La NATO riprende il vantaggio nel suo braccio di ferro con l’UE, di HajnalkaVincze

Proseguiamo ad approfondire il tema cruciale della politica estera e di difesa del mondo occidentale. Il link dei precedenti articoli: https://italiaeilmondo.com/2021/08/12/stati-uniti-nato-e-unione-europea-lillusione-di-un-addio-il-miraggio-dellautonomia_di-giuseppe-germinario/

https://italiaeilmondo.com/2021/08/12/il-modo-giusto-per-dividere-cina-e-russia-washington-dovrebbe-aiutare-mosca-a-lasciare-un-cattivo-matrimonio-di-charles-a-kupchan/

Qui sotto un interessante e documentato saggio, con testo originale in calce, sulle dinamiche in via di trasformazione tra la NATO e la UE. Molto accurato e del tutto condivisibile tranne che per l’auspicio irrealizzabile che la Unione Europea sia lo sbocco naturale di una politica autonoma di difesa. La traduzione e l’impaginazione non sono perfette. Il tempo disponibile è poco. I contenuti meritano sicuramente una dose aggiuntiva di pazienza vista la scarsità di testi critici ma documentati sull’argomento. Buona lettura_Giuseppe Germinario

La NATO riprende il vantaggio nel suo braccio di ferro con l’UE
Hajnalka
Vincze  https://hajnalka-vincze.com/list/etudes_et_analyses/600-lotan_reprend_lavantage_dans_son_bras_de_fer_avec_lue
Senior Fellow presso il Foreign Policy Resarch Institute (FPRI)

1
Non abbiamo mai parlato così tanto e così pubblicamente di autonomia strategica europea come durante l’anno 2020, e raramente in precedenza i limiti politici di detta autonomia erano
apparsi anche senza mezzi termini. Un paradosso ampiamente in linea con l’oscillazione della postura americana: mentre sotto l’amministrazione Trump, anche il più atlantista degli europei
non poteva più sfuggire a una certa consapevolezza, dopo l’arrivo dell’amministrazione Biden, invece, gli sforzi sono mirati soprattutto per provvedere che nelle relazioni transatlantiche
cambiasse solo il tono. Con il brutale passaggio tra il “cattivo ragazzo” Donald Trump e il “benevolo” Joseph Biden, le costanti sono tanto più evidenti. Il comportamento degli europei
appare per quello che è, di una ossequiosità infallibile e comunque davanti all’alleato americano. Sotto Trump, si fanno concessioni per paura, per placare il presidente degli Stati Uniti, sotto Biden, è per sollievo, per ringraziarlo di non non mettere in discussione apertamente i fondamenti della
alleanza.
Lo sviluppo parallelo, nel periodo 2021-2022, di due documenti chiave – la bussola strategica dell’UE e il nuovo concetto strategico della NATO – sarà quindi fatto alla luce di questa esperienza recente. Entrambi testimoniano lo stesso tentativo di “Adattamento” al nuovo ambiente internazionale, segnato dalla ricerca di un modus vivendi, finora non trovato, tra gli sforzi dell’autonomia europea e la leadership americana ereditata dalla Guerra Fredda. Il tutto in un contesto caratterizzato dal risorgere dell’idea di autonomia: dal
Strategia globale dell’UE che ne ha fatto il suo principio guida nel 2016 fino alla nuova Commissione che si autodefinisce “Geopolitica”
2
. Il prestigioso istituto di ricerca paneuropeo, il Consiglio europeo per le relazioni internazionali (European Council on Foreign Relations: ECFR), aveva avviato, nell’estate 2018, un programma su “Sovranità europea” e autonomia strategica. Da allora non contiamo più le analisi e i discorsi dedicati a questo argomento. Quello che un tempo era il termine tabù per eccellenza, è diventata la parola d’ordine di cui parliamo sempre.
La pandemia di coronavirus ha rafforzato questa tendenza aggiornando vulnerabilità europee nude di ogni tipo; tanti segni di avvertimento sui pericoli della dipendenza. A prima vista, questa evoluzione dovrebbe portare a un riequilibrio tra le due parti dell’Oceano Atlantico: un’acquisizione europea che andrebbe insieme a una rifocalizzazione sugli elementi essenziali della NATO.

Guardando bene gli sviluppi concreti, nulla è però meno certo.
Da un lato, l’Alleanza Atlantica aggiunge ai suoi attributi militari una dimensione politica che sconfina sempre più nella libertà di manovra dell’Unione e dei suoi Stati membri. Dall’altro, il
il concetto di autonomia strategica europea si sta allontanando gradualmente dal dominio militare: un aggiornamento benvenuto e quanto mai necessario, ma che, nelle presenti circostanze, può venire al costo di una diluizione della base originale. Quegli sviluppi simultanei portano al perpetuarsi di una situazione malsana: una disalleanza transatlantica dove gli europei figurano non alleati per convinzione ma alleati per debolezza.
1- La marcia in avanti della NATO
Le linee principali dello sviluppo futuro dell’Alleanza sono sviluppate nel rapporto intitolato NATO 2030: United for a nuova era3, che servirà da base per le proposte del Segretario Generale per il nuovo Concetto Strategico (l’ultimo risale al 2010). Il think tank responsabile della stesura del rapporto era in sintonia con i tempi: i dieci partecipanti sono stati scelti con cura irreprensibile: cinque uomini e cinque donne… (N.B. Stati Uniti, Francia, Germania, Regno Unito e la Turchia hanno lasciato ad altri la gloria di far vibrare lo spirito di parità). In ogni caso, la riflessione tra alleati ha uno solo di importanza molto relativa. L’ex ministro degli Esteri Hubert Védrine, in rappresentanza della Francia, ha descritto il risultato come un “buon compromesso”. Il che significa, in termini diplomatici, che le proposte americane non furono prese alla lettera, ma leggermente riformulate. Lo stesso Védrine ha ammesso: “Ho potuto verificare quanto le idee francesi fossero isolate all’interno dell’Alleanza Atlantica”
1
. In effetti, il rapporto conferma solo le tendenze già all’opera su iniziativa degli Stati Uniti.
11- Un’espansione a tutto campo.
È soprattutto un’estensione di competenze allo stesso tempo negli aspetti geografici e funzionali dell’Alleanza Atlantica2
. Il rapporto
La NATO 2030 considera già i problemi posti da “Una Russia ostinatamente aggressiva” e “l’ascesa della Cina “. Alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco nel 2021, il segretario generale della NATO inserisce formalmente la Cina al primo posto delle sfide3. Jens Stoltenberg dice, non senza ragione,
che “la Cina è una sfida per tutti gli alleati”, ma lo è per confermare che, quindi, “la NATO è ancora più importante di prima “4.

Tuttavia, a meno che tu non voglia fare un remake della guerra fredda – con gli europei in un ruolo ausiliario di fronte a un avversario che non è nemmeno, questa volta, nella loro prossimità
immediato – risulta difficile capire perché. Consultazione tra alleati sarebbe utile, anche il coordinamento tra le politiche sovrane dove è fattibile, ma per questo la NATO guidata dagli Stati Uniti non è certamente l’altoparlante ideale.
Il rapporto NATO 2030 sostiene anche il continuo rafforzamento di competenze dell’Alleanza in campi così diversi e vari come clima, comunicazione, pandemie, energia e spazio. Nel luglio 2018, gli alleati europei hanno già concordato “consultazioni regolari” e un ruolo rafforzato per la NATO
in termini energetici, anche se l’oggetto del gasdotto Nord Stream 2 ha evidenziato, per anni, il conflitto tra interessi europei e americani in questo settore1
. In dicembre 2019, per assicurarsi ulteriormente le grazie del presidente Trump, gli alleati hanno riconosciuto, su insistenza degli Stati Uniti, lo spazio esterno come un ambiente operativo della NATO2.

Dettaglio gustoso: il nuovo Centro di Eccellenza NATO per lo spazio sarà situato a Tolosa -nell’edificio dedicato al futuro centro operativo del comando spaziale militare (CDE) nazionale, entro il 2025.
Una situazione che ricorda quella del Comando Centro di trasformazione della NATO (ACT) con sede a Norfolk, Virginia nel 2003, nelle immediate vicinanze del Comando delle forze congiunte statunitensi. Questo comando nazionale americano era responsabile di sviluppare, per gli Stati Uniti, i concetti e le dottrine “Trasformazionale” – ma la co-locazione ha solo rafforzato la sua influenza decisiva sul lavoro della NATO. La dinamica dello scenario, visto l’equilibrio di forze, rischia di ripetersi in direzione opposta a Tolosa. Il Centro di eccellenza della NATO sarà
sotto una forte influenza americana – come a Tallinn dove il Centro per la difesa informatica è sotto costante pressione per adottare standard e progetti d’oltreAtlantico.3
La vicinanza al centro spaziale della NATO, responsabile dello sviluppo di dottrine e convalida di concetti, rischia di essere come il tarlo nel frutto e influenzare il lavoro del CDE francese. Non senza evocare lo spettro di una “fagocitosi concettuale e teorica”» di cui ha parlato Hubert Védrine nella sua relazione al Presidente sul ritorno della Francia nelle strutture NATO integrate4
.
La Francia potrebbe, ha detto, “mescolarsi” con il pensiero della Nato e perdere la propria capacità di riflessione e di analisi. è un rischio anzi – per la Francia come per gli europei nel suo insieme – in tutte le aree che l’Alleanza decide attirare nel suo campo. Tuttavia, un numero crescente di settori è
nel suo mirino. Secondo il Segretario Generale: “La NATO dovrebbe
effettuare consultazioni più ampie, anche su questioni importanti per la nostra sicurezza, ma che non sempre sono puramente militari. Ad esempio, problemi economici che hanno chiare conseguenze sulla sicurezza sono aspetti sui quali ci dovremmo consultare”. Con questo in mente, sarebbe necessario, secondo lui, «convocare non solo i ministri della difesa, ministri degli esteri e capi di stato e governo come facciamo regolarmente, ma anche, per esempio, consiglieri per la sicurezza nazionale, ministri dell’interno, al fine di ampliare l’agenda della NATO e rafforzare le consultazioni all’interno dell’Alleanza”1

12- Una camicia di forza politica
Non contento di estendere le proprie competenze a nuove aree aree geografiche (soprattutto l’Indo-Pacifico) e nuovi settori (come lo spazio e l’energia), l’Alleanza interferisce sempre di più direttamente anche nelle politiche interne degli Stati membri. Il Segretario Generale della NATO si è arrogato il diritto di intervenire nella controversia tra i partiti della coalizione di governo in Germania sull’uso (o meno) dei droni armati, dichiarando: “Questi droni [armati] possono supportare le nostre truppe sul campo e, ad esempio, ridurre il numero di piloti che stiamo mettendo in pericolo”
2
Più in generale, con l’arrivo dell’amministrazione Biden l’idea finora congelata di una NATO per monitorare il rispetto dei “valori” democratici “negli Stati membri è ancora una volta rilevante.
Il Centro per la resilienza democratica è stato offerto nel 2019 in una relazione dell’Assemblea parlamentare della NATO, firmata dal deputato democratico degli Stati Uniti Gerald Connolly, allora presidente della delegazione americana e da allora è diventato presidente dell’assemblea. Egli afferma: “Le minacce ai valori della NATO provengono non solo dai suoi avversari. Movimenti politici con scarso rispetto per le istituzioni della democrazia o lo stato di diritto stanno guadagnando slancio in molti paesi membri dell’Alleanza. Questi movimenti sostengono la preferenza nazionale alla cooperazione internazionale. Le democrazie liberali sono minacciate da movimenti e personaggi politici ostili all’ordine costituito che si trovano a destra e sinistra nello spettro politico”. Il rapporto suggerisce quindi che “la NATO deve dotarsi dei mezzi necessari a
rafforzare i valori in questione nei paesi membri”, istituendo “un centro di coordinamento della resilienza democratica”
1
.
L’idea sta prendendo forma. Un mese dopo l’assunzione della funzione di presidente di Biden, Connolly insiste: “Dobbiamo rafforzare e proteggere costantemente la democrazia contro chi tenta di indebolirla – sia all’interno che all’esterno. La NATO ha un meccanismo ben oliato incentrato su
questioni militari, ma manca un corpo che sia interamente dedito alla difesa della democrazia. Deve
cambiare ”
2
. L’Assemblea finì per costituire un gruppo di lavoro dedito alla creazione di questo “centro NATO per la resilienza democratica”
3
.
Il concetto è presente anche nel rapporto NATO 2030, ma questo va oltre e considera tutti i tipi di differenze politiche – interno ed esterno – tra alleati così come problematico: “Differenze politiche all’interno della NATO rappresentano un pericolo perché consentono ad attori esterni, e più in particolare alla Russia e alla Cina, di continuare a giocare nei dissensi interni e nelle manovre con alcuni paesi tra i membri dell’Alleanza in un modo che compromette la sicurezza e gli interessi collettivi. »Le differenze quindi non si vedono neanche come espressione di situazioni geografiche, tradizioni, scelte elettorali storiche diverse, ma come pericoloso disallineamento. E il rapporto conclude: “Perché possano le sfide del prossimo decennio essere vinte, tutti gli alleati devono inequivocabilmente fare del mantenimento della coesione una priorità politica, che modella il loro comportamento, anche a prezzo di eventuali vincoli”1.

