“L’America ha nostalgia della guerra fredda”, di Emmanuel Todd

“L’America ha nostalgia della guerra fredda”

Emmanuel Todd il 14 ottobre 2021Lo storico Emmanuel Todd fa un clamoroso ritorno con una conferenza in cui contrappone la società americana a quella russa (14 ottobre 2021). Mostra cifre di supporto che il più malato non è quello che pensi. Vede anche su scala planetaria, anche nei nostri paesi, la fine della democrazia e la sua sostituzione con sistemi oligarchici (appropriazione del potere da parte di una minoranza).

La sua conferenza davanti all’associazione Dialogo franco-russo è disponibile sul web. Ecco il riassunto per i lettori di Herodote.net.

Tutto è iniziato con lo stupore dello storico per la “russofobia” che ha conquistato gli Stati Uniti. Nel 1989 i sondaggi davano, dopo 45 anni di “guerra fredda” , il 62% di buone opinioni rispetto all’URSS. Nel 2021 siamo al 22% delle buone opinioni sulla Russia, come se Putin fosse più repressivo di Stalin, Krusciov e Breznev messi insieme… o più minaccioso di Xi Jinping, il nuovo uomo forte cinese.

Emmanuel Todd spiega questa aberrazione con il fatto che gli Stati Uniti hanno nostalgia della Guerra Fredda, che gli ha permesso di dominare il mondo come nessun’altra potenza prima, oltre a offrire alla sua classe operaia un miglioramento senza precedenti delle loro condizioni.

Questa “nostalgia di giorni felici”  (!) non è priva di fondamento…

Nel suo primo libro del 1976 ( The Final Fall , Robert Laffont), Emmanuel Todd predisse l’implosione dell’URSS alla luce dell’aumento della mortalità infantile , prova di una società in via di disgregazione (un popolo può fare qualsiasi cosa a sostegno dei suoi leader tranne che mette in pericolo i suoi figli).

Oggi, quando la Russia viene presentata come un paese alla deriva, cosa osserviamo? Che la mortalità infantile sia più bassa in questo Paese (4,9 decessi di bambini sotto un anno per mille nascite) che negli Stati Uniti (5,6). Non è tutto. L’aspettativa di vita è in aumento in Russia, pur essendo ancora bassa, mentre è in calo negli Stati Uniti dall’inizio del 21° secolo nonostante la spesa sanitaria straordinariamente elevata (16,5% del prodotto interno lordo contro meno del 12% nei normali paesi avanzati) .

La causa è l’epidemia di oppiacei e l’alcolismo nelle popolazioni operaie (bianche) delle aree dismesse. Questo calo è correlato all’aumento del tasso di suicidi (14,5 per 100.000 abitanti contro probabilmente 11,5 in Russia). Queste morti “riflettono la distruzione della classe operaia americana” , ha detto Emmanuel Todd. Sottolinea al confronto la “  stabilità”  del sistema sociale russo, nonostante un tenore di vita molto più basso: “Se si confermano queste tendenze, significa che il modello sociale russo si sta avvicinando al modello europeo e che gli Stati Uniti sono allontanandosi dal modello dell’Europa occidentale” .

Lo storico guida il punto con il tasso di carcerazione: “  Nel 2016 avevamo 655 incarcerati ogni 100.000 abitanti negli Stati Uniti e solo 328 in Russia. Questo è il tasso più alto del mondo, non è una società normale! “ Questa incarcerazione di massa colpisce specificamente la minoranza nera. È l’altro lato del malessere americano con la cattiva sorte fatta ai lavoratori.

Alla luce di questi indicatori demografici, che parlano più forte degli indicatori economici, e come specialista dei sistemi familiari , Emmanuel Todd analizza la democrazia americana e la sua trasformazione dalla seconda guerra mondiale. Confessa la sua paura che gli Stati Uniti, per i quali nutre un incontenibile affetto, conoscano il destino dell’URSS in una riedizione di The Final Fall.

Il razzismo nel cuore della democrazia americana

In origine, gli Stati Uniti non erano predisposti a diventare e rimanere una grande democrazia. Come la società inglese da cui provengono, sono caratterizzati da un modello familiare di tipo “nucleare assoluto”  : è la famiglia limitata alla coppia e ai loro figli, questi ultimi che escono di casa da adulti senza avere la certezza dell’eredità . Questo modello differisce dalla famiglia nucleare del Bacino di Parigi, dove l’eredità è necessariamente condivisa tra tutti i figli, così come dallo stesso modello inglese temperato da un’aristocrazia dove l’eredità va al maggiore. 

Il risultato è una società molto individualista e diseguale negli Stati Uniti, che porta alla concentrazione delle fortune e all’eventuale avvento di un’oligarchia (governo di minoranza). Se il Paese ha evitato questo, lo deve alla presenza sul suo suolo di amerindi e soprattutto neri discendenti di schiavi africani.

Queste sono sia la vergogna che il collante della democrazia americana. Come Alexis de Tocqueville due secoli fa, tutti capiscono che se ne vergognano. Ma il cemento?…

Quando ottennero l’indipendenza nel 1783, gli Stati Uniti contavano quattro milioni di abitanti, di cui 700.000 schiavi africani . I promotori dell’indipendenza erano essi stessi piantatori della Virginia che possedevano molti schiavi. Per motivi di coesione sociale, hanno designato i neri come portatori della differenza umana, un modo per cancellare le differenze di classe tra i coloni. Così hanno la cittadinanza limitata alle persone bianche libere ( ” persone bianche libere” ) dal Naturalization Act del 26 settembre 1790. È l’unico evento di cittadinanza basato sul colore della pelle nel mondo moderno!

Non stupiamoci. La democrazia ha bisogno di uno spaventapasseri per pensare a se stessa come una comunità unita e per funzionare, come ha osservato Emmanuel Todd in un precedente saggio. Gli ateniesi potevano così cooperare ignorando le loro differenze sociali perché avevano la soddisfazione di dominare insieme schiavi e metic. Più vicino a noi, sotto la Terza Repubblica, la sinistra riuscì a instaurare la democrazia invitando tutti i francesi alla comunione nel “dovere di civilizzare le razze inferiori” (Jules Ferry).

In questo modo, attraverso l’individualismo sfrenato, il culto della libera impresa e appoggiandosi a risorse naturali pressoché illimitate, gli americani arrivarono a metà del XX secolo a produrre oltre il 40% della ricchezza mondiale rappresentando solo il 6% della popolazione umana. .

L’URSS, il miglior nemico dell’America

Gli Stati Uniti sono diventati una superpotenza senza combattere, a differenza dell’antica Roma o dell’Inghilterra vittoriana! Si sono certamente impegnate in molte guerre ma sempre contro avversari insignificanti . L’unico avversario alla loro misura era la Germania, ma l’affrontarono solo in agonia, nel 1918 e nel 1944. Dopo la seconda guerra mondiale, riuscirono a mettere le mani sulla potenza industriale della Germania (11,6% dell’industria mondiale nel 1929). grazie al sacrificio di venti milioni di sovietici. “Il controllo americano sulla Germania sono le armi russe!” » scherza Emmanuel Todd.

Veniamo al paradosso fondamentale della potenza americana: deve il suo culmine (e il suo crollo) alla minaccia sovietica, da Stalin a Breznev, senza che i due nemici si scambiassero mai colpi. Emmanuel Todd insiste: “Il potere russo è stato associato a un grande momento di benessere nella vita degli Stati Uniti, con una classe operaia prospera, l’ascesa di uno stato sociale , la  piena occupazione, un keynesismo che va da sé, di un’America globalmente responsabile con il Piano Marshall. […] La competizione russa è stato il momento più bello della storia americana. “

Fu per evitare che la Grecia fosse travolta dalla ribellione comunista che gli Stati Uniti ebbero l’idea del Piano Marshall nel 1947. Fu per legare la Germania Ovest al blocco occidentale che promossero la creazione della CECA nel 1950 (European Coal and Steel Community), al culmine della Guerra Fredda (vittoria di Mao in Cina, invasione della Corea , golpe a Praga, blocco di Berlino, ecc.). La costruzione dell’Europa è come la NATO il frutto della guerra fredda; non sarebbe mai successo senza la minaccia sovietica.

È anche per cancellare l’umiliazione inflitta da Mosca con il lancio dello Sputnik che gli americani hanno intrapreso la conquista dello spazio, anche camminando sulla Luna . Infine, ultimo ma non meno importante , Washington ha promosso lo stile di vita americano in tutto il mondo libero con tutti i lati seducenti del soft power  : Coca-Cola, Hollywood, James Dean, West Side Story , American Motors, Lewis, ecc.

Con raddoppiata energia, Washington trascinò Mosca in una corsa agli armamenti che i sovietici non potevano vincere. Seguì un crollo dell’URSS e la sua implosione graduale grazie alla moderazione di Mikhail Gorbaciov . Tutti hanno visto lì il definitivo trionfo della democrazia americana e il pensatore americano Francis Fukuyama ha guadagnato la fama annunciando La fine della storia  !

L’America vittima del suo trionfo

Oggi, al termine della sua riflessione sugli Stati Uniti iniziata nel 2002 ( Dopo l’Impero ), Emmanuel Todd non è lontano dal dire, in opposizione a Fukuyama e ad imitazione di Orazio  : “la Russia sconfitta ha sconfitto il suo fiero vincitore”  !

Il paradosso nasce innanzitutto dal fatto che l’ideologia “progressista” veicolata dai comunisti ha alimentato la lotta dei neri americani per la loro emancipazione. I governanti americani dovevano necessariamente trattenere i loro colpi contro Martin Luther King e altri, salvo squalificarsi nella loro lotta contro l’URSS condotta in tutto il mondo in nome dei diritti umani e della libertà…

Ma, garantendo l’uguaglianza formale dei diritti ( Civil Rights Act ) e l’abolizione della “Jim Crow” leggi nel 1960 , neri americani inferto un colpo fatale per ciò che ha reso il collante della democrazia americana, il loro. Scaffalature! A che serviva la solidarietà tra le classi sociali quando i bianchi non avevano più nulla da difendere?

Seguì il disfacimento del welfare state e nel decennio successivo gli economisti della scuola di Chicago, raggruppati attorno a Milton Friedman, riuscirono a imporre le loro idee contro quelle di Keynes. Era il trionfo del neoliberismo , secondo il quale i profitti degli azionisti fanno la prosperità delle aziende e la felicità delle persone. In nome della quale i governi hanno deregolamentato le leggi sociali e le tutele per i lavoratori. Hanno anche incoraggiato le aziende a delocalizzare le fabbriche in paesi a basso salario, con tutte le conseguenze che vediamo oggi e sulle quali non ci soffermeremo.

Così, l’emancipazione dei neri americani, di cui nessuno si lamenterà, ha portato alla crisi della democrazia americana. Oggi si tratta di poter ”  definire una coscienza collettiva indipendentemente dalla questione razziale  ” , ha detto Todd La cosa è desiderabile. È possibile? Questa è un’altra domanda che lo storico affronta con avidità.

L’impossibile ritorno al passato

La fissazione americana per la Russia potrebbe essere spiegata dal desiderio inconscio di tornare ai “giorni felici” della Guerra Fredda. Ma logicamente, è contro la Cina che gli Stati Uniti dovrebbero dirigere le proprie forze se quest’ultima ha i motivi aggressivi che le vengono attribuiti. In questo caso, avrebbero tutto l’interesse a stringere un’alleanza contro di essa con la Russia, nello stesso modo in cui Nixon si riallacciava spettacolarmente a Mao nel 1972 per contrastare Breznev!

Se invece la Cina, fedele ai suoi duemila anni di storia, si preoccupa solo di proteggersi, allora gli americani potranno inseguire a loro piacimento i russi con la loro vendicatività. Senza profitto per nessuno perché le società sono cambiate e non si tornerà alla democrazia imperiale del dopoguerra come dimostra Emmanuel Todd.  

