Impossibile uscire dalla gabbia se seguiamo le regole del padrone, di Davide Gionco

Riceviamo e pubblichiamo_Giuseppe Germinario

Impossibile uscire dalla gabbia se seguiamo le regole del padrone. Perché dobbiamo costruire una Nuova Economia ed una Nuova Società.

di Davide Gionco
01.08.2022

Diceva Sunt-Tzu, antico generale cinese, che scrisse “L’arte della guerra”:
Quando il nemico ti porta a combatterlo con le armi da lui scelte, a usare il linguaggio che lui ha inventato, a farti cercare soluzioni tra le regole che lui ha imposto, hai già perso tutte le battaglie, compresa quella che avrebbe potuto vincerlo.”

 

La premessa fondamentale: dove risiede il vero potere politico

La premessa fondamentale è identificare chiaramente il nemico.
Una volta si sapeva che il nemico del popolo era il re di Francia o Benito Mussolini. Ma oggi chi è il nemico del popolo?
Per quale ragione continuano a cambiare i partiti, i deputati, i governi eppure le cose vanno (male) sempre allo stesso modo?

Nel 2013 a Berlino Mario Draghi, allora presidente della Banca Centrale Europea, disse la famosa frase: «L’Italia andrà avanti con le riforme indipendentemente dall’esito del voto. C’è il pilota automatico».

Il nemico del popolo, colui che detiene il vero politico ed ha la forza di imporre le proprie decisioni (il pilota automatico), sta altrove. Non sta a Palazzo Chigi e meno che mai a Montecitorio o Palazzo Madama.
Per questo motivo nessun esito elettorale può, da solo, determinare un reale cambiamento delle politiche di governo del Paese.

Perché le votazioni non cambiano la situazione

Se il reale potere politico non è così evidente dove si trovi, è evidente a tutti che le decisioni vengono ratificate ed eseguite dagli organismi istituzionali che derivano dal voto popolare. A metterci la faccia sono il presidente del consiglio, i vari ministri ed i parlamentari che in più occasioni sono chiamati a votare la fiducia su quanto deciso dal governo, assumendosene tutta la responsabilità davanti ai cittadini.

Per questa ragione moltissimi italiani sono convinti che sia possibile cambiare la politica in Italia cambiando quelle persone e utilizzando le “regole per il cambiamento” previste dal nostro sistema legislativo.
Queste regole, scritte nella Costituzione, nelle leggi, nei manuali di diritto, dicono che le decisioni su come funziona la nostra società le prendono il potere legislativo ed esecutivo. Quindi per cambiare le cose la via da seguire è presentarsi alle elezioni con un partito, avere la maggioranza nel parlamento, andare al governo e votare diverse regole del gioco.
Questo lo pensano quasi tutti, in quanto non ci vengono prospettate altre vie per cambiare la società. Ma poi si constata che, chiunque venga votato, alla fine dei conti dimostra di non voler realmente cambiare le cose o di non essere in grado di farlo (il luogo comune “i politici sono tutti uguali”). L’ultima grande delusione è stata quella del Movimento 5 Stelle, che aveva suscitato molte speranze, ma che ha dimostrato nei fatti di “essere come tutti gli altri”.
Per questo motivo molta gente smette di andare a votare, ritenendola un’azione irrilevante, di fatto rinunciando a far valere i propri diritti. Potremmo definirli, come faceva Dante, gli ignavi politici, che rinunciano ad impegnarsi e a prendere posizione. E’ una situazione analoga al periodo delle monarchie assolute, quando la gente non votava e poteva solo sperare nella benevolenza del re, limitandosi a curare i propri affari privati, senza attendersi un cambiamento del potere politico.
C’è anche chi non va a votare per protesta, pensando che chi detiene il potere potrebbe cambiare a causa dello scarso consenso popolare. L’errore di questo ragionamento è pensare che il potere abbia bisogno di una vasta legittimazione popolare, mentre in realtà il potere, come stabilito nella premessa, esiste al di sopra della politica e usa i meccanismi istituzionali (elezioni, nomina del governo, ecc.) unicamente come occasioni per piazzare i propri uomini (o donne, che fa più politicamente corretto) nei luoghi decisionali che contano. Chi detiene il potere al massimo temerà che venga nominato un ministro non allineato (si veda il caso di Paolo Savona, impedito dal presidente Mattarella, poi sostituito dall’allineato Giovanni Tria) o un primo ministro non totalmente controllabile (Silvio Berlusconi Conte sostituito da Mario Monti), ma di certo non teme l’astensione dal voto.

La maggior parte delle persone che si impegnano in politica pensano che l’unica via di uscita dalla gabbia sia quella scritta nelle regole: presentarsi alle elezioni con un partito, prendere la maggioranza nel parlamento, andare al governo e cambiare le regole del gioco.
Dal punto di vista teorico questo metodo potrebbe funzionare, ma all’atto pratico la storia, non solo italiana, ci dimostra che è estremamente difficile, quasi impossibile.

La prima ragione, evidente, è che le regole del gioco sono truccate
Chi detiene il potere politico dispone di cospicui finanziamenti, dell’appoggio delle istituzioni e dei servizi segreti, dei principali mezzi di informazione (che non si fanno problemi a diffondere falsità di ogni genere). Chi detiene il potere politico decide le regole elettorali, le date, gli ostacoli da porre a chi vorrebbe cambiare. E può usare questi mezzi non solo per favorire i partiti già presenti in parlamento, ma anche per creare nuovi partiti da loro controllati che si propongono fintamente come “alternativi”; può seminare divisioni, tramite infiltrati, nelle forze politiche realmente alternative. Possono decidere di concedere spazi mediatici a persone incapaci come Luigi Di Maio, per farle emergere all’interno del loro partito alternativo, e di non concedere spazi a persone capaci, per non farle emergere. Ovviamente possono corrompere i politici eletti. Oppure li possono ricattare o minacciare. O uccidere.
E se anche le elezioni non andassero come il potere voleva, potranno orchestrare campagne mediatiche contro il nuovo potere politico (vedasi il trattamento subito da Trump negli USA), potranno organizzare attentati destabilizzanti (vedasi strategia della tensione in Italia intorno agli anni 1970). Potranno organizzare un colpo di stato o una invasione armata da parte di una “coalizione internazionale” che libererà l’Italia dal potere antidemocratico”.

Insomma, questa via è teoricamente percorribile, ma c’è da sapere che le regole sono truccate e gli ostacoli da superare sono moltissimi.
E’ ovvio che se una forza politica riuscisse a conquistare e a mantenere per molti anni la fiducia del 40-50% degli elettori, senza dividersi e senza cedere ai fortissimi condizionamenti esterni ed interni, esisterebbe la fattiva possibilità di cambiare le cose in meglio e di limitare l’invadenza dei poteri che stanno al di sopra della politica. Ma rileggiamo cosa diceva il saggio Sun-Tzu:
Quando il nemico ti porta a combatterlo con le armi da lui scelte, a usare il linguaggio che lui ha inventato, a farti cercare soluzioni tra le regole che lui ha imposto, hai già perso tutte le battaglie, compresa quella che avrebbe potuto vincerlo.”
Pensare di risolvere i problemi usando le regole che l’attuale sistema di potere ci ha imposto significa mettersi in condizioni estremamente favorevoli per chi detiene il potere ed estremamente sfavorevoli per chi intende contrastarlo.

In realtà il fondamento dell’attuale sistema di potere è il farci credere che non vi siano altre vie da percorrere diverse dalle regole che ci mettono a disposizione.

E’ come quando il gatto gioca con il topo che ha catturato. Il topo può scappare solo quando lo decide il gatto, nella direzione che decide il gatto, fino alla distanza decisa dal gatto.
Dopo di che il topo viene ricatturato e ritorna alla mercé del gatto.
Siamo come i polli nella gabbia, a cui viene concesso spazio di libertà fino ai limiti della rete. E se anche le porte della gabbia sono aperte, ci hanno convinti che la spazio in cui muoverci, che fuor di metafora è il sistema di regole vigenti, sia quello all’interno della gabbia.

In realtà esistono altre strade da seguire per sottrarci gradualmente dal potere che ci opprime, ma è necessario fare lo sforzo di uscire dagli schemi che ci vengono proposti.
A volte se ne parla in articoli, in convegni , ma ad ogni tornata elettorale si presentano i soliti “leader politici” che si propongono come risolutori dei problemi, per i quali l’unica urgenza è presentarsi alle elezioni. E le persone li seguono, perché il “richiamo delle elezioni” è fortissimo, al punto che le persone trovano energie per estenuanti riunioni, banchetti in strada, incontri pubblici, con la speranza di essere essi stessi i protagonisti del cambiamento politico tanto atteso.
Dopo di che, passate le elezioni, con conseguente – ovvia – delusione, i più determinati si preparano per la successiva competizione elettorale, mentre i meno determinati si scoraggiano e si ritirano da ogni forma di impegno politico, accrescendo le fila delle persone appartenenti alla categoria degli ignavi politici.

Sarebbe stato possibile impegnarsi per percorrere delle soluzioni alternative (ne parliamo a seguire), ma si è preferito combattere con gli strumenti proposti da chi detiene il potere (nel caso specifico: lo strumento delle elezioni), adeguandosi al pensiero unico dominante. Alla fine il risultato è stata una forte delusione e nessun cambiamento politico e sociale.

 

Il vero potere sta nell’economia

Ci chiedevamo all’inizio dell’articolo dove sta il potere politico.
Il potere politico nei paesi occidentali sta prima di tutto nell’economia, nelle grandi multinazionali, nella finanza internazionale.
Oggi l’economia è costituita per lo più da società per azioni quotate in borsa. Chi controlla le quote azionarie controlla queste società e determina le loro decisioni.
Le quote azionarie sono detenute da chi possiede molto denaro ovvero dalle grandi società finanziarie, come BlackRock, Vanguard, State Street, le quali da sole ogni anno investono capitali per oltre 20 mila miliardi di dollari, pari a 11 volte il PIL italiano e 5 volte il PIL tedesco.
Sono quindi in grado di “investire” per comperare qualsiasi impresa, qualsiasi giornale e qualsiasi persona per indirizzare le loro decisioni al fine di garantire le rendite degli investitori.

Siccome l’Italia ha aderito al WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio) che prevede la libera circolazione dei capitali, questi capitali possono liberamente entrare in Italia per comprare, aprire o chiudere imprese, creando o distruggendo posti di lavoro. Possono decidere di fare aumentare i prezzi dell’energia e del cibo. Possono decidere di boicottare un intero Paese, se non risponde alle loro richieste. Possono comperare le testate giornalistiche e le televisioni, imponendo loro di raccontare una falsa narrativa su cosa accade nel mondo. Ovviamente possono mettere in piedi un partito politico, trovando dei prestanome per guidarlo. Ovviamente possono fare pressioni per far nominare un proprio uomo all’interno della BCE, dell’OMS, della Commissione Europea e imporre regole a loro vantaggio.
Ma non dobbiamo fissarci sui nomi di queste società, perché dietro di loro ci sono migliaia di società più piccole, ci sono milioni di investitori in tutto il mondo i quali richiedono solo una cosa: far rendere i propri investimenti finanziari, senza preoccuparsi di come questo avverrà.
In nome del “dio rendimento finanziario” ogni azione che garantisca una rendita è lecita, che si tratti di far scoppiare una guerra o di imporre all’Italia una riforma fiscale che colpisca le proprietà degli immobili o che riduca le pensioni.

Il potere del denaro: questo è il potere che domina la politica, anche in Italia, a cui difficilmente il potere politico istituzionale, votato dal popolo, è in grado di opporsi.

 

Il punto debole del sistema di potere e come fare la vera rivoluzione

Tuttavia esiste un punto debole del sistema di potere.
Chi detiene il potere oggi detiene molto denaro, tuttavia il denaro assume valore solo nella misura in cui noi lo accettiamo in cambio del nostro lavoro. Di per sé sono solo pezzi di carta, numeri scritti sui computer.
La quasi totalità della ricchezza reale, costituita dalla produzione di beni e servizi, è prodotta da noi stessi. Chi possiede molto denaro in realtà non produce nulla. Se chi detiene il denaro (euro, dollari, ecc.) non lo potesse usare per comperare il nostro lavoro e se noi non utilizzassimo quel denaro per acquistare ciò che ci serve per vivere, quel denaro cesserebbe di avere valore.
E cesserebbe il potere di chi possiede quel denaro, compreso il potere di determinare le decisioni politiche.

La regola del gioco che ci fa perdere tutte le battaglie (Sun-Tzu) è che siamo noi stessi a dare valore, usandolo, allo strumento che il nemico utilizza per sconfiggerci in ogni nostra battaglia politica.

La vera rivoluzione, quindi, sta nel prendere atto che l’attuale denaro che utilizziamo è uno strumento utilizzato per estrarre ricchezza reale da noi che lavoriamo, concentrandola nelle mani di pochi e rendendoci sempre più poveri. Noi non sappiamo fare a meno di esso, dato che lo usiamo per vivere e questo gli conferisce valore nell’economia e anche nella competizione politica, il tutto a nostro svantaggio.
Ci sarà la vera rivoluzione, rivoluzione politica, solo quando ci saremo organizzati per vivere senza dipendere dal “loro” denaro.
Dobbiamo organizzare una Nuova Economia, una Nuova Società, con una nostra moneta, dove produciamo beni e servizi e ce li scambiamo fra di noi usando quella moneta per pagare gli scambi.
E già quello che facciamo oggi, ma lo dobbiamo fare rifiutandoci di usare, per quanto possibile, le monete della finanza internazionale, che sono lo strumento fondamentale dell’esercizio del potere che ci opprime.

Ovviamente il passaggio sarà graduale. All’inizio la rivoluzione riguarderà magari solo il 10% degli scambi economici. Ma poco alla volta, man mano che più persone e più competenze professionali saranno state coinvolte nell’organizzazione, potremo  via procurarci all’interno della Nuova Economia una quantità maggiore di beni e servizi.
Parallelamente alla comunità economica, fatta di persone che hanno capito come disinnescare il meccanismo del potere, crescerà la comunità sociale, formata dalle persone che sono determinate a realizzare un reale cambiamento politico nel Paese.

A quel punto, quando ci si presenterà alle elezioni, non si presenterà solo un partito, ma si presenterà una comunità economica e sociale, che dispone dei propri mezzi di informazione, di una vasta presenza sul territorio, già presente negli enti locali.
Il cambiamento politico, anche nelle istituzioni, sarà quindi una conseguenza del cambiamento sociale ed economico e non viceversa, come pensano coloro che oggi vorrebbero risolvere tutti i problemi presentandosi alle elezioni.

 

Le emergenze come metodo

Chi detiene il potere non solo ha il potere di determinare le decisioni politiche, ma anche il potere di determinare l’agenda di coloro che intendono opporsi al sistema.
Se si limitassero a governare male il Paese, la gente potrebbe, poco alla volta, organizzare una vera alternativa politica, che rappresenterebbe un potenziale pericolo per il potere costituito.

Per evitare questo problema da qualche decennio utilizzano il metodo dell’emergenza.
Oramai la nostra vita è fatta di emergenze che ci vengono presentate dai mezzi di informazione al fine di spaventarci.
Non si tratta solo di emergenze inventate, ma anche di emergenze reali, causate dalle decisioni del potere politico che conta. La gente non ha tempo da investire per organizzare il cambiamento politico generale, per liberare il popolo dall’oppressione dei poteri finanziari, in quanto è spinta a concentrare la propria azione per difendersi da singole emergenze.

Chi determina le emergenze sa benissimo come la gente reagirà. Sanno che se verrà imposto l’obbligo vaccinale, pena la perdita del posto di lavoro, la gente spenderà energie per andare in piazza a protestare.
Ma loro non temono le proteste in piazza, perché le proteste da sole non organizzano alcun cambiamento.
Sanno che se la gente è più povera dovrà dedicare più tempo a lavorare, per mantenere la propria famiglia, senza trovare il tempo da dedicare al cambiamento politico.
Sanno che la gente penserà di organizzarsi per le prossime elezioni, ma non lo temono, per i motivi che abbiamo spiegato sopra.

E’ il principio di azione e reazione. Mettono in atto le azioni che comporteranno, istintivamente, certe reazioni nel popolo, reazioni da cui non hanno nulla da temere.
Sono loro che determinano la nostra agenda, in modo che nessuno si organizzi veramente per cambiare il sistema di potere.
Rileggiamo di nuovo a Sun-Tzu:
Quando il nemico ti porta a combatterlo con le armi da lui scelte, a usare il linguaggio che lui ha inventato, a farti cercare soluzioni tra le regole che lui ha imposto, hai già perso tutte le battaglie, compresa quella che avrebbe potuto vincerlo.”
Se ci lasciamo imporre l’agenda da loro, ci porteranno a combattere dove sanno già che saranno loro a vincere.

Non dobbiamo cadere nel loro gioco. Dobbiamo certamente difenderci dai soprusi, ma senza dimenticare che è con “altri metodi” che vinceremo le battaglie. Dobbiamo determinare la nostra agenda dei cambiamenti e portarla avanti, nonostante le emergenze che ci scaglieranno addosso.

 

Conclusioni

Con quanto scritto non intendo sostenere che sia totalmente inutile presentarsi alle elezioni ed andare a votare, ma intendo sostenere che se limitiamo la nostra reazione alle regole “classiche” della politica non abbiamo la minima possibilità di successo.

E’ invece necessario mettere in atto delle azioni che incidano quotidianamente sul sistema di potere finanziario, aumentando la presenza di una nostra “Nuova Economia” in grado di esistere facendo a meno della “loro moneta”.
Diceva Padre Alex Zanotelli che “noi votiamo ogni volta che facciamo la spesa“. Aggiungo io che “noi votiamo ogni volta che vendiamo il nostro lavoro“.
Ogni volta che usiamo lo stesso denaro che usano le multinazionali per governare l’economia mondiale e per imporre decisioni politiche ai vari popoli, noi conferiamo valore a quel denaro e conferiamo potere alle multinazionali.

Eppure il cambiamento dipende solo da noi, perché siamo noi a decidere a chi vendere il nostro lavoro e da chi comperare i beni e servizi che ci servono per vivere. E noi non abbiamo bisogno del loro denaro per vivere, ma dei beni e servizi che ci sono necessari, che possiamo ottenere anche in cambio della nostra moneta, senza usare la loro.
Sono queste nostre decisioni quotidiane che possono, poco alla volta, ridurre il potere della finanza internazionale e aumentare il potere della nostra comunità economica, sociale e (quindi) politica.

Ora si tratta di organizzarci in modo da sapere chi è disposto a cambiare il proprio modo di fare acquisto e il proprio modo di vendere il proprio lavoro.
Non possiamo scrivere i dettagli di un progetto del genere in un articolo, ma abbiamo già delle idee.
Chi vuole partecipare alla costruzione della Nuova Società e della Nuova Economia, ci contatti.

Davide Gionco
davide.gionco@gmail.com

 

I principali paesi dell’America Latina hanno riaffermato la loro neutralità di principio, di Andrew Korybko

Il controllo ferreo statunitense sull’America Latina si sta certamente allentando e qualche importante anello della catena si è spezzato. Rimane, però, l’estrema fragilità ed approssimazione delle classi dirigenti e del ceto politico di quasi tutti quei paesi ad offrire ampi margini di recupero ad una leadership statunitense meno ottusa. Il contesto geopolitico multipolare è più favorevole; la qualità dei centri decisori locali molto meno; l’assenza progressiva dell’Europa in quell’area un fattore di semplificazione peggiorativo. Il tempo del colpo di stato “facile” è ormai passato. Occorrerebbero strumenti più sofisticati. Buona lettura, Giuseppe Germinario
Per quanto diversi siano l’Argentina, il Brasile e il Messico, sono tutti uniti nella causa comune di praticare la neutralità di principio nei confronti del conflitto ucraino, che li rende i leader multipolari dell’America Latina.

Argentina, Brasile e Messico, che sono i principali paesi dell’America Latina, hanno appena riaffermato la loro neutralità di principio nei confronti del conflitto ucraino rifiutandosi di unirsi agli Stati Uniti nel condannare l’ operazione militare speciale russa in corso durante l’ultima Conferenza dei Ministri della Difesa delle Americhe. Questo sviluppo diplomatico non è solo simbolico ma anche politicamente sostanziale. Dimostra che l’egemonia degli Stati Uniti sta rapidamente declinando poiché non possono più imporre la propria volontà a quei grandi paesi.

L’America Latina ha sempre resistito ai tentativi aggressivi del suo vicino settentrionale di costringere la regione a inchinarsi alle sue richieste, ma con alterne fortune negli ultimi due secoli. Ora, tuttavia, i suoi principali paesi stanno ancora una volta manifestando la loro indipendenza politica poiché si sentono incoraggiati dal declino egemonico degli Stati Uniti, accelerato senza precedenti dall’inizio del conflitto ucraino. L’Argentina, il Brasile e il Messico avvertono la debolezza e ne stanno sfruttando appieno per fare un punto forte.

L’ottica di quei tre che si uniscono per resistere alle richieste degli Stati Uniti di condannare la Russia è estremamente imbarazzante per Washington. L’amministrazione Biden ha affermato che stare in “solidarietà” con i suoi delegati a Kiev è un obbligo di tutti i cosiddetti “paesi civili e democratici”, ma tre dei più importanti paesi dell’emisfero occidentale chiaramente non sono d’accordo con questa interpretazione del conflitto . Credono che rimanere neutrali sia l’opzione più morale e pragmatica disponibile.

Hanno anche ragione, dal momento che questo conflitto dall’altra parte del mondo non è affar loro. Inoltre, hanno tutti stretti rapporti anche con la Russia, quindi non c’è motivo per loro di peggiorare unilateralmente questi legami reciprocamente vantaggiosi semplicemente per placare gli Stati Uniti. Al contrario, i loro interessi nazionali oggettivi sono serviti continuando a coltivare legami con Mosca, che ne garantisce la sicurezza energetica e alimentare. Hanno anche un vantaggio mostrando alla regione che non hanno paura di opporsi agli Stati Uniti.

Qui sta il punto più sostanziale dal momento che l’America Latina sta ancora una volta insorgendo per opporsi all’egemonia del loro vicino settentrionale. La transizione sistemica globale alla multipolarità è irreversibile, e il momento storico è tale che il mondo intero ne sta sfruttando al massimo per ritagliarsi il proprio ruolo nell’ordine emergente. Argentina, Brasile e Messico non fanno eccezione e si sono resi conto che ora è il momento perfetto per rafforzare la loro leadership regionale.

Gli Stati Uniti non possono farci nulla, non importa quanto desiderino che ciò non accada, il che parla di quanto siano diventati deboli negli ultimi mesi. Presumibilmente ha cercato di influenzare le loro decisioni in anticipo, ma ha fallito in modo spettacolare, ecco perché tutto si è svolto come è successo. Mentre gli Stati Uniti hanno riaffermato con successo la loro egemonia in declino sull’Europa durante il conflitto ucraino, hanno perso la loro egemonia sull’America Latina nel processo.

I primi tre paesi nel suo proverbiale “cortile di casa” gli hanno inviato il messaggio che non saranno più respinti. Sono orgogliosi di opporsi all’egemone emisferico per fare un punto politico potente che ha anche lo scopo di ispirare le masse regionali a continuare a resistere agli Stati Uniti. Per quanto diversi siano l’Argentina, il Brasile e il Messico, sono tutti uniti nella causa comune di praticare la neutralità di principio nei confronti del conflitto ucraino, che li rende i leader multipolari dell’America Latina.

VERSO UN AUTUNNO CALDO, ANZI CALDISSIMO_di Marco Giuliani

VERSO UN AUTUNNO CALDO, ANZI CALDISSIMO

Elezioni, guerra, crisi energetica e caro-vita: l’Italia si prepara a una stagione di tensioni

Tra poche settimane per l’Italia comincerà un tour de force che sarà contraddistinto, come prima “tappa”, dalle elezioni politiche anticipate. Simultaneamente, si dovrà continuare a convivere con la crisi energetica, ad affrontare la prosecuzione (assai più che probabile) della guerra russo-ucraina e a contrastare il persistere del caro-vita, che sta mettendo alle corde centinaia di migliaia di famiglie e lavoratori. Con quali prospettive ci si sta preparando ad affrontare un’emergenza di tale gravità, che potrebbe rivestire aspetti senza precedenti nella storia recente del paese?

Certamente, i politici nostrani sono partiti con alcune premesse e un varo di programmi (o non programmi) che fanno accapponare la pelle. Come punto di partenza, infatti, malgrado la maggioranza della popolazione sia contraria sine die, il deposto governo ha deciso di continuare a spendere in armi per circa un miliardo e duecento milioni all’anno, facendo già capire l’approccio col quale questa classe dirigente (ricordiamolo, non legittimata dai cittadini neanche per 5 nanosecondi della sua legislatura) intenderà sopperire alle emergenze sociali e strutturali in corso. Non trovando, ancora una volta, nemmeno uno straccio di opposizione che faccia desistere i partiti di maggioranza (quelli che, in nome del “draghismo dei migliori”, hanno contribuito allo sfacelo dell’Europa) dalla loro deriva militarista. Senza distinzioni, perché non basta chiudere la stalla quando i buoi sono già usciti (come ha fatto Conte un paio di settimane fa) e non basta nascondere detta condizione mediante la pletora di media ancora asservita all’ex governatore della Banca d’Italia. Secondo punto: scostamento di bilancio, che significa nuovo debito pubblico. Terzo punto, che rappresenta una variabile dipendente: sostenibilità e innovazione. Ma come pianificare un’agenda (sostenuta dalla coppia Draghi-Mattarella) in cui le parti litigano anche per l’installazione di un termovalorizzatore?

Le cose si mettono male, inoltre, perché col passare dei mesi si sta assottigliando sempre più quella differenza – che è il sale della politica – di idee, proposte e vocazioni tale per cui ogni schieramento dovrebbe avanzare un suo programma, soprattutto su basi storico-ideologiche divergenti. Oggi, il Parlamento italiano, che stando ai sondaggi non rappresenta più una buona fetta del suo elettorato (qualcosa come il 20-25%, pari a poco meno della media astensionismo) sembra avviluppato in una sorta di grande centro ibrido incapace di trasmettere alternative e nuove soluzioni programmatiche. Se le sottilissime, residue diversità che caratterizzano ancora l’offerta dei due-tre poli a presidio del sistema parlamentare vengono svilite all’enigma sul futuro posizionamento di Brunetta (di cui agli italiani non può fregare di meno) e a cincischiare su come regolarizzare i flussi migratori e relativa acquisizione della cittadinanza, la politica italiana è oscenamente ridotta a un’ammucchiata priva di iniziative.

Una volta, parliamo degli anni Sessanta, epopea del boom economico, la storiografia e gli analisti avevano modo di definire “centro” o “centrismo” quella collocazione moderata che si distingueva poiché equidistante dal conservatorismo estremo e dal progressismo troppo sbilanciato a sinistra. Attualmente, invece, a fronte di questo imbastardimento, i politologi si affannano persino per dare una definizione astratta all’area di appartenenza del nostro correntismo politico. Si tratta di un malessere in divenire che si è trasformato in patologia cronica a danno del welfare e del già sofferente stato sociale del paese. A margine di questo status, se aggiungiamo che oltre duecento tra senatori e deputati hanno cambiato partito o sono entrati nel Misto, il disastro è completo.

Purtroppo, il tema principale su cui questo grande centro ibrido sembra allineato in modo piatto e irreversibile è ancora una volta la politica estera, ovvero il ruolo ormai stagnante dell’Italia nel panorama internazionale. In tale contesto non si distinguono destra, sinistra e centro; la diplomazia – o ciò che ne è rimasto – segue pedissequamente Bruxelles e Washington senza voce in capitolo, sino al punto di apparire come un servo sciocco degli alti comandi atlantici. Ciò significa: dissanguare le casse pubbliche per investire in armamenti, obbedire alla Nato sotto l’aspetto strategico-militare e assecondare gli stessi Stati Uniti nelle loro politiche destabilizzanti che, oltre a colpire in Europa e in Ucraina, stanno provocando un’altissima tensione anche nei delicati rapporti tra Cina e Taiwan. In pratica, è un’ingerenza che passa da un lato all’altro del pianeta. E sapete qual è la morale? Che la Casa Bianca può permetterselo e l’Europa no, men che meno uno dei suoi fanalini di coda in quanto a crescita e salari, cioè l’Italia. Qui prodest?

Possiamo senz’altro asserire che molto del futuro prossimo dipenderà dalla situazione internazionale e dai suoi sviluppi. A tal proposito, giova ricordare a chi è corto di memoria che mentre gli ucraini e il Donbass sono sotto le bombe, Zelensky posa plasticamente per la rivista newyorkese Vogue e Biden è dato al 25% del gradimento nei sondaggi americani.

 

MG

 

BIBLIOGRAFIA

M.J. Brown, Is Taiwan Chinese? The impact of culture, power, and migration on changing identities, University of California Press, Berkley, 2004 –

A.Giardina-G.Sabbatucci-V.Vidotto, L’Età contemporanea, Roma/Bari, Laterza, 2000 –

 

SITOGRAFIA

www.adnkronos.com

www.dire.it

www.funzionepubblica.it

www.ilsecoloditalia.it

www.youtrend.it

Il fianco della guerra, di: George Friedman

Pensieri dentro e intorno alla geopolitica.

L’arena della guerra russo-ucraina è ovviamente l’Ucraina. Ma come nella maggior parte delle guerre, l’arena principale non definisce la guerra nel suo insieme. Questa guerra non è iniziata con l’invasione russa dell’Ucraina. È in corso da anni come basso livello di pressione. Ha iniziato a intensificarsi nel 2020.

Come abbiamo affermato, l’obiettivo principale della Russia è creare barriere geografiche che proteggano il suo nucleo dagli attacchi, in particolare lungo le linee storiche di invasione. Non è sempre necessario raggiungere fini politici – e tutte le guerre hanno fini politici attraverso l’uso diretto della forza. I fini politici possono essere raggiunti anche economicamente, attraverso azioni segrete o minacce. C’è un principio di base della guerra: attaccare un nemico sui fianchi. La forza principale è solitamente concentrata al centro delle linee. La parte posteriore è difficile da raggiungere. Ma i fianchi del nemico sono probabilmente punti vulnerabili in cui un attacco, se riuscito, può spezzare la forza avversaria.