13 – Un’integrazione sempre più stretta
Per incoraggiare questa disciplina, si fa appello a ciò che l’anziano ambasciatore di Francia presso l’Alleanza identifica come “la logica integrazionista a cui la Nato è spesso incline”.
2
Detta logica si è ritirata durante gli anni di Trump ma sta facendo un forte ritorno oggi in due aree in particolare:
rafforzamento dei finanziamenti in comune e flessione della regola del consenso, con il pretesto dell’efficienza. Quanto all’aumento e all’estensione del finanziamento collettivo, la domanda si ripresenta tanto più facilmente a partire dal 2021 in quanto la quota degli Stati Uniti in questo finanziamento passa dal 22% al 16%, a seguito di una concessione ottenuta dal presidente Trump. Senza sorpresa, il Segretario Generale della NATO sceglie quindi questo momento per proporre di estendere questo finanziamento congiunto alle attività di deterrenza e difesa. Sostituirà così, in parte, la regola secondo la quale “le spese sono a carico dei loro autori”, in virtù della quale chi dispiega una capacità si fa carico di tutti i relativi costi.
La Francia si è sempre opposta a tale sviluppo. Finanziare implementazioni ed esercitazioni da un budget comune favorirà soprattutto quelli tra gli alleati che sono riluttanti a spendere, a livello nazionale, per la loro difesa, ma chi si precipiterà a fare dimostrazioni di fedeltà a spese, principalmente, di altri Stati membri. Inoltre, l’espansione del perimetro di finanziamento in comune della NATO ha il rovescio della medaglia (o il vantaggio) di deviare la spesa per la difesa dei paesi europei direttamente all’Alleanza. Una volta in pentola comune, questi soldi saranno spesi secondo le priorità americano-NATO. Quindi ci sono così tante risorse in meno a cui dedicare ambizioni autonome (sia all’interno di un quadro europeo, sia attraverso ciascuna Nazione). Jens Stoltenberg ha ragione quando dice: “Pagando insieme di più, noi rafforziamo la nostra coesione”1.
L’altro modo per rafforzare la coesione della NATO è rivisitare le regole del processo decisionale. Certo, il Segretario Generale conferma che “la NATO rimarrà un’organizzazione basata sul consenso”, ma il diavolo sta nell’aggiungere un piccolo dettaglio: “noi cerchiamo modi per prendere decisioni in maniera più efficiente “2. Tranne che l’argomento dell’efficienza del processo decisionale nasconde male l’intenzione principale che è quella di passare oltre alle riserve politiche e alla riluttanza di un particolare paese membro e garantire così un allineamento di fatto con la posizione del “garante” definitivo”. Questo è quindi un argomento cardine, e il rapporto NATO 2030 gli dedica una parte significativa. Il testo afferma che in “Un’era segnata da una crescente rivalità sistemica”, l’Alleanza deve accelerare e razionalizzare il suo meccanismo di decisione se vuole mantenere la sua rilevanza e utilità agli occhi dei suoi Stati membri.
A tal fine, raccomanda diverse strade: ridurre il potere di veto da parte di un determinato Stato membro (limitando questo diritto al livello ministeriale e vietandolo in fase di esecuzione); la possibilitàdi creare coalizioni di volenterosi (chi può schierarsi sotto la bandiera della NATO anche se tutti i paesi membri non aderiscono); aumentare i poteri del Segretario Generale (può prendere decisioni da solo in domande di routine ed emettere solleciti all’ordine, in caso di blocco politico, in nome della coesione). Queste proposte non segnano, da soli, un cambio di paradigma, ma riflettono un movimento fondamentale: nel contesto particolare la NATO riesce come minimo a erodere le prerogative degli Stati membri e rafforza il controllo dei più potenti di loro nel corso di tutta l’Alleanza. Inoltre, con le critiche alla lentezza e all’inefficienza vediamo ricomparire la ben più esplosiva questione della delega di autorità, in tempo di crisi, al comandante supremo di NATO (SACEUR, un generale americano che riceve i suoi ordini direttamente dal Pentagono e dalla Casa Bianca) 1.

Un tema molto delicato su cui l’amministrazione Obama ha continuato a insistere, ma che è stato poi congelato durante i quattro anni della presidenza Trump. I successivi rapporti all’Assemblea parlamentare della NATO mostrano chiaramente la pressione per ampliare il “grado di autonomia operativa” del Comandante dell’Alleanza Suprema. Così, dal 2015, apprendiamo che “SACEUR ha l’autorità di allertare, organizzare e preparare le truppe in modo che siano pronte a intervenire una volta che la decisione politica viene presa dal CAN [Consiglio Nord Atlantico]. SACEUR ha, tuttavia, proposto di poter avviare il dispiegamento delle forze prima di ricevere l’autorizzazione dal CAN, perché ritiene che sarebbe prudente, da un punto di vista militare, disporre di una capacità di reazione così rapida. Questa misura di «Attenzione, preparazione e distribuzione “è stata rifiutata da CAN, che ha chiaramente affermato che la decisione di procedere con qualsiasi movimento
di forza rimarrà una decisione politica”
2
.
Un anno dopo, “Il Consiglio prosegue il dibattito sulla questione del
sapere fino a che punto potrebbe, pur mantenendo il suo status dell’ultima autorità politica, delegata al comandante supremo delle Forze alleate in Europa (SACEUR) il processo di allerta, attesa e dispiegamento delle forze”3. Alla conferenza di Riga nel 2019, l’ex vicesegretario generale della NATO sottolinea che la regola del consenso alla CAN pone problemi di reattività in caso di conflitto. Tuttavia, Vershbow è rassicurante: un certo grado di autorità è già stato delegato alla SACEUR, che permette di avviare la preparazione delle truppe, le misure di pre-dispiegamento anche se la CAN a Bruxelles esita. Il SACEUR, ha detto, non è solo lì seduto a non fare nulla, in attesa del semaforo verde da CAN.4
Resta da vedere se tale agitazione, nel pieno di un periodo di tensione, a monte di una decisione collettiva e sotto l’esclusivo ordine degli Stati Uniti, non rischi di porre i rappresentanti degli altri paesi membri di fronte a un fatto compiuto.
L’Alleanza Atlantica, attraverso il suo movimento simultaneo di espansione e integrazione può rapidamente spingere l’UE fuori dai giochi.La NATO è in arrivo sempre più apertamente su terreni normalmente riservati a livello nazionale o dell’UE, trovando i mezzi di integrare sempre più strettamente i suoi paesi membri. Almeno coloro che gli avevano quasi completamente delegato la loro difesa, quindi tutti, ad eccezione di Stati Uniti, Turchia e Francia.1
In queste circostanze, è difficile vedere come il PSDC (Politica di sicurezza e di difesa comune dell’Unione Europea) potrebbe ritagliarsi un posto a fianco di una NATO sempre più avvolgente e assorbente.
2- La svalutazione del PSDC
La preparazione del documento dal titolo “Bussola strategica”, in corso dal 2020 con adozione prevista per l’inizio del 2022, mostra i suoi obiettivi di “rafforzamento dell’autonomia strategica” dell’UE.
Tuttavia, dall’inizio del 2020 abbiamo assistito a un cambiamento del concetto di autonomia strategica, originariamente apparso nel PSDC, ad altri settori non militari. Allo stesso tempo, il
tentativo di conciliare apertura e interdipendenza consustanziale al progetto europeo con l’imperativo dell’autonomia strategica appare sempre più chiaramente come la quadratura
del cerchio. Da qui l’ultima scoperta del volapük di Bruxelles: il concetto di “autonomia aperta”
21 – Il concetto di “autonomia strategica” emergente dalla difesa
La pandemia di Covid-19 ha fatto luce sui legami tra i diversi settori come la prosperità, la salute, l’industria, la tecnologia, sicurezza e commercio. Divenne chiaro che di fronte a ricatti e pressioni geoeconomiche, l’UE, a causa del mercato unico e dei poteri che le erano stati trasferiti,
sarebbe in linea di principio particolarmente ben posizionata per reagire.
Parallelamente, l’aggravarsi delle tensioni internazionali (con la Turchia, Russia, Cina) e il comportamento unilaterale dell’alleato americano (sotto il presidente Biden e sotto l’amministrazione Trump) sollecitano un ripensamento del ruolo dell’Unione in un mondo caratterizzato dal ritorno trionfante delle relazioni su basi di forza. Come afferma uno studio del Parlamento europeo: “L’Unione rischia infatti di diventare il ‘campo da gioco’ per le grandi potenze mondiali, in un mondo sempre più dominato dalla geopolitica. Costruire autonomia strategica in modo orizzontale e trasversale gli permetterebbe di
rafforzare la sua azione multilaterale e ridurre la sua dipendenza da attori esterni”1.

Il testo esamina quindi la necessità di autonomia strategica in settori diversi e diversificati come clima, energia, mercati finanziari, commercio, euro, industria, tecnologia digitale oltre al settore tradizionalmente associato che è la difesa. Specifica inoltre che è necessario “rafforzare la capacità dell’Unione di agire in autonomia, non solo con la Cina, ma anche con altri partner”. Gli autori sembrano ispirati dalla visione francese, e in particolare dai recenti discorsi del presidente Emmanuel Macron, quando affermano: “L’autonomia strategica, sostenuta dal linguaggio del potere, un linguaggio che richiama chiaramente gli interessi dell’Unione. e ne tutela i valori, nonché i mezzi e gli strumenti per rendere credibile questo linguaggio, sono condizioni necessarie per evitare che l’Unione sia coinvolta, suo malgrado, nella rivalità strategica sempre esacerbata tra Stati Uniti e Stati Uniti. La Cina, e la loro rispettivi valori e interessi”. 2 Salvo che il “linguaggio” del potere e dell’indipendenza è diametralmente opposto al DNA stesso della costruzione europea, per non parlare della maggioranza degli Stati membri che sono diventati impermeabili a questo tipo di considerazioni a forza di affidarsi ad essa esclusivamente alla NATO. Per fare il punto delle difficoltà, anche in un contesto di consapevolezza, basta leggere la “Nota ispano-olandese sull’autonomia strategica e la conservazione dell’apertura economica” del marzo 20211. Entrambi i paesi riconoscono i rischi di dipendenze asimmetriche nei settori strategici, ma per rimediare a questa offerta offrono un’autonomia strategica aperta che descrivono come segue: “Piuttosto che l’indipendenza, l’autonomia strategica deve promuovere una maggiore resilienza e sviluppo. ‘l’interdipendenza, nel contesto della globalizzazione, dove l’interoperabilità deve prevalere sull’uniformità”. Capire chi può. Il Consiglio europeo, dal canto suo, si accontenta di affermare: “Raggiungere l’autonomia strategica preservando un’economia aperta è un obiettivo chiave dell’Unione”. 2 Certamente, l’identificazione dei rischi legati alla “eccessiva dipendenza” e l’obiettivo di “riduzione delle vulnerabilità”, il tutto in un quadro che vuole essere geopolitico, è un nuovo approccio a livello europeo che può essere salutato. Testimonia una sorta di “consapevolezza”. Ci sono però due avvertimenti da fare. In primo luogo, gli eventi recenti mostrano che, in una situazione di crisi, o siamo pienamente autonomi in tutti i settori e settori cruciali, oppure siamo in balia delle decisioni degli altri. Non è “un certo grado di autonomia”, come la formulano i testi europei, che farà dell’Europa una potenza e la libererà dalla scelta fatale tra diverse tutele straniere. Per parafrasare Marie-France Garaud, consigliere dei presidenti Pompidou e Chirac: “essere indipendenti è come essere incinta, o lo sei o non lo sei”. Inoltre, la proliferazione della parola rischia di nascondere la cancellazione della cosa. Anche se nell’Ue il termine “autonomia strategica”, un tempo tabù, è oggi citato senza ritegno e nei più svariati settori, il suo dominio originario, quello della difesa, si sta visibilmente atrofizzando. Le iniziative della PSDC sono ostinatamente prive di ambizione e alcune si spostano addirittura al di fuori dell’Unione. Potrebbe essere questo un segno che i forum di Bruxelles a 27 (sia essa la Commissione o il Consiglio) non sono in definitiva il livello giusto per cooperare in un campo che coinvolge il cuore stesso della sovranità delle Nazioni?

