Non sempre le avanzate clamorose corrispondono a successi duraturi. Quasi sempre il clamore della narrazione insistente nasconde una realtà opposta. La guerra, nella sua tragedia e nella sua energia distruttiva, specie quando contiene le caratteristiche di un conflitto civile, può diventare l’evento in grado di piegare ed annichilire un popolo, quanto di forgiare una nuova classe dirigente. Nel conflitto ucraino stiamo assistendo ad entrambe le dinamiche. Non sono solo i popoli ucraino e russo a sperimentarne le conseguenze, ma tutti gli attori partecipi. Un nuovo mondo sta sorgendo, ma non tutti potranno godere della nuova luce. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
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Il futuro economico della Russia – Semiconduttori, armi e altro ancora
Si dice che la Russia dipenda dall’Occidente, ma… in realtà è il contrario? Svelata la verità che apre gli occhi.
Il pensatore Simplicius
3 febbraio
Di recente è stato versato molto inchiostro sul futuro economico della Russia in relazione alle “sanzioni paralizzanti” emanate dalle odiose potenze atlantiche occidentali. La sfera filo-ucraina/imperialista occidentale è in fermento per la presunta distruzione del potenziale economico e manifatturiero della Russia, in particolare in alcune industrie critiche come quella dei semiconduttori e delle armi, senza le quali la campagna militare russa sarebbe in pericolo.
Ma diamo un’occhiata ad alcune recenti rivelazioni che dipingono un quadro piuttosto contrario a quello che ci è stato detto.
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Innanzitutto, una breve contestualizzazione per rinfrescarci la memoria su quanto è accaduto nell’ultimo anno dall’inizio dell’OMT. Sappiamo già che il Rublo è stato dichiarato da tempo la valuta più forte del 2022, grazie alla sua spettacolare ascesa non solo dopo il breve shock subito all’inizio, ma anche per il modo in cui ha superato i livelli precedenti all’OMT.
Sappiamo anche che la Russia stava rastrellando una cifra assolutamente sbalorditiva e senza precedenti di 20 miliardi di dollari AL MESE in vendite di petrolio, con conseguente enorme crescita delle riserve di valuta estera.
L’Occidente, infatti, gongolava mentre “sequestrava” la metà di queste riserve valutarie, oltre 300 miliardi di dollari. Molti nella sfera della resistenza si sono scagliati contro la mancanza di lungimiranza del Cremlino e della tanto criticata banca centrale russa. Tuttavia, un fatto poco noto e poco discusso è che la Russia ha sequestrato a sua volta un equivalente di 300 miliardi di dollari di beni occidentali. La maggior parte di questi non erano Forex, ma piuttosto beni aziendali delle varie megacorporazioni occidentali che operano in Russia.
Per esempio, pochi hanno preso nota di questo commento molto trascurato di Dmitry Medvedev:
È vero: se ricordate, la Russia ha sequestrato molti jet Boeing che erano stati noleggiati alle sue compagnie aeree.
Finora sono stati recuperati solo 24 dei 500 jet che la Russia aveva trattenuto, e il resto aveva un valore di oltre 10 miliardi di dollari. (e i numeri sono incerti, considerando che 470+ jet del valore di oltre 80 milioni di dollari ciascuno dovrebbero essere un totale di circa 40 miliardi di dollari, non i “10 miliardi di dollari” che sostengono, a meno che quei jet non costino solo 22 milioni di dollari l’uno, il che è dubbio, ma li assecondiamo).
Un insider del settore ha dichiarato a Bloomberg che le società di leasing straniere hanno ripreso possesso solo di circa 24 degli oltre 500 aerei noleggiati ai vettori russi. Gli aerei rimanenti avrebbero un valore di circa 10,3 miliardi di dollari (14,1 miliardi di dollari australiani).
Inizialmente si temeva che la Russia non avesse i pezzi di ricambio per la manutenzione di questi jet e che quindi sarebbe stata messa sotto scacco dall’Occidente, ma in realtà è stato poi confermato che la Russia è riuscita ad acquisire una pipeline di ricambi attraverso l’India e la Cina. E questa è solo una delle tante imprese che la Russia ha rilevato. L’elenco è lungo, ad esempio, di importanti compagnie petrolifere occidentali, del valore di decine di miliardi, che sono fuggite lasciando le loro lucrose attività nelle mani dei russi. E queste sono solo alcune delle cose a cui Medvedev si riferisce quando dice che anche la Russia ha sequestrato beni equivalenti per un valore di 300 miliardi di dollari.
Ma anche questo settore è stato un fallimento occidentale sotto altri aspetti. Abbiamo visto che solo una minima parte delle aziende che hanno minacciato di andarsene e quindi di “schiacciare” l’economia russa ha effettivamente fatto i conti con la realtà. Solo 120 aziende su 1.405 hanno finito per andarsene, e la maggior parte di questo numero trascurabile proveniva comunque dagli Stati Uniti.
Infatti, con un annuncio estremamente ironico, è stato reso noto che l’economia russa non solo è destinata a crescere anziché contrarsi negli anni a venire, secondo il Fondo Monetario Internazionale, ma il suo tasso di crescita è destinato a superare quello degli Stati Uniti e del Regno Unito.
E tutto ciò proviene da fonti economiche occidentali. Doh!
Come si può vedere in questo grafico, il FMI prevede ora che l’economia russa cresca nel 2023 anziché contrarsi (come previsto in precedenza), e per il 2024 prevede una crescita del PIL del 2,1%. Potrebbe sembrare poco, se non si guarda alle previsioni per i principali Paesi occidentali: 1,0% per gli Stati Uniti, 1,6% per l’intera area dell’euro con Germania all’1,4%, Francia all’1,6%, Italia e Regno Unito allo 0,9%, ecc. Ciò è in contrasto con la tipica propaganda di basso sforzo diffusa dai russofobi nella twitter-sfera e altrove.
Passiamo ora alla sostanza. Molti discorsi ruotano intorno al tema critico delle capacità russe di semiconduttori, una delle principali debolezze classiche dell’economia e delle capacità russe in generale. Anche qui ci sono notizie ottimistiche.
Questo grafico mostra che le forniture russe di semiconduttori e circuiti integrati dai principali Paesi occidentali sono prevedibilmente diminuite nel 2022 rispetto al 2021. Tuttavia, è promettente che le forniture dalle principali economie orientali siano aumentate in modo esponenziale. Se assumiamo che le cifre a sinistra rappresentino “milioni”, la Cina ha aumentato le sue forniture di microcircuiti alla Russia da 400 milioni di dollari nel 2021 a quasi 950 milioni di dollari. La Malesia è aumentata di 20-30 milioni di dollari e persino la Turchia è venuta in soccorso, incrementando il proprio sostegno da 0 a ben 150 milioni di dollari.
L’aspetto fondamentale è che la perdita netta di forniture dall’Occidente sembra aggirarsi intorno ai 500 milioni di dollari. Ma il guadagno netto in termini di sostituzione del prodotto da parte dell’Est è di oltre 700 milioni di dollari. Quindi, non solo la Russia ha completamente annullato le perdite di semiconduttori dovute alle sanzioni e ha completato con successo la sostituzione delle importazioni, ma ha addirittura guadagnato un aumento considerevole, che probabilmente corrisponde alla domanda notevolmente accelerata di semiconduttori/circuiti alla luce dell’aumento della produzione nell’industria della difesa russa per l’SMO.
Ma non credetemi sulla parola, ecco un articolo di un vero capo economista ed esperto di sanzioni russe presso vari think-tank/istituti globalisti. Ha ottenuto più o meno gli stessi numeri, ed ecco il suo grafico:
Come si può vedere, l’importazione di circuiti da parte della Russia è quasi raddoppiata nel 2022. Ciò significa che le sanzioni non solo sono un completo fallimento e non hanno avuto come risultato nemmeno quello di ostacolare le capacità russe, ma in realtà hanno fatto un enorme favore alla Russia, dandole l’impulso e l’incentivo a riorientare completamente la sua catena di approvvigionamento di tecnologie per infrastrutture critiche verso i partner molto più affidabili dell’Est. Inoltre, la Cina stessa ha annunciato nuovi investimenti massicci in impianti di produzione di chip e in capacità generali di semiconduttori, in risposta alle recenti sanzioni e alle aggressioni generali degli Stati Uniti contro i chip e la tecnologia cinese.
Ciò significa che la Cina sarà presto una potenza ancora maggiore in questo settore, in grado di fornire alla Russia tutto ciò di cui ha bisogno per il futuro. Naturalmente, anche la Russia sta cercando di rilanciare la propria industria dei semiconduttori e sono stati fatti dei passi avanti, anche se non c’è ancora nulla di eclatante. Ma ha firmato nuove iniziative, come la seguente:
Il governo russo ha elaborato un piano preliminare per affrontare il problema. Si tratta di investire circa 3,19 trilioni di rubli (38,3 miliardi di dollari) nello sviluppo dell’industria microelettronica locale. Il denaro sarà destinato a quattro aree principali: lo sviluppo di tecnologie locali di produzione di semiconduttori, lo sviluppo di chip nazionali, la commercializzazione di tali chip e la formazione di talenti locali.
Ad oggi, la Russia è in ritardo di oltre 15 anni rispetto ai leader occidentali nella progettazione di semiconduttori. Ciò significa che la dimensione dei transistor che il gruppo russo Mikron, leader del settore, è attualmente in grado di produrre sui propri chip (65 nm) è all’incirca equivalente a quanto faceva Intel nel 2006. Gli attuali chip di Intel sono su scala 5nm e 3nm. Detto questo, il problema non è così grave come potrebbe sembrare, almeno non per le applicazioni militari. Certo, per l’elettronica di consumo prodotta su larga scala si tratta di una differenza enorme. Ma la maggior parte degli attuali armamenti utilizza ancora circuiti vecchi di decenni. Dopo tutto, gli Stati Uniti hanno ancora in magazzino molti Tomahawk e altri missili prodotti molti anni fa, con circuiti che potrebbero risalire agli anni ’90 o 2000, la maggior parte dei carri armati e i loro sistemi elettronici di controllo del fuoco sono stati prodotti negli anni ’80 e ’90, con la relativa tecnologia, ecc. Per questi scopi di navigazione e tracciamento di base, i circuiti di quell’epoca possono ancora essere più che “sufficienti”. Non sono necessari chip super avanzati da 5 nm per eseguire la mappatura di base del terreno e il tracciamento GPS, ecc. Tuttavia, quando si tratta di capacità di intelligenza artificiale, che sta diventando sempre più importante, è necessaria una potenza di calcolo grezza, e chi ha la potenza necessaria avrà sistemi molto più “intelligenti” e capaci in questo senso.
E le cose non vanno così bene come sembrano per gli Stati Uniti e l’Occidente su questo fronte. Per esempio, c’è la realtà ignorata che è in realtà l’Occidente e il suo potenziale militare-industriale a dipendere pericolosamente dalla Russia/Cina, piuttosto che il molto più spesso discusso contrario.
Questo articolo descrive come i produttori di armi occidentali non solo dipendano fortemente dalle materie prime russe, senza le quali non possono produrre polvere da sparo e molti altri sistemi d’arma, ma anche dalle reti ferroviarie russo-ucraine che trasportano gli ancor più essenziali minerali cinesi in Europa:
Un bell’inconveniente per chi ha blaterato di molte piccole parti e circuiti occidentali trovati nelle armi russe sequestrate in Ucraina, ignorando però selettivamente l’impossibilità di produrre quelle stesse parti senza le materie prime russe.