– L’istruzione primaria, la chiave per la democrazia

Tornando indietro nei secoli, lo storico osserva che la democrazia è stata ovunque resa possibile dall’alfabetizzazione di massa. Questo fu acquisito molto presto negli Stati Uniti, come osservò Tocqueville negli anni ’20 dell’Ottocento.

È stato acquisito in Russia prima della prima guerra mondiale con metà dei coscritti in grado di leggere e scrivere. Questo lo spiega, cioè la spinta rivoluzionaria che portò alla caduta dello zarismo con la Rivoluzione del febbraio 1917 . Sul perché questa rivoluzione democratica sia stata fuorviata dai bolscevichi nell’ottobre 1917 , al punto da generare uno stato totalitario di estrema ferocia, la spiegazione sta forse nel sistema familiare caratteristico della vecchia società russa…

Secondo le categorie sviluppate da Emmanuel Todd, la famiglia russa, a differenza di quella nucleare americana, è di tipo comunitario, con un patriarca circondato dai figli, dalla nuora e dai figli. Si tratta di un modello strettamente egualitario, con anche un alto status delle donne e la pratica dell’esogamia (matrimonio al di fuori del clan), in cui si contrappone al modello comunitario del mondo arabo-musulmano. Si trova in paesi come la Cina o regioni come il Limosino, insomma in tutti i luoghi che hanno accolto favorevolmente l’ideologia comunista!

A questo modello familiare in crisi all’inizio del XX secolo, il comunismo autoritario potrebbe presentarsi come un modello alternativo (rigorosa uguaglianza tra tutti e sottomissione a una figura patriarcale).

In tutto il mondo, quindi, l’alfabetizzazione di massa ha preceduto e consentito l’avvento della democrazia. Ma per fortuna non ci siamo fermati qui. Le società sviluppate del dopoguerra hanno sperimentato un rapido aumento dell’istruzione superiore. Da questo bene risultava un male con la comparsa di una nuova divisione sociale tra i colti “più alti” (Bac + 3, 4 o più) e gli altri.

– Istruzione superiore, morte della democrazia

Emmanuel Todd, in modo molto intuitivo e senza pretese, stima che il 25% della popolazione sia la soglia istruita “superiore” dalla quale la società è frammentata.

Il fenomeno è facile da capire: nell’Ottocento, quando i diplomati in Francia si contavano a portata di mano, un autore come Victor Hugo doveva scrivere in una lingua accessibile a tutti se voleva vendere anche un po’ di libri. Inutile dire che ci riuscì meravigliosamente ( Les Misérables circolava così di mano in mano anche nelle officine). Oggi, qualsiasi plumitif non ha più questo vincolo. Può gergare a piacimento con la certezza che troverà abbastanza lettori tra i colti “superiori” . Quindi non ha più paura di mostrare il suo disprezzo di classe per l’istruzione “inferiore” .

Questa frammentazione sociale fa ingrassare il cavolo della classe dominante che gioca con essa per deviare a suo profitto il sistema elettorale e appropriarsi del potere. I francesi lo sanno meglio di chiunque altro dal referendum fallito del 2005; è fuori questione aspettare le elezioni per un cambio di politica. Questo fenomeno è globale ed Emmanuel Todd lo vede con risentimento come la morte della democrazia: “Oggi il buon concetto di confronto tra paesi non è democrazia. Adottiamo l’ipotesi che tutti i sistemi oggi siano de facto oligarchici. Ciò che differenzia i russi e i cinesi dall’occidente è che sanno di trovarsi in una non democrazia oligarchica” .

Trascrizione gratuita della conferenza di Emmanuel Todd (14 ottobre 2021) a cura di André Larané

Stati Uniti e Cina, schermaglie di una partita complessa_Con Gianfranco Campa

Il confronto tra Cina e Stati Uniti assume caratteristiche sempre più complesse. Siamo ancora alle schermaglie, alla esibizione dei muscoli punteggiata qua e là da punzecchiature moleste da parte di protagonisti dalle spaventose riserve di potenza. Il palcoscenico eè pericolosamente affollato da protagonisti, tutti impegnati a difendere ed acquisire nuove posizioni, ma molto meno acquiescenti, rispetto allo scenario europeo, nei confronti dei due principali protagonisti. Come se non bastasse tutti, in particolare i centri decisori di Cina ed USA devono agire in funzione dei problemi e delle dinamiche politiche interne tutt’altro che agevoli da domare all’interno di formazioni sociali sempre più magmatiche pur se soggette a strumenti di controllo sempre più pervasivi. Ne risulta un intreccio, trasversale agli stessi paesi in competizione, di legami e conflitti tra centri di potere e di influenza ancora in gran parte sommerso e illeggibile da rendere imprevedibile la stessa dinamica dei conflitti in corso. Giuseppe Germinario

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POLONIA E CAVILLI, di Teodoro Klitsche de la Grange

POLONIA E CAVILLI

Il riaccendersi della vertenza tra Polonia ed UE, a mio avviso, sposta di poco la questione che indicavo ai lettori de “L’Opinione” negli articoli del 30 settembre e del 19 novembre dell’anno passato: che l’espressione “Stato di diritto”, di cui all’art. 2 del Trattato sull’Unione Europea, è altamente polisemica, essendo considerati da un lato “Stati di diritto” ordinamenti assai differenti; dall’altro il concetto relativo allo stato elaborato da tanti pensatori in nodo non univoco. Ricordavo, per evitare al lettore il “catalogo di Laparello” delle concezioni e degli autori, quanto se ne può leggere nell’attenta voce “Stato di diritto” nel “Dizionario del liberalismo” scritto da Anna Pintore che, stante la non-univocità del termine e del concetto “nessuna trattazione del tema può essere neutrale”; con la conseguenza che, proprio perciò, la formula “ha goduto fin dalla sua nascita di apprezzamento pressoché universale, al punto da segnare oggi una strada senza alternative: uno Stato che non incarni questo modello deve essere considerato legittimo ed indegno di obbedienza”. Quindi indeterminato da un lato, e perciò utile per giustificare misure sanzionatorie (se non aggressive): la connotazione lasca è ideale per sfornare pretesti.

Quale esempio, scrivevo che “nella procedura Ue d’infrazione alla Polonia è stata contestata la limitazione all’indipendenza dei giudici polacchi dopo le innovazioni degli ultimi anni… Tuttavia negli USA tutti i giudici della Corte Suprema, e molti di quelle “inferiori” sono di nomina (o elezione) politica, ma pare assai difficile sostenere che gli USA non sono uno Stato di diritto, ma anche che quel modo di nominare comprometta gravemente lo Stato di diritto”. E così si potrebbe proseguire, non solo per la Polonia (v. sul punto le “infrazioni” sulla libertà e l’educazione sessuale) ma anche per la procedura d’infrazione all’Ungheria.

Ma non risulta che Montesquieu, Gneist, Orlando, Constant (ecc. ecc.) abbiano usato come criterio per discriminare gli Stati di diritto da quelli che non lo sono le preferenze sessuali, il contenuto dei sussidiari e così via. Il pericolo è che, a forza di calcare la mano su profili irrilevanti o poco rilevanti si perdano di vista quelli essenziali (allo Stato di diritto), come avviene da decenni soprattutto in Italia tra l’indifferenza dei mass-media di regime. Solo coll’emergenza pandemica è stato dibattuto pubblicamente che alcune delle misure non erano proprio in linea né col concetto del Rechtstaat ed ancor più con i principi e le disposizioni della nostra Costituzione. Due pensatori di valore come Agamben e Cacciari sono stati messi alla gogna per aver sostenuto che obbligo del green pass nei luoghi di lavoro fa a pugni (tra l’altro) con il principio costituzionale “lavorista” (v. art. 1 Costituzione).

Piuttosto che alla paglia nell’occhio degli altri, faremmo bene a pensare alle travi nel nostro.

Teodoro Klitsche de la Grange

Basta propaganda: siamo seri, almeno coi morti, di Paolo Bellavite

Si sa che personalmente non sono contrario ai vaccini per partito preso, tanto che ho iniziato la “carriera” di vaccinologo nel 2017 con un libro intitolato “Vaccini sì, obblighi no”. Se dovessi riscriverlo, sceglierei il titolo “Vaccini se, obblighi no”, dove il “se” indica la valutazione accurata dei rischi e dei benefici. Comunque non sono un “novax”, sono solo contrario agli obblighi vaccinali, tomba della scienza e dell’etica medica, e sono contrario alla disinformazione. Non può esservi libertà di scelta se non c’è corretta informazione.

Uno degli argomenti di maggiore interesse per l’opinione pubblica riguarda gli effetti avversi dei vaccini e in particolare la mortalità. Per questo vale la pena commentare  un articolo di Antonio Socci, comparso su Libero del 13 Ottobre, intitolato “Ma perché qualcuno ha più paura del vaccino che del COVID? Una riflessione statistica”. Tale articolo è emblematico di quale confusione si possa generare su un argomento così delicato e per questo prendendo spunto da questo ritengo utile trattare in modo tecnico alcuni aspetti della questione. Per brevità, pubblico il testo nel mio fascicolo in “Sfero” in attesa di altre eventuali possibilità di pubblicazione.

Socci analizza il tema delle morti improvvise, che definisce “uno dei temi più diffusi, fra i Novax, forse quello che più alimenta la paura e il rifiuto della vaccinazione”. I cosiddetti “Novax” sono accusati di rilanciare sui socials le notizie di cronaca relative a morti di persone che da pochi giorni hanno fatto il vaccino, come se ciò fosse espressione di ignoranza di statistica. Successivamente, l’autore si lancia in considerazioni tecniche in difesa delle vaccinazioni che lasciano stupiti per la loro scarsa consistenza scientifica.

Già il fatto di chiamare “Novax” chi rifiuta questi  cosiddetti vaccini – in realtà sono sostanze biotecnologiche capaci di manipolazioni dell’espressione genica –  lascia perplessi, ma altrettanto criticabile è attribuire tale qualifica in senso dispregiativo a chiunque abbia dei motivi per esitare. Secondo Socci, la convinzione che il vaccino sia pericoloso sarebbe “un’idea vaga e del tutto indimostrata” e per supportare la sua difesa del vaccino ricorre ad un certo Omar Ottonelli, un economista, che si lancia in calcoli statistici dei morti post-vaccino per concludere che sarebbero morti lo stesso. Partendo dalle 176 mila persone che nel 2014 sono morte in Italia per malattie cardiache o cardiovascolari calcola che ogni giorno è statisticamente attesa la morte per le citate malattie di 8 persone per milione di abitante. Considerando che ci sono circa 6 milioni di persone che hanno assunto una dose di vaccino negli ultimi 20 giorni, ne deriva, secondo Ottonelli come riferito da Socci, che “si prevede la morte – per cause indipendenti dal vaccino – di circa 48 persone (appunto: 8 per milione) che hanno assunto un vaccino negli ultimi 20 giorni. Quindi ci si deve attendere addirittura che 2 o 3 sfortunati, ogni giorno, muoiano di infarto, trombosi, embolia o simili entro le 24 ore dal vaccino: tutto a prescindere dal vaccino stesso”. In breve, si lascia intendere che tutto l’allarme dei “novax” sui morti sarebbe un abbaglio.

L’argomento delle morti comunque attese è serio, viene ripetuto più volte ed è stato estratto dal cappello anche dal viceministro Sileri in un recente dibattito televisivo su “La7”.  Questo approccio denota scarsa conoscenza di problemi reali che interessano la vaccinologia e nella fattispecie la questione degli anti-COVID-19. Segnalo per punti gli errori e omissioni più gravi.