22 – Il magro primato della PSDC e la sua fuga fuori dall’UE

Dal rilancio nel 2016, una serie di iniziative nell’ambito della PSDC dovrebbero dare sostanza alla nozione di autonomia europea. Sono impressionanti per ingegnosità istituzionale e per numero, ma è chiaro che dal punto di vista di qualsiasi autonomia il PSDC è lontano dal segno. Non è nemmeno necessariamente diretto nella giusta direzione. Come rileva il citato studio del Parlamento europeo: “È possibile che le soluzioni tecniche si dimostrino insufficienti se gli Stati membri non ampliano il consenso politico esistente per concordare l’obiettivo e le esigenze di uno strumento di difesa europeo”. Insomma, nonostante il proliferare di iniziative, la difesa europea è tornata al punto di partenza: bloccata dall’assenza di una visione condivisa e dalla mancanza di volontà politica. In termini di capacità operative, l’UE resta ben al di sotto dell'”obiettivo globale” fissato a Helsinki nel dicembre 1999, sulla base della dichiarazione di Saint-Malo che prevedeva “una capacità di azione autonoma, sostenuta da forze militari credibili, con la significa utilizzarli ed essere pronti a farlo per rispondere alle crisi internazionali”. Riguardo alle circa 40 operazioni avviate da allora, l’Institut Montaigne osserva: “le missioni e le operazioni del PSDC forniscono solo risposte molto parziali alle crisi attuali” 1. Possono aver avuto effetti benefici molto limitati qua e là, ma certamente non sono all’altezza delle sfide internazionali. Per questo, dovranno cambiare la loro natura e logica. Jolyon Howorth, il massimo esperto di difesa europea e relazioni transatlantiche ha recentemente osservato correttamente: le operazioni dell’UE “fanno poco per far avanzare la causa dell’autonomia” 2. Quanto al magnifico terzetto di iniziative post 2016 che avrebbero dovuto galvanizzare la PSDC, su ciascuno dei tre aspetti le ambizioni sono state riviste al ribasso, gli obiettivi iniziali stemperati. La Coordinated Annual Defense Review (CARD) è solo un’ulteriore variazione sul tema dello “sviluppo delle capacità”, con l’obiettivo di identificare e colmare le lacune nelle capacità militari degli Stati membri degli Stati Uniti. Con i risultati che conosciamo: sono le stesse carenze che sono state elencate sin dal primo esercizio di questo tipo, 20 anni fa. Secondo Sven Biscop dell’Istituto Egmont, il piano di capacità dell’UE non è vincolante quanto quello della NATO, “quindi non sorprende che abbiano solo un’influenza marginale sulla pianificazione della difesa nazionale”1. Ignorare le priorità di CARD, aggiunge, non comporta nemmeno i pochi scomodi momenti di autogiustificazione come accade nell’Alleanza. La Cooperazione Strutturata Permanente (PSC), nata originariamente per creare una sorta di avanguardia di paesi volontari con mezzi capaci, ha perso ogni suo significato a causa della richiesta di “inclusività” formata dalla Germania. . Pertanto ora conta 25 dei 27 Stati membri (tutti tranne Malta e Danimarca). Infine, anche il Fondo europeo per la difesa (FES), concepito per fornire il cofinanziamento di progetti europei di armamenti in cooperazione, ha visto ridimensionarsi i propri obiettivi. Sia in termini di denaro (dei 13 miliardi di euro inizialmente previsti per il periodo 2021-2027, il Fondo ne avrà solo 7 miliardi) sia in termini di ambizioni strategiche (contraddette dal rifiuto di stabilire la preferenza europea e dalla tolleranza verso l’entrismo da parte paesi terzi). Contemporaneamente a questo disfacimento della PSDC, si nota uno spostamento di alcune iniziative al di fuori del quadro dell’UE. Anche senza Londra, i 27 hanno difficoltà a trovare un accordo e spesso è impossibile per loro trovare una risposta comune a questa o quella situazione. O perché alcuni sono riluttanti a dare troppa importanza all’Ue in materia militare (per paura di licenziare la Nato), o perché altre divergenze politiche complicano i negoziati sul mandato, sui mezzi per ingaggiare o sul comando. In tale contesto, per evitare che tutte le iniziative operative sfuggano all’UE, il Consiglio ha avviato il progetto pilota del “concetto di presenze marittime coordinate” nel Golfo di Guinea. Questo nuovo concetto è espressamente “distinto dalle missioni e operazioni PSDC”. L’idea è quella di designare “un’area di interesse marittimo” e garantire un migliore coordinamento delle attività nazionali degli Stati membri1. Da parte loro, Germania, Belgio, Danimarca, Francia, Grecia, Italia, Paesi Bassi e Portogallo hanno preso l’iniziativa di creare, nel gennaio 2020, la Missione europea di sorveglianza marittima nello Stretto di Hormuz (EMASOH) con l’intenzione di contribuire alla riduzione dell’instabilità e alla messa in sicurezza del traffico marittimo. Come promemoria, gli otto paesi hanno tutti aderito all’Iniziativa di intervento europea (EII), lanciata da Parigi al di fuori della PSDC. Dodici paesi hanno già aderito all’IEI, tra cui Danimarca e Regno Unito, nella speranza di rendere operativa la cooperazione in materia di difesa tra i paesi europei. Questo è un ulteriore segno del pragmatismo imperante, e riflette la volontà di preservare le questioni militari lontane dalle istituzioni del 27, in quadri flessibili, tra volontari “capaci e pronti”. Lo European Air Transport Command (CTAE/EATC) che raggruppa sette paesi è l’esempio più riuscito in termini di condivisione in una logica rispettosa delle sovranità nazionali. Inaugurato nel settembre 2010, il CTAE ha consentito alla Francia, già nel dicembre dello stesso anno, di inviare tre compagnie da combattimento in Costa d’Avorio utilizzando aerei olandesi, belgi e tedeschi. Secondo la cosiddetta procedura di Reverse Transfer of Authority, “in assenza di un impegno nazionale, tali risorse possono essere messe a disposizione dei partner a termini e condizioni che prevedano, se necessario, un subentro sotto comando nazionale” 2. Un rapporto del Senato sull’autonomia strategica europea commenta sul CTAE: “il principio dovrebbe essere esteso ad altri settori (elicotteri, assistenza medica, per esempio)” 3. Insomma, Realpolitik sta tornando forte, sia nella consapevolezza, più o meno, della necessità di un’autonomia strategica su scala europea per i settori più diversi, sia nella rivalutazione delle logiche intergovernative nella cooperazione tra Stati. Resta però un grosso problema. Per quanto riguarda il campo stesso della difesa, i partner europei della Francia rifiutano di pensarci davvero in termini di autonomia, sia nell’ambito dell’UE che in formazioni multilaterali. Tuttavia, finché l’autonomia strategica non diventerà il principio guida in materia di difesa, i loro sforzi in altri settori rimarranno quindi effimeri e vani. Come sottolinea Charles A. Kupchan, direttore degli affari europei presso il Consiglio di sicurezza nazionale sotto i presidenti Clinton e Obama, “la supervisione della sicurezza è il fattore decisivo nel determinare chi è al comando”1.

3- Il ritorno in vigore dell’eterno trittico delle relazioni NATO-UE Dal 2016, la cooperazione tra UE e NATO si è notevolmente intensificata, come testimoniano due dichiarazioni congiunte (nel 2016 e nel 2018) e l’individuazione di ben 74 azioni per essere attuato congiuntamente. Questa impennata delle attività di conciliazione non è estranea alla ripartenza, proprio nel 2016, della difesa europea. Come ha rilevato l’ultimo rapporto dedicato a questo argomento all’Assemblea parlamentare della NATO: uno dei principali fattori alla base di questo “boom nella cooperazione” è “il nuovo ciclo di iniziative di sicurezza europee al di fuori dell’UE. Quadro NATO ”2. Infatti, poiché l’autonomia strategica europea diventa il leitmotiv di queste nuove iniziative, l’Alleanza cerca di non lasciarle sfuggire alla sua morsa. Il Segretario Generale si oppone apertamente alle due: “solidarietà strategica con la NATO” è preferibile ad “autonomia strategica con l’UE” 1. Tornano dunque alla ribalta i limiti politici posti fin dall’inizio alla Psdc dagli Stati Uniti. Certo, queste restrizioni, note come 3D, sono state un colpo da maestro da parte della diplomazia americana. Il requisito della non duplicazione copre tutte le aree critiche dal punto di vista dell’autonomia: pone limiti rigorosi alla capacità di azioni autonome degli europei sia a livello operativo (pianificazione e gestione) che strutturale (industria degli armamenti e della tecnologia) e strategico (difesa collettiva). Il non disaccoppiamento serve alla prevenzione: agli europei viene chiesto di non pensare e decidere nemmeno insieme, al di fuori della NATO, su queste questioni. La non discriminazione funziona come un blocco di sicurezza. Nel caso in cui, nonostante tutte queste precauzioni, un’iniziativa europea assumesse dimensioni inaspettate, l’obbligo di includere alleati extracomunitari consente di intervenire direttamente per richiamare all’ordine i recalcitranti.

31 – Non disaccoppiamento?

Il criterio del non disaccoppiamento del processo decisionale ha rivelato ancora una volta i suoi limiti durante le tensioni greco-turche nel 2020

2. Dato il grado di conflitto tra questi due paesi membri della NATO – di cui uno fa parte dell’Unione Europea, l’altro no – la distinzione tra i due fori assume tutto il suo significato. Si ricorda, quando è stata lanciata la PSDC, qualsiasi progresso istituzionale nella nascente politica di difesa europea è stato sospeso alla conclusione degli accordi tra l’UE e la NATO, conclusione a sua volta ritardata dalla controversia tra Grecia e Turchia. Una delle condizioni poste da Ankara era la promessa che le forze dell’Unione Europea non saranno mai usate contro uno Stato membro dell’Alleanza. La Turchia voleva impedire alla Grecia, poi affiancata da Cipro dopo la sua adesione all’UE, di poter coinvolgere militarmente l’intera Unione nelle loro controversie. Dopo due anni di trattative, è stata fatta la promessa, con lo strano impegno, richiesto dalla Grecia in nome del principio di reciprocità, che la Nato non attaccherà mai nemmeno un Paese dell’Unione Europea. Ad ogni modo, questi dettagli dicono molto sulla netta distinzione tra le due organizzazioni. Nonostante il fatto che 21 Stati siano membri di entrambi allo stesso tempo, l’UE e la NATO non sono la stessa cosa, un fatto dimostrato in modo spettacolare durante le recenti tensioni sulle riserve di idrocarburi nel Mediterraneo orientale. Essendo Grecia e Cipro membri dell’Unione Europea, ogni tentativo di rosicchiare i loro confini, marittimi e non, mette in discussione quelli dell’UE. Di conseguenza, a seguito delle azioni turche nella regione, il ministro degli Esteri greco ha potuto argomentare: “La Grecia difenderà i suoi confini nazionali ed europei, la sovranità ei diritti sovrani dell’Europa”. 1 Una comunità di destini sottolineata anche dal Segretario di Stato francese per gli affari europei, Clément Beaune: “La Turchia persegue una strategia che consiste nel mettere alla prova i suoi immediati vicini, Grecia e Cipro e, attraverso di loro, l’intera Unione Europea”. 2 Va da sé che l’Alleanza non è la sede ideale per difendere l’integrità territoriale degli Stati europei contro un paese alleato. Fin dall’inizio, la Francia vede quindi in essa un’opportunità per affermare una politica europea di solidarietà “verso qualsiasi Stato membro la cui sovranità possa venire contestata” 3. Questa nota ufficiale dell’Eliseo ricorda, sullo sfondo, l’implicita difesa collettiva che è stata nascosta nei trattati europei sin da quello di Amsterdam del 1997. Tra gli obiettivi di politica estera e di sicurezza c’è già la “salvaguardia dell’Unione europea “.integrità dell’Unione”, ovvero la difesa delle frontiere esterne. Questo elemento – spesso ignorato, eppure pieno di possibili ramificazioni – fu aggiunto a suo tempo su esplicita richiesta di Atene, con il pieno appoggio di Parigi.

32 – Non duplicazione?