La Cina fornisce oltre il 90% degli elementi di terre rare utilizzati in Europa e gli ultimi dati dell’UE mostrano che le linee ferroviarie russe rimangono una trafficata via di navigazione e una tappa fondamentale dell’iniziativa “Belt and Road” di Pechino.
E questo articolo sottolinea come l’Ucraina abbia uno dei più grandi depositi di titanio al mondo, un metallo assolutamente essenziale per tutti i più avanzati sistemi d’arma del mondo.
Se l’Ucraina vincerà, gli Stati Uniti e i loro alleati si troveranno in pole position per coltivare un nuovo canale di approvvigionamento di titanio. Ma se la Russia riuscirà a impadronirsi dei giacimenti e degli impianti del Paese, Mosca aumenterà la sua influenza globale su una risorsa sempre più strategica.
E indovinate un po’? Non solo Cina e Russia sono tra i primi 3 produttori di titanio:
Ma la maggior parte degli enormi giacimenti di titanio (e di altri metalli di terre rare) in Ucraina, per i quali l’Occidente è così entusiasta, si trovano nelle regioni del Donbass e della “Novorossiya”:
Che corrispondono abbastanza bene al territorio che la Russia probabilmente annetterà:
Newsweek: “Un bene vitale”
Il Dipartimento degli Interni ha classificato il titanio come una delle 35 materie prime minerali vitali per la sicurezza economica e nazionale degli Stati Uniti. Ma gli Stati Uniti importano ancora più del 90% del loro minerale di ferro, e non tutti da nazioni amiche.
Come si vede, l’Occidente, come al solito, proietta le proprie inadeguatezze: non è la Russia ad averne bisogno e a naufragare sotto il peso delle sanzioni dell’Occidente, ma l’Occidente senza risorse, terrorizzato di perdere la presa su risorse vitali per la propria sopravvivenza di fronte alla nascente nascita di un nuovo mondo multipolare guidato da Russia e Cina.
Gli Stati Uniti non detengono più la spugna di titanio nel loro National Defense Stockpile e l’ultimo produttore nazionale di spugna di titanio ha chiuso i battenti nel 2020.
L’Ucraina è uno dei soli sette Paesi produttori di spugna di titanio, la base del titanio metallico. Cina e Russia, i principali rivali strategici dell’America, fanno parte di questo gruppo selezionato.
“La militarizzazione delle risorse energetiche da parte di Mosca ha fatto temere a Washington e ad altre capitali della NATO che il Cremlino possa un giorno congelare anche le esportazioni di titanio, mettendo in difficoltà le aziende del settore aerospaziale e della difesa.
Il gigante aerospaziale Boeing mantiene la sua joint venture con la russa VSMPO-Avisma – il più grande esportatore di titanio al mondo – anche se ha congelato gli ordini dopo l’invasione. Altri, come l’azienda europea di aerei commerciali Airbus, continuano a rifornirsi di titanio dalla VSMPO”.
Consiglio di leggere il resto dell’articolo di Newsweek. Apre gli occhi sulla disperazione degli Stati Uniti nel voler strappare segretamente alla Russia il controllo dei metalli rari ucraini di importanza cruciale e su come le industrie americane di armi e aerospaziali sarebbero devastate se la Russia le privasse di questi metalli chiave. Gli Stati Uniti sopravvalutano la presunta “dipendenza” della Russia dall’Occidente per le industrie chiave, al fine di nascondere in modo insincero la propria disperata dipendenza dai metalli, dal petrolio, dal gas, dall’energia, dal legname e da tutto il resto della Russia.
Vorrei soffermarmi ancora di più sugli aspetti specifici della produzione di armi: quali sono le vere scorte e le capacità della Russia di produrre granate, munizioni e missili guidati? Ma possiamo lasciare questa discussione per la seconda parte. Ma, come sempre, assicuratevi di abbonarvi per ricevere la notifica delle parti successive.
Sentitevi liberi di lasciare commenti, domande e critiche/suggerimenti qui sotto. E restate sintonizzati sulla seconda parte della serie Coming Offensive, che probabilmente sarà la prossima.
Alessandro Campi, Il fantasma della Nazione. Per una critica del sovranismo, Marsilio Editore, Venezia 2023, pp. 205, € 15,00.
Diversamente da quanto più frequentemente si legge, questo saggio formula una critica al sovranismo, che è scientifica e lungimirante. Al contrario, per l’appunto di quanto raccontato nei media maenstream, dove a parlare di Nazione è regola pronunciare formule (e termini) esorcizzanti, e ancor più fare una gran confusione: tra Cavour e Mazzini da una parte e Alfredo Rocco e Enrico Corradini dall’altra (per non parlare di Mussolini). Ovvero tra il sentimento patriottico del risorgimento e quello dei nazionalisti e del fascismo.
Il primo – tra i non pochi pregi del libro – è così rimettere a posto significati, definizioni (e appartenenze). Tanto per fare un esempio il sentimento (nazionale) risorgimentale era quello di una Nazione che voleva costituirsi in Stato, di guisa da non dipendere dagli altri Stati, di gran lunga superiori agli Stati pre-unitari per popolazione, territorio, risorse, per cui era una rivendicazione di indipendenza ed autonomia. Mentre il nazionalismo dei Rocco e Corradini era una rivendicazione di potenza nei confronti di altri popoli – coloniali soprattutto. Il primo era difensivo, il secondo d’aggressione: distinzione essenziale che ancora gli ideologi del pensiero unico non riescono (o non vogliono) afferrare.
Particolarmente interessante è il pensiero di Campi sul rapporto tra destre e nazione, visto (anche) i diversi – e talvolta opposti – modi di declinarlo. In Italia, scrive Campi “quello tra destre (al plurale) e nazione è stato un rapporto per certi versi ambiguo e controverso, discontinuo e accidentato, fortemente rivendicato sul piano ideale quanto scarsamente produttivo su quello politico, che ha finito per generare un nazionalismo-patriottismo più che altro sentimentalistico e retorico, letterario, estetizzante e occasionalistico, come tale incapace di definire una chiara visione degli interessi nazionali dell’Italia… Potremmo dire che la nazione-mito, facile da invocare sul piano della propaganda e in chiave di mobilitazione politica, ha prevalso a destra sulla nazione-progetto, intesa come realizzazione nel concreto della storia di un disegno politico collettivo o comunitario”. Onde la destra italiana, non sembra “sia mai riuscita a elaborare una dottrina nazionalistica coerente e organica in grado di saldare il richiamo all’idea di nazione con un forte senso dello Stato e di tradurre quel richiamo sul terreno della progettualità politica”. A intenzioni “buone” hanno corrisposto spesso risultati modesti o addirittura pessimi. Tralasciando, per ragioni di spazio, tutte le interessanti analisi di Campi sul rapporto con la Nazione delle varie destre (risorgimentale, nazionalista, fascista, della prima repubblica, della seconda), veniamo all’attualità.
Nel presente la concezione di destra della Nazione, o meglio dello Stato nazionale “è la forma politica che assume l’identità collettiva di una comunità interessata a mantenere la propria integrità contro chi la insidia”. In effetti, scrive l’autore “la prima cosa che colpisce nel sovranismo populista, nelle diverse declinazioni che ne sono state offerte dalla politica italiana recente, è il suo carattere meramente difensivo e reattivo”. Se questo costituisce un pregio rispetto alle declinazioni “aggressive” del nazionalismo, ha il difetto di suggerire “un ripiegamento a difesa di ciò che si ha e di ciò che si è, soprattutto di ciò che si teme di perdere. Il sovranismo, in altre parole, è una dottrina della decadenza, è il nazionalismo dei popoli stanchi”. Oltre che l’altro difetto di commettere imprudenze in politica estera. Per cui “Più che una dottrina politica o un progetto ideologico, il sovranismo, come spesso viene declinato soprattutto dalla nuova destra di Salvini e Meloni, può dunque essere considerato un espediente politico-psicologico, grazie al quale si offre un antidoto momentaneo e provvisorio alla paura e all’incertezza in cui oggi si trovano molti individui e interi strati sociali”. Infatti manca il progetto che costituisca una realistica visione del domani. Malgrado la Nazione, sostiene Campi nelle ultime pagine, sia tutt’altro che “obsoleta” e superata. Lo dimostra come possa coniugarsi con la democrazia e il pluralismo “L’unità della nazione, assunta come presupposto del pluralismo, è dunque ciò che consente agli attori di una democrazia di dividersi senza il timore che la comunità si disgreghi o scivoli sul terreno di un conflitto aperto e letale. Questa connessione tra democrazia e nazione viene spesso sottovalutata dai critici di quest’ultima. Mentre invece rappresenta una interessante scommessa per il futuro”.
Due note a conclusione. È inutile ricordare come il saggio, come in genere, l’opera di Campi sia ispirata al pensiero politico realista, molto spesso rigettato (o demonizzato) dal “pensiero amico”.
Secondariamente se è vero che la Nazione nelle “vecchie” concezioni delle varie destre italiane si è per lo più manifestata in declamazioni roboanti e risultati modesti, onde non è confortante per il futuro, è anche vero da un lato che i sovranisti-populisti praticamente non sono mai andati al governo se non con il Conte 1 nel 2018 e poi da qualche mese con la Meloni, onde si può sperare che col tempo possano realizzare, almeno in parte, quanto promesso.
Anche perché, purtroppo, la situazione italiana ha raggiunto il fondo del barile nel decennio trascorso (il peggiore della pur cattiva “seconda Repubblica”). Il che da ai sovranisti un compito assai difficile, simile a quello descritto da Machiavelli nell’ultimo capitolo del Principe: di risollevare un popolo impoverito (e così anche indebolito) da élite politiche (e istituzioni) decadenti. E che soprattutto per questo da quasi dieci anni da un consenso maggioritario (intorno al 55-60% dei voti espressi nelle elezioni succedutesi) agli avversari di quelle élite. Operare meglio delle quali non è impossibile, fare un miracolo sì.
Un aquilotto spennato e imbarazzante – simboleggiante lo stato di Weimar – che impallidisce, sfigura dinnanzi alla VERA aquila tedesca (kaiseriana). L’immagine in basso (manifesto per le elezioni legislative al reichstag del 1924) rappresenterebbe il sentire del partito nazionalista Dnvp, ma in fondo proietta un’immagine diffusa nell’animo tedesco di quell’era, assai aldilà del sostegno o meno a partiti nazionalisti coevi.
Tempo addietro, un conoscente di estrazione comunista (di accademico livello) paragonò distrattamente – quasi propose un parallelo – tra lo stato sovietico e la repubblica di Weimar.
Nel senso che erano entrambe entità nuove, entrambe entità che rovesciavano ognuna a suo modo un precedente sistema reazionario e antiquato, detto a grandi linee (…).
Come tanti altri miei amici e conoscenti della medesima provenienza – mi dispiace dirlo – la sua ferrea impostazione tradizionale fatta di insuperabile (psicologicamente), inalterabile dicotomia destra/sinistra – gli inibisce, oscura, confonde la percezione di elementi che trascendono tale demarcazione dogmatica. Accettando un prisma simile si può tracciare un parallelo tra le due realtà : elemento moderno di rottura che “rottama” il ciarpame oscurantista ed elitario del passato….questa sarebbe la logica.
La verità tuttavia è che anche solo accostare casualmente due casi del genere è pura cecità intellettuale. Perché la logica (binaria) in questione sorvola sul fattore PATRIA, lo sottovaluta, lo mette in secondo piano in quanto non rilevante per essa : nega il potere profondo dell’autoidentificazione e la sua capacità insondabile di sfuggire alla categorizzazione vista sopra, aldilà (protesterebbe il sincero comunista) di qualsiasi razionalità.