Il numero di decessi nei 20 giorni successivi al vaccino è probabilmente molto superiore al valore di 2-3 al giorno fatto credere da Socci/Ottonelli. Questo numero sarebbe corrispondente alla media dei morti dopo il vaccino se i sistemi di rilevazione fossero corretti. Purtroppo non è affatto così. I morti dopo il vaccino finora segnalati in Italia sono circa 600, quindi 10 per milione di abitanti, circa 2-3 al giorno, ma si tratta di farmacovigilanza “spontanea”, vale a dire che si segnalano solo i decessi che si ha tempo e voglia di segnalare. La farmacovigilanza si basa sulle segnalazioni “spontanee” e non su studi rigorosi basati sul follow-up dei vaccinati. Io e altri abbiamo stimato che di tutti gli eventi gravi che si verificano nei giorni e settimane seguenti l’inoculo, meno di uno su 100 viene effettivamente segnalato (1). Questo problema si verifica anche ai vaccini anti-COVID19 se si pensa solo al fatto che AIFA riferisce di circa 16 eventi avversi gravi ogni 100.000 dosi, mentre gli studi sperimentali per la registrazione, quelli pubblicati, hanno riportato un’incidenza di circa 4000 reazioni avverse gravi ogni 100.000 dosi (2).

Perché tali discrepanze? Le ragioni sono molteplici a partire dallo scarso interesse ad approfondire l’argomento da cui potrebbero derivare messaggi di allarme per la popolazione (su quanto questo atteggiamento negazionista sia etico si potrebbe discutere). In Europa, dove i sistemi di segnalazione funzionano un po’ meglio (anche se prevalentemente basati sempre sulla spontaneità) si tratta di 25.000 morti finora registrati, quindi 50 decessi per milione di abitanti. Prendendo per buona questa cifra (comunque sottostimata) si avrebbero in Italia 300 decessi ogni 6 milioni di abitanti, non i 48 di Ottonelli che sarebbero la mortalità attesa.

Ma la cosa più grave è che si segnalano solo i decessi che il volontario segnalatore ritiene che sia dovuto al vaccino, non tutti i decessi, come si dovrebbe fare in una farmacovigilanza corretta. Comunemente si crede che le segnalazioni debbano essere fatte solo se c’è il sospetto che la causa sia stata il vaccino, mentre invece le segnalazioni si dovrebbero fare in ogni caso e spetterebbe poi ad una commissione di esperti multidisciplinare stabilire se esiste un nesso causale. Che questo sia un vero problema che interessa anche le autorità sanitarie si dimostra leggendo quanto ha dichiarato il sottosegretario di Stato alla Salute Andrea Costa (10 settembre 2021) in risposta a una interpellanza parlamentare del deputato Maria Teresa Bellucci: “La sospetta reazione avversa alla vaccinazione viene segnalata quando sussiste un ragionevole sospetto che gli eventi siano correlati e si necessario effettuare approfondimenti”. Questo concetto è sbagliato e fuorviante, porta inevitabilmente ad una preventiva censura del fenomeno, che certo non fa comodo considerare a chi parte dall’idea che un vaccino sia un bene sempre e comunque. È ovvio che se si procede come dichiara il sottosegretario Costa, molte reazioni avverse non vengono segnalate perché chi le osserva non “sospetta” che siano correlate. È noto che all’inizio della campagna vaccinale molte segnalazioni di fenomeni trombotici erano considerate come casuali o non correlate perché sembrava impossibile che i vaccini potessero causare trombosi. Eppure vari autori tra cui il sottoscritto già spiegarono il meccanismo con cui questi vaccini provocano la trombosi (3-5) e ne informai AIFA ed EMA già in febbraio 2021.

Un altro clamoroso errore del calcolo dei 2-3 morti al giorno attesi sta nel fatto che questo numero risulta da una stima della mortalità immaginata come distribuita uniformemente nel corso dei 20 giorni dopo il vaccino (48 morti distribuiti in 20 giorni). Essendo un economista, Ottonelli probabilmente non sa che le morti  dopo il vaccino (non quelle per altre malattie di più lunga durata la cui entità non si conosce ancora) non si distribuiscono in modo uniforme ma hanno un picco nei primi due giorni (vedi figura gentilmente concessa dal dr. P.A. McCoullough, Chief Medical Advisor, Truth for Health Foundation, ottenuta sulla base dei dati del sistema di segnalazione VAERS americano).

Andamento temporale dei decessi
Andamento nel tempo delle morti dopo vaccini anti-COVID-19 negli USA

Questo dimostra che non è corretto paragonare un andamento stabile nel tempo come quello delle malattie cardiovascolari (48 morti attesi in 20 giorni) con quello della mortalità da vaccino (concentrata in 2 o tre giorni). Stupisce che uno statistico, per quanto economista, faccia un errore del genere. Inoltre, dal grafico si vede chiaramente che l’alta mortalità che segue alla vaccinazione va decrescendo nei giorni successivi fino a raggiungere la normalità dopo circa un mese. Se il fenomeno fosse dovuto al “rumore di fondo” per la normale mortalità da malattie cardiovascolari, si dovrebbe osservare un andamento più o meno stabile nel periodo considerato. Invece il fatto che il rischio di morte decresca man mano che passa il tempo dopo il vaccino, fino ad approssimare il tasso di morte normale è proprio indicativo del fatto che sia stato proprio quell’intervento ad innescare la variazione statistica.

Se poi Socci volesse informarsi meglio di cosa dicono veramente i dati della vaccinovigilanza, scoprirebbe la differenza drammatica di segnalazioni tra i vaccini comuni (tipo gli antiinfluenzali) e questi di ultima fattura. Si veda ad esempio quanto emerge dagli USA: le morti dopo i vaccini erano meno di 200 all’anno, mentre solo nel 2021 hanno superato i 25000  (figura gentilmente concessa dal dr. P.A. McCoullough, con dati indicativi, di qualche mese fa).

Dati VAERS
Reports di vaccinovigilanza di eventi avversi (sinistra) e dei decessi (a destra) in diversi anni negli USA. I dati del 2021 sono indicativi e parziali, ai primi di ottobre i decessi erano già oltre 20.000

Un simile rapporto tra segnalazioni di morti dopo i vaccini c’è anche in Italia, laddove i morti segnalati  solitamente erano meno di una ventina mentre ora siamo già a oltre 600.  Come si spiega la differenza di segnalazioni di 30 volte, nello stesso sistema di rilevazione e nello stesso database, visto che la mortalità “attesa” per malattie cardiovascolari è rimasta invariata? Socci non lo dice, non lo sa, o non lo vuol dire.

L’articolo di “Libero” poi si lancia in banali considerazioni sulla “correlazione”, sostenendo che “è comprensibile che l’impatto emotivo di questi tragici eventi possa indurre familiari e amici della persona morta a immaginare una correlazione con il vaccino e tutto questo solitamente finisce sulle cronache dei giornali che parleranno della morte improvvisa di una persona appena vaccinata. Ma non ha senso stabilire una correlazione automatica, l’eventuale correlazione deve essere stabilita caso per caso dai medici. Non sorprende dunque se molte analisi mediche tendono sinora ad escludere, con discreta regolarità, l’esistenza di un rapporto di causa ed effetto con il vaccino.” Si legge anche che “Riflettere con serena razionalità su questi dati dovrebbe indurre a non stabilire più correlazioni automatiche e dovrebbe far capire che è obiettivamente sbagliata la paura del vaccino.”  La difesa del vaccino diventa poi pura propaganda quando Socci rilancia l’opinione di Burioni: “Non dovete avere paura di un vaccino che è tra i farmaci più sicuri della Terra e vi protegge da un virus che è tra i più pericolosi della Terra. Vaccinatevi. Con la salute non si scherza”. Francamente, sono proprio affermazioni superficiali come queste che paiono degli “scherzi”, e di cattivo gusto.

Tralascio di commentare altre idee del tipo che il vaccino “è più sicuro di quanto lo sia il viaggio in auto che ogni giorno facciamo per andare a lavoro” o  che “possono esserci effetti collaterali, come per tutti i farmaci, ma non in proporzioni che possano destare allarme collettivo” o “del resto può essere pericolosa qualsiasi medicina ma non risulta che i Novax rifiutino farmaci e cure ospedaliere.”

Quando tratta della causalità Socci dovrebbe astenersi di entrare in campi che non conosce. È vero che spesso la gente ragiona “post hoc, propter hoc”, cioè stabilisce una causalità sulla base di una semplice correlazione temporale.  D’altra parte, si usa spesso questo stesso “ragionamento” quando si sostiene che dopo l’introduzione dei vaccini le malattie sono diminuite. Oltretutto non risulta.

All’opposto di quanto corre sui tanto disprezzati “socials”, sulle cronache del mainstream nella maggior parte dei casi di morti dopo il vaccino si legge subito che non vi sarebbe correlazione. Quanto questa conclusione sia di solito affrettata si può facilmente capire dal fatto che la correlazione causale (oltre che temporale) tra una certa malattia e la vaccinazione si può stabilire statisticamente solo dopo una lunga serie di studi di confronto tra gruppi di soggetti comparabili (fase 2-3) , che invece sono ancora in corso. Ora tali studi erano previsti di durata di almeno 24 mesi, al termine dei quali si sarebbe dovuto fare un bilancio e dare finalmente la autorizzazione definitiva alla vendita. Tuttavia ben presto si è cominciato a vaccinare anche i volontari del gruppo di controllo (6). Ma così facendo si è vanificato lo studio di lungo corso e non si potrà avere la prova rigorosa di quanto dura la protezione e neppure delle conseguenze dei vaccini a medio-lungo termine. Una cosa è certa, in assenza degli studi controllati, non si può escludere la correlazione causale per alcune malattie e prima che si abbiano valutazioni statistiche serie sull’incidenza dei vari eventi che si registrano, con metodi adeguati di farmacovigilanza e di stima. Certe evidenze statistiche stanno emergendo proprio, ad esempio per l’amento di casi di sindrome di Guillain-Barré, di miocarditi, di herpes zoster, trombosi di vario tipo, autoimmunità, problemi mestruali e via dicendo.

Un aspetto della questione che sfugge totalmente a Socci riguarda il metodo per valutare “nesso di causalità”. Bisogna sapere che l’analisi della correlazione è fatta, come scrive la stessa AIFA, col metodo indicato dall’OMS, il quale però è difettoso e si presta facilmente a errori, come io e altri abbiamo dimostrato in vari lavori (1, 7, 8). I difetti sono molti ma il più clamoroso sta nel fatto che la correlazione è esclusa se esistono “altre cause” che potrebbero aver determinato l’evento. Ad esempio, se si verifica la morte di un vaccinato che aveva anche malattie di cuore, o tumori, o malattie di fegato, o disturbi della coagulazione, la causa è attribuita a queste malattie preesistenti e non al vaccino. Questa procedura è seguita negli stessi rapporti dell’AIFA e spiegato in dettaglio nel rapporto n. 3. Purtroppo, il metodo di esclusione delle concause è viziato da un grave difetto tecnico, che sfugge a chi non conosce la patologia generale: le reazioni avverse più gravi di solito sono dovute proprio alla interazione tra il prodotto iniettato e una predisposizione o suscettibilità del soggetto. Si tratta, in altre parole, di due o più CON-CAUSE che interagendo determinano l’evento avverso. Questo equivoco sulle correlazioni, oltre alla scarsa efficacia della farmacovigilanza, sta sbilanciando la valutazione dei rischi e benefici dei vaccini rispetto alla malattia. Infatti, nel caso della morte in soggetti positivi, la causa di morte viene attribuita al virus anche se ci sono altre cause come quelle che abbiamo menzionato. Alcuni autori hanno cercato di valutare il nesso di causalità in una serie di decessi dopo i vaccini anti-covid-19 negli USA e hanno riscontrato che solo nel 14 % dei casi si poteva escludere la responsabilità del vaccino stesso.(9)

Esistono vari altri indicatori dell’aumento di mortalità dopo l’introduzione delle vaccinazioni anti-COVID-19 ma non è questa la sede per trattarli, essendoci limitati a trattare solo alcuni aspetti della questione. In conclusione, spero che questo scritto serva a confutare le facilonerie statistiche che generano errori gravi nella interpretazione dei dati su un tema serio come quello dei danni gravi da vaccino.