Il criterio di non duplicazione tra NATO e UE prevede tradizionalmente tre divieti: non può esserci “duplicazione” funzionale (la PSDC non deve toccare il monopolio della NATO sulla difesa collettiva); nessuna duplicazione di capacità (in termini di armamenti, si chiede agli europei di continuare a privilegiare l’acquisto di armamenti americani, invece di pensare in termini di autonomia per il BITDE – base industriale e tecnologica per la difesa europea); né duplicazione delle risorse progettuali e gestionali (in altre parole, nessuna Sede per il PSDC) 1. I primi due temi – difesa collettiva e acquisto di armi – sono sempre stati, più o meno implicitamente, intrecciati tra loro. Perché è un dato di fatto: fin dalla creazione della Nato, gli alleati che si sentono protetti dall’ombrello americano, come ha osservato l’amministratore delegato di Dassault Aviation, «un vero desiderio di comprare americano qualunque sia il prezzo, qualunque sia l’esigenza operativa»2. Tuttavia, la recente incertezza sull’affidabilità delle garanzie americane sta mettendo a dura prova questa logica transazionale. Il rilancio della PSDC nel 2016 ha sollevato preoccupazioni negli ambienti della NATO, in particolare per quanto riguarda una possibile ricaduta della nuova dinamica europea verso la difesa collettiva, appannaggio dell’Alleanza. Da allora, il segretario generale della Nato ha passato la maggior parte del suo tempo a lanciare avvertimenti ea insistere sul fatto che “l’Europa non può difendersi”. Per sua sfortuna, per quattro anni ha dovuto farlo mentre il presidente Trump, dal canto suo, non ha mai smesso di dubitare della garanzia di difesa della Nato. Questa messa in discussione dell’articolo 5, da parte del presidente americano, ha chiarito anche al più atlantista degli europei che, appunto, potrebbe venire un giorno in cui si troveranno soli a difendersi. Un’ipotesi che suscita aspre polemiche pubbliche, ma anche un abbondante dibattito di esperti di entrambe le sponde dell’Atlantico. Uno degli scambi più interessanti si è sviluppato sulle colonne della rivista britannica Survival, nota pubblicazione sotto l’egida dell’IISS, International Institute for Strategic Studies. Nell’aprile 2019, un team dell’IISS ha pubblicato uno studio secondo cui gli alleati europei della NATO non sarebbero stati in grado di far fronte all’aggressione russa: gli Stati Uniti dovrebbero venire in loro soccorso. Alla fine del 2020, Barry R. Posen, direttore del Security Studies Program presso il prestigioso Massachusetts Institute of Technology (MIT), ha espresso il punto di vista opposto alle ipotesi e alle affermazioni di questo studio in un articolo dal titolo eloquente: “L’Europa può difendersi” 2. Il dibattito non è stato senza suscitare reazioni, quali mettere in discussione la pertinenza degli scenari scelti, quali mettere in discussione le motivazioni ei messaggi politici dei giornali. Da un lato, lo studio dell’IISS è stato visto da alcuni come tempestivo per screditare qualsiasi idea di autonomia. Posen, invece, è stato accusato di essere indulgente verso le debolezze europee solo per sostenere meglio la tesi del suo recente libro che auspica una politica estera di “restrizione” per gli Stati Uniti3. Comunque sia, tre elementi del dibattito meritano attenzione. In primo luogo, gli oratori di entrambe le parti concordano sul fatto che l’importo necessario per colmare le lacune di capacità degli europei (in vista di una minaccia russa convenzionale) è di circa 300 miliardi di euro. Tuttavia, come sottolineano anche i ricercatori dell’IISS: solo colmando il gap con l’obiettivo del 2% del PIL che gli alleati europei si erano impegnati nel quadro della NATO, spenderebbero 100 miliardi di euro in più… all’anno.4 Secondo, François Heisbourg ha introdotto nel dibattito la dimensione nucleare, che fino ad allora era stata del tutto messa da parte. Come giustamente rimarca: “il rischio di una guerra in Europa non può essere analizzato indipendentemente dal fattore nucleare [perché] la Russia non prevede alcuna operazione nel teatro europeo senza qualche legame che una minaccia nucleare russa implicava”. Pertanto, la “dissuasione estesa” sarebbe “un elemento indispensabile di qualsiasi sforzo per contrastare l’aggressione militare russa” 5. Un’occasione d’oro per Posen per ricordare la fragilità del concetto stesso di deterrenza estesa: “Anche il rapporto di deterrenza estesa tra Stati Uniti ed Europa è sempre stato un’ipotesi problematica”1. Infine, il dibattito sulla difesa dell’Europa si concentra solo sulle carenze europee e ignora la questione della capacità degli Stati Uniti di venire in aiuto. Dopo la Guerra Fredda, il documento di base del Pentagono, il Quadrennial Defense Review (QDR) ha stabilito che gli Stati Uniti devono essere in grado di combattere (e vincere) due guerre alla volta, la condizione sine qua non dello status di superpotenza 2. Questo approccio è stato la posizione ufficiale fino alla Strategia del 2012, dove l’amministrazione Obama ha sostituito la cosiddetta dottrina del “due meno”: l’obiettivo di vincere una guerra, imponendo costi inaccettabili a un aggressore su un altro teatro3. In definitiva, la Strategia del 2018, sotto il presidente Trump, ha tratto conclusioni dall’ascesa al potere della Cina e ora mira a una sola guerra alla volta, facendo affidamento sulla deterrenza in un secondo teatro. Uno sviluppo che non è certo vicino a rassicurare gli alleati europei. Tanto più che non fa che rafforzare i dubbi, già espressi nel Rapporto della British Trident Commission – composta da ex ministri della Difesa e degli Esteri, ex ambasciatori e capi di stato maggiore – sulla volontà e la capacità degli Stati Uniti di difendere l’Europa5. Tuttavia, l’altro grande aspetto del divieto di non duplicazione, l’armamento, è direttamente legato alla percezione delle garanzie di difesa. Il senatore degli Stati Uniti Chris Murphy ha chiarito la logica del dare e avere quando si è preoccupato sotto il presidente Trump per l’impatto della sfida all’articolo 5 sulla vendita di armi. Questo democratico eletto nel Connecticut ha spiegato, durante una conferenza, come la garanzia della Nato porti un vantaggio economico al suo Stato, a patto che gli europei ci credano: “grazie a questa stretta alleanza, è molto più probabile che gli europei acquistino prodotti da Sikorsky e Pratt & Whitney”. Murphy critica Donald Trump per aver messo in dubbio l’impegno americano per la difesa collettiva, perché a seguito di ciò “gli alleati europei stanno iniziando a esplorare altre opzioni per l’acquisto del loro equipaggiamento militare, comprese iniziative preoccupanti. che escluderebbero gli Stati Uniti”1. Si tratta del Fondo europeo per la difesa destinato, come abbiamo visto, a cofinanziare i progetti europei di armamento a carico del bilancio comunitario. La partecipazione di terzi – soprattutto quella di potenti industriali americani sostenuti dal loro governo – sarebbe controproducente rispetto all’obiettivo dichiarato dell’autonomia. Le divisioni tra europei in questo senso si riflettono nello spettacolare taglio del budget (da 13 miliardi a 7 miliardi per il prossimo quadro pluriennale). Fino a quando gli Stati Uniti non otterranno l’accesso alle proprie condizioni, i suoi più stretti alleati europei si opporranno al rafforzamento di questo strumento. Al contrario, se hanno successo e gli Stati Uniti diventano ammissibili ai finanziamenti del FES (in un modo o nell’altro, ad esempio attraverso la partecipazione al CSP), è la Francia che dovrebbe normalmente ridurre il proprio impegno nei suoi confronti. Perché questo trasformerebbe il budget del FES in un setaccio che consente alle aziende di paesi terzi, in particolare americani, di dirottare la spesa europea come meglio credono. Tanto più che questa logica si applica già agli acquisti di armi in generale. Come sottolinea un recente rapporto dell’Institut Montaigne, “Oggi non c’è ancora nessuna preferenza europea per l’acquisizione di attrezzature (…) l’acquisizione di attrezzature americane consuma i bilanci della difesa degli Stati. i budget rimanenti per gli industriali europei e consente alcune interferenze americane negli affari della difesa dell’UE ”2. Il rapporto fa l’esempio degli aerei da combattimento: “Nel settore aereo, ad esempio, la partecipazione al programma F35 di paesi come l’Italia, i Paesi Bassi o più recentemente il Belgio indebolisce l’industria europea” 3. Per la cronaca, è questo stesso aereo che il ministro Florence Parly ha evocato per rifiutare il legame stabilito da Washington tra garanzie della difesa e acquisto di armi: “La clausola di solidarietà della NATO si chiama Articolo 5, e non Articolo F-35”1.

33 – Non discriminazione? 

Il campo degli armamenti continua ad essere il tema principale della terza D, quella del divieto di ogni discriminazione nei confronti degli alleati non membri dell’UE. Trattandosi di un argomento delicato, questo divieto è, per una volta, invocato direttamente e pubblicamente per garantire la presenza degli Stati Uniti nelle iniziative europee. La saga dell’accesso al FES è proseguita, in questo spirito, per tutto il 2020.2 Come osserva un rapporto dell’Assemblea nazionale: “Le discussioni sono particolarmente tese sulla questione dell’ammissibilità delle imprese di paesi terzi, in particolare quelle del Regno Unito e del Stati Uniti, all’EDF. Gli Stati membri sono divisi sulla questione e, per alcuni che ospitano filiali di società statunitensi, sotto forte pressione da parte degli Stati Uniti per una maggiore flessibilità nei criteri di ammissibilità”. E agli autori del rapporto di spiegare: “Va da sé che se il FES dovesse essere ampiamente aperto alle imprese di paesi terzi, tanto meno sarebbero i finanziamenti per raggiungere l’obiettivo dell’autonomia strategica” 3. Pochi mesi dopo, il Segretario di Stato per gli Affari Europei, Clément Beaune, rassicura: “Il Fondo europeo per la difesa sta finanziando i nostri progetti per l’autonomia strategica europea. È impossibile finanziare paesi terzi. La cooperazione strutturata permanente, che è la cooperazione a progetto, prevede la possibilità di integrare paesi terzi a bordo di determinati progetti, con regole per l’approvazione da parte dei paesi dell’Unione europea caso per caso ”4. In effeti, in base al compromesso messo insieme sotto la Presidenza tedesca dell’UE, “Stati terzi” possono entrare in un particolare progetto di PSC a condizione che vi sia una decisione politica in merito e finché non ci sono fondi comuni europei a posta in gioco – almeno in linea di principio. Come promemoria, il CSP e la FED sono stati creati per essere complementari l’uno all’altro. Il CSP può essere visto da alcuni attori esterni come una possibile porta d’ingresso o un diritto di blocco nei confronti del FES: sia per accedervi in ​​qualità di terzi, sia per riuscire a escluderne un determinato programma come risultato. la propria partecipazione al progetto corrispondente. Inoltre, il Segretario di Stato Beaune si guarda bene dal precisare se la Francia sia riuscita a imporre, come sine qua non, le sue due condizioni iniziali per l’accesso di terzi al CSP. Vale a dire: considerare come presupposto non negoziabile il fatto che la proprietà intellettuale ei diritti di esportazione debbano rimanere, senza alcuna ambiguità, sotto il controllo europeo. O, invece, sono state ridotte le condizioni generali, come suggerisce il comunicato Ue, che il terzo partecipante “deve condividere i valori su cui si fonda l’Unione, non deve ledere gli interessi dell’Unione e dei suoi Stati membri in materia di sicurezza”. e difesa e deve aver concluso un accordo per lo scambio di informazioni classificate con l’UE.”1 Perché se così fosse, l’obiettivo iniziale di non dipendenza è obsoleto e il CSP si svuota definitivamente della sua sostanza. Il rischio è tanto maggiore dato che l’approccio scelto dalla nuova amministrazione Biden è straordinariamente intelligente. Gli Stati Uniti usano il “nuovo inizio” nelle relazioni transatlantiche, dopo gli anni di Trump, come pretesto per ribaltare la situazione e presentare la propria domanda di accesso come segno di un nuovo impegno. È quindi per il desiderio di rafforzare i legami tra gli alleati che desiderano onorare le iniziative europee con la loro presenza. La manovra è ancora più abile dal momento che Washington avanza a tappe. Invece di puntare immediatamente alle questioni più delicate, gli Stati Uniti si collegheranno prima al progetto di mobilità militare, che è anche uno dei circa 50 progetti di CSP2. Ma la portavoce del Pentagono ammette che questo è solo il primo passo: “Un passo cruciale per identificare come gli Stati Uniti e l’UE possono lavorare insieme in altri progetti PUC e per esplorare la possibile cooperazione tra gli Stati Uniti e l’UE in altre iniziative di advocacy. l’UE”. Jessica Maxwell aggiunge che Washington vede la tempestiva approvazione della partecipazione degli Stati Uniti da parte dell’UE come un segno promettente di “impegno dell’UE e degli Stati membri a mantenere aperte le iniziative di difesa dell’UE agli Stati Uniti”1. Messa è stata detta.

 4- Unione, quale unione?