Il fattore PATRIA decretò per molti versi la sopravvivenza della Russia sovietica, come all’opposto, l’implosione della Germania weimariana. Perché ? Come ? Le verità più basilari ed ineludibili dell’animo umano stanno in formule strabiliantemente semplici e quindi non sciorinerò elucubrazioni storico-politologiche, vado al punto : perché lo stato rivoluzionario sovietico pur sbarazzandosi del sistema ad esso anteriore, vi si sostituì efficacemente in tutto…..anche in quella necessità patriottica della società nel suo insieme. La rivoluzione d’ottobre (anche nonostante l’inenarrabile guerra civile che ne seguirà) si fa sistema, sulle ceneri di quello precedente, ed anche più forte di esso : diventa punto di riferimento per il multiforme sentire della parcellizzata umanità che deve governare, cooptando anche e soprattutto le fasce conservatrici/nazionaliste della “russità” , a partire da coloro che sin dal principio decidono di militare tra i rossi (bolscevichi di stampo “patriottico”, per intendersi), quanto, dopo la fine della guerra, gli sconfitti bianchi che vorranno rientrare, infondendo l’idea che l’evento cataclismatico è stato una VITTORIA nazionale (si presti attenzione doppia da questo punto in avanti perché è il perno di tutto).
Gli eventi che vanno dall’ascesa al potere di Lenin sino alla fondazione ufficiale del nuovo stato, passando traverso 4 anni di conflitto interno, sono subito storia ed entrano in brevissimo tempo a costituire il fulcro di un colossale processo di “nation-building” in seno alla società, malgrado ciò possa essere controintuitivo vista la cesura traumatica col sistema zarista e il successivo sviluppo di una divisiva e devastante guerra civile : questo perché in fondo…….tali eventi sono percepiti come un successo, in un contorto meccanismo psicologico che vede tutti, incluse le fasce conservatrici/nazionaliste – e tra queste anche gli sconfitti veri e propri – entrare a far parte di un’entità vincente.
Ma come è possibile un capovolgimento percettivo in quest’ordine di grandezza ?! Abbozzo una ragione (non è certo l’unica, nè quella scientificamente più dimostrabile, ma forse la più viscerale) : perché in fondo quanto accadde dal 1917 al 1921 era…LORO (a prescindere dalle parti). La rivoluzione era…LORO (a prescindere dalle parti).
Si intende che la consecutio di fatti che si snoda da ottobre in poi è un fenomeno INTERNO, pertinente cioè ad uno spazio profondo del paese (in senso fisico quanto morale) irraggiungibile ed inconoscibile all’”alieno”, allo straniero : una “sacra” arena che non cessa di esistere malgrado il collasso del secolare zarismo e quindi trascende il cromatismo (rosso/bianco) delle parti in causa e laddove i destini di un popolo – ed altri ad esso annessi – vengono stabiliti a prescindere da cosa avvenga al di fuori del proprio “umland” : in parole più chiare, alla storica/oggettiva polarizzazione “Rivoluzione – Reazione”, si fa concomitante su un piano inafferrabile della psiche, la polarizzazione “Russia – mondo esterno” (che sta per “occidente” in realtà, quest’ultimo effettivamente coinvolto nella lotta dai bianchi).
Se pure è vero che una parte in lotta nella guerra civile è stata sconfitta sul piano storico/oggettivo, altresì vero che su un piano più metastorico offerto dalla psiche, l’evento rivoluzionario in sé non viola un canone assai più remoto della civiltà russa (o “rossiskaya” concetto più ampio) : la propria autoctonia, la propria indipendenza dall’occidente o altre forze (queste in effetti sconfitte nel loro tentativo di penetrazione approfittando del confronto rosso/bianco), la sicurezza che dà il proprio impermeabile spazio interno (…). Questo schema delle cose permette l’innesco di una valvola di salvataggio nei meccanismi delicati dell’autoidentificazione : alla psiche del russo (anche se di parte sconfitta) viene offerta come una scialuppa che consente lui di rivedere, in linea di principio, ancora lineamenti familiari, una continuità metapolitica in quel contenitore di popoli che prima si chiamava impero ed ora si chiamava CCCP (la quale tra l’altro nonostante la cesura col passato rivendicava anzi ancor più di prima – in vesti mutate – un ruolo geopoliticamente attivo, influente, sotto il vessillo assai più messianico e patriottico di quanto potesse esserlo la corona dei Romanov).
I “bianchi” avevano perso sì, ma in fondo era anche vero che la RUSSIA, la sua dimensione peculiare contrapposta allo spazio esterno (occidente) aveva vinto a prescindere dai cromatismi delle parti in causa, riaffermando la sua potenza che anzi prima sotto gli zar era in declino….quindi alla fine (col tempo che fosse occorso per abituarsi), tutti – anche i bianchi “volenterosi” o altre fasce conservatrici potevano chiamarla degnamente patria. In definitiva sia bianchi che rossi erano ugualmente nazionalisti (si può a buona ragione discutere su chi lo fosse di più tra loro)…..esisteva un comune fondo di attaccamento a una “potente patria” : che questa non fosse più una cosmopolita aristocrazia dall’aquila a due teste, ma una coesa unione multinazionale sotto bandiera rossa forse non era poi un male, no ? Anzi….chi dice che non fosse quest’ultima la VERA patria (e l’altra un abbaglio) ?? A questo punto i colori finora menzionati cessano di esistere : i rossi bolscevichi sono patrioti che da subito hanno capito questo fatto, mentre i bianchi (quelli pentiti) sono ugualmente patrioti con l’unico peccato di aver capito più in ritardo lo stesso fatto (…)
Interrompo d’autorità questa caotica e estesa digressione (che agli occhi di molti – professionisti in primis – apparirà cervellotica, sconclusionata o peggio – agli occhi del comunista ortodosso – una litania dozzinale nel novero eretico dell’interpretazione in chiave nazionalista e slavofila della rivoluzione socialista, la quale invece “esce fuori della storia” (..)….tuttavia io replico a costoro (nel caso ci fossero) che la mia riflessione presuppone che sia proprio QUESTO il problema : un limite di comprensione di molti studiosi del passato (non essendo “national-konservativ” stentano ad entrarne nella dimensione e quindi a valutarne percorsi e forza reale).
E da qui quindi torniamo – ma con una serie di punti in mente che ci consente di intenderci e quindi di accorciare il discorso (il tempo perso in Russia ce ne fa risparmiare qui)– sul vero tema del ciclo che è il caso tedesco : tutto era iniziato con un vago accostamento tra Weimar e la CCCP giusto ? Bene, la domanda è : perché WEIMAR in fondo non fu mai considerata una vera patria ?
Risposta essenziale : perché era figlia di una sconfitta. Fattore banale, ma insuperabile.
A scanso di quali ideali sinceri potessero esservi alle spalle, a scanso della costituzione democratica (mi si ricorderà) che finalmente aveva, a scanso di tutto…..era il risultato di un’umiliazione sul campo di battaglia. La prima democrazia tedesca, per quanto democrazia, violava lo stesso principio eonico che vuole gli stati (o qualsiasi aggregazione umana, contratto sociale di qualsiasi dimensione) fondati sui SUCCESSI, sulle vittorie. Non – come in questo caso – su un “infamante” (percepito come tale sia a destra che a sinistra in fondo) trattato di pace a Versailles.
Weimar nasce dal collasso della patria kaiseriana “legittima”…senza riuscire in alcun modo a sostituirla con qualcosa che nell’immaginario possa tenervi testa. Ne occupa semplicemente lo spazio vacante in attesa che QUALCOSA di maggiormente degno e supremo la rimpiazzi (e questo qualcosa disgraziatamente arriverà). Oserei affermare che il percorso di autoidentificazione per i neo-cittadini di Weimar e quelli sovietici sia esattamente opposto : mentre quelli sovietici, come visto, trovano una dimensione comune aldilà delle parti (anche belligeranti), nella società tedesca weimariana questo è infattibile. Se la Russia zarista passa il testimone alla CCCP sul piano ideale della “patria potenza” (in fondo condivisa tanto da progressisti che da conservatori), la nuova repubblica tedesca NON riceve alcun testimone dal prestigioso predecessore ! La “patria potenza” è sostituita da un’imbarazzante “ex patria” (tanto nella percezione dei conservatori quanto in quella – non espressa apertamente – di molti progressisti).
Insomma : lo stato sovietico UNISCE nel rispetto delle sue solide istituzioni – nella sua dimensione patriottica – tanto sinistra quanto in fondo anche una buona parte di destra (anche se non ufficialmente). Lo stato weimariano UNISCE, ma nel disprezzo delle istituzioni, sia la destra quanto in fondo anche la sinistra (anche se non ufficialmente).
Eccovi l’antitesi dei casi. Sintetizzo all’estremo :
La Cccp è un EREDE di qualcosa
Weimar è un SURROGATO di qualcosa.
La formula sopra è volutamente esagerata, ma esprime – sempre su un piano psicologico – come vennero percepite le due realtà dalle rispettive società a prescindere (questo è importante) dalla demarcazione classica destra/sinistra.
(CONTINUA…)
IL CICLO DEI VINTI – 9 maggio 1945. [cap. 4 di 7]
Identità, ieri e oggi (riflessioni sparse sul caso tedesco e non solo. Da leggere senza impegno)
L’affermarsi del “SUPER-STATO” nella prima metà del XX° secolo (ovvero sistemi politici che si presentano non come semplici edifici politico-amministrativi regolati da un diritto civile, bensì come energie messianiche che si prefiggono di uscire al di fuori della storia e regolarla anziché esserne regolati) – o anche “totalitarismo” (!) a seconda di come si vuole definire – è una reazione fisiologica al bisogno del cittadino stesso di 100 anni orsono a quest’epoca…della sua profonda incoerenza, scarsa conoscenza di sé.
Da un lato si strillava in piazza per per uno stato più umano, più civile…..dall’altro – una volta ottenuto – questo stato “civile ed umano” era un gradino meno rispettato di quello passato. Si odiavano i preamboli delle vecchie costituzioni liberali (“per grazia di Dio e volontà della nazione”), ne si voleva smorzare il tono un tantino ultraterreno e riportarle coi piedi a terra, a misura d’uomo, umanizzarne forma e contenuto senza tante investiture celesti e giuramenti alla corona………beh, ecco fatto. Anziché una guida speciale, lo stato diventa – per l’appunto, perché ciò si voleva – un semplice contenitore, un’arena civile (de-divinizzata) all’interno della quale muoversi. Ci volle poco perché l’agognata agorà moderna divenisse invece un parco giochi (…)
Tanti abitanti di Weimar erano in realtà nel profondo delle loro menti, più “ex-sudditi” che non “neo-cittadini”. Il parlamentarismo carnevalesco dal 1919 in poi non si poteva prestare allo stesso rispetto che poteva suscitare l’incedere del Kaiser un decennio prima e questo psicologicamente è verosimile. L’illuminismo ingenuo di quella breve repubblica non teneva conto – tanti dei migliori illuministi cadono in questo, ahimè – dei bisogni più primitivi e imponderabili dei governati.
Tanti volevano sinceramente la democrazia…..ma tutti esigevano – e subito – un comandante in capo, una forza unificante che garantisse forza e sicurezza (che sono sinonimi). Per metterla in filosofia occorreva il ripristino di quel perfetto ingranaggio, quel punto di congiunzione tra cielo e terra (o tra regno delle idee e quello materiale) che è lo stato prussiano di hegeliano conio (…). Quanto l’effimera Weimar non era. Lo si vede dai manifesti elettorali dell’era…pittoreschi, teatrali lo erano tutti, ma c’è qualcosa di più : nella maggioranza (a partire naturalmente dai più estremisti, ma arrivando anche a quelli moderati) si nota una ricerca di qualcosa di perduto, un’armonia arcadica irrecuperabile che lascia dinnanzi a sé o la difesa di quel poco che si ha ancora (le “heimat” locali in genere ad appannaggio di partiti centristi) ossia la logica “bastione contro l’orda barbara” oppure soppressione dell’esistente per rifondare una nuova “grande patria”.