Riferimenti bibliografici

1. Bellavite P, Donzelli A. Adverse events following measles-mumps-rubella-varicella vaccine: an independent perspective on Italian pharmacovigilance data. F1000Res. 2020 2020;9:1176. doi:10.12688/f1000research.26523.2 [doi].

2. Polack FP, et al. Safety and Efficacy of the BNT162b2 mRNA Covid-19 Vaccine. N Engl J Med. 2020 12/31/2020;383(27):2603-2615. doi:NJ202012103832702 [pii];10.1056/NEJMoa2034577 [doi].

3. Zhang S, et al. SARS-CoV-2 binds platelet ACE2 to enhance thrombosis in COVID-19. J Hematol Oncol. 2020 9/4/2020;13(1):120. doi:10.1186/s13045-020-00954-7 [pii];954 [pii];10.1186/s13045-020-00954-7 [doi].

4. Suzuki YJ, Gychka SG. SARS-CoV-2 Spike Protein Elicits Cell Signaling in Human Host Cells: Implications for Possible Consequences of COVID-19 Vaccines. Vaccines (Basel). 2021 1/11/2021;9(1). doi:vaccines9010036 [pii];vaccines-09-00036 [pii];10.3390/vaccines9010036 [doi].

5. Bellavite P. Renin-Angiotensin System, SARS-CoV-2 and Hypotheses about Adverse Effects Following Vaccination. EC Pharmacology and Toxicology. 2021 2021;9(4):1-10. doi:10.31080/ecpt.2021.09.00592.

6. Doshi P. Covid-19 vaccines: In the rush for regulatory approval, do we need more data? BMJ. 2021 May 18;373:n1244. Epub 2021/05/20. doi:10.1136/bmj.n1244. Cited in: Pubmed; PMID 34006591.

7. Bellavite P. Causality assessment of adverse events following immunization: the problem of multifactorial pathology. F1000Res. 2020 2020;9:170. doi:10.12688/f1000research.22600.1 [doi].

8. Puliyel J, Naik P. Revised World Health Organization (WHO)’s causality assessment of adverse events following immunization-a critique. F1000Res. 2018 2018;7:243. doi:10.12688/f1000research.13694.2 [doi].

9. McLachlan S. et al, Analysis of COVID-19 vaccine death reports from the Vaccine Adverse Events Reporting System (VAERS) Database Interim Results and Analysis. Research Gate. 2021;Doi:10.13140/RG.2.2.26987.26402.

L’iniziativa dei tre mari: un rimodellamento dell’Europa centrale?, di Rémi de Francqueville

Economia, geoeconomia e geopolitica hanno dinamiche diverse. Giuseppe Germinario

Dopo la Brexit, la Francia si ritrova sola contro la Germania e deve fare i conti con la strategia di Berlino sui temi militari ed energetici. Una cecità strategica che gli impedisce di pensare ai suoi rapporti con Russia e Cina. Mentre l’Europa occidentale pattina, l’Europa centrale inizia a fondersi con Pechino.

Come analizzare il desiderio francese di riscaldare i rapporti con Mosca? Secondo Velina Tchakarova , che dirige l’Austria Institut für Europa und Sicherheitspolitik (AIES), questo deve essere visto come un atto disperato di Parigi. Secondo lei, i paesi dell’Europa centrale e orientale sono molto preoccupati per questa manovra di una Francia indebolita e di un pensiero strategico debole, che trarrebbe vantaggio dal lasciare che i russi tornino da soli. A differenza dei tedeschi che non hanno mai interrotto i rapporti con la Russia, come dimostra il gasdotto Nord Stream II. Questo serve non solo a tenere Mosca lontana da Pechino ma anche a nascondere il quasi-fiasco tedesco nella transizione energetica, Corte dei Conti Federale compresa [1]denuncia lo slittamento incontrollato dei costi di produzione dell’energia elettrica, che rende il gas russo ancora più indispensabile. In una recente analisi [2] che ha scritto per l’AIES, Velina Tchakarova esamina la Three Seas Initiative. Questa alleanza riunisce 12 paesi [3] situati vicino alle rive del Mar Baltico, del Mar Nero e dell’Adriatico che stanno mostrando una forte crescita economica e controllando i loro bilanci. In virtù della loro posizione geografica, costituiscono in parte la pianura che conduce a Mosca, che è stata tentata di considerarli come uno glacis come oggi la Bielorussia o l’Ucraina.

Divisione europea

I 12 sono quindi oggetto delle attenzioni e dei finanziamenti di Washington e Bruxelles. In quanto tali, stanno sviluppando una rete di infrastrutture (come un tunnel sotto il Baltico) e soprattutto di gasdotti. Questi trasportano o trasporteranno gas americano, mediterraneo e mediorientale. Per gli americani lo shale gas è una forte leva per le esportazioni, in particolare verso l’Asia (Giappone e Corea del Sud) e verso l’Europa. Tra i 12, l’Austria, che fa parte della ruota della Germania, o l’Ungheria hanno legami con Russia e Cina. I paesi vicini della Russia (Polonia e Stati baltici) favoriscono naturalmente il gas americano. La Francia non dipendente dal gas di nessuno grazie alla sua flotta nucleare può trovare una posizione centrale e provare a spingere le pedine della sua industria nucleare con il gruppo di Visegrad[4] .

Inoltre, la Three Seas Initiative consente ad alcuni paesi di ritirarsi dalle Vie della Seta o dall’alleanza 17 + 1 che collega 17 paesi europei alla Cina, come la Lituania che ne è uscita nel maggio 2021. La Cina continua instancabilmente la sua opera di seduzione degli anelli deboli in Europa, come in Italia abbandonata da Bruxelles nell’inverno del 2020 e poi rilevata da Mario Draghi.

Pertanto, il silenzio assordante dell’Unione europea quando la Cina è entrata nel Pireo da Atene dieci anni fa rimane un mistero. Attualmente, la Serbia, ostracizzata dall’Europa negli anni ’90, offre il volto perfetto del vassallo di Pechino: pattuglie della polizia cinese a Belgrado, telecamere di sorveglianza cinesi in tutto il paese e uso di alto profilo del vaccino cinese. Le nuove Vie della Seta non passano molto.

Secondo Velina Tchakarova, all’interno dell’Unione, ogni paese europeo vuole fare tutto da solo, il che deriva da una mancanza di decisione da parte delle istituzioni europee. Possiamo anche ipotizzare che nel 2011 la minaccia cinese non sia stata oggetto di altrettanti commenti e analisi. Anche se, come si rammarica Thomas Gomart nelle sue recenti Guerre Invisibili , l’Occidente deve ancora affrontare una grave carenza di analisti del Partito Comunista Cinese.

Ma al di là del funzionamento del PCC, gli europei mancano anche di visibilità sul partenariato strategico sino-russo, che Velina Tchakarova chiama DragonBear ( DragonBear ). Questa partnership sarà rafforzata (cyber, spaziale, militare), senza che sia possibile avere molte informazioni sul suo contenuto.

Leggi anche: Libro: Il giorno in cui vincerà la Cina

La nuova aggressività cinese

Ciò che traspare dalla Cina, come l’anno scorso l’intervista del generale Qiao Liang [5] , uno degli autori della famosa Guerra oltre i limiti , è la considerazione di tutte le aree di intervento nel loro confronto con i loro nemici. Per ora, l’intreccio tra Cina e Stati Uniti, spesso descritto come ChinAmeric, haprima della presidenza Trump, era stata solo in parte rimessa in discussione: le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti sono aumentate notevolmente grazie ai confinamenti e agli aiuti forniti alle famiglie americane dallo stato federale. Queste eccedenze commerciali cinesi finiscono per essere riciclate in buoni del Tesoro USA, tanto più che non esiste una valuta o un sistema in grado di sostituire il dollaro oggi.

Alcune analisi stimano che la nuova aggressività della Cina la porterà a delusioni e che riprenderà le sembianze di un simpatico panda. Al tempo del 100 ° anniversario del Partito celebrato con grande sfarzo e l’onnipresenza di Xi Jinping, può mettere in dubbio un rilassamento imminente della linea di partito. Pechino resta sulla linea Stalin-Mao, di cui il presidente Xi assume i codici. Pertanto, leggeremo con interesse questo intervento [6]di John Garnaut, un ex giornalista australiano a Pechino diventato consigliere di Canberra, che dà una lettura molto ben argomentata della linea del Partito. L’ideologia di Pechino dà tutto il suo rilievo al soluzionismo tecnologico e al capitalismo della sorveglianza già denunciati da Shoshana Zuboff o Evgeny Morozov ben prima della crisi sanitaria. John Garnaut è uno dei primi analisti ad aver contribuito al risveglio degli australiani all’imperialismo cinese.

Resta da vedere cosa possono e vogliono gli stati occidentali irrigati dai finanziamenti di Pechino. Oltre al finanziamento dei think tank e delle università occidentali, secondo Velina Tchakarova, la Cina mantiene legami con 450 partiti politici in tutto il mondo (compresi i partiti socialdemocratici). Possiamo facilmente aggiungere che, a differenza dei sovietici russi durante la Guerra Fredda, i cinesi hanno risorse finanziarie straordinarie.

A causa dei legami del PCC con il Partito Democratico degli Stati Uniti, Velina Tchakarova crede che non ci sarà alcun conflitto armato tra Cina e Stati Uniti per i prossimi due anni (nonostante le dichiarazioni bellicose di Nikki Haley [7] per esempio). Quanto agli americani, il loro desiderio di trasformare la NATO in una lega contro la Cina sembra trovare poca eco tra i loro alleati. Stanno rafforzando i loro legami con i paesi Quad (India, Australia e Giappone) e anche con alcuni vicini della Cina che sono sotto pressione, come il Vietnam o le Filippine.

Velina Tchakarova ricorda che Russia e Cina si comportano da delinquenti e che di fronte a tali pratiche gli europei dovrebbero rafforzare la propria postura e i propri mezzi. Questo passa attraverso corpi d’armata su scala continentale. Ciò comporta anche lo sviluppo di corpi di mercenari, come il gruppo Warner per i russi, Black Water per gli americani o addirittura mercenari cinesi (alcuni dei quali sono addestrati dall’emblematico Erik Prince, fondatore di Black Water). L’Africa è diventata il parco giochi preferito dai cinesi. Russi e turchi seguono l’esempio nel continente e, da parte europea, solo la Francia vi mantiene un’attività.

Leggi anche: Deterrenza nucleare: il duello russo-americano messo alla prova della Cina

[1] Michel Bay, “Transizione ecologica. La Germania è preoccupata (finalmente!)”, Contrepoints , 16 maggio 2021.

[2] Velina Tchakarova, Livia Benko, “The Three Seas Initiative come approccio geopolitico e ruolo dell’Austria”, AIES Fokus , 11/2021.

[3] Austria, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia.

[4] Polonia, Ungheria, Repubblica ceca e Slovacchia.

[5] Si trova sul sito web di Conflits.

[6] Pubblicato sul sito Sinocism di Bill Bishop. Una traduzione francese può essere trovata sul sito Conflits.