 Più l’Ue parla di autonomia, più si moltiplicano le richieste di “più integrazione”. In questa narrazione, il passaggio alla maggioranza qualificata creerebbe, con il colpo di una bacchetta magica, un’Europa potente che parla con una sola voce, in grado di svolgere il proprio ruolo nello scacchiere geopolitico. Ma una visione così semplicistica tende a confondere forma e sostanza. Non è a causa della regola dell’unanimità che l’UE è incapace di avere una politica di potere indipendente, al contrario. La posizione maggioritaria tra i partner europei è sempre stata quella di ignorare o addirittura diffamare i concetti di potere e indipendenza. Se dipendesse da loro, l’Europa sarebbe, per molto tempo, un 51° Stato americano o addirittura, domani, una 24° provincia cinese. Il requisito dell’unanimità è l’unica salvaguardia che resta per i pochi, spesso la sola Francia, che sono attaccati all’idea di essere padroni del proprio destino e di fare le proprie scelte. L’eccellente articolo di Hubert Védrine “Advancing with open eyes” (scritto nel 2002, ma chi non è invecchiato un po’ da allora) riassume perfettamente le opzioni. L’ex ministro degli Esteri invoca “onestà intellettuale” prima di avviare le prossime tappe della costruzione europea: “Una delle due cose: o accettiamo, perché crediamo che l’ambizione europea prevalga su tutte le altre o perché crediamo che l’Europa quadro è ormai l’unico che ci permette di difendere i nostri interessi, di fonderci gradualmente in questo insieme. E così stiamo giocando a pieno titolo la partita europea, rafforzando le istituzioni europee e comunitarie, generalizzando il voto a maggioranza. E accettiamo in anticipo tutte le conseguenze. Oppure, considerando che non potremo conservare con il 9% dei voti in Consiglio, il 9% dei membri del Parlamento, un commissario su 25, posizioni e politiche che riteniamo fondamentali, rifiutiamo questo salto istituzionale”1. Tra queste posizioni fondamentali, impossibili da preservare in un’Europa sovranazionale governata dalla logica della maggioranza, c’è la richiesta di autonomia e di potere. Un episodio recente illustra perfettamente la solitudine della Francia ei pericoli per lei di cedere alle sirene europeiste nella speranza di una potenza immaginaria dell’Europa. Questo è il passaggio d’armi, alla fine del 2020, tra il presidente Macron e il ministro della Difesa tedesco Annegret Kramp-Karrenbauer (AKK) 2. Quest’ultimo dichiara, alla vigilia delle elezioni presidenziali americane, che “devono finire le illusioni sull’autonomia strategica europea” 3. Su cosa, ribatte il presidente francese: Soprattutto non dobbiamo perdere il filo europeo e questa autonomia strategica, questa forza che l’Europa può avere per se stessa. Si tratta di pensare i termini della sovranità europea e dell’autonomia strategica, per poterci pesare e non diventare vassalli di questo o quel potere e non dire più la nostra». 4. L’Akk insiste e firma: “L’idea di autonomia strategica europea va troppo oltre se implica che saremmo in grado di garantire la sicurezza, la stabilità e la prosperità dell’Europa senza la Nato e senza gli Stati Uniti. È un’illusione”5. Come prevedibile, altri paesi europei si sono schierati con la Germania. Il ministro della Difesa polacco Mariusz Błaszczak ha concluso che “dobbiamo essere più vicini che mai agli Stati Uniti”, e il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez ha chiarito: “Sono con la visione tedesca”. Il ministro della Difesa italiano, Lorenzo Guerini, vede nell’autonomia strategica europea la “conferma del ruolo dell’Europa come pilastro dell’architettura di sicurezza collettiva basata sul patto transatlantico”. Il suo omologo portoghese, João Gomes Cravinho, avverte: “Cercare di far diminuire l’autonomia strategica dell’Ue all’interno della Nato o tentare di separarsi dalla Nato sarebbe, a nostro avviso, un grave errore”. Difficile non vedere, dietro questi discorsi, il posizionamento l’uno dell’altro rispetto a Washington. Così come ognuno è determinato secondo la propria visione del mondo in relazione a Pechino, Ankara o Mosca. I ricercatori dell’istituto tedesco SWP, che consiglia il governo federale sulle questioni di sicurezza, trovano: le relazioni bilaterali tra gli Stati membri dell’UE e le grandi potenze sono guidate da “lealtà disparate e interessi in competizione”, il che rende difficile un approccio comune all’autonomia strategica, se non inconcepibile1. Lo scrittore-filosofo inglese GK Chesterton espose brillantemente, cento anni fa, la vacuità degli argomenti a favore di un’unione tra entità diverse: “L’unione è forza, l’unione è anche debolezza. Trasformare dieci nazioni in un impero può essere tanto realizzabile quanto trasformare dieci scellini in un semi-sovrano [oggi: dieci pence in una sterlina]. Ma può anche essere assurdo come trasformare dieci tane in un unico mastino. La questione in ogni caso non è una questione di unione o disunione, ma di identità o mancanza di identità. Per certe cause storiche e morali, due nazioni possono essere così unite che nel complesso si sostengono a vicenda. Ma per certe altre cause morali e per certe altre cause politiche, due nazioni possono unirsi e solo ostacolarsi a vicenda; le loro linee si scontrano e non sono parallele. Abbiamo quindi uno stato di cose che nessun uomo sano di mente si sognerebbe mai di voler continuare se non fosse stato stregato dal sentimentalismo della semplice parola ‘unione’”2. Nell’Europa di oggi, continuare significa il livellamento verso il basso e la diluizione delle ambizioni

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1 Vision partagée, action commune: Une Europe plus forte – Une stratégie globale pour la politique étrangère et de sécurité de l’Union européenne, juin 2016. 2 Lettre de mission de la part de la présidente de la Commission, Ursula von der Leyen au Commissaire Thierry Breton, 1er décembre 2019. 3 OTAN 2030 : Unis pour une nouvelle ère, Analyse et recommandations du Groupe de réflexion constitué par le secrétaire général de l’OTAN, 25 novembre 2020.

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1 Jean-Dominique Merchet, « Hubert Védrine: ‘J’ai pu vérifier que les idées françaises étaient isolées au sein de l’Alliance atlantique’ », L’Opinion, 15 décembre 2020. 2 Sur le sujet de l’extension géographique et fonctionnelle, voir de l’auteur: « Une OTAN de plus en plus englobante », Note IVERIS, 18 octobre 2019. 3 Remarks by NATO Secretary General Jens Stoltenberg at the Munich Security Conference 2021, 19 février 2021. 4 Presenting the POLITICO 28 Class of 2021, POLITICO Events, Entretien filmé de David Herszenhorn avec le Secrétaire général Jens Stoltenberg, 7 décembre 2020.

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1 Déclaration du sommet de Bruxelles par les chefs d’État et de gouvernement participant à la réunion du Conseil de l’Atlantique Nord tenue à Bruxelles les 11 et 12 juillet 2018 (Par.78). 2 Déclaration de Londres par les dirigeants des pays de l’OTAN, Londres les 3 et 4 décembre 2019 (Par.6). 3 Audition du contre-amiral Arnaud Coustillière, officier général en charge de la cyberdéfense à l’état-major des armées, Commission de la défense nationale et des forces armées de l’Assemblée nationale, 12 juin 2013. 4 Hubert Védrine, Rapport pour le Président de la République française sur les conséquences du retour de la France dans le commandement intégré de l’OTAN, sur l’avenir de la relation transatlantique et les perspectives de l’Europe de la défense, 14 novembre 2012.

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1 Conférence de presse du Secrétaire général de l’OTAN Jens Stoltenberg, 15 février 2021. 2 NATO chief wades into fiery German debate on armed drones, Defense News, 23 décembre 2020

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1 Gerald E. Connolly, « 70 ans de l’OTAN : Pourquoi l’Alliance demeure-t-elle indispensable ? », Rapport de l’Assemblée parlementaire de l’OTAN, septembre 2019. 2 Plus de 60 législateurs se penchent sur le nouvel agenda pour les relations transatlantiques et l’OTAN, Assemblée parlementaire de l’OTAN, 26 mars 2021. 3 La commission permanente crée un groupe de travail sur la création d’un centre de l’OTAN pour la résilience démocratique, Assemblée parlementaire de l’OTAN, 29 mars 2021.

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1 OTAN 2030 : Unis pour une nouvelle ère, Analyse et recommandations du Groupe de réflexion constitué par le secrétaire général de l’OTAN, 25 novembre 2020, p.10. 2 Audition de M. Philippe Errera, ambassadeur, représentant permanent de la France à l’OTAN, Commission des affaires étrangères, de la défense et des forces armées du Sénat, 22 janvier 2013.

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1 Conférence de presse du Secrétaire général de l’OTAN Jens Stoltenberg, 15 février 2021. 2 Entretien du Secrétaire général de l’OTAN, Jens Stoltenberg, avec Politico, 7 décembre 2020

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1 Pour davantage de détails sur cette épineuse question, voir de l’auteur : L’OTAN cherche à contourner la règle du consensus, Note IVERIS, 25 août 2015 et Après Varsovie : l’OTAN au sommet de ses contradictions, in Défense & Stratégie n°40, automne 2016. 2 Xavier Pintat, Le plan d’action ‘Réactivité’ de l’OTAN: assurance et dissuasion pour la sécurité après 2014, Rapport, Assemblée parlementaire de l’OTAN, 10 octobre 2015. 3 Joseph A. Day, La nouvelle posture de dissuasion de l’OTAN : du Pays de Galles à Varsovie, Projet de rapport général, Assemblée parlementaire de l’OTAN, 19 septembre 2016. 4 The Rīga Conference 2019, Coffee break conversation between Alexander Vershbow and Julian Lindley-French, 14 octobre 2019, enregistrement vidéo

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1 Comme l’a expliqué le Secrétaire général adjoint de l’Alliance, Camille Grand : «C’est frappant lorsqu’on arrive dans l’OTAN en tant que Français que pour 26 alliés sur 29, la politique de sécurité et de défense se fait à l’OTAN à 90 % ou à 99 %. Il y a trois exceptions : les États-Unis, la France, et la Turquie qui a toujours gardé la volonté de disposer d’un outil de défense qui puisse fonctionner en dehors de l’Alliance atlantique ». Propos tenus à la Table ronde à l’Assemblée nationale : « Avenir de l’Alliance atlantique », 27 novembre 2019. NB : Avec l’adhésion du la Macédoine du Nord depuis, en mars 2020, l’Alliance compte 30 pays membres aujourd’hui

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1 Sur le chemin de l’autonomie stratégique – L’Union européenne dans un environnement géopolitique en mutation, Etude du Service de recherche du Parlement européen, septembre 2020. 2 Idem. Emmanuel Macron parle de retrouver « la grammaire de la puissance » dans son interview à The Economist en novembre 2019 et précise que « l’Europe, si elle ne se pense pas comme puissance, disparaîtra ». A la conférence des ambassadeurs en 2019, il met en garde : « Nous aurons le choix entre des dominations », soit américaine, soit chinoise

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1 Spain-Netherlands non-paper on strategic autonomy while preserving an open economy, Gouvernement des Pays-Bas www.rijksoverheid.nl , 25 mars 2021. 2 Conclusions du Conseil européen, 1er et 2 octobre 2020.

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1 Défense européenne : le défi de l’autonomie stratégique, Rapport d’information N°626 du Sénat (par R. Le Gleut et H. Conway-Mouret), 3 juillet 2019. 2 Jolyon Howorth, “Europe and Biden –Towards a New Transatlantic Pact? ”, Wilfried Martens Center, janvier 2021

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1 Sven Biscop, EU and NATO Strategy: A Compass, a Concept; and a Concordat, Egmont Institute, Security Policy Brief n°141, mars 2021

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1 Conclusions du Conseil portant lancement du projet pilote du concept de présences maritimes coordonnées dans le golfe de Guinée, 25 janvier 2021 : « Les Etats membres continuent d’améliorer la coordination sur une base volontaire des actions menées par les moyens qu’ils déploient dans la zone d’intérêt maritime sous le commandement national ». 2 Voir de l’auteur : « Les politiques d’armement en Europe à travers l’exemple de l’affaire BAE Systems-EADS », Défense & Stratégie n°33, automne 2012 3 Défense européenne : le défi de l’autonomie stratégique, Rapport d’information N°626 du Sénat (par Ronan Le Gleut et Hélène Conway-Mouret), 3 juillet 2019. L’échange de droits au sein de l’EATC se fait dans un cadre multilatéral d’ensemble et est basé sur la notion d’EFH (Equivalent Flying Hour). La référence est le prix de revient d’une heure de vol de C130 ou C160 (EFH = 1). D’après l’exemple donné par le CTAE/EATC : « Le néerlandais KDC-10 exécute une mission de ravitaillement en vol au nom de l’Espagne ; en parallèle l’espagnol KC130 propose une mission de parachutage en Allemagne ; tandis que le personnel militaire allemand et le fret italien sont transportés par un A400M français ; un Learjet luxembourgeois procède à une évacuation aéromédicale d’un soldat belge blessé dans des zones de crise ; l’italien C27J transporte une cargaison hollandaise ; et le belge Embraer transporte les soldats français ». Source : www.eatc-mil.com

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1 Charles A. Kupchan, The End of the American Era, Vintage Books, 2003, p.267. 2 Le partenariat OTAN-UE dans un contexte mondial en mutation, Rapport de l’Assemblée parlementaire de l’OTAN, par Sonia Krimi, 19 novembre 2020, §16.

