DAL PUNTO DI VISTA DI ZELENSKY, di Pierluigi Fagan

Considerazioni ed annotazioni come al solito valide e molto opportune. E’ sempre importante cogliere le determinanti dinamiche interne ad un paese; offrono gli spazi alle dinamiche geopolitiche e alle intrusioni esterne. Una chiave interpretativa essenziale che evita la comoda tentazione di attribuire sempre agli agenti esterni la responsabilità principale, se non esclusiva, di quanto avviene. Nella gran parte dei casi le élites interne hanno una capacità, una funzione ed una responsabilità essenziale che spesso e volentieri si elude, precludendo l’efficacia dell’azione politica. Buona lettura, Giuseppe Germinario
DAL PUNTO DI VISTA DI ZELENSKY. [Questo post è piuttosto lungo per i già lunghi nostri standard, ma è frutto di ricerche effettuate negli ultimi tempi, non è un post “teorico” è basato su diversi fatti. Se a qualcosa serve, potrebbe servire a saperne di più per capire di più.]
Avrete notato forse che Zelensky ha un preciso entourage e sono tutti mediamente giovani. Molti hanno studiato o lavorato in Gran Bretagna, qualcuno in America. Alcuni di loro zampillano dalle nostre reti televisive o in video on line e sono tutti dotati di capacità argomentativa non banale, sono molto decisi e cosa più importante, sono coordinati nel senso che sembrano usciti da una riunione di briefing in cui hanno condiviso tutti una unica linea. Si può ipotizzare esista una sorta di Zelensky & Partners, un gruppo coeso ed omogeneo di persone che condividono una precisa strategia politica per tenere il potere in Ucraina al fine di …?
Isoliamo questo soggetto collettivo, dimentichiamoci chi ha intorno come partner interessato (USA, UK, una parte dell’Europa orientale e dei vertici della burocrazia euro-unionista, l’oligarca Kolomoyskyi) concentriamoci sulle sue proprie ipotetiche intenzioni. Come forse saprete, questo gruppo è diventato un partito poco prima finisse la terza stagione della serie televisiva che vedeva Zelensky come protagonista. Si è presentato alle elezioni del 2019 e secondo quanto scriveva the Guardian tre anni fa quando ancora non eravamo arruolati (1) : … con “poche informazioni sulle sue politiche o sui piani per la presidenza, basandosi su video virali, concerti di cabaret e battute al posto della tradizionale campagna elettorale” ottenendo un insperato 30%.
La geografia del voto di questo primo turno, lo collocava al “centro”, sia geografico che politico. Ad ovest i nazionalismi di Poroshenko-Timoshenko, ad est i filo-russi confezionati in partiti apparentemente più di “sinistra”. Un gruppo di giovani ben intenzionati, con tecniche di marketing e comunicazione mediatica molto “occidentali” ha incarnato una possibile speranza. Sappiamo che questa speranza stava scemando prima del 24 febbraio, gli indici di gradimento della Zelensky e Partners (Z&P) erano in discesa e la rielezione fra due anni era data come improbabile.
Non credo si possa pensare che la Z&P fosse solo una associazione di potere ovvero un gruppo che ha tentato e vinto il vertice della tribolata nazione. Come detto sono “giovani” e rampanti e sembrano animati da ideali forti, giusti o sbagliati che siano, sembrano un gruppo di giovani europei occidentali e filo-anglosassoni che si sono paracadutati in un complicato e declinante paese ex sovietico. Per fare cosa?
L’UCRAINA PRIMA DELLA GUERRA: Prima dell’inizio della guerra, l’Ucraina era il 133° paese al mondo (quindi su 190 e poco più Stati) per pil pro-capite. In pratica, tra Guatemala ed El Salvador. Il peggior Paese dell’UE in questa classifica è la Bulgaria, 84°. Il risultato non cambia molto se usate il Pil PPP. A queste condizioni, l’Ucraina non sarebbe praticamente mai potuta entrare nell’UE. L’ammissione poi non avrebbe solo avuto a parametro questi indicatori quantitativi e su quelli qualitativi come trasparenza, corruzione, sostenibilità e prospettive, le cose sarebbero andate -se possibile- anche peggio.
Dal 2000 al 2021, l’Ucraina ha perso il 15% della sua popolazione per migrazioni, scarsa fertilità (la più bassa d’Europa) ed elevata mortalità tra gli anziani. È dal 1994 che l’Ucraina perde popolazione. Hanno anche perso la Crimea e forse potremmo metterci anche le due repubbliche popolari, sempre che non si debbano aggiungere abitanti dei vari territori che gli ucraini hanno già perso e continueranno a perdere nel proseguo del conflitto. L’ultimo censimento è ancora al 2000 e dichiarava 42 milioni di abitanti, ma altre stime più aggiornate (fatte dagli ucraini stessi) scendono fino a 32 milioni. Gli attuali 6 milioni di profughi, da vedere poi quanti di questi rimarranno fuori o rifluiranno verso casa, sarebbero ad occhio un altro -15% di popolazione in soli due mesi e sempre che si fermino qui.
Hanno anche la più alta percentuale di popolazione femminile in Europa dopo la Lituania e il secondo posto per tasso di mortalità dopo i bulgari. Molte donne quindi ma anche penosi indici di diseguaglianza di genere, 88° posto su 189 paesi secondo l’ONU . L’alto tasso di mortalità è dovuto alla congiura di diversi fattori quali l’inquinamento atmosferico dove c’è industria pesante, alcol, tabagismo, cattiva alimentazione, cattiva qualità del sistema sanitario nazionale.
Come saprete, la composizione etnica è mista con due poli, pienamente ucraina e tendenzialmente di cultura balto-slava europea all’estremo occidente, più russofona-fila all’estremo oriente. Il fiume Dnepr taglia in due il continuum ucraino e funge da separatore tra due diverse composizioni socio-demo su molti item.
A livello di criminalità, l’Ucraina è storicamente attiva la tratta di giovani donne avviate alla prostituzione in Europa mentre dai tempi della grande svendita degli asset militari sovietici dopo il 1991, è altrettanto attivo il traffico d’armi. Global Organized Crime Index nel rapporto 2021, quotava l’Ucraina come “il” o “uno dei principali” mercati d’armi in Europa, soprattutto piccoli e medi calibri e relative munizioni derivate dall’incessante flusso di armamenti proveniente dagli Stati Uniti da almeno venti anni. Armi ridistribuite al terrorismo e criminalità di mezzo mondo. È chiaro che l’attuale flusso proveniente soprattutto dall’Europa restia ad impegnarsi su armi di maggior peso, darà altro impulso al traffico. Quanto alla prostituzione e la tratta di esseri umani il problema è così vasto e profondo da meritare addirittura due specifiche pagine di Wikipedia.
Il rapporto 2013 del Dipartimento di Stato americano INCSR (International Narcotics Control Strategy Report) classifica l’Ucraina come uno degli hub chiave per il traffico di droga internazionale ed il primo hub per l’entrata in Europa di cocaina ed eroina tramite i porti di Odessa e Mariupol. La mafia ucraina è in solidi affari (armi, droga, donne) specie con la ‘ndrangheta calabrese.
Due anni di Covid con uno dei bassi indici assoluti di vaccinazione, hanno prodotto statistiche severe e gravi impatti sulla già claudicante economia e relativa organizzazione sociale.
Come segnalammo qualche post fa, l’Ucraina non era ritenuta un paese democratico dal the Economist nella sua speciale classifica condotta dal 2006. L’Ucraina era ritenuto il paese all’ 86° posto del Democracy Index, tra le Fiji ed il Senegal, qualificato come “regime ibrido” . Dal 2020, il Governo ha intrapreso una serrata lotta con la Corte costituzionale che ne limitava l’azione volta a porre leggi più rigide e severe, saltando però le cautele costituzionali. Complice la guerra, ha potuto arrestare e far sparire molta gente scomoda, silenziando i media non conformisti, mettendo fuori legge partiti nemici. La legge marziale è oggi prorogata almeno fino a fine maggio.
La diagnosi problematica è che l’Ucraina era sostanzialmente un paese fallito. Troppo grande, troppo poco popolato, troppo etnicamente disomogeno, troppo asimmetrico nei generi, troppo povero, strutturalmente troppo agro-industriale quando l’Occidente invece si è sviluppato nei servizi, troppo influito dai minacciosi vicini russi. Con troppi interessi di mezzo come nel sistema degli oligarchi tra cui un congruo numero di veri e propri delinquenti dediti al traffico di donne, armi e droga, tra l’altro spesso proprietari di vari mezzi di informazione. Un sistema del genere non aveva alcun futuro possibile e senz’altro nulla che potesse interessare il gruppo dei giovani Zelensky & Partners. Decennale e molto improbabile il processo necessario a riformarsi per entrare nell’UE. Che fare?
L’UCRAINA DOPO LA GUERRA? L’obiettivo strategico di Zelensky è stato dichiarato ai primi di aprile. Z. ha dichiarato l’obiettivo di far dell’Ucraina una “Grande Israele” (2) . Lasciate perdere il lato religioso del riferimento e concentratevi su quello geopolitico e strategico-economico. Israele è un paese non in pace, permanentemente all’erta contro nemici di circondario. Questo è un ottimo ordinatore interno perché semplifica la vita politica, quantomeno tutti gli israeliani sono uniti nell’idea di doversi difendere da vari nemici di circondario. La pratica dell’obiettivo prevede una militarizzazione importante della vita civile e soprattutto una chiara direzione di sviluppo dell’attività economica.
Questo ha fatto di Israele quello che un fortunato saggio americano del 2009 definì una “Start up Nation”. I primati tecnologici, di brevetto e sviluppo, di Israele nelle nuove tecnologie è universalmente riconosciuto e si ricordi che se queste attività partono da strategie militari, le ricadute civili sono anche importanti.
La stessa questione poco chiara dei bio-laboratori in conto terzi che già affollerebbero l’Ucraina disegna una possibilità di ospitare le forme di ricerca più avanzate ma anche più rischiose, ad esempio sull’A.I., un po’ come hanno tentato di fare i sauditi in cerca anche loro di un futuro, nel loro caso post-petrolifero. La ricerca avanzata in questi campi rischiosi da parte di USA, UK, Francia, Germania, ha bisogno di de-localizzare i rischi che non si possono correre nel proprio paese.
Gli investimenti militari e una mentalità orientata all’efficienza digitale, necessaria per qualunque guerra, potrebbero rappresentare lo stesso motore di innovazione per l’Ucraina, che già può contare su quattro “unicorni” – GitLab, Bitfury, People.ai e Grammarly – e su un ecosistema che è cresciuto di dieci volte negli ultimi cinque anni, passando a un valore complessivo di oltre 600 milioni di dollari e 146mila brevetti. Unit.city a Kiev è già oggi il più importante parco tecnologico dell’Europa orientale. Si tenga conto che questo posizionamento, è lo stesso occupato da dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia dalle tre repubbliche baltiche che, tra l’altro, son quelle che hanno registrato gli indici di crescita economica più importanti in Europa, negli ultimi decenni. Ma, come nel caso israeliano o delle repubbliche baltiche, questo tipo di sviluppo economico centrato sull’ICT, può reggere solo una demografia più giovane e contenuta di quella precedente.
L’UCRAINA IN GUERRA. La guerra, si sa, è un acceleratore. Nelle complesse transizioni storiche, la guerra ha svolto sempre il ruolo di “distruzione creatrice”, concentrare dinamiche disordinanti in poco tempo pagando con morti e distruzione materiale, una sorta di necessaria operazione senza anestesia, dolorosa ma necessaria.
Z&P si sono immediatamente mostrati pronti al conflitto e lo hanno gestito, certo anche aiutati, in modo davvero abile. Z&P avevano ed hanno bisogno della guerra per fare o far fare ai russi, operazioni di semplificazione dell’Ucraina. Rimpicciolire un territorio ingestibile e irriformabile. Chiarirne la composizione etnica rendendola omogenea. Diminuire la popolazione accettando la perdita di numeri per cessione territori ai russi e profughi scappati da tutte le parti. Servire la causa anglosassone sia di messa in profondo stress della Russia, sia della sua attuale dirigenza (Putin), sia di fargli usare la “tragedia ucraina” come perno per i regolamenti di conti nella battaglia di grande strategia tra bipolarismo e multipolarismo ottenendo in cambio protezione, gratitudine ed investimenti futuri per fare della martoriata Ucraina un caso di “futuro vincente” il che presuppone vari, futuri, piani Marshall. Ottenere in contropartita anche la necessaria spinta da parte americana verso la recalcitrante Europa, ad abbracciarne la causa al punto da comprimere i complessi passaggi per la piena entrata nella sfera europea che è l’obiettivo primario. Assorbire nel progetto i nazionalisti occidentali, distruggere l’ordito economico-sociale precedente, fare perno su una nuova classe militare forgiata in una guerra di resistenza e quindi potenziata in armi, logistica e potere.
Tutto ciò presuppone due cose sul campo. La prima è che gli ucraini sanno benissimo che perderanno formalmente la guerra coi russi al di là dei proclami, come si è lasciato sfuggire il noto gaffeur Boris Johnson rilevando quello che i suoi servizi e militari gli hanno spiegato a telecamere spente. Non è in discussione che l’Ucraina perderà o il sud-est o la parte ad est del Dnepr, si tratta solo di vedere come ed in che tempi. La seconda è che una guerra persa secondo i canoni normali di conteggio di territori persi, ordine perso, morti e distruzioni, può esser una guerra vinta se l’obiettivo è avere una Ucraina semplificata, compattata, assunta nell’alveo occidentale, velocemente, senza se e senza ma.
Non solo quindi la guerra sarà lunga, il tempo necessario a far pagare ai russi prezzi su prezzi sempre più alti come desiderato dagli sponsor anglosassoni, ma non finirà mai formalmente. La Nuova Ucraina in rampa di lancio per una modernizzazione 2.0 accelerata, avrà bisogno sia di ritenersi in “conflitto permanente”, sia di tenere attorno a sé i suoi preziosi alleati, sia internamente sospendere le normali convenzioni socio-politiche per procedere a tappe forzate verso la transizione di fase alla nuova terra promessa, la “Grande Israele”.
Mi rendo conto che questa è solo una articolata ipotesi, la questione -come vedete- è molto complessa, è sempre una questione di numero di variabili di cui tener conto e di come queste giocano assieme in un dato contesto di cui non si governano tutte le dinamiche, un gioco rischioso. Ma dietro ogni conflitto ci sono nodi e bisogno di scioglierli. Conosciamo forse la visione dei nodi dal punto di vista russo ed anglo-americano, da quello degli europei orientali e delle non perfettamente allineate tra loro élite di Bruxelles (Michel, von der Leyen, Borrell) e dei paesi europei occidentali, Francia e Germania in testa.
Ma sul campo giocano coi morti solo russi ed ucraini, capire la strategia di questi ultimi è indispensabile per capire meglio cosa succede e poter ipotizzare cosa succederà.