[7] Ex ambasciatore all’ONU.

https://www.revueconflits.com/initiative-3-mers/

L’esperimento, di Andrea Zhok

La gestione della crisi pandemica si sta caricando di significati e di “opportunità” che vanno ben oltre la grandezza del problema sanitario. E’ inevitabile. Qualsiasi problema di relazioni sociali, siano esse di natura conflittuale, cooperativa o di entrambe, giacché dette relazioni presuppongono gerarchie e prevalenze, comporta l’affermazione e l’esercizio del potere. Gli avvenimenti di queste due ultime settimane, in particolare i fatti di Trieste, ci raccontano uno scontro tra due mondi. Il primo ha le idee sufficientemente chiare, dispone degli strumenti per realizzarle man mano che si offrono le occasioni, deve distruggere il senso e l’idea di comunità conosciuti in questi ultimi due secoli; i secondi percepiscono di essere le vittime di queste dinamiche ma non hanno idea di quali siano le alternative o i modi di affrontare questi cambiamenti. In realtà le distinzioni non sono così nette e in ciascuno dei due mondi allignano tracce pesanti dell’altro come succede soprattutto nelle fasi di transizione. Non si tratta di denunciare e contrastare complotti oscuri; gran parte viene dichiarato e portato avanti alla luce del sole. Si tratta di colmare l’abisso culturale che divide i due contendenti; si tratta di distinguere, nella fattispecie, il fatto e la necessità di affrontarlo, nella fattispecie l’epidemia, dalla sua gestione la cui modalità contribuirà in maniera decisiva a ridefinire gli assetti di potere e le capacità di controllo della società; soprattutto, si tratta di rompere il gioco perverso e imposto di un conflitto senza storia, rappresentato nella dialettica tra una impostazione positivistica di scelte politiche senza alternative, corroborate dalla “scienza” istituzionalizzata e indiscutibile, anche quando smentisce se stessa in pochi minuti, rappresentante e detentrice essa del progresso e l’ignoranza superstiziosa e allucinata, rappresentante della reazione codina. Se non si comprende l’avversario, è impossibile forgiare le armi necessarie ad affrontarlo. Quegli uomini trepidanti e inquieti, in preghiera nella piazza di Trieste, sono lo specchio di questo smarrimento e di una ribellione attualmente senza sbocchi. Questo a prescindere dall’esito della vertenza. Ho l’impressione che, dietro le quinte, qualche rassicurazione sul destino del green pass nel giro di qualche settimana troverà un accomodamento che non costi un voltafaccia esplicito del Governo_Giuseppe Germinario

L’esperimento

Pubblicato il 18 ottobre 2021 alle 09:44

Nel contesto delle discussioni intorno al Green Pass, ci sono amici che non smettono di stupirsi di come spiegazioni, argomentazioni, e soprattutto dubbi di matrice scientifica, giuridica e umana che cerchino di motivare l’avversione al certificato verde vengano nel miglior dei casi perculati, nel peggiore diventino oggetto di aggressione verbale, di ‘shitstorm’, di accuse ad alzo zero di egoismo, ignoranza, inciviltà, ecc.

Il tutto nella più assoluta impermeabilità alle ragioni altrui.

Io ho letto con i miei occhi (e se non lo avessi visto, non ci avrei creduto) discussioni in cui una donna incinta che si preoccupava per gli effetti di una vaccinazione poco sperimentata sul feto, veniva bullizzata verbalmente come fosse una deficiente o come un’ignorante terminale, perché “non capiva che anche l’aspirina ha effetti collaterali”, perché non si “fidava della scienza”, ecc.

Ecco, io credo che in effetti non ci sia poi molto di cui stupirsi.

Ad occhio e croce siamo tutti all’interno di una grande replica dell’esperimento di Zimbardo, docente di psicologia a Stanford. Il prof. Zimbardo aveva le sue teorie intorno ai meccanismi dell’appartenenza di gruppo, teorie francamente inadeguate, basate sulle idee di Gustave Le Bon, ma ad ogni modo egli cercò di indagarle creando una condizione sociale artificiale.

Nel seminterrato del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Stanford venne approntato una sorta di carcere. Vennero selezionati 24 studenti che secondo i test risultavano mentalmente e socialmente equilibrati, e vennero divisi a caso in due gruppi: i carcerati e i secondini, distinti per abbigliamento (inclusivo di occhiali scuri e manganello). Il compito assegnato era semplicissimo: i secondini dovevano mantenere l’ordine rispetto ai carcerati, secondo un programma quotidiano di gestione ordinaria.

Ebbene il risultato fu rapido ed esemplare.

Dopo soli due giorni iniziarono atti di violenza e intimidazione da un lato, e atti di ribellione dall’altro. La situazione degenerò così rapidamente che l’esperimento venne interrotto prima del termine della settimana, giacché alcuni dei “prigionieri” iniziavano a mostrare seri disturbi nervosi, mentre le “guardie” si compiacevano sempre di più di esercitare forme di prevaricazione e umiliazione.

L’esperimento era condotto metodologicamente in maniera troppo inadeguata per dare risultati certi, e la sua notorietà successiva rese eventuali repliche di fatto impossibili. (I partecipanti, usciti dall’esperimento, si vergognavano di quanto accaduto e cercarono sistematicamente di addossare la colpa di quanto accaduto ad altri.)

Tuttavia questo esperimento di fatto confermava intuizioni emerse già in un precedente esperimento (Milgram, 1961), in cui il compito assegnato era di somministrare ad una controparte scosse elettriche “con finalità educative”, e che aveva dimostrato la disponibilità di molti a somministrare scosse elevatissime (segnalate come “molto pericolose”) ai soggetti sperimentali con l’intento di “educarli”, persino quando questi ultimi chiedevano misericordia.

Ecco tutto ciò mostra, io credo, una dinamica fondamentale, spesso fraintesa (anche dallo stesso Zimbardo). Quanto accaduto, nel suo nucleo fondamentale, è che era stato conferito arbitrariamente potere e autorità morale ad un gruppo su di un altro, senza che ci fosse alcuna controparte di responsabilizzazione. Un gruppo di persone aveva di colpo avuto titolo a forzare, obbligare, offendere, deridere un altro gruppo, senza rischiare nulla, senza dover rispondere di nulla, con una legittimazione dall’alto.

Ecco, tanto basta.

Il governo italiano per la prima volta nella storia ha ricreato l’esperimento di Stanford a livello di una nazione (per fortuna per ora nella sola sfera virtuale).

C’è di che essere orgogliosi.

https://sfero.me/article/esperimento?fbclid=IwAR2kreRCu82DrjmG1aaDspFhrT1Y3-CW6m4iuJbScbGdbpSRzmN-1rgop4U

REGENI, TONI-DE PALO E ABU OMAR IL MAGISTRATO RECITA A SOGGETTO, di Antonio de Martini

In un paese in cui le persone temono di essere schedate dal vaccino che “non protegge al 100%” e si lancia in fulminee convivenze e matrimoni che al 50% finiscono male, non mi meraviglio se nessuno si ricorda più di una vicenda capitata nel 1980 in Libano, la TONI-DE PALO.

Una foto con Armando Sportelli durante uno dei nostri incontri-intervista durante i quali ha rivangato le fasi delle trattative con OLP , il caso Toni De Palo e altri.

Due “giornalisti” di cui nessuno ha mai letto una riga, che scomparvero ad un tratto – non si sa come ne quando- forse durante un giro in Libano nella pianura della Bekaa.

I loro cadaveri – se esistono- non furono mai ritrovati, ma furono l’occasione per far trionfare la magistratura sulla bieca corporazione degli agenti segreti: il capo centro in Libano, il maggiore dei carabinieri Stefano Giovannone , invano invocato come salvatore da Aldo Moro durante la sua prigionia, venne giubilato e inquisito assieme al suo capo, il colonnello Armando Sportelli, all’epoca a capo degli 007 italiani nel mondo e responsabile dell’accordo OLP-Italia che ha risparmiato, per trenta e passa anni, il nostro territorio da coinvolgimenti armati.

Il teorema del magistrato inquirente fu che se non si trovavano questi due personaggi, ( mai saputo chi ne denunziò la scomparsa…) erano certamente stati rapiti dall’OLP (Adesso però i cattivi in Libano sono gli Hezbollah) e l’intelligence doveva essere al corrente di tutto.

L’inchiesta, condotta da un sostituto procuratore di Venezia a nome Mastelloni, fratello di un attore di teatro, durò la bellezza di sette anni provocando la stroncatura della Carriera di Sportelli che ebbe l’ingenuità di dimettersi al primo giorno dell’inchiesta fidando nella istituzione. Stefano Giovannone , ammalato, non si riprese più, mentre il nome del generale V. dei CC che ne voleva la testa, fu trovato nella lista della P2.

Risultò, a chiunque fosse in buona fede, che i due non si erano mai presentati in ambasciata, non avevano chiesto interviste a nessuno, non avevano comunicato a nessuno intenzioni o itinerario e – posto che abbiano circolato in Libano, nessuno li incrociò o vide mai. Tanto bastò perché il magistrato indagasse per sette anni e la vita di due integerrimi servitori dello stato fosse stroncata. Il magistrato confidò in un momento di debolezza a Sportelli che era ” affascinato da questo mondo dei servizi segreti” e continuava a fare domande anche non pertinenti.

In tutto questo bailamme non una riga fu scritta dal solerte New York Times o dall’intrepido Guardian, nemmeno quando due anni prima fu trovato il cadavere di un cittadino francese alla periferia del Cairo. E non scrissero nemmeno quando un cittadino italiano- anche se il nome di battaglia é Abu Omar- fu rapito, il 17 febbraio 2003 in quel di Milano da un commando di 22 americani e due italiani, guidato dal capo centro CIA di Milano, tale Robert Seldon LADY, condannato dalla magistratura ( Spataro e Pomarici) e poi graziato, assieme ai compari, dal presidente Mattarella che quel giorno era, evidentemente, in buona con tutti, ma non con la donna ( Sabrina De Sousa) nel frattempo licenziata dalla CIA per aver allietato la vigilia del capo. Su tutto, nessuno scoop. Si sono interessati a una sola vicenda che ora riferisco.

Ritrovamento all’alba

Per il caso Regeni, Giulio Regeni, invece, fin dal primo giorno e prima ancora che ne fosse informata la nostra ambasciata, i predetti quotidiani si dimostrarono attentissimi alle vicende del cadavere di un italiano trovato, al Cairo, all’alba, sullo stradone, non lontano dalla trafficatissima via che conduce alle Piramidi e prosegue verso Alessandria d’Egitto. In USA ci sono sei ore di fuso di differenza ma il NYT riuscì a non” bucare” la notizia.

Il cadavere, così platealmente depositato, risultò appartenere a un cittadino italiano, il ventottenne Giulio Regeni, ” ricercatore” ventottenne residente da anni all’estero. Entrambi i quotidiani anglosassoni dimostrarono di essere informati delle indagini della polizia e delle omissioni della stessa, anche se non hanno mai rivelato le fonti ( o la fonte) che li tenne un passo avanti a tutti.

Il Ministro Andrea Orlando – che non si é mai scomodato per andare ai funerali degli operai che muoiono quotidianamente sotto la sua gestione ministero del Lavoro- si presentò a Fiumicino per ricevere le spoglie del compatriota. Anche questo va segnalato come il frutto di un singolare intuito circa gli sviluppi futuri del caso.

Tutte le mamme sono da rispettarsi quando piangono un figlio e, magari, chiedono giustizia se questo risulta deceduto in situazioni drammatiche. Questa madre non ha fatto eccezione ed é un suo diritto rivolgersi alla magistratura. Invece si rivolge al Parlamento e nemmeno al deputato del suo collegio. E d’ora in poi, nulla – in questa vicenda- seguirà più la normale procedura che tutela i diritti dei cittadini italiani.

Non la ricerca dei testimoni inglesi ( la dottoressa Maia Abd el Rahman– che aveva spedito il Regeni in Egitto per fare una ricerca sui “sindacati non riconosciuti” dandogli l’indirizzo di un professore dell’Università americana rivelatosi un confidente di polizia- non i finanziatori committenti americani della ricerca della ricerca – Oxford Analytica di John Negroponte ( ex capo della intelligence community USA)- non un accertamento su elaborati precedenti del Regeni di cui non v’é traccia.