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1 Laurent Lagneau, « Le secrétaire général de l’Otan critique l’idée d’autonomie stratégique européenne, 5 mars 2021 », site Zone militaire Opex360.com ; ‘The EU cannot defend Europe’: NATO chief, AFP, mars 2021. 2 Voir de l’auteur : La Turquie dans l’OTAN, entre utilité et hostilités, Note IVERIS, 26 novembre, 2020.

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1 Les alliés de l’OTAN s’affrontent en Méditerranée, Fr24news, 26 août 2020. 2 Audition de Clément Beaune, secrétaire d’État chargé des affaires européennes, à la Commission des Affaires européennes de l’Assemblée nationale, 17 septembre 2020. 3 Communiqué de l’Elysée, 12 août 2020.

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1 Sur ce dernier point, peu de changements sont à signaler depuis l’état des lieux dressé dans le dernier numéro de Défense & Stratégie (n°44, pp23-24). L’exercice qui aurait dû valider la Capacité militaire de planification et de conduite (MPCC en anglais) pour des missions dites « exécutives », avec emploi de la force militaire, fut reporté en raison de la pandémie de Covid-19. Voir : Lt. Colonel Stylianos Moustakis, “Military Planning and Conduct Capability – A Review of 2020”, in Impetus n°30, hiver-printemps 2021, p.18. 2 Voir de l’auteur : « Dassault Aviation, Eric Trappier ironique sur l’achat des F-35 par les Etats européens », Theatrum Belli, 17 mars 2014.

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1 Douglas Barrie et al, Defending Europe : Scenario-based Capability Requirements for NATO’s European Members, IISS Research Paper, avril 2019. 2 Barry R. Posen, « Europe Can Defend Itself », Survival vol.62 n°6, décembre 2020 – janvier 2021. 3 Barry R. Posen, Restraint – a New Foundation for U.S. Grand Strategy, Cornell University Press, 2015. 4 Douglas Barrie et al, « Europe’s Defence Requires Offence », Survival, vol.63 n°1, février-mars 2021. 5 François Heisbourg, « Europe Can Afford the Cost of Autonomy », Survival, vol.63 n°1, février-mars 2021.

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1 Barry R. Posen, « In Reply: To Repeat, Europe Can Defend Itself », Survival, vol.63 n°1, février-mars 2021. 2 Quadrennial Defense Review, Département de la Défense des Etats-Unis, 1997. 3 Sustaining U.S. Global Leadership: Priorities for 21st Century Defense, Département de la Défense, 2012. 4 National Defense Strategy, Département de la Défense, 2018. Pour une analyse de cette nouvelle approche, voir Hal Brands – Evan Braden Montgomery, « One War Is Not Enough: Strategy and Force Planning for Great-Power Competition », Texas National Security Review, vol.3, n°2 printemps 2020. 5 The Trident Commission, Concluding Report, juillet 2014.

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1 L’intervention du sénateur américain Chris Murphy au CSIS (Center for Strategic and International Studies): The Midterm Elections’ Implications for the Transatlantic Agenda, Washington, le 14 novembre 2018. 2 Repenser la défense face aux crises du 21e siècle, Rapport de l’Institut Montaigne, février 2021, p.141. 3 At the Vanguard – European Contributions to NATO’s Future Combat Airpower, RAND Report, 2020

pag 22

1 Discours de Florence Parly à l’Atlantic Council: “The US- French relationship in a changing world”, Washington, 18 mars 2019. 2 Sur les antécédents de ce bras de fer, voir « Le double anniversaire OTAN – Défense européenne : « Plus ça change et plus c’est la même chose ! », in Défense & Stratégie n°44, hiver 2019, pp. 27-30. 3 Françoise Dumas & Sabine Thillaye, Rapport d’information sur la relance dans le secteur de la défense, N°3492, Commission de la défense nationale et des forces armées de l’Assemblée nationale, le 6 novembre 2020. 4 Audition à la commission des affaires étrangères, de Clément Beaune, secrétaire d’État chargé des affaires européennes, 16 février 2021

pag 23

1 Coopération de l’UE en matière de défense: le Conseil fixe les conditions de la participation d’États tiers à des projets CSP, Communiqué du Conseil de l’UE, 5 novembre 2020. 2 “U.S. ready to help EU speed up troop movement to meet Russia challenge”, Reuters, 2 mars 2021. La mobilité militaire est un des initiatives phares de l’UE. Elle vise à « lever les obstacles entravant les mouvements d’équipements et de personnel militaires dans l’ensemble de l’UE, afin de faciliter et d’accélérer leur mobilité, leur permettant ainsi de réagir rapidement et efficacement à des crises internes et externes ». Elle comporte trois volets: un projet CSP mené par les Pays-Bas, une communication conjointe de la Commission européenne relative à la mobilité militaire dans l’UE financée par le mécanisme pour l’interconnexion en Europe, et une initiative commune de l’Union et de l’OTAN

pag 24

1 Sebastian Sprenger, “Pentagon pushes to partake in EU military mobility planning”, Defense News, 2 mars 2021; “US-EU cooperation pitch on military mobility gets positive response”, Defense News, 15 mars 2021.

pag 25

1 Hubert Védrine, Europe : avancer les yeux ouverts, Le Monde, 27 septembre 2002. 2 Voir de l’auteur, Germany’s Transatlantic Ambiguities, FPRI Analysis, 5 mars 2021. 3 Annegret Kramp-Karrenbauer, Europe still needs America, Politico, 2 novembre 2020. 4 La doctrine Macron : une conversation avec le Président français, Le Grand Continent, 16 novembre 2020. 5 Allocution de la ministre allemand de la défense Annegret KrampKarrenbauer à l’Université Helmut Schmidt à Hambourg, 19 novembre 2020.

pag 26

1 B. Lippert, N. von Ondarza, V. Perthes (eds.), European Strategic Autonomy – Actors, Issues, Conflicts of Interests, The German Institute for International and Security Affairs (SWP), Research Paper, mars 2019. 2 Gilbert Keith Chesterton, Heretics, recueil d’essais publié en 1905.

L’OTAN reprend l’avantage dans son bras de
fer avec l’UE
Hajnalka Vincze
Senior Fellow au Foreign Policy Resarch Institute (FPRI)1
Jamais on n’a autant parlé et aussi publiquement de l’autonomie
stratégique européenne que pendant l’année 2020, et rarement
auparavant les limites politiques de ladite autonomie étaient
apparues aussi crûment. Un paradoxe largement en phase avec
l’oscillation de la posture américaine : tandis que sous
l’administration Trump même les plus atlantistes des Européens ne
pouvaient plus échapper à une certaine prise de conscience, après
l’arrivée de l’administration Biden, en revanche, les efforts visent
surtout à escamoter le fait que dans les relations transatlantiques
seul le ton change. Avec la bascule brutale entre le « méchant »
Donald Trump et le « bienveillant » Joseph Biden, les constantes
sont d’autant plus flagrantes. Le comportement des Européens
apparaît pour ce qu’il est, d’une obséquiosité à toute épreuve, et en
toutes circonstances, devant l’allié américain. Sous Trump, les
concessions se font par peur, pour amadouer le président des EtatsUnis, sous Biden, c’est par soulagement, pour le remercier de ne
pas remettre ouvertement en question les fondamentaux de
l’Alliance.
L’élaboration en parallèle, durant 2021-2022, de deux documents
clés – la Boussole stratégique de l’UE et le nouveau Concept
stratégique de l’OTAN – se fera donc à la lumière de cette
expérience récente. Les deux témoignent d’une même tentative
« d’adaptation » au nouvel environnement international, et sont
marquées par la recherche d’un modus vivendi, jusqu’ici introuvable,
entre les efforts d’autonomie européenne et le leadership américain
hérité de la guerre froide. Le tout dans un contexte qui se
1
Nota: Le contenu de l’article n’engage que son auteur et ne reflète pas
nécessairement la position du Foreign Policy Research Institute.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
7
caractérise par la recrudescence de l’idée d’autonomie : depuis la
Stratégie globale de l’UE qui en a fait son fil directeur en 20161
,
jusqu’à la nouvelle Commission qui se décrit comme étant
« géopolitique »
2
. Le prestigieux institut de recherche pan-européen,
le Conseil européen pour les relations internationales (European
Council on Foreign Relations : ECFR), avait initié, dès l’été 2018, un
programme sur la « souveraineté européenne » et l’autonomie
stratégique. Depuis, on ne compte plus les analyses et les discours
dédiés à ce sujet. Ce qui fut naguère le terme tabou par excellence,
est devenu le mot à la mode que l’on évoque à tout bout de champ.
La pandémie du coronavirus a renforcé cette tendance par la mise à
nu des vulnérabilités européennes en tous genres, autant de signaux
d’alerte sur les dangers de la dépendance. Au prime abord, cette
évolution devrait conduire à un rééquilibrage entre les deux côtés
de l’océan Atlantique : une reprise en main européenne qui irait de
pair avec un recentrage sur l’essentiel de l’OTAN. A bien regarder
les développements concrets, rien n’est moins certain pourtant.
D’un côté, l’Alliance atlantique ajoute à ses attributs militaires une
dimension politique qui empiète toujours davantage sur la liberté de
manœuvre de l’Union et de ses Etats membres. De l’autre, le
concept de l’autonomie stratégique européenne s’éloigne
progressivement du domaine militaire : un aggiornamento bienvenu et
ô combien nécessaire, mais qui, dans les circonstances actuelles,
risque de se faire au prix d’une dilution du socle originel. Ces
évolutions simultanées entraînent la perpétuation d’une situation
malsaine : une mésalliance transatlantique où les Européens font
figure non pas d’alliés par conviction mais d’alliés par faiblesse.
1- La marche en avant de l’OTAN
Les grandes lignes de l’évolution future de l’Alliance sont
développées dans le rapport intitulé OTAN 2030 : Unis pour une
nouvelle ère3
, qui servira de base aux propositions du Secrétaire
général pour le nouveau Concept stratégique (le dernier datant de
2010). Le groupe de réflexion chargé de l’élaboration du rapport fut
dans l’air du temps : les dix participants ont été choisis avec un soin
1 Vision partagée, action commune: Une Europe plus forte – Une stratégie globale pour la
politique étrangère et de sécurité de l’Union européenne, juin 2016. 2 Lettre de mission de la part de la présidente de la Commission, Ursula von
der Leyen au Commissaire Thierry Breton, 1er décembre 2019.
3 OTAN 2030 : Unis pour une nouvelle ère, Analyse et recommandations du
Groupe de réflexion constitué par le secrétaire général de l’OTAN, 25
novembre 2020.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
8
au-dessus de tout reproche : cinq hommes et cinq femmes… (N.B.
les Etats-Unis, la France, l’Allemagne, le Royaume-Uni et la
Turquie ont laissé aux autres la gloire de faire vibrer l’esprit de
parité). De toute manière, la réflexion entre alliés n’a qu’une
importance toute relative. L’ancien ministre des affaires étrangères
Hubert Védrine, représentant la France, a qualifié le résultat de
« bon compromis ». Ce qui signifie, en termes diplomatiques, que
les propositions américaines n’ont pas été reprises mot à mot, mais
légèrement reformulées. Védrine a lui-même admis : « J’ai pu
vérifier que les idées françaises étaient isolées au sein de l’Alliance
atlantique »
1
. En effet, le rapport ne fait que confirmer les
tendances déjà à l’œuvre à l’initiative des Etats-Unis.
11- Une expansion tous azimuts
Il s’agit avant tout d’une extension des compétences à la fois
géographiques et fonctionnelles de l’Alliance atlantique2
. Le rapport
OTAN 2030 considère déjà à parts égales les problèmes posés par
« une Russie obstinément agressive » et « la montée en puissance de
la Chine ». A la Conférence de sécurité de Munich de 2021, le
Secrétaire général de l’OTAN nomme formellement la Chine en
première place des défis3
. Jens Stoltenberg affirme, non sans raison,
que « la Chine constitue un défi pour tous les alliés », mais il s’en
sert pour dire que, par conséquent, « l’OTAN est encore plus
importante qu’avant »4
. Or, à moins de vouloir faire un remake de la
guerre froide – avec les Européens en rôle d’auxiliaires face à un
adversaire qui n’est même pas, cette fois-ci, dans leur proximité
immédiate – difficile de voir pourquoi. La consultation entre alliés
serait utile, voire la coordination entre politiques souveraines là où
c’est faisable, mais pour cela l’OTAN dirigée par les Etats-Unis
n’est certainement pas l’enceinte idéale.
Le rapport OTAN 2030 soutient aussi le renforcement continu des
compétences de l’Alliance dans des domaines aussi divers et variés
que le climat, la communication, les pandémies, l’énergie et l’espace
extra-atmosphérique. En juillet 2018, les alliés européens ont déjà
1
Jean-Dominique Merchet, « Hubert Védrine: ‘J’ai pu vérifier que les idées
françaises étaient isolées au sein de l’Alliance atlantique’ », L’Opinion, 15
décembre 2020.
2
Sur le sujet de l’extension géographique et fonctionnelle, voir de l’auteur:
« Une OTAN de plus en plus englobante », Note IVERIS, 18 octobre 2019.
3 Remarks by NATO Secretary General Jens Stoltenberg at the Munich Security
Conference 2021, 19 février 2021.
4
Presenting the POLITICO 28 Class of 2021, POLITICO Events, Entretien
filmé de David Herszenhorn avec le Secrétaire général Jens Stoltenberg, 7
décembre 2020.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
9
accepté des « consultations régulières » et un rôle accru de l’OTAN
en matière énergétique, alors même que le sujet du gazoduc Nord
Stream 2 met en évidence, depuis des années, le conflit entre
intérêts européens et américains dans ce domaine1
. En décembre
2019, pour s’assurer encore les bonnes grâces du Président Trump,
les alliés ont reconnu, sur l’insistance des Etats-Unis, l’espace extraatmosphérique comme milieu d’opérations de l’OTAN2
. Détail
savoureux : le nouveau Centre d’excellence de l’OTAN pour
l’espace sera localisé à Toulouse – dans le bâtiment dédié au futur
centre opérationnel du commandement militaire de l’espace (CDE)
national, d’ici 2025.
Une situation qui n’est pas sans rappeler celle du Commandement
de la Transformation de l’OTAN (ACT) installé à Norfolk, en
Virginie en 2003, dans le voisinage immédiat de l’US Joint Forces
Command. Ce Commandement national américain était chargé de
développer, pour les Etats-Unis, les concepts et doctrines
« transformationnels » – or, la co-localisation n’a fait que renforcer
son influence déterminante sur les travaux de l’OTAN. Compte
tenu des rapports de force, le scénario risque de se reproduire en
sens inverse à Toulouse. Le Centre d’excellence de l’OTAN sera
soumis à une forte influence américaine – comme à Tallin où le
Centre pour la cyberdéfense subit une pression constante pour
adopter les normes et conceptions d’outre-Atlantique.3
La
proximité de centre otanien pour l’espace, chargé de l’élaboration
des doctrines et la validation des concepts, risque d’être comme le
ver dans le fruit et influer sur les travaux du CDE français. Non
sans évoquer le spectre d’un « phagocytage conceptuel et théorique
» dont Hubert Védrine parlait dans son rapport au Président sur le
retour de la France dans les structures intégrées de l’OTAN4
.
La France pourrait, disait-il, « se fondre » dans la pensée de
l’OTAN et perdre sa propre capacité de réflexion et d’analyse. En
1 Déclaration du sommet de Bruxelles par les chefs d’État et de gouvernement
participant à la réunion du Conseil de l’Atlantique Nord tenue à Bruxelles les
11 et 12 juillet 2018 (Par.78).
2 Déclaration de Londres par les dirigeants des pays de l’OTAN, Londres les 3
et 4 décembre 2019 (Par.6).
3 Audition du contre-amiral Arnaud Coustillière, officier général en charge de la
cyberdéfense à l’état-major des armées, Commission de la défense nationale et
des forces armées de l’Assemblée nationale, 12 juin 2013.
4
Hubert Védrine, Rapport pour le Président de la République française sur les
conséquences du retour de la France dans le commandement intégré de l’OTAN, sur l’avenir
de la relation transatlantique et les perspectives de l’Europe de la défense, 14 novembre
2012.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
10
effet, c’est un risque – pour la France comme pour les Européens
dans leur ensemble – dans tous les domaines que l’Alliance décide
d’attirer dans son champ. Or, un nombre croissant de secteurs est
dans son viseur. D’après le Secrétaire général : « l’OTAN devrait
mener des consultations plus larges, aussi sur des questions
importantes pour notre sécurité, mais qui ne sont pas toujours
purement militaires. Par exemple, les questions économiques ayant
des conséquences claires sur la sécurité sont des questions sur
lesquelles nous devrions nous consulter ». Dans cet esprit, il
faudrait, selon lui, « convoquer non seulement les ministres de la
défense, les ministres des affaires étrangères et les chefs d’État et de
gouvernement comme nous le faisons régulièrement, mais aussi,
par exemple, des conseillers à la sécurité nationale, des ministres de
l’intérieur, afin d’élargir l’agenda de l’OTAN, et de renforcer les
consultations au sein de l’Alliance »
1
.
12- Un carcan politique
Non contente d’étendre ses compétences à de nouvelles aires
géographiques (notamment l’Indopacifique) et à de nouveaux
secteurs (tels l’espace et l’énergie), l’Alliance s’immisce de plus en
plus directement jusque dans les politiques internes des Etats
membres. Le Secrétaire général de l’OTAN s’est arrogé le droit
d’intervenir dans la polémique entre les partis de la coalition
gouvernementale en Allemagne sur l’utilisation (ou pas) de drones
armés, en déclarant : « Ces drones [armés] peuvent soutenir nos
troupes sur le terrain, et, par exemple, réduire le nombre de pilotes
que nous mettons en danger»
2
Plus généralement, avec l’arrivée de
l’administration Biden l’idée – jusqu’ici gelée – d’un centre de
l’OTAN pour la surveillance du respect « des valeurs
démocratiques » dans les Etats membres redevient d’actualité.
Le Centre pour la résilience démocratique fut proposé en 2019 dans
un rapport de l’Assemblée parlementaire de l’OTAN, signé du
député démocrate américain Gerald Connolly, alors président de la
délégation américaine et devenu président de l’Assemblée depuis. Il
y affirme : «Les menaces qui pèsent sur les valeurs de l’OTAN ne
proviennent pas seulement des adversaires de celle-ci. Des
mouvements politiques peu respectueux des institutions
démocratiques ou de la primauté du droit prennent de l’ampleur
dans de nombreux pays membres de l’Alliance. Ces mouvements
1 Conférence de presse du Secrétaire général de l’OTAN Jens Stoltenberg, 15
février 2021.
2 NATO chief wades into fiery German debate on armed drones, Defense News,
23 décembre 2020.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
11
préconisent la préférence nationale à la coopération internationale.
Les démocraties libérales sont menacées par des mouvements et
des personnalités politiques hostiles à l’ordre établi qui se situent à
droite comme à gauche sur l’échiquier politique». Le rapport
suggère donc que « l’OTAN doit se doter des moyens nécessaires
pour renforcer les valeurs en question dans les pays membres », en
établissant « un centre de coordination de la résilience
démocratique»
1
.
L’idée est en train de prendre forme. Un mois après la prise de
fonction du président Biden, Connolly insiste : « Nous devons
constamment renforcer et protéger la démocratie contre les
tentatives visant à la miner – que celles-ci soient internes ou
externes. L’OTAN dispose d’une machinerie bien huilée axée sur
les questions militaires, mais il lui manque un organe qui soit
pleinement consacré à la défense de la démocratie. Cela doit
changer »
2
. L’Assemblée a fini par mettre sur pied un groupe de
travail sur la création de ce « centre de l’OTAN pour la résilience
démocratique »
3
.
Le concept est présent dans le rapport OTAN 2030 aussi, mais
celui-ci va plus loin et considère toute sorte de différences
politiques – internes et externes – entre alliés comme
problématique : « Les divergences politiques au sein de l’OTAN
représentent un danger car elles permettent à des acteurs extérieurs,
et plus particulièrement à la Russie et à la Chine, de jouer sur les
dissensions internes et de manœuvrer auprès de certains pays
membres de l’Alliance de façon à compromettre la sécurité et les
intérêts collectifs. » Les divergences sont donc vues non plus
comme l’expression de situations géographiques, traditions
historiques, choix électoraux différents, mais comme une
dangereuse absence d’alignement. Et le rapport de conclure : « Pour
que les défis de la prochaine décennie puissent être surmontés, tous
les Alliés doivent, sans ambiguïté, faire du maintien de la cohésion
1
Gerald E. Connolly, « 70 ans de l’OTAN : Pourquoi l’Alliance demeure-t-elle
indispensable ? », Rapport de l’Assemblée parlementaire de l’OTAN,
septembre 2019.
2
Plus de 60 législateurs se penchent sur le nouvel agenda pour les relations
transatlantiques et l’OTAN, Assemblée parlementaire de l’OTAN, 26 mars
2021.
3 La commission permanente crée un groupe de travail sur la création d’un
centre de l’OTAN pour la résilience démocratique, Assemblée parlementaire de
l’OTAN, 29 mars 2021.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
12
une priorité politique, qui façonne leur comportement, même au
prix d’éventuelles contraintes »
1
.
13 – Une intégration de plus en plus étroite
Pour encourager cette discipline, on fait appel à ce que l’ancien
ambassadeur de la France auprès de l’Alliance identifie comme « la
logique intégrationniste à laquelle l’OTAN est souvent encline ».
2
Ladite logique s’est mise en retrait pendant les années Trump mais
revient en force aujourd’hui dans deux domaines en particulier : le
renforcement du financement en commun et les entorses à la règle
du consensus, sous prétexte d’efficacité. Pour ce qui est de
l’augmentation et l’extension des financements en commun, la
question réapparaît d’autant plus facilement qu’à partir de 2021 la
part des Etats-Unis dans ces financements passe de 22% à 16%,
suite à une concession obtenue par le président Trump. Sans
surprise, le Secrétaire général de l’OTAN choisit donc ce moment
pour proposer d’étendre ce financement en commun aux activités
de dissuasion et de défense. Il se substituera ainsi, en partie, à la
règle selon laquelle « les coûts sont imputés à leurs auteurs », en
vertu de laquelle celui qui déploie une capacité prend en charge tous
les frais y afférents.
La France s’est toujours opposée à une telle évolution. Financer les
déploiements et les exercices à partir d’un budget commun
favorisera surtout ceux des alliés qui rechignent à dépenser, au
niveau national, pour leur défense, mais qui se précipiteront pour
faire des démonstrations d’allégeance aux frais, majoritairement, des
autres Etats membres. De surcroît, l’accroissement du périmètre du
financement en commun de l’OTAN a l’inconvénient (ou
l’avantage) de détourner les dépenses de défense des pays
européens directement vers l’Alliance. Une fois dans le pot
commun, cet argent sera dépensé suivant les priorités américanootaniennes. C’est donc autant de moyens en moins à consacrer à
des ambitions autonomes (soit dans un cadre européen, soit par
chaque Nation). Jens Stoltenberg ne s’y trompe pas quand il
1 OTAN 2030 : Unis pour une nouvelle ère, Analyse et recommandations du
Groupe de réflexion constitué par le secrétaire général de l’OTAN, 25
novembre 2020, p.10.
2 Audition de M. Philippe Errera, ambassadeur, représentant permanent de la
France à l’OTAN, Commission des affaires étrangères, de la défense et des
forces armées du Sénat, 22 janvier 2013.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
13
déclare : « En payant ensemble pour plus de choses, nous
renforçons notre cohésion »
1
.
L’autre manière de renforcer la cohésion à l’OTAN est de revisiter
les règles de la prise de décision. Certes, le Secrétaire général
confirme que « l’OTAN restera une organisation basée sur le
consensus », mais le diable est dans l’ajout d’un petit détail: « nous
allons chercher des moyens pour rendre la prise de décision plus
efficace »2
. Sauf que l’argument de l’efficacité du processus de prise
de décision dissimule mal l’intention principale qui est de passer
outre les réserves et réticences politiques de tel ou tel pays membre,
et garantir ainsi un alignement de fait sur la position du « garant
ultime ». Il s’agit donc d’un sujet cardinal, et le rapport OTAN 2030
lui consacre une part non négligeable. Le texte affirme que dans
« une époque marquée par une rivalité systémique croissante »,
l’Alliance doit accélérer et rationaliser son mécanisme de prise de
décision si elle veut conserver sa pertinence et son utilité aux yeux
de ses Etats membres.
A cet effet, il préconise plusieurs pistes : la réduction du pouvoir de
blocage de tel ou tel Etat membre (en confinant ce droit au niveau
ministériel et l’interdisant dans la phase d’exécution) ; la possibilité
de mettre en place des coalitions de volontaires (qui pourront se
déployer sous la bannière de l’OTAN même si tous les pays
membres ne sont pas partants) ; l’accroissement des pouvoirs du
Secrétaire général (celui-ci pourra prendre seul des décisions sur les
questions de routine et lancer des rappels à l’ordre, en cas de
blocage politique, au nom de la cohésion). Ces propositions ne
marquent pas, à elles seules, un changement de paradigme, mais
elles traduisent un mouvement de fond : dans le contexte particulier
de l’OTAN même le moindre grignotage sur les prérogatives des
Etats membres renforce l’emprise du plus puissant d’entre eux sur
l’ensemble de l’Alliance.
Qui plus est, avec les reproches sur la lenteur et l’inefficacité on voit
réapparaître la question, autrement plus explosive, de la délégation
d’autorité, en temps de crise, vers le commandant suprême de
l’OTAN (le SACEUR, un général américain qui reçoit ses ordres
1 Conférence de presse du Secrétaire général de l’OTAN Jens Stoltenberg, 15
février 2021.
2 Entretien du Secrétaire général de l’OTAN, Jens Stoltenberg, avec Politico, 7
décembre 2020.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
14
directement du Pentagone et de la Maison Blanche)1
. Un sujet
éminemment sensible sur lequel l’administration Obama n’avait pas
cessé d’insister, mais qui fut gelé ensuite pendant les quatre années
de la présidence Trump. Les rapports successifs à l’Assemblée
parlementaire de l’OTAN montrent clairement la pression
américaine pour élargir « le degré d’autonomie opérationnelle » du
Commandant suprême de l’Alliance. Ainsi, dès 2015, on apprend
que « Le SACEUR dispose de l’autorité pour alerter, organiser et
préparer des troupes afin qu’elles soient prêtes à intervenir une fois
la décision politique prise par le CAN [Conseil de l’Atlantique
Nord]. Le SACEUR a toutefois proposé de pouvoir entamer le
déploiement des forces avant de recevoir l’autorisation du CAN, car
il estime qu’il serait prudent, d’un point de vue militaire, de disposer
d’une telle capacité de réaction rapide. Cette mesure ‘Alerte,
Préparation et Déploiement’ a été refusée par le CAN, qui a
clairement déclaré que la décision de procéder à tout mouvement
de forces demeurera une décision politique »
2
.
Un an plus tard, « Le Conseil poursuit le débat sur la question de
savoir jusqu’à quel point il pourrait, tout en conservant son statut
d’autorité politique ultime, déléguer au commandant suprême des
forces alliées en Europe (SACEUR) le processus de mise en alerte,
de mise en attente et de déploiement des forces »
3
. A la conférence
de Riga de 2019, l’ancien Secrétaire général adjoint de l’OTAN
souligne que la règle du consensus au CAN pose des problèmes de
réactivité en cas de conflit. Toutefois, Vershbow se veut rassurant :
un certain degré d’autorité a déjà été délégué au SACEUR, ce qui lui
permet de commencer la préparation des troupes, les mesures de
pré-déploiement même si le CAN à Bruxelles hésite. Le SACEUR,
dit-il, n’est pas juste là tranquillement assis à ne rien faire, en
attendant le feu vert du CAN.4
Il reste à savoir si une telle agitation,
en pleine période de tensions, en amont de la décision collective et
1
Pour davantage de détails sur cette épineuse question, voir de l’auteur :
L’OTAN cherche à contourner la règle du consensus, Note IVERIS, 25 août 2015 et
Après Varsovie : l’OTAN au sommet de ses contradictions, in Défense &
Stratégie n°40, automne 2016. 2
Xavier Pintat, Le plan d’action ‘Réactivité’ de l’OTAN: assurance et
dissuasion pour la sécurité après 2014, Rapport, Assemblée parlementaire de
l’OTAN, 10 octobre 2015.
3
Joseph A. Day, La nouvelle posture de dissuasion de l’OTAN : du Pays de
Galles à Varsovie, Projet de rapport général, Assemblée parlementaire de
l’OTAN, 19 septembre 2016.
4
The Rīga Conference 2019, Coffee break conversation between Alexander
Vershbow and Julian Lindley-French, 14 octobre 2019, enregistrement vidéo.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
15
sous l’ordre exclusif des Etats-Unis, ne risquerait-elle pas de placer
les représentants des autres pays membres devant le fait accompli.
L’Alliance atlantique, de par son mouvement simultané d’expansion
et d’intégration pourra vite écarter l’UE du jeu. L’OTAN s’aventure
de plus en plus ouvertement sur des terrains normalement réservés
soit à l’échelon national soit à l’UE, tout en trouvant le moyen
d’intégrer toujours plus étroitement ses pays membres. Du moins
ceux qui lui avaient presque complètement délégué leur défense,
donc tous, à l’exception des Etats-Unis, de la Turquie et de la
France.1
Dans ces circonstances, il est difficile de voir comment la
PSDC (la Politique de sécurité et de défense commune de l’Union
européenne) pourrait se tailler une place à côté d’une OTAN de
plus en plus englobante et absorbante.
2- La dévaluation de la PSDC
L’élaboration du document intitulé « Boussole stratégique », en cours
depuis 2020 avec adoption prévue début 2022, affiche parmi ses
objectifs « le renforcement de l’autonomie stratégique » de l’UE.
Or, depuis le début de l’année 2020 on assiste à un déplacement du
concept d’autonomie stratégique, originellement apparue dans la
PSDC, vers d’autres secteurs non-militaires. Parallèlement, la
tentative de concilier l’ouverture et l’interdépendance
consubstantielles au projet européen avec l’impératif d’autonomie
stratégique apparaît de plus en plus clairement comme la quadrature
du cercle. D’où la dernière trouvaille du volapük bruxellois : le
concept de « l’autonomie ouverte ».
21 – Le concept d’ « autonomie stratégique » sorti de la
défense
La pandémie de Covid-19 a mis en lumière les liens entre différents
domaines tels la prospérité, la santé, l’industrie, la technologie, la
sécurité et le commerce. Il est clairement apparu que face aux
chantages et pressions de type géoéconomique, l’UE, du fait du
1
Comme l’a expliqué le Secrétaire général adjoint de l’Alliance, Camille Grand :
«C’est frappant lorsqu’on arrive dans l’OTAN en tant que Français que pour
26 alliés sur 29, la politique de sécurité et de défense se fait à l’OTAN à 90 %
ou à 99 %. Il y a trois exceptions : les États-Unis, la France, et la Turquie qui a
toujours gardé la volonté de disposer d’un outil de défense qui puisse
fonctionner en dehors de l’Alliance atlantique ». Propos tenus à la Table ronde
à l’Assemblée nationale : « Avenir de l’Alliance atlantique », 27 novembre 2019.
NB : Avec l’adhésion du la Macédoine du Nord depuis, en mars 2020,
l’Alliance compte 30 pays membres aujourd’hui.
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16
marché unique et des compétences qui lui avaient été transférées,
serait en principe particulièrement bien placée pour réagir.
Simultanément, l’aggravation des tensions internationales (avec la
Turquie, la Russie, la Chine) et le comportement unilatéral de l’allié
américain (sous le président Biden tout autant que sous
l’administration Trump) incitent à repenser le rôle de l’Union dans
un monde caractérisé par le retour en triomphe des rapports de
force. Comme le formule une étude de Parlement européen :
« L’Union court en effet le risque de devenir le ‘terrain de jeu’ pour
les grandes puissances globales, dans un monde de plus en plus
dominé par la géopolitique. Construire l’autonomie stratégique
européenne de façon horizontale et transversale lui permettrait de
renforcer son action multilatérale et de réduire sa dépendance
envers les acteurs externes »
1
.
Le texte examine donc le besoin d’autonomie stratégique dans des
secteurs divers et variés comme le climat, l’énergie, les marchés
financiers, le commerce l’euro, l’industrie, le numérique en outre du
domaine traditionnellement y associé qu’est la défense. Il précise
aussi qu’il convient de « renforcer la capacité de l’Union à agir de
manière autonome, non seulement avec la Chine, mais aussi avec
d’autres partenaires ». Les auteurs semblent inspirés par la vision
française, et notamment par0 les récents discours du président
Emmanuel Macron, lorsqu’ils affirment : « L’autonomie stratégique,
appuyée par le langage de la puissance, un langage qui rappelle
clairement les intérêts de l’Union et protège ses valeurs, ainsi que
les moyens et les outils pour rendre ce langage crédible, sont des
conditions nécessaires pour éviter que l’Union ne se trouve
impliquée, malgré elle, dans la rivalité stratégique sans cesse
exacerbée entre les États-Unis et la Chine, et leurs valeurs et
intérêts respectifs ».
2
Sauf que « le langage » de la puissance et de l’indépendance est
diamétralement opposé à l’ADN même de la construction
européenne, sans parler de la majorité des Etats membres devenus
imperméables à ce genre de considérations à force de s’en remettre
1 Sur le chemin de l’autonomie stratégique – L’Union européenne dans un environnement
géopolitique en mutation, Etude du Service de recherche du Parlement européen,
septembre 2020.
2
Idem. Emmanuel Macron parle de retrouver « la grammaire de la puissance »
dans son interview à The Economist en novembre 2019 et précise que « l’Europe,
si elle ne se pense pas comme puissance, disparaîtra ». A la conférence des
ambassadeurs en 2019, il met en garde : « Nous aurons le choix entre des
dominations », soit américaine, soit chinoise.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
17
exclusivement à l’OTAN. Pour prendre la mesure des difficultés,
même dans un contexte de prise de conscience, il n’y a qu’à lire la
« Note hispano-néerlandaise sur l’autonomie stratégique et la
préservation de l’ouverture économique » de mars 20211
. Les deux
pays y reconnaissent les risques des dépendances asymétriques dans
les secteurs stratégiques, mais pour y remédier proposent
l’autonomie stratégique ouverte qu’ils décrivent ainsi : « Plutôt que
l’indépendance, l’autonomie stratégique doit favoriser une plus
grande résilience et l’interdépendance, dans le contexte de la
mondialisation, où l’interopérabilité doit prévaloir sur l’uniformité ».
Comprenne qui pourra. Le Conseil européen, de son côté, se
contente d’affirmer : « Parvenir à une autonomie stratégique tout en
préservant une économie ouverte est un objectif clé de l’Union ».
2
Certes, l’identification des risques liés à la « dépendance excessive »
et l’objectif de « réduction des vulnérabilités », le tout dans une
grille de lecture qui se veut géopolitique, est une approche nouvelle
à l’échelle européenne qu’il convient de saluer. Elle témoigne d’une
sorte de « prise de conscience ». Il y a deux réserves à émettre,
néanmoins. Premièrement, les événements récents montrent que,
dans une situation de crise, soit on est pleinement autonome sur
l’ensemble des secteurs et des filières cruciaux, soit on est à la merci
des décisions des autres. Ce n’est pas « un certain degré
d’autonomie », comme le formulent les textes européens, qui va
faire de l’Europe une puissance et la libérer du funeste choix entre
différentes tutelles étrangères. Pour paraphraser Marie-France
Garaud, conseillère des présidents Pompidou et Chirac : « être
indépendant, c’est comme être enceinte, soit on l’est, soit on ne l’est
pas ».
De surcroît, la prolifération du mot risque de cacher l’effacement de
la chose. Alors même que dans l’UE le terme « autonomie
stratégique », jadis tabou, est maintenant évoqué sans retenue et
dans les secteurs les plus variés, son domaine originel, celui de la
défense, s’atrophie à vue d’œil. Les initiatives de la PSDC manquent
obstinément d’ambition, et certaines se déplacent même en dehors
de l’Union. Serait-ce un signe que les enceintes bruxelloises à 27
(que ce soit la Commission ou le Conseil) ne sont finalement pas le
bon échelon pour coopérer dans un domaine qui engage le cœur
même de la souveraineté des Nations ?
1 Spain-Netherlands non-paper on strategic autonomy while preserving an
open economy, Gouvernement des Pays-Bas www.rijksoverheid.nl , 25 mars
2021.
2 Conclusions du Conseil européen, 1er et 2 octobre 2020.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
18
22 – Le maigre bilan de la PSDC et sa fuite hors de l’UE
Depuis la relance de 2016, une série d’initiatives dans le cadre de la
PSDC sont censées donner corps à la notion d’autonomie
européenne. Elles sont impressionnantes en ingéniosité
institutionnelle et en nombre, mais force est de constater que du
point de vue d’une quelconque autonomie la PSDC est loin du
compte. Elle ne se dirige même pas forcément dans la bonne
direction. Comme le remarque l’étude précitée du Parlement
européen : « Il est possible que les solutions techniques se révèlent
insuffisantes si les États membres n’élargissent pas le consensus
politique existant pour convenir de l’objectif et des besoins d’un
instrument de défense européen ». En somme, malgré la
prolifération des initiatives la défense européenne se retrouve à la
case départ : bloquée par l’absence de vision partagée et le manque
de volonté politique.
En matière de capacités opérationnelles, l’UE reste très en deçà de
« