinante le istituzioni, come nello stesso senso alle cause storiche e naturali; o anche l’affermazione di De Maistre che “la costituzione è un’opera divina” e che “le radici delle costituzioni politiche esistono prima di ogni legge scritta “(Essai sur !es constitutions politiques I e IX); ovvero quella di Donoso Cortès che considera “le leggi fatte per la società e non viceversa ” ( Discurso sobre la dictatura, trad. it., Brescia 1964). Tutte affermazioni (e tante altre se ne potrebbero ricordare, a voler esaspe­ rare la pazienza del lettore) che confermano il carattere “istituzionalista” della loro visione della società politica.

(28) I rapporti tra le teorie di PARETO, MOSCA, MICHELS, FERRE­RO, e quella dei tre giuristi considerati, sono, ancor più di quelle tra questi e controrivoluzionari, largamente (se non totalmente) da Secondo PARETO le  società  umane  non  possono  sussistere  senza  una gerarchia ( Oeuvres, voi. VII, p. 422 v. anche J. FREUND, Pareto, trad. it. Bari 1976

  1. 146), e che comunque ogni società è divisa in due strati “uno strato supe­riore, in cui stanno di solito i governanti, ed uno strato inferiore, dove stanno i governati”. ( Oeuvres voi. XII p. 1301). La “costante” della divisione in classi (governante e governata) nelle società umane è confermata da Mosca: “Fra le tendenze ed i fatti costanti, che si trovano in tutti gli organismi politi­ ci, uno ve n’è la cui evidenza può essere facilmente a tutti manifesta; in tutte le società … esistono due classi di persone: quella dei governanti e l’altra dei governati” ( La classe politica, rist. Bari 1966 p. 61). Il termine “organizzazio­ne” viene talvolta da Mosca riferito alla classe dirigente, tal’altra all’intera società. Ma, in ambedue i casi, Mosca chiaramente riferisce il concetto al rapporto comando -obbedienza, sia in funzione del dominio stesso (la classe politica si organizza per esercitare il comando o, il che è lo stesso, per imporre la volontà dei propri componenti alla maggioranza), sia in funzione dell’esistenza della comunità globalmente intesa (v. op. cit., p. 177). Ancor più chiaro è il collegamento tra dominio delle élites ed organizzazione in MICHELS. Secondo questi “Chi dice organizzazione dice tendenza all’oli­garchia. L’organizzazione ha nella sua fisionomia spiccati lineamenti aristocratici… Essa inverte il rapporto tra il condottiero e i condotti …; il formarsi di rami speciali di attività, la differenziazione politica che è conseguenza ine­vitabile dell’estendersi dell’organizzazione induce necessariamente i soci… a conferire ogni potere effettivo, come cosa che esige specifiche qualità e com­petenze, ai soli capi. .. L’organizzazione quindi scinde definitivamente ogni partito in una minoranza che governa e in una maggioranza che è governata” ( Studi sulla democrazia e l’autorità; Firenze 1933 p. 32-33).

 

 

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