CHE DOMANDA DOVREMMO FARCI?_di Pierluigi Fagan

È IL MOMENTO DI FARCI UNA DOMANDA: CHE DOMANDA DOVREMMO FARCI? L’intero apparato di gestione e controllo del pensiero e conseguente dibattito pubblico, ha ricevuto precise indicazioni dagli strateghi della psicologia comportamental-cognitivista. Per tutti costoro c’è una sola domanda da farsi: che fare davanti ad una ingiustificabile aggressione che provoca morte, distruzione e dolore ad un aggredito?
Qualcuno segnala la stranezza di farsi tali domande oggi quando non ce le siamo mai fatte e continuiamo a non farcele per molti altri tristi casi di conflitto planetario. Altri pensano forse che l’aggressione se non giustificabile andrebbe almeno contestualizzata. Qualcun altro pensa forse che anche l’aggredito non è esente da responsabilità pregresse. Altri infine sospettano che tra aggredito ed aggressore c’è un terzo incluso che andrebbe specificato per capire meglio la situazione per poi prender decisioni. C’è anche chi la mette sul pragmatico e cinicamente invita a farci i conti di quanto costa rispondere in un modo o in un altro a quella domanda. Ma è davvero questo la domanda più importante da farsi? O forse la domanda da farsi prima di ogni altra è proprio “ma chi ha deciso che è questa la domanda più importante da farci?”. Potrebbe esser il caso invece di farci questa seconda domanda e scoprire che rispondendo a questa, avremo anche più conseguente e logica risposta a quella che ci viene imposta.
Vediamo un po’. Vari istituti di ricerca d’opinione, segnalano concordi che c’è una evidente asimmetria tra quello che il parlamento italiano sta decidendo su i fatti relativi la guerra in Ucraina (non solo armi sì o no), unitamente alle unanimi convinzioni dell’intero apparato di gestione e controllo del pensiero e conseguente dibattito pubblico e l’opinione prevalente del popolo italiano. In una recente trasmissione televisiva un ambasciatore ed un oligarca occidentale hanno candidamente ammesso che la gente normale di queste cose non capisce niente e quindi c’è chi deve decidere per loro. Ma da qualche giorno, emerge anche un’altra questione interessante.
L’istituto SWG ha fatto una ricerca sui sentimenti geopolitici degli italiani. Tra il vissuto precedente il conflitto e l’oggi emergono significativi scostamenti. Sono crollate le simpatie verso la Russia dal 18% al 2% e quelle verso la Cina dal 22% al 3%. Sono salite quelle verso la Francia dal 15% al 38% e quelle verso la Germania dal 12% al 34%. Quindi si rileva un significativo ri-orientamento dall’Italia soggetto individuale con sguardo interessato verso altri mondi, all’Italia che riconosce comunanza di interessi coi consimili europei. Da notare che se il frame è l’Europa, questi sono stati a lungo vissuti come concorrenti, se il frame si allarga al mondo allora le differenze che notiamo con questi vicini ci fanno sembrare questi prima concorrenti, dei fratelli quasi naturali.
Ma il dato più interessante è forse un altro. La precedente postura di una Italia curiosa e libera di coltivare desiderio di relazione con questo o quello, inclusi i russi ed i cinesi, era pensato e vissuto dentro un fortissimo senso di coappartenenza con gli Stati Uniti d’America. Gli italiani consideravano gli USA il Paese più amico in assoluto ben il 44% pensava questo, più di Russia, Cina, Francia e Germania e di non poco. Oggi invece, questa percentuale è al momento scesa al 27%, ben meno del nuovo sentimento di neo-fratellanza europeo-occidentale. È la prima volta in settanta anni che l’Italia si sente più europea che americana e scommetterei sul fatto che questo trend continuerà ad approfondirsi.
Annusa l’aria al volo il direttore di una testata on line ora anche stampata settimanalmente, TPI. Una testata con una sua indipendenza che non la fa comunque essere nel campo “alternativo”, ma neanche del tutto in quello “mainstream”. L’articolo di fondo di Gambino titola: “Perché in questa guerra non possiamo non dirci anti-americani”. Gli USA vogliono indebolire se non far collassare la Russia e non è detto questo sia del tutto anche il nostro interesse. Gli USA vogliono egemonizzare l’intera Europa subordinandola ai propri interessi e spaccarla tra parte orientale ed occidentale e questo non è un nostro interesse. Gli USA vogliono colpire indirettamente per il momento la Cina e questo, ancora, non è il nostro interesse specifico visto che l’altro Europa è niente più che un mercato e logica del mercato vuole che vi siano forti interessi a sviluppare scambi con la Cina e l’Asia in generale che per via di ragione geografica non rappresenta, né mai potrà rappresentare per noi un problema. È da Marco Polo che rappresenta invece una opportunità, ma se si studia “Le vie della Seta” dello storico P. Frankopan anche ben da prima di Polo. Segue una densa analisi di come l’ordine mondiale versione americana, sia sempre più contradditorio e semmai utile solo agli americani e soprattutto come questa loro utilità confligga sempre più con la nostra.
Riguardo la domanda che sembra esser l’unica che ci dobbiamo porre, ne consegue ciò che ha sostenuto anche il gen. Tricarico ed altri tra i pochi che hanno voce indipendente in questi tempi bizzarri: Biden alzi il telefono e chiami un tavolo diretto di trattativa con Putin che non aspetta altro poiché tutto quanto sta succedendo riguarda più loro giochi di potenza di primo livello che non l’Ucraina ed il nostro inviargli o meno armi e tagliarci i consumi di energia sprofondando in profonda recessione e prossimo conseguente disordine sociale, con finale arruolamento in una Terza guerra mondiale che noi europei occidentali non vogliamo in alcun modo. Dobbiamo quindi mandare armi a Zelensky o un telefono a Biden?
La domanda da farci allora è “a chi stiamo andando appresso?”. Gli USA hanno in programma un potete riarmo del mondo e quando ci sono le armi, di cui sono i leader mondiali di produzione, poi queste vanno usate. Hanno sovvertito in un attimo alleanze consolidate con mezzo pianeta, tra cui il mondo arabo e buona parte di quello asiatico, inclusa l’India. Hanno fatto impazzire i prezzi dell’energia facendo infiammare l’inflazione. Hanno tentato di spaccare l’ONU, tra l’altro non riuscendoci. Dopo averci rimbambito per trenta anni con le meravigliose sorti progressive della globalizzazione, dopo essersi rimpinzati di soldi a livello delle loro esigue élite, ora hanno deciso che noi europei dovremmo commerciare solo con loro perché tutti gli altri sono “impuri”. Hanno un Presidente con un figlio che trafficava con investimenti in gas e laboratori bio in Ucraina e chissà che Zelensky e la sua cricca non lo ricatti con carte imbarazzanti. Un Presidente che ha sfondato il minimo storico di gradimento già sfondato da Trump, una macchietta presa in giro da mezzo mondo perché si vede che l’età non gli consente più di dirigere i molteplici e complessi interessi del suo Stato-potenza. Ma se è evidentemente incapace di svolgere i suoi compiti chi altro li svolge per lui? È stato eletto questo “dietro di lui”? Che agenda ed interessi ha? Un Paese che ha la più asimmetrica distribuzione di ricchezza interna del mondo occidentale e la conseguente più ampia popolazione carceraria del mondo, cosa ha di fondo “in comune” con noi? Un Paese che ha fatto 34 conflitti armati dal dopoguerra, per non parlare dei “colpi di Stato” e “regime change”, nonché varie proxy-war.
Si chiama geopolitica perché la geografia e la geostoria contano. Gli Stati Uniti sono su un’altra piattaforma continentale, così i canadesi. Gli inglesi sono su un’isola che dalla favola di Mandeville in poi (ma già da Enrico VIII) guarda all’Europa in maniera problematica e per nulla famigliare. Australiani e neozelandesi sono in mezzo ad un altro oceano e pure in un altro emisfero. Personalmente non amo le definizioni in negativo (una identità non si determina per esser “anti” un’altra) quindi non mi sento antiamericano. È sudditanza psico-culturale anche questo porre l’altro come qualcosa verso il quale si deve esprimere la differenza per trovare la propria identità.
Penso invece ci si trovi in una nuova ed interessante congiuntura storica, quella in cui occorre domandarci: “noi” chi siamo? Prima di elaborare, discutere e condividere una intenzione, la risposta al fatidico “che fare?” dovremmo capire chi è il soggetto, chi è questo “noi”. Un mio vecchio amico, diceva che più che di “progresso”, dovremmo porci il problema dell’”emancipazione”. Prima di domandarci da che parte andare e cosa fare, domandarci chi siamo anche perché è rispondendo a questa domanda che ogni altra va di conseguenza.

QUANDO CHI STA PERDENDO SI PORTA VIA IL PALLONE_ di Pierluigi Fagan

QUANDO CHI STA PERDENDO SI PORTA VIA IL PALLONE.

In un precedente post abbiamo usato una immagine simbolo del mondo come un pallone oggetto di giochi di contesa. Oggi continuiamo con la metafora del sogno di possederlo tutto questo pallone-mondo e laddove la realtà intralcia i sogni, si può arrivare a sottrarre l’oggetto stesso del contendere. Se non vincerò al gioco di quel pallone, mi porto via il pallone o lo buco, così nessun altro potrà giocarvi, fine dei giochi.

Ieri abbiamo assistito in mondovisione, forse per la prima volta che io ricordi, ad una seduta del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Il nostro miglior uomo, nostro in quanto occidentali, ha arringato piuttosto arrabbiato il Mondo dicendo che se questa istituzione planetaria non è in grado di istruire un processo tipo Norimberga, se non è in grado di estromettere la Russia ed il suo fastidioso diritto di veto dal Consiglio di Sicurezza, allora tanto vale che l’ONU si sciolga ed ammetta la sua inutilità ed impotenza, lasciando il campo a qualche nuova forma ordinativa. Dopo settantasette anni, l’Assemblea dell’Umanità è stata arringata e sferzata da un ex comico ucraino che dopo aver invocato ripetutamente atti che porterebbero alla Terza guerra mondiale, dopo aver arringato e sgridato o parlamenti occidentali distribuendo via Zoom voti dei buoni e dei cattivi, dopo aver detto al parlamento degli ebrei israeliti di decidere da che parte stare nella grande battaglia finale del Bene contro il Male nella piana di Armageddon, arriva a dire al Mondo che deve sciogliere questa sua unica istituzione che ne riflette la globalità, visto che non riesce a decidere da che parte stare.

A fine marzo 2022 si contano 59 guerre attive di varia intensità nel mondo, ma solo la sua conta. Quella in Libia ha fatto pare 15.000 morti mal contati così come quella in Yemen, la ventennale in Afghanistan ha fatto 50.000 vittime civili, forse 200.000 in Iraq, quella in Siria ha fatto circa 500.000 morti, ma nessuno ha mai avuto la possibilità di andare all’ONU a lamentarsene.

Il corrispettivo di Zelensky nel sistema finanziario globale, il nostro miglioro uomo in quel ambito, quel Larry Fink CEO di BlackRock, ha serenamente sancito quello che già i più sapevano ovvero la fine della globalizzazione. Il denaro si traferirà sul digitale e la transizione energetica va spalmata ad anni se non decenni, nel mentre si torna al carbone o si sdogana in fretta il nucleare. I prezzi aumenteranno violentemente, ma molte produzioni prima disperse nelle catene del valore globale torneranno entro i confini dei sistemi di civiltà. L’Europa dell’est, ad esempio, potrebbe diventare il posto migliore in cui riportare produzioni appaltate in Asia, contando su poche regole e basso costo del lavoro. Ma se qualcuno in Africa o in Sud America si mostrerà buon amico del nuovo sistema occidentale, potrà meritare anche lui qualche delocalizzazione.