I fianchi non sono solo tatticamente significativi. Possono essere strategicamente critici, proteggendo la nazione stessa eliminando una linea di attacco; per l’attaccante creano una linea di attacco, costringendo alla dispersione delle forze in difesa e creando aperture. Per la Russia, il primo attacco di fianco si è verificato a seguito di elezioni contestate e proteste a metà del 2020 in Bielorussia, lungo il confine settentrionale dell’Ucraina, con il confine occidentale che bloccava la pianura nordeuropea. Significava quindi che qualsiasi attacco dalla Polonia, ad esempio, sarebbe stato bloccato dalla Russia con la forza in Bielorussia, deviando l’attacco attraverso l’Ucraina. Va sottolineato che uno stratega prudente schiera le forze non sulla base di un apprezzamento delle intenzioni del nemico al momento, ma piuttosto sulla base di possibili azioni. E per la Russia, un attacco da o dalla Polonia era considerato possibile, e chiudere quella linea di attacco imperativo. La soluzione è stata un intervento morbido per aiutare a sedare le proteste antigovernative. I russi hanno cementato il presidente Alexander Lukashenko e hanno ottenuto l’opportunità di attaccare il fianco settentrionale dell’Ucraina.

La seconda area in cui i russi hanno cercato di proteggere i loro fianchi era nel Caucaso meridionale. Il Caucaso meridionale era una linea di attacco utilizzata dalla Turchia nel corso dei secoli. La Russia ha bloccato l’area assicurandosi un accordo tra Armenia e Azerbaigian che ha portato le forze di pace russe dispiegate nella regione, proteggendola dalle minacce immediate.

Gli Stati Uniti stanno ora contrastando la difesa del fianco meridionale della Russia. La mossa russa si basava sulla fine del conflitto azerbaigiano-armeno e sul diventare l’arbitro tra di loro. Con la Russia preoccupata per l’Ucraina, questa settimana, il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha visitato sia l’Armenia che l’Azerbaigian, offrendo di mediare i problemi esistenti tra di loro e ovviamente discutendo di energia in Azerbaigian. La Georgia è già ostile alla Russia e relativamente vicina agli Stati Uniti. Gli Stati Uniti stanno chiaramente cercando di creare un solido blocco filoamericano nel Caucaso meridionale e di costringere i russi a preoccuparsi per il Caucaso settentrionale e possibilmente dirottare le forze lì. Dal momento che questo era un percorso di invasione in una volta e poiché gli Stati Uniti hanno il potenziale per agire su di esso, la Russia non può ignorare il suo fianco meridionale.

Allo stesso tempo, la Russia sta cercando di costruire un fianco a sud-ovest dell’Ucraina in Moldova. La Moldova è un paese indipendente di lingua rumena. La sua politica è complessa e imprevedibile. La Russia ha cercato di creare una Moldova filo-russa per un po’ di tempo, ma in generale non è riuscita a spostare l’allineamento della Moldova. Ora i russi stanno pressando più forte, vedendo una possibile manovra di fianco in cui potrebbero minacciare l’Ucraina da sud, in un’area in cui la conquista significherebbe il taglio delle linee di rifornimento ucraine. Il trucco è eleggere un governo filo-russo, magari offrendo alla Moldova un pezzo di Ucraina che ridurrebbe la vulnerabilità e la dipendenza della Moldova dalla Romania come incentivo. Ciò creerebbe una minaccia per l’Ucraina difficile da tollerare. La Romania, alleata degli Stati Uniti, ha cercato di gestire la Moldova dalla caduta dell’Unione Sovietica in un ambiente in cui non c’era una guerra significativa in corso. Ora, la Russia ha un motivo fondamentale per cercare di prevalere e gli Stati Uniti hanno un motivo schiacciante per bloccarlo. Questa manovra di accompagnamento è sufficientemente significativa per un grande sforzo russo, mentre distoglie Ucraina e Stati Uniti da richieste di risorse più immediate, semplicemente per mantenere lo status quo.

La guerra in Ucraina iniziò con un tentativo della Russia di allearsi con la Cina e distogliere l’attenzione americana dall’Europa. Il tentativo di forzare gli Stati Uniti su un fianco asiatico è fallito. Una delle cose interessanti delle manovre di accompagnamento negli affari internazionali è che le intese su larga scala tendono a fallire perché la scala dei poteri è così ampia da essere piena di complessità. Affiancare è una manovra che richiede agilità. Una grande potenza può tentare di manovrare; una potenza minore può al massimo allearsi con una potenza maggiore, ma raramente può manovrarla nella posizione desiderata.

Ci sono, naturalmente, molti altri tentativi fatti per reclutare nazioni da entrambe le parti in guerra. Ma la manovra di fiancheggiamento è diversa. In primo luogo, si cerca una posizione geografica, in modo che i paesi in questa discussione siano tutti vicini o vicini al confine ucraino. Rappresentano una minaccia di un’azione militare che potrebbe influenzare la realtà militare all’interno dell’Ucraina. La stessa minaccia rappresentata dalla manovra di fiancheggiamento – la possibilità di un attacco – potrebbe costringere uno dei combattenti a ridistribuire le forze necessarie per il combattimento in una posizione statica, indebolendo la forza nel suo insieme. Le normali alleanze possono rafforzare materialmente una parte o l’altra, ma a meno che non siano contigue non possono minacciare direttamente l’altra parte. Fare in modo che l’Iran o la Nuova Zelanda dichiarino il loro sostegno potrebbe essere soddisfacente e forse significare l’acquisizione di alcune attrezzature, ma non cambierebbe nulla.

La guerra sembra essere statica in questo momento, anche se può cambiare in qualsiasi momento. E quando le guerre diventano statiche, cambiare la forma del campo di gioco diventa importante. In questo momento sia gli americani che i russi sono impegnati in manovre di fiancheggiamento che potrebbero cambiare la forma del campo di battaglia e mettere una parte in svantaggio. Più a lungo durerà la guerra, più la battaglia per i fianchi avrà importanza.

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DALLA FANTASIA ALLA REALTÀ, DALL’ILLUSIONE ALLA DISILLUSIONE_ del generale Antoine Martinez

Un importante dossier in circolazione tra le fila delle forze armate francesi. L’ennesima conferma di come il dibattito sull’andamento e sulle implicazioni del conflitto in Ucraina sia molto più aperto oltre confine. Contribuisce a spiegare le frequenti oscillazioni che hanno segnato i comportamenti di alcuni leader europei a differenza del tetragono atteggiamento del nostro funzionario, attualmente ancora al governo sia pure in attesa di più confortevole rifugio. Buona lettura, Giuseppe Germinario

 

UCRAINA-RUSSIA-UCRAINA

DALLA FANTASIA ALLA REALTÀ, DALL’ILLUSIONE ALLA DISILLUSIONE

Generale(2s) Antoine Martinez

 

CONFLITTUALITÀ UCRAINA-RUSSIA:: DAL FANTASMA ALLA REALTÀ DALL’ILLUSIONE ALLA DISILLUSIONE

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Di fronte alla guerra in Ucraina che avrebbe potuto e dovuto essere evitata, abbiamo ancora il diritto, in un mondo così libero, di cogliere questa situazione drammatica con una griglia di lettura non manichea o siamoci viene ordinato di sottometterci alla sola verità dispensata ufficialmente, pena l’invezione e l’insulto?

 

Perché sì, questo conflitto poteva essere evitato ammettendo oggettivamente, dopo la continua espansione della NATO dalla fine della guerra fredda verso i confini russi – un’ossessione diventata patologica per alcuni – che l’ammissione dell’Ucraina in questa organizzazione non è accettabile in quanto costituisce un casus Belli per la Russia.

 

Le questioni di sicurezza della Russia, tanto legittime quanto quelle degli Stati membri dell’UE, non possono essere ignorate e vogliono escluderla, pur essendo parte in causa, un’architettura sulla sicurezza europea che riguarda tutto il continente europeo non sembra né ragionevole né responsabile.

 

Una situazione di questo tipo crea tensioni inutili e pericolose.

 

Allora, fare oggi un calcolo sbagliato, dopo aver creato le condizioni per lo scoppio di questo conflitto, sottovalutando la determinazione della Russia sarebbe un errore colpevole dalle conseguenze drammatiche per l’Europa intera.

 

Quando Vladimir Putin afferma che la questione dell’Ucraina è diventata una questione esistenziale, bisogna crederlo. Quindi andrà fino in fondo.

 

La mancanza di cultura storica di molti dirigenti attuali e di moltissimi giornalisti, o addirittura la loro mancanza di discernimento o la loro ignoranza possono portare a derive mortali.

 

Cinque mesi dopo l’impegno delle truppe russe in territorio ucraino, è importante cercare di fare il punto della situazione e di condurre una riflessione su questa guerra che in realtà si rivela non essere solo una guerra militare tra due Stati.

 

Un certo numero di argomenti devono essere evocati, sviluppati e analizzati per mettere in evidenza le vere poste in gioco e i rischi di un confronto generalizzato che non è nell’interesse degli europei.

 

CONFLITTUALITÀ UCRAINA-RUSSIA:: DAL FANTASMA ALLA REALTÀ, DALL’ILLUSIONE ALLA DISILLUSIONE

 

  • PROMEMORIA DELL’OPPOSIZIONE AL BLOCCO OCCIDENTALE CONTRO IL BLOCCO ORIENTALE

 

  • LA REALTÀ SULLA SITUAZIONE MILITARE E LE CONSEGUENZE

 

  • IL REGNO ASSOLUTO DEI MEDIA

 

  • L’UOMO CHE HA SACRIFICATO L’UCRAINA

 

  • L’UCRAINA FIRMERÀ LA MORTE DELLA NATO

 

  • GLI STATI UNITI A TUTTI I PAESI

 

  • L’UNIONE EUROPEA FIRMA IL SUO SUICIDIO GEOPOLITICO E GEOSTRATEGICO

 

  • FRANCIA, UN APPUNTAMENTO MANCATO CON LA STORIA

 

  • UNA RAGIONE INDICIBILE DI QUESTA GUERRA

 

  • CONCLUSIONI

 

PROMEMORIA DELL’OPPOSIZIONE AL BLOCCO OCCIDENTALE CONTRO IL BLOCCO ORIENTALE

 

In un primo momento, è necessario ricordare il contesto. La Guerra Fredda, che contrapponeva dalla fine della seconda guerra mondiale il blocco dell’Occidente (NATO) a quello dell’Est (Patto di Varsavia), si è conclusa all’inizio degli anni novanta con la vittoria della prima conquista finalmente senza combattimento, che ha portato al crollo e alla scomparsa dell’Unione Sovietica. Le conseguenze di questo sconvolgimento furono immediate con la scomparsa delle forti tensioni che avevano segnato per decenni la regione Centro-Europa, portando allora molta speranza tra i popoli europei (soppressione della cortina di ferro, la distruzione del muro di Berlino essendo il simbolo più emblematico). Queste conseguenze geopolitiche si sono tradotte nella dissoluzione del Patto di Varsavia, con la riunificazione della Germania e l’uscita dei paesi dell’Europa dell’Est dal grembo sovietico per quello dell’Europa dell’Ovest con la volontà rapidamente espressa da questi ex satelliti dell’Unione Sovietica di entrare nella NATO prima ancora di prevedere la loro adesione all’Unione europea (UE). Sul piano geostrategico e politico-militare, bisogna riconoscere che gli sforzi dedicati alla difesa – che pure hanno permesso di vincere la Guerra Fredda – sono stati rapidamente dimenticati. Era tempo, infatti, secondo la parola rimasta famosa, «di raccogliere i dividendi della pace» (L. Fabius). Così, per più di trent’anni, i paesi europei hanno continuato a ridurre pericolosamente e irresponsabilmente i loro mezzi destinati alla difesa. La Francia, ad esempio, è passata dal 3,5% del PIL alla fine della guerra fredda all’1,2% alla fine del quinquennio di François Hollande! Quindi, quando si verifica una grave crisi, come quella che stiamo vivendo nel continente europeo, è impossibile per l’UE, collettivamente o per uno qualsiasi dei suoi membri, anche per la Francia, di avere la minima influenza o la minore capacità di dare un contributo sul piano diplomatico o di esercitare una pressione per permettere la de-escalation. La diplomazia è resa impotente nella misura in cui non dispone di un braccio armato adatto a pesare in una crisi maggiore. Il mantenimento della NATO – organizzazione originariamente difensiva ma divenuta rapidamente offensiva – dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia è all’origine di questa impotenza dei paesi europei che hanno ceduto la propria protezione agli Stati Uniti. La NATO si è così trasformata in un’organizzazione più politica che militare ed è così diventata uno strumento di controllo dei paesi europei e di difesa degli interessi degli Stati Uniti. Più di trent’anni dopo la fine della guerra fredda, questi ultimi sono contrari e si opporranno con tutti i mezzi a un riavvicinamento dei paesi europei con la Russia. Ecco perché l’autonomia strategica europea – per non parlare dell’industria di difesa europea o di un ipotetico esercito europeo – evocata da alcuni, e in particolare dalla Francia, non potrà mai esistere, la NATO costituisce un ostacolo insormontabile alla nostra sovranità e a quella degli europei.

 

Questo preambolo sul contesto è importante perché pone il problema della rinuncia e della debolezza dei paesi europei e quindi della loro impotenza sul piano diplomatico e militare. La prossima adesione della Svezia e della Finlandia alla NATO non fa altro che consacrare – oltre a mettere benzina sul fuoco – la vassallazione dell’Europa agli Stati Uniti. Tuttavia, il conflitto tra Russia e Ucraina potrebbe, paradossalmente, essere all’origine di una schiacciante sconfitta della NATO, ponendo il problema della propria sopravvivenza, quando l’Ucraina sarà costretta ad ammettere la propria sconfitta. Perché la Russia, spinta all’aggressione, è condannata a non perdere.

 

LA REALTÀ SULLA SITUAZIONE MILITARE E LE CONSEGUENZE

 

Ricordando e analizzando la situazione militare, occorre ricordare innanzitutto che l’operazione lanciata il 24 febbraio scorso dal presidente russo non è il punto di partenza di questo conflitto, ma è una conseguenza logica di una guerra preparata dagli Stati Uniti. Questi ultimi sono alla manovra in Ucraina da molti anni poiché sono all’origine del colpo di Stato del febbraio 2014 che ha portato al rovesciamento del presidente ucraino filo-russo Victor Yanukovich. Questa cosiddetta rivoluzione di Maidan ha provocato forti tensioni con la Russia e la stessa Ucraina e ha portato a una scissione tra l’ovest del paese che sostiene il nuovo potere rivolto verso l’UE e la sua parte orientale dove risiede la maggior parte delle popolazioni di lingua russa. È da allora che l’odio degli ucraini contro la popolazione filo-russa si è scatenato. Lo status della lingua russa come seconda lingua ufficiale è stato soppresso nel febbraio 2014. Questa decisione provoca una tempesta nella popolazione di lingua russa che provoca rapidamente una feroce repressione contro le regioni di lingua russa (Odessa, Dniepropetrovsk, Kharkov, Lugansk, Donetsk) e porta alla militarizzazione della situazione e ai massacri (Odessa, Marioupol, Donbass). Bisogna ascoltare la violenza delle parole pronunciate nel dicembre 2014 dal presidente ucraino Petro Porochenko, eletto il 7 giugno, qualche mese prima, contro gli abitanti dell’est del paese e il suo modo di trattarli per sottometterli: Avremo lavoro e loro no. Avremo le pensioni e loro non. Avremo vantaggi per i pensionati e i bambini, loro no. Nostri

I bambini andranno a scuola e all’asilo, i loro figli rimarranno nelle cantine… Ed è così, proprio così che vinceremo questa guerra! » Da allora, è una guerra all’ultimo sangue combattuta dal potere centrale di Kiev contro una parte del suo popolo, russofono, con truppe formate dalla NATO. Si tratta addirittura di una guerra civile, con circa 14.000 vittime in otto anni. Tutto questo in un silenzio mediatico assordante. Bisogna ascoltare i media occidentali e soprattutto francesi tacere!

in seguito, la decisione di Vladimir Putin di impegnare le sue truppe sul territorio ucraino, il 24 febbraio, ha stranamente provocato un tuono all’interno delle stesse forze armate francesi con la destituzione del generale comandante della Direzione dell’intelligence militare (DRM) a cui è stato rimproverato di «insufficienze nel lavoro del

informazione durante la crisi ucraina, mancanza di informazione e scarsa conoscenza dell’argomento». In realtà, sembra che una divergenza di analisi del DRM

 

– quindi dalla Francia – con i servizi di intelligence americani – quindi dagli Stati Uniti – sulle vere intenzioni di Vladimir Putin sia all’origine. Il capo di stato maggiore delle forze armate francesi (CEMA) aveva ammesso a Le Monde delle divergenze di analisi tra Parigi e Washington sulla questione di una possibile invasione dell’Ucraina. I nostri servizi pensavano che la conquista dell’Ucraina avrebbe avuto un costo mostruoso e che i russi avessero altre opzioni per rovesciare il presidente Volodymyr Zelensky. Gli americani dicevano che i russi avrebbero attaccato, avevano ragione». Una tale dichiarazione («avevano ragione»), a posteriori bisogna sottolinearlo, cioè dopo l’attacco russo, permette di «giustificare» questo limogeage e, conseguenza spiacevole, di gettare il discredito sulla competenza degli esperti del DRM. Ma questo licenziamento non è forse dovuto, in realtà, al rifiuto della DRM di aderire all’analisi che gli Stati Uniti volevano imporre a tutti i membri della NATO? Perché, in questo caso, l’analisi del DRM presentata alle autorità politiche era perfettamente fondata. La prima fase dell’attacco dell’esercito russo lo testimonia del resto con il costo umano che ha pagato e che certamente non voleva Vladimir Putin. Inoltre, ci si può chiedere perché quest’ultimo non abbia proceduto prima al rimpatrio dei beni della banca centrale russa detenuti nell’UE se la sua decisione di attaccare fosse stata presa ben prima del 24 febbraio. Ma questo

 

  • avevano ragione» del CEMA, al di là del seguito sistematico dei dirigenti del nostro paese, traduce il cinismo e il machiavellismo degli Stati Uniti, alla manovra in Ucraina, che hanno fatto proprio tutto per spingere il presidente russo ad attaccare, Si tratta di una scadenza che è stata accuratamente preparata e annunciata per giorni e settimane. Alla fine è successo perché non poteva non accadere, perché Vladimir Putin è stato spinto in una trappola meticolosamente elaborata. Non si tratta con questo «avevano ragione» del risultato di un’analisi e di un’iniziativa razionali e intellettualmente oneste che caratterizzano l’intelligence, ma di una manovra di disinformazione e di deplorevole manipolazione.

 

questa transizione permette di affrontare l’avvio dell’operazione militare. In realtà, non è impegnata il 24 febbraio da Vladimir Putin ma il 16 febbraio dall’esercito ucraino che ha cominciato a bombardare le popolazioni civili del Donbass, mettendo Vladimir Putin davanti a una scelta difficile. Il massiccio aumento del fuoco contro la popolazione del Donbass da questa data indica ai russi che è imminente una grande offensiva. Questo massiccio aumento dei tiri è peraltro dimostrato dai rapporti giornalieri degli osservatori dell’OSCE (cfr. allegato 1). Tali relazioni costituiscono quindi elementi di informazione indiscutibili. Tuttavia, né i media, né l’Unione europea, né la NATO, né alcun governo occidentale reagiscono. Di fatto, passano sotto silenzio il massacro delle popolazioni russofone del Donbass perché sanno che questo non può che provocare un intervento russo. Si tratta, infatti, di una provocazione organizzata – che potrebbe anche essere definita un crimine di guerra (bombardamento di popolazioni civili) – destinata a spingere la Russia alla colpa intervenendo. Per convincersene, ma è sorprendente, il presidente americano Joe Biden annuncia il 17 febbraio, con una rassicurazione machiavellica, che la Russia attaccherà l’Ucraina nei prossimi giorni. Ovviamente ha ragione, poiché la situazione si evolverà secondo la sceneggiatura scritta. Il CEMA lo confermerà (a posteriori) nella sua dichiarazione al giornale Le Monde parlando degli Stati Uniti: «avevano ragione». Ciò che sarebbe stato sorprendente è che la Russia non reagisce. Un altro punto importante, tuttavia, deve essere menzionato. I preparativi ucraini che hanno preceduto questi massicci bombardamenti hanno spinto il parlamento russo molto preoccupato a chiedere a Vladimir Putin di riconoscere l’indipendenza delle repubbliche del Donbass, cosa che inizialmente rifiuta. Fu solo il 21 febbraio, di fronte all’aggravarsi della situazione, che accettò la richiesta del parlamento e riconobbe l’indipendenza delle due repubbliche del Donbass. In seguito firmò con loro un trattato di amicizia e di assistenza. Pertanto, il segnale lanciato dalla Russia è un chiaro avvertimento sul rischio di un intervento in caso di ulteriori bombardamenti massicci e mortali. Con l’aumento dei bombardamenti ucraini sulle popolazioni del Donbass, le due repubbliche del Donbass chiesero il 23 febbraio l’aiuto militare della Russia. Il 24, Vladimir Putin, invocando l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite (mutua assistenza militare nel quadro di un’alleanza difensiva), decide di intervenire in Ucraina (CQFD). È stato fatto di tutto per innescare questo intervento. Gli Stati Uniti hanno un’immensa responsabilità in questa aggressione russa che hanno provocato.

 

Per quanto riguarda gli obiettivi fissati per questa operazione, sono precisati da Vladimir Putin nel suo discorso del 24 febbraio: smilitarizzare e denazificare l’Ucraina. Non si tratta di impadronirsi dell’Ucraina, né di occuparla o distruggerla. Questa operazione fu lanciata con urgenza il 24 febbraio, otto giorni dopo l’inizio dei massicci bombardamenti della popolazione civile del Donbass, che precedeva di alcuni giorni l’assalto delle forze di Kiev. Per questo è stata definita un’operazione speciale perché non è una classica guerra ad alta intensità contro un nemico irriducibile ma piuttosto un’operazione di liberazione di una popolazione amica (Donbass) martirizzata per otto anni nel silenzio assordante dei leader e dei media occidentali . Per questo la Russia ha deciso di impegnare solo dal 12% al 15% dei suoi soldati, senza utilizzare le sue

immense riserve e senza dichiarare mobilitazioni parziali e ancor meno generali. L’operazione, infatti, viene svolta in inferiorità numerica con rapporto di potenza di 1 contro 2 mentre gli esperti ammettono che il rapporto di forze a terra richiesto nella fase offensiva deve essere 3 contro 1, anche 5 contro 1 in urbanizzato la zona. L’esercito russo era quindi impegnato con forze stimate in 150.000 uomini nel primo scaglione con altri 50.000 uomini nel secondo scaglione che costituivano una riserva teatrale. Le forze ucraine schierano dalla loro parte circa 210.000 uomini attivi rinforzati da 250.000 riservisti operativi. Queste forze ucraine sono state addestrate dal 2014 da quadri americani e britannici.

 

in termini di interpretazione delle intenzioni e delle azioni russe , i media occidentali, che danno il tono con una pletora di esperti nominati ed esercitano grande influenza e pressione sulle decisioni che prendono i leader, hanno commesso una grave colpa fin dall’inizio. Stabilendo in linea di principio l’esistenza in questo conflitto di un bravo ragazzo e un cattivo ragazzo e concludendo rapidamente, senza reale competenza o obiettività ma selezionando le informazioni che diffondono, che la Russia non è in grado di vincere questa guerra, hanno diffuso il idea che l’Ucraina vincerà, ingannando così pericolosamente l’opinione pubblica e il popolo ucraino perché il risveglio sarà doloroso. Devi capire il punto di partenza. Dal 2014, con la divisione del Paese tra Occidente e Oriente e la volontà di autonomia espressa dalle repubbliche di lingua russa del Donbass, le forze armate ucraine si sono stazionate ed evolvono, per la maggior parte, di fronte a questa regione dove si sono organizzate incessantemente e si fortificarono con la prospettiva di lanciare un giorno una grande operazione di bonifica contro i separatisti. La città di Kramatorsk, nel centro-est del paese, ospita il comando di queste forze. Data questa situazione e la geografia del paese, i russi hanno intrapreso abbastanza logicamente e simultaneamente tre assi strategici, da sud a nord, da est a ovest, da nord a sud, per far convergere e chiudere questo movimento a tenaglia, neutralizzare il Le forze ucraine lì, liberano il Donbass e smilitarizzano l’intera regione. Questo è l’obiettivo strategico della Russia fissato da Vladimir Putin. Un quarto asse strategico è stato avviato, da nord-ovest a sud, verso la capitale kiev. Contrariamente alle analisi parziali delle emittenti televisive, l’intenzione dei russi non era di impadronirsi della capitale, ma di fissare per un certo tempo il resto dell’esercito ucraino in questa regione per evitare che arrivasse a rinforzare la parte fissata ad est del paese di fronte alle truppe russe al momento del loro impegno. Dobbiamo sempre tenere presente questo principio dell’equilibrio di forze. Con 1 contro 1 o 1 contro 2, è fuori questione impegnarsi in un combattimento urbano. È suicida per l’attaccante. Questo è il motivo per cui i russi sono rimasti lontani dalla capitale. D’altra parte, anche se sono riusciti a neutralizzare rapidamente le forze aeree ucraine e ottenere così un certo controllo dello spazio aereo, i russi hanno commesso un doppio errore di valutazione nel loro impegno a terra: hanno sottovalutato la guerra e la reazione del loro avversario capacità e, di conseguenza, ha trascurato il principio dell’equilibrio di potere. Ciò ha guadagnato loro pesanti perdite umane nella prima fase di questo conflitto. Ma questo non conferma la validità dell’analisi del DRM che riteneva che la Russia avesse altre opzioni oltre all’aggressione contro l’Ucraina perché riteneva che il costo umano sarebbe stato troppo alto? Questa analisi ha offerto opportunità alla diplomazia per cercare di calmare le cose, ma non poteva essere accettata dai guerrafondai che volevano che questo conflitto scoppiasse.

 

di fronte all’isteria mediatica che persiste, alimentata da informazioni selezionate, quindi parziali, anche di parte, e dall’esibizione di analisi di esperti selezionati per la maggior parte per la loro fedeltà alla NATO, non è finalmente il momento di smettere di fantasticare e tornare alla realtà? Perché bisogna ammettere, cinque mesi dopo l’inizio di questa operazione, che spingendo la Russia all’aggressione, gli Stati Uniti e la NATO, accecati da

la loro ossessiva russofobia, hanno fatto un pessimo calcolo dal quale – non c’è dubbio – l’Ucraina soffrirà seriamente. È inoltre prevedibile che l’Ucraina, non solo sarà abbandonata dai suoi attuali “protettori” o “agenti” che l’hanno utilizzata per applicare la loro strategia bellicosa con il solo scopo di indebolire permanentemente la Russia, ma sarà purtroppo costretta, quando verrà il momento , di sottostare alla dura legge applicata ai vinti. Sarebbe stato più saggio rinunciare a cercare di portare l’Ucraina nella NATO. Perché chi può pensare che dopo aver raggiunto gli obiettivi prefissati dall’avvio di questa operazione, la Russia – per la quale questa è una questione esistenziale – dopo aver pagato a caro prezzo, potrà tornare alle frontiere prima del 24 febbraio 2022?? L’annessione dei territori che ha deciso di occupare è una prospettiva tanto più credibile in quanto le zone conquistate o in via di conquista militare sono di lingua russa, per alcuni addirittura russofila. L’Ucraina uscirà quindi da questo conflitto amputata da parte del suo territorio. Inoltre, anche il segretario generale della Nato ha menzionato di recente lo smantellamento dell’Ucraina: “La pace è possibile, l’unica domanda è quale prezzo siete disposti a pagare per la pace? Quanto territorio, quanta indipendenza, quanta sovranità sei disposto a sacrificare per la pace? Se gli Stati Uniti riusciranno a riprendersi da questo amaro fallimento – non sarà la prima volta – probabilmente non sarà lo stesso per la Nato che avrà dimostrato la propria incapacità di difendere il proprio protetto e quindi la propria inutilità, firmando così la sua condanna a morte. È la sua stessa esistenza, infatti, che d’ora in poi è in gioco: quanto all’Ue, volendo sanzionare economicamente la Russia, in realtà riuscirà solo a penalizzarsi ea mostrare le sue divisioni future e le sue debolezze. Inoltre, perseverando sulla strada della NATO, rinuncerà di fatto alla sua “sovranità europea” tanto auspicata dal Presidente della Repubblica, e quindi all’autonomia strategica europea, all’industria europea della difesa, in una parola alla difesa europea. È quindi tempo di riconoscere la realtà sul campo perché il risveglio rischia di essere brutale e crudele.

 

bisogna fare un punto oggettivo della situazione militare e delle sue conseguenze tenendo conto delle cause di questo conflitto, degli obiettivi e della strategia perseguita dai belligeranti, e infine concretamente della dura realtà dei combattimenti, una realtà straniera, alla fine riguarda , alle versioni fornite dai canali televisivi. Dobbiamo, infatti, smettere di mentire e di dissimulare la verità (vedi appendice 2).

Dopo aver fallito nel tentativo di riportare in sé il regime di Kiev e coloro che lo sostengono (Stati Uniti, NATO, UE) rinunciando all’ammissione dell’Ucraina nella NATO, considerata un casus belli , la Russia ha deciso inizialmente di impegnarsi in e operazioni militari mirate (difesa delle repubbliche del Donbass). Tuttavia, le difficoltà incontrate (scarsa valutazione delle capacità belliche delle truppe ucraine, addestrate dal 2014 dalla NATO) e gli errori commessi (ingaggio con un incomprensibile equilibrio di forze di 1 contro 2, probabile mancanza di coordinamento tra le grandi unità impegnate su i tre assi strategici nella prima fase delle operazioni (sud, centro, nord) mirate alla regione centro-orientale dell’Ucraina dove gran parte delle forze ucraine stazionano di fronte al Donbass), senza dimenticare i numerosi aiuti occidentali (consegne di equipaggiamento ma anche l’intelligence in tempo reale sul campo fornita da Stati Uniti e NATO) ha costretto le forze russe a rivedere il loro impegno sul piano operativo e a tornare a procedure più tradizionali costruite su una strategia di shock volta a sistematicamente mettere fuori combattimento e demoralizzare l’avversario limitando le proprie perdite. Questa è la strategia applicata dall’inizio della seconda fase del conflitto: intensi attacchi di artiglieria, assalti immediati, crollo delle unità ucraine con la loro resa, ritiri tattici nei settori scelti per portare le unità ucraine fuori dalla loro zona di difesa e schiacciarle in l’aperta campagna (emblematico in questo senso l’esempio dell’operazione svolta nel settore di Kharkov), il mantenimento

di forte pressione continua impedendo qualsiasi ritirata organizzata delle unità intrappolate (l’operazione svolta nell’area della fabbrica Asovstal a Mariupol costituisce un caso da manuale: ritirata dei combattenti ucraini impossibile via terra, aria o mare: le forze russe hanno aspettato abilmente per la loro resa). Questa modalità operativa – che consiste nel facilitare, a seconda dell’ubicazione delle unità ucraine, la formazione di calderoni per intrappolarle meglio accerchiandole alla fine con la morte o la resa – porta i suoi frutti e si traduce in regolari avanzamenti territoriali più o meno importanti. a seconda dei settori interessati. Va ricordato che le difficoltà incontrate sono dovute da un lato all’insediamento di gran parte delle truppe ucraine più stagionate nella regione orientale del Paese, alla loro organizzazione e alle loro infrastrutture difensive decise fin dal 2014, e dall’altro mano alla decisione della Russia di impegnarsi in questa operazione con un equilibrio di potere di 1 contro 1, addirittura 1 contro 2, una decisione a dir poco coraggiosa.

 

Pertanto, se le forze ucraine sono riuscite a mantenere le loro posizioni e a opporre una feroce resistenza nella sacca di Severodonetsk, alla fine si è chiusa e questa battaglia è ora persa per gli ucraini. Lo scenario Mariupol si è ripetuto con la resa delle forze che non sono ricadute a ovest del fiume Donest quando c’era ancora tempo. Inoltre, in questo caso, le truppe ucraine abbandonarono l’equipaggiamento a terra e due cannoni autoportanti, del tipo Caesar consegnati dalla Francia, sarebbero stati distrutti e altri due sarebbero stati recuperati dai russi. Questa faticosa spinta delle forze russe in questo settore ha permesso loro di sfondare un’importante chiusa che le stava bloccando e dovrebbe consentire loro di continuare il loro avanzamento e chiudere altre chiuse un po’ più a sud in cui le forze ucraine rischiano di rimanere intrappolate se non lo fanno iniziare il loro ritiro in tempo, comunque in condizioni molto difficili. Questa spinta nelle tasche di Severodonetsk/Lyssytchansk dovrebbe aprire la strada alle forze russe soprattutto a Kramatorsk, che ospita il comando di tutte le forze ucraine operanti nell’est del Paese (vedi appendice 3). Kramatorsk, punto cruciale del piano strategico per entrambe le parti, diventa quindi ora l’obiettivo da raggiungere per i russi. La caduta di Severodonetsk e Lyssytchansk potrebbe simboleggiare il passaggio a una terza fase dell’impegno delle forze russe in Ucraina. Possiamo quindi pensare che non appena Kramatorsk cade, le forze ucraine non potranno più riconquistare i territori occupati dalle forze russe, la cui priorità sarà probabilmente quella di avanzare rapidamente nella parte meridionale dell’Ucraina per impadronirsi di Mikolaîv e di Odessa. È anche probabile che alle forze russe verrà ordinato di impadronirsi di Kharkov e della regione circostante a nord-est. Quest’ultimo fornisce il 44% della produzione di gas ucraina. La visita a sorpresa del ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, alle truppe russe in questo settore a fine giugno non è di poco conto e costituisce un segnale forte che potrebbe corrispondere sul piano militare a un chiaro spostamento della situazione a favore dei russi . Questa visita potrebbe anche segnare la fine della seconda fase dei combattimenti dal 24 febbraio e simboleggiare l’inizio della terza fase di questa guerra.

 

La smilitarizzazione e quindi la neutralizzazione dell’Ucraina orientale sarà così raggiunta e il Mar d’Azov e il Mar Nero saranno d’ora in poi totalmente sotto il controllo russo. Le gravi perdite subite dalle forze ucraine per diverse settimane (200 morti al giorno secondo fonti vicine al regime di kyiv, alcuni parlano addirittura di oltre 500 morti al giorno; a Severodonesk il numero dei combattenti ucraini messi fuori combattimento (morti e feriti) avrebbero raggiunto i 1000/giorno) sollevano la questione dello stato in cui si troveranno se la guerra dovesse continuare a lungo perché diversi mesi di ingenti perdite stanno inesorabilmente e considerevolmente erodendo la loro forza di combattimento e il loro morale. Inoltre, il presidente ucraino ha firmato una legge che consente l’invio di combattenti da

difesa del territorio nelle zone di combattimento mentre la loro vocazione è quella di rimanere nella loro città e regione per difenderle. Inoltre, l’alto livello di vittime ucraine potrebbe avere un effetto deterrente sul reclutamento di mercenari in futuro. Ma i funzionari ei media occidentali preferiscono non menzionare questi argomenti, non esitando a parlare dei problemi delle forze russe. Vi sono, tuttavia, notizie crescenti di proteste collettive da parte di combattenti ucraini per il loro armamento e le condizioni di vita in combattimento, e persino di diserzioni. Vanno inoltre presi in considerazione due gravi problemi legati alle munizioni: il loro trasporto nelle zone di combattimento e il livello delle scorte che si stanno esaurendo. Il ritorno alla realtà sarà doloroso e amaro per tutti coloro che in televisione hanno profetizzato che la Russia avrebbe perso mentre sta dimostrando la sua forza impassibile e determinata.

 

IL REGNO ASSOLUTO DEI MEDIA

 

Va denunciato il ruolo disastroso, pietoso e angosciante dei media, in particolare dei continui notiziari televisivi. Definite comunemente come la quarta potenza, esse non sono di fatto diventate la prima potenza, quella che forma, che plasma le menti a sottometterle per renderle in linea con il pensiero dominante eretto nell’ideologia, anche che influenza pesantemente le decisioni prese dai dirigenti a causa della terribile pressione che esercita su di loro sfruttando eccessivamente l’aspetto emotivo dell’informazione a scapito dei fatti?

 

Questo comportamento scandaloso, che peraltro minaccia i principi della democrazia ei principi etici della loro funzione/missione, deve essere solennemente denunciato e condannato. Gli esempi di menzogne ​​e parodia della verità sono numerosi in questo conflitto tra Ucraina e Russia e meritano di essere menzionati e sottolineati perché rischiano di creare disgrazie.

 

Perché, sì, è una vera isteria, un’escalation e un’escalation mediatica a cui abbiamo assistito e continuiamo a testimoniare. Anche oggi, con questo conflitto, ci troviamo in una situazione del tutto inedita dal punto di vista storico. È, infatti, la prima volta in una guerra aperta dove non sono i governanti ei diplomatici a manovrare ma i media che impongono una lettura della situazione, anche della storia. Questo atteggiamento, che consiste nel gettare olio sul fuoco, non è in grado di calmare le tensioni e modellare tendenzialmente l’opinione pubblica. Il risultato disastroso è che la stretta illegittima e dannosa che essi esercitano sulla condotta della situazione mettendo sotto pressione chi detiene il potere impedisce alla diplomazia di agire. Nei conflitti che abbiamo vissuto in precedenza, anche durante i combattimenti, la diplomazia è rimasta attiva e ha svolto il suo ruolo nel tentativo di abbassare la tensione e sviluppare proposte per uscire dalla crisi; i belligeranti, al più alto livello, si parlavano. Nelle circostanze attuali, non è più così, le due parti sono spinte da questo capovolgimento di ruoli tra media e diplomatici verso un “approccio duro” estremamente pericoloso che potrebbe andare oltre l’attuale quadro geografico. L’Europa è in prima linea e l’UE dovrebbe occuparsene invece di alimentare il conflitto fornendo armamenti all’Ucraina. Così facendo, i paesi europei interessati, e in particolare la Francia, stanno diventando sempre più cobelligeranti e la domanda che si pone è sapere fino a che punto può spingersi la moderazione della Russia prima di decidere, se ritiene indispensabile colpire direttamente il basi posteriori di quella che potrebbe essere considerata un’interferenza militare occidentale. La diplomazia deve quindi riguadagnare rapidamente i suoi diritti.

 

Inoltre, quello che i media non dicono è che Volodymyr Zelensky è stato eletto nel 2019 sul tema della pace! Petro Poroshenko, il suo predecessore, aveva firmato gli accordi di Minsk II che non sono stati applicati. Il presidente Zelensky ha quindi dovuto fare di tutto per applicarli e riportare la pace con l’est del Paese. Questa regione dell’Ucraina ha vissuto dalla rivoluzione di Maidan nel 2014, fomentata dalla CIA, un inferno sotto le bombe dell’esercito ucraino. Fu, infatti, una guerra civile, con migliaia di morti, ignorata dai media occidentali. Questo aspetto fa nascere due osservazioni che i media sono attenti a non menzionare.

 

➢             La prima è che gli oligarchi ucraini, che in realtà guidano la politica del Paese, non vogliono la pace. Neanche i militari, da parte loro, lo vogliono, perché volevano impedire l’adesione all’autonomia del Donbass. Da qui questa guerra

impegnata dal 2014 contro questa parte del popolo ucraino tradizionalmente più rivolto alla Russia che all’Occidente. Inoltre, alcuni di questi ucraini si sono naturalmente rifugiati in Russia in questi ultimi anni, i media non ne hanno mai parlato ma cercano oggi di farci credere che sono stati deportati. Non è quindi difficile comprendere il fallimento del presidente Zelensky in questa “marcia verso la pace” e in definitiva la scelta impostagli, quella di far parlare i fucili. Ha, infatti, seguito solo la decisione del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, che ha fatto la scelta delle armi.

 

➢              La seconda è che gli accordi di Minsk sono stati sabotati consapevolmente dagli Stati Uniti. Tali accordi, firmati l’11 febbraio 2015 dai leader di Ucraina, Russia, Francia e Germania sotto l’egida dell’OSCE, stabiliscono un certo numero di decisioni da applicare in merito al Donbass . Così facendo, nominando Francia e Germania, firmatarie di questi accordi ma soprattutto garanti della loro applicazione, si trattava di rimettere gli europei al centro del dibattito, cosa che gli Stati Uniti palesemente non vogliono, che cerca, nella sua ossessione anti-russa, per controllare l’Ucraina, confine con la Russia. Possiamo, inoltre, notare l’immensa responsabilità di Francia e Germania nell’attuale situazione con la loro rinuncia o mancanza di volontà – e questo per otto anni – a seguire e garantire l’applicazione di questi accordi che poi ne erano i garanti. Si può addirittura affermare che, avendo peraltro oggi optato per la causa di uno dei due belligeranti, si sono squalificati per un eventuale ruolo di mediatore, cosa deplorevole in particolare per la Francia che, assicurando la Presidenza dell’UE in prima metà del 2022, avrebbe potuto beneficiarne enormemente per sé diplomaticamente e per la pace in Europa. Bisogna ritenere che gli europei, e in particolare la Francia, siano pienamente soddisfatti del loro status di vassalli degli Stati Uniti.

 

Di tutt’altro argomento il presidente russo ha parlato, evocando gli obiettivi della Russia nell’intraprendere questa operazione, di denazificazione delle forze armate ucraine. I media hanno subito sequestrato questa dichiarazione di Vladimir Putin per accusarlo di disinformazione o informazione infondata (fake news). Bisogna però ammettere che un certo numero di fatti, alcuni storici, possono solo richiamare, ma i media non praticano una censura selettiva (cfr. appendice 4)?

 

➢            Ad esempio, ogni anno, il 1° gennaio, gli ucraini celebrano la memoria del loro eroe Stepan Bandera, un eroe a dir poco controverso. Il titolo di “Eroe dell’Ucraina” gli è stato conferito nel gennaio 2010 da Viktor Yushchenko, all’epoca presidente dell’Ucraina, un gesto che ha provocato la furia di Polonia e Israele considerando questo nazionalista un criminale di guerra. Stepan Bandera nasce nel 1909 in Galizia, regione dell’Impero Austro-Ungarico recuperata nel 1918 dalla Polonia. Appartenente alla minoranza ucraina in Polonia, si unì a una giovanissima organizzazione nazionalista ucraina (l’OUN), molto antipolacca, che moltiplicò gli omicidi politici. Affascinato dai nazisti, Bandera assunse la causa di questo movimento politico tedesco ancor prima che prendesse il potere in Germania (secondo un rapporto delle Nazioni Unite, scritto nel 1947, Stepan Bandera, dal 1934, era un agente dei servizi segreti a favore della Germania nazista, e opera nella sezione speciale della Gestapo). A causa del suo attivismo, Bandera finisce per essere imprigionato in Polonia, verrà rilasciato dai tedeschi durante l’invasione della Polonia nel 1939. Si mette subito al servizio della Germania nazista e crea una Legione ucraina che partecipa, nel 1941, a in particolare al massacro degli ebrei di Leopoli e all’assassinio di diverse decine di professori dell’università della città dove aveva studiato. L’esercito rivoluzionario popolare ucraino (UPA) ha quindi combattuto contro i sovietici insieme ai nazisti. Oltre alla sua partecipazione all’Olocausto, è anche accusato del massacro di circa 50-100.000 polacchi in Volinia, una regione che

ora è in Ucraina. Infine, va ricordato che Stepan Bandera è molto popolare tra i soldati ucraini che stanno combattendo nel Donbass contro i separatisti.

 

➢            Un altro esempio, mai citato dai media, ogni 28 aprile si celebra a Kyiv la divisione Waffen SS della Galizia, una delle tante divisioni delle Waffen SS durante la seconda guerra mondiale operanti per il Reich tedesco, composta da ucraini della Galizia. Inoltre, molte milizie (Svoboda, Azov, Settore Destro) di gruppi di estrema destra che hanno guidato la rivoluzione di Maidan nel 2014 sono composte da individui fanatici e brutali. Il più noto di questi è il reggimento Azov, il cui stemma ricorda quello della 2a Divisione SS Panzer Das Reich, oggetto di vera venerazione in Ucraina, per aver liberato Kharkov dai sovietici nel 1943, prima, forse non dovrebbe essere dimenticato, di perpetrare il massacro di Oradour-sur-Glane nel 1944, in Francia! Queste milizie sono presenti anche all’interno della Guardia Nazionale che non fa parte dell’esercito ma costituisce una forza di difesa territoriale. Queste milizie paramilitari sono conosciute con il nome evocativo di “battaglioni di rappresaglia”, formati principalmente per il combattimento urbano e la difesa delle città.

 

➢             Infine, le immagini trasmesse dopo la resa delle unità ucraine a Mariupol sono edificanti e rivelano l’ideologia in cui operano queste forze armate. E questa ideologia non è nata nel 2014! Queste immagini mostrano, infatti, i corpi dei soldati ucraini coperti di tatuaggi nazisti. D’altronde i media non hanno cercato di scoprire le ragioni della presenza di civili nella fabbrica dell’Azovstal, probabilmente per non dover rispondere a una domanda fastidiosa: questi civili non erano ostaggi? (scudi umani) di combattenti ucraini ?

 

Come possiamo vedere, c’è indiscutibilmente uno spirito nazista in parte della popolazione ucraina e all’interno delle forze armate e paramilitari. Tutti questi “valori”, opposti a quelli di una democrazia, non sono un ostacolo implacabile e paralizzante per la candidatura dell’Ucraina all’Ue? I nostri media potrebbero esprimersi su questo argomento? Con quale diritto il Presidente della Commissione Europea, che non è stato eletto, decide su una procedura di ammissione accelerata? Non è sconcertante che la Francia possa sostenere un progetto del genere, non solo irresponsabile sul piano politico e geopolitico, ma riprovevole sul piano morale e giuridico? Quanto agli aiuti forniti all’Ucraina, cosa giustifica dal 2014, quindi prima dell’attuale conflitto, la mobilitazione delle istituzioni finanziarie dell’UE di sovvenzioni e prestiti per 17 miliardi di euro?

 

Se i nostri media non esitano a nascondere la verità quando li infastidisce, sono maestri del passato nella disinformazione, nella manipolazione e nella menzogna ponendosi come un pubblico ministero sempre contro colui che hanno classificato dalla parte sbagliata secondo i propri criteri. L’esempio delle accuse di crimini di guerra presentate senza alcuna prova diversa da informazioni non verificate fornite da chiunque abbiano classificato a destra è molto istruttivo. Devono essere menzionati almeno due casi di impazienza dei media di convalidare informazioni dubbie fornite dalla parte ucraina perché i media hanno imposto ancora una volta la loro griglia di lettura che il governo francese, come i suoi alleati, ha trasmesso. Quest’ultimo non ha nemmeno istituzionalizzato la calunnia dello stato e quindi la manipolazione e il condizionamento delle menti dei francesi soggetti a un’unica verità dopo aver deciso di bandire i media russi che potrebbero portare contraddizione e può essere un’altra verità?

 

➢             Il primo caso riguarda gli eventi accaduti a Butcha e che è più simile a una versione ucraina “Timisoara” che allo scenario accettato dal

media e leader occidentali. Perché quello che i francesi non sanno è che dopo l’ordinato ritiro delle forze russe da Butcha il 30 marzo, il sindaco Anatoli Fedorouk ha gioito il giorno successivo, 31 marzo, davanti alle telecamere di questa partenza, aggiungendo: “siamo tutti sani e sicuro”. In nessun momento nel video viene menzionato il massacro di civili. Dalle informazioni disponibili, a patto di volerle consultare e analizzare, è possibile stabilire uno scenario di questo terribile episodio che sembra molto più verosimile della versione servita. Il pubblico francese non sa, infatti, che l’esercito ucraino ha continuato a bombardare la città per due giorni prima di sapere che l’esercito russo si era ritirato. Ignora inoltre che la polizia nazionale, entrata il 2 aprile, ha trasmesso un video delle strade deserte (un solo corpo in un veicolo colpito dai bombardamenti). Allo stesso tempo, il canale Telegram Bucha Live che riporta la notizia di Butcha, e dovrebbe essere a conoscenza di quanto sta accadendo a livello locale, non menziona alcun massacro di civili né il 29 marzo, né il 30 marzo, né il marzo 31. . Non c’è niente su questa catena prima dello scoppio dello scandalo, il 3 aprile, quando la stampa internazionale è invitata a filmare le decine di morti che ricoprono alcune strade dove le vittime sono state giustiziate con le mani legate. Abbiamo quindi il diritto di avere seri dubbi sulla versione servita? Tanto più che questa polizia ha annunciato sulla sua pagina Facebook l’avvio di un’operazione di bonifica “dei sabotatori e complici dell’esercito russo”, secondo le sue stesse parole. La vera domanda che sorge allora, e che ogni vero giornalista dovrebbe porsi, non è questa: questa epurazione non è stata operata da un’unità paramilitare appartenente a questi famosi “battaglioni di rappresaglia” di cui si conoscono i sinistri metodi? Diverse informazioni puntano in questa direzione. Infatti, il capo della difesa territoriale, noto per aver combattuto nel reggimento Azov, da parte sua ha pubblicato, il 2 aprile, diversi video del lavoro dei suoi uomini. In uno di essi, sentiamo chiaramente uno dei suoi subordinati che chiede se può sparare agli uomini che non hanno le fasce blu. La risposta è altrettanto chiara: sì. Inoltre, sul canale Telegram del capo della Difesa del Territorio, possiamo vedere che le prime foto di persone morte e legate risalgono solo al 2 aprile, quando cioè sul posto questo battaglione rappresaglia (difesa del territorio) con la polizia ucraina per ripulire la città “da sabotatori e complici delle forze russe”.

 

➢             Il secondo caso riguarda il drammatico evento dell’8 aprile, quando un missile è caduto sulla stazione di Kramatorsk dove c’erano migliaia di civili che stavano cercando di fuggire dalla città provocando più di 50 morti e più di 100 feriti. Molto rapidamente le autorità ucraine hanno accusato la Russia, sostenendo prima che si trattasse di un missile Iskander, un’accusa ripresa da tutti i leader e dai media occidentali nonostante la smentita russa. L’esame dei resti di questo missile, tuttavia, ha rivelato che non si trattava di un Iskander ma di un Tochka U che trasportava 20 submunizioni. Sorgono quindi domande legittime perché l’esercito russo non ha più un Tochka U dal 2019. Il lavoro di riferimento, “The Military Balance” , pubblicato ogni anno, mostra chiaramente che non c’è più un Tochka nell’esercito russo. Arsenale russo. D’altra parte, l’Ucraina ne ha alcuni. Questo è davvero un primo dubbio da gettare sulla versione ufficiale di questo dramma. Inoltre, l’esame dei resti del missile ha permesso anche di aumentare il numero di serie di questo missile. Tuttavia, quest’ultimo è elencato nell’inventario ucraino. Non ci sarebbe qui un serio secondo dubbio, anche una contraddizione con la versione ufficiale? Come spiegare allora questa isteria mediatica trasmessa dai leader occidentali se non era in definitiva parte di un approccio antirusso ponderato e intenzionale contrario alla ricerca della verità?

 

Tutto il potere acceca chi lo esercita senza controllo e i media di oggi, i grandi mass media che influenzano e modellano le menti, hanno un potere incontrollabile che permette loro di imporre un pensiero dominante e una griglia per leggere gli eventi che seguono in tempo reale e continuamente. L’acquisizione di questo potere ha

ha comportato un cambiamento di approccio al trattamento delle informazioni fornite al pubblico. In effetti, il ruolo o la missione del giornalismo sembra ora, in collusione con il potere politico che lo sovvenziona, garantire che il pubblico pensi come dovrebbe piuttosto che cercare la verità. Agendo in questo modo, la carta etica (carta di Monaco) che regola la missione e quindi i doveri del giornalista viene totalmente tradita e tradita. L’attuale conflitto tra Ucraina e Russia è un esempio emblematico di questa deriva.

L’UOMO CHE HA SACRIFICATO L’UCRAINA

In questo conflitto, che va ricordato, si sarebbe potuto evitare, nessuno può negare che l’aggressore sia la Russia. Ma questo aggressore non aveva esposto per diversi anni la sua linea rossa sulle inclinazioni mostrate dalla NATO nella sua continua marcia di conquista verso l’Est, fino ai confini della Russia? Essendo diventato l’argomento una questione esistenziale per la Russia, Vladimir Putin ha stimato che un grande attacco al Donbass sia stato commesso a metà febbraio 2022 dalle forze ucraine. Ha poi considerato che quando un combattimento è inevitabile, devi prima colpire. Questo è ciò che ha fatto il 24 febbraio.

 

Ma il regime di Kiev non è altrettanto riprovevole, se non più della Russia, nell’iniziare questa guerra? Questo regime è incarnato oggi da Volodymyr Zelensky, presidente eletto nel 2019 con la promessa di allentare le tensioni con la Russia e risolvere la crisi nelle repubbliche separatiste dell’Ucraina orientale. Tuttavia, questo presidente non solo non ha mantenuto nessuna delle sue due promesse ma, al contrario, non ha mai smesso di alimentare la crisi interna dell’Ucraina e ha costantemente provocato la Russia. Ecco perché l’isteria antirussa che si è rapidamente affermata è del tutto sproporzionata e infondata vista la situazione che regna da almeno otto anni.

 

Volodymyr Zelensky è però oggi adorato dall’Occidente e considerato un eroe di fronte all’orso russo. Tutto ciò è, in effetti, una manipolazione accuratamente elaborata da parte degli Stati Uniti e della NATO, alimentata e orchestrata dai media occidentali. Questa adulazione, oltre ogni ragionevolezza, dà al presidente ucraino un tale grado di certezza nelle decisioni che prende da dimenticare la realtà della guerra sul campo e gli consente, in un processo che può essere descritto come arrogante, di tenere lezioni ai leader occidentali e in particolare la Francia e il Presidente della Repubblica. Anche l’esempio dell’intervento davanti alla nostra Assemblea nazionale di Volodymyr Zelensky è edificante su questo fenomeno ormai radicato dell’adulazione. Non ha ottenuto, dopo aver denunciato la presenza di grandi società francesi in Russia per le quali chiedeva sanzioni se mantenute, una standing ovation di tutti i nostri deputati? Vale a dire il grado di sottomissione in questa guerra che è diventata anche non solo mediatica ma anche psicologica.

 

Bisogna però ammettere – questi i fatti – che in realtà Volodymyr Zelensky ha fallito nel ripristino dell’unità nazionale e nell’attuazione degli accordi di Minsk, un piano di pace che doveva consentire la riconciliazione. Era stato eletto proprio per questo nel 2019. Ma, da un lato, gli Stati Uniti hanno sabotato questi accordi di Minsk perché hanno riportato l’Europa al centro del dibattito, cosa per loro impensabile, dall’altro, gli oligarchi e l’esercito ucraino è contrario.

 

È la dimostrazione che il presidente ucraino è solo un burattino nelle mani di Washington. Questo conflitto tra Ucraina e Russia è, infatti, una guerra per procura dichiarata dagli Stati Uniti contro la Russia. Gli Stati Uniti hanno voluto e fatto di tutto per trascinare la Russia in una guerra con un obiettivo: indebolirla con tutti i mezzi in modo permanente, anche definitivo, per potersi dedicare alla crescente minaccia rappresentata dalla Cina. Per raggiungere questo obiettivo, cercano da un lato di demonizzare Vladimir Putin, al potere da vent’anni, pensando che la sua partenza potrebbe cambiare la posizione della Russia, il che costituisce un errore grossolano. Cercano anche di imporre severe sanzioni economiche per causare un collasso dell’economia russa.

Questa strategia di Washington è in vigore in Ucraina dal 2014 e Volodymyr Zelensky, convinto dagli Stati Uniti che sarebbe diventato un membro della NATO, sacrifica il proprio Paese per portare avanti gli interessi americani e aiutarli a raggiungere i loro obiettivi. . Volodymyr Zelensky è, infatti, diventato lo strumento degli Stati Uniti in questa guerra per procura in cui lo hanno ingaggiato.

 

Il risveglio sarà doloroso perché l’esito di questo conflitto non è mai stato messo in dubbio e Volodymyr Zelensky passerà alla storia come colui che ha sacrificato inutilmente l’Ucraina. Perché non poteva ignorare la promessa fatta nel 2007 da Vladimir Putin alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco: “Non permetteremo l’espansione della Nato al punto da

 

La NATO tocca il nostro confine, in particolare in Ucraina e Georgia. Consideriamo questi paesi come cavalli di Troia della potenza militare della NATO e dell’influenza degli Stati Uniti. »

 

Già nel 2008 la Georgia, spinta dalla NATO, aveva fallito il suo tentativo nelle condizioni che conosciamo, avendo la Russia immediatamente reagito militarmente. Ovviamente la lezione non è stata appresa. Questo episodio serve a ricordare che la Francia ha poi presieduto l’UE. Bisogna riconoscere che il Presidente della Repubblica, Nicolas Sarkozy, con il suo intervento misurato nei confronti dei due partiti, è riuscito ad abbassare la tensione ea riportarli in sé, in particolare rifiutando l’ingresso della Georgia nella Nato. È deplorevole che con l’Ucraina il presidente Emmanuel Macron, a sua volta alla presidenza dell’UE, non sia intervenuto nelle stesse disposizioni.

 

Mentre questo conflitto era evitabile, l’atteggiamento irresponsabile di Volodymyr Zelensky, sotto la pressione di Stati Uniti e NATO, ha permesso che accadesse, per disgrazia dell’Ucraina, che ne uscirà contusa, indebolita e soprattutto amputata parte del suo territorio , non ci sono dubbi. Perché se dopo le prime tre o quattro settimane di combattimento era ancora possibile negoziare per limitare le conseguenze di un simile confronto, oggi è troppo tardi.

 

Attraverso la sua intransigenza, le sue pretese politiche e militari esacerbate dall’aura mediatica acquisita artificialmente, il suo rifiuto di ammettere la realtà della situazione, la sua mancanza di qualsiasi reale desiderio di impegnarsi in negoziati, Volodymyr Zelensky non ha esitato a inviare la morte di decine di migliaia di soldati, per non parlare del pesante tributo pagato dalla popolazione civile. Perché lo ha fatto per un posto nella NATO quando tutti sapevano che la Russia non lo avrebbe permesso?

 

Volodymyr Zelensky ha un’immensa responsabilità in questo dramma che si sta svolgendo per l’Ucraina e che alla fine finirà con un naufragio per questo paese. Peggio che irresponsabile, è imperdonabile! Come si qualifica un politico che manda uomini a morire in una guerra che sa che non possono vincere? Come qualificare un tale leader politico che infligge considerevoli sofferenze e ferite al proprio popolo senza motivo? Come qualificare un personaggio del genere che avrà spianato la strada alla disintegrazione e alla dislocazione dell’Ucraina, perché è ciò che accadrà quando Volodymyr Zelensky sarà costretto ad ammettere la sconfitta?

 

Questo momento sarà terribile perché l’Ucraina, senza dubbio, sarà poi abbandonata da coloro che l’hanno spinta in questo vicolo cieco. Gli ucraini accetteranno la sconfitta senza reagire quando gli è stato fatto credere che avrebbero vinto contro la Russia? Volodymyr Zelensky potrebbe dover affrontare la rabbia in particolare degli oligarchi e dei soldati, alcuni dei quali già stanno facendo commenti violenti nei suoi confronti. La storia è tragica e Volodymyr Zelensky rimarrà colui che ha sacrificato inutilmente l’Ucraina. Potrebbe pagarlo a caro prezzo. Potrebbe anche pagare con la vita.

LA SCONFITTA DELL’UCRAINA! L’UCRAINA FIRMERA ‘ LA MORTE DELLA NATO

La NATO, un’alleanza difensiva formata per far fronte alla minaccia rappresentata dal Patto di Varsavia durante il periodo della Guerra Fredda, è stata fino alla fine degli anni ’80/inizio degli anni ’90 una solida alleanza militare antisovietica. La fine della Guerra Fredda e il crollo dell’ex Unione Sovietica nel 1991 portarono allo scioglimento del Patto di Varsavia. Di conseguenza, si poneva l’esistenza stessa della NATO, essendo scomparsa la minaccia all’origine della sua creazione, che avrebbe dovuto essere a sua volta dissolta. Tuttavia, questa alleanza originariamente difensiva è stata trasformata, dopo un periodo che può essere descritto come espansione negli anni ’90/2000, in un’organizzazione offensiva tentacolare priva di significato. La NATO ha così esteso i suoi confini di quasi 1300 km verso est, incorporando Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia.

 

Questo periodo successivo alla Guerra Fredda, con questo allargamento agli ex satelliti dell’ex Unione Sovietica desiderosi di aderire all’alleanza, ha allo stesso tempo corrisposto a un rilassamento di tutti i paesi europei in termini di sicurezza e difesa. Hanno quindi deciso che era giunto il momento di “raccogliere i dividendi della pace” , il che si è tradotto in continue riduzioni del loro budget per la difesa. Agendo in questo modo, hanno di fatto delegato la loro protezione agli Stati Uniti, i veri padroni della NATO. Comprendiamo meglio come la NATO sia diventata un’organizzazione offensiva che difende soprattutto gli interessi degli Stati Uniti.

 

Oggi, dopo l’impegno delle forze russe sul territorio dell’Ucraina, Svezia e Finlandia hanno in programma di unirsi a questa alleanza che è diventata decisamente anti-russa. Nel 2021, la NATO ha ufficialmente riconosciuto la stessa Ucraina come “aspirante membro”. Inoltre, il 10 novembre 2021 è stato firmato un accordo di partenariato strategico e militare tra gli Stati Uniti e l’Ucraina. Questo accordo che suggella un’alleanza tra i due paesi è chiaramente diretto contro la Russia perché prometteva l’ingresso dell’Ucraina nella NATO.

 

Tutto ciò dimostra la politica di ingerenza della NATO negli affari mondiali, o più precisamente di ingerenza degli Stati Uniti poiché la NATO serve gli interessi di questi ultimi. Non dissolvendo, dopo la Guerra Fredda, questa organizzazione militare originariamente difensiva, gli Stati Uniti scelsero di farla evolvere per ottenere uno strumento organizzato e chiamato in realtà a soddisfarne le esigenze. Il presente esempio con l’Ucraina è l’esempio stesso dell’uso della NATO al servizio di questa ossessione antirussa dell’amministrazione americana dalla fine della Guerra Fredda, con l’eccezione della presidenza Trump. L’obiettivo degli Stati Uniti resta l’indebolimento duraturo, persino definitivo della Russia, con tutti i mezzi. Essendo il principio delle relazioni internazionali basato sull’equilibrio delle forze, non deve sorprendere che la Russia abbia voluto difendere i propri interessi intervenendo in Ucraina, ritenendo legittimo il suo intervento, e quindi abbia scelto di sfidare la Nato che la minacciava. Il messaggio è chiaro: la Russia non è la Serbia.

 

Infatti, nel 1999, la NATO aveva deciso, violando il diritto internazionale, di bombardare la Serbia durante la guerra nell’ex Jugoslavia. La campagna aerea è durata 78 giorni. Incarnava il nuovo concetto offensivo dell’occupazione nella NATO. Voler fare lo stesso oggi con la Russia sarebbe un suicidio in primo luogo per i paesi partner europei della NATO sul loro stesso suolo.

 

Detto questo, è vero che dall’aumento della tensione in Ucraina e soprattutto dall’intervento russo deciso il 24 febbraio 2022, la NATO è stata molto attiva, al punto

che alcuni hanno potuto affermare che Vladimir Putin era riuscito a cristallizzare tutta l’opposizione nel mondo occidentale ed era così riuscito a resuscitare questa organizzazione che, non molto tempo fa, il presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, aveva detto essere cerebralmente morta . Bisogna riconoscere che, dall’episodio della Serbia nel 1999, i vari interventi della Nato nella sua nuova versione offensiva, sia in Iraq, Libia, Siria, Afghanistan, si sono finalmente conclusi con clamorosi fallimenti. L’entusiasmo per questa alleanza è, dopo l’attacco all’Ucraina, così rumoroso che i media e gli stessi leader politici occidentali sembrano aver dimenticato che la vocazione della NATO era, in origine, quella di dissuadere la Russia da qualsiasi aggressione e di garantire la pace in Europa. Certo, la sua proclamata resurrezione è l’ennesimo fallimento poiché la Russia non è stata dissuasa dall’attaccare l’Ucraina – nonostante lo status di “candidato” della NATO e l’accordo di partenariato strategico e militare tra Stati Uniti e Ucraina firmato nel novembre 2021 – e che questa resurrezione potrebbe persino annunciare e precedere la sua morte imminente. Perché la sconfitta dell’Ucraina, quando – non c’è dubbio – ammessa, segnerà inesorabilmente la morte della Nato. I partner europei della NATO, e la Francia in particolare, devono comprendere chiaramente che non è solo l’Ucraina a perdere la guerra, ma loro stessi dopo essersi ciecamente schierati in un conflitto che è quello degli Stati Uniti e non il loro.

 

E non è il vertice Nato organizzato a Madrid il 29 e 30 giugno 2022 che potrebbe calmare le tensioni, anzi. Le dichiarazioni del suo Segretario generale, Jens Stoltenberg, che hanno preceduto il vertice: “decideremo anche su un nuovo concetto strategico per la Nato, fissando la nostra posizione sulla Russia, sulle nuove sfide e, per la prima volta, sulla Cina” danno un serio indicazione della volontà di estensione aggressiva di questa organizzazione alle imprese di tutto il mondo. La NATO aveva perso la sua ragion d’essere quando il Patto di Varsavia è stato sciolto. Oggi sta entrando in una fase delirante di estensione planetaria. Accettare questo sviluppo, questo nuovo concetto che stabilisce ufficialmente una vocazione risolutamente interventista e quindi offensiva, significa alienare la nostra indipendenza nazionale e accettare di intraprendere una guerra permanente nel mondo che potrebbe, a un certo punto, degenerare in un conflitto nucleare. Accettare questo nuovo concetto comporterebbe di trascinarci, nostro malgrado, in conflitti che non sono nostri, ma anche di impedirci di impegnarci in operazioni a difesa dei nostri interessi. Ma la NATO non è diventata uno strumento al servizio degli interessi esclusivi degli Stati Uniti? I paesi europei sono soddisfatti del loro status di vassalli degli Stati Uniti?

 

Le folli conclusioni di questo vertice di Madrid devono essere un’occasione per la Francia di decidere di lasciare la NATO perché l’obiettivo è, ovviamente, trasformare l’UE in un’alleanza militare impegnata in una cultura di guerra. Occorre anche essere consapevoli che questa NATO costituisce, in realtà, un grande ostacolo all’espressione della sovranità dei paesi europei e quindi della sovranità della Francia (della sovranità europea, come direbbe il Presidente della Repubblica francese, Emanuele Macron). In un contesto di totale sottomissione a questa organizzazione, e quindi agli Stati Uniti, non c’è infatti dubbio che l’UE possa accedere alla sua autonomia strategica, pur essendo uno dei suoi obiettivi politici, concetto approvato dal Consiglio europeo e citato più volte dal presidente francese. Questo concetto di autonomia strategica corrisponde in particolare alla capacità dell’UE di difendere l’Europa e di agire con mezzi militari indipendentemente dagli Stati Uniti.

 

Nel contesto attuale, la NATO rappresenta infatti un grosso ostacolo a questa autonomia strategica, ma anche un grosso ostacolo allo sviluppo dell’industria europea della difesa. La lobby americana delle armi è qui, ancora una volta

di più, per manovrare contro i nostri interessi. Senza una ferma volontà di spingere per un’industria europea della difesa veramente efficiente, non ci sarà mai autonomia strategica europea. E senza l’autonomia strategica europea non ci sarà mai una difesa europea, cioè una capacità specifica dei paesi europei di unirsi per difendere i propri interessi e la pace solo sul suolo europeo, cioè mezzi organizzati e comandati dagli europei in completa indipendenza, con mezzi dotati di equipaggiamenti e armamenti europei. Non capirlo significa rinunciare a qualsiasi capacità di prendere decisioni indipendenti e sovrane. D’altra parte, è accettare tutte le conseguenze di un allineamento cieco e dell’appartenenza a un’organizzazione guerrafondaia. La Francia non può condividere né gli interessi strategici né la visione del mondo di questa NATO sottomessa agli Stati Uniti.

 

Detto questo, lo svolgimento di questo vertice Nato a Madrid, quattro mesi dopo l’inizio delle operazioni, conferma la sua incapacità, la sua impossibilità, nonostante le minacce formulate contro la Russia, di dissuadere quest’ultima dall’impegnarsi in Ucraina. Né potrà impedirgli di vincere questa guerra che inevitabilmente si concluderà con la dislocazione dell’Ucraina. È quindi una vera umiliazione per la NATO che sta subendo un schiacciante fallimento di fronte a

a   determinazione russa. La NATO aveva vinto la guerra contro il Patto di Varsavia una trentina di anni fa. Oggi il Patto di Varsavia è scomparso, ma la NATO ha perso la guerra che ha condotto contro la Russia. Questo fallimento potrebbe benissimo materializzare il suo canto del cigno e alla fine segnare la sua morte programmata.

 

GLI STATI UNITI PRONTI A TUTTO, A QUALSIASI COSA PER IMPORTARE IL LORO

EGEMONISMO

 

La situazione che stiamo vivendo oggi in Europa è il risultato di un’oltraggiosa e mortale vassallizzazione dei paesi europei verso gli onnipotenti Stati Uniti dalla fine della Guerra Fredda, poco più di trent’anni fa. Gli europei hanno poi abbandonato i problemi di sicurezza e di difesa propri del continente europeo delegandoli, di fatto, agli Stati Uniti attraverso la NATO. Gli ultimi tre decenni sono stati quindi caratterizzati da una totale mancanza di riflessione e di seria analisi da parte dell’UE su questa nuova situazione di pace che si andava affermando nel continente europeo.

 

L’Ue, e in particolare la Francia, hanno mancato l’appuntamento con la storia negli anni 2000 non prendendo iniziative per stabilire nuove relazioni con la Russia, il cui territorio è peraltro in buona parte europeo (“L’Europa dall’Atlantico agli Urali”). Inoltre, l’intervento della Russia in Siria che ha provocato la sconfitta dello Stato islamico mostra che abbiamo interessi comuni su alcuni temi e in particolare sulla minaccia islamista. Con la sua azione, la Russia ha impedito il crollo della Siria evitando così la presa del potere da parte degli islamisti che avrebbe causato per effetto domino la stessa cosa in Libano e Giordania con una nuova ondata di profughi verso l’Europa. Al contrario, l’azione intrapresa da Stati Uniti e Francia fino ad allora mirava a mantenere un conflitto a bassa intensità il cui obiettivo era quello di indebolire le forze armate siriane fino al rovesciamento del regime siriano. Ricordiamoci: “Al Nosrah fa un buon lavoro” ! (L. Fabius, Ministro degli Affari Esteri)

 

In tutta obiettività, sarà necessario un giorno avviare un dialogo con la Russia, anche solo per lavorare su una nuova architettura per la sicurezza del continente europeo da cui non può essere esclusa in quanto stakeholder. Ma questo sarà possibile solo quando i paesi europei diventeranno adulti e si libereranno dalla tutela degli Stati Uniti. Perché dalla fine della Guerra Fredda, la Russia è diventata un’ossessione per lo stato profondo americano, che rifiuta in particolare qualsiasi relazione tra i Paesi europei e questo Paese. Faranno di tutto perché questo non cambi, anche provocando situazioni che possono degenerare in conflitto armato sul territorio europeo. Questo è quello che hanno fatto con l’Ucraina. La situazione diventa tanto più pericolosa poiché la Russia è sulla strada per ottenere la sua vittoria nonostante gli aiuti materiali forniti dalla NATO all’Ucraina. È chiaro che questo Deep State americano, ostacolato da una vittoria russa incombente, sta diventando più radicale perché non vuole assolutamente che l’egemonia degli Stati Uniti venga messa in discussione.

 

Certo, la Russia ha attaccato l’Ucraina, ma gli Stati Uniti hanno fatto di tutto per farlo accadere al fine di indebolirla permanentemente nella prospettiva di poter poi dedicarsi interamente alla crescente minaccia rappresentata dalla Cina. Si tratta quindi di una strategia aggressiva che è stata perseguita dagli Stati Uniti contro la Russia per trent’anni. Questa strategia aggressiva è oggi approvata e accompagnata dalla follia sconsiderata di questa UE – la maggior parte dei cui membri si evolve all’interno della NATO – che è diventata guerrafondaia quando dalla fine della Guerra Fredda non ha smesso di disarmarsi e che il confronto con la Russia sarebbe quindi essere suicida. I nostri leader politici farebbero bene a tornare in sé, perché “stiamo infatti camminando verso la guerra nucleare come sonnambuli” (Henri Gaino).

 

Gli Stati Uniti hanno un’immensa e piena responsabilità nell’impegno del conflitto

tra Ucraina e Russia che stavano preparando dal 2014 con la rivoluzione di Maidan, un vero e proprio colpo di stato fomentato dalla CIA. Inoltre, non è difficile dimostrare questa ossessione antirussa che è diventata addirittura patologica.

 

Non era questa strategia, questa politica deliberatamente aggressiva nei confronti della Russia, ideata e presentata da Zbignew Brzezinski e inclusa nel suo libro “Le grand échiquier” nel 1997? “L’America ha assolutamente bisogno di conquistare l’Ucraina, perché l’Ucraina è il fulcro della potenza russa in Europa. Una volta che l’Ucraina sarà separata dalla Russia, la Russia non sarà più una minaccia” . In una frase, ciò che viene designato come obiettivo da raggiungere può essere inteso solo come una dichiarazione di guerra. Alla luce di questa sentenza, si comprendono meglio, infatti, le ragioni che hanno portato, da un lato al non scioglimento della NATO, dall’altro alla sua infinita espansione verso est fino ai confini della Russia. Ma poi, in queste condizioni, i nostri leader politici non possono non capire che la Russia non può permettersi di perdere l’Ucraina, né strategicamente, né demograficamente, né linguisticamente, né economicamente, né storicamente. L’attuale guerra è più di un semplice conflitto tra Ucraina e Russia. Per la Russia questa è una questione esistenziale e questa guerra è per lei, in realtà, una guerra difensiva e preventiva.

 

L’analisi dei fatti porta a mostrare che ci siamo trovati di fronte a uno scenario dalle forti connotazioni mediatiche sviluppatosi a Washington che ricorda peraltro quello che aveva legittimato l’invasione dell’Iraq nel 2003. Per gli Stati Uniti, la Russia doveva essere spinta nel torto e gli europei si sono mobilitati dietro di loro e dietro la NATO. Hanno costruito una minaccia che non esisteva e si sono impegnati in un’importante operazione psicologica sperando che le loro profezie si sarebbero avverate e che la Russia avrebbe commesso l’errore. Va ricordato che nel 2003, dopo un intenso e ingannevole bombardamento mediatico, dopo aver ignorato la decisione dell’Onu, hanno attaccato Saddam Hussein, cosa che oggi non possono fare con Vladimir Putin. La Russia non è né Iraq né Serbia. Tuttavia, dobbiamo rimanere vigili perché sono pronti a tutto, anche a creare un incidente reale o falso da incolpare dei russi. Non dobbiamo dimenticare che per spingere in errore la Russia, hanno convalidato l’offensiva ucraina sul Donbass lanciata il 16 febbraio. È stata lei a provocare l’intervento russo in Ucraina il 24 febbraio.

 

Per confermare anche questa guerra dichiarata contro la Russia dagli Stati Uniti, guerra per procura attraverso l’Ucraina, ma guerra lo stesso, bisogna aggiungere alla lunga lista di controversie, l’accordo di partenariato strategico e tra Washington e kyiv firmato il 10 novembre 2021 , tre mesi prima dell’offensiva ucraina sul Donbass del 16 febbraio 2022 e della risposta russa del 24 febbraio. Questo accordo, che suggellò un’alleanza tra Stati Uniti e Ucraina, era diretto contro la Russia e prometteva l’ingresso di Kiev nella NATO. Questo passo non costituiva una vera provocazione, ancora una volta, per spingere Mosca alla colpa? Devi essere disonesto per negarlo!

 

Inoltre, dopo il colpo di stato di Maidan organizzato nel 2014 dalla CIA per rimuovere un leader filo-russo democraticamente eletto, gli Stati Uniti hanno consigliato gli ucraini, assumendo anche il controllo in alcune aree. Dopo la drammatica svolta della situazione a Odessa, Mariupol e Donbass, e la rivolta delle popolazioni di lingua russa provocata da alcune decisioni del regime di Kiev, Minsk I (5 settembre 2014) e Minsk II (12 febbraio 2015) accordi intesi a portare la pace nel paese sono stati firmati sotto l’egida dell’OSCE, Francia e Germania che ne hanno garantito l’applicazione. Tuttavia, questi accordi non furono mai applicati, poiché il regime di Kiev era piuttosto recalcitrante, Francia e Germania passive perché sotto l’influenza americana. Furono, in realtà, sabotati dagli Stati Uniti che non volevano l’Europa con la

Francia e Germania sono in movimento. D’altra parte, era nell’interesse degli Stati Uniti, nella loro strategia, che persistessero tensioni tra la parte occidentale dell’Ucraina filoeuropea e la parte orientale filorussa.

 

Infine, è necessario che i dirigenti europei – e in particolare i francesi – di cui guidano i popoli siano domani le prime vittime se una guerra fosse iniziata sul proprio territorio da apprendisti stregoni machiavellici, pronti a tutto per preservare e imporre la loro egemonia, deve rendersi conto che se continuiamo a provocare Mosca, rafforziamo solo il nazionalismo russo e la sua ostilità

a   verso Ovest. Non è nell’interesse dell’Europa. “Penso che la scelta di continuare l’allargamento della NATO sia stata un errore, e la posizione che la NATO ha preso a Bucarest nel 2008, promettendo a Ucraina e Georgia che un giorno sarebbero diventate membri, sia stato il peggior compromesso: preoccupava i russi senza dare sicurezza ai due paesi interessati. Dopo la fine della Guerra Fredda, sarebbe stato necessario ripensare a fondo l’ordine europeo, ed era ipocrita sostenere che l’allargamento della NATO fosse compatibile con lo sviluppo di un vero rapporto di amicizia con la Russia. (Jean-Marie Guéhenno, ex vicesegretario generale del Dipartimento per le operazioni di mantenimento della pace delle Nazioni Unite ) .

 

Questa affermazione è improntata al buon senso. Ma non corrisponde alla visione degli Stati Uniti. Per questi ultimi, questo continuo allargamento della NATO, che può essere considerato, con il senno di poi, un errore, è solo il filo conduttore della loro strategia di guerra dichiarata da più di trent’anni contro la Russia. Mantenere la NATO era quindi un imperativo per gli Stati Uniti poiché faceva parte della loro strategia antirussa del dopo Guerra Fredda. Si potrebbe dire che questo è, in effetti, un errore per coloro che sostengono la pace nel continente europeo. Chi va in guerra, al contrario, crede che sia una questione di ragione o di chiaroveggenza.

 

Per questo dobbiamo smettere di pensare che gli Stati Uniti siano una potenza disinteressata, pacifica e benefattore. Dalla fine della Guerra Fredda, hanno dimostrato un’egemonia senza precedenti imponendo senza ritegno, anche con violenza, le sue leggi sul resto del mondo. Conducono, infatti, una politica che risponde solo ai propri interessi che non sono i nostri. Non dovresti mai dimenticarlo.

L’UNIONE EUROPEA  FIRMA IL SUO SUICIDIO GEOPOLITICO E GEOSTRATEGICO

 

Per quanto riguarda l’UE, settimo punto, il 24 febbraio 2022, giorno dell’avvio delle operazioni russe in territorio ucraino, i suoi leader si sono incontrati in un vertice straordinario e hanno deciso nuove sanzioni contro la Russia (relative al settore finanziario, quelle dell’energia e dei trasporti , sanzioni aggiuntive contro i cittadini russi, politica dei visti, …) dopo quelle stabilite nel 2014 e tuttora attive. In una dichiarazione congiunta, hanno condannato l’aggressione militare affermando che, “con le sue azioni militari non provocate e ingiustificate, la Russia viola gravemente il diritto internazionale e mette a repentaglio la sicurezza e la stabilità europea e globale. L’insistenza nell’usare la dicitura “azioni militari non provocate” chiarisce che la provocazione statunitense era reale e ammessa da alcuni dei leader. Ma riconoscerlo ufficialmente significava mostrare una certa incoerenza con la decisione di adottare sanzioni contro la Russia. Questa dichiarazione congiunta segna quindi il primo passo nella sottomissione dell’UE agli Stati Uniti in questo conflitto. Nel corso delle settimane sono state adottate altre serie di sanzioni, tra cui quella di sospendere la trasmissione dei media russi nell’UE o di fornire assistenza all’Ucraina e persino di dotarla di equipaggiamento militare. Inoltre, il Consiglio europeo del 23 giugno ha concesso all’Ucraina lo status di candidato per l’UE.

 

Respingendo fin dall’inizio la diplomazia e assumendo la causa dell’Ucraina senza tener conto della storia e in particolare, dopo il colpo di stato di Maidan fomentato dagli Stati Uniti, l’evoluzione di questo paese corrotto e concedendogli, inoltre, lo status ufficiale di candidato per l’ingresso nell’Unione Europea bisogna ammettere che l’Ue sta creando una grande e pericolosa rottura geostrategica con la Russia.

 

L’atteggiamento della Francia, che ha presieduto questa Unione durante la prima metà dell’anno 2022, è stato particolarmente biasimevole perché ha mancato questo appuntamento nella storia che avrebbe potuto consentire all’Europa di svolgere un ruolo importante e decisivo nell’allentare le tensioni soprattutto a livello inizio del conflitto, ancor prima che scoppiasse nei giorni o nelle settimane che lo hanno preceduto. Bisogna ritenere che l’UE non sia in grado di districarsi da questa paralizzante tutela americana che le impedisce di comprendere quali siano i propri interessi.

 

Aver seguito ciecamente gli Stati Uniti che volevano la guerra e hanno fatto di tutto perché scoppiasse è imperdonabile! Eppure la politica estera dovrebbe basarsi rigorosamente sul calcolo delle forze e dell’interesse nazionale. Questo principio sembra essere stato dimenticato. Gli europei non hanno alcun interesse a confrontarsi sul proprio suolo con la Russia. È suicida! Dalla fine della Guerra Fredda, una nuova architettura di sicurezza in Europa avrebbe dovuto essere sviluppata con la Russia. Questo è un principio di buon senso e nell’interesse delle parti interessate. Inoltre, lo stesso Henry Kissinger non ci ha ricordato: “Non abbiamo fatto alcuno sforzo serio per associare la Russia a una nuova architettura di sicurezza in Europa”?

 

Eppure all’inizio degli anni 2000, e durante il suo primo mandato, Vladimir Putin era disposto ad aprirsi all’Europa e all’Occidente. La mancanza di risposta da parte degli europei, direttamente interessati dall’instaurazione o, almeno, dall’avvio di nuove relazioni con la Russia, è del tutto incomprensibile. Possiamo solo deplorare, da un lato, la cecità degli europei alimentata dal loro allineamento incondizionato con gli Stati Uniti e la NATO ostili a questo riavvicinamento, dall’altro, e soprattutto, la loro mancanza di visione geopolitica e di lungo termine

geostrategico. La Russia infatti potrebbe diventare e avrebbe potuto diventare un partner, anche un prezioso alleato di fronte alle sfide geopolitiche dell’Europa diverse da quelle degli Stati Uniti con sfide particolarmente immense, per noi europei, domani nel Mediterraneo, confine del Vecchio Continente con l’Africa e il Medio Oriente. L’intervento della Russia in Siria a fine settembre 2015, ad esempio – difendendo il regime siriano stava, di fatto, difendendo i propri interessi – è stato decisivo nella sconfitta inflitta allo Stato islamico. Questa minaccia islamica ci è molto comune e quindi nutre interessi comuni. Questo intervento russo è stato avviato anche dopo la sommersione migratoria subita dall’Europa nell’estate del 2015. Un’invasione che non è stata altro che un attacco senza precedenti ai paesi europei provocato dallo Stato Islamico che aveva promesso nel dicembre 2014. Peccato che l’UE lo abbia fatto non lo capisci in quel modo o non volevi capirlo in quel modo! Ma gli europei non sono in grado di designare il vero nemico, che in termini di relazioni internazionali è un errore, anche una colpa che può essere fatale.

 

Tuttavia, nel caso di questo conflitto, l’UE, commettendo il suo suicidio geopolitico e geostrategico, ha anche avviato il decadimento e il regresso delle sue capacità di sviluppo a causa delle sanzioni imposte alla Russia, sanzioni con effetti molto dannosi, in realtà, per l’Europa economie, perché va ricordato che, agendo in questo modo, l’UE perde uno dei suoi principali partner commerciali. L’allineamento degli europei con la logica bellicosa della NATO e degli Stati Uniti e la loro guerra economica contro la Russia sta portando l’Europa al disastro. Perché queste sanzioni non hanno in alcun modo fermato il conflitto o indebolito Vladimir Putin. Al contrario, l’hanno rafforzata e stanno aggravando le crisi socio-economiche che stanno colpendo e che colpiranno duramente i cittadini europei, a cui si aggiunge una grave e duratura crisi energetica con, in particolare, carenza di gas e petrolio, di cui gli europei sono già le principali vittime. L’isteria non solo nei media che queste sanzioni hanno provocato, ma anche quella specifica dei leader occidentali manifestata in dichiarazioni deliranti mostra la follia, anche la perversione che sembra abitarli. Su questo boomerang e effetto devastante causato dalla risposta russa che priva gli europei della loro fornitura di gas, la palma della perversione e del cinismo potrebbe essere assegnata al presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, pronto a sacrificare gli europei sull’altare della sua guerra contro la Russia e che ha affermato senza scrupoli: “Tagliare il gas russo danneggerà l’Europa, ma questo è il prezzo che sono pronto a pagare” ! (sic).

 

La risposta russa alle sanzioni europee ha messo in luce anche grandi differenze di politica energetica da parte degli europei e la dipendenza molto marcata dalla Russia in quest’area di alcuni paesi come la Germania. Questa mancanza di coerenza europea è ovviamente fonte di divisione, soprattutto quando si verifica una crisi come quella che stiamo vivendo oggi ed è quindi un segno di debolezza. È in un tale contesto che il ministro francese dell’Economia e delle Finanze, Bruno Le Maire, ha dichiarato, incautamente, che le sanzioni decise dovrebbero mirare al collasso dell’economia russa: “Faremo una guerra economica e la finanza totale per Russia. Causeremo il collasso dell’economia russa” . In termini di crollo dell’economia russa, il risultato di oggi è piuttosto inaspettato con in particolare un euro ai minimi contro il dollaro ma anche contro il rublo russo che ha superato il livello pre-crisi. L’Europa deve ora affrontare gravi conseguenze che avranno un impatto serio e duraturo sulla vita quotidiana degli europei. Le tensioni sui prezzi dell’energia, delle materie prime e dei generi alimentari, aggravate dal rischio di penuria, avranno effetti disastrosi, tanto più che questo conflitto ha portato alla stagflazione globale, combinando un’elevata inflazione e una stagnazione economica o addirittura recessione.

Infine, non possiamo discutere dell’UE nel contesto di questo conflitto tra Ucraina e Russia senza affrontare la decisione della Commissione europea, approvata dal Consiglio europeo del 23 giugno 2022, di concedere all’Ucraina lo status di candidato all’UE.

 

Ancora una volta i vertici europei e la Commissione Europea nella persona del suo Presidente si stanno liberando dalle regole stabilite per l’avvio del processo di richiesta di adesione all’Unione Europea. Infatti, l’aspetto emotivo del contesto imposto dal presidente ucraino costituisce una deriva e un’ingerenza inaccettabili e insopportabili nelle regole di funzionamento dell’UE. È vero, l’Ucraina è stata attaccata dalla Russia. Ma ciò non conferisce a Volodymyr Zelensky il diritto di dettare ai leader europei ciò che dovrebbe essere fatto oa questi ultimi di affrancarsi dai principi e dai regolamenti che regolano il funzionamento dell’UE. In effetti, questi dirigenti, nessuno dei quali osa dirgli di no, sembrano paralizzati dall’arroganza, dall’impertinenza e dal coraggio di questo presidente, che è però corrotto come gli oligarchi che lo sostengono. La Commissione europea e i leader europei hanno già dimenticato il dossier Pandora Papers, pubblicato sulla rivista Forbes nell’ottobre 2021 da un consorzio di giornalisti investigativi accusandolo di grave corruzione?

 

Ma questa corruzione è in realtà consustanziale alla stessa Ucraina, un Paese totalmente corrotto che non rispetta nessuna delle regole imposte a un candidato all’Unione Europea. Inoltre, fino ad ora, l’UE ha ammesso tra le sue fila i paesi “pacificati” per evitare di importare ogni sorta di conflitto che indebolirebbe l’istituzione e le relazioni tra i suoi membri. Tuttavia, per quanto riguarda l’Ucraina, questo Paese non è solo corrotto ma è un’aggravante, è in guerra! Inoltre, l’Ucraina ha capito che, essendo stata brutalmente chiusa la porta della NATO il 24 febbraio 2022, è imperativo aggirare l’ostacolo per entrare nell’UE, secondo Volodymyr Zelensky, a torto oa ragione – piuttosto giustamente – che l’UE ha la NATO come sua struttura difensiva. Vladimir Poutine fa la stessa analisi, anche se ha dichiarato – per ragioni non riconosciute – di non essere contrario al principio dell’ammissione dell’Ucraina nell’UE. I leader europei non possono quindi accettare questo processo di ammissione dell’Ucraina nell’UE. Questo paese importerebbe quindi una pericolosa controversia e genererebbe disordini nell’UE per il futuro.

 

L’UE e i leader dei paesi membri farebbero quindi bene nell’immediato futuro a non perseguire un percorso dominato dall’emozione e dall’assenza di analisi a freddo della situazione e di non liberarsi dalle regole stabilite. . Attraverso le decisioni finora prese, l’UE si sta infatti allineando dietro due potenze esterne fortemente impegnate contro la Russia, gli Stati Uniti e il Regno Unito. Coinvolge così nella guerra che viene dai paesi che non hanno espresso la loro opinione, una guerra che non è la loro.

 

LA FRANCIA MANCA L’APPUNTAMENTO CON LA STORIA

 

La fredda analisi della posizione della Francia – membro dell’UE e della NATO – in questo conflitto è essenziale e importante per diverse ragioni, tra cui in particolare il fatto che il nostro Paese ha presieduto l’Unione Europea durante la prima metà di quest’anno 2022 e perché noi erano nel bel mezzo della campagna per le elezioni presidenziali. Questi due elementi sono, inoltre, correlati. Il Presidente della Repubblica uscente li ha integrati a calcolo nella sua campagna presidenziale che in realtà è stata una non campagna, una scelta deliberata volta a non parlare dei suoi risultati. In effetti, il fatto di non aver chiesto il rinvio della presidenza dell’Ue per motivi di elezione presidenziale è indicativo dei calcoli dei politici, compreso quello di evitare di fare campagna elettorale e di avvalersi di tale carica per facilitarne la rielezione. . È facile far credere ai cittadini che una simile accusa è incompatibile con i vincoli di una campagna elettorale. Ma è anche indicativo della volontà di apparire, al termine di un mandato turbolento, l’unico in grado di salvare i francesi da una guerra che incombeva a causa delle tensioni tra Ucraina e Russia. In queste circostanze, il popolo tende sempre, sotto l’effetto del dubbio e della paura, specie quando viene mantenuto, a preferire non cambiare nulla alla testa dello Stato. Questo è il motivo della rielezione del presidente, Emmanuel Macron, una rielezione di default. Ne è prova l’insolita dissociazione operata dagli elettori tra le elezioni presidenziali e quelle legislative. Il presidente questa volta non ha ottenuto una vera maggioranza nell’Assemblea nazionale.

 

Stabilito il contesto politico francese, la posizione ufficiale della Francia è stata data dal Ministero per l’Europa e gli Affari Esteri: otto anni dopo l’annessione illegale

 

Crimea e l’inizio del conflitto nell’Ucraina orientale nel 2014, la Federazione Russa ha lanciato un’invasione dell’Ucraina il 24 febbraio 2022. Di fronte a questa situazione, la Francia si è mobilitata per ottenere un cessate il fuoco immediatamente dalla Russia. Resta solidale con gli ucraini e si impegna, insieme agli altri Stati membri dell’Unione europea, ad adottare sanzioni contro la Russia, ad aumentare il prezzo della guerra e ad influenzare le scelte del presidente russo Vladimir Putin.

 

Vediamo, leggendo questo testo, che mentre la Francia fa riferimento all’anno 2014, non lo fa oggettivamente poiché, a seguito della guerra civile scatenata nell’Ucraina orientale dal regime di kyiv (l’annessione della Crimea) ne è l’origine . Quindi, possiamo capire che dopo “l’invasione dell’Ucraina del 24 febbraio 2022 dalla Russia” la Francia si sta mobilitando per ottenere un cessate il fuoco immediato da parte della Russia. Tuttavia, questo per dimenticare cosa ha causato questa invasione, ovvero la campagna di massicci bombardamenti sul Donbass dal 16 febbraio 2022 completamente nascosta e che doveva precedere un’importante operazione di pulizia in questo settore. Infine,

” impegnarsi insieme agli altri Stati membri dell’Unione Europea (membri peraltro della NATO) ad adottare sanzioni contro la Russia” , non è forse schierarsi sin dall’inizio e di conseguenza, nel decidere le sanzioni, chiudere brutalmente ogni prospettiva diplomatica?

 

Tuttavia, presiedendo l’Unione Europea, la Francia ha avuto l’opportunità di svolgere un ruolo di primo piano – per sé e per l’Europa – nel provocare, anche prima dello scoppio del conflitto, a partire da gennaio 2022, discussioni tra ucraini e russi ai massimi livelli, addirittura provocare e organizzare una Conferenza di Pace volta a ridurre le tensioni ea far ragionare le due parti contrapposte.

 

La Francia ha dovuto rifiutare questa spirale quando c’era ancora tempo e prendere l’iniziativa

mediare in questo conflitto. Il suo status di potenza nucleare e di membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite le conferisce responsabilità. Il fatto di presiedere l’Unione Europea gli ha conferito altri. Potrebbe farlo, però, solo avendo il coraggio di ritrovare una certa indipendenza nell’analisi e nelle proposte da presentare nell’interesse della pace nel continente europeo, cioè affrancandosi dalla tutela del Regno Stati e rifiutando l’allineamento con l’orientamento bellico della NATO. L’indipendenza nella gestione di una crisi come questa è una necessità se vogliamo che la Francia possa svolgere il ruolo di mediatore e possa rendersi utile nella ricerca della sua soluzione. Sfortunatamente, questa non è la scelta che è stata fatta. È deplorevole che il Presidente della Repubblica abbia privato la Francia di tale ruolo mancando a questo appuntamento con la Storia.

 

Dall’inizio di questa presidenza dell’UE, l’approccio del Presidente della Repubblica non si è inserito in una prospettiva di mediazione ma ha confermato il suo allineamento con la posizione degli Stati Uniti e della NATO, ovvero il rifiuto di tutte le cause dell’attuale crisi sulla Russia. Il suo viaggio a Mosca il 7 febbraio, in condizioni insolite (nessuna accoglienza ufficiale in aeroporto, gelida accoglienza di Vladimir Putin, colloquio a distanza di quasi sei ore, assenza di consulenti durante l’intervista, ecc.) è l’illustrazione di disaccordi già formulati tra i due Capi di Stato prima di questo incontro (da qui le condizioni gelide dell’intervista) e quindi di un approccio poco diplomatico a questa crisi del nostro Paese. Di conseguenza, la Francia non poteva imporsi come mediatore neutrale e imparziale. Del resto, come intendere il colloquio telefonico tra il presidente americano e il presidente francese tenuto il giorno prima della trasferta a Mosca di quest’ultimo se non la conferma di un cieco allineamento della Francia sugli Stati Uniti, eppure dietro questa crisi? Sorge allora una domanda: il 7 febbraio, a Mosca, il presidente francese ha rappresentato la Francia, l’UE, la NATO o gli Stati Uniti?

 

Un altro episodio, che stavolta tocca gli eserciti francesi, attesta questa sottomissione del nostro paese agli Stati Uniti. In effetti, il licenziamento del Direttore generale dell’intelligence militare (DRM) non testimonia l’incapacità dei nostri leader di accettare e difendere le analisi dei nostri servizi di intelligence, che sono perfettamente fondate, con il pretesto che differiscono da quelle dei servizi segreti americani Servizi? Reato di lesa maestà nel caso di specie, gli Stati Uniti “avevano ragione” nelle conclusioni tratte dai loro servizi di intelligence. Solo che in seguito “avevano ragione” per un motivo molto semplice: non potevano non avere ragione poiché facevano di tutto per realizzare le loro conclusioni. Al di là della palese disonestà intellettuale, è la negazione stessa dell’Intelligenza e il coronamento del cinismo, della manipolazione e della disinformazione più abietti. Sanzionare questo generale, l’esempio stesso di un vero servitore dello Stato, dopo l’aggressione russa del 24 febbraio, che non era lo scenario favorito dal DRM, non aiuta chi ha preso questa decisione. Hanno anche gettato, scaricando le proprie responsabilità, un discredito ingiustificato e immeritato sui nostri servizi di intelligence!

 

È chiaro che questo conflitto è un’occasione per comprendere meglio la personalità e il comportamento del presidente francese messo a dura prova di fronte a una situazione delicata che può degenerare in qualsiasi momento sul territorio europeo a causa di decisioni sbagliate o reazioni incomprese o provocatorie. La decisione di aiutare l’Ucraina e dotarla di armamenti pesanti, ad esempio, è un segnale forte che può essere inteso dalla Russia come un atto di cobelligeranza da parte della Francia, che ha presieduto l’UE nel corso della prima metà del 2022 La mancanza di reazione da parte della Russia non significa che non reagirà se lo riterrà necessario. Ancora una volta, questa guerra Ucraina-Russia è una guerra americana, non nostra o dell’UE. È qui

Ecco perché la posizione della Francia in questo conflitto avrebbe dovuto essere ben diversa, favorendo la pace nel continente europeo. Inoltre, Emmanuel Macron, come il suo predecessore François Hollande, ha un’immensa responsabilità – come i suoi omologhi tedeschi ma ancor di più la Francia, potenza nucleare e membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu con compiti aggiuntivi – nell’innescare questa guerra. Francia e Germania sono state, infatti, firmatarie e garanti dell’applicazione degli accordi di Minsk firmati nel 2014 e nel 2015. La Francia avrebbe dovuto fare di tutto per costringere un’Ucraina recalcitrante ad applicare tali accordi. Con la sua rinuncia, dal 2014 ha permesso agli Stati Uniti di fare di tutto perché questa guerra scoppiasse.

 

Questo conflitto, inoltre, è anche testimone di una deriva oscena nella politica di comunicazione prediletta da Emmanuel Macron, che non esita a infrangere i codici della diplomazia per, in uno sfrenato impulso narcisistico, inscenare se stesso in un servizio televisivo in cui rivela conversazioni reputate essere discreti, anche segreti, in particolare con Vladimir Putin, il 20 febbraio, quattro giorni prima dell’inizio dell’operazione russa. Contravviene quindi deliberatamente alle regole e ai costumi stabiliti nella diplomazia, che non viene esibita ma viene solitamente esercitata con discrezione. Questo esercizio dell’azione del Presidente della Francia, che esercita la presidenza dell’UE, è riprovevole per diversi motivi.

 

In primo luogo, dà l’impressione di ritenere che questa diplomazia a cielo aperto costituisca un mezzo efficace per esercitare pressioni su Vladimir Putin. Crede che rendere pubblico uno o più passaggi della conversazione tenuta con il presidente russo – passaggio scelto perché lo ritiene dannoso e devastante per Vladimir Putin – renda possibile prendere a testimoniare l’opinione pubblica e possa far piegare quest’ultima. È patetico.

 

Poi, ovviamente, sta commettendo una grande imprudenza affrancandosi dalle regole della diplomazia perché, non solo le cancellerie di tutto il mondo possono solo essere sorprese, anche offese da un simile comportamento del rappresentante di un grande paese come la Francia, ma Lo stesso Vladimir Putin non sarà indotto a rifiutare d’ora in poi qualsiasi conversazione telefonica con il presidente francese? È un rischio certo che indebolisce tutte le nostre relazioni esterne e un rischio pericoloso di rompere il dialogo, anche difficile, instaurato con Vladimir Putin in un periodo di estrema crisi. In ogni caso, è la Francia ad essere screditata. La domanda che sorge allora è questa: cosa cerca davvero Emmanuel Macron adottando un metodo così provocatorio? L’innesco di un incidente che porta a uno scontro militare con la Russia? Il potere in genere inebria chi lo detiene, ma la situazione attuale non è quella di una crisi di tipo sanitario come quella vissuta negli ultimi due anni e durante la quale il Presidente della Repubblica l’ha esercitato in modo brutale. Sembra, in questo caso, comportarsi come un bambino immerso in un gioco di strategia in cui manipola i suoi soldatini di piombo. “Guai alla Città il cui principe è a bambino ! »

In questo episodio inquietante e inquietante, i nostri media si sono affrettati a prendere il posto di France 2 dopo la messa in onda del documentario, intitolato “Scambio surrealista tra Poutine e Macron” . Secondo i media, i commenti di Vladimir Putin sono surreali. Tuttavia, se vogliamo analizzare, dal punto di vista diplomatico o delle relazioni internazionali in questo contesto esplosivo, lo scambio di osservazioni tra il presidente russo e quello francese, sarebbero piuttosto quelle di quest’ultimo ad essere surreali e per di più potenzialmente devastanti alla sua credibilità. In effetti, il suo “Non ci interessano le proposte dei separatisti” testimonia o di una mancanza di conoscenza del fascicolo e in particolare degli accordi di Minsk, oppure, per l’aggressività delle sue osservazioni, di un tentativo di destabilizzazione e abbattimento il presidente russo o un calcolo volto ad escluderlo definitivamente

questi accordi di Minsk che non sono stati applicati dalla loro firma nel 2014 e 2015. Ciò che è quindi surreale e sconvolgente è la dichiarazione di Emmanuel Macron che conferma, infatti, il suo totale disinteresse per gli accordi di Minsk di cui era comunque responsabile far rispettare e, di conseguenza, la sua responsabilità, quindi la responsabilità della Francia (firmataria e garante della loro applicazione) nell’aggravarsi della situazione che ha portato all’aggressione della Russia. Inoltre, veniamo a capire che lo scopo della sua chiamata era convincere Vladimir Putin ad accettare un incontro con il presidente americano, Joe Biden, a Ginevra per tentare una de-escalation al vertice. Emmanuel Macron conferma così la sua impotenza e il fatto di non essere l’interlocutore giusto nella composizione di questa crisi che, di fatto, contrappone gli Stati Uniti alla Russia. Strabiliante e surreale che non abbia tratto le conseguenze per l’UE che stava presiedendo!

 

D’altra parte, la sua affermazione relativa alla legge sfrenata, durante questa intervista, in tono ironico e sarcastico “Non so dove il tuo avvocato ha imparato la legge” sta rivelando questa tendenza a voler imporre certi principi agli altri. che non si applica a se stessi. L’area sensibile della vendita, esportazione o fornitura di armamenti, soprattutto pesanti, è soggetta a vincoli molto severi. La consegna dei fucili Caesar rispetta le regole imposte dalle decisioni dell’Unione Europea che vietano la fornitura di armi a   un paese belligerante senza essere in grado di assumerne il controllo e l’uso legale? L’interrogazione è stata posta al Presidente della Repubblica dalla Federazione francese Opex con lettera del 10 maggio 2022 inviata in copia al Ministro delle Forze armate e al Capo di Stato Maggiore Generale delle Forze Armate. Risponderà? Questo è un argomento che dovrebbe mobilitare gli avvocati.

 

Inoltre, durante il G7 svoltosi in Germania, a fine giugno 2022, il Presidente della Repubblica ha dichiarato, durante la conferenza stampa di chiusura, che la Russia “non può e non deve vincere la guerra contro l’Ucraina. » Questo tipo di dichiarazioni non è idonea, da un lato a rafforzare l’ardore della Russia, dall’altro a far credere all’Ucraina, indebolita dopo diversi mesi di combattimenti, di vincere? Se la Francia non è in guerra con la Russia, come indica con molta cautela Emmanuel Macron, come interpretare o interpretare questa affermazione “la Russia non deve vincere questa guerra” vista la situazione sul terreno oggi sfavorevole all’Ucraina di oggi? Dobbiamo capire che la Francia si farà coinvolgere quando la situazione diventa critica per l’Ucraina? È questo il senso di questo dispiegamento piuttosto frettoloso delle forze francesi in Romania, esempio di una gesticolazione politica non solo inefficace per il volume delle forze schierate, ma inutile e soprattutto costosa (su entrambi i fronti, peraltro, poiché i nostri eserciti devono affrontare un taglio al loro budget di 340 milioni di euro nell’ambito della solidarietà del governo per l’accoglienza dei rifugiati ucraini e una riduzione del personale nel 2021 che si traduce in un disavanzo di 785 posizioni mentre hanno dovuto aumentare). Questa nuova operazione di comunicazione non è certo destinata a rassicurare sulle conseguenze a lungo termine di tali dichiarazioni o decisioni.

 

Infine, nella sua intervista del 14 luglio, Emmanuel Macron, pur confermando la necessità di mantenere o addirittura rafforzare ulteriormente le sanzioni, accusa la Russia di usare l’energia come arma di guerra. Ciò è di fatto falso poiché la Russia continua a transitare gas, in particolare attraverso l’Ucraina, che incidentalmente lo utilizza in transito. Si immagina davvero dove sarebbe l’Europa se Vladimir Putin avesse chiuso il rubinetto del gas? Ma può il Presidente della Repubblica rispondere a una semplice domanda: chi è stato il primo a parlare di dichiarare una guerra economica totale alla Russia finalizzata al suo crollo se non il suo ministro dell’Economia e delle Finanze, Bruno Le Maire? È la Francia, vero? Come può essere offeso dal fatto che la Russia reagisca? Questa affermazione non lo fa

non riflette la realtà o la responsabilità di un leader politico. Lei è una bugia.

 

In ogni caso, avendo scelto di allinearsi ciecamente con gli Stati Uniti e la politica bellica della NATO chiudendo le porte alla diplomazia e decidendo sanzioni, Emmanuel Macron non ha forse privato la Francia di uno storico incontro per la pace in Europa? Durante la Guerra Fredda eravamo pronti a morire per difendere la nostra libertà contro il Patto di Varsavia guidato dall’ex Unione Sovietica. I nostri soldati che hanno la responsabilità di difendere e proteggere la nazione, il suo territorio e gli interessi della Francia domani sono pronti a dare la vita per l’Ucraina in una guerra che non è la loro, che non è la nostra?

UN MOTIVO INAVOCABILE PER QUESTA GUERRA

La guerra militare iniziata il 24 febbraio 2022 dalla Russia che ha attaccato l’Ucraina non è stata a lungo preparata dagli Stati Uniti per ragioni diverse da quelle comunemente citate? Non è, in realtà, un pretesto pazientemente costruito fin dall’inizio degli anni 2000 dal deep state americano per difendere la propria egemonia e soprattutto il primato della sua moneta, il dollaro, prima valuta di riserva mondiale nei paesi sviluppati? Paesi?

 

Sono passati quasi vent’anni da quando la Russia ha iniziato un movimento per liberarsi dalle catene della valuta statunitense. Fu così che la Banca Centrale Russa si sbarazzò progressivamente delle sue pretese statali in dollari e della maggior parte dei suoi buoni del tesoro americani accumulati (circa cento miliardi di dollari) sostituendoli con oro in particolare (più di 1.900 tonnellate acquistate dal 2005), ma anche con altre valute ritenute solide. Questo movimento è anche parte di un processo volto a liberarsi dall’extraterritorialità abusiva della legge americana imposta a qualsiasi detentore della sua valuta nel mondo. La Cina, da parte sua, ha compiuto un passo simile per un decennio e ha aggiunto al fastidio degli Stati Uniti gravemente sconvolti perché l’acquisto di oro fisico da parte delle banche centrali è segno di una perdita di fiducia nella capacità del dollaro per mantenere il suo ruolo di conservazione del valore.

 

È in questo contesto che negli ultimi anni Russia e Cina hanno notevolmente ridotto l’uso del dollaro negli scambi bilaterali. Nel 2015 circa il 90% delle transazioni bilaterali è stato effettuato in dollari. Dopo lo scoppio della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina e la spinta concertata di Mosca e Pechino ad allontanarsi dal dollaro, questa cifra è scesa al 51% nel 2019.

 

Gli Stati Uniti sono quindi molto arrabbiati con la Russia, che è riuscita ad emanciparsi dalla pressione esercitata dal dollaro sull’economia mondiale, ma anche perché il suo approccio potrebbe diffondere petrolio e quindi sconvolgere l’egemonia e gli interessi americani. Ecco perché il desiderio di indipendenza russa nei confronti della moneta americana costituisce per gli Stati Uniti un atto ostile sul piano monetario, economico e finanziario, perché è tutto il primato mondiale di cui godono abusivamente del suo dollaro ad essere messo in discussione .

 

Sappiamo anche fino a che punto possono spingersi gli Stati Uniti quando i loro interessi sono minacciati quando i paesi che si confrontano con loro cercano di emanciparsi dal dominio del dollaro. Possono diventare molto violenti.

 

Iran, Iraq e Libia, ad esempio, sono stati brutalmente schiacciati per aver tentato di sbarazzarsi delle loro pretese sul Tesoro degli Stati Uniti a causa dei dubbi sulla forza del dollaro. Volevano semplicemente consolidare la ricchezza fornita dai loro proventi petroliferi convertendola in oro. Di fronte alla potenza militare americana al servizio della loro egemonia, questi paesi non hanno saputo difendersi. Sappiamo cosa è successo ai regimi iracheno e libico e ai loro leader. È stato spesso sottolineato come sia stata innescata la guerra in Iraq del 2003: Saddam Hussein ha semplicemente annunciato le transazioni petrolifere in euro. L’ha pagato con la vita. Anche l’esempio del colonnello Gheddafi è edificante. Si era riconciliato con l’Occidente ma il

la guerra è iniziata nel 2011 dopo il suo annuncio della creazione di un dinaro africano basato sull’oro. L’ha anche pagato con la vita.

 

Ma la Russia non è né Iran, né Iraq, né Libia. È una potenza nucleare allo stesso modo degli Stati Uniti che ha la capacità di difendersi. Tuttavia, gli Stati Uniti sono pronti a tutto pur di neutralizzare definitivamente la Russia, anche se non possono attaccarla frontalmente. Né possono essere visti come l’aggressore rivelando al mondo intero la vera causa della guerra, finanziaria e monetaria. Dovevano quindi trovare una soluzione per dichiarare guerra alla Russia, una guerra per procura. Hanno lavorato lì dalla fine della Guerra Fredda attraverso la NATO e la sua politica di continua espansione verso est. Il loro progetto ha preso forma con l’organizzazione di un colpo di stato nel 2014 in Ucraina, paese al confine con la Russia. Da otto anni si fa di tutto per creare le condizioni per un conflitto armato tra Ucraina e Russia. Dovevamo semplicemente trovare un modo perché la Russia lo attivasse. E Vladimir Putin è caduto nella trappola.

 

Questa colpa – perché è un attacco – era però inevitabile. Vladimir Putin non è caduto stupidamente in questa trappola, perché non aveva intenzione di appiccare il fuoco. Sapeva che il costo di un simile conflitto poteva essere pesante. Tuttavia, fu costretto a farlo dal machiavellismo degli Stati Uniti che spinse il regime ucraino a bombardare le popolazioni civili che avrebbero dovuto precedere un’operazione di ripulitura della regione del Donbass. Il presidente russo non poteva non intervenire a protezione delle popolazioni civili, di lingua russa peraltro. Tutto è stato fatto, infatti, per farlo accadere in quel modo e se porta alla morte da entrambe le parti, questo non è certo ciò che preoccupa gli americani che si preoccupano solo dei loro interessi.

 

Non dimentichiamo che gli Stati Uniti sono pronti a tutto per difendere la propria supremazia, compresa la guerra, direttamente o per procura come in questo conflitto. Il rischio di una guerra totale oggi non è dovuto alla Russia ma agli Stati Uniti. La situazione potrebbe cambiare radicalmente nella misura in cui militarmente, sul campo, l’Ucraina sta perdendo la partita nonostante il sostegno dell’Occidente. Gli Stati Uniti non possono non capirlo e il pericolo sta nella radicalizzazione del discorso dei leader americani poco inclini ad accettare la sconfitta del loro progetto, tanto più che l’ondata di sanzioni finanziarie e monetarie decise sarebbe stata devastante per la Russia . Tuttavia, oggi la valuta russa, il rublo, è al massimo. Inoltre, la Russia ha finanze sane. Ha pochi debiti e nessun deficit di bilancio. Inoltre, la sua bilancia commerciale è in attivo, il che non è di gran lunga il caso di tutti i paesi che gravitano attorno e sotto il dominio forzato del dollaro. Bisogna riconoscere che è entrata a   quasi tutte le aree la capacità di autosufficienza, capacità rafforzata nel tempo dalle precedenti sanzioni. D’altra parte, i paesi europei sono duramente colpiti e saranno duramente colpiti dalle conseguenze delle sanzioni che hanno deciso contro la Russia. Questi ultimi dovrebbero, prima che sia troppo tardi, ammettere che questa guerra non è loro.

 

Detto questo, procedendo in questo modo, gli Stati Uniti non hanno forse aperto il vaso di Pandora? Non hanno essi stessi messo in dubbio in molti paesi la sostenibilità del primato del dollaro, perché il sequestro di parte delle riserve russe in dollari ed euro detenute presso le banche occidentali conferma o riesce a convincere il resto del mondo della necessità di non dipende dagli americani e dagli europei.

 

La guerra in Ucraina e le sanzioni innescate dall’Occidente potrebbero così accelerare la riorganizzazione del mondo sul piano monetario. Inoltre, i BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) stanno già lavorando alla creazione di a

valuta di riserva che verrebbe calcolata da un paniere di tutte le loro valute. Gli stessi paesi hanno anche avviato la creazione di un sistema di pagamento alternativo a Swift. Questo approccio potrebbe attrarre altri paesi e il gruppo BRICS potrebbe espandersi per includere Iran e Argentina, che hanno presentato domanda. Sarebbero interessati anche Messico e Indonesia.

 

Come possiamo vedere, il mondo potrebbe oscillare con questa guerra tra Ucraina e Russia, in realtà una guerra dichiarata alla Russia dagli Stati Uniti, e il regno incontrastato del dollaro potrebbe essere finito o in procinto di esistere. Gli Stati Uniti lo accetteranno? Non sono pronti a scatenare l’impensabile per opporvisi? La domanda è posta.

CONCLUSIONI RISULTATI

In questo conflitto, nessuno nega che la Russia sia l’aggressore. Questa aggressione va condannata. Ma il regime di Kiev va condannato anche per non aver voluto applicare gli accordi di Minsk che ha comunque firmato nel 2014 e nel 2015. Non dobbiamo dimenticare che Volodymyr Zelensky è stato eletto nel 2019 su un programma di pace con la promessa di allentare le tensioni con la Russia e risolvere la crisi nell’Ucraina orientale. Anche Francia e Germania sono colpevoli di non aver rispettato la loro firma che ha reso questi due paesi i garanti dell’applicazione di questi accordi di Minsk. Gli Stati Uniti e la NATO, per la loro azione svolta per tre decenni contro la Russia e in particolare per la loro azione per dieci anni in Ucraina, devono essere condannati. Infine, gli Stati Uniti hanno fatto di tutto all’inizio del 2022 perché questo conflitto scoppiasse. “Le guerre non sono coloro che le danno inizio, ma coloro che le hanno rese inevitabili”. Questa formula attribuita a Montesquieu illustra perfettamente l’attuale conflitto. I russi hanno iniziato questa guerra, ma gli Stati Uniti l’hanno resa inevitabile.

 

Oggi l’Occidente si affretta a condannare la Russia demonizzando il suo presidente, Vladimir Putin. Sebbene questo conflitto non sia solo militare – ma è anche, tra le altre cose, mediatico – i media e la stragrande maggioranza dei commentatori impongono la loro griglia di lettura per analizzare la situazione e le questioni riprendendo la narrativa sviluppata dal regime di Kiev e trasmessa dagli anglosassoni, oscurando completamente quanto accaduto prima del 24 febbraio 2022.

 

È quindi un’analisi parziale e unilaterale che domina e che rifiuta risolutamente di prendere in considerazione le ragioni storiche che hanno portato a questa tragedia, perché mettono in evidenza il ruolo e la responsabilità degli Stati Uniti, della NATO e del regime di kyiv in questo conflitto che – va ricordato – non avrebbe mai dovuto aver luogo.

 

Inoltre, come interpretare questa isteria totalmente sproporzionata e divenuta patologica antirussa che costituisce in definitiva l’asse maggiore della politica americana, un’isteria meno marcata ma comunque condivisa dai paesi europei il cui interesse è tuttavia l’instaurazione di relazioni pacificate nel continente europeo? Questa stessa isteria, questa stessa condanna si sono manifestate contro gli Stati Uniti che hanno attaccato la Serbia nel 1999 e l’Iraq nel 2003, per fare solo questi due esempi, violando così il diritto internazionale e la Carta delle Nazioni Unite? Abbiamo condannato i loro numerosi interventi decisi unilateralmente e le loro conseguenze che hanno provocato decine, anche centinaia di migliaia di morti e ingenti distruzioni? Come capire questo ovvio doppio standard?

 

Per chi ha servito la Francia in divisa e ha partecipato alla Guerra Fredda contro il Patto di Varsavia e quindi contro l’ex URSS che l’ha persa, ha poi partecipato alla gestione di altre grandi crisi tra cui quella dell’attacco all’Iraq nel 2003 da parte degli Stati Uniti all’interno un organismo interministeriale che riferisce al Presidente del Consiglio, tutto ciò che riguarda la protezione e la difesa dei nostri connazionali, e quindi della nazione e del territorio nazionale, tutto ciò che lede gli interessi della Francia e quindi le minacce che possono colpire il nostro Paese resta fonte di interesse e preoccupazione. Inoltre, provenendo dalla comunità dell’Intelligence, ritengo di aver acquisito una certa esperienza su come apprendere e gestire una crisi. L’indipendenza in questo ambito è un fattore chiave ed è la capacità di monitorare la situazione il più da vicino possibile e di orientare la propria

fonti (immagini satellitari, ricognizioni aeree, fonti tecniche, molteplici fonti umane di cui bisogna conoscere il livello di affidabilità di ciascuna), determinate dal bisogno espresso, che permette di raccogliere informazioni poi analizzate dagli esperti. Questo lavoro di analisi porta poi alla produzione di sintesi nazionali che vengono messe a disposizione del capo, in questo caso nell’attuale crisi il Presidente della Repubblica che ne tiene conto nelle decisioni che è chiamato a prendere, oppure no. È possibile arricchire questi ultimi attraverso scambi con partner o alleati. Tuttavia, dobbiamo rimanere cauti e mantenere sempre una mente critica per evitare qualsiasi tentativo di evasione o manipolazione da parte di un alleato come gli Stati Uniti quando in determinate aree mostriamo una mancanza e quindi una dipendenza. Non dobbiamo, per mancanza di informazioni per mancanza di risorse nazionali, lasciarci trascinare in azioni che rispondano agli interessi di un alleato come gli Stati Uniti, che può risiedere nelle informazioni fornite. Non si tratta qui di fantasia, ma di un’osservazione vissuta durante la guerra nell’ex Jugoslavia.

 

Inoltre, aggiungo che durante la Guerra Fredda il nemico era proprio il Patto di Varsavia guidato dall’ex Unione Sovietica. Abbiamo vinto questa guerra più di trent’anni fa. Ma da allora sono cambiate molte cose che avrebbero potuto portare a nuove relazioni politiche tra i paesi europei, e in particolare l’Unione Europea, da un lato, e la Russia dall’altro. Del resto, in termini di commercio, questo è proprio quello che è successo dall’inizio degli anni 2000. Ma le sanzioni economiche decretate dopo l’aggressione in Ucraina riflettono la negazione di tutto il lavoro intrapreso da molti anni nel continente europeo nel ben inteso interesse di tutti. È deplorevole che non si sia cercato un riavvicinamento più concreto con la Russia, in particolare nel campo dell’analisi e della lotta all’islamismo, una grave minaccia che grava sull’intero continente europeo e che è comune. Inoltre, è questa minaccia che ha portato la Russia a intervenire efficacemente in Siria alla fine del 2015, evitando così il crollo di questo Paese che avrebbe portato gli islamisti alla presa del potere. Quest’ultimo avrebbe poi provocato per effetto domino la destabilizzazione del Libano e della Giordania, portando a una nuova grande ondata di profughi. Ma è vero che gli europei vassalli non sono capaci né di capire quali siano i propri interessi né di indicare il nemico.

 

L’esempio del conflitto Ucraina-Russia è emblematico di questa incapacità. La narrativa fornita dal regime ucraino e trasmessa o addirittura imposta dagli Stati Uniti è l’unica presentata dai media sovvenzionati ei loro giornalisti denigrano e tradiscono la Carta di Monaco. Questa narrazione non è in alcun modo il prodotto di servizi di intelligence professionali e scrupolosi, ma piuttosto quella di un’impresa distorcente la realtà intrapresa da attori prevenuti, il minimo che possiamo dire è che non sono sempre stati ugualmente virulenti nei confronti di un altro aggressore, gli Stati Uniti . Non è lecito interrogarsi sulle reali motivazioni di chi cerca di imporre questa lettura parziale e di impedire ogni riflessione autonoma e seria? Ovviamente esistono e per noi francesi bisogna porsi delle domande: chi ha deciso di destituire il generale al comando del DRM? È stato sollevato dal suo comando perché il DRM non ha aderito alla versione degli eventi che gli Stati Uniti volevano imporre? Perché abbiamo scelto di allinearci all’analisi americana e rifiutare quella del DRM, che è perfettamente fondata e che, non assecondando l’ipotesi di un attacco russo, ha offerto l’opportunità ai nostri leader di cercare di ridurre le tensioni provocando discussioni? Perché i nostri media continuano a iniziare certe osservazioni con “secondo i servizi di intelligence americani” ? Perché non parlare mai dal punto di vista dei nostri servizi di intelligence? Ai nostri esperti di intelligence è stato chiesto di tacere dopo il discutibile licenziamento del generale al comando del DRM?

Questa guerra è una grande disgrazia per l’Europa, i cui leader purtroppo non sanno come imparare le lezioni della storia perché sono ciecamente sottomessi agli Stati Uniti, il cui obiettivo è impedire qualsiasi riavvicinamento con la Russia. Questa guerra è infatti quella degli americani e non è assolutamente nell’interesse degli europei che si stanno suicidando economico e geopolitico a causa delle sanzioni decise contro la Russia. La Francia non ha alcun interesse da difendere in Ucraina o nel Mar Nero.

 

Gli interessi ben compresi della Francia sono avere e difendere un’analisi indipendente per condurre una politica estera sovrana che non sia dettata da un potente alleato come gli Stati Uniti con cui possiamo avere punti di accordo, ma anche disaccordi, o dalla NATO che ha diventare un’organizzazione non solo offensiva, ma bellicosa al servizio degli interessi americani e non certo europei. Ciò è tanto più ovvio e necessario in quanto prima o poi si dovranno ristabilire nuove relazioni con la Russia per ricostruire uno spazio di sicurezza in cui essa abbia, piaccia o no, il suo pieno posto. Questo riguarda direttamente noi europei e in particolare i francesi. Dobbiamo garantire la protezione dei popoli d’Europa e la stabilità del continente europeo. Questo è l’interesse dell’Europa e quindi dell’UE, chiaramente non quello degli Stati Uniti.

 

Perché il rischio di una conflagrazione oggi sta nel fatto che la situazione militare non si evolve nella direzione prevista dagli Stati Uniti, nonostante i massicci aiuti forniti all’Ucraina, che vanificano fortemente gli obiettivi di quest’ultima e la portano a radicalizzare il proprio discorso . Un’aggravante, questo conflitto in realtà contrappone gli Stati Uniti alla Russia, le due maggiori potenze nucleari del mondo e i leader americano e russo non si parlano! E non sarà certo il presidente francese che d’ora in poi potrà fare da intermediario. Non è riuscito a farlo perché il suo approccio è stato partigiano fin dall’inizio e perché la sua visione della diplomazia a cielo aperto, insieme alle indiscrezioni sulle conversazioni tenute con Vladimir Putin, lo hanno screditato. Possiamo ricordare che durante la crisi dei missili cubani del 1962, fu proprio un negoziato – quindi un dialogo – tra gli Stati Uniti e l’ex URSS a mettere fine all’escalation? Senza questo dialogo sarebbe potuta scoppiare una guerra nucleare. L’ex Unione Sovietica aveva capito che questa questione era considerata esistenziale dagli Stati Uniti e il loro progetto era stato saggiamente abbandonato. Riusciranno oggi gli Stati Uniti a riconoscere, a loro volta, che la questione dell’Ucraina è una questione esistenziale per la Russia e che è tempo di rinunciare alla loro impresa? Quanto all’Unione Europea, si rende conto che non solo sta sacrificando economicamente i popoli che dovrebbe proteggere, ma che li sta mettendo in prima linea in caso di straripamento del combattimento militare al di fuori del campo attuale quando questa guerra non è suo? Grande è la sua responsabilità nell’evoluzione della situazione delle ultime settimane precedenti il ​​24 febbraio scorso.

 

Non volendo ammettere che l’Ucraina non ha potuto aderire alla NATO dopo la continua espansione di quest’ultima ai confini russi dalla fine della Guerra Fredda, non avendo osato tentare di convincere gli Stati Uniti della legittimità della posizione della Russia in materia, il L’Unione Europea ha commesso una colpa imperdonabile. Perché questa colpa risulterà, oltre alle drammatiche conseguenze delle sanzioni economiche che subiranno i popoli europei, da un suicidio geopolitico e geostrategico e dallo smembramento dell’Ucraina che si sarebbe potuto evitare.

 

Infatti, dopo il pesante prezzo pagato dalla Russia durante la prima fase di questa guerra, pensare che i negoziati, quando si svolgeranno, consentirebbero all’Ucraina di tornare alla situazione prima del 24 febbraio 2022 è un grosso errore. La determinazione degli Stati Uniti, della NATO e dell’UE a prolungare un conflitto perduto in anticipo e

la testardaggine del presidente ucraino ha effettivamente messo la Russia in una posizione di forza. Il tempo stringe per quest’ultimo, che ora potrebbe cercare di ricostituire Novorossiya (appendice 5) dando vita a un nuovo Stato che rimarrebbe sotto la guida di Mosca, o che sarebbe annesso alla Russia.

 

Vediamo le conseguenze per noi europei di un allineamento pavloviano di un’Unione europea totalmente sottomessa agli Stati Uniti pronta a sacrificare vite europee per raggiungere obiettivi contrari ai nostri interessi nel continente europeo. Non è forse ora che la ragione si riaffermi e che l’Ue si emancipa finalmente dalla vigilanza impropriamente esercitata dagli onnipotenti Stati Uniti, che le impedisce di decidere da sola? È tempo di adottare un approccio politico ai problemi di natura geopolitica e geostrategica secondo gli imperativi legati alla realtà.

 

I prossimi mesi saranno decisivi per l’Unione Europea.

 

O si rende conto che questa guerra tra Ucraina e Russia era in gran parte evitabile e che ha commesso un errore seguendo ciecamente gli Stati Uniti e la NATO in una mossa contraria ai propri interessi nel continente europeo. Ciò potrebbe comportare uno sconvolgimento collettivo che potrebbe essere provocato anche dalle conseguenze disastrose delle sanzioni decise contro la Russia che subiranno i popoli d’Europa.

 

O l’Unione Europea persiste nel suo errore che traduce, di fatto, un approccio essenzialmente antirusso a questa crisi. Ciò farebbe poi precipitare la sua caduta e la sua perdita di credibilità e influenza, in particolare nel continente europeo. I popoli d’Europa dovrebbero allora soffrire molto più duramente e duramente della Russia per le molte conseguenze delle sanzioni economiche decise.

 

Aggiungo che la Francia ha presieduto l’Unione Europea durante la prima metà del 2022. Purtroppo, ha mancato l’appuntamento cruciale che la Storia le ha offerto con questa crisi, prima e dopo il suo scoppio. Potrebbe anche farci pagare per questo.

 

20 luglio 2022

Generale (2s) Antoine MARTINEZ

annexe 1

annexe 2

Point de situation des combats en Ukraine

 

 

Sources : Liveuamap, Wikipédia

 

annexe 3

Le front dans le Dombass

 

Sources : Openstreetmap.org et @Militarylandnet, Wikipédia, Liveuamap

 

annexe 4

annexe 5

La Novorossiya

En octobre 2014, les rebelles du sud de l’Ukraine joignent leurs forces pour créer les « Forces conjointes de Novorossiya ». La rébellion est rapidement matée par les nouvelles autorités de Kiev. Cet épisode est oublié de nos médias, car il montre que la résistance au coup d’Etat de Maïdan n’était pas limitée au Donbass, mais concernait presque tout le sud du pays. C’est probablement à l’intérieur de ces frontières (à rapprocher de la carte (cf. annexe 6) sur l’usage de la langue russe) que pourrait émerger un nouvel État, sous la houlette de Moscou.

annexe 6

Usage de la langue russe en Ukraine (2003)

https://www.minurne.org/wp-content/uploads/2022/07/ukraine-russie-du-fantasme-a-la-realite.pdf

LA NATO E’ LO STRUMENTO DEGLI USA NEL CONFLITTO STRATEGICO DELLA FASE MULTICENTRICA, di Luigi Longo

LA NATO E’ LO STRUMENTO DEGLI USA NEL CONFLITTO STRATEGICO DELLA FASE MULTICENTRICA

di Luigi Longo

 

La Nato e un’autonoma forza europea comune di difesa

non possono crescere insieme. Una sola delle due può

 emergere e la nostra volontà dovrebbe essere che questa sia la

Nato, in modo che nel nostro scontro con la Cina l’Europa rimanga

per noi una risorsa militare e non si trasformi in una passività.

Robert D. Kaplan*

La Nato, divenuta apertamente strumento dell’espansionismo

americano e non più della difesa europea, pone termine alle

 illusioni di una “autonomia europea”, costringendo l’Unione

 Europea a un nuovo allineamento, ancora più severo di quello

imposto nel passato con il pretesto della “guerra fredda”.

Samir Amin**

Non l’America che comanda il mondo, ma il mondo che diventa America.                                  

Perry Anderson***

 

 

1.Premessa

 

Avanzo l’ipotesi di una sequenza temporale (timeline) della Nato come momenti significativi di svolte e di fasi (1) che ne costruisce il ruolo e funziona, per l’essenzialità del ragionamento, da elemento sintattico della riflessione. La sequenza temporale evidenzia “momenti” storici che narrano i punti di svolta delle diverse fasi mondiali (monocentrica, multicentrica, policentrica) sia nel loro passaggio di fase, sia nel loro consolidamento. Le fasi mondiali sono viste come il conflitto strategico (2) tra le potenze mondiali per il dominio. Il dominio può essere multicentrico con la spartizione del mondo tra le potenze dominanti storicamente date (con le relative aree di influenza) in modo da evitare la guerra per la supremazia che comporterebbe la fine del pianeta terra considerato la potenza distruttrice raggiunta dall’uso delle armi nucleari (3); oppure monocentrico, cioè, dominio relativo di coordinamento mondiale di una potenza storicamente determinata scaturita dalla guerra: difficile da realizzarsi perché le condizioni storiche sono fortemente cambiate dalla seconda guerra mondiale per il falso progresso de le magnifiche sorti e progressive (4) che ci porterà al rischio della fine della vita sul pianeta terra come innanzi detto.

Evidenzio, en passant, la quasi assenza, a mia conoscenza, della ricerca (pubblica e privata) sia sulle relazioni tra basi militari Usa-Nato e sviluppo locale, regionale, nazionale e internazionale, sia sulle relazioni politiche, militari, industriali, economiche, sociali e culturali nei territori di localizzazione delle basi e delle loro proiezioni nei sistemi di valori territoriali (5).

 

 

2.La sequenza temporale della Nato

 

L’ipotesi della sequenza temporale della Nato, che propongo, è la seguente:

 

  • Dopo la seconda guerra mondiale gli USA si affermano, nel campo occidentale, come potenza egemone e coordinatrice di un modello di sviluppo economico, politico, sociale e culturale. Si avvia la fase monocentrica occidentale.

         Nasce la Nato: lo strumento contro il campo orientale e il cosiddetto          comunismo.

 

  • Dopo l’implosione dell’URSS, caduta del mondo erroneamente detto comunista, gli USA si ergono a potenza egemone di coordinamento mondiale. Si afferma la fase monocentrica mondiale.

         La Nato si trasforma e allarga le sue competenze oltre alla sfera   militare anche a quella economica, dello sviluppo dei territori, della   sicurezza territoriale, del controllo sociale, della ricerca, della   penetrazione e dell’ampliamento dell’area di influenza ad Est e nel          Medio Oriente (per esempio: la prima guerra del Golfo, la          dissoluzione della Jugoslavia, l’inglobamento dei paesi già parte           dell’ex Patto di Varsavia e dell’ex URSS).

 

  • Dopo la distruzione della Libia, il tentativo di demolire la Siria e con l’emergere in maniera definitiva delle due potenze in ascesa (Russia e Cina), gli USA temono la loro messa in discussione come unica potenza di coordinamento mondiale.

Il percorso della fase multicentrica è tracciato.

         La Nato diventa lo strumento di conflitto contro le potenze emergenti    (guerra economica alle vie dell’energia russa e alle vie della Seta      cinese, la militarizzazione dell’Est, del Medio Oriente e dell’Asia          centrale per l’accerchiamento della Russia, la militarizzazione      dell’Oceano Indiano e dell’area dell’Asia-Pacifico per          l’accerchiamento della Cina. ).

 

  • Con la configurazione del nascente polo asiatico, coordinato da Russia e Cina, gli USA avviano in maniera determinata un attacco alla Cina (via virus Sars Cov 2) e alla Russia (via Ucraina).

         La fase multicentrica entra nel vivo della sua costruzione.

         La Nato è ricalibrata come strumento del conflitto contro il nascente     polo asiatico. Il suo modello viene riproposto sia nel Mediterraneo (il Dialogo mediterraneo, DM), sia nel Medio Oriente (con gli accordi di        Abramo), sia nel Pacifico (patto Aukus, l’alleanza Quad), sia in Africa   (DM, Operazione “Active Endeavor”, Standing Maritime Group          One), sia in America latina, sia nel circolo polare Artico dove gli USA,         oltre la questione delle risorse naturali, temono, soprattutto, le nuove vie dell’Artico verso l’Atlantico che possono far saltare le loro strategie (prioritariamente militari e logistiche) nel Pacifico innervando sempre di più il coordinamento tra la Russia e la Cina.

 

 

2.Perchè la Nato

 

La fine della fase policentrica, avvenuta con la seconda guerra mondiale, ha comportato la divisione del mondo in due blocchi contrapposti e in parte alternativi: quello occidentale egemonizzato dagli USA e quello orientale egemonizzato dall’URSS.

Gli USA, per un controllo del loro campo occidentale, soprattutto dell’Europa, hanno creato sia l’Unione Europea (1947) sia la Nato (1949) (6).

Nasce la Nato: lo strumento contro il campo orientale e il cosiddetto comunismo.

L’URSS, come risposta alla strategia USA e per un controllo della sua area di influenza, ha costituito sia il Comecon (1949) sia il Patto di Varsavia (1955) che non tratterò perché non sono oggetto del presente scritto (7).

La Nato è stata costruita, secondo la retorica di basso livello degli USA-Nato, perché << […] l’Unione Sovietica era considerata come la principale minaccia alla libertà e all’indipendenza dell’Europa occidentale. L’ideologia comunista, gli obiettivi e i metodi politici e le capacità militari indicavano che, quali che fossero state le reali intenzioni dell’Unione Sovietica, nessun governo occidentale avrebbe potuto permettersi di ignorare la possibilità di un conflitto. In conseguenza di ciò, dal 1949 alla fine degli anni ’80 – periodo noto come quello della Guerra Fredda – il compito principale dell’Alleanza è stato quello di mantenere sufficienti capacità militari per difendere i suoi membri da ogni forma di aggressione da parte dell’Unione Sovietica e del Patto di Varsavia. La stabilità fornita dalla NATO durante questo periodo ha consentito all’intera Europa occidentale di tornare alla propria prosperità dopo la Seconda Guerra mondiale, accrescendo la fiducia e la prevedibilità, che sono essenziali per lo sviluppo economico […]Alla metà degli anni ’50, una strategia cosiddetta della “risposta massiccia” enfatizzava la dissuasione basata sulla minaccia che la NATO avrebbe risposto all’aggressione contro chiunque dei suoi membri con ogni mezzo a sua disposizione, incluse in modo particolare le armi nucleari. Nel 1967, veniva poi introdotta la strategia della “risposta flessibile” (corsivo mio, LL), che mirava a scoraggiare l’aggressione creando nella mente di un potenziale aggressore incertezza riguardo a quella che poteva essere la natura della risposta della NATO, convenzionale o nucleare. Questa è rimasta la strategia della NATO sino alla fine della Guerra Fredda >> (8).

In realtà, come sostiene Mahdi Darius Nazemroaya, la Nato era nient’altro che una clausola di garanzia per gli Stati Uniti, che stabiliva gli USA quale unica superpotenza nucleare globale col compito di proteggere il resto dell’Alleanza atlantica (9) con il principale obiettivo, come racconta M. Arnaud Leclercq, di prevenire l’aggregazione dei centri di potere del “vecchio mondo” in una coalizione ostile ai loro propri interessi (10).

La strategia durante la guerra fredda è stata quella di difesa dell’Europa occidentale da una eventuale aggressione dell’URSS, così per gli USA-Nato sin << Dalla nascita della NATO, il ruolo fondamentale delle forze alleate è stato quello di garantire la sicurezza e l’integrità territoriale degli stati membri. Il compito di fornire sicurezza attraverso la dissuasione e la difesa collettiva restano un fondamentale compito […] Durante la Guerra Fredda, la pianificazione della difesa della NATO era principalmente indirizzata a mantenere le capacità necessarie per difendersi da una possibile aggressione dell’Unione Sovietica e del Patto di Varsavia >> (11).

Ma come non ricordare, a tal proposito, tenendo conto delle condizioni storiche mutate (soprattutto con l’implosione del cosiddetto campo del comunismo egemonizzato dall’URSS) e l’uso delle categorie che le esprimono, l’ideologia reazionaria statunitense denunciata (gennaio 1953, Poscritto sull’irrazionalismo del dopoguerra) da Gyorgy Lukacs quando sosteneva che << E’ apparso chiaro a una cerchia sempre più vasta di persone ciò che gli iniziati sapevano da tempo, e cioè che la fine della guerra significa solo la preparazione di una nuova guerra contro l’Unione Sovietica, che la preparazione ideologica delle masse a questa guerra rappresenta un problema centrale del mondo imperialistico […] Poiché infatti, dopo la fine della seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti sono apparsi sempre più come forza dirigente della reazione imperialista, e hanno preso, sotto questo aspetto, il posto della Germania, si dovrebbe scrivere obbiettivamente una storia della loro filosofia per mostrare, con la stessa minuzia, con cui qui è stato fatto per la Germania, quale è l’origine sociale e spirituale e delle odierne ideologie del <<secolo americano>> e dove se ne possono trovare le radici >> (12). Qui il senso degli USA come potenza mondiale pericolosa e reazionaria, perché non accetta un dominio mondiale condiviso con le altre potenze, è di grande attualità soprattutto per un progetto di stabilizzazione dinamica della fase multicentrica così come la trappola di Tucidide ha dimostrato storicamente in quattro casi (13).

 

3.Perchè si trasforma la Nato

 

Con la fine della guerra fredda dovuta sostanzialmente alla implosione dell’URSS (1991) e l’affermazione degli USA come unica potenza di coordinamento mondiale si apre un periodo di fase monocentrica terminata nel 2010 con l’emergere delle due potenze in ascesa: la Cina e la Russia. Si avvia sia il tracciamento del percorso della fase multicentrica, sia la costruzione della strada della fase multicentrica.

 

La fase monocentrica

 

In questa fase monocentrica (1991-2010, il periodo è relativamente indicativo perché i processi che racchiude sono di lunga durata) la Nato subisce un primo cambiamento: da strumento USA di contenimento dell’URSS durante la guerra fredda a strumento di espansione ad Est e nel Medio Oriente con un allargamento del suo campo di azione che riguarda la quasi totalità delle sfere sociali.

 

La Nato si trasforma e allarga le sue competenze oltre alla sfera militare anche a quella economica, dello sviluppo dei territori, della sicurezza territoriale, del controllo sociale, della ricerca, della penetrazione e dell’ampliamento dell’area di influenza ad Est e nel Medio Oriente (per esempio: la prima guerra del golfo, la dissoluzione della Jugoslavia, l’inglobamento dei paesi già parte dell’ex Patto di Varsavia e dell’ex URSS) (14).

 

La strategia che viene elaborata, secondo la retorica ideologica degli USA-Nato, è quella della << […] sicurezza euroatlantica [che] era divenuta più complessa e molte nuove sfide erano emerse al di fuori dell’Europa, tra cui gli stati in disfacimento, la proliferazione delle armi di distruzione di massa e dei loro vettori, e il terrorismo. Questa nuova agenda della sicurezza è divenuta evidente all’inizio degli anni ’90 con i conflitti etnici nei Balcani, dove infine le forze della NATO sono state chiamate a svolgere un ruolo a sostegno della pace e di gestione delle crisi. Più recentemente, gli attacchi terroristici del settembre 2001 e le successive operazioni in Afghanistan per sradicare al Qaida, il gruppo terrorista responsabile degli attacchi, hanno portato a un crescente interesse per le minacce poste dal terrorismo, dagli stati in disfacimento e dal diffondersi delle armi di distruzione di massa. Le forze della NATO ora contribuiscono alla difesa contro il terrorismo e svolgono un ruolo più ampio nelle missioni internazionali a sostegno della pace, che impegnano la NATO al di fuori dell’area euroatlantica per la prima volta nella sua storia (corsivo mio, LL). Così, mentre le minacce che l’Alleanza ha oggi di fronte sono potenzialmente meno apocalittiche rispetto a quelle della Guerra Fredda, sono assolutamente reali, urgenti e spesso imprevedibili >> (15).

Gli USA, quindi, non solo pongono le basi per contrastare l’affermarsi di potenze rivali, nello spazio euro-asiatico ed asiatico, in grado di mettere in discussione la loro egemonia mondiale, ma guidano le trasformazioni della Nato all’interno delle loro strategie di dominio. Infatti, come fa notare Manlio Dinucci, << la nuova strategia viene ufficialmente enunciata, sei mesi dopo la fine della Guerra del Golfo, nella National Security Strategy of the United States (Strategia della sicurezza nazionale degli Stati Uniti), pubblicata dalla Casa Bianca nell’agosto 1991. […] il documento sottolinea che “in Medio Oriente e Asia Sud-Occidentale il nostro obiettivo è quello di rimanere la potenza esterna predominante e preservare l’accesso statunitense al petrolio della regione (da usare, così come le altre risorse energetiche fossili, come strumento nel conflitto strategico tra le potenze, mia precisazione LL). Resta di fondamentale importanza impedire che una potenza egemone o una coalizione di potenze domini la regione >>. Tale strategia sarà adattata in tutte le “regioni critiche per la sicurezza degli Stati Uniti, le quali comprendono l’Europa, l’Asia orientale, il Medio Oriente, l’Asia sud-occidentale e il territorio dell’ex Unione Sovietica. Abbiamo in gioco importanti interessi anche in America latina, Oceania e Africa subsahariana”. […] il nostro obiettivo primario è impedire il riemergere di un nuovo rivale, o sul territorio dell’ex Unione Sovietica o altrove, è impedire che qualsiasi potenza ostile domini una regione le cui risorse sarebbero sufficienti, se controllate strettamente, a generare una potenza globale”. Tale strategia deve essere attuata nei confronti non solo di “qualsiasi potenza ostile”, ma anche dei “paesi industriali avanzati, per dissuaderli dallo sfidare la nostra leadership o cercare di capovolgere l’ordine politico ed economico costituito. Infine, dobbiamo mantenere i meccanismi per scoraggiare i potenziali competitori anche a un maggiore ruolo regionale o globale”. […] E’ quindi della massima urgenza per gli Stati Uniti ridefinire non solo la strategia, ma il ruolo stesso della NATO. Sotto la crescente pressione esercitata da Washington, la Nato comincia a orientarsi a un nuovo ruolo subito dopo il “crollo del muro di Berlino”, prima ancora che il Patto di Varsavia e l’Unione Sovietica si dissolvano.I1 17 novembre 1991, i capi di stato e di governo dei sedici paesi della NATO, riuniti a Roma nel Consiglio Atlantico, varano il nuovo Concetto strategico dell’Alleanza >> (16).

Questa nuova strategia ha portato nel 2010 alla elaborazione del documento Nato sul “Concetto strategico per la difesa e la sicurezza dei membri dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico adottato dai capi di Stato e di governo a Lisbona” dove la Cina e la Russia non sono neanche nominate (17). Dal 1991 al 2010 la fase monocentrica statunitense ha prodotto le due guerre del Golfo, la dissoluzione della Federazione Jugoslava, l’espansione a Est e l’accerchiamento della Russia, la guerra globale al terrorismo (18). Manlio Dinucci sostiene che << La guerra contro la Jugoslavia costituisce allo stesso tempo l’atto fondante da cui nasce quella che il summit, convocato a Washington il 23-25 aprile 1999, definisce “una nuova Alleanza più grande, più flessibile, capace di intraprendere nuove missioni, incluse le operazioni di risposta alla crisi”. Da alleanza che, in base all’Articolo 5 del Trattato del 4 aprile 1949, impegna i paesi membri ad assistere anche a “condurre operazioni di risposta alle crisi non previste dall’Articolo 5, al di fuori del territorio dell’Alleanza” >> (19).

Dopo la disgregazione della Jugoslavia ad opera degli USA-Nato, il sistemico Sergio Romano afferma che << i primi a trarne le conseguenze furono gli ex satelliti dell’Unione Sovietica. Per creare una nuova economia, dopo il fallimento del sistema comunista, ricorsero all’Unione Europea, di cui divennero membri troppo frettolosi. Ma per garantire la loro sicurezza, decisero che la protezione americana sarebbe stata più efficace di quella fornita da un gruppo di Stati europei ancora sprovvisti di una politica militare comune. Il risultato fu l’allargamento della Nato sino alla vecchia Urss e, dopo l’ingresso delle repubbliche baltiche, entro i suoi confini. Non bastava: per gli Stati Uniti quella era soltanto una tappa verso un’organizzazione militare che avrebbe compreso l’Ucraina e la Georgia.

E’ questo il momento in cui Vladimir Putin diventa il restauratore del grande Stato russo e della sua area d’influenza. Ed è questo il momento in cui la Russia, a Washington, comincia a essere percepita come un potenziale nemico. Nel primo documento sulla sicurezza nazionale diffuso dalla Casa Bianca dopo la elezione di Donald Trump, è scritto: “Benchè la minaccia del comunismo sovietico non esista più, nuove minacce mettono alla prova la nostra volontà. La Russia sta usando misure sovversive per indebolire la credibilità dei nostri impegni europei, scardinare l’unità transatlantica, indebolire le istituzioni dei governi europei. Con le sue invasioni della Georgia e dell’Ucraina, la Russia ha dimostrato la sua intenzione di violare la sovranità degli Stati nella regione. La Russia continua a indebolire i suoi vicini con comportamenti minacciosi e la dislocazione avanzata di forze militari”.

Il passaggio dedicato alla Cina non è troppo diverso. Anche la politica cinese, agli occhi di Washington, appare troppa ambiziosa e, quindi, potenzialmente minacciosa. “La Cina e la Russia” è scritto nel documento sulla sicurezza “sfidano la potenza degli Stati Uniti, la loro influenza e i loro interessi, e si propongono di erodere la loro sicurezza e la loro prosperità”. Agli alleati l’America chiede di essere aiutata a fronteggiare i suoi nemici. “Ci aspettiamo che i nostri alleati europei, entro il 2024, aumentino le spese per la difesa sino al 2 per cento del loro Prodotto interno lordo. Sul fronte orientale della Nato continueremo a rafforzare la deterrenza e la difesa, a catalizzare gli alleati e i partner sulla linea del fronte affinchè siano in condizioni di meglio difendere se stessi. Lavoreremo con la Nato per migliorare le sue capacità missilistiche di difesa integrata contro le minacce missilistiche provenienti soprattutto dall’Iran” >> (20).

La fase monocentrica, 1991-2010, a coordinamento USA, si è conclusa con una illusione statunitense che ha evidenziato sia il suo consolidato declino (relativo) sia l’incapacità storica (21) di pensare ad un nuovo ordine mondiale (senza l’arroganza di essere la “sola nazione indispensabile al mondo”) con l’uso quasi esclusivo della forza militare (hard power) altro che il soft power, cioè, la capacità di sedurre e persuadere le altre nazioni senza dover ricorrere alla forza o alla minaccia, come sostenuto da J.S. Nye, considerato uno dei più eminenti pensatori liberali della politica estera statunitense (22). Gianfranco La Grassa sostiene che << Ciò che si sta verificando è, almeno a partire dal 2001, dopo l’attacco “islamista” contro le Torri Gemelle, un avanzamento del multipolarismo sulla scacchiera del potere internazionale. L’unipolarismo o monocentrismo americano, che in seguito all’implosione dell’URSS si autoreferenziava come secolare (New American Century), si è scontrato, nel giro di un decennio o poco più, con le sue velleità >> (23). Diana Johnstone ricorda che << Il buon senso è antico e semplice. Prima della rovina viene l’orgoglio e prima della caduta c’è l’arroganza. Questo è un insegnamento che quasi chiunque dovrebbe essere in grado di capire >> (24).

 

Il percorso della fase multicentrica

 

Riporto due brevi riflessioni tratte da due miei scritti (25) che inquadrano il percorso della fase multicentrica in cui il conflitto USA-Nato, scatenato in Libia e in Siria, ha accelerato la partnership strategica sempre più profonda tra Mosca e Pechino (ho usato le parole del servo Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato).

La prima riflessione riguarda lo smembramento della Libia. In esso

molti studiosi hanno visto i processi economici in particolare della Francia e del Regno Unito (interessi di imprese, risorse energetiche, finanziamenti occulti, eccetera) ma non hanno visto i processi strategici della potenza imperiale USA che impongono una fase del caos mirata ad un attacco deciso alla Russia (primavera araba, Siria, Ucraina, Iran, accordo Russia-Cina-Iran, eccetera) e alla Cina (ridimensionamento della politica di penetrazione e di espansione in Africa). Insomma un attacco duro e pericoloso per indebolire quelli che potrebbero essere i punti di forza delle nuove potenze che aspirano a competere con l’egemonia USA non solo a livello di specifiche aree geografiche ma soprattutto a livello mondiale.

La seconda riflessione concerne lo smembramento non riuscito della Siria.

La guerra in Siria, al contrario delle altre guerre nel Medio Oriente (Iraq), nei Balcani (ex Jugoslavia) e nel Nord Africa (Libia), può rappresentare il punto di svolta verso il consolidamento del polo di aggregazione intorno alla Russia e alla Cina [che già collaborano nella sfera economica (risorse energetiche, via della seta, trattati di area, accordi commerciali, eccetera)] capace di approntare una strategia tutta orientale che lancia un confronto tra nazioni eguali con una visione multicentrica del mondo e un nuovo rapporto tra Oriente e Occidente [senza dimenticare né l’influenza della sedimentazione storica del rapporto tra Russia ed Europa a partire dalla metà del XV secolo con lo zar Ivan III (1440-1505), né l’attrito storico tra Russia e Cina]. Non si tratta di un confronto basato sulla forza militare ma sul dialogo e sul confronto tra storie, culture, popoli diversi. Tale confronto non esclude affatto le questioni fondamentali quali i rapporti sociali basati sul potere e sul dominio che riguardano sia le logiche interne che esterne delle nazioni e delle relazioni con le nazioni divenute potenze mondiali [si pensi, per esempio, a quanta influenza ha l’egemonia USA nel decidere lo sviluppo e la politica delle nazioni europee e dell’Unione Europea (che è bene ricordarlo non è l’Europa delle nazioni, ma un luogo istituzionale sovranazionale nato da un progetto pensato, finanziato e guidato dagli Stati Uniti e gestito da sub-agenti dominanti)].

Gli USA devono bloccare con la forza militare la possibilità di formazione del polo Russia-Cina perché sanno che l’avverarsi di tale polo, unito alla loro incapacità di fermare il proprio declino egemonico e alla convinzione che l’unica strada percorribile sia quella della guerra (è attraverso la guerra che hanno sempre affermato l’autorità globale), non sarebbe altro che l’inizio della transizione egemonica con una diversa riorganizzazione sistemica. Henry Kissinger e Zbigniew Brzezinski, due importanti protagonisti delle strategie di dominio statunitensi, hanno sempre combattuto e temuto la formazione di un polo sia euroasiatico (Europa-Russia) sia asiatico (Russia-Cina) perché vedevano in esso una seria minaccia alla egemonia mondiale statunitense.

La guerra USA, al contrario di quello che pensava Niccolò Macchiavelli (ne Il Principe) che la intendeva come portatrice di benessere, è solo distruzione di popoli, di territori e di nazioni per contenere la Russia e distruggere sul nascere il polo di formazione asiatico intorno a Russia e Cina.

Il declino egemonico mondiale degli USA sta nella perdita della capacità di un modello sociale di benessere interno ed esterno; gli Stati Uniti basano la loro resistenza egemonica solo sulla forza militare aggressiva e distruttrice senza creazione, senza consenso e senza confronto.

La stessa storia si ripete oggi, in maniera diversa, con il recente attacco USA alla Siria, dopo sette anni di tentativi di smembramento di una nazione sovrana, con morti e sofferenze inenarrabili della popolazione, insieme agli alleati ufficiali europei (Francia e Regno Unito) interessati alla sfera economica, per contrastare l’egemonia dell’area della Russia e il consolidamento di una potenza regionale come l’Iran che minerebbe il ruolo di Israele come potenza regionale vassallo USA nella politica in Medio Oriente (senza dimenticare la questione storica, politica e territoriale della Turchia) (25 bis), area nevralgica del conflitto strategico mondiale.

La strategia USA-Nato, che ha portato all’approvazione del suddetto documento Nato sul “Concetto strategico per la difesa e la sicurezza dei membri dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico adottato dai capi di Stato e di governo a Lisbona” nel 2010, ha tracciato delle linee generali della solita bassa retorica statunitense senza mai delineare e nominare le potenze emergenti in grado di mettere in discussione la loro egemonia mantenendosi, per dirla nel linguaggio della menzogna sistematica, su concetti come il ruolo della difesa collettiva ex art. 5 del Trattato, la gestione delle crisi su scala regionale e internazionale, il ruolo della sicurezza cooperativa mediante partnership con altre organizzazioni internazionali e Stati terzi che aderiscono ai criteri di pace e sicurezza collettiva dell’Alleanza. Voglio dire che occorre un nuovo svelamento della pratica reale della Nato come braccio armato degli USA [la forma del Trattato è un vincolo che esplicita la forma di dominio statunitense (26)] per il conflitto tra potenze per l’egemonia mondiale che nulla ha a che fare né con i suoi Trattati ufficiali né con i suoi diversi concetti strategici elaborati su una realtà sempre in continua trasformazione. I concetti strategici elaborati dagli USA-Nato non sono altro che codifiche, teoriche e pratiche, di eventi che già accadono da lungo tempo, la cui narrazione è orwelliana. Dal 2010 ad oggi i fatti accaduti hanno trasformato le relazioni internazionali (fase monocentrica, fase multicentrica) e la elaborazione del nuovo concetto strategico, uscito dal vertice Nato di Madrid (giugno 2022), non è altro che una codifica ideologica dei nuovi cambiamenti geostrategici della Cina e della Russia nello scenario mondiale.

 

Il percorso della fase multicentrica è tracciato. La Nato diventa lo strumento di conflitto contro le potenze emergenti (guerra economica alle vie dell’energia russa e alle vie della Seta cinese, la militarizzazione dell’Est, del Medio Oriente e dell’Asia centrale per l’accerchiamento della Russia, la militarizzazione dell’Oceano indiano e dell’area dell’Asia-Pacifico per l’accerchiamento della Cina.).

 

La strada della fase multicentrica

 

E’ evidente che attorno ai Centri dei Paesi potenza di Cina e Russia si stanno organizzando aggregazioni di altri Paesi, con la istituzione di associazioni, trattati, organizzazione di cooperazione, accordi, eccetera, con la ricerca di una propria moneta che rifletta il progetto, la visione di un mondo multicentrico, con il coinvolgimento dei Paesi con i relativi sviluppi territoriali, che configureranno un vero polo asiatico coordinato di grandi e piccole aree (l’Oriente) in grado di mettere in discussione l’attuale Centro del Paese potenza degli USA che configurerà il polo euroatlantico coordinato anch’esso in grandi e piccole aree (l’Occidente). Qui Occidente e Oriente sono intesi non nella logica pseudoscientifica alla Samuel P. Huntington dello scontro di civiltà (Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti, 2000), ma nella logica dell’incontro, come è sempre stato nella storia, tra diverse culture, tradizioni, popoli, territori, rapporti sociali che si incontrano, si scambiano, si arricchiscono nella loro esperienza di vita. Parlo di popoli, con le loro articolazioni sociali con i loro valori di ricchezza umana, non di elitès più o meno illuminate.

Riprendendo la Trappola di Tucidide e capovolgendo la contrapposizione Sparta-Atene proposta all’interno del “the Classicizing of the America Mind” (Usa=Atene e Sparta=Urss) posso dire che gli USA sono Sparta, una potenza conservatrice incline allo status quo, all’immobilismo che non si sforza di ideare vie nuove; Cina e Russia sono Atene che sconvolge l’ordine esistente, è veloce nell’ideare vie nuove, è veloce nel realizzare ciò che ha deciso (27).

Con la configurazione del nascente polo asiatico, coordinato da Russia e Cina, gli USA-Nato avviano in maniera determinata un attacco alla Cina (via virus Sars Cov 2) e alla Russia (via Ucraina) (28).

La Nato << Alla riunione dei capi di Stato e di governo dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) tenutasi a Londra nel dicembre 2019, i leader dell’Alleanza hanno chiesto al Segretario generale della NATO Jens Stoltenberg di intraprendere un processo di riflessione lungimirante per valutare le modalità per rafforzare la dimensione politica della NATO Alleanza. A tal fine, nell’aprile 2020, il Segretario generale Stoltenberg ha nominato un gruppo di riflessione indipendente co-presieduto da Thomas de Maizière e A. Wess Mitchell e composto da John Bew, Greta Bossenmaier, Anja Dalgaard-Nielsen, Marta Dassù, Anna Fotyga, Tacan Ildem , Hubert Védrine e Herna Verhagen […] Questo documento è il rapporto finale del Gruppo di Riflessione al Segretario Generale. La prima parte riassume il rapporto, delinea la visione del Gruppo per la NATO nel 2030 e fornisce una versione sintetica dei principali risultati del Gruppo. La seconda parte valuta le principali tendenze che daranno forma all’ambiente della NATO da qui al 2030. La terza parte fornisce una discussione più dettagliata delle raccomandazioni, organizzate tematicamente secondo ciascuno dei tre obiettivi forniti al Gruppo dal Segretario Generale. L’analisi e le raccomandazioni qui offerte hanno lo scopo di informare le deliberazioni del Segretario generale in vista della riunione dei leader della NATO nel 2021, quando concluderà il processo di riflessione offrendo raccomandazioni per rafforzare la politica >> (29). Il citato Rapporto raccomanda tutta una serie di interventi e mette in evidenza per la prima volta le preoccupazioni che derivano dalla Cina e dalla Russia come << Il crescente potere e assertività della Cina è l’altro grande sviluppo geopolitico che sta cambiando il calcolo strategico dell’Alleanza. Al loro incontro a Londra nel dicembre 2019, i leader della NATO hanno affermato che la crescente influenza della Cina e le politiche internazionali presentano sia opportunità che sfide che devono essere affrontate come un’Alleanza. La Cina pone un tipo di sfida molto diverso alla NATO rispetto alla Russia; a differenza di quest’ultima non rappresenta, allo stato attuale, una minaccia militare diretta all’area euro-atlantica (corsivo mio, LL). Tuttavia, la Cina ha un’agenda strategica sempre più globale, supportata dal suo peso economico e militare. Ha dimostrato la sua volontà di usare la forza contro i suoi vicini, così come la coercizione economica e la diplomazia intimidatoria ben oltre la regione indo-pacifica. Nel prossimo decennio, la Cina probabilmente sfiderà anche la capacità della NATO di costruire la resilienza collettiva, salvaguardare le infrastrutture critiche, affrontare le tecnologie nuove ed emergenti come il 5G e proteggere i settori sensibili dell’economia, comprese le catene di approvvigionamento. A lungo termine, è sempre più probabile che la Cina proietti potenza militare a livello globale, anche potenzialmente nell’area euro-atlantica >>. In particolare sulla Russia evidenziano che << Dopo la fine della Guerra Fredda, la NATO ha tentato di costruire un partenariato significativo con la Russia, basato sul dialogo e sulla cooperazione pratica in aree di interesse comune. Ma l’aggressione della Russia contro la Georgia e l’Ucraina, seguita dai continui potenziamenti militari e dall’attività assertiva nelle regioni del Baltico e del Mar Nero, nel Mediterraneo orientale, nel Baltico e nell’estremo nord, hanno portato a un forte deterioramento delle relazioni e ha avuto un impatto negativo sulla sicurezza dell’area euro-atlantica. La Russia si impegna regolarmente in operazioni militari intimidatorie nelle immediate vicinanze della NATO e ha migliorato la sua portata e le sue capacità per minacciare lo spazio aereo e la libertà di navigazione nell’Atlantico. Ha violato una serie di importanti impegni internazionali e ha sviluppato una serie di capacità convenzionali e non convenzionali che minacciano sia la sicurezza dei singoli alleati della NATO che la stabilità e la coesione dell’Alleanza nel suo insieme. La Russia ha ampiamente dimostrato la sua capacità e volontà di usare la forza militare e continua a tentare di sfruttare le fessure tra gli alleati e all’interno delle società della NATO. Ha anche impiegato armi chimiche sul suolo alleato, costando vite civili >> e raccomandano, nell’ambiguità, una grande fermezza e determinazione nel << continuare a rispondere alle minacce e alle azioni ostili russe in un’ottica politicamente unita, modo determinato e coerente, senza un ritorno al “business as usual”, salvo alterazioni del comportamento aggressivo della Russia e il suo ritorno al pieno rispetto del diritto internazionale. L’unità della NATO sulla Russia è il simbolo più profondo della coesione politica che è alla base di un’efficace deterrenza, la dimostrazione più chiara che, quando minacciata, risponde con chiarezza e forza >>. Mentre sulla Cina mettono in risalto il ruolo delle << […] infrastrutture in tutta Europa con un potenziale impatto sulle comunicazioni e sull’interoperabilità. Un certo numero di alleati ha attribuito attacchi informatici ad attori con sede in Cina, identificato furti di proprietà intellettuale con implicazioni per la difesa e sono stati oggetto di campagne di disinformazione originarie della Cina, soprattutto nel periodo dall’inizio della pandemia di COVID-19.

La portata del potere cinese e la portata globale pongono sfide acute alle società aperte e democratiche, in particolare a causa della traiettoria di quel paese verso un maggiore autoritarismo e un’espansione delle sue ambizioni territoriali. Per la maggior parte degli alleati, la Cina è sia un concorrente economico che un importante partner commerciale. La Cina è quindi meglio intesa come un rivale sistemico a tutto spettro, piuttosto che un attore puramente economico o un attore di sicurezza incentrato esclusivamente sull’Asia. Sebbene la Cina non rappresenti una minaccia militare immediata per l’area euro-atlantica sulla scala della Russia (corsivo mio, LL), sta espandendo la sua portata militare nell’Atlantico, nel Mediterraneo e nell’Artico, approfondendo i legami di difesa con la Russia (corsivo mio, LL) e sviluppando missili e aerei a lungo raggio, portaerei e sottomarini da attacco nucleare con portata globale, ampie capacità spaziali e un arsenale nucleare più ampio. Gli alleati della NATO sentono sempre di più l’influenza della Cina in ogni campo. La sua Belt and Road, Polar Silk Road e Cyber Silk Road si sono estese rapidamente e sta acquisendo infrastrutture in tutta Europa con un potenziale impatto sulle comunicazioni e sull’interoperabilità. Un certo numero di alleati ha attribuito attacchi informatici ad attori con sede in Cina, identificato furti di proprietà intellettuale con implicazioni per la difesa e sono stati oggetto di campagne di disinformazione originarie della Cina, soprattutto nel periodo dall’inizio della pandemia di COVID-19. Le politiche dichiarate dalla Cina includono l’ambizione di diventare un leader mondiale nell’intelligenza artificiale entro il 2030 ed entro il 2049 di essere la principale superpotenza tecnologica globale del mondo >> e suggeriscono che << La NATO dovrebbe rafforzare la sua capacità di coordinare la strategia e salvaguardare la sicurezza degli Alleati nei confronti della Cina. C’è un bisogno fondamentale di aumentare il coordinamento politico degli alleati presso la NATO (corsivo mio, LL) su questioni in cui l’approccio della Cina è contrario ai loro interessi di sicurezza. L’Alleanza dovrebbe continuare i suoi sforzi in corso per infondere la sfida alla Cina nelle strutture e nei comitati esistenti, compresi quelli cyber, ibrido, EDT, spazio, controllo degli armamenti e non proliferazione. L’Alleanza dovrebbe prendere in considerazione l’istituzione di un organo consultivo, a sostegno degli sforzi esistenti, per riunire gli alleati della NATO e altre istituzioni e partner se del caso, per scambiare informazioni, condividere esperienze e discutere tutti gli aspetti degli interessi di sicurezza degli alleati nei confronti della Cina. Se gli alleati sono minacciati dalla Cina, la NATO deve essere in grado di dimostrare la sua capacità di essere un attore efficace per fornire protezione >> (30). Infine mi interessa sottolineare nel suddetto Rapporto, tra le tante questioni che oscillano dalle tecnologie emergenti e dirompenti alle strutture politica, personale e risorse, la questione delle partnership (con le relative raccomandazioni) che riguardano le aree geografiche che da tempo sono oggetto di costruzioni di organizzazioni sul modello Nato. Esse, coordinate dal Pentagono (le forze armate nelle fasi multicentriche assumono un peso particolare all’interno degli agenti strategici egemonici) (31), riguardano le aree strategiche (Nord-Est Europa, Medio Oriente, Sud, Indo-Pacifico e Asiatica) di accerchiamento e di contrasto all’allargamento delle zone di influenza del nascente polo asiatico avendo come coordinamento la Cina e la Russia (32). Sono le organizzazioni modello Nato che gli USA stanno costruendo contro il polo asiatico. D’altronde il servo Jens Stoltenberg (per dirla con Giorgio Gaber, una faccia compiaciuta, vanitosa, che si auto incensa come una vecchia baldracca) non ha dichiarato che il nuovo concetto strategico della NATO è il progetto per l’Alleanza in un mondo più pericoloso e competitivo? Egli dimentica (per un processo di falsa coscienza necessaria) che gli USA e il loro strumento NATO sono i pericoli dell’uso nefasto del dominio per l’intera umanità e per questo vanno fermati.

Gli enunciati del nuovo concetto strategico, approvato al summit di Madrid del 28-30 giugno scorso, ricalcano quanto espresso nel surriportato Rapporto Nato 2030 del dicembre 2021 dove vengono delineate le strategie USA-NATO sia per l’egemonia monocentrica del mondo sia per contrastare il nascente polo asiatico ad egemonia cinese e russa.

Gli USA-NATO adoperano, per bloccare la temuta alleanza tra la Cina e la Russia, una strategia tesa a indebolire la Russia vista come una minaccia militare diretta all’area euro-atlantica; nei confronti della Cina hanno una tattica di breve-medio periodo di apertura guardinga e una strategia di medio-lungo periodo di conflitto perché la ritengono il motore del nascente polo asiatico. Una sorta di rozza applicazione del divide et impera che nulla ha a che fare con la raffinatezza spregiudicata di un Henry Kissinger nel periodo delle relazioni USA-Cina alla fine degli anni Sessanta e inizio degli anni Settanta del Novecento.

 

La strada della fase multicentrica entra nel vivo della costruzione.

La Nato è ricalibrata come strumento del conflitto contro il nascente polo asiatico. Il suo modello viene riproposto sia nel Mediterraneo (il Dialogo mediterraneo, DM), sia nel Medio Oriente (con gli accordi di Abramo), sia nel Pacifico (patto Aukus, l’alleanza Quad), sia in Africa (DM, Operazione “Active Endeavor”, Standing Maritime Group One), sia in America latina, sia nel circolo polare Artico dove gli USA, oltre la questione delle risorse naturali, temono, soprattutto, le nuove vie dell’Artico verso l’Atlantico che possono far saltare le loro strategie (prioritariamente militari e logistiche) nel Pacifico innervando sempre di più il coordinamento tra la Russia e la Cina.

 

Con lo scontro tra potenze per il dominio mondiale (monocentrico, multicentrico, policentrico), dove per la prima volta nella storia l’Europa sarà solo un campo di battaglia, si pone una prima domanda nel momento in cui bisogna andare oltre la trasformazione dentro il capitale (inteso come rapporto sociale) che le diverse fasi della storia mondiale impongono nelle loro peculiari configurazioni di potenze (la Cina non è la Russia e la Russia non sono gli Stati Uniti d’America). Cioè pensare una rivoluzione fuori il capitale. E qui si pone una seconda domanda: chi deve farla? Quali soggetti? Quali forze nuove?

Dico, per incapacità di sognare una blochiana speranza, che occorrono nuovi agenti strategici in un mondo in forte movimento per il trapasso di epoca così come sosteneva Niccolò Macchiavelli, nella Mandragola la più bella commedia italiana scritta tra il 1513 e i primi mesi del 1514, :<< […] L’espressività di Nicia, il suo sputare motti popolari a raffica diventano emblematici di un attaccamento ottuso a una fiorentinità senza prospettive, in un’epoca in cui […] la crisi politica e morale che stringe Firenze e l’Italia richiederebbe uomini nuovi, lungimiranti, tutt’altro che intenti a tenere lo sguardo fisso all’ombra del proprio campanile >> (33).

 

Le citazioni riportate in epigrafe sono tratte da:

 

  • Robert D. Kaplan, How We Would Fight China, “The Atlantic Monthly”, giugno 2005, pag. 64, citato in Giovanni Arrighi, Adam Smith a Pechino. Genealogie del ventunesimo secolo, Feltrinelli, Milano, 2008, pag.320.
  • Samir Amin, Fermare la Nato. Guerra nei Balcani e globalizzazione, Edizioni Punto Rosso, Milano, 1999, pag.34.
  • Perry Andersen, Consilium, “The New Left Review”, n.83, pag. 160 citato in Marco D’Eramo, L’eterno ritorno del declino americano, “MicroMega”, n.1/2022, pag. 6.

 

 

NOTE

 

1.Sull’uso della timeline nelle pratiche del discorso si rimanda a Daniela Brogi, Lo spazio delle donne, Einaudi, Torino, 2022, pp. 56-68.

2.Gianfranco La Grassa, Dal marxismo al conflitto strategico. Note per una revisione teorica, Undici Edizioni, Crescentino (VC), 2022.

3.Manlio Dinucci, La guerra. E’ in gioco la nostra vita, Byoblu Edizioni, Milano, 2022, pp. 7-53.

4.Cesare Luporini, Leopardi progressivo, Editori Riuniti, Roma, 1993, pp.107-123; si veda Gunthers Anders, L’uomo è antiquato. Considerazioni sull’anima nell’epoca della seconda rivoluzione industriale, Bollati Boringhieri, Torino, 2003.

  1. 5. Sul significato dei valori territoriali si rimanda a David Harvey, Marx e la follia del capitale, Feltrinelli, Milano, 2018, pp.131-172.

6.Luigi Longo, Il progetto dell’Unione Europea è finito, la Nato è lo strumento degli USA nel conflitto strategico della fase multicentrica, www.italiaeilmondo.com, 26/11/2018.

7.Samir Amin, Il sistema mondiale del secondo novecento. Un itinerario intellettuale, Edizioni Punto Rosso, Milano, 1997, pp. 27-54; Pasquale Paone, Comunità internazionale in Lelio Basso, a cura di, Scienze politiche 2 (relazioni internazionali), Enciclopedia Feltrinelli Fischer, Milano, 1973, pp. 88-101; Franco Soglian, Guerra fredda e distensione in Lelio Basso, a cura di, Scienze…, op.cit., pp. 242-254; Scipione Guarracino, Storia degli ultimi sessant’anni. Dalla guerra mondiale al conflitto globale, B. Mondadori, Milano, 2004, pp.16-45.

8.Nato, Una Nato trasformata, www.nato.int/nato_static/assets/pdf/pdf/_publications/20120116_nato-trans-it.pdf, 2004, pp.3 e 14.

  1. 9. Mahdi Darius Nazemroaya, La globalizzazione della Nato. Guerre imperialiste e colonizzazioni armate, Arianna Editrice, Bologna, 2014, pag.19.
  2. 10. Arnaud Leclercq, La Russie puissance d’Eurasie. Histoire geopolitique des origines à Poutine, Ellipses Editions, Paris, 2012, pag. 174, citato in Guy Mettan, Mille anni di diffidenza, Sandro Teti Editore, Roma, 2016, pag. 280.
  3. 11. Nato, Una Nato trasformata, op.cit., pag.12

12.Gyorgy Lukacs, La distruzione della ragione, Einaudi editore, Torino, 1959, pp.772-773.

13.Luigi Longo, L’Europa tra le vie della Nato, le vie della seta e le vie dell’energia, prima parte, www.italiaeilmondo.com, 19/11/2019; si legga Guy Mettan, Russofobia, op.cit., pp. 272-312.

14.La trasformazione e l’allargamento delle competenze della Nato hanno trovato la formalità (in parte) nel summit di Madrid di fine Giugno 2022. Esso è stato preceduto dal documento “Nato 2030.Uniti per una nuova era” che indica le raccomandazioni in tre aree di intervento: 1) Rafforzare l’unità, la solidarietà e la coesione alleate, anche per cementare la centralità del legame transatlantico; 2) Aumentare la consultazione politica e il coordinamento tra gli Alleati nella NATO; 3) Rafforzare il ruolo politico della NATO e gli strumenti pertinenti per affrontare le minacce attuali e future e sfide alla sicurezza dell’Alleanza provenienti da tutte le direzioni strategiche. E’ importante sottolineare le raccomandazioni per rafforzare la partnership nel Nord e nell’Est, la partnership al Sud, la partnership indo-pacifiche e asiatiche nella logica del contenimento del blocco asiatico coordinato da Cina e Russia, la lotta al terrorismo internazionale e ai cyber attacks, i nuovi strumenti per il coordinamento politico e per la maggiore decisionalità, incisività e accorciamento della filiera di comando, la capacità di gestione della pandemie e dei cambiamenti climatici, lo sviluppo delle nuove tecnologie Emerging and Disruptive Tecnologies (EDT), vale a dire l’insieme di tecnologie e conoscenze legate all’intelligenza artificiale e al cyberspace), un maggior coordinamento tra la Nato e l’UE, la difesa comune della UE all’interno delle strategie Nato, cfr,https://www.nato.int/nato_static_fl2014/assets/pdf/2020/12/pdf/201201,-Reflection-Group-Final-Report-Uni.pdf

15.Nato, Una Nato trasformata, op. cit., pag. 12.

16.Manlio Dinucci, op. cit., pp. 65-68.

17.Il documento sulla strategia 2010 è reperibile sul sito https://www.nato.int/cps/en/natohq/official_texts_68580.htm alla voce Pubblicazioni della Nato. Per una sintesi dei documenti strategici della Nato dal 1949 al 2022 si rimanda al sito della Nato (www.nato.int/cps/en/natohq/topics_56626.html).

18.Si rimanda alle seguenti letture; Manlio Dinucci, op. cit., Mahdi Darius Nazemroaya, op.cit., AaVv, Escalation. Anatomia della guerra infinita, Derive Approdi, Roma, 2005, Gianfranco La Grassa, Considerazioni del dopoguerra. Insegnamenti dell’aggressione USA (e NATO) alla Jugoslavia, Editrice C.R.T., Pistoia, 1999, Costanzo Preve, Il bombardamento etico. Saggio sull’interventismo Umanitario, sull’Embargo Terapeutico e sulla Menzogna Evidente, Editrice C.R.T., Pistoia, 2000; Guy Mettan, op. cit., Samir Amin, op. cit., Diana Johnstone, Hillary Clinton. Regina del caos, Zambon editore, Francoforte sul Meno, 2016.

19.Manlio Dinucci, op. cit., pag. 75; Mahdi Darius Nazemroaya sostiene che << L’impegno militare della Nato al di fuori del proprio territorio di competenza non è partito con la Jugoslavia, dove divenne solamente di pubblico dominio. In pochi sono pienamente a conoscenza del fatto che l’Alleanza atlantica era stata ufficiosamente coinvolta nella Guerra del golfo nel 1991 e che la guerra in Iraq fosse un’operazione Nato né più né meno di quella contro la Jugoslavia. Mentre nel corso degli anni Novanta in Italia e nel resto d’Europa si diffondevano le notizie sugli apparati staybehind, dall’altra parte dell’Atlantico il presidente George H.W. Bush senior manteneva un silenzio inquietante su quanto veniva allo scoperto su questi gruppi, inquadrati dalla NATO e diretti dagli USA >> in Mahdi Darius Nazemroaya, op. cit., pag.98.

20.Sergio Romano, Atlante delle crisi mondiali. Dalla guerra fredda ai conflitti moderni: conoscere il passato per capire il presente, BUR Rizzoli, Milano, 2019, pp. 258-259.

21.Su questo rimando ai lavori di Raimondo Luraghi che è stato uno dei massimi esperti della storia statunitense. Indico, uno su tutti, Raimondo Luraghi, Storia della guerra civile americana, BUR Rizzoli, Milano, 2009.

22.Citato in Guy Mettan, op. cit., pp.291-293.

23.Gianfranco La Grassa, Gianni Petrosillo, Per una forza nuova, Edizioni Solfanelli, Chieti, 2021, pag. 118, si legga l’intero capitolo IV, pp. 117-149.

24.Diana Johnstone, op. cit., pag 247.

25.Luigi Longo, Le ragioni della disintegrazione della Libia da parte degli USA e Che ci fa l’Isis in Libia? Perché non lo chiediamo agli USA, www.italiaeilmondo.com, 22/3/2021; Luigi Longo, La Siria punto di svolta della fase multicentrica, www.italiaeilmondo.com, 15/4/2018.

25.bis La Turchia sta ri-costruendo, con la sua peculiare configurazione territoriale e geografica tra Occidente e Oriente, un ruolo da protagonista nell’area Mediterranea, nel Medio Oriente, nelle rinnovate relazioni con gli Stati Uniti, nella NATO (si veda l’infame accordo sottoscritto tra Turchia-Svezia-Finlandia). Cfr Andrew Korybko, L’espansione della Nato nel Nord è davvero una grande sconfitta per la Russia?, (a fine scritto è riportato il Trilaterale tra Turchia-Svezia-Finlandia), www.italiaeilmondo.com, 3/7/2022; Luigi Tedeschi, Finlandia e Svezia nella Nato: l’atlantismo armato e la russofobia ideologica avanzano, www.ariannaeditrice.it, 16/4/2022; Andrea Virga, Il nono (9°) tradimento dei Curdi da parte delle potenze occidentali, www.ariannaeditrice.it, 2/7/2022.

  1. 26. Sul concetto di vincolo che esplicita la forma di dominio e non un libero rapporto nel Trattato NATO rimando a Petr I. Stucka, La funzione rivoluzionaria del diritto e dello stato, Einaudi, Torino, 1967, capitolo VIII, pp.128-137. Petr I. Stucka è stato uno dei protagonisti della rivoluzione d’Ottobre del 1917 nonché uno degli esponenti più autorevoli della scienza giuridica sovietica.
  2. 27. Eva Cantarella, Sparta e Atene. Autoritarismo e democrazia, Einaudi, Torino, 2021, pp. 165-184; Graham Allison, Destinati alla guerra. Possono l’America e la Cina sfuggire alla trappola di Tucidide?, Fazi editore, Roma, 2018, pag. 90 e 74; Sull’ascesa della potenza di Atene si rimanda a Tucidide, La guerra del Peloponneso, Mondadori, Milano, 1976, volume primo, Libro I, pp.3-97.

28.Luigi Longo, L’Europa tra le vie della Nato, le vie della seta, le vie dell’energia, seconda parte, www.italiaeilmondo.com, 17/3/2022.

29.Nato, “Nato 2030.Uniti per una nuova era”, op.cit., pag 3.

  1. Nato, “Nato 2030.Uniti per una nuova era”, op.cit., pp. 17-25-27-58-59-60.

31.Manlio Dinucci, L’Occidente serra i ranghi per la battaglia, www.voltairenet.org, 4/7/2022.

32.Redazione Ansa, G7, Biden il piano contro la Via della Seta cinese:

“Investiremo 600 mld in infrastrutture del 26/6/2022.

33.Niccolò Macchiavelli, Mandragola, Oscar Mondadori, Milano, 2006, pag.25.

 

 

Ucraina, il conflitto 10a puntata_con Stefano Orsi e Max Bonelli

Nel caso il video non sia accessibile oppure ostacolato nella visione su You Tube, gli ascoltatori possono accedere al canale di Italia e il mondo su rumble.com , precisamente al seguente indirizzo: https://rumble.com/v1e3hsr-stefano-orsi-e-max-bonelli-ucraina-il-conflitto-10a-p.html, come in calce allo scritto.

Siamo alla decima puntata. A Max Bonelli si è aggiunto Stefano Orsi a completare il quadro e gli spunti analitici di un conflitto della cui narrazione non si riesce a intravedere quale sarà l’ultima puntata. E’ una guerra di logoramento, apparentemente statica; è una delle parti però a manifestare crescenti segni di usura. Lo stesso regime inizia a conoscere momenti di convulsione sino a sacrificare pezzi importanti dei centri decisori. L’evidenza conferma che non è Zelensky a dettare le mosse e i suoi tempi. Il regime, del resto sta esaurendo completamente le proprie risorse e dipende totalmente dal sostegno esterno e da disegni estranei agli interessi del paese. Continuerà la recita almeno sino all’arrivo del generale inverno. Nel frattempo si vedrà sino a quando e sino a quanto i suoi mentori, specie quelli europei, saranno in grado di sostenere lo sforzo e le pesantissime implicazioni del loro impegno. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/v1e3hsr-stefano-orsi-e-max-bonelli-ucraina-il-conflitto-10a-p.html

LO STATO DELLE COSE DELLA GEOPOLITICA, di Massimo Morigi _ 5a di 11 parti

AVVERTENZA

La seguente è la quinta di undici parti di un saggio di Massimo Morigi. Nella prima parte è pubblicata in calce l’introduzione e nel file allegato il testo di Morigi, nella sua terza parte è disponibile a partire da pagina 130. L’introduzione è identica per ognuna delle undici parti e verrà ripetuta solo nelle prime righe a partire dalla seconda parte.

PRESENTAZIONE DI QUARANTA, TRENTA, VENT’ANNI DOPO A LE
RELAZIONI FRA L’ITALIA E IL PORTOGALLO DURANTE IL PERIODO
FASCISTA: NASCITA ESTETICO-EMOTIVA DEL PARADIGMA
OLISTICO-DIALETTICO-ESPRESSIVO-STRATEGICO-CONFLITTUALE DEL
REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO ORIGINANDO DALL’ ETEROTOPIA
POETICA, CULTURALE E POLITICA DEL PORTOGALLO*

*Le relazioni fra l’Italia e il Portogallo durante il periodo fascista ora presentate sono
pubblicate dall’ “Italia e il Mondo” in undici puntate. La puntata che ora viene
pubblicata è la prima e segue immediatamente questa presentazione, e questa prima
puntata (come tutte le altre che seguiranno) è preceduta dall’introduzione alla stessa di
Giuseppe Germinario. Pubblicando l’introduzione originale delle Relazioni fra l’Italia
e il Portogallo durante il periodo fascista come prima puntata e che, come da indice,
non è numerata, la numerazione delle puntate alla fine di questa presentazione non
segue la numerazione ordinale originale in indice delle parti del saggio, che è stata
quindi mantenuta immutata, quando questa presente.

QUINTA PUNTATA STATO DELLE COSE

Bene comune e diritti umani liberali_a cura di Roberto Buffagni

 

E’ di grande interesse e attualità questo articolo della “Beijng Review” del 27 luglio, che riporta stralci di un colloquio tra gli accademici Adrian Vermeule e John Pang[1].

Adrian Vermeule è uno dei protagonisti dell’odierna corrente di pensiero cattolica conservatrice statunitense, critica del liberalismo, dei suoi presupposti filosofici, giuridici e politici; una corrente di pensiero che nelle sue analisi si rifà alla tradizione classica europea, greco-romana e cristiana (un altro nome tra tutti, Patrick J. Deneen[2] con il suo fortunato e recente Why Liberalism Failed[3] ).

Qui Vermeule e Pang toccano uno dei temi politico-giuridici più importanti della critica al liberalismo, la concezione classica del bene comune raffrontata con la concezione individualistico-liberale dei “diritti umani”; e delineano le corrispondenze tra la concezione del bene comune propria alla cultura classica europea, e l’analoga concezione cinese di xiaokang (società di moderata prosperità), antica di millenni, e che sta tuttora al centro della cultura politica cinese.

Alla luce della concezione classica di bene comune, viene criticato il concetto di democrazia come sinonimo di liberalismo, l’identificazione tra buon governo e specifiche forme istituzionali, e in sintesi l’universalismo astratto e intrinsecamente imperialistico del pensiero dominante in Occidente.

La critica cattolico conservatrice che elabora questa vivace e fruttuosa corrente di pensiero americana si ricollega alle riflessioni di Rémi Brague[4] e alla pastorale di papa Ratzinger, incentrata sul tentativo di ricostruire il dialogo tra la Chiesa e la società contemporanea sulla base dei preambula fidei[5], le premesse razionali della fede, in una rilettura anche politica della filosofia classica, soprattutto aristotelica.

Difficile sopravvalutare l’importanza e l’attualità di questa corrente critica. Che cosa sono le” democrazie”? Che cosa sono gli “autoritarismi”? Che cosa significa “lotta delle democrazie contro gli autoritarismi”, l’odierna giustificazione occidentale del conflitto tra Stati Uniti, Russia e Cina? Che cosa significa “buon governo”? L’unico buon governo è il governo democratico-liberale, o anche altre forme istituzionali possono governare bene?

Nel dialogo che qui traduciamo, di questo si parla. Se ne parlerà sempre di più negli anni a venire. Buona lettura. Roberto Buffagni

 

Il diritto costituzionale americano ha perso di vista la concezione classica secondo cui la legge è maestra di virtù, e deve essere ordinata a beneficio dell’intera comunità“. —Adrian Vermeule, Ralph S. Tyler Jr. Professor di diritto costituzionale presso la Harvard Law School[6]

 

Tra le concezioni classiche del bene comune di Oriente e Occidente la differenza è piccola, ma le interpretazioni moderne del concetto si stanno allontanando.

Preferiresti essere povero in una nazione ricca o ricco in una nazione povera? Questa domanda ha ispirato un dibattito senza fine dal I secolo d.C., quando lo storico e moralista romano Valerio Massimo disse per la prima volta degli antichi romani che “preferirebbero essere poveri in un impero ricco che ricchi in un impero povero“. Oggi, il sentimento della popolazione negli Stati Uniti è diverso da quello degli antichi romani, secondo il professore della Harvard Law School, Adrian Vermeule, che afferma che l’attuale posizione americana su questo punto è “apparentemente intelligente” ma finisce per “sconfiggersi da sé“.

Via via che un sistema politico diventa sempre più disordinato, sempre più lontano da una prospera comunità che promuove pace, giustizia e abbondanza, le esigenze del bene comune e della stessa legge naturale diventano più visibili, più incalzanti e meno discutibili. Questo è un paradosso suggerito da Vermeule in una recente conferenza tenuta in occasione del lancio del suo nuovo libro Common Good Constitutionalism[7]. “Il diritto costituzionale americano ha perso di vista la sua eredità giuridica classica“, afferma Vermeule.

Il bene comune, come lo definisce la tradizione giuridica occidentale classica, corrisponde al concetto cinese di xiaokang, una società di moderata prosperità. “La centralità del bene comune nelle nozioni cinesi di buon governo è trasmessa dalla sua cultura politica“, ha affermato John Pang, Senior Fellow, Bard College, New York[8]. Si ritiene che la frase sia stata usata per la prima volta per descrivere una vita prospera nel Libro dei Cantici[9], la prima antologia di poesie della Cina, risalente a più di 2000 anni fa.

 

Per esplorare questa intersezione di concetti che hanno influenzato i sistemi giuridici sia dell’Oriente che dell’Occidente, il senior editor della “Beijing Review”[10] Li Fangfang ha videointervistato il professor Vermeule e il dottor Pang. Ecco alcuni estratti dal colloquio:

 

Beijing Review: Una diversa comprensione di determinati termini, ad esempio “diritti umani”, ha provocato molte conseguenze politiche ed economiche tra i paesi. Credete che esista una definizione universale del bene comune per la comunità internazionale, che tenga conto delle preoccupazioni dell’Occidente, dell’Est, del Nord e del Sud?

 

Adrian Vermeule: Sì e no. L’ordinamento classico del diritto occidentale postula che, in linea di principio, il fine proprio al governo temporale è lo stesso in tutte le società: promuovere la prosperità della comunità politica in quanto tale, uno stato di pace, giustizia e abbondanza, e promuovere le precondizioni materiali e sociali di questa prosperità. La prosperità della comunità politica è anche il più elevato bene temporale degli individui che la compongono, nel senso che non è possibile godere pienamente dei beni privati ​​della vita familiare e individuale in una comunità politica impoverita, decadente e violenta, come stiamo sempre più scoprendo negli Stati Uniti.

Tuttavia, il pensiero classico sostiene anche che questo obiettivo generale del governo deve essere attuato in modo diverso nelle diverse comunità politiche, a seconda delle loro circostanze particolari, delle tradizioni, cultura e istituzioni di governo della società in questione. Ciò che importa è che il giudizio prudenziale delle autorità pubbliche sia rivolto al bene comune come sopra definito, piuttosto che al beneficio privato o egoistico. Il governo diretto al beneficio privato, il governo corrotto, è la definizione classica di tirannia; si noti che ciò differisce dalle moderne definizioni di tirannia, incentrate sulla violazione dei diritti liberali, basati sull’autonomia individuale. In contrasto con la democrazia liberale, che mira a imporre un modello istituzionale molto specifico a ogni società in tutto il mondo, rifacendo ogni società a propria immagine, la tradizione classica sostiene che non esiste un tipo di per sé migliore di specifiche forme istituzionali. Ciò che importa sono i fini o gli scopi a cui è dedicato il governo, fatti salvi i vincoli del diritto civile e consuetudinario specifici del sistema politico, del diritto delle genti, della giustizia naturale e del dovere di praticare la virtù pubblica, propria dei governanti. Di nuovo, parlo qui della visione classica, che rispetta le differenze culturali, a differenza della visione liberal-democratica, che è istituzionalmente imperialista.

 

 

John Pang: La centralità del bene comune nelle nozioni cinesi di buon governo è trasmessa dalla sua cultura politica. Oggi il governo ha descritto come il suo principale progetto il raggiungimento dello xiaokang per il popolo cinese. Questa è una frase che si rifà al Libro dei Cantici.

 

Il popolo invero porta un pesante giogo

Ma forse un po’ di conforto (xiaokang) gli potrebbe esser concesso.

Abbiamo a cuore questo centro del regno,

Per assicurare la quiete ai quattro quarti di esso.

Nessuna indulgenza per gli scaltri e gli adulatori

Per ammonire così gli irresponsabili

E per reprimere briganti e oppressori,

Che non temono la luminosa volontà [del Cielo].

E dunque mostriamoci benevoli ai lontani, e prestiamo aiuto ai vicini; —

Instaurando così [il trono del] nostro re.

—Min Lao, poesia tradotta dal sinologo scozzese James Legge[11]

 

Nella sua conferenza lei ha usato la citazione “Nessun uomo è un’isola“. Essa coincide con l’osservazione del presidente cinese Xi Jinping al vertice di Pechino del Forum sulla cooperazione Cina-Africa 2018, secondo il quale “Nessuno che si isoli su una singola isola avrà un futuro condiviso“. Il vantaggio di dare la priorità all’intera comunità quando si affrontano i problemi è un concetto ampiamente compreso in Cina. Secondo lei, cosa dovrebbero fare le persone per bilanciare il beneficio individuale e quello collettivo, quando devono decidere tra di essi? E quale ruolo ha il sistema giuridico, nel facilitare questo equilibrio?

 

Adrian Vermeule: La citazione completa è di John Donne[12], un poeta inglese dell’inizio del 17° secolo, e dice: ” Nessun uomo è un’isola, completo in sé stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto“. Quali che fossero le intenzioni originali di Donne, se leggiamo il suo aforisma come un commento sociale, mi colpisce il parallelismo con la citazione del presidente Xi. Per dirla in altro modo, Robinson Crusoe, abbandonato da solo su un’isola, è in un certo senso perfettamente libero, ma in un senso più profondo non è libero, perché non può godere dei benefici di una civiltà comune.

Dagli anni ’60, la malattia dell’individualismo aggressivo ha invaso la vita intellettuale, la cultura e la politica americane. Nella visione classica, invece, il bene comune della comunità è il più elevato bene temporale anche per gli individui. In questa concezione, se posso disquisire un po’, non si tratta di bilanciare beni individuali e collettivi, o di far calpestare i beni individuali dalle volontà della maggioranza. Piuttosto, nel contesto classico gli stessi diritti degli individui sono sempre, fin dall’inizio, ordinati al bene comune, e la loro portata e il loro peso sono definiti di conseguenza. La tradizione classica quindi riconosce eccome i diritti, ma li giustifica in un modo molto diverso da quello dell’individualismo liberale. Classicamente, i diritti non sono giustificati sul terreno liberale dell’autonomia individuale, ma nella misura in cui il riconoscimento di tali diritti avvantaggia la comunità.

John Pang Per quale ragione molti americani preferirebbero essere ricchi in una nazione povera piuttosto che essere poveri in una nazione ricca, un’idea che a suo parere “si sconfigge da sé”? Che ruolo giocano la legge e la moralità in una società del genere?

Adrian Vermeule: È difficile districare tutte le influenze, materiali e culturali, che hanno prodotto questo stato di cose. Basti rilevare che tra tutti, spiccano due dinamiche. Una è che le élites americane sono sempre più distaccate dalle opinioni e dagli interessi delle persone che governano – distaccate economicamente, culturalmente, persino geograficamente. Vedono il popolo non come concittadini del cui benessere sono responsabili, ma come masse aliene che rappresentano una minaccia per la “democrazia”, ​​la parola con cui le élites intendono il liberalismo. Un’altra dinamica nel campo del diritto, e per certi versi tema del mio Common Good Constitutionalism, è che il diritto costituzionale americano ha perso di vista la concezione classica secondo cui la legge è maestra di virtù, e deve essere ordinata a beneficio dell’intera comunità. Invece, la nostra legge è sempre più una carta dei diritti individuali basati sull’autonomia liberale – una visione che serve gli interessi delle élites benestanti molto meglio di quanto non serva il benessere del popolo nel suo insieme, che generalmente soffre di più per il divorzio facile, il dissolversi delle strutture familiari e il dominio delle grandi corporations sull’economia.

Le élites liberali americane si immaginano per così dire di fluttuare al di sopra della società. Eppure, penso che sia diventato chiaro anche a loro che alla fine dei conti si trovano in uno spazio concreto, in una comunità politica geografica, e che nel bene o nel male, non possono separarsi completamente da quella comunità, anche se vivono in compound recintati e in genere tentano di isolarsi dalla società sempre più decadente, conflittuale e disordinata che li circonda. Piaccia o no, in una società comune tutti finiscono per condividere un comune destino.

John Pang Negli anni ’30 Lin Yutang, un famoso scrittore cinese, paragonò il senso giuridico occidentale con quello cinese con il criterio della sua osservanza. ‘Una costituzione presuppone che i nostri governanti possano essere criminali che abuseranno del loro potere e violeranno i nostri diritti, caso in cui useremmo contro di loro la costituzione come un’arma per difenderci’, ha scritto. Proseguendo il confronto, ha detto che la concezione cinese del governo è quella di un governo di genitori o di un governo di gentiluomini, che dovrebbero prendersi cura degli interessi del popolo come genitori nelle cui mani il popolo ripone piena fiducia. Potrebbe condividere con noi le sue intuizioni sulle principali differenze tra il sistema politico statunitense e quello cinese? In quali aspetti pensa che i due paesi possano imparare l’uno dall’altro?

Adrian Vermeule: Uno dei punti principali del libro è che gli studiosi di diritto americani, dalla seconda guerra mondiale, hanno costruito una “tradizione inventata” che ha falsificato e riscritto la storia e i principi dell’ordine costituzionale americano. Abbandonando la classica focalizzazione sul bene comune come fine appropriato del governo, i teorici legali americani, sia di sinistra che di destra, hanno adottato un approccio che è sia più positivista (o, più precisamente, finge di essere più positivista) e più individualista rispetto alla tradizione classica. In questo approccio, il diritto costituzionale è visto principalmente come un modo per garantire i diritti individuali, giustificati dal riferimento all’autonomia liberale, contro uno Stato minaccioso. Il costituzionalismo è, come nella diagnosi di Lin Yutang, principalmente un’arma di autodifesa per una popolazione sospettosa dei suoi governanti.

Ma faccio notare che questa non è la concezione classica del costituzionalismo, e sta diventando chiaro che questa concezione ha prodotto almeno tanti mali di quanti ne ha evitati. Quindi, non sottoscriverei alcuna posizione per la quale l’unica versione del costituzionalismo sarebbe la versione liberale. Le dinastie cinesi classiche avevano certamente costituzioni con la “c” minuscola, nel senso di principi normativi fondamentali del diritto politico che guidavano la concezione di quali dovrebbero essere i fini propri alle autorità pubbliche, anche se non avevano costituzioni scritte, o costituzioni fondate sui diritti liberali. Avevano anche lo stato di diritto, come attestano (ad esempio) gli elaborati codici legali e i sistemi giudiziari della dinastia Qing; ci sono molti esempi di giudici cinesi che hanno deciso che le autorità di livello inferiore avevano emesso ordini amministrativi o decretato pene erronee o troppo severe. Più in generale, come sosteneva un famoso libro di Charles Howard McIlwain[13], bisogna distinguere tra costituzionalismo antico e moderno. Non tutte le costituzioni sono moderne costituzioni scritte e non tutte le costituzioni scritte sono costituzioni liberali. In effetti, come sostengo, credo che nemmeno la costituzione scritta americana sia meglio intesa se la si pensa come costituzione liberale, ossia come è stata interpretata dalla seconda guerra mondiale in poi.

 

John Pang: Come caratterizzare quindi la base filosofica soggiacente al sistema giuridico cinese? Dove si trova la continuità tra il suo passato e il suo presente, tra Oriente e Occidente? Suggerirei che la si ritrova nella persistenza delle nozioni fondamentali di ordine e armonia, viste non solo nelle sue tradizioni legali e filosofie politiche, ma in una durevole teologia politica che sta alla base delle scuole contrastanti di pensiero politico, siano esse taoiste, buddiste, confuciane o legiste [14]  .

La continuità della pratica giuridica cinese, data la sua turbolenta storia recente, va ricercata nella continuità della sua cultura politica, piuttosto che nella continuità istituzionale formale. L’orientamento di questa cultura verso il bene comune non è trasparente per la prospettiva liberale moderna, ma è anche quello della tradizione classica dell’Occidente, e quello di ogni cultura storica che abbia mai abitato la terra.

Possiamo fare molto meglio che tentar di tradurre le concezioni cinesi di ordine cosmico, naturale e umano in termini occidentali contemporanei, vale a dire liberali, che sono versioni impoverite di concetti un tempo ricchi, e corrodono la comunità politica e sociale. Se anche in Occidente il “diritto” non significa più quel che significava un tempo, facili paragoni che inevitabilmente finiscono per giudicare la prassi cinese in questi termini, mentre il Paese si sta riprendendo da un secolo di violento incontro con il modernismo e il liberalismo giuridico, sono doppiamente depauperanti. Non è una ritirata nel relativismo culturale, o un tentativo di instaurare un contro-eccezionalismo cinese [speculare all’eccezionalismo americano NdT]. La necessità di costruire ponti per il dialogo non è mai stata così urgente. La solida sponda dall’altra parte del fiume è la tradizione occidentale classica, articolata brillantemente per il nostro tempo dal professor Vermeule in Common Good Constitutionalism.

[1] https://www.bjreview.com/Opinion/Governance/202207/t20220715_800300955.html?fbclid=IwAR2ZvHuKfMCu8uvuloQgIBjd3hmv2GLEMohBaxivIoA-fs4H5zFd70n8r-w

 

[2] https://en.wikipedia.org/wiki/Patrick_Deneen_(author)

[3] https://en.wikipedia.org/wiki/Why_Liberalism_Failed

[4] https://it.wikipedia.org/wiki/R%C3%A9mi_Brague

[5] https://cristianesimocattolico.wordpress.com/tag/preambula-fidei/

[6] https://blogs.harvard.edu/adrianvermeule/

[7] https://www.wiley.com/en-ie/Common+Good+Constitutionalism-p-9781509548873

[8] Qui una interessantissima intervista a John Pang: http://www.china.org.cn/world/Off_the_Wire/2022-04/10/content_78157638.htmInterview: West’s unipolar behaviors bound to fail, disastrous for itself, says scholar”

[9] https://www.scaffalecinese.it/il-libro-delle-odi-lo-shijing-antica-raccolta-poetica-cina/

[10] https://www.bjreview.com/

[11] Mia traduzione dalla versione inglese di James Legge.

[12] https://it.wikipedia.org/wiki/John_Donne

[13] https://it.wikipedia.org/wiki/Charles_Howard_McIlwain . Il libro a cui allude Vermeule è  Constitutionalism Ancient & Modern, 1940

[14] https://it.wikipedia.org/wiki/Legismo

 

I partiti del partito della guerra, di Andrew Cockburn

Dottor Stranamore o  avvocati Azzeccagarbugli. Un rebus inquietante_Giuseppe Germinario

Bottino di guerra

Ma su quale pianeta si trovano?

Gli osservatori di ciò che Ray McGovern, l’ex analista senior della CIA che si è allontanato bene dalla riserva, ha soprannominato il MICIMATT (complesso militare-industriale-congressuale-intelligence-Media-Accademia-Think-Tank) ha avuto una giornata campale la scorsa settimana, dato che un un branco di MICIMATTers si sono radunati durante una festaospitato dall’Aspen Security Institute nei miti dintorni di Aspen, in Colorado, per discutere le questioni del giorno. I partecipanti hanno avuto l’opportunità di ascoltare una serie di panjandra tra cui il direttore della CIA William Burns, il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan, il segretario dell’aeronautica Frank Kendall, il sottosegretario di Stato Victoria Nuland, il vice segretario al Tesoro Wally Adeyemo, relitti di precedenti amministrazioni come Condoleezza Rice , i capi di stato maggiore delle forze armate statunitensi del Nord, del Sud, dei comandi per le operazioni speciali e lo spazio, oltre ad altri leader di pensiero del consenso bipartisan sulla guerra e l’aggressione, consegnano messaggi allegri di magniloquenza trionfale. È interessante notare, tuttavia, che non ho individuato alcun rappresentante dei principali appaltatori di armi come Lockheed o Raytheon nella formazione.

Alcune cose meglio non considerate

Presenti a profusione, d’altra parte, erano i sostenitori dei media per il consenso come David Ignatius del Washington Post, Jim Sciutto della CNN e Mary Louise Kelly, co-conduttrice di All Things Considered di NPR (a patto che le cose in esame non si allontanino dalla linea del partito.) Kelly, ad esempio, ha moderato una discussione su “L’esercito americano sta innovando abbastanza velocemente?” con il comandante dell’Office of Naval Research, nonché un imprenditore tecnologico, in cui le risposte risuonavano di droni, intelligenza artificiale e altre eccitanti possibilità high tech, ma mancavano di qualsiasi riferimento al record quasi perfetto della US Navy di fallimento con schemi innovativi come il cacciatorpediniere di classe Zumwalt “stealth” ($ 12 miliardi e oltre, ma del tutto privo di armi offensive) o il programma Littoral Combat Ship (ben oltre 11 miliardi di dollari e così disastroso che la stessa Marina vuole demolire metà della flotta).

Guida di Wally al prezzo del petrolio

Tuttavia è stata una discussione sul più grande conflitto attualmente in corso, la guerra economica globale condotta dalla coalizione controllata dagli Stati Uniti contro la Russia, che ha attirato la mia attenzione. Come dovrebbero sapere i lettori di questo sottogruppo, questa guerra non è andata così bene per la parte statunitense, poiché il rublo è andato sempre più rafforzandosi, l’inflazione russa è in calo, la banca centrale russa sta tagliando costantemente i tassi di interesse e per tutto il tempo l’Europa trema per paura di un taglio delle forniture russe di petrolio e gas.

Ma la speranza sgorga eterna, come ha dimostrato il vice segretario al Tesoro Wally Adeyemo ad Aspen. Interrogato dall’interlocutore Ignatius su come gli Usa intendano aumentare la pressione delle sanzioni su Putin, Adeyemo ha rivelato la sua profonda padronanza della teoria economica, spiegando che “più petrolio equivale a prezzi più bassi del petrolio”. (In realtà, non è così, grazie agli sforzi tradizionali e determinati dell’industria petrolifera per limitare la produzione, così come alla massiccia speculazione di Wall Street nei futures sul petrolio, facendo salire i prezzi anche quando c’è un’offerta abbondante. Ma non importa.) Quindi, ha continuato Adeyemo, “gli Stati Uniti devono immettere più petrolio nel mercato”. Buona fortuna. Come potrebbe dirgli il presidente Biden, persuadere i principali produttori di petrolio come l’Arabia Saudita ad aumentare la produzione è più facile a dirsi che a farsi, o, nel caso del recente appello di Biden a Mohammed Ben Selman, non lo si fa affatto.

Realtà distaccata.

La seconda parte del piano generale di Adeyemo consiste in uno schema già ampiamente violato per limitare le entrate petrolifere di Putin utilizzando il dominio occidentale del mercato assicurativo marittimo. Il prezzo a cui la Russia potrebbe vendere il suo petrolio sarebbe fissato a un livello che consentirebbe un piccolo profitto, ma non di più. Solo le petroliere che trasportano petrolio con un prezzo di quel livello avrebbero ottenuto l’assicurazione. “Questo è un modo per ridurre le loro entrate”, ha annunciato Adeyemo con sicurezza, promettendo che il piano sarebbe stato operativo entro la fine dell’anno. Il fatto che il Tesoro stia ancora promuovendo lo schema come un elemento chiave del piano generale di Washington per mettere in ginocchio Putin mostra quanto Washington sia diventata distaccata dalla realtà. Vari specialisti che capiscono il mercato petrolifero piuttosto meglio di Adeyemo e chiunque altro stia spingendo lo schema hanno dettagliato i suoi difetti. Tra i più chiari c’è Christof Rühl, ricercatore senior presso il Center on Global Energy Policy della Columbia University ed ex capo economista presso BP. Come ha spiegato in un podcast intervista con il sito di notizie sul business dell’energia BNE Intellinews, subito dopo la prima divulgazione del piano di price cap, non funzionerà, perché, semplicemente, “il petrolio è fungibile”. A differenza del gas, non dipende in gran parte dalla distribuzione dei gasdotti, ma può essere spostato ovunque sulle navi. Pertanto, piuttosto che sottomettersi al regime del price cap, i russi dirigerebbero semplicemente più esportazioni in Asia dove, soprattutto, c’è concorrenza tra “un’intera pletora di acquirenti, inclusa l’India, che farebbero tutti un’offerta l’uno contro l’altro”, facendo così aumentare il prezzo che i russi avrebbero ricevuto per il loro petrolio. Se i russi fossero ancora insoddisfatti del prezzo che stavano ottenendo, tutto ciò che dovrebbero fare sarebbe ridurre l’offerta. Come Adeyemo dovrebbe capire, meno petrolio significa prezzi più alti, anche negli Stati Uniti, dal momento che gli indiani, che hanno notevolmente aumentato le loro importazioni di petrolio russo, sono impegnate a raffinarlo e venderlo non solo in Europa, ma anche, secondo Rühl, negli Stati Uniti Inoltre, il governo indiano ha recentemente certificato l’intera flotta di petroliere russe, rendendola idonea alla copertura assicurativa indiana. Come membro del panel del podcast Chris Weafer, CEO di Macro Advisory, ha esclamato dei guerrieri economici occidentali, “su quale pianeta vivono?”

La stessa domanda potrebbe essere applicata ai conferenzieri felici ad Aspen.

https://spoilsofwar.substack.com/p/the-war-party-parties?r=t2h2&s=w&utm_campaign=post&utm_medium=email

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