Detto fatto, nel giro di 15 anni circa un sostituto lo si trova (anzi si fa avanti lui) : è un po meno aristocratico rispetto alla casta JUNKER in verità, anzi decisamente più proletario e ruspante, senza tanti galloni e mustacchi, quanto in più moderna e sportiva camicia bruna + baffetto, ma questo è anche meglio (“…a pensarci non sono in fondo anche quegli spocchiosi latifondisti della Prussia orientale con la loro flemma ad averci condotto al fallimento sul fronte occidentale e inguaiato la nostra PATRIA ?” p.s. = pensiero possibile dell’elettore popolare, Nsdap).
Siamo ad un punto critico : ho inaugurato questo ciclo di libere riflessioni al primo capitolo sottolineando come la vecchia identità prussiana sia stata distrutta e gettata via arbitrariamente assieme al nazional socialismo. Ebbene si potrebbe controbattere (tanti lo fanno) che in realtà tale retaggio era GIA’ stato distrutto e superato in due fasi : dalla deposizione del kaiser in primo luogo – cui la prussianità era legata per ragioni “memetiche” e dalla successiva affermazione nazista, la cui ascesa vertiginosa a cavallo tra anni 20/30 de facto assimila, inghiotte letteralmente tutto l’elemento vetro-conservatore (chiamiamo così la prussianità junker in politica) strappandolo ai contemporanei partiti nazional-conservatori più convenzionali dell’era Weimar che surclassa quanto a violenza e audacia (…).
Il nazional socialismo nel contesto in cui si trovò ad operare, devo ammettere, costituì un catalizzatore formidabile : da un lato arrivava a quegli strati popolari refrattari ai tradizionali partiti monarchici e vetro-conservatori…..mentre dall’altro riusciva a raccogliere l’elettorato proprio di questi ultimi, fisiologicamente irraggiungibile per socialisti e comunisti. Una creatura chimerica il nazismo, essere mutaforma “capace di assumere l’aspetto che l’osservatore voleva dargli” (se non ricordo male furono più o meno le parole di A.Speer al processo di Norimberga, nel descrivere il nazional socialismo).
(CONTINUA…)
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Può avere vent’anni come quaranta…forse non ha mai avuto un’età. Inebetito, steso contro un tronco che stancamente si specchia nei flutti del grande fiume. Al suo passaggio gli elementi si tingono di rosso : terra e acqua sono uniformate in flusso scarlatto…..persino l’aria attorno a lui sembra percorsa da chiazze del medesimo riflesso. Prima che il sole cali la vita se ne sarà andata.
Si chiama Sudogvast ? o Vädusan ? altro ancora ? Cerca di dirmelo, ma in un idioma incomprensibile che in ogni caso non è più in grado di articolare. Una manciata di ore avanti, durante una sortita, qualcosa è andato storto ed un giorno qualsiasi si è trasformato nell’ultimo che potrà vedere. Lui non ha rimpianti in realtà : il suo concetto di morte non è analogo alla coscienza secolarizzata di chi legge…….ritiene che sia solo il passaggio verso un’altra esistenza, non meno piena o eroica.
Oltre il “grande fiume” non possiamo seguirlo, solo osservare ciò che si è lasciato dietro nella dimensione mortale : una sagoma compatta e slanciata che affiora dalla vegetazione, coperta unicamente da brache ridotte a brandelli, gli occhi ancora spalancati e una cascata di un castano lucido sulle spalle.
Eh…..si da il caso che la nostra sgangherata navicella spazio-temporale (con cui faccio viaggiare nel tempo chi mi legge) è riemersa presso l’uncino sud-orientale del nostro continente, 500 giri della Terra attorno al sole prima che Cristo iniziasse a predicare : da qualche parte, lungo il ricco bacino idrogeografico del Danubio.
L’uomo che ci guardava poco fa prima di transitare alla nuova vita, un suo remoto abitante……la cui fisionomia incute terrore tra i piccolo uomini bruni più a sud verso il mare Egeo.
Il popolo di Sudogvast è quello dei LUPI : così lo chiama chi vi confina e così loro appellano se stessi…fondamento mitico/fantastico che trova una parte di accordo anche nell’archeologia odierna. Esso si articola in un interminabile susseguirsi di clan e tribù che si spalma su un territorio che va dai Balcani fino alla pianura sarmatica (dalla Serbia fino all’Ucraina meridionale e occidentale) : la massa aborigena della protostoria è stata indoeuropeizzata sino a dar vita a uno strato di civiltà che chiameremo (paleo) Trace.
L’elemento TRACE non ha certo bisogno di presentazioni o precisazioni dal sottoscritto o da altri…….combattivo e acerrimo, in sinergia con l’ecosistema balcano/carpatico le cui immense foreste di conifere incutono timore nelle civiltà mediterranee, a partire da quella ellenica, che la associano a quello spazio di tenebra (quel “nord” mitico) dal quale di tanto in tanto sprizzano come scintille demoni dalle barbe che brillano rossicce tra la fiamme del saccheggio.
La percezione immaginifica del greco antico chiaramente dilatava inverosimilmente la frequenza di codeste fisionomie aliene ed oggi l’archeologia (supportata dalla genetica) ritiene più plausibilmente che i barbari a nord e sud del bacino danubiano fossero assai più simili ad un qualsiasi abitante dell’Europa meridionale per aspetto (solo disseminati di elementi più chiari che generano leggenda). I traci, come norma nella struttura organizzativa umana più elementare di allora NON sono uno stato unitario, che anzi sono anni luce dal conoscere : la parcellizzazione fino al livello di clan regna sovrana. Dal brodo sopramenzionato prende forma un sottoinsieme che assume il nome di DACI…..o Geto-daci (per la precisione i geti si trovavano in Valacchia, come si chiamerà in seguito, mentre i daci veri e propri in Transilvania odierna).
Il significato dell’etnonimo (usato dagli stessi) è questione di dibattito tuttora, ma parte dell’opinione scientifica li chiama “LUPI” o loro fratelli o discendenti…..il popolo dei lupi. Questi autoctoni subiscono variegate influenze celtiche e periodicamente praticano incursioni verso sud guadagnandosi fama sinistra presso i più meridionali vicini che negli stessi anni edificano il Partenone (…).
La struttura politica è estremamente semplice, adeguata al loro stadio di evoluzione umana : un grappolo di regni, grandi quanto un francobollo, che vanno e vengono assieme alle loro rudimentali dinastie sostenute da reti di clientele e relazioni di clan. Con tale status quo si mantengono relativamente indipendenti dal turbinio della collisione greco-persiana dei secoli cruciali e, sempre in queste condizioni vanno a incontrare con l’elemento romano (o meglio quest’ultimo va a cozzargli contro) : il II° secolo dopo Cristo vede assorbire questo mondo nell’assai più caotica voragine della latinità…….alle vittorie di TRAIANO segue un afflusso (non comune) di coloni di diversa provenienza fino a creare sul posto la provincia romana di cui tutti i manuali ci informano. La Dacia romana equivale solo a metà dell’attuale Romania e arriverà a contare 1 milione e mezzo di sudditi dell’imperatore : tutti gli appartenenti a tribù non comprese nel dominio romano vengono denominati “daci liberi” e tra di essi spicca la tribù dei “carpi”. Nel giro di un secolo sorgono ben 10 città ed oltre 100 forti, impiantandosi così il seme della civiltà latina, strettamente legato all’ambiente urbano, in contrasto col vasto entroterra rurale dei nativi.
L’area nonostante gli sforzi rimarrà instabile, assorbendo circa il 10% della forza militare dell’impero e resistendo non più di 175 anni complessivamente (ovvero da Traiano fino ad Aureliano, quando l’impero ordinatamente si ritira da una regione ritenuta indifendibile : siamo nel 275 dopo Cristo).
Il disimpegno militare romano lascia tuttavia sul campo dietro di sè qualcosa di inestimabile : gli abitanti del luogo nei 2 millenni a seguire, continueranno ad esprimersi in un idioma a noi familiare classificato come componente orientale della neo-latinità.
Occorre qui fermarsi un momento poiché la questione si fa cruciale : il processo di latinizzazione possa apparire scontato o banale, nel discorso scientifico esso NON lo è.
In parole altre, la dinamica di tale latinizzazione è tutt’altro che scontata e tuttora si confrontano due opposte opinioni : secondo alcuni la romanizzazione linguistica sarebbe avvenuta secondo un linearissimo ed intuibile moto di aggregazione dell’elemento indigeno ai nuclei romani già insediati sul territorio, finchè alla fine sono TUTTI “romani”. Secondo la tesi avversa (più macchinosa, ma non impossibile) l’elemento di lingua latina sarebbe emigrato sul posto da aree romanizzate da più lungo tempo (tutto l’illirico), fuggite al momento del collasso imperiale in cerca di riparo in zone più inaccessibili, giusto nel mentre della calata dei barbari da nord.
A questo, si aggiungono svariati punti di vista intermedi……ma il punto che accomuna tutti, il grado di ideologizzazione che il tema presenta, già alla vigilia dell’età delle idee (tarda modernità), come vedremo.
(continua)
IL POPOLO DEI LUPI. (cap. 2)
(note storiche sparse tra Moldova, Valacchia e Transilvania, dagli albori alla contemporaneità, ripub. 2018*)
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Abbiamo lasciato Sudovgast morente sulle rive di un fiume, 500 anni prima di Cristo : come sono divenuti i suoi discendenti 500 anni DOPO Cristo ?
Un millennio di evoluzione non può non sentirsi e i suoi posteri riconoscerebbero molti tratti culturali in lui, tranne uno vitale : ora sarebbe complicato comunicare verbalmente con lui. Malgrado il disimpegno imperiale nella provincia di DACIA (già nel 275 d.C.), il disfacimento dell’impero stesso 200 anni ancora dopo ed il conseguente gioco imprevedibile di maree demografiche che si innesca, niente riesce a cancellare la numerosa componente daco-romana nel cuore di quella che oggi chiamiamo Romania : è come se i più numerosi e aggressivi flussi slavi (e magiari) provenienti da settentrione non riuscissero a penetrare il nucleo geografico valacco/transilvano né passarvi traverso, risultandone deviati e costretti a costeggiarlo, passarvi tutto attorno.
Un residuo vivente della remota romanità (adattata al contesto particolare) trincerato attorno ai Carpazi, mentre lo spazio immediatamente limitrofo è sommerso dal suono di parlate aliene : la sopravvivenza, su così larga scala, di un ceppo smarrito della famiglia filologica romanza, a migliaia di km dal blocco italo-franco-porto-spagnolo del Mediterraneo occidentale è un miracolo (o anomalia) geoculturale dell’intera Europa sud-orientale.
I secoli post-imperiali passano senza che alcuna organizzazione politica di rilievo venga prodotta : questi nativi “romanzofoni” costituiscono sostrato aborigeno utile del quale il governante o dominatore di turno si serve all’occorrenza. Vista l’oggettiva infattibilità di riportare fedelmente gli innumerevoli e tortuosi sentieri della storia balcano/carpatica medievale (anche per non irritare i valenti medievisti che per caso leggono) effettuo una macro-sintesi culturologica………il lettore immagini questo (grossomodo) : sui nostri amici di lingua latina gravano DUE forze acculturanti principali, una da SUD e l’altra da NORD.