E’ anche diritto dell’on Luigi Manconi, genero di Berlinguer, occuparsi – sia pure a singhiozzo- di diritti umani. Ricordo due episodi in cui si interessò con particolare accanimento, dovuto alla facilità di accesso al mezzo televisivo grazie alla parentela.

La prima volta che ricordo, fu per deplorare l’utilizzo di una prostituta somala (immortalata in foto con una bottiglietta di Coca Cola da L’Europeo o dall’Espresso, non ricordo) da alcuni bersaglieri del nostro contingente che si trovava a svolgere operazioni di peace enforcing per l’ONU.

Non é colpa dell’insistenza dell’onorevole Luigi Manconi se con questa polemica provocò il congelamento della nostra ben avviata candidatura al Consiglio di sicurezza dell’ONU grazie ai buoni uffici dell’ambasciatore Francesco Paolo Fulci che si era conquistato i necessari voti di moltissimi paesi afroasiatici, consentendoci di surclassare la Germania in sede di votazione in assemblea. Una battuta d’arresto dalla quale non ci siamo più ripresi.

Recentemente, resosi disponibile nuovamente il seggio ONU, abbiamo dovuto dividerlo con L’Olanda ( appoggiata da USA e Germania) benché questa sia stata dichiarata ufficialmente responsabile del Massacro di Srebrenica dalla camera Penale Internazionale ( CPI). Ottomila morti cancellati da un Manconi e una mignotta.

La seconda volta che ricordo, é il caso Regeni, dove, in concorrenza col presidente della Camera dei Deputati – Roberto Fico– il Manconi fece a gara per chiedere ” verità per Regeni“, giusto. Ma chiesero anche – interferendo con la nostra politica estera esorbitando dalle rispettive funzioni – il richiamo del nostro ambasciatore al Cairo e poi addirittura la rottura delle relazioni diplomatiche con l’Egitto, nascondendosi dietro una povera madre disperata.

In Egitto – guarda caso- era appena stato trovato dall’ENI ” nelle acque profonde egiziane antistanti il Delta del Nilo” un giacimento di petrolio e di gas che fa impallidire i giacimenti antistanti le acque cipriote ( Tamar e Leviatan) trovate dal servizio geologico degli Stati Uniti. E qui comincia il vero caso Regeni che mischia interessi privati, intelligence, ricatti tra petrolieri, rivalità geopolitiche tra alleati. Su tutto questo mucchio inquinato troneggia il servilismo dei magistrati addetti alla capitale che inscenano un processo farsa senza imputati, senza testimoni e senza movente, grazie a un procuratore la cui nomina é stata annullata dal Tribunale Amministrativo Regionale ( TAR).

L’ENI TROVA IL PETROLIO E GLI USA SFRUTTANO IL MORTO

Pur emarginato dalle acque libiche e ingabbiato con la Total in quelle di Cipro, L’ENI inquinato solo a livello dirigenza ma con ingegneri ancora memori dell’eredita di Mattei, hanno elaborato una tecnologi che ha permesso loro di trovare il petrolio, come dice il comunicato ENI ” nelle acque profonde egiziane” dove gli altri non hanno trovato nulla. L’Egitto, fedele alle sue scelte tradizionali, ha avuto sempre ottimi rapporti commerciali con l’Italia, dai tempi dei Tolomei al periodo coloniale inglese con Faruk, a Nasser durante la fase della influenza russa, un posto per noi c’é sempre stato.

All’epoca Regeni, i Francesi avevano monetizzato la misteriosa morte di uno studente con la vendita di 24 aerei ” Rafale”, mentre noi avevamo piazzato due fregate classe FREMM considerate l’opera di progettazione navale migliore nella sua classe. L’ambasciata di Israele era stata invitata a chiudere ” per ragioni di sicurezza” accentrando i rapporti con l’Egitto all’ambasciata egiziana a Tel Aviv.

Gli americani si lamentavano delle incomprensioni avute durante la “primavera” e delle ” avance” sessuali subite da alcune giornaliste USA mescolatesi ai manifestanti. I tedeschi aumentavano l’organico d’ambasciata degli addetti alla cooperazione a settanta unità, mentre l’Egitto di Abd el fattah Al Sissi affidava ad altri il raddoppio del canale di Suez e alla Russatom di Mosca la ripresa del suo programma nucleare accantonato anni fa.

Una bomba fasulla esplodeva nei pressi della nostra ambasciata e i magistrati di Roma invadevano gli spai dei magistrati egiziani e la polizia pasticciava le indagini nel tentativo di dare una risposta soddisfacente. Ordinaria amministrazione.

Il disordine, condito di “rumors” alimentati dal New York Times e dal Guardian cui ha fatto eco il TG1 e Il Messaggero ha spinto il Presidente della Camera a rilasciare incaute dichiarazioni di cui l’elettorato farà giustizia e il deputato che si é fatto dare le funzioni tanto dignitosamente tenute dall’on Stefano Rodotà.

Chi ha ceduto senza vergogna alle richieste cui aveva già dato benevolo ascolto il Quirinale nel caso “LADY più 22” ( Abu Omar) é stato il sedicente procuratore della Repubblica di Roma – tale Prestipino, calabrese, – contestato nella nomina dai più meritevoli colleghi cui ha soffiato il posto, destituito dal TAR e difeso della coschetta annidata nel CSM.

In questa posizione di debolezza ha preso per buona la vicenda e accettato di lanciare un processo in cui ai quattro nomi di imputati dirigenti dell’intelligence egiziano non ha nemmeno mandato la notifica; ha sorvolato sull’assenza della “tutor” di Regeni che non ha accettato di venire a testimoniare ( fatto notato persino dal cautissimo ” Corriere della sera“) e col processo di beatificazione in corso del Regeni – un ricercatore che a ventotto anni non aveva pubblicato nulla e non era “di Cambridge”: stava in un collegio secondario dell’area – difficile capire quale fosse la motivazione dell’omicidio e delle torture pregresse. Io al solito, in una intervista su You tube che potete vedere qui ( https://youtu.be/0PACeET31Ig ) avevo detto, prima che succedesse il caso Regeni e chiaramente, che avremmo subito pressioni per farci mollare l’osso. Il povero giovane é stato il pretesto per l’attacco. Impuniti finora i fiancheggiatori di questa pugnalata all’economia italiana.

Nel caso di Abu Omar, il tribunale di Milano ha condannato i 22 agenti CIA al pagamento di un milione e mezzo di danni alla famiglia del rapito. Scommettiamo che in questo caso condanneranno il governo egiziano?

https://corrieredellacollera.com/2021/10/18/regeni-toni-de-palo-e-abu-omar-il-magistrato-recita-a-soggetto/

L’illusione del nazionalismo arabo, di Hilal Khashan

L’identità araba non è mai stata ben definita.

Di: Hilal Khashan

Le rivolte arabe hanno brevemente resuscitato l’idea del nazionalismo arabo. Durante i Giochi Panarabi del 2011 in Qatar, gli spettatori hanno cantato l’inno nazionale arabo non ufficiale, i cui testi promuovono l’idea che gli arabi non possono essere separati da confini artificiali o religione perché la lingua araba li unisce tutti. Ma l’euforia del momento si è presto dissolta, quando la realtà della faziosità ha preso il sopravvento. Nonostante i vari tentativi di unità, le nazioni arabe hanno ripetutamente fallito nell’agire collettivamente o concordare interessi comuni.

Falsi inizi

Il primo movimento nazionalista arabo fu lanciato a Beirut nel 1857. La Società Scientifica Siriana inaugurò una rinascita culturale e intellettuale araba di breve durata. Non riuscendo ad attirare un vasto pubblico, svanì con l’inizio della prima guerra mondiale. Era essenzialmente un’organizzazione elitaria di cristiani principalmente siriani e libanesi e alcuni americani e britannici che vivevano nella zona. (Il nazionalismo arabo laico piaceva ai cristiani perché significava che potevano essere integrati come cittadini a pieno titolo.) Decenni dopo, la Young Arab Society fu fondata a Parigi in risposta al colpo di stato dei Giovani Turchi del 1908 contro il sultano ottomano Abdul Hamid. Il gruppo ha chiesto una transizione democratica, autonomia amministrativa per gli arabi e la designazione dell’arabo come lingua ufficiale alla pari del turco.

Le politiche repressive del governatore militare ottomano della Siria portarono i Giovani Arabi a chiedere l’indipendenza per le province arabe dell’Asia occidentale, aprendo la strada alla Grande Rivolta Araba sostenuta dai britannici nel 1916. L’ordine mondiale emerso dopo la prima guerra mondiale diede fino agli attuali stati dell’Oriente arabo, mentre i paesi indipendenti del Nord Africa sono emersi all’indomani della seconda guerra mondiale. I paesi imperiali occidentali hanno creato gli stati arabi nel loro formato attuale per garantire la loro continua fragilità e dipendenza dall’Occidente per la loro sicurezza.

L’identità araba non è un indicatore etnico. Emerse durante il califfato abbaside come linea di demarcazione politica tra i califfi arabi ei loro sudditi persiani nel IX secolo. Per essere considerato un arabo bastava pretendere di esserlo e parlare la lingua araba. Il nazionalismo arabo era per lo più limitato all’orgoglio per i risultati della comunità, in particolare la diffusione dell’Islam e della lingua araba al di fuori della penisola arabica. L’ossessione dei regimi arabi di rimanere al potere ha impedito loro di cooperare, assicurando che il nazionalismo di stato superasse il panarabismo.

 


(clicca per ingrandire)

Il mito del grande mondo arabo

L’idea del mondo arabo – una regione che si estende dall’Oceano Atlantico a ovest al Golfo Persico a est e l’Oceano Indiano a sud – è stata introdotta all’inizio del XX secolo da Sati al-Husary, ministro dell’Istruzione iracheno durante il regno di re Faisal I. A quel tempo, la sua concettualizzazione del nazionalismo arabo rimase per lo più un attaccamento sentimentale alla religione e alla lingua. In effetti, gli arabi erano orgogliosi della loro identità e cultura, ma non estendevano il loro senso di unità al regno economico o politico.

Nel 1920, Faisal fondò il Regno Arabo di Siria. Pochi mesi dopo, una forza francese – che comprendeva anche la cavalleria marocchina e due battaglioni algerini – sconfisse la forza siriana scarsamente equipaggiata e con personale insufficiente nella battaglia di Maysaloun vicino a Damasco, rivendicando la Siria come mandato francese. Ciò ha inferto un duro colpo al nazionalismo arabo, impedendo a Damasco di diventare un centro panarabo e condannando le sue prospettive di funzionare come uno stato centrale in grado di influenzare gli arabi ovunque.

A differenza del nazionalismo in Europa, il nazionalismo arabo non si è sviluppato a causa di una svolta tecnologica nella produzione che ha inaugurato un’era industriale. Non ha dato origine a una comunità politica inclusiva che ha sostituito le identità settarie, tribali e di clan. I leader arabi, sperando di ottenere la legittimità popolare, hanno promosso manifestazioni pubbliche dell’ortodossia sunnita invece di trattare la fede come una questione privata, cosa che ha alienato le sette islamiche eterodosse e i cristiani. Ad esempio, il vicepresidente egiziano Hussein el-Shafei, che ha servito sotto il presidente Gamal Abdel Nasser, ha cercato di attirare i cristiani copti egiziani all’Islam. Negli anni ’70, il libico Moammar Gheddafi esortò i cristiani libanesi maroniti ad abbracciare l’Islam per porre fine alla guerra civile.

Il pensiero nazionalista arabo ha contribuito a far rivivere il dogma religioso. In Sudan, ad esempio, il presidente Jaafar Numeiri si è trasformato da nazionalista arabo laico a fanatico religioso, introducendo la sharia in tutto il Paese, anche nella regione meridionale non arabizzata e non islamica.

Mancanza di azione collettiva

Questa faziosità e interesse personale ha bloccato ogni tentativo di genuina coesione. Il Consiglio di cooperazione del Golfo è stato creato nel 1981 da sei nazioni arabe – Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Qatar, Kuwait e Oman – apparentemente per integrare le loro economie e capacità di difesa. Ma il gruppo non è riuscito a raggiungere i suoi obiettivi dichiarati e le relazioni tra gli stati membri sono state segnate dal conflitto. L’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti sono ancora coinvolti in problemi di confine in corso. E nel 2017, tre degli Stati membri (più l’Egitto) hanno imposto un blocco di tre anni al Qatar.

L’idea di fondare l’Unione del Maghreb Arabo – un’alleanza tra Marocco, Tunisia, Algeria, Mauritania e Libia – è nata nel 1956 dopo che Tunisia e Marocco hanno ottenuto l’indipendenza dalla Francia. Ma anche questo non è riuscito a ispirare un senso di unità. L’invasione del territorio algerino da parte del Marocco nel 1963 diede inizio alla Guerra della Sabbia, che inasprì permanentemente le relazioni tra i due paesi. La loro disputa sul Sahara occidentale ha ulteriormente aggravato le tensioni e il mese scorso l’Algeria ha interrotto le relazioni diplomatiche con il Marocco. I cinque paesi hanno tenuto il loro primo vertice nel 1988, ma i capi di Stato non si sono incontrati da quando l’Algeria ha chiuso il confine con il Marocco nel 1994. L’AMU ha raggiunto 30 accordi multilaterali, ma solo cinque di essi sono stati ratificati.

L’accordo Sykes-Picot del 1916, che divise parti della Mezzaluna Fertile in mandati francesi e britannici, smorzò la spinta nazionalista araba. A differenza dell’Iran e della Turchia, dove uno stato centrale forte promuoveva coesione e solidarietà, il nazionalismo arabo non aveva un paese impegnato a portare avanti la sua causa e a creare un’entità panaraba unificata. Non è riuscito a decollare principalmente perché i principali stati arabi erano distratti dai propri problemi con la corruzione, il dispotismo, la stagnazione economica e l’avventurismo militare.

I movimenti nazionalisti arabi si divisero, dando origine a partiti politici di sinistra e marxisti. Il Partito comunista libanese, ad esempio, si è dissociato dall’internazionalismo sovietico per partecipare alla guerriglia contro le truppe israeliane nel sud del Libano. George Habash, che fondò il Movimento Nazionalista Arabo nel 1951, lo ribattezzò Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina. Questo movimento marxista-leninista ha orchestrato trame terroristiche di alto profilo in Israele e una serie di dirottamenti aerei negli anni ’60 e ’70.

“Il risveglio della nazione araba”, un libro scritto nel 1905 dal cristiano maronita Naguib Azoury, prevedeva uno scontro tra nazionalismo arabo e sionismo, che non sarebbe terminato finché uno dei due movimenti non avesse sconfitto l’altro. La profezia di Azoury si è avverata nel 1967, quando la Guerra dei Sei Giorni ha deluso ogni speranza per una nazione panaraba mentre le preoccupazioni si rivolgevano al recupero del territorio catturato da Israele. La sconfitta ha permesso alle minoranze etniche e religiose della regione araba, che per la maggior parte non avevano articolato richieste specifiche, di contestare l’autorità statale e di premere per l’autonomia. Sono diventati militarizzati e hanno presentato richieste politiche di vasta portata in Algeria, Sudan, Iraq e oltre.

L’identità araba esiste ancora in senso stretto come ricordo della gloria passata e di una cultura comune. È una forza simbolica che non ha meccanismi di azione collettiva in tutta la regione. Avendo vissuto sotto una successione di imperi religiosi, gli arabi non subirono una trasformazione necessaria per facilitare il trionfo del nazionalismo. Nella regione araba la religione resta la forza sociale decisiva e il motore dell’azione collettiva.

https://geopoliticalfutures.com/the-illusion-of-arab-nationalism/?tpa=YzY4N2E2YzRlMGEyYjYxMTc0MzQ4MjE2MzQ4MzAzOTBhMDlhODc&utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_term=https://geopoliticalfutures.com/the-illusion-of-arab-nationalism/?tpa=YzY4N2E2YzRlMGEyYjYxMTc0MzQ4MjE2MzQ4MzAzOTBhMDlhODc&utm_content&utm_campaign=PAID%20-%20Everything%20as%20it%27s%20published

 

AH L’ITALIA …, di Pierluigi Fagan

AH L’ITALIA … Una volta, quando lavoravo nell’advertising e tra i miei clienti avevo la compagnia di bandiera, un collega copywriter (quelli che maneggiano le parole) propose una idea che iniziava con questo sospiro rimembrante, quello che fanno molti stranieri quando si accingono a parlare del nostro Paese attingendo a bei ricordi delle loro emozioni turistiche. L’idea era quella di annettere tutto il valore d’immagine del Paese alla compagnia, come del resto hanno lungamente fatto altre compagnie di bandiera, un classico.
Ma un Paese non è fatto solo di belle emozioni e percezioni, è fatto anche di problemi e contraddizioni. Così, il sospirante “ah … l’Italia” starebbe bene anche su una faccia più problematica. Alitalia ha per molti versi davvero rappresentato un riflesso in piccolo di alcuni pregi e difetti nazionali. Alla fine, hanno prevalso i difetti ed è morta, solo la compagnia di bandiera intendo, almeno al momento.
Non voglio dar l’impressione di esser une esperto profondo dell’argomento, ma visto che molti ne parlano senza saperne niente (si capisce da cosa dicono e da come lo dicono), anche il mio poco mi autorizza a dire un paio di cose anche perché in termini paradigmatici, la storia ha un suo senso più ampio.
Alitalia era, tra le altre cose, assieme forse alla RAI, l’oggetto più “sexy” posseduto dallo stato italiano. C’erano e ci sono ovviamente ottime e fondate ragioni per avere una compagnia di bandiera, le interconnessioni estere dovrebbero seguire l’interesse nazionale e non sempre questo può esser coniugato con le logiche di mercato. Puoi dover tenere una tratta apposta solo per garantirne l’uso a pochi, anche se è anti-economica. Ma è bene dire anche che sia la scelta del management, sia l’abitudine a rimpinzare la compagnia di amici e spesso amiche dei potenti o meno potenti politici, hanno sistematicamente sabotato anche la più buona volontà di tenere i conti, non dico a posto, ma insomma almeno un po’ meno fuori i parametri che poi chiamavano soldi pubblici di ripiano. Abbiamo indirettamente mantenuto generazioni e generazioni di imbecilli azzimati e signorine attraenti solo per il piacere dei decisori politici, questo va detto. Ovviamente ci riferiamo solo ad una parte, forse anche una parte limitata, ma poiché la natura di quel business non prevede comunque grandi margini, anche quel relativamente poco, era troppo e troppo a lungo.
Inoltre, cambiare management ad ogni cambio di governo, ed i governi in passato cadevano con medie fuori da ogni statistica occidentale, ha precluso il varo di ogni possibile strategia e compagnie senza strategie (come del resto i Paesi), diventano ingestibili.
Una volta entrati nel regolamento europeo, si sarebbe dovuto per forza risolvere il problema. Non dico fosse giusto, potevamo tenercela anche così costosa ed inefficiente se ad uno piace il “pubblico” a prescindere o gli piace mantenere gli amici dei parlamentari e non solo, ma una volta entrati in un diverso sistema di regolamento che vieta il ripianamento pubblico, ne dovresti prender atto. Oppure uscire da quel nuovo regolamento.
In effetti qualcuno ne prese atto. Per prima venne proposta la soluzione forse tecnicamente migliore ovvero la fusione in una holding (non ricordo bene, penso paritaria) con un altro network complementare: KLM. La soluzione KLM era ottimale sotto tutti i punti di vista. Poi però cambiò ancora il governo e poi cambiò ancora, così si giunse ad una seconda ipotesi meno ottimale visto che KLM s’era sviluppata una coerente e diversa strategia per conto suo, con Air France. Ripeto, non sono un espertone del campo ma da quel poco (non pochissimo) che so la soluzione precedente era ben migliore, ma ormai le possibilità erano ristrette.
Si tenga anche conto che dal puro punto di vista del business, in Italia non avendo multinazionali nostre, originiamo poco traffico internazionale e poca business class che sono le due variabili che portano un po’ di profitto per pagare i servizi interni non sempre profittevoli visto che ovviamente si deve garantire almeno una buona interconnessione interna per far funzionare il Paese, Paese stretto e lungo lo ricordo per i digiuni di geografia (il che dà le durate di volo quindi i costi).
Ci sono poi una altra mezza tonnellata di particolari tecnici legati a quel business a livello internazionale, un mercato molto cambiato negli ultimi anni, ma a chi interessano i particolari? Molti hanno “idee chiare e distinte” anche senza i particolari. Diremo “al volo” se la cosa non suonasse ironica.
Così tra un populismo e l’altro del tipo “Alitalia agli italiani!”, seguendo i sovranismi aeronautici che facevano finta di scordare che, ahinoi, stavamo nel sistema UE-euro, nella totale ignoranza del caso interno e della natura di quel business le cui regole non dettiamo noi, andando così avanti senza ragione alcuna, di disastro in disastro fino al disastro ultimo, previsto, conosciuto, ignorato in piena nevrosi da negazione fino all’ultimo. Così si è arrivati a ieri, al triste annuncio della povera hostess che saluta gli ultimi passeggeri imbarcati a Cagliari, settantacinque anni ed un mese dalla fondazione di una azienda molto elegante ma come certi ex-nobili decaduti, molto fuori dal mondo. Visto che ormai si ragiona così, un “valore” di marchio costruito per decenni, buttato nel cesso.
Così il sospirato “Ah l’Italia …” sta bene sotto il romantico ricordo di tutte le nostre qualità, ma altrettanto bene come sconsolata constatazione di quanto irresponsabili siamo, noi e i politici che noi stessi deleghiamo a governare l’interesse generale. Non aver voluto cambiarla per tempo, decidendo noi cosa perdere e cosa tenere, ha reso Alitalia inadatta perdendo tutto. Così il Paese che è un sistema, un sistema fatto di parti ognuna delle quali ha ottime ragioni per non cambiare, salvo poi che così non cambia il sistema, il sistema è disadattato e crepa, con noi dentro.
Il che non preclude a molti il piacere tutto social di dire la loro partendo da idee a priori che poco e nulla c’entrano con la meno divertente complessità delle cose su cui esprimiamo pareri un tanto al chilo.
Nella foto, un omaggio ad una delle più belle livree dell’aeronautica civile, giudizio riconosciuto a livello mondiale che io ricordi.

INFLUENZA BALCANICA. LA SERBIA RIARMA MA NON PER RIVINCITE. OFFRE IL TRANSITO ALL’OLEODOTTO CHE TAGLIA FUORI L’UCRAINA…_di Antonio de Martini

Lo avevamo sottolineato già in alcuni articoli ed interviste di alcuni mesi fa. Prima che ai confini esterni, la NATO si concentrerà nei punti bianchi interni. Da quelle fessure potrebbero aprirsi crepe ingestibili. I Balcani, inoltre, sono il maggior punto di accordo tra gli interessi degli Stati Uniti e della Germania. Un buon modo per tentare di mettere in secondo piano i punti di attrito o di cercare contropartite più impegnative. D’altro canto la sopravvivenza dell’indipendenza politica della Serbia dipende dalla possibilità di rafforzare i legami con la Cina e la Russia. Potrebbero rientrare nel gioco anche Francia e Italia; la prima abituata a strepitare per nulla, la seconda ad acquattarsi contro se stessa_Giuseppe Germinario

I SERBI NEGLI ULTIMI TRE ANNI HANNO RADDOPPIATO LE SPESE PER LA DIFESA SUPERANDO ( NEL 2019) LA CROAZIA PARTNER N.A.T.O. QUEST’ANNO SPENDE IL 2,6% DEL BILANCIO. PIU’ CHE PER IL COVID.

Nel 2018 la spesa per la Difesa della Repubblica di Serbia é stata di 700 milioni di dollari, nel 2019 di 1,14 miliardi e nel 2020 – secondo il Jane’s – ha raggiunto 1,5 miliardi con un aumento anno su anno, del 43%.

Radovan Karadzic prima e dopo la cura. I successori non vogliono il bis.

I suoi vicini, MontenegroKosovoCroazia e Bosnia, sono in allarme, specie quelli che hanno minoranze serbe sul loro territorio e che magari le hanno bulleggiate, forti della presenza protettrice NATO e USA (la KFOR di cui fa parte anche l’Italia).

Ora che la presenza americana viene a mancare e la Serbia riarma – nemmeno silenziosamente- la fibrillazione non manca, stimolata da dichiarazioni tipo “Adesso abbiamo 14 MIG 29” come ha affermato orgogliosamente il presidente Aleksander Vucic. Come a dire che questa volta bombardare la Serbia non sarà facile come nel 96 .

E’risaputo che le fanterie NATO e USA possono affrontare , male evidentemente, guerriglieri afgani, ma non i guerrieri che non hanno temuto di affrontare i turchi,gli Austroungarici o i tedeschi quando se ne é presentata la necessità.

Proprio questo mese é stato creato il “giorno dell’unità, della libertà serba e della bandiera nazionale”. Ottima occasione per revival patriottici.

Alla domanda retorica del presidente croato Zoran Milanovic ” se i serbi non avessero nulla di più importante o intelligente da fare” ha risposto il Ministro dell’interno serbo Aleksander Vulin, spiegando che ” non c’è nulla di più importante dell’identità serba” e con questo ha chiuso la questione, mentre la Serbia ha lanciato la nuova parola d’ordine ” il mondo serbo” del quale potrebbero far parte “volontariamente e informalmente ” i paesi della ex Jugoslavia “per poi aderire in futuro anche giuridicamente. “

Ovvio che dichiarazioni del genere provochino timori o ipotesi interessate di revanscismo che potrebbero potenziare eventuali vecchi rivali, ma la realtà potrebbe essere ben diversa e le dichiarazioni essere semplicemente destinate a rafforzare lo spirito patriottico serbo in vista di futuri cimenti che tengono conto di quanto é effettivamente accaduto in Siria, Irak, Yemen e Afganistan, non appena quei paesi siano stati attraversati dalle linee di rifornimento o rotte commerciali petrolifere americane.

Non credo sia vero.

Pubblico pertanto una carta geoeconomica dell’Europa e delle sue vie di accesso, che illustra in blu il sistema vascolare che alimenta l’Europa ( e l’Italia) in gas e greggio proveniente dalle zone di produzione: Algeria, Russia e Levante. Ci sono gasodotti in progetto e in costruzione ( tratteggiati in rosso). Le linee blu continue sono operative. Quelle irachene le ho viste coi miei occhi,erano tre, ma non ne ricordo più il tracciato esatto, solo i punti terminali alle raffinerie di Haifa e Tripoli di Siria.

Il tratteggiato rosso che attraversa la Serbia, ha creato le premesse di un periodo di instabilità, che non é dovuto all’ipotesi di una ” seconda lezione” ai serbi che si cautelerebbero con un piano di riarmo che ha allarmato i vicini. E’ dovuto alla previsione di rappresaglie contro l’aver offerto ai russi l’opportunità di ” punire” l’Ucraina privandola delle royalties di transito sul suo territorio dei gasodotti russi rivolti a occidente. A fine lavori, la Russia disporrà di due itinerari di rifornimento della Germania e dei paesi centroeuropei “amici”, senza dover subire controlli, ricatti e prezzi degli ucraini protetti dagli USA.

Al contrario , ora l’Ucraina deve temere per la perdita di miliardi di royalties russe di transito, nella indifferenza europea che si vedrebbe comunque rifornita.

La Russia ha raddoppiato il northstream ( anche se il secondo condotto é finito ma non é ancora operativo) e sta moltiplicando gli oleodotti anche da sud ( con l’oleodotto ” Brotherhood e Turkish detti southstream) con l’obbiettivo di impedire che un sabotaggio metta in crisi il sistema di approvvigionamento dell’Europa.

Per evitare di passare sotto le forche caudine dell’Ucraina, ha organizzato un passaggio ungherese attraverso l Serbia e l’Austria ed ora la Serbia si cautela riarmando ed ecco perché l’Austria si vede improvvisamente il premier passato sotto processo per corruzione.

Il ballo é cominciato e Belgrado ha intenzione di vendere cara la pelle.

Per cominciare intimorisce i vicini – specie il Kosovo – che potrebbero ospitare basi ufficiali come la base Usa costruita durante e dopo la scorsa guerra balcanica, sia clandestine in caso la si voglia destabilizzare col solito collaudato sistema di “rivendicazioni popolari democratiche.”

Irussi guardano ai Balcani dalla metà del XIX secolo fino al trattato che va sotto il nome di Sykes-Picot, ma che fu ideazione e proposta di SERGEI SAZONOV , ministro degli esteri dello Zar, nel 1915.

La Russia entrò nel primo conflitto mondiale per difendere la Serbia contro l’impero Austro-Ungarico brandendo la bandiera dell’idea panslava e molti analisti sono pronti a giurare che potrebbe nuovamente scendere in campo in difesa dell’alleato, visto anche il successo del suo intervento in Siria e l’evidente riluttanza americana ad essere coinvolta da sola in azioni dirette.

L’Europa, che già pensa ad armare un corpo di spedizione di 50.000 uomini, dimentica che questo numero era, negli anni novanta, il quorum minimo necessario per una azione di peace keeping. Una guerra guerreggiata contro un esercito di popolo motivato, ansioso di rivincita e modernamente equipaggiato, richiederebbe ben altri mezzi e tutt’altra leadership.

IBalcani sono i nostri vicini di casa e non possiamo non notare che la ragnatela dei metanodotti punta all’Europa – il grande consumatore del globo assieme alla Cina anche’essa rifornita dai russi con un accordo decennale- e sia la rete russa che quella algerina e la costituenda rete levantina puntano verso l’Italia ( quella libica é ipotecata e resterà così a lungo) che é il ponte attraverso il quale tutti vogliono passare per giungere al cuore industriale dell’Europa che é la Germania. Un gasdotto su terra costa molto meno di uno sottomarino e potrebbe usufruire della rete creata dall’ENI in mezzo secolo. Italia e Germania, assieme formano il più ricco mercato del mondo per gli idrocarburi.

COSA VUOLE PUTIN

Con il recente aumento dei prezzi nell’imminenza della stagione autunnale, La Russia intende recuperare la ricchezza perduta con il varo delle sanzioni a suo carico, varate dall’Europa sulla scia degli USA.

La sanzioni economiche alla Russia costano cos^ doppiamente agli europei: in termini di lucro cessante ( mancate vendite ) e di danno emergente ( aumento dei costi del petrolio e del gas).

Putin e Lavrov ( e non va dimenticato Schroeder che , diventato il consulente di Gasprom si é certo vendicato di essere stato sostituito alla guida della Germania da una incolore Hausfrau) hanno usato strategicamente i rifornimenti di idrocarburi abbinati alla politica di armamento.

Hanno fidelizzato la Cina – che era grande amica industriale degli USA – con l’impegno a forniture decennali per tutte le sue industrie e promettono di acquistare armamento terrestre dai cinesi, coi quali hanno recentemente fatto manovre combinate con utilizzo di soli mezzi cinesi di terra – stanno fidelizzando la Serbia offrendole – oltre che la franchigia doganale assoluta per le merci già in atto da anni – royalties di transito degli oleodotti che si apprestano a negare all’infedele Ucraina e allettano la Turchia con offerte analoghe e collaborazione alla progettazione ( notizia della scorsa settimana) di carri armati turchi.

Aentrambe viene offerta anche la certezza di difendersi dalla eventuale schiacciante superiorità aerea USA e le affranca dalla dipendenza in fatto di armamenti e manutenzione in maniera che ulteriori sanzioni USA a loro carico e minacce di intervento risulterebbero inefficaci. Vendono i formidabili sistemi contraerei S 400 e gli aerei MIG 29 che sono superiori ai concorrenti americani e rendono impossibile operazioni come quelle che hanno atterrato Saddam Hussein, Gheddafi e hanno messo in difficoltà Siria e Yemen. Chi compra da Putin diventa intoccabile senza che la Russia possa essere considerata direttamente responsabile…

COSA VORREMMO NOI EUROPEI

Questo é il mistero. Per il momento, ognuno segue una politica basata sulla percezione degli interessi nazionali: La Germania difende il proprio canale di rifornimento di gas ( Northstream 1 e 2 )con la Russia. La Francia segue, ma non sappiamo per quanto ancora, vuole esercitare l’opzione dell’energia nucleare, L’Europa dell’est riapre le proprie centrali a carbone, L’Italia ha , d’accordo col passato governo tunisino, puntato sull’energia solare da produrre in Nord Africa e portare in Germania.

Il problema si é manifestato a causa dell’impennata dei prezzi del Gas dovuta alle restrizioni combinate ” quarantena + sanzioni. La brusca ripresa dell’attività industriale ha provocato una altrettanto brusca ripresa delle forniture e dei prezzi. Unico rimedio finora notato, é stata la riduzione dell’IVA praticata dagli spagnoli, mentre la Francia ha – con tre aumenti successivi- aumentato il prezzo del 57% e gli italiani, hanno nominato una commissione di studio….

Più sempliciotta la soluzione escogitata dal duo Ursula Van Der Leyen e Frans Timmermans che hanno varato un ” piano verde” assortito a uno slogan ” Fit for55″ ( riduzione del 55% delle emissioni di gas serra) con cui si vantano di essere stati i primi al mondo a fissare il traguardo ” clima” delle riduzioni di consumi entro il 2030.

Non indicano come riuscirvi e questo ne riduce la credibilità. Si affidano alla buona volontà delle imprese e danno l’impressione di non rendersi conto degli ostacoli cui andranno incontro a partire dai due anni che mediamente una delibera impiega per giungere in Parlamento con l’approvazione dei singoli paesi. Non a caso i verdi votarono contro la elezione di Ursula alla presidenza della commissione e si astennero alla votazione della fiducia della intera compagine.

D’altronde, la Ursula si é già scusata ufficialmente per una serie di topiche: dal mancato sostegno all’Italia all’atto dello scoppio della pandemia, alla sottovalutazione del trentesimo anniversario dell’indipendenza ucraina (fece comunicare dal capo di gabinetto che non avrebbe partecipato, come per una fiera di paese), al “divanogate” di Ankara ( che ha mostrato un uso approssimativo del suo staff al netto della misoginia del protocollo turco); i ritardi nella consegna dei vaccini ASTRA ZENECA, mentre l’Inghilterra li otteneva puntualmente. Tutto fa pensare che non domina la macchina ma ne é dominata. Non mi meraviglierei se venisse sostituita in corsa ( o anche informalmente) , ad esempio , da Angela Merkel.

Di certo, di fronte a una politica energetica chiara degli USA, della Russia e dei cinesi, L’Unione Europea procede tra indecisioni del centro e miopi egoismi delle periferie.

Il finale della partita strategica ed energetica europea si giocherà nei Balcani dove la Croazia e la Bulgaria si riarmano per ” compliance” coi nuovi requisiti NATO, La Grecia per “difendersi” dai turchi, la Serbia per cautelarsi dalle possibili conseguenze dell’ospitare un gasdotto essenziale per l’economia ucraina in un momento strategico particolare per i rapporti tra est e ovest.

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