Nel frattempo, il sistema occidentale scopre improvvisamente che tutto ciò porta a doversi difendere dalla barbarie circondante e quale miglior difesa dell’attacco? Eccoci, quindi, tutti obbligati a riarmarci, siamo improvvisamente tutti in guerra. Tutti ora a studiare i missili ipersonici, bio-armi, cosmo-armi, psico-armi, info-armi e chissà cos’altro.

La guerra è una istituzione umana che, contrariamente a quanto alcuni ritengono, compare tardi nella nostra storia. La più antica prova di un massacro da scontro armato che abbiamo, data a soli 13.000 anni fa. Se ne trovano pochissimi altri esempi sino a che l’atmosfera territoriale in quel della Mesopotamia si scalda, più o meno a partire da 6000 anni fa. Lì si manifesta quella densità territoriale che in rapporto allo spazio e sue risorse, è il motivo per cui facciamo guerre ovvero pratica di violenza tra gruppi umani. Da allora, non abbiamo più smesso.

Finita quella ucraina scommetto sul Polo Nord, tanto lì non ci sono spettatori e ci si potrà darsele di santa ragione. Ci sono 412 miliardi di barili di petrolio e gas fossile, praticamente il 22% delle riserve globali, per un valore totale di 28.000 miliardi di dollari, più uranio, terre rare, oro, diamanti, zinco, nickel, carbone, grafite, palladio, ferro e le insidiose rotte della via della Seta del Sauron pechinese appoggiate dagli orchi russi.

Gli Stati Uniti debbono risolvere l’impossibile equazione del come mantenere un sostanziale controllo diretto ed indiretto sul Mondo onde preservare il loro comodo rapporto tra una esigua popolazione (4,5% del pianeta) ed una cospicua ricchezza (25% del Pil mondiale). Questo, nel mentre l’85% del mondo, cioè il non-Occidente, cresce in demografia e ricchezza, da decenni e per previsti decenni futuri. Il mondo si è molto densificato negli ultimi settanta anni, quindi, che si fa?

La guerra, appunto. Prima si rinserrano le fila del sistema occidentale, poi si rompe il consesso mondiale a vari livelli (la rottura delle c.d. organizzazioni multilaterali dall’ONU al WTO, continuerà nelle prossime settimane a mesi, potete giurarci), poi ci si trova nel più semplice formato “Civiltà vs Barbarie”, poi sarà quel che sarà.

La costruzione del blocco delle democrazie di mercato procede spedito a dimostrazione del fatto che tutto questo è stato a lungo prima pensato, poi preparato, ora eseguito con visione ed intenzione assai decisa. Catturata l’Europa, ora la NATO si rilancia in chiave globale. Alla riunione NATO del 6 aprile, si è messo in agenda la possibile disdetta dell’accordo del 1997 che istituì il Consiglio permanente congiunto Nato-Russia che vietava all’Alleanza di schierare ordigni nucleari nelle repubbliche ex Patto di Varsavia. Svezia e Finlandia stanno per rompere gli indugi per entrare operativamente nell’Alleanza portando la minaccia diretta a San Pietroburgo. Nel documento finale compaiono aggregati alle intenzioni nord atlantiche, gli AP4 (Asia-Pacifico-4 ovvero Australia, Nuova Zelanda, Corea del Sud e Giappone) dopo che gli USA ed UK avevano già stretto l’alleanza militare diretta con Australia. Il Giappone, dopo lunga preparazione delle opinioni pubbliche che va avanti da qualche anno, sta valicando l’autoimposto limite al riarmo. Poi sarà l’aggiornamento dei Paesi a cui è concessa l’arma atomica. Il lungo post WWII è terminato, le potenze perdenti ora sono inglobate funzionalmente nel dominio a centro americano e così pioveranno miliardi per il riarmo di Germania e Giappone.

Tutto questo si sta svolgendo davanti ai nostri occhi attoniti. Villaggio globale, multiculturalismo, globalizzazione, soft power, governo mondiale, comunità di destino, cura della casa naturale comune planetaria ed una susseguente arruffata collezione di concetti che ancora un mese fa facevano sistema dogmatico di riferimento di ogni buon occidentale dal cuore d’oro, via. Ora il gioco diventa improvvisamente duro e quindi è il momento in cui i duri cominciano a giocare. Cominciando dal portarsi via il pallone perché o si fa parte della SuperLega delle democrazie di mercato di pelle bianca o non si gioca più. Si spara.

Non vi piace? Vabbe’, è previsto, almeno all’inizio un po’ di smarrimento è concesso. Ma vedrete che tra qualche mese, dopo bombardamenti psico-valoriali 7/24, finirete col schierarvi con Rampini. Basta con questa lagnosa autocoscienza critica occidentale, siamo la Civiltà guida ed un sordido mondo sempre più trafficato ci assedia. Tutti quindi a difendere le mura della città stante che, com’è noto, la miglior difesa è l’attacco. A livello di sistema-mondo, il motto ora è “la Russia fuori, la Cina sotto, nuovi alleati dentro”. Il regolamento di conti finale si sta preparando in gran fretta, per un Nuovo Secolo Americano questa è l’ultima chiamata e la risposta che vediamo approntarsi promette fuochi artificiali di grande effetto. Del resto senso comune dice che “non c’è due senza tre” e la prima impensabile WWIII, fa capolino all’orizzonte degli eventi che mai avremmo voluto vedere.

IN CHE GIOCO SIAMO CAPITATI?_di Pierluigi Fagan

IN CHE GIOCO SIAMO CAPITATI? Useremo qui “gioco” nel senso di -interrelazioni competitive tra giocatori secondo regole per raggiungere uno scopo-. Dal “Grande gioco” (Medio Oriente – Asia) alla “Grande scacchiera” di Brzezinski, al mio più modesto “Gioco di tutti i giochi”, le questioni geopolitiche sono spesso state metaforizzate con questa definizione di “gioco”. La stessa Teoria dei giochi allude a questi sistemi di interrelazioni e può valere tra individui come tra gruppi. Nel senso comune, gioco ha tutt’altro sapore, ludico, disinteressato, di intrattenimento, di divertimento. A taluni, quindi, potrà risultare antipatico trattare guerre, conflitti e tragedie inevitabilmente umane con un termine così leggero. Ma, come detto, qui si usa il termine nel senso analitico.
Il “gioco” in cui siamo capitati è dunque questo:
1. L’Occidente (Europa + Anglosassoni) è in una dinamica che dura da settanta anni in cui diminuisce costantemente il suo peso demografico (oggi solo al 16% sul totale mondo) ed in cui a minor velocità, ma non minor costanza, perde anche quote di peso economico e geopolitico. Questo perché il resto del mondo è costantemente e significativamente cresciuto negli ultimi settanta anni. Tutto ciò è previsto continuare con una certa ineluttabilità per almeno i prossimi trenta anni.
2. Tutto ciò si riflette su una inedita forma di ordine mondiale, l’ordine a più varietà detto “multipolare”. Da quello che sappiamo in cultura della complessità (tra cui la Teoria delle reti), che sia biologia o ecologia o sociologia ovvero in ogni campo che studia forme di vita, tutti i sistemi molto complessi oscillano intorno ad una media auspicata come forma di equilibrio (tipo omeostasi) e le loro dinamiche interne si ripartiscono tra più sottosistemi a più varietà. Ve ne sono di vari livelli e peso, con maggiori i minori connessioni, ma come nel caso della biodiversità, sistemi molto complessi sono resilienti nella misura in cui sono molto distribuiti. Sebbene ad alcuni dia fastidio la parola “resilienza” essa è omologa a resistenza solo che resistenza è concetto più proprio dei sistemi non vitali (ad esempio quelli fatti in ferro o cemento o altra materia), resilienza è più propria dei sistemi che assorbono perturbazione senza rompersi per poi ripristinarsi all’equilibrio che avevano prima della perturbazione, com’è nei sistemi vitali, a base cioè di varietà biologiche.
3. Questa maggior distribuzione di un ordine multipolare non è una scelta, è naturale laddove dai 2,5 mld del 1950 siamo passati ai 7,5 mld (e più) di esseri umani del 2020 con passaggio anche da sessanta circa a duecento Stati sovrani. Da 7,5 mld, diventeremo poco meno di 10 mld al 2050. Sono di pari aumentate le interrelazioni tra le varie parti, quindi in poco tempo, si è andato formando un sistema molto complesso che sta relativizzando il peso occidentale.
4. Tutto ciò insidia nel fondamento la forma della nostra civiltà che proprio dal dopoguerra ha vissuto un periodo in cui, partendo da un dominio sul mondo ancora molto forte che ereditavamo dai secoli precedenti, ciò che chiamiamo “era moderna”, ha poi assistito ad una sua lenta contrazione, con previsioni di ulteriore contrazione nella misura in cui vaste parti del mondo si emancipano e cominciamo ad avere interrelazioni incrociate tra loro di tipo cooperativo. Hanno relazioni di tipo cooperativo non perché siano “più buoni” di noi che invece tendiamo ad avere relazioni competitive, ma perché partono tutti da posizioni basse di potere ed interessi. Negli ultimi anni, si è venuta a formare una grande rete di questi sistemi non occidentali, dai Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa a cui oggi si sommano anche altri come Turchia, Messico, Indonesia o Pakistan, vari africani etc.) a molti altri, soprattutto in Asia che conta il 60% del mondo, con una sorta di naturale alleanza d’intenti: quella di promuovere l’avvento -che tanto ci sarà comunque- di un ordine multipolare che dia loro maggiori chance di sviluppo con un certo grado di autonomia.
5. Tale questione ha un lato drammatico non tanto per la civiltà occidentale nel suo complesso, ma per una sua componente, quella anglosassone ed in particolare americana. Gli Stati Uniti, infatti, dipendono più di chiunque altro dalle rendite di posizione che avevano nel 1950 che sia l’ordine World Bank – IMF o il dollaro o Wall Street o il primato tecnologico e quindi quello militare o il soft power (ma solo dopo l’hard power). Abituati ad ordini bipolari di cui loro erano il polo dominante, o addirittura vagheggianti un ordine unipolare, il multipolare è per loro un gioco che, comunque verrà giocato, promette perdita di dominio, potere, ricchezza. Ricordo che sono solo il 4,5% del mondo sebbene ancora facciano il 25% del Pil mondiale. Molto di questa esorbitante quota non è data da capacità competitive intrinseche come Cina, Giappone, Germania, India etc., ma da rendite di posizione dominante. Il tutto assomiglia molto alla posizione di semi-monopolio nelle questioni dei mercati. Trasferita nel campo geopolitico, il monopolista è disposto a condividere potere da oligopolio ma non da libero mercato e relativi ordini emergenti quali teorizzati nel concetto “mano invisibile”.
6. Arrovellatisi a lungo su come far fronte a tali eventi che, come detto, hanno una certa ineluttabilità, gli americani hanno di recente introdotto una versione di gioco che chiamano “democrazie vs autocrazie”. La faccenda non è così precisa, India e Brasile sarebbero in teoria democrazie mentre alleati dell’America come l’Arabia Saudita o la stessa Turchia nella NATO lo sono ben di meno. Ma il grande pubblico occidentale di queste cose sa meno di niente, è facilmente sensibile alle semplificazioni, gli slogan, la ripetizione ossessiva di concetti anche quando sono incredibili come “X lava più bianco”, viepiù si tratti di ideali. Si noti come, al di là delle imprecisioni, in verità i conflitti competitivi di potenza, avvengono del tutto al netto qualcuno sia o si ritenga essere “democratico” o meno. Nei conflitti di potenza, a volte si è adottato il vestito “civiltà vs barbarie” o “cristiani vs infedeli” o “sciti vs sunniti” o “popolo in missione per conto di Dio vs resto del mondo”, ma il vestito serve solo a coprire logiche materiali molto meno nobili.
7. Questo è il primo livello del gioco in cui siamo capitati, il più importante, il livello in cui si gioca la partita tra vari tipi di ordine uni-bi-multi polari. Il secondo livello è quello per il quale, gli Stati Uniti hanno da vari anni messo nel mirino la Russia come loro avversario più insidioso. Questo perché pur stando il fatto che il gioco è a più livelli (politici, geopolitici, economici, finanziari, culturali), i conflitti di potenza tra Stati sono regolati storicamente con le armi. In termini di armi, i russi sono molto inferiori agli USA, ma quel gioco specifico è determinato dall’ultima arma che potete mettere sul tavolo quando sarete spalle al muro. Tale ultima arma è l’arma atomica ed in quel specifico asset, russi ed americani sono pari. Questo porta gli uni e gli altri a doversi evitare dal conflitto diretto perché inizierebbero, anche non volendolo, a salire giocoforza i gradini della scala conflittuale in cui nessuno dei due può perdere se non perdendo la reputazione di potenza, motivo per il quale prima di perderla si arriverebbe ad usare l’arma proibita, quantomeno per pareggiare. Questo urta molto gli Stati Uniti anche perché i russi amano impicciarsi dei giochi militari di potenza americani aiutando a volte l’Iran o la Siria o la Libia o altrove secondo logica “il nemico del mio nemico …”, cosa per altro ricambiata come nella prima invasione russa dell’Afghanistan, del Caucaso o nel Centro Asia.
8. Ecco allora che gli Stati Uniti in proprio o versione NATO, hanno approntato da molto tempo la trappola di tutte le trappole: l’Ucraina. Una anti-Russia al confine della Russia quanto di più urticante possa esistere. Dopo le tante scaramucce indirette, l’Ucraina rappresenta il trappolone più promettente per le strategie competitive americane. E ciò ci porta al terzo livello, la guerra in Ucraina.
9. I russi hanno abboccato al trappolone non perché siano stupidi o pazzi o abbiamo il cancro alla tiroide, ma perché in termini concreti di pericolo strategico e di difesa reputazionale non potevano fare altro. Ad alcuni poco pratici del campo, “reputazione” suonerà strano. Non si tratta della reputazione della propria bellezza o giustezza o attrattività o idealità, si tratta della semplice reputazione di potenza, le fiches più importanti al gioco della competizione tra Stati in dimensione mondo. Non sono necessarie per esser giocate sempre, è il solo poterlo fare che fa ottenere reputazione di potenza.
10. A questo punto, giocatisi invece la reputazione che conta per noi occidentali che vestiamo i conflitti di potenza con aspirazioni ideali e valori, i russi sono diventati gli “intoccabili”, dei fuoricasta. Gli europei che condividono la massa continentale con russi, cinesi, indiani, musulmani ed africani (AfroEurasia) non potranno più avere relazione alcuna col nemico degli americani da cui dipendono per varie ragioni ed in varie forme e quindi dovranno accorparsi al sistema americano molto di più di prima, a livello diciamo del dopoguerra. Così, dal primo al terzo livello di gioco, il nuovo sistema Occidentale tornato ai fasti degli anni ’50, sarà in un campo di nuovo bipolare con tutti gli amici di qua e tutti i nemici di là, format guerra fredda con fine della globalizzazione ed il suo ridicolo “villaggio globale”, il riarmo, l’economia e finanza che prova a tagliare i ponti da ogni interdipendenza in cicli di feedback di rinforzo del sistema occidentale vs resto del mondo. Tutti a difesa dell’essenza dell’occidentalità. Quel sistema politico-economico che con sprezzo del ridicolo ama chiamarsi “democrazia di mercato”, una forma di potere oligarchico che però si veste da democratico per ratificare la propria “elezione”. Oligarchia sta per “potere dei pochi”. La nostra essenza ordinativa è difendere questo “potere dei pochi” come fosse l’interesse dei molti.
11. Nessuno si pone il problema di come aumentare i nostri tassi di democrazia interna, viepiù siamo tutti impegnati a difenderne la sua pallida versione occidentale dalle “aggressioni esterne” delle autocrazie. E’ il nemico esterno che detta le priorità e ci fa sentire tutti amici interni. Tanto poi in Occidente “democrazia” non ha né partiti che la promuovano, né intellettuali che la pensino in modo sistemico.
12. Ecco perché la guerra russo-ucraina è l’unica cosa che dovete osservare ovvero prender parte per “l’aggredito contro l’aggressore”, in gioco ci sono i valori occidentali. Tali valori ideali meritano il sacrificio di quelli più prosaici che pensavamo prima i più importanti. Dovete armare e finanziare gli ucraini che combattono nella piana di Armageddon per il Bene contro il Male e ringraziarli pure. Dovete tagliare il gas, prender milioni di profughi, sopportare l’aumento delle materie prime, inflazione, disastro economico, alimentare e sociale, disordine ai massimi livelli in AfroEurasia, tra cui le già precarie coste del Mediterraneo perché è in ballo l’ordine del mondo per i prossimi anni. Viepiù lo farete, viepiù i russi per raggiungere i loro imperscrutabili motivi strategici dovranno compiere atti immondi -veri o presunti nessuno potrà esserne certo per decenni- che distruggeranno ulteriormente la loro reputazione generale. Pagheranno in reputazione generale il loro ostinato perseguimento della difesa della loro reputazione di potenza. In più dovranno dissanguarsi materialmente, rischiare di non vincere e giocarsi anche la reputazione di potenza sul piano strettamente militare, dubitare in profondo sulla loro mossa, mettere in dubbio la loro stessa leadership. Se arriveranno spalle al muro, gli americani giurano che secondo i loro calcoli da Teoria dei giochi, non useranno l’arma della disperazione e quindi non sceglieranno “Sansone e tutti filistei” ma un più pragmatico, “meglio vivi che morti”, pagandolo in perdita relativa di potenza. Secondo loro è un rischio ben calcolato e poiché sono convinti che il calcolo è tutto nella vita, hanno adesso tecnologie e saperi per ottenere la massima calcolabilità. Il “caso ucraino” diventerà lezione per ogni altro vorrà sfidare qualche anno in più di dominio occidentale.
Attirati nella trappola ucraina, i russi dovranno perdere punti di reputazione, generale e di potenza, separandoli violentemente dagli europei catturati egemonicamente in un nuovo patto atlantico, stabilendo il nuovo format “democrazie vs autocrazie” che bipolarizzi il mondo rallentando l’avvento dell’ordine multipolare. Sottraendo ai multipolari la fondamentale sponda militare russa. Ed è per questo che gran parte del mondo sembra non avere la nostra stessa sensibilità per quello che sta succedendo in Ucraina.
L’eccezionale ed inquietante mobilitazione culturale, informativa e politica dei nostri oligarchi, è arma necessaria per compiere questo ambizioso disegno strategico che dia almeno un decennio (o più) di centralità di potenza-mondo agli Stati Uniti rinnovato centro gravitazionale del sistema occidentale in grado di mantenere ampie forme di dominio diretto o indiretto sul Mondo.
E di questo gioco che dovete scegliere come “fare il vostro gioco”, non il terzo livello o il terzo più il secondo, ma il primo più il secondo più il terzo, tutti assieme.