1) L’”energia” che viene dal sud è l’elemento BULGARO (che da sud supera la linea del Danubio ed estende la propria influenza fino a tutto l’areale dell’odierna Romania tra il 7° ed il 10° secolo dopo Cristo : si tratta della fase storica del cosiddetto impero bulgaro, potenza dominante nei Balcani dell’era altomedievale (di tale impero vi saranno due fasi, oggi chiamate dalla storiografia 1° e 2° impero : quest’ultimo si spegne definitivamente alla fine del 14° secolo quando la Bulgaria è incamerata dagli ottomani…1396 circa).
2) L’”energia che viene da nord è l’elemento MAGIARO (che si presenta successivamente rispetto ai bulgari : inizia a comparire nel 12° secolo, penetrando dal bassopiano pannonico e nelle stesse generazioni in cui si combattono le prime crociate in Terrasanta, si fa strada sempre più a sud strappando all’influenza bulgara e bizantina le provincie più settentrionali dell’attuale Romania.
Orbene, se si tiene a mente questo basilare schema di movimenti e forze, si ha una prima chiave d’accesso alla storia dell’identità romena e moldava e i suoi asimmetrici sviluppi a seconda delle regioni che oggi troviamo viaggiando in questo paese : diciamo sinteticamente che si parte da un’originaria dominanza bulgara, che ottiene la fondamentale conversione della cristianità dell’area in questione all’ortodossia, per poi subire un processo di erosione nella frangia più settentrionale dei territori balcano/carpatici, ad opera dei monarchi d’Ungheria che nel corso del XIII° secolo riescono ad espandere durevolmente il loro confini fino a ricomprendere quella che oggi chiamiamo “Transilvania”. Quest’ultima a partire dai primi anni del 1300 è parte del regno di Ungheria di cui costituisce l’estensione più orientale. Sempre i sovrani d’Ungheria nella loro avanzata verso meridione determinano la nascita di due ulteriori principati a parte la Transilvania……….la MOLDAVIA (ad ovest) e la VALACCHIA (a sud), inizialmente pensati come cuscinetto della frontiera sempre più balcanica d’Ungheria.
Ricapitoliamo : a partire dai primi decenni del 300 nell’area di lingua romanza (non chiamiamolo ancora “romena”) vengono a costituirsi TRE principati sotto l’impulso del regno medievale d’Ungheria.
1) Transilvania (direttamente inglobata)
2) Valacchia (1330)
3) Moldavia (1359)
Codeste entità chiaramente NON costituiscono alcuno stato unitario, né ci pensano : si tratta di potentati indipendenti l’uno dall’altro che semplicemente sorgono su popoli della medesima base linguistica culturale (elemento che tuttavia in età premoderna non è fondamentale).
Teniamo a mente un punto CHIAVE : mentre Valacchia e Moldavia si rendono presto autonome dai sovrani magiari (pur rimanendo formalmente vassalli), la Transilvania invece è oggetto di una vera e propria annessione territoriale all’Ungheria medievale che ne farà una regione della mitteluropa ungherese (poi austro-ungarica) per gli oltre 600 anni a venire (!). Questo fatto apre le porte della Transilvania al torrente della cultura centro-europea e dei relativi flussi migratori, ovvero popolandosi di minoranze germaniche, ebraiche e slave per il mezzo millennio che traghetta tutta la zona fino ai primi del XX° secolo.
Questo particolare assetto geoculturale è quindi un carattere di lunghissimo periodo che persisterà nonostante il successivo “ombrello ottomano” dal tardo medioevo : Valacchia e Moldavia stati autonomi di confine, mentre la Transilvania (a dispetto della maggioranza di lingua neolatina che la abita) è parte dell’Ungheria vera e propria. I sultani osmanidi erediteranno QUESTA suddivisione, più o meno.
(continua)
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L’anima pragmatica degli Stati Uniti. In altre occasioni abbiamo illustrato una terza America. Buona lettura, Giuseppe Germinario
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L’America ha troppa paura del mondo multipolare L’amministrazione Biden punta a un ordine unipolare che non esiste più.
Walt-Steve-politica estera-columnist20
Stephen M. Walt
Di Stephen M. Walt, editorialista di Foreign Policy e professore di relazioni internazionali all’Università di Harvard, Robert e Renée Belfer. Clicca su + per ricevere avvisi via e-mail per le nuove storie scritte da Stephen M. Walt Stephen M. Walt
Il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden reagisce durante un incontro sul tema “Build Back Better World (B3W)”, nell’ambito del vertice dei leader mondiali della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici COP26 a Glasgow, in Scozia, il 2 novembre 2021.
Il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden reagisce durante un incontro sul tema “Build Back Better World (B3W)”, nell’ambito del Vertice dei leader mondiali della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici COP26 a Glasgow, in Scozia, il 2 novembre 2021.
Il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden reagisce durante un incontro sul tema “Build Back Better World (B3W)”, nell’ambito del Vertice dei leader mondiali della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici COP26 a Glasgow, in Scozia, il 2 novembre 2021.
Dopo che gli Stati Uniti sono passati dall’oscurità della Guerra Fredda al piacevole bagliore del cosiddetto momento unipolare, un’ampia gamma di studiosi, opinionisti e leader mondiali ha iniziato a prevedere, desiderare o cercare attivamente il ritorno a un mondo multipolare. Non sorprende che i leader russi e cinesi abbiano da tempo espresso il desiderio di un ordine più multipolare, così come i leader di potenze emergenti come l’India o il Brasile. E, cosa ancora più interessante, anche importanti alleati degli Stati Uniti. L’ex cancelliere tedesco Gerhard Schröder ha avvertito del “pericolo innegabile” dell’unilateralismo statunitense e l’ex ministro degli Esteri francese Hubert Védrine ha dichiarato che “l’intera politica estera della Francia… mira a rendere il mondo di domani composto da diversi poli, non da uno solo”. Il sostegno dell’attuale presidente francese Emmanuel Macron all’unità europea e all’autonomia strategica rivela un impulso simile.
Sorpresa, sorpresa: I leader statunitensi non sono d’accordo. Preferiscono le opportunità espansive e lo status gratificante che derivano dall’essere la potenza indispensabile e sono stati restii ad abbandonare una posizione di supremazia incontrastata. Nel 1991, l’amministrazione di George H.W. Bush preparò un documento di orientamento per la difesa in cui si chiedeva di impegnarsi attivamente per prevenire l’emergere di concorrenti di pari livello in qualsiasi parte del mondo. I vari documenti sulla strategia di sicurezza nazionale pubblicati da repubblicani e democratici negli anni successivi hanno tutti esaltato la necessità di mantenere il primato degli Stati Uniti, anche quando riconoscono il ritorno della competizione tra grandi potenze. Anche importanti accademici si sono espressi in merito: alcuni sostengono che il primato degli Stati Uniti sia “essenziale per il futuro della libertà” e positivo sia per gli Stati Uniti che per il mondo. Io stesso ho contribuito a questo punto di vista, scrivendo nel 2005 che “l’obiettivo centrale della grande strategia degli Stati Uniti dovrebbe essere quello di preservare la propria posizione di supremazia il più a lungo possibile”. (Il mio consiglio su come raggiungere questo obiettivo è stato però ignorato).
Sebbene l’amministrazione Biden riconosca che siamo tornati in un mondo con diverse grandi potenze, sembra nostalgica della breve era in cui gli Stati Uniti non dovevano affrontare concorrenti di pari livello. Da qui la sua vigorosa riaffermazione della “leadership statunitense”, il suo desiderio di infliggere alla Russia una sconfitta militare che la renda troppo debole per causare problemi in futuro e i suoi sforzi per soffocare l’ascesa della Cina limitando l’accesso di Pechino a fattori tecnologici critici e sovvenzionando l’industria dei semiconduttori statunitense.
Anche se questi sforzi dovessero avere successo (e non è detto che lo abbiano), il ripristino dell’unipolarismo è probabilmente impossibile. Ci ritroveremo 1) in un mondo bipolare (con gli Stati Uniti e la Cina come due poli) o 2) in una versione sbilanciata del multipolarismo, in cui gli Stati Uniti sono al primo posto tra un insieme di grandi potenze diseguali ma comunque significative (Cina, Russia, India, forse Brasile e, plausibilmente, un Giappone e una Germania riarmati).
Che tipo di mondo sarebbe? I teorici delle relazioni internazionali sono divisi su questa domanda. I realisti classici, come Hans Morgenthau, ritenevano che i sistemi multipolari fossero meno a rischio di guerra perché gli Stati potevano riallinearsi per contenere pericolosi aggressori e scoraggiare la guerra. Per loro, la flessibilità dell’allineamento era una virtù. Realisti strutturali come Kenneth Waltz o John Mearsheimer sostenevano il contrario. Essi ritenevano che i sistemi bipolari fossero in realtà più stabili perché il pericolo di errori di calcolo era ridotto; le due potenze principali sapevano che l’altra si sarebbe automaticamente opposta a qualsiasi serio tentativo di alterare lo status quo. Inoltre, le due potenze principali non dipendevano dal sostegno degli alleati e potevano tenere in riga i loro clienti quando necessario. Per i realisti strutturali, la flessibilità insita in un ordine multipolare crea maggiore incertezza e rende più probabile che una potenza revisionista pensi di poter alterare lo status quo prima che le altre possano unirsi per fermarla.
Se il futuro ordine mondiale è un ordine multipolare sbilanciato e se tali ordini sono più soggetti a guerre, allora c’è motivo di preoccuparsi. Ma il multipolarismo potrebbe non essere così negativo per gli Stati Uniti, a patto che ne riconoscano le implicazioni e adattino la loro politica estera in modo appropriato.
Per cominciare, riconosciamo che l’unipolarismo non è stato un granché per gli Stati Uniti, soprattutto per quei Paesi sfortunati che hanno ricevuto l’attenzione degli Stati Uniti negli ultimi decenni. L’era unipolare ha incluso gli attacchi terroristici dell’11 settembre, due guerre statunitensi in Iraq e Afghanistan, costose e alla fine infruttuose, alcuni cambi di regime sconsiderati che hanno portato a Stati falliti, una crisi finanziaria che ha alterato drasticamente la politica interna degli Stati Uniti e l’emergere di una Cina sempre più ambiziosa, la cui ascesa è stata in parte facilitata dalle azioni degli Stati Uniti. Ma gli Stati Uniti non hanno imparato molto da questa esperienza, dato che stanno ancora ascoltando i geni strategici le cui azioni hanno sprecato il trionfo di Washington nella Guerra Fredda e accelerato la fine dell’unipolarismo. L’unico freno alle azioni di una potenza unipolare è l’autocontrollo, e l’autocontrollo non è qualcosa che una nazione crociata come gli Stati Uniti sa fare molto bene.
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I tralicci dell’elettricità sono visibili sotto un cielo nuvoloso durante le piogge vicino a Romanel-sur-Lausanne, in Svizzera, il 15 settembre.
I tralicci dell’elettricità sono visibili sotto il cielo nuvoloso durante le piogge vicino a Romanel-sur-Lausanne, in Svizzera, il 15 settembre.
La crisi energetica dell’Europa sta distruggendo il mondo multipolare
L’UE e la Russia stanno perdendo il loro vantaggio competitivo. Questo lascia che siano gli Stati Uniti e la Cina a contendersi la scena.
ARGOMENTO JEFF D. COLGAN
La capsula Orion della NASA viene portata nel ponte del pozzo.
La capsula Orion della NASA viene portata in un ponte di pozzo.
Lo spostamento del centro di gravità della corsa allo spazio
La prima era lunare è stata definita dalla geopolitica. I vincitori della prossima saranno coloro che sapranno trionfare nella competizione economica e nella definizione delle regole.
Il ritorno del multipolarismo ricreerà un mondo in cui l’Eurasia conterrà diverse grandi potenze di diversa forza. È probabile che questi Stati si guardino con diffidenza, soprattutto quando si trovano in prossimità. Questa situazione offre agli Stati Uniti una notevole flessibilità nel modificare i propri allineamenti a seconda delle necessità, proprio come è accaduto quando si sono alleati con la Russia stalinista nella Seconda Guerra Mondiale e quando hanno ricucito i rapporti con la Cina maoista durante la Guerra Fredda. La capacità di scegliere gli alleati giusti è l’ingrediente segreto dei successi passati degli Stati Uniti in politica estera: La sua posizione di unica grande potenza nell’emisfero occidentale le ha dato una “sicurezza gratuita” che nessun’altra grande potenza possedeva, e ha reso gli Stati Uniti un alleato particolarmente desiderabile ogni volta che sono sorti problemi seri. Come ho scritto negli anni ’80: “Per le medie potenze europee e asiatiche, gli Stati Uniti sono l’alleato perfetto. Il suo potere aggregato garantisce che la sua voce sia ascoltata e le sue azioni siano percepite… [ma] è abbastanza lontano da non rappresentare una minaccia significativa [per i suoi alleati]”.
In un mondo multipolare, le altre grandi potenze si assumeranno gradualmente maggiori responsabilità per la propria sicurezza, riducendo così gli oneri globali degli Stati Uniti. L’India sta aumentando le proprie forze militari di pari passo con la crescita della sua economia e il pacifista Giappone si è impegnato a raddoppiare la spesa per la difesa entro il 2027. Naturalmente non si tratta di una notizia del tutto positiva, perché le corse agli armamenti regionali hanno i loro rischi e alcuni di questi Stati potrebbero agire in modi pericolosi o provocatori. Ma a proposito del mio primo punto, non è che gli Stati Uniti abbiano fatto un gran lavoro nel mantenere l’ordine in Medio Oriente, in Europa o in Asia negli ultimi decenni. Siamo sicuri al 100% che le potenze locali faranno peggio, o che agli americani importerebbe se lo facessero?
Anche se il multipolarismo ha i suoi lati negativi (vedi sotto), cercare di evitarlo sarebbe costoso e probabilmente inutile. La Russia potrebbe subire una sconfitta decisiva in Ucraina (anche se non è affatto certo), ma le sue vaste dimensioni, il suo arsenale nucleare e le sue abbondanti risorse naturali la manterranno tra le grandi potenze, indipendentemente dall’esito della guerra in corso. I controlli sulle esportazioni e le sfide interne potrebbero rallentare l’ascesa della Cina e il suo potere relativo potrebbe raggiungere un picco nel prossimo decennio, ma rimarrà un attore importante e le sue capacità militari continueranno a migliorare. Il Giappone è ancora la terza economia mondiale, sta avviando un importante programma di riarmo e potrebbe dotarsi rapidamente di un arsenale nucleare se mai lo ritenesse necessario. La traiettoria dell’India è più difficile da prevedere, ma quasi certamente nei prossimi decenni avrà un peso maggiore rispetto al passato e gli Stati Uniti non hanno né la capacità né il desiderio di impedirlo. Invece di impegnarsi in un inutile tentativo di riportare indietro l’orologio, quindi, gli americani dovrebbero iniziare a prepararsi per un futuro multipolare.
Idealmente, un mondo di multipolarismo sbilanciato incoraggerà gli Stati Uniti ad abbandonare la loro istintiva dipendenza dal potere duro e dalla coercizione e a dare maggior peso alla vera diplomazia. Durante l’era unipolare, i funzionari statunitensi si sono abituati ad affrontare i problemi con richieste e ultimatum e poi ad aumentare la pressione, iniziando con le sanzioni e le minacce di uso della forza, per poi passare allo shock e al cambio di regime se le misure più dolci di coercizione non funzionavano. I risultati deludenti, ahimè, parlano da soli. In un mondo multipolare, invece, anche le potenze più forti devono prestare maggiore attenzione a ciò che vogliono gli altri e lavorare di più per persuadere alcuni di loro a concludere accordi reciprocamente vantaggiosi. La diplomazia del “prendere o lasciare” deve lasciare il posto ad approcci più sottili e a un maggior numero di “dare e avere”; affidarsi principalmente al pugno di ferro porterà gli altri a prendere le distanze. Nel peggiore dei casi, inizieranno a schierarsi in opposizione.
Non fraintendetemi: Per gli Stati Uniti, e forse per l’intero pianeta, il futuro multipolare non è privo di aspetti negativi. In un mondo di grandi potenze in competizione, gli Stati più deboli possono giocare tra loro, il che significa che l’influenza degli Stati Uniti su alcuni piccoli Stati è destinata a diminuire. La competizione tra le grandi potenze in Eurasia potrebbe favorire errori di calcolo e guerre, proprio come avveniva prima del 1945. Un numero maggiore di Stati potrebbe decidere di dotarsi di armi nucleari, in un’epoca in cui i progressi tecnologici potrebbero convincere alcuni che tali armi potrebbero essere utilizzabili. Nessuno di questi sviluppi è da accogliere con favore.
Ma supponendo che gli Stati Uniti rimangano i primi tra i diseguali in un ordine multipolare emergente, i loro leader non dovrebbero essere eccessivamente preoccupati. Washington si troverà in una situazione ideale per mettere le altre grandi potenze l’una contro l’altra e potrà lasciare che i suoi partner in Eurasia si assumano maggiormente l’onere della propria sicurezza. Sebbene i leader statunitensi abbiano a lungo nascosto le loro inclinazioni realiste dietro una nuvola di retorica idealista, un tempo erano piuttosto bravi nella politica di equilibrio delle potenze. Con il ritorno del multipolarismo, i loro successori devono solo ricordare come si fa.
Stephen M. Walt è editorialista di Foreign Policy e professore di relazioni internazionali all’Università di Harvard, Robert e Renée Belfer. Twitter: @stephenwalt
Svolta epocale nel Vicino Oriente. Dopo decenni di conflitti, propositi di pace, mediazioni con propositi dichiarati esattamente opposti ai comportamenti concreti, il Vicino Oriente conosce l’eclisse di uno dei protagonisti: gli Stati Uniti. E’ un passaggio in ombra, non una sparizione. Tanto è bastato perché tra due degli attori principali di quell’area, l’Iran e l’Arabia Saudita, si inneschi un processo di regolazione diplomatica delle controversie grazie all’attività di mediazione della Cina. Una mossa che, portata a buon fine, innescherà un profondo stravolgimento della condizione e delle posizioni in quello scacchiere, a cominciare da Israele e dalla Turchia. Il reietto, l’Iran, ha potuto reggere lo scontro grazie al sostegno discreto di alleati lontani e al sostegno involontario e contraddittorio dell’avventurismo statunitense. Gli si aprono adesso ampi spazi che, gestiti saggiamente, potranno offrire nuova luce sulla reale natura dei conflitti che hanno infestato quell’area. Buon ascolto, Giuseppe Germinario Il sito www.italiaeilmondo.com non fruisce di alcuna forma di finanziamento, nemmeno pubblicitaria. Tutte le spese sono a carico del redattore. Nel caso vogliate offrire un qualsiasi contributo, ecco le coordinate: postepay evolution a nome di Giuseppe Germinario nr 5333171135855704 oppure iban IT30D3608105138261529861559 oppure
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Riyadh, 10 marzo 2023, SPA — In risposta alla nobile iniziativa di Sua Eccellenza il Presidente Xi Jinping, Presidente della Repubblica Popolare Cinese, di sostenere la Cina nello sviluppo di relazioni di buon vicinato tra il Regno dell’Arabia Saudita e la Repubblica Islamica dell’Iran;
e sulla base dell’accordo tra Sua Eccellenza il Presidente Xi Jinping e le leadership del Regno dell’Arabia Saudita e della Repubblica Islamica dell’Iran, in base al quale la Repubblica Popolare Cinese avrebbe ospitato e sponsorizzato i colloqui tra il Regno dell’Arabia Saudita e la Repubblica Islamica dell’Iran;
Partendo dal desiderio comune di risolvere i disaccordi tra loro attraverso il dialogo e la diplomazia e alla luce dei loro legami fraterni;
aderendo ai principi e agli obiettivi delle Carte delle Nazioni Unite e dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica (OCI), nonché alle convenzioni e alle norme internazionali;
Le delegazioni dei due Paesi hanno avuto colloqui dal 6 al 10 marzo 2023 a Pechino – la delegazione del Regno dell’Arabia Saudita guidata da Sua Eccellenza Dr. Musaad bin Mohammed Al-Aiban, Ministro di Stato, Membro del Consiglio dei Ministri e Consigliere per la Sicurezza Nazionale, e la delegazione della Repubblica Islamica dell’Iran guidata da Sua Eccellenza l’Ammiraglio Ali Shamkhani, Segretario del Consiglio Supremo di Sicurezza Nazionale della Repubblica Islamica dell’Iran.
Le parti saudita e iraniana hanno espresso il loro apprezzamento e la loro gratitudine alla Repubblica dell’Iraq e al Sultanato dell’Oman per aver ospitato i cicli di dialogo che si sono svolti tra le due parti negli anni 2021-2022. Le due parti hanno inoltre espresso apprezzamento e gratitudine alla leadership e al governo della Repubblica Popolare Cinese per aver ospitato e sponsorizzato i colloqui e per gli sforzi profusi per il loro successo.
I tre Paesi annunciano che è stato raggiunto un accordo tra il Regno dell’Arabia Saudita e la Repubblica Islamica dell’Iran, che include un accordo per la ripresa delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi e la riapertura delle ambasciate e delle missioni entro un periodo non superiore a due mesi, e l’accordo include l’affermazione del rispetto della sovranità degli Stati e della non interferenza negli affari interni degli Stati. Hanno inoltre concordato che i ministri degli Esteri di entrambi i Paesi si incontreranno per attuare questo accordo, organizzare il ritorno dei loro ambasciatori e discutere i mezzi per migliorare le relazioni bilaterali. Hanno inoltre concordato di attuare l’Accordo di cooperazione in materia di sicurezza tra i due Paesi, firmato il 22/1/1422 (H), corrispondente al 17/4/2001, e l’Accordo generale di cooperazione nei settori dell’economia, del commercio, degli investimenti, della tecnologia, della scienza, della cultura, dello sport e della gioventù, firmato il 2/2/1419 (H), corrispondente al 27/5/1998.
I tre Paesi hanno espresso la volontà di compiere tutti gli sforzi necessari per migliorare la pace e la sicurezza regionale e internazionale.
Rilasciato a Pechino il 10 marzo 2023.
Per la Repubblica islamica dell’Iran
Ali Shamkhani
Per il Regno dell’Arabia Saudita
Musaad bin Mohammed Al-Aiban
Ministro di Stato, membro del Consiglio dei Ministri e Consigliere per la Sicurezza Nazionale
Per la Repubblica popolare cinese
Wang Yi
Membro dell’Ufficio politico del Comitato centrale del Partito comunista cinese (PCC) e direttore della Commissione Affari esteri del Comitato centrale del PCC
In due articoli precedenti ho menzionato non solo lo schiacciante C4ISR che l’Occidente comanda in Ucraina, ma anche, nello specifico, la serie di fughe di notizie che lo hanno corroborato e che ci hanno permesso di capire come funzionano effettivamente i loro sistemi e con quale livello di dettaglio trasmettono i dati essenziali alle forze ucraine sul campo.