PUPAZZI E PUPARI_di Pierluigi Fagan

PUPAZZI E PUPARI.

Alla sua elezione nel 2019, Zelensky ricevette un caldo benvenuto da parte di una organizzazione che si chiama: UKRAINE KRISIS M.C. Questi, pubblicarono una lunga lista di “linee rosse” che il nuovo presidente non avrebbe dovuto oltrepassare, pena la perdita di consenso internazionale occidentale che vale a due livelli: il grande pubblico, il piccolo vertice dei “portatori di interesse” ovvero governi e loro diramazioni, tra cui i finanziatori, protettori, armatori della giovane democrazia ucraina. Il documento era sottoscritto da una lunga lista di organizzazioni ucraine e non che troverete in fondo al testo. Il movente era dato dal fatto che su quel primo mese di governo del neo-presidente, eletto su una piattaforma anti-corruzione e di relativa pacificazione con la Russia, l’organizzazione aveva da ridire allarmata. Tanto da scrivergli non dei ragionamenti politici o punti di vista legittimi, ma una chiara lista della spesa di “linee rosse”, da non superare in alcun modo, un diktat insomma, l’oggetto di un contratto.

1. CHI FINANZIA L’UKRAINE KRISIS? L’elenco completo è nell’allegato. Segnaliamo con distinzione: International Renaissance Foundation (IRF membro del network Open Society Foundation di George Soros); il National Endowment for Democracy (una stella di primaria grandezza della galassia di fondazioni ed ONG americane tese a “promuovere” con ogni mezzo la democrazia ed il mercato, non l’una o l’altro ma l’abbinata perché controllando il mercato si controlla la democrazia); la NATO; istituzioni della Lega del Nord Europeo-Anglosassoni (olandesi, svedesi, norvegesi, finlandesi, polacchi, canadesi, estoni, cechi, tedeschi ed americani a capo di tutto).

2. QUALI ERANO LE LINEE ROSSE DA NON OLTREPASSARE SEGNALATE A ZELENSKY? Una selezione delle tante cose che il neo-Presidente NON avrebbe dovuto fare pena a perdita di finanziamenti e protezione comprendeva:

– Consultare il popolo con appositi referendum per decidere come negoziare con la Russia.

– Fare negoziati diretti con la Russia senza i partner occidentali

– Cedere qualsivoglia punto nei negoziati con la Russia sulle varie questioni (NATO, Donbass, Crimea, allineamento internazionale etc.) non cedere neanche un millimetro di territorio, non riconoscere a Mosca alcun punto per il quale l’Occidente ha elevato sanzioni alla Russia (Crimea).

– Ritardare, sabotare o rifiutare il corso strategico per l’adesione all’UE e alla NATO

– Ripensare la legge sulla lingua, l’ostracismo a media e social media russi, dialogare coi partiti di opposizione filo-russi (poi di recente messi direttamente fuori legge, sono 11), venire a patti politici con precedenti figure coinvolte nel governo Janukovich (democraticamente eletto e rovesciato col colpo di Stato del 2014), lanciare operazioni giudiziarie contro il governo precedente di Poroshenko (appoggiato dagli stessi firmatari) contro il quale Zelensky vinse le elezioni con il 30%.

Il documento è regolarmente on line. Datato 23 maggio 2019 (il secondo turno delle elezioni ucraine che elessero a sorpresa Zelensky era il 21 aprile, un mese prima). L’ho trovato seguendo un semplice link della pagina Wiki del IRF di Soros. Tempo di ricerca 2 minuti.

Si noterà in tutta evidenza che pur essendo del 2019, tocca gli stessi punti a base oggi del conflitto e relative, impossibili, trattative di pace. Se ne volgete il testo dal negativo al positivo, è in pratica buona parte della piattaforma 3+2 avanzata dai russi per risolvere il conflitto.

Io non sono un giornalista ma come studioso faccio certo ricerche per comprendere gli eventi. Ma evidentemente “fare ricerche” per inquadrare fenomeni non è giudicato necessario nel regime democratico di mercato, viepiù dalla sua “libera stampa”. Ma io non sono un “democratico di mercato”, sono un democratico radicale cioè uno che pensa che la democrazia dovrebbe essere l’ultima istanza di decisione politica di una comunità.

La giovane “democrazia” ucraina è sovrana o condizionata? Condizionata da chi ed a quali fini geopolitici? Da quanto tempo? Nell’interesse ucraino deciso da ucraini o nell’interesse di chi altro, deciso da chi altro, veicolato con quali modalità “democratiche”? Cosa sanno gli ucraini nei vasti numeri del perché sono stati invasi da una forza armata del temuto vicino con il quale avevano un longevo e complicato contenzioso, stante che va ripetuto che -per quanto per noi ovvio- non c’è “diritto” formale che giustifichi che uno Stato invada l’altro armato? Ma l’elenco delle linee rosse non era poi, per buona parte, il contenuto dei vaghi “Accordi di Minsk II”? Ed a Francia e Germania che sovraintendevano quegli accordi, ciò era ed è noto o no? E cosa succede nei fatti bruti e non sul piano del diritto formale, quando si crea una situazione di questo tipo? Le migliaia di morti e milioni di profughi che fuggono dalla propria precedente vita ora in macerie, vedono migliorata la propria posizione esistenziale dal fatto che il piano del diritto formale condanna senza appello questi eventi che tanto si producono lo stesso sul piano del realismo concreto? E converrebbe oggi agli ucraini basarsi sul diritto formale o sul realismo concreto per tentare risolvere la situazione? E siamo sicuri che la giovane democrazia ucraina possa, se lo volesse, agire sul piano del realismo concreto quando i suoi sponsor necessari (ricordo che l’Ucraina, prima della guerre era al 133° posto per Pil pro capite, mentre oggi è sostanzialmente uno stato fallito tenuto in vita dai finanziamenti americani ed europei) vogliono solo che rimanga l’eterno testimonial dell’infrazione russa del diritto formale? Per cui non c’è alcuna “pace” possibile, perché non è questa nell’interesse degli sponsor? E come giudichiamo questi sponsor che per proprie mire geopolitiche sacrificano uomini, donne e bambini ancorché questi vittime in prima battuta dei russi? E come agiscono questi sponsor della democrazia di mercato in Italia e non solo nei recenti “tempi speciali”, ma nei tempi normali dei decenni della nostra vita democratica post-bellica? Ed in Francia? Ed in Germania?

E’ quando i più sembrano avere incrollabili certezze di giudizio che conducono all’azione, che occorre farsi qualche domanda.

https://pierluigifagan.wordpress.com/2022/03/29/pupazzi-e-pupari/

UN MESE DOPO, di Pierluigi Fagan

situazione in Ucraina al 26 marzo secondo il Ministero della difesa francese
Intanto l’Azerbaijan ha attaccato nuovamente il Nagorno-Karabakh. Sarà uno stillicidio_Giuseppe Germinario
UN MESE DOPO. Dopo il primo mese di guerra, oggi siamo forse in grado di fare ipotesi (che comunque tali rimarranno) su come andrà a “finire” il conflitto.
I conflitti dentro il conflitto sono tre. C’è il conflitto “aggressore-aggredito” provocato dall’invasione russa in Ucraina, c’è il conflitto “provocatore-provocato” tra Stati Uniti e Russia che fino ad oggi sono stati i due pari competitor planetari militari avendo più o meno la stessa dotazione nucleare, c’è il conflitto a guida americana “democrazie vs autocrazie” che era il programma di politica estera di Biden alle elezioni, con cui gli americani tentano di bipolarizzare il mondo giocandosi così la loro partita per ritardare l’avvento di un ordine multipolare che ne relativizzerebbero la potenza, la ricchezza, l’influenza.
I tre conflitti non possono intendersi slegati, sono intrecciati assieme e questo ne determina la complessità d’analisi. Ma al contempo, ne facilita la lettura strategica. Sebbene la strategia di comunicazione americana faccia terra bruciata intorno a tutto ciò che non si riferisce all’Ucraina propriamente detta, con questa reiterazione ossessiva del format “aggressore-aggredito”, è proprio fuori del semplice conflitto ucraino che va trovata la chiave strategica.
Ieri terminava il primo mese di guerra e non a caso è terminato con un discorso planetario del presidente americano. Biden ci ha fatto sapere che questo conflitto non terminerà non per mesi ma per anni. Perché?
Ovviamente perché il conflitto basato sul format “democrazie vs autarchie” è su sfondo geopolitico-storico. La battaglia tra mondo uni-bi-polare e mondo multipolare è di fase di transizione storica, non è certo cosa che si svolge in breve tempo. Ed è proprio per comprare tempo che gli USA hanno lanciato questa sfida non appena i russi gli hanno dato l’occasione.
Ma anche il conflitto tra le due superpotenze atomiche, che a sua volta è un conflitto compreso in quello della transizione multipolare ove per gli americani è necessario depotenziare il nemico più temibile sulla scala militare, ha la stessa necessità strategica temporale. Come detto poco tempo fa, c’è chi ha letto l’intera guerra fredda come una lunga pressione tra l’enorme capacità di spesa americana vs le limitate capacità sovietiche. Obbligare l’URSS ad usare sostanze per la chiave militare portava a fallimento economico, sociale e quindi infine, politico e così in effetti è andata.
Oggi, di nuovo, tenere la Russia in conflitto semi-permanente, per anni, ed oltretutto sotto pesanti sanzioni, punta allo stesso effetto. Inclusa la speranza che qualche Elstin, prima o poi sopravvenga a Putin, come ha chiaramente detto ieri Biden, creando un clamoroso incidente diplomatico. Altri conflitti satellite come nel Caucaso, nel centro-Asia, rivolte in Bielorussia, ripresa in Siria, Libia o magari nuovi impegni nei mari polari o di Barents con qualche nave giapponese ed ogni altro teatro strategico in cui è impegnata la Russia, aggraveranno il dilemma tra “risorse sempre più scarse e possibili impeghi alternativi”. Essendo potenza aggressiva ed in guerra, la Russia verrà sospesa dal consesso internazionale e questo depotenzierà l’intero schieramento avversario nel confronto multipolare.
Questi due conflitti si basano su un ancora presente vantaggio di risorse, viepiù oggi che gli USA diventano USA + Resto dell’Occidente + Area larga di influenza occidentale e con un vantaggio di risorse ed un conflitto permanente, c’è solo da far lavorare il tempo a proprio favore, non troppo ma abbastanza.
Naturalmente, tutto ciò non funzionerebbe se non ci fosse l’Ucraina e la sua disponibilità ad immolarsi per la causa. Dal loro punto di vista non è una strategia sbagliata, anzi. Poter esser di fatto la punta di lancia dell’ambiente NATO, anche senza le garanzie protettive dell’art. 5 è la migliore posizione militare possibile per restare vivi nel confronto coi russi, anche se ovviamente tutto ciò al prezzo di migliaia di vittime e distruzione materiale. Sempre meglio che capitolare però. E non si svalutino i vantaggi di esser finanziato ed armato gratuitamente per anni per il duro lavoro che si compirà.
Quindi c’è un aggredito disponibile a continuare il suo ruolo per anni senza arrendersi, su questo il sistema a guida americana investirà per far fallire i russi se non provocare il fatale “regime change”, il tutto imporrà direttamente ed indirettamente la riduzione della transizione di complessità al multipolare in un comodo bipolare dalle mille frizioni periferiche su tanti tavoli (commerciali, economici, finanziari, sanzionatori, giuridici, multilateriali, di scambio scientifico e tecnologico etc.). Non ci sarà un confronto diretto tra Occidente e Multipolari ma uno scontro prolungato in via indiretta in cui i primi faranno pagare prezzi salati a tutti coloro che insistono nelle loro mire di contro-potenza. Tra l’altro, da una parte c’è un sistema con un chiaro leader forte e potente (USA), dall’altra un sistema vago con molti leader tra loro anche in competizione reciproca in altri confronti regionali. Così va letto l’incontro sino-indiano di cui parlammo ieri. Il “divide et impera” è tutto a favore dei primi, o quasi.
A questo punto, molte sono le conseguenze in analisi sui vari formati del triplice conflitto e di più le possibili previsioni sugli sviluppi futuri. Per ridurre l’incertezza derivata dalle troppe variabili e reciproche non lineari interrelazioni, sarebbe utile capire la strategia russa. Ma in questa guerra non sappiamo davvero quale essa sia. Su questo ha giocato l’esercito dei commentatori il cui ruolo è quello di razionalizzare gli eventi dando ai grandi pubblici la propria visione dei fatti, stante che pure i fatti non li conosce davvero nessuno visto che non c’è alcuna terza parte sul campo a testimoniarli. Ma su questo ha giocato anche Mosca. Solo quando Mosca dirà “per noi va bene così” congelando il conflitto allo stato delle cose che saranno sul campo a quel momento, si capirà come intendono giocarsi questa partita che è ormai chiara a tutti, loro compresi, anzi forse a loro chiara prima ancora di iniziarla.
Il c.d. “conflitto congelato” che ormai pare l’unica prossima possibile tappa di ciò che vediamo e sentiamo ruotare intorno agli eventi, che caratteristiche avrà? Qui, per la prima volta da quando è iniziata questa storia, tentiamo l’ipotesi in quanto abbiamo un mese di fatti, dichiarazioni, azioni alle spalle, sebbene ancora molta nebbia davanti. L’Ucraina rimarrà a tutti gli effetti uno stato legittimo e sovrano, ma in guerra. Come tale non potrà comunque esser accettato nella NATO a meno che gli europei non vogliano firmare la loro nuclearizzazione, cosa da escludere con sicurezza. Da parte russa, quindi, per “congelare” operativamente il conflitto sul campo, occorrerà trovare la migliore posizione logistica. Infatti, se i russi avranno interesse a portare il conflitto a bassa intensità per lungo tempo visto che non potranno far altro perché gli è imposto dal vero nemico che è a Washington e non certo a Kiev, debbono mettersi un una postura difendibile al minimo prezzo visto che gli ucraini super-armati ed i loro interessati sponsor, non desisteranno mai.
Non potendo mai avere un impegno da parte di Kiev sull’obiettivo no-NATO anche se è impedito di fatto, un riconoscimento delle due repubbliche e del dato di fatto della Crimea, avendo sostanzialmente degradato la forza militare avversaria a livello infrastrutturale ed avendo probabilmente eliminato le punte più belliche e ideologiche (di cui non conoscevamo l’anima nazi-kantiana) che hanno condotto il lungo conflitto del Donbass in questi anni, Mosca dovrà attestarsi alla posizione più difendibile.
Questa è ovviamente il Dnepr. A destra del Dnepr c’è l’Ucraina gradatamente più industriale, russofona ed in parte russofila, a sinistra del Dnepr il contrario. In più a sinistra del Dnepr, il territorio si farebbe sempre più infido per i russi, i prezzi di vite umane, militari e civili, insostenibili, la vicinanza all’area NATO da evitare. Un chiaro “over streetching”. Quanto al Dnepr, basterà far saltare tutti ponti non tra i principali e presidiare questi per abbassare di molto l’impegno bellico prolungato. Si chiama “geo-politica” perché la geografia conta ed i fiumi sono una componente fondamentale come già avvenne da queste parti nella IIWW con la “linea Stalin”. Quanto alle coste, inglobato il Mar d’Azov come lago interno lo spazio russo, consolidato il collegamento con la Crimea, guadagnato molti chilometri di confine verso ovest, rimarrà in questione Odessa. Odessa ed il suo antistante, sarà forse il fronte più attivo nella lunga guerra di posizione e logoramento futura. Vitale tenerla per gli ucraini, vitale per i russi impedirglielo quanto più possibile, anche isolandola di fatto via mare.
Infine, se il tempo sostiene la strategia americana nei due altri livelli di conflitto, su questo livello base su cui gli altri due si poggiano, c’è un punto a sfavore del fronte occidentale. Per quanto stressati, punzecchiati in altri teatri, sanzionati ed in parte isolati, i russi hanno più riserva degli ucraini, qui conta la semplice demografia. Va bene i dollari e le armi, ma alla fine il collo di bottiglia sono gli uomini che possono combattere. Come mostrano i recenti bombardamenti logistici a Ivano-Frankivsi’k e Leopoli, per quanto “congelato” al fronte, il conflitto potrebbe prevedere comunque un continuo sabotaggio russo del flusso logistico di rifornimento ucraino.
Ma non è affatto detto che andrà così. Come detto, i russi si sono tenuti coperta la variabile “intenzioni” aggiungendo già dai primi giorni, l’avvertenza che se la strategia generale era fissa, la sua applicazione sul campo sarebbe stata variabile visto che le guerre si fanno in due. Quindi, l’ipotesi (che per altro non è mia, ma fatta da altri ed anche tempo fa e sulla quale, per la verità, avevo espresso errate perplessità) è plausibile, ma solo gli eventi ci diranno se diventerà fatto o meno ed a che condizioni, prezzi, ripercussioni dirette ed indirette, anche per noi italiani ed europei.

UCRAINA AXIS MUNDI, di Pierluigi Fagan

UCRAINA AXIS MUNDI.

Nel suo discorso alla nazione in cui spiegava le ragioni del ritiro dopo venti anni dalla guerra in Afghanistan, Biden condensò la ragione dicendo che gli Stati Uniti non dovevano più esaurirsi nel gestire i problemi del 2001 (11 settembre), perché dovevano concentrarsi su quelli del 2021. Diede solo un sintetico ragguaglio su questo nuovo scenario: Russia e Cina.

La Russia è il principale competitor militare degli USA sebbene tra i due ci sia una certa distanza in termini di complessiva forza militare, la supposta “parità atomica” funge da deterrente a scalare i pioli di un possibile conflitto diretto. Abbiamo detto “supposta” parità atomica perché se in termini di testate è certa, in termini di capacità di lancio ed intercetto nessuno può sapere davvero come stanno le cose. Non foss’altro perché i sistemi d’arma spaziali (satelliti) sfuggono ad ogni reale rilevazione da parte degli analisti che si occupano di queste cose. L’aggiornamento dell’arsenale nucleare è stato, con qualche zigzag, praticamente costante negli ultimi settanta anni. La ricerca della preminenza ipotetica che sarebbe la facoltà di un “first strike” annichilente o la ricerca sul come annichilire la risposta avversaria, sono fini in sé. Lo sono per alimentare in continuità il sistema “ricerca e produzione” in un campo che altrimenti non consuma mai il suo prodotto. Lo sono per il fall out tecnologico che questa ricerca produce, fall out che può riversarsi non solo sul campo militare. Lo sono perché obbliga lo e gli avversari a sfinirsi in una continua distrazione di ricchezza su investimenti militari e non civili. Sebbene sia sbagliato dare a questa ultima dinamica ruoli eccessivi, nelle analisi sui perché del crollo sovietico, c’è stata anche una sottolineatura di come questa continua riconcorsa abbia fiaccato -nel tempo- l’economia sovietica, in molte analisi dei principali studiosi in materia. Questa strategia di “costo di potenza”, per ragioni di potenza economica complessiva, ma anche per ragioni di aspirazione di capitali da tutto il mondo tramite il sistema titoli di Stato – dollaro, pone gli USA in una posizione di vantaggio ancora incolmabile. E’ come giocare a poker contro un miliardario, perderete sempre perché lui dà un valore al denaro diverso dal vostro avendone incomparabilmente di più. Quello che non ha glielo presta il resto del mondo perché il Treasury Bond è il bene rifugio principale.

La Cina è il principale competitor, anzi l’unico, sul piano economico. Stimata precedentemente al 2028 la raggiunta parità di Pil tra i due giganti, quando oggi la Cina fa ancora solo tre quarti del Pil americano, le incertezze strategiche economiche americane unite ai due anni di pandemia, hanno fatto temere un pareggio anche più anticipato. Tale pareggio è solo una cifra, è la rete delle conseguenze complesse il problema.

Si consideri l’effetto sistemico di queste competizioni. La Russia ha contrastato l’operazione Siria dietro a cui c’era l’interesse strategico anglo-americano (ed una complessa faccenda di condutture di gas verso l’Europa). E’ entrata nel teatro libico sostenendo la parte avversaria quella promossa da Washington, sta penetrando il Sahel ed è variamente presente in Africa, esporta armamenti a piene mani in India, dà talvolta sponda all’Iran. Quindi al di là del confronto diretto tra le due potenze atomiche, c’è anche questo più ampio scenario mondo. Fiaccare la Russia non è solo l’obiettivo della competizione diretta è anche e soprattutto il poter aver mani libere nell’utilizzo della variabile militare sul tavolo-Mondo. Fiaccare la Russia ma sperabilmente anche promuovere un regime change in favore di un regime più liberale ovvero conforme il gioco dominato dagli USA.

La Cina poi, ha evidente strategia-Mondo nel suo sviluppo infrastrutturale delle varie Vie della Seta. Tale ragnatela, si arborizza da tempo in Asia, Africa e financo Sud America, ha una attenzione particolare al Medio Oriente anche per via della fame energetica cinese, mentre da tempo cerca di penetrare il boccone prelibato ovvero l’Europa. In questo campo di gioco gli Stati Uniti hanno una certa difficoltà strategica. La unità e potenza d’azione dello stato cinese è molto più efficiente della potenza d’azione indiretta americana tramite vari domini di mercato ed istituzioni finanziarie come World Bank e Fondo Monetario Internazionale. I cinesi premettono al loro andare in giro per il mondo a fare affari, il totale agnosticismo rispetto a come il partner si organizza politicamente o economicamente al suo interno, lo trattano da “pari a pari” sebbene solo dal punto di vista politico e culturale. Gli americani invece, oltre ad avere meno potenza finanziaria diretta da investire nel comprare amicizia geopolitica tramite la geoeconomia, vincolano i partner ad affiliarsi a forme di “democrazie di mercato”, nonché vari obblighi a formare l’attività economica secondo vari principi della loro teoria di mercato. L’espressione “democrazia di mercato” dice che poiché gli USA dominano il mercato, son così in grado di gestire la politica di un Paese (almeno ciò che a loro interessa) che, come involucro, rimane formalmente una “democrazia”.

Ieri Lavrov, il ministro degli esteri russo, ha detto a chiare lettere che il problema della pace con l’Ucraina non passa solo dalle relazioni e competizioni tra russi e ucraini, ma tra russi ed americani, via ucraini. Per questo, al di là dei nostri sospiri speranzosi sui passi in avanti delle trattative, toccherà rassegnarsi a tempi medio-lunghi. In realtà gli americani non hanno alcuna fretta a chiudere la partita, anzi. Hanno già ottenuto vari punti segnati dal comportamento stesso dei russi che “non avevano alternative” come recita Putin, ma si può ancora ottenere di più. Incluso portare lo scontro a livelli tali da obbligare la Cina a dover scegliere da che parte stare. Costo alto per i cinesi che se da vari punti di sistema delle alleanze e condivisione degli obiettivi strategici generali quali la promozione di un nuovo ordine multipolare sono alleati di fatto dei russi, dall’altra temono di esser trascinati nell’angolo degli ostracizzati in cui gli americani sono riusciti a ficcare i russi che da questo punto di vista, la partita l’hanno già in buona parte persa.

Altro risultato già ottenuto dagli americani è stato il riaccorpamento integrale dei coriandoli europei al proprio dominio geopolitico, la rottura -irreversibile per lungo tempo futuro- di importanti relazioni commerciali tra Europa e Russia oltre a quelle tra Europa e Cina che verranno curate in seguito. Hanno inoltre ottenuto la, già richiesta invano da Trump, maggior contribuzione alle spese militari della comune alleanza nonché i proventi della vendita delle armi americane all’Europa a seguito di questi spesa militare incrementata. Ma tutto ciò verrà più chiaramente saldato in un molto probabile nuovo trattato commerciale sulle basi dell’ex TTIP poi abbandonato, che farà dall’Occidente a guida USA un sistema omogeneo macro-regionale che sarà la forma della nuova globalizzazione multipolare. Tramite questo nuovo sistema che racchiuderà in sé più del 50% del Pil mondiale (assieme a UK, oceanici e Canada), gli Stati Uniti potranno giocare la competizione con la Cina da rinnovata posizione di forza al di là del Pil specifico. Intorno al Nuovo Sistema Occidentale, andranno poi a collocarsi i partner privilegiati come il Giappone, la Corea del Sud, il Messico e Centro America, nonché tutti quelli che ambiguamente flirtano coi cinesi o coi russi come l’India o gli undici paesi ASEAN a cui verrà progressivamente richiesto da che parte stanno.

Tutto questo che non ha nulla di strano se non per chi è digiuno di questo tavolo del gioco di tutti i giochi a cui in questi giorni accede come spettatore con la testa piena di valori impalpabili senza rendersi conto di come la grammatica di questo gioco sia tremendamente seria, concreta e basata su valori palpabili e tremendamente materiali nonché del tutto amorali. Tutto ciò spiega molte cose del “film di guerra” trasmesso h24 dalle emittenti del racconto del mondo.

Ecco perché sono 3 miliardi i dollari in armamenti e formazione militare investiti fino al 2021 dagli USA in favore dell’Ucraina, ecco perché -anche solo prendendo le recenti notizie del Washington Post- l’impegno americano in Ucraina già dallo scorso dicembre (sono svariati anni in realtà) nel mentre Mosca provava inutilmente a chiedere un tavolo di trattiva di sicurezza con gli USA-NATO, ecco perché gli USA hanno stanziato l’altro ieri 13,6 miliardi di dollari per l’Ucraina con un in più di un altro miliardo d’armi pesanti (con sovralimentazione del proprio ipertrofico complesso militar-industriale) nella sola ultima settimana. Ed ecco perché l’urto catastrofico dei profughi per loro non è un problema mentre lo sarà per gli europei ed ecco anche perché a gli USA, il terremoto planetario i cui effetti molti fanno ancora fatica a scorgere, per loro sarà uno splendido affare.

Gli USA sono potenzialmente l’unica potenza semi-autarchica. Per più di un terzo fanno import-export limitrofo (Canada e Messico), poi c’è l’Europa, poi tutti gli altri in ordine sparso. Con la Cina possono giocare da rinnovate posizioni di forza e se pure dovranno fare qualche sacrificio in termini di import, ne beneficerà la bilancia commerciale, oltretutto spingendo la ripresa industriale interna. Ma lì dove gli USA sono più imperturbabili sono le materie prime. Praticamente autonomi per energia, grano, olii, fertilizzanti ed in parte dei minerali, possono lasciare il resto del mondo precipitare nel buco nero della già paventata “carestia” un concetto medioevale di cui non sentivamo parlare da secoli e che è oggi ben paventato da ONU e FMI. Carestia porta disordine sociale e politico, il temuto Grande Caos in cui il mondo complesso rischia di precipitare in una ragnatela di effetti farfalla con feedback non lineari che è ininfluente per chi sta su una isola (continentale) protetta da due oceani e con l’essenziale stipato in cantina.

Per tutto questo Biden non ha nessuna intenzione di alzare il telefono per invitare Putin al “diamoci una calmata”. La strategia è del tipo “tanto peggio, tanto meglio”. Si valuterà nei prossimi tempi anche le onde telluriche che investiranno le organizzazioni multilaterali, tra cui l’ONU ed il Consiglio di sicurezza.

Alcuni si sono irritati e sorpresi dai miei recenti toni con cui ho trattato Zelensky. Chiunque abbia avuto esperienze di marketing e pubblicità non potrà non notare come tutta la narrazione Zelensky ricalchi in tutta evidenza una chiara strategia. Forse questa affermazione risulterà infondata ai più, ma io ho lavorato in quel campo per due decenni e passa, diciamo ad alti livelli prima di lasciare tutto e convertirmi allo studio, con una specializzazione professionale specifica proprio in strategie di marketing e comunicazione. Non c’è alcuna possibilità di sostenere il contrario, credetemi, la mia non è una convinzione politica è meramente una constatazione tecnica. Zelensky è il testimonial (bravissimo) di una strategia di comunicazione (abilissima e molto professionale) che presuppone un abilissimo team che ne cura immagine e testi, team ovviamente non ucraino. Ma è anche un PR con un altro team che gli apre porte di parlamenti, interventi nelle piazze pacifiste, interviste, servizi copertina e da ultimo anche merchandising e tutto il noto sistema che accompagna il format “rivoluzioni colorate”. E chi lo dirige gestisce anche le sue relazioni internazionali, l’amicizia con i Trimarium in funzione anti-UE, gli attacchi a Germania e qualche volta Israele, l’ambiguo rapporto con la Turchia che sta nella NATO tanto quanto si bilancia con la Russia e molto altro. O mi volete dire che un comico ucraino in politica da tre anni con un Paese al 133° posto per Pil, è in grado di far tutto questo da solo o con un gruppo di amici?

Ogni giorno concede qualcosa facendo respirare gli animi pacifisti e ragionevoli, un minuto dopo fa marcia indietro. Ogni giorno alza la posta paranoica contro l’inumanità russa (che è per molti versi obiettiva), poi chiede più armi, più soldi, più riconoscimento e più odio per il nemico. Ogni giorno noi non abbiamo alcuna informazione terza sui teatri di guerra, ma abbiamo cori di esperti che fanno sperare: “i russi sono impantanati”, “i russi cedono psicologicamente”, “i russi stanno preparando attacchi biochimici ed atomici (quando queste sono pari accuse fatte dai russi nei loro confronti). Non vediamo i militari russi, non vediamo i militari ucraini, vediamo solo immagini ucraine e sentiamo solo comunicati ucraini. Se c’è speranza c’è in invio d’armi e tutto il circuito si rilancia. Ogni giorno gli europei vanno incontro a questo tsunami emotivo terrorizzante spinti da dirette h24 gestite da professionisti della comunicazione che non hanno mai un dubbio, un’alzata di sopracciglio, un possibile ricordo del necessario bilanciamento quando si stratta di comunicazione di guerra. Così i popoli, così i loro intellettuali principali, così i partiti annichiliti. Questa strategia è basica, si chiama “push&pull”. Granelli di sabbia in questa abbondante vasellina che osano finire le frasi col punto interrogativo, sono subito coperti di ignominia ed ostracizzati.

Qui abbiamo ricordato a sommi capi solo dati ufficiali, noti, non discutibili. Così per discorsi fatti negli ultimi anni da tutti gli osservatori geopolitici e di relazioni internazionali che sono le discipline che trattano il campo. A molti risulteranno strani, ma ciò è dovuto all’ignoranza di questo livello del gioco del mondo. Qui non c’è alcun complotto come molti pensano o pensano di quelli che dicono queste cose. A questo livello si chiamano semplicemente strategie e sono la norma per i giocatori di questo gioco. Non c’è nulla di strano, l’unica cosa strana è domandarvi perché non vi avete mai prestato attenzione. Forse credevate che l’agenda del mondo fosse Salvini, o le teorie economiche, o le baruffe culturali. Ma quelli sono solo i giochi, questo è il gioco di tutti i giochi.

E tenete conto che se ad alcuni farà ribrezzo e se ad alcuni altri non piacerà tutto questo, ad altri invece non fa alcun ribrezzo e piace perché convinti della giustezza di questa strategia. Infatti, essa va solo giudicata secondo il “cosa ci converrebbe fare dal punto di vista del nostro interesse”, su cui si possono avere legittime opinioni avversarie, per quanto non sia poi così ben visto un liberale dibattito in merito. Vi spingono a forza a pensare del Bene e del Male, ma da quando mondo è mondo in questi giochi vige solo il “mi conviene – non mi conviene”. Ed in certi casi come l’Italia, non c’è neanche il dubbio, semplicemente non c’è alternativa.

La guerra in Ucraina è l’asse intorno al quale gli Stati Uniti d’America intendono giocarsi una rischiosa ma ben pensata ed obiettivamente molto promettente partita per contrastare l’avvento dell’ordine multipolare che farebbe delle potenze isolane, tutte anglosassoni, dei potenzialmente se non isolati, decisamente ridimensionati. Forse non sarà l’ultima partita, ma è senz’altro un ottimo “buying time”. Ad occhio e croce, penso valga almeno dieci anni di tempo comprato. Sempre che continui ad andare secondo i piani. Complimenti a chi l’ha pensata, chapeau. A tutti gli altri: in bocca al lupo!

https://pierluigifagan.wordpress.com/2022/03/17/ucraina-axis-mundi/

GUERRA ALLA COMPLESSITA’, di pierluigi fagan

GUERRA ALLA COMPLESSITA’.

Si è formalizzato ieri, su alcuni giornali italiani, il fronte di guerra alla complessità. Non che ieri sia nato, non è mai “nato”, c’è sempre stato, noi viviamo in un universo mentale semplificato, da sempre. Né ieri si è manifestata la sua discesa in campo per la conquista dei cuori e delle menti relativamente all’orientamento delle pubbliche opinioni rispetto alla guerra in Ucraina. Sono ventuno giorni che domina indisturbato. Ieri ha solo attaccato coloro che avanzano riserve su questo dominio del semplificato.

Di sua prima base, il complesso deriva dal suo etimo: intrecciato assieme. Tante e diverse variabili tra loro interrelate (relate a due vie) fanno sistemi complessi. Poche variabili, poche interrelazioni, poco complesso. Tante variabili, tante interrelazioni, molto complesso. In mezzo varie gradazioni. Nel complesso si osserva un oggetto o un fenomeno assieme al contesto. Infine, si cerca di risalire alla matassa intrecciate di cause che l’hanno preceduto. Questo di prima base poi c’è molto altro.

Semplificando, invece, si possono ridurre le variabili e le interrelazioni a proprio piacimento. Si può ridurre il problema del potere in Russia il cui studio impegna una manciata di studiosi da anni ad un singolo pazzo, ex-KGB, omofobo e violento. La Russia non è una potenza con 6000 ordigni nucleari assisa al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, è solo uno stato canaglia a capo dell’Impero del Male. O elevare un comico finanziato chissà da chi in uno Stato-Mafia a Churchill. Infine, potrete isolare un fatto nel mentre si compie ignorando ciò che magari anche voi stessi avete fatto, consapevolmente o meno, per generarlo.

I semplificatori operano una distrazione logica. Presuppongono che l’oggetto del discorso sia la condanna dell’invasione russa, ma non si capisce contro chi facciano questa guerra. Chi giustifica o non condanna ciò che è successo secondo l’ovvio ed universale principio dell’inviolabilità dei confini di uno Stato da parte di un altro, armato? A parte Luttwak e qualche Stranamore americano che in questi decenni hanno spinto a varie guerre umanitarie, democratiche e liberanti, Saddam che invadeva il Kuwait e poco altro, non mi pare di vedere queste masse di teorici della guerra giusta. E comunque non li ho visti nel caso ucraino. Li ho visti invece nel campo dei semplificatori, soprattutto americani, negli ultimi decenni semmai. Allora con chi ce l’hanno?

Ce l’hanno con coloro che cercano di mettere nel ragionamento tutte le variabili e tutte le interrelazioni, di valutare il contesto, di includere i processi di causazione di lunga e media durata. Questi perplessi lo fanno per sovvertire il giudizio sul principio di inviolabilità dei confini sovrani da parte di un nemico armato? No di certo. Cercano solo di capire come siamo finiti in un dato fatto, perché e come si è prodotto, per capire come comportarsi e soprattutto come se ne esce. Ed in genere, è capendo come ci sei entrato che trovi il modo di uscirne.

I semplificatori vogliono solo inchiodarti alla condanna del fatto, i complessificatori non hanno alcun problema a condannare il fatto, si pongono tutt’altro problema: capire e risolvere.

Un padre che ha un figlio drogato certo non sta facendo una crociata per giustificare eroina libera per tutti quando cerca di capire come è arrivato lì e soprattutto come può aiutarlo ad uscirne, no? Una intera disciplina, la sociologia, analizza i fatti sociali più disturbanti non certo per giustificarli ma al contrario per conoscerne le cause di modo da contenerli se non evitarli. Se diciamo che povertà e disagio sono condizioni di possibilità per la delinquenza per questo stiamo dicendo di non fare i processi ai delinquenti? Così la psicologia. Ma a ben vedere anche la biologia. Se curiamo i cirrosi epatici è per incentivarli a tracannare all’infinito?

Quando Hanna Arendt seguiva il processo Eichmann per il New Yorker cercando di capire la natura dal Male e giungendo infine alla convinzione che l’origine di quel Male era in sostanza l’inconsapevolezza delle proprie singole azioni poste in processi più ampi di cui non si aveva o voleva avere consapevolezza, stava con ciò giustificando l’Olocausto? Nel rilevare la stupidità del Male o forse il come la stupidità porta al Male, stava giustificando il Male? Stava dando il destro all’assolvimento degli stupratori perché provocati dalla portatrice di minigonna come secondo un certo Gramellini fanno coloro che cercano di capire cause ed antefatti della guerra attuale? Forse Arendt chiese di assolvere Eichmann? O di giustificare lo sterminio nazista nei confronti della sua stessa origine ebraica?

Viene allora il dubbio che questi crociati contro la complessità dei fatti, vogliano loro giustificare qualcosa. Ma cosa? Sembra che vogliano partecipare alla costruzione di un unico e forte sentimento di condanna senza altre distrazioni per forzare ad una unica reazione attiva. Praticamente lo stimolo-risposta di Skinner. E lo fanno infrangendo la Legge di Hume per il quale da un com’è non consegue per forza il come dovrebbe essere, da una descrizione non consegue una prescrizione. Invece dall’ovvia, lampante ed indubitabile osservazione che qui c’è un aggressore ed un aggredito, conseguono in logica prescrizione vari assunti. Perché non mandiamo più armi in Ucraina? Perché non andiamo lì ad impicciarci della contesa che c’è da anni anche se ci siamo svegliati tre settimane fa e ne sappiamo dal nulla al niente? Perché non ignoriamo le conseguenze immediate e quelle future di quello che sta accadendo? Perché non proteggiamo a qualunque costo l’aggredito dall’aggressore a costo di iniziare una escalation che potrebbe portare a cose che neanche vogliamo nominare? Perché è il non averlo fatto per tempo ottanta anni fa che portò ad Eichmann, dicono.

I semplificatori forse hanno similarità con Eichmann sebbene vaneggino di un nuovo Hitler, neo-zarista ed intrinsecamente sovietico abusando delle scorciatoie logiche dell’analogia per cui le pere sono la stessa cosa delle mele dal momento che entrambe sono “frutta”. Anche lì, il colpevole diceva che lui era teso solo ad occuparsi col il massimo di perizia ingegneristica ad un problema logistico. A lui arrivavano solo input e la sua etica del lavoro gli imponeva di occuparsi solo dell’output. Ignorava cause e conseguenze, contesti, processi causativi più ampi del suo singolo specifico. L’essere il Male derivava da questa sua ostinata semplificazione. La Banalità del Male è appunto la banale semplificazione.

Così la banalità del Male, pensando di fare il Bene, attacca coloro che cercano di evitare si compia ancora più male. Lupi travestiti da agnelli scrivono su i fogli degli Agnelli, dicendo che gli agnelli sono i lupi. Ma che cosa pretendi nello scrivere queste cose, che chi usa la stupidità a fin di Male capisca che l’essenza del Male è assenza di comprensione complessa? Ma se lo capissero non sarebbero così stupidi no? Tagliamo le ali al pensiero così istituiremo la no-fly-zone per l’intelligenza e l’onestà intellettuale. Non ci distraiamo, siamo in guerra e come si dice in questi frangenti: à la guerre comme à la guerre…

https://pierluigifagan.wordpress.com/2022/03/16/guerra-alla-complessita/

LA PRIMAVERA EUROPEA, di pierluigi fagan

LA PRIMAVERA EUROPEA.

Sembrerebbe che lo schema delle “primavere di popolo” con cui gli americani hanno cercato di pilotare eventi politici nel mondo arabo, poi Ucraina ai tempi di piazza Maidan, Hong Kong, abbia oggi messo nel mirino un obiettivo davvero impegnativo: l’Europa. Codice colore: giallo e blu.

Nel breve di una giornata all’inizio del conflitto russo-ucraino, tedeschi, francesi, italiani sono passati da un certo sconcerto di contro-piede per quanto stava facendo la Russia, stato di sconcerto che però non prevedeva affatto di rinunciare ai propri interessi, all’allineamento unanime sanzionatorio. Non discuto la logica sanzionatoria, quello che mi ha colpito è la velocità e totalità dell’improvvisa polarizzazione. Può darsi io sia viziato dalla logica realista che si basa su analisi degli interessi razionalmente perseguiti e non capisca come l’enormità di ciò che hanno fatto i russi possa sollevare animi e coscienze. Può darsi. Però da quanto a mia conoscenza è difficile spiegare come il ministro Franco esca dall’Ecofin dicendo che non se ne parlava proprio di escludere la Russia dal SWIFT o Scholz diceva che certo non si poteva toccare il Nord Stream 2 e poche ore dopo la Russia veniva esclusa dallo SWIFT e il Nord Stream diventava “un pezzo di metallo in fondo al mare” come trionfante celebrava la Nuland.

Già, la Nuland, quella di “fuck the UE” ai tempi della rivolta di piazza Maidan nel 2014, la rivoluzione arancione ucraina. La moglie di Robert Kagan, lo storico e politologo neo-con che si definisce “liberale interventista”, lascia il partito repubblicano e diventa un sostenitore della Clinton, scrive nel 2017 che la Terza guerra mondiale avverrà per contrastare l’espansionismo russo e cinese. Ci si potrebbe scrivere un intero post su Kagan, andatevi a fare una ricerchina su Google.

Ad ogni modo, ripeto, non discuto le posizioni politiche improvvisamente prese dall’UE, mi lascia perplesso quel “improvvisamente”. Gente notoriamente indecisa su tutto ed il contrario di tutto, trova magicamente l’allineamento in un pomeriggio. Curioso.

Su Zelensky abbiamo già scritto anche troppo. Rilevo solo come il suo ufficio propaganda abbia l’invidiabile capacità di muoversi come una struttura di levatura globale. Lancia messaggi ai parlamenti europei, va in diretta nelle piazze europee che manifestano contro la Russia, sono impegnati ora in una contrastata trattativa con gli israeliani che gli vogliono negare il discorso al proprio parlamento, chissà perché. Ieri Repubblica ha pubblicato in video inquietante della propaganda che ci dicono ucraina pensando noi si sia scemi. Con effetti speciali hollywoodiani che nessuna post produzione di Kiev sarebbe in grado di produrre, le scene mostrano Parigi sotto bombardamento. Molto realistico e “catastrophic-movie” con alla fine la domanda del perché i francesi non consentono alla NATO di imporre la no-fly-zone sull’Ucraina. Ieri Repubblica dava notizia della prima manifestazione europea in favore della no-fly-zone a Londra, convocata da una sedicente neonata organizzazione “London Euromaidan”, sembra un format, no?

Sono diciassette giorni che Zelensky, tutti i giorni, più volte al giorno, come un disco rotto, reclama la no-fly-zone, finora negata ma quanto a lungo resisteremo all’indignazione? Il tutto in un crescendo di insopportabilità: bambini straziati, centrali atomiche con perdite, crimini di guerra, inumanità, armi chimiche e batteriologiche, sindaci torturati, fosse comuni poi arriveranno i campi di concentramento in Siberia, mentre l’Armata Rossa minaccia di invadere casa vostra. E quando ci sarà l’incidente nucleare per colpa russa, che sono giorni che viene annunciato? O quello biochimico? Sarete ancora contro la no-fly-zone allora?

Impressionante anche il perfetto allineamento dei giornalisti. Anche qui, in men che non si dica, gente anche posata e non incline all’estremismo per quanto di note simpatie politiche chiaramente atlantiste, simpatie ed interessi, è diventato un campo magnetico orientato alla perfezione, quasi coordinato, improvvisamente. In tutta Europa, ora vige la logica del 1914 che Canfora ieri ricordava con un certo sconcerto. Superato poi dallo sconcerto di vedere Rampini evidentemente alterato che gli intimava di non dire sciocchezze perché Canfora era solo un “provinciale” (!).

Nella primavera del 1914, tutta Europa era sulle tiepide e fiorite ali della Belle Epoque, in pochi mesi precipitò nell’incubo. Persone che si stimavano e forse anche si volevano bene, si ritrovarono improvvisamente ostili l’un vero l’altra, l’uno improvvisamente preso dal virus bellico, l’altra perplessa e sconcertata. Paralizzati ad argomentare contro la potenza chiarificatrice dello slogan urlato. Lo sconcerto durò poco anche perché s’imposero forme di ostracismo sociale per via culturale a tutti coloro che non vibravano all’irresistibile richiamo della giusta guerra. In questi giorni, avrete notato le liste di proscrizione per i “filo-Putin”, l’aggressività bavosa dei pitbull mediatici, il bombardamento h24 che rilancia i comunicati delle Zelensky&Partners, il totale oscuramento della “voce del nemico”. Tutto ciò è già percolato nella mentalità di massa.

C’è un potere assoluto del discorso unico e Lord Acton ricordava che se il potere corrompe, il potere assoluto corrompeva assolutamente. Per questo Montesquieu promosse la suddivisione e pluralità dei poteri perché ogni tesi deve esser mitigata dalla sua antitesi, altrimenti diventa dogma. Ma i liberali reali sono spariti di colpo, ora ci sono solo liberali interventisti, aggressivi, mono-maniaci, i liberali idealisti. Ogni disastro storico è stato fatto sulle ali di un idealismo non temperato dal realismo. Tipo convincersi di essere una civiltà superiore. Son quelli del “c’è un aggredito ed un aggressore”, come se fossimo stupidi e non ce ne fossimo accorti o fossimo deviati dalla propaganda russa che semplicemente è stata silenziata su ogni possibile canale, a meno di non leggersi la TASS su twitter in cirillico. Il motore che portò quella primavera nel buco nero dell’estate e successivi anni del 1914 fu proprio l’imposizione di questa logica, la logica dicotomica che prende un frame del processo della realtà che è storica, lo schiaccia sull’attualità e ti chiede di scegliere tra A o B e non ti azzardare a fare sofistica da terza posizione. Il campo semantico è tracciato se non sei dentro sei ostracizzato e non hai voce, non sai neanche quanti sono indisponibili a finire in quel campo, sei un isolato e quindi è meglio rinchiudersi nel tuo disagiato silenzio privato. Noi qui diamo voce a quel disagio affinché non rimanga privato.

Come ho avuto modi di dirvi i primi giorni, io mi occupo per lo più di mondo e complessità, il mio interesse per la geopolitica deriva da ciò ma non copre tutto l’argomento che è più vasto e complesso. Tuttavia, negli anni, mi sono più volte interessato a questioni geopolitiche. Prima che razionalmente, già dal secondo giorno dopo il 24 febbraio ho “sentito” che qualcosa non era normale. Era una sensazione data proprio da questa reazione pubblica che sembrava troppo pronta, troppo unanime, troppo svelta, troppo organizzata lì dove le complessità della politica e del pubblico dibattito normale ha sempre reso i processi di reazione lenti, contradditori, complicati. Le cose in quei campi non hanno mai funzionato così e sebbene l’eccezionalità degli eventi porti a dover considerare l’accelerazione, ciò non giustifica del tutto ciò che è successo, come è successo, perché è successo. Per questo ho smesso i miei panni naturali di studioso distaccato e ho sentito necessità di scendere in strada a combattere con l’uso della ragione in pubblico.

Poco fa ho letto un articolo dello stimato sito di analisi politica americana “Politico”. Era un articolo inusuale, un vero e proprio killeraggio contro Macron e questo sua “ostinazione” a continuare a telefonare a Putin. Ho anche letto sul JPost israeliano la Nuland “che ha messo in guardia Gerusalemme dall’essere un rifugio per “denaro sporco” mentre si dice di un nervoso Biden che impone a Tel Aviv di unirsi alle “democrazie combattenti” elevando più serie sanzioni a Mosca, sbrigandosi ad inviare armi letali in Ucraina assieme a tutti gli altri. Il tutto mentre ministri e funzionari ucraini attaccano questa incertezza o diverso punto di vista israeliano neanche fossero diventati i padroni del mondo politico occidentale. Attaccare gli israeliani non è cosa facile, chi segue queste cose sa di cosa parlo.

Orami siamo circondati da gente aggressiva che ci tiene a farti sapere quanto fai umanamente schifo perché non ti unisci al coro del Grande Sdegno Morale o meglio, preso atto che ovviamente anche tu ritieni inaccettabile la violazione del principio di inviolabilità dei confini con forze armate, fai schifo perché non ti fermi lì. Perché ti fai domande su come siamo finiti in questo pasticcio, come finirà, quali saranno le conseguenze, cosa significa dopo ottanta anni vedere in televisione gente che parla di bombe atomiche come fossero bombe alla crema, con la stessa acquolina nella mente. La Bomba è d’improvviso il “new normal”. London Maidan, non si fanno manifestazioni per chiedere al Governo britannico perché ha preso solo decine di rifugiati quando noi ne abbiamo preso 35.000, no! si va in piazza a chiedere la no-fly-zone per l’Ucraina.

Sudeti, valori delle Resistenza, Guerra civile spagnola, fioccano le analogie a sproposito per eccitare gli animi e sguinzagliare i mastini del nuovo movimento giallo-blu per la guerra al novello Hitler. Ve l’ho detto, tutto ciò m’inquieta, tutto ciò è molto meno normale di quanto comincia a sembrarci.

L’obiettivo non è solo l’Europa, l’obiettivo è rifare il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, cacciare Russia e Cina, imporre l’ordine economico e finanziario americano, affinché il 4,5% della popolazione mondiale o meglio una sua élite, possa tramite la sua egemonia benevolente, prorogare il dominio che i neo-con americani della “rivoluzione permanente” hanno già intitolato nel 1997 come il loro condensato strategico: The New American Century.

Con le buone o con le cattive. A qualsiasi prezzo. Anche quello che fino a due settimane fa e per ottanta anni è stato l’impensabile.

https://pierluigifagan.wordpress.com/2022/03/13/la-primavera-europea/

Guerra e politica, di Pierluigi Fagan

LA POLITICA È LA GUERRA CONDOTTA CON ALTRI MEZZI. Il generale Fabio Mini, ex capo di stato maggiore del comando NATO per il sud Europa ed autore di vari libri, tra cui uno dal titolo “Perché siamo così ipocriti sulla guerra?”, ieri commentava i fatti in un programma televisivo.
Chiamato inizialmente ad esprimere un parere a commento complessivo ha detto, con molta cautela come chi sa che le parole vanno pesate con molta attenzione di questi tempi, che quella dei russi è una “guerra al risparmio”. Ha anche detto che ha conosciuto e parlato con generali russi per più di dieci anni, conosce abbastanza bene quello di cui parla. Mini ha ricordato quello tutti gli esperti sanno ovvero che i russi hanno 900.000 affettivi. Secondo lui quel sesto di effettivi usati dai russi in Ucraina sono molto giovani ed inesperti, con mezzo vecchi sebbene ai russi non manchino mezzi molto più efficienti. Ha anche osservato la quasi totale assenza di utilizzo dell’aviazione. Ha tecnicamente definito la strategia sul campo “una guerra limitata per scopi limitati”. Ma da noi viene raccontata un’altra storia, i russi che non conoscono nulla degli ucraini, hanno sottovalutato l’eroica resistenza ed è per questo che dobbiamo continuare a mandargli armi.
Ha anche osservato che l’idea di ridurre la guerra a Putin è sbagliato, non si sa se è Putin che comanda lo Stato Maggiore russo o il contrario o una via di mezzo. E che forse il blocco russo che ha pensato necessaria questa azione, va ben oltre Putin e le Forze Armate. Non ne ha fatto una questione di sondaggi d’opinione su quanti russi l’approvano, evidenziava logiche nel blocco di potere russo e mentalità strategica in senso ampio.
Esclude che Putin sia pazzo ed a noi sembra in verità pazza questa sola idea visto che lo conosciamo da ventidue anni e non sarà certo un simpaticone ed un amicone, ma nessuno ha mai scritto di lui come di uno squilibrato. Ci sono decine e decine di articoli sulle testate di politica estera americana come Foreign Affairs e Foreign Policy, sulla sua freddezza ed abilità strategica. La rinascita relativa della Russia dopo il crollo dell’URSS era convenuta da tutti gli osservatori, forse l’iconografia che lo accompagnava gli attribuiva perfidia, furbizia, incrollabile tenacia, ma non pazzia.
Ma ciò non riscontra la realtà, chissà dove vive Mini. In realtà i russi vogliono conquistare tutta l’Ucraina, con 150.000 ragazzini e carri armati obsoleti. Perciò, ci avvertono gli “analisti” televisivi in molti casi passati dall’epidemiologia alla geopolitica e relazioni internazionali senza fare una piega, bisogna rafforzare la resistenza ucraina per farli impantanare. Poi forse vincerà perché è un Golia contro un Davide, ma lo sciocco del Cremlino non ha calcolato la successiva resistenza che farà dell’Ucraina il suo Afghanistan. Prima di Putin i russi sono stati in Afghanistan ed in dieci anni di penosa guerra hanno avuto tra 50.000 e 130.000 morti ma questo Putin non lo sa. Non lo sanno i comandi militari russi e tutti gli strateghi della seconda potenza nucleare del pianeta. Lo sanno i commentatori televisivi italiani però. Ve ne sono alcuni che si spingono a paventare una invasione russa tipo Ungheria, Cecoslovacchia, Polonia e tutto l’est Europa, Putin si fermerà solo a Berlino sempre che la sua pazzia non lo spinga a portare i suoi cavalli ad abbeverarsi alle fontane di San Pietro.
Poiché siamo in regime di guerra anche noi, nessuno ha prestato attenzione a quello che riferiva da Mosca Marc Innaro qualche giorno fa ovvero che i russi dichiaravano di aver quasi completato l’obiettivo di degradare profondamente la struttura militare ucraina. Struttura significa non l’esercito sul campo, significa depositi, postazioni fisse, mezzi più insidiosi. Significa anche altro poiché dal loro punto di vista, i russi affermavano che c’era ben altro in Ucraina, si stava preparando ben altro, ma non sconfiniamo nelle supposizioni.
Così, nessuno pare abbia intuito che l’idea di offrire corridoi umanitari per gli ucraini rimasti intrappolati nelle città assediate con sbocco in Russia e Bielorussia, rifiutata sdegnosamente da Capitan Ucraina, fosse una furbata per pettinare i profughi di modo da trovare quei neo-nazisti che Putin ha dichiarato di esser il suo altro obiettivo pratico, rimandando poi gli altri da questa altra parte. Non è vero come dicono i russi che queste milizie si fanno scudo umano di una popolazione che, ricordiamolo anche se taciuto, è sotto legge marziale con uomini civili coscritti cioè obbligati ad imbracciare le armi.
Sembrerebbe quindi manchi poco alla “demilitarizzazione” e “denazificazione” ucraina, dal punto di vista russo. Obiettivi limitati che sembrano corrispondere ai mezzi limitati citati da Mini. Ma che ne sa il generale Mini …
Quello che Mini non sa ma fortunatamente sanno nostri opinionisti è che Putin vuole tutta l’Ucraina ed oltre, poi metterà un “Quisling” come dicono quelli che sanno le cose, un suo fantoccio. In questi giorni è tutto un fiorire di lettori di Storia Illustrata che ricordano i Sudeti, Chamberlain, l’Ungheria, è l’ora del “pensionato storico”. Del resto, pare che ai maschi di una certa età, oltre ai cantieri dei lavori in corso, prenda questa sindrome della storia, ce l’ha per altro anche Putin che è un noto revisionista che si diletta in “storia a modo mio” (questa non è una battuta ironica, è effettivamente così, ci sono articoli di molti anni fa delle riviste di politica estera americana che hanno per tempo analizzato questa sua passione per la “storia a modo mio” tipo Paolo Mieli ed io concordo con loro).
Certo, come no, peccato che se metti il fantoccio devi sospendere la Costituzione per non andare ad elezioni e quindi devi occupare militarmente il Paese per anni ed anni cosa che è folle sotto tutti i punti di vista anche perché gli ucraini ti tortureranno con la guerriglia fino a che non ti viene una crisi di nervi e qualcuno a Mosca ti propina una vodkina al plutonio, come sperano in molti in Occidente. Ma siccome in Russia hanno tutti il plasmon nella scatola cranica, tutto ciò non lo sanno, come non la sa Mini.
Così ieri il portavoce del Cremlino ha dichiarato a Reuters che la delegazione ucraina ha avuto, dai primi incontri, la piattaforma di resa che se accettata, terminerebbe all’istante tutto ciò: se l’Ucraina mette in Costituzione la dichiarazione di neutralità, riconosce l’annessione della Crimea come russa e riconosce le due repubbliche del Donbass come indipendenti, potrà vivere in pace facendosi governare da chi gli pare, come gli pare. Cioè anche entrando nell’UE se l’UE la vuole cosa che non è come già hanno fatto sapere olandesi, tedeschi e molti altri. L’UE ha tenuto per dieci anni la Bulgaria in stand by per l’ammissione e certo non accetterà di far entrare su due piedi uno stato le cui credenziali di diritto sono molto dubbie, per non parlare dell’economia di mercato in realtà dominata da oligarchi e vari tipi di delinquenti.
Ma niente, di tutto ciò non c’è visibilità alcuna. La dichiarazione è resa a Reuters, ma in tv sembra non interessare alcuno, è una presa in giro. È accettabile la piattaforma russa? Ognuno si può fare la sua idea, tanto non è rivolta a noi e noi non siamo Zelensky, né ucraini. È “giusta”? Certo che no, che ovvietà, non si violano confini sovrani con le armi puntandole alla gola del vicino costretto a firmare la resa. Ma la geopolitica non è un campo teorico è pratico. Pare cioè strano che la canea di gente che piange per gli ucraini in tv faccia il tifo perché gli ucraini continuino a morire o producano cinque milioni di profughi come da stime ONU per difendere cosa a questo punto si capisce sempre meno, visto che o firmano la resa o poi arriveranno le armate più professionali, i mezzi più potenti, i bombardamenti veri fino che, alla fine, non potranno far altro che firmare, qualunque costo ciò avrà per i russi che i costi li hanno calcolati visto che non sono così deficienti quanto lo sono alcuni che vanno in tv a parlare di cose che non sanno.
Dopo Putin si ritirerà nella sua dacia a scrivere memorie e dilettarsi in revisionismo storico e gli occidentali avranno a che fare con quelli più malleabili come il generale Sergej Shoigu che già dalla faccia sembra un bonaccione. Non è che la resa ucraina comporterebbe la sospensione o in non acuirsi di altre sanzioni ai russi, non è che l’Occidente debba riconoscere la Crimea o le due repubbliche, l’ha chiesto solo agli ucraini. Il danno politico, economico, geopolitico e financo reputazionale è fatto, è irreparabile in tutta evidenza e tale rimarrà per anni.
L’ONU ha dichiarato che nei sette anni di guerra nel Donbass (2014-2021) ci sono stati 3100 morti civili, in Ucraina, fino ad oggi, ne dichiarano su i 400. Le stime dell’ONU sono sempre troppo basse per ovvie ragioni pratiche, ma le proporzioni sono quelle. Solo che non ho visto dirette h24 per il Donbass. I più non sanno neanche di cosa si parla quando si dice “guerra del Donbass”, non esiste il fatto. I morti hanno peso diverso, così l’indignazione umana e la sanzione morale.
Quella che vedete in televisione perché dalla televisione passi nella vostra testa non è la guerra, sono la politica, la geopolitica e la geoeconomia condotte con altri mezzi.
Ed ecco a Voi quello che gli “esperti” veri e non da commedia dell’arte, hanno indicato da tempo come il più probabile successore di Putin poiché che Putin puntasse dopo ventidue anni a togliersi dai riflettori dopo esser passato alla storia russa col suo peso evidente, era a loro noto da un bel po’.
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