Facciamo quindi un piccolo approfondimento sul tipo di informazioni che forniscono, in modo da avere un quadro generale:
Perché l’Ucraina ha avuto un tale “successo” a volte, per esempio in alcune capacità di tendere imboscate alle forze russe, o di provocare “ritiri” come la “grande controffensiva di Kharkov” dello scorso
Perché la Russia è costretta a combattere in modo molto “fumoso”, senza mai impegnare forze troppo grandi in nessun
Come i resti dell’aviazione ucraina siano in grado di sopravvivere così a lungo eludendo i contrattacchi russi e viceversa, come l’aviazione russa debba rimanere piuttosto limitata nelle sue
Programma Delta
Che cos’è il programma Delta? Negli articoli precedenti ho illustrato alcuni dei principali sistemi di rete ucraini in uso, da GIS Art, Nettle e Delta, alcuni dei quali sono di produzione propria, mentre altri sono stati sviluppati reciprocamente in tandem con la NATO.
Quindi, per fare una breve premessa generale, cosa fanno esattamente questi programmi? In breve, consentono la completa integrazione in rete del campo di battaglia, fornendo mappe digitali dell’Ucraina con tutte le unità ucraine attive, le unità russe e così via, in tempo reale. Sono quindi in grado di distribuire digitalmente e istantaneamente i dati di coordinamento degli obiettivi alle unità meglio posizionate (artiglieria, ecc.) per attaccare un determinato obiettivo.
Inoltre, con l’aggiunta di Starlink, i centri di comando possono distribuire i feed delle telecamere dei droni in tempo reale a qualsiasi altra postazione, in un modo che nemmeno la maggior parte delle unità russe ha.
In pratica, ciò significa quanto segue:
Prendiamo come esempio il teatro di Bakhmut. Un’unità di droni ucraina in prima linea nel sud-est di Bakhmut può posizionare il suo drone e ottenere una chiara visione delle posizioni Wagner più a est. Il suo Starlink invia poi il segnale video in tempo reale a un centro di comando che lo distribuisce a un sistema di artiglieria che può essere a 20 km di distanza, a ovest, vicino a Kramatorsk, cioè nelle “retrovie” di Bakhmut.
Qui si possono vedere decine di schermi che collegano le immagini in diretta dei droni in vari settori intorno a Bakhmut. Qui possono ridistribuire questi feed, se necessario, ai cannoni di artiglieria del settore e ad altre unità tramite Starlink.
Quindi, per i non addetti ai lavori, che vantaggi ha tutto ciò? Molto semplice: in genere, un’unità standard posiziona un drone nel cielo, quindi fornisce coordinate approssimative della griglia all’unità di artiglieria via radio. Quando l’artiglieria spara alcuni colpi (magari “facendo forcella”), l’operatore del drone si limita a fornire correzioni via radio, in modo grossolano, come “Qualche click a sinistra, cinque gradi a nord”, ecc. Questo metodo va bene, ma è molto meno efficace rispetto alla versione integrata.
Con Starlink, invece, l’unità di artiglieria con sede a Kramatorsk, a molti chilometri di distanza, avrà un’esatta trasmissione video in diretta dei propri attacchi nel teatro di Bakhmut. Spareranno, vedranno letteralmente i loro colpi attraverso le riprese dei droni e saranno in grado di correggerli istantaneamente, al volo, con la loro percezione visiva, senza dover ascoltare le vaghe e forse imprecise istruzioni radio di qualcuno che ti dice “un po’ più a destra”.
Ora, la Russia dispone di sistemi propri, come ho illustrato anche nel precedente articolo più completo. Tuttavia, non sono ancora in piena adozione e in uso diffuso, e alcune unità inferiori e non d’élite utilizzano ancora le forme più elementari e lente di correzione dell’artiglieria.
Per chi fosse interessato, ecco un esempio di un sistema russo chiamato ESU TK. Ancora una volta, se interessati, potete leggere ulteriori informazioni sugli altri sistemi russi di questo tipo già utilizzati nell’articolo ISR, come i sistemi ASUNO, Planshet, Strelets-M e Andromeda-D. Tuttavia, nessuno di questi sistemi offre un flusso video in tempo reale di questo tipo, ma piuttosto coordinate di puntamento integrate nella rete su una mappa digitale.
Dopo questa spiegazione, che cos’è il programma Delta?
Guardian/ Truthseeker77 @TruthTo1777148
⚡️🇷🇺Russian hacker Joker hacked the US Delta command and control program used by the Armed Forces of Ukraine.😎🥂
Si tratta di un sistema di gestione del campo di battaglia che funziona nel modo seguente: Gli analisti degli Stati Uniti e della NATO passano al setaccio un’infinità di dati satellitari e inviano le coordinate esatte di tutte le unità russe, le unità e gli altri dati, movimenti, movimenti/direzioni potenziali, ecc. Tutto questo viene inserito nel sistema digitale che viene poi distribuito a tutti i quartieri generali del C3 ucraino, che possono decidere come affrontare tali obiettivi/minacce.
TRATTAMENTOOtMMEOIATO 0PRIORITV
ROUTINE
2022052705152RUS-UKR Rollup
Russia-Ucraina: Possibili elementi della 38ª Brigata di segnali aviotrasportati a Rossosh, vicino al confine con l’UcrainaElementi di una brigata C2 russa, forse la 38ª Brigata di segnali aviotrasportati (GASB) delle truppe aviotrasportate (VOVI) .
sono stati schierati a Rossosh, a est di Valuyki in Russia e a 45 km a nord-est del confine con l’Ucraina. Fino a 100
veicoli.
la maggior parte dei quali erano veicoli C2, sono arrivati sul posto a 50.2139.570556 dal 3 maggio; inoltre, circa 17 tende sono state montate nelle vicinanze. Alcuni dei veicoli erano forse R-43900 C2. La possibile presenza di R-43900 suggerisce che l’unità potrebbe essere il 38° GASB. Il sito di dispiegamento è vicino ai posti di comando del
OSK e Stato Maggiore del Distretto Centrale della Birmania.
Russia: Ulteriori attrezzature del TsOMR arrivano allo scalo ferroviario di Krasnaya Hechka per il transito verso l’Ucraina Ulteriori attrezzature militari del Centro per il supporto alla mobilitazione (TsOMR) (precedentemente noto come 243° AESRBJ) sono arrivate allo scalo ferroviario di Krasnaya Rechka dal 24 maggio e sono state imbarcate per la partenza, mentre
Sono rimasti gli elementi di una compagnia di fucilieri a motore equipaggiati con BMP e di un carro armato.
compagnia, probabilmente proveniente dalla caserma AL4 di Khabarovsk da cui sono partiti almeno 13 BMP e 6 carri armati T-80 dal 23 maggio, è arrivata il 25 maggio ed è stata imbarcata su un convoglio ferroviario arrivato il 26 maggio. I principali elementi del gruppo tattico del battaglione, arrivati a metà maggio, sonorimasti parcheggiati nella stiva di Rarea del cantiere ferroviario (pera 48.343333 13S.080278).
Batteria di missili per la difesa aerea SA-27-Equlpped rimane schierata a sud-ovest di Mclitopol, 25 Una batteria della 67ª Brigata missilistica di difesa aerea rimane schierata in un campo a 14 km a sud-ovest di Melitopol dal 25 maggio 2022. Tre probabili SA-27 TEIAR caricati ciascuno con due-quattro contenitori di missili (46.763611 35.241667) e almeno un veicolo di supporto rimangono schierati in un campo. Il 67°ADMB è subordinato alla 58° Armata d’Armi Combinate del Distretto Militare Sud.
Russia-Ucraina: Il 26 maggio 22, sono state segnalate probabili colonne di supporto russe di minore entità sulla rotta T-13, a circa 20 km a ovest della città ucraina di Rubiznhe. 26 maggio 22, probabili colonne di supporto russe di minore entità in transito sulla rotta T-13 vicino al cimitero di Zhytlivka. Sono stati segnalati i seguenti elementi e attività:
Una colonna è stata segnalata tra 49.099444 38.189722 e 49.10361138.186389, composta da sette probabili veicoli di supporto, tutti in transito verso sud in direzione di Rubiznhe sulla rotta T-13.
Una colonna è stata segnalata tra 49,117778 38,176944 e 49,118611 38,176111, circa 2,5 km a nord
dal cimitero di Zhytlivka. La colonna era composta da tre probabili veicoli di supporto, tutti in transito verso nord sulla T-13
percorso.
Una colonna è stata segnalata tra 49.025278 111667 e 49.025278 38.1080S6, vicino alla città ucraina di Dibrova, a circa 9,6 km a sud-ovest del cimitero di Zhylllvka.
veicoli, entrambi in transito verso est in direzione di Kremennaya.
Due probabili autocarri di supporto sono stati segnalati sul percorso T-13 a 143056 38.153056, con un veicolo
chetransita a nord e l’altra che transita a sud.
Un plotone corazzato è arrivato IVO 129167 38.159444. Il plotone comprendeva quattro probabili IFV BMP-2 parcheggiati a lato della strada T-t3, nella città di Chervonopoplvka.
Un distaccamento della MTO era partito da 106389 38.163056.
Un distaccamento è partito da 040278 38.098611. È probabile che venga utilizzata la rotta T-l 3.
per le operazioni logistiche ru$siane al fine di sostenere le offensive di terra russe in prima linea.
Attività in Russia
Tra metà giugno e luglio, il Servizio russo di supporto tecnico-materiale (MTO) ha spedito circa 4.488 tonnellate di munizioni da un impianto vicino a Bezmenovo verso ovest per rifornire le forze russe attualmente in Ucraina.
Almeno 10 lanciarazzi multipli BM-21122-mm che si trovavano in precedenza vicino al punto di trasferimentoferroviario (RTP) di Omsk, nel Distretto Militare Centrale, sono stati trascinati insieme a quattro BM-21 precedentemente trascinati.
SEGRETO//RELATIVO ALL’UKR
Come si può vedere, si tratta di dispacci altamente specifici, inviati con le esatte coordinate geografiche di ogni possibile movimento militare russo, dagli apparentemente banali riposizionamenti dei rifornimenti, ai principali movimenti strategici russi (bombardieri, ecc.), ai movimenti di tutti i mezzi navali russi e a tutto il resto.
Un altro esempio: le posizioni esatte di ogni singolo sistema russo altamente avanzato e segreto Zhitel e Zoopark EW (e controbatteria):
Lo stesso vale per i disturbatori russi di navigazione satellitare e GPS:
Ci sono anche analisi/estrapolazioni sulle probabili posizioni dei quartieri generali con le mappe fornite:
E molte foto satellitari esatte che mostrano viste termicamente migliorate anche delle posizioni russe più “nascoste” con le coordinate complete:
Esistono vari tentativi di comprendere i sistemi russi impiegati, come schede tecniche, diagrammi sui droni kamikaze russi e le loro caratteristiche “presunte”, spiegazioni sul loro funzionamento, ecc. Gli analisti statunitensi tentano di comprendere la minaccia russa dei droni in transito. In questo caso, rendono evidente che questi droni sono molto problematici per loro e che i loro sistemi non sono in grado di rilevarli. Si noti in particolare la menzione del fatto che le loro firme sono “difficili da raccogliere da mezzi aerei”.
Dal momento che l’Ucraina non dispone di “mezzi aerei” propri (dato che si riferisce sia agli AWACS che alla ricognizione satellitare), si sta facendo riferimento principalmente ai vantati mezzi degli Stati Uniti e della NATO. E ammettono che questi mezzi non sono in grado di rilevare i droni.
Una delle cose più sorprendenti di questi rapporti è che un’enorme porzione della loro potenza di calcolo è dedicata a svelare i vari “disturbatori” russi. Questo conferma il fatto che la Russia sta effettivamente disturbando attivamente ogni cosa su ogni linea del fronte, con grande sgomento dei molti scettici che sostenevano che l’EW russa non fosse attiva nell’SMO.
Ci sono avvisi di prossimi attacchi come questo:
E anche una parola in anticipo su precisi attraversamenti fluviali. Ciò che rende interessante il seguente caso è che, se ricordate, uno dei primi “disastri” russi fu un particolare attraversamento del fiume Seversky Donets, avvenuto esattamente a maggio:
Qui decine di unità corazzate russe sono rimaste imboscate in uno stretto chokepoint / kill-box dall’artiglieria. Ed ecco che anche questa trasmissione, risalente a maggio, mostra le fughe di notizie su Delta:
E ci sono molti altri avvertimenti anticipati di punti di attraversamento fluviale localizzati con precisione per VDV e altre unità. Quindi, per tutti coloro che si sono chiesti come sia possibile che l’AFU abbia potuto organizzare in passato colpi di artiglieria così precisi sugli attraversamenti dei battaglioni russi, non guardate oltre.
Gli attraversamenti fluviali sono particolarmente difficili perché di solito ci sono solo alcune aree facilmente identificabili dove un particolare fiume può essere guadato o pontato in modo efficace o tempestivo.
Sembra che gli Stati Uniti siano in grado di identificare questi punti seguendo le unità russe di ricognizione/avanguardia ingegneristica che vengono prima inviate a riconoscere i migliori punti di attraversamento, per misurarne l’idoneità e la sicurezza per l’attraversamento del battaglione.
Poi gli Stati Uniti riferiscono via Delta che un battaglione russo si sta preparando ad attraversare in quel punto esatto, fornendo le coordinate esatte e la tempistica stimata. E voilà: le unità dell’UFU sono in grado di posizionare segretamente l’artiglieria/MLRS (e probabilmente gli HIMAR con le esatte coordinate GPS fornite dal feed Delta programmato direttamente in loro) per colpire l’attraversamento proprio nel momento in cui il battaglione sta transitando.
E la gente si chiede perché la Russia potrebbe aver sviluppato le nuove piccole unità “distaccamenti d’assalto”, come descritto qui.
Tra l’altro, questa fuga di notizie parziale/incompleta di Delta è composta da oltre 130 pagine di dati di intelligence densamente stampati e altamente dettagliati, che corrispondono solo a un paio di settimane a scelta tra luglio e maggio. Decine di posizioni e movimenti identificati in ogni pagina, per oltre 130 pagine: letteralmente decine di migliaia di dati di intelligence in un periodo di poche settimane. Immaginate la quantità assolutamente gargantuesca di analisti e data-crunchers necessari per compilare questi dati 24/7?
Vi ho accennato nell’articolo precedente, dove ho affermato che decine di migliaia di analisti occidentali e della NATO sono coinvolti in questa procedura. Il dettaglio dei dati lascia a bocca aperta. In un rapporto elencano il tipo e il numero esatto di casse di munizioni in una determinata posizione del campo d’aviazione, notando che ci sono 78 casse di uno specifico tipo di variante di munizioni, ecc. Sanno quando e da dove provengono le munizioni, esattamente come e quando e dove si dirigerà la prossima volta. Alla luce di tutto questo, è scioccante quanto la Russia sia riuscita a fare finora – e credo che sia una testimonianza della potenza dei sistemi EW e AD russi che continuano a salvaguardare con successo le forze armate.
Inoltre, se avete visto questa recente intervista con un mercenario americano che ha disertato in Russia dall’AFU, a un certo punto menziona come ci fossero mercenari speciali nella Legione Straniera di cui faceva parte, che avevano contatti con la CIA (probabilmente con le centrali della CIA sotto copertura). E questi ragazzi avevano speciali telefoni satellitari che usavano per chiamare i loro analisti/manipolatori, i quali fornivano loro le coordinate e le posizioni russe. È logico che gli Stati Uniti abbiano inserito un agente come questo in ogni distaccamento della Legione Straniera, per massimizzarne l’efficacia, fornendo loro tutte le informazioni necessarie sulle posizioni russe su un piatto d’argento.
Un’altra chicca interessante riguardava le informazioni sui carri armati russi. La cosa più interessante è che a maggio, Oryx e altre famigerate liste, mostravano che circa 600-750 carri armati principali russi erano già stati persi (distrutti, catturati, abbandonati, ecc.) Tuttavia, questa fuga di notizie nota che fino a maggio, la Russia aveva iniziato a prelevare solo un totale di 124 carri armati dalle proprie scorte di riserva.
Ciò fornisce un’interessante visione “sotto il cofano” che sembra indicare le reali perdite di carri armati russi entro il periodo di maggio, che sarebbero solo un po’ più di 100. Ciò si accorda perfettamente con la mia analisi, come ho descritto nell’articolo precedente, secondo cui la Russia ha probabilmente perso un totale di 400-500 carri armati fino ad ora, poiché la lista di Oryx non solo gonfia i numeri attraverso frodi e attribuzioni errate, ma non distingue nemmeno tra DNR/LNR. Quindi il suo attuale “totale” di oltre 1600 carri armati russi perduti rappresenta in realtà solo 800 carri armati russi e
800 DNR/LNR, il che significa che le perdite reali di carri armati “solo russi” sarebbero di gran lunga inferiori.
Quindi è ipotizzabile che a maggio avessero perso più di 120 persone e, dato che si trattava di circa un quarto di SMO, si può moltiplicare quel numero per 4 per ottenere un conteggio realistico delle perdite attuali.
Un importante deposito di riserva era passato da 800 carri armati prima dello SMO a 700. Un altro è passato da 400 a 380, un altro ancora non ha subito alcun cambiamento nell’inventario dei serbatoi, che sono rimasti 350 su 350. Un altro grande deposito con oltre 1000 serbatoi in deposito ha subito un piccolo cambiamento, con circa 900 serbatoi rimanenti. Un altro grande deposito, con oltre 1.000 serbatoi in giacenza, ha subito un piccolo cambiamento con circa 900 serbatoi rimanenti. Un altro sito ne aveva 700, ora ne ha 600. Un altro è passato da 215 a 180. Un altro da 350 a 250. Un altro ancora da 700 a 500.
Secondo le sue stime, in tutti i siti messi insieme ci sono 700-800 serbatoi in meno rispetto a un anno fa, anche se ammette che alcuni di essi potrebbero essere stati semplicemente spostati nei garage, dato che molti dei siti hanno ampi garage/rifugi/hangar/ecc. Inoltre, è probabile che la maggior parte di quei carri armati non accantonati siano stati destinati alla DNR/LNR e a varie brigate di volontari. Quindi il numero totale di “carri armati perduti” russi che potrebbe rappresentare è in realtà molto inferiore.
Ma questa è una digressione.
Quindi, immaginate che tutte le decine di migliaia di dati contenuti nei documenti trapelati vengano ora inseriti in questo sistema digitale in rete, che dà accesso all’intera AFU, in pratica a ogni singola posizione concepibile, movimento, unità nascosta, ecc. dell’esercito russo, con la semplice pressione di un pulsante. Ogni unità dell’AFU con un tablet o un computer corrispondente può accedere a questo sistema e sapere esattamente dove si trova ogni sistema russo nelle sue vicinanze, dove si sta muovendo, come si sta muovendo, cosa sta pianificando di fare, ecc. Riuscite a capire il problema che questo rappresenta per la Russia?
Come ho mostrato nell’articolo precedente, questo livello di dettaglio si estende persino all’aviazione russa, i cui aerei possono essere tracciati in tempo reale e trasmessi ai sistemi dell’AFU.
La tavoletta mostra un aereo russo che viene tracciato su una mappa da qualche parte. Questo può essere trasmesso alle unità avanzate di AD, che possono così capire come posizionarsi e rispondere.
Ho già spiegato in precedenza che la ragione per cui l’AD ucraino è molto difficile da distruggere/degradare completamente tramite SEAD/DEAD, è perché non operano più in modalità “calda” con i radar accesi, scrutando alla cieca i cieli nella speranza di catturare un aereo russo. Se lo facessero, i Su-30mk, i Su-34 e i Su-35 russi armati con i Kh-31P anti-radiazioni li eliminerebbero.
Ma con questi sistemi, l’Ucraina può far funzionare i suoi AD con i radar “a freddo”, cioè spenti, e usare una combinazione di osservatori avanzati per notificare loro se/quando un aereo è nell’area, o qualche altro sistema di rilevamento come gli AWACS statunitensi, alimentati direttamente al loro tablet in rete. E solo a quel punto, l’AD ucraino può accendere il suo radar – ora che sa esattamente dove si trova l’aereo russo – e preparare un attacco, senza dover temere la risposta perché il radar si spegnerà di nuovo subito dopo.
Nel video qui sopra, tuttavia, non sono sicuro di come stiano tracciando l’aereo russo con il sistema “Nettle”. Dipende dal punto della mappa in cui è avvenuto il fatto, poiché il raggio d’azione degli AWACS non consente loro di vedere il Donbass dalla Polonia/Romania. Tuttavia, a giudicare dalla data del video, dall’ambiente e da quel poco di mappa che riesco a vedere, sembra che l’aereo si trovasse vicino a Nikolayev/Kherson, e che sia nel raggio d’azione della NATO.
Gli AWACS operano in Romania, poiché la distanza è di soli 330 km, e gli AWACS possono percorrere almeno 400-450 km, e più a lungo per i grandi bombardieri strategici ad alta quota.
Spero che questo vi faccia capire meglio come funzionano questi sistemi e quali enormi vantaggi ha l’Ucraina in alcuni settori della lotta. Assicuratevi di consultare i documenti qui, in modo da farvi un’idea di ciò che stanno facendo “dietro le quinte” per organizzare una sconfitta russa in questa guerra.
Tuttavia, nonostante lo sforzo C4ISR senza precedenti che ne deriva, è chiaro che la Russia continua a respingere e superare la NATO, anche se in grande svantaggio numerico. Questo deve dire qualcosa sui sistemi russi, e con buona probabilità le capacità C4ISR e satellitari della Russia sono molto più estese di quanto molti credano. Inoltre, ci sono prove che la Cina stia fornendo alla Russia un aiuto simile a quello che la NATO ha fornito all’Ucraina.
“Non abbiamo bisogno di acquistare immagini satellitari. La PMC “Wagner” da 1,5 anni ha quasi due dozzine di satelliti, alcuni dei quali sono radar, e il resto sono ottici”.
Sostiene che il suo sistema di satelliti permette a Wagner di osservare tutti i punti del mondo. Cosa può significare questo?
[di qui in poi l’articolo è accessibile solo per gli abbonati]
“There is no need for us to purchase satellite imagery. PMC “Wagner” for 1,5 years has almost two dozen satellites, some of which are radar, and the rest are optical.”
He claims that his own system of satellites allows Wagner to observe all points of the world.
Now what could that mean?
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Il primo anniversario dall’intervento diretto della Russia in Ucraina ha offerto l’occasione di offrire un bilancio politico di un evento che si rivelerà un vero e proprio catalizzatore di profondi mutamenti delle dinamiche geopolitiche. Pubblichiamo una conversazione sull’argomento tra Roberto Buffagni, Giacomo Gabellini e il generale Marco Bertolini organizzata dal sito “le ali del brujo”. Un bilancio che, unitamente a tutta la produzione, tra i vari siti, di “italiaeilmondo”, può offrire numerosi spunti riguardo alle prospettive future in quell’area e in tutto lo scacchiere mondiale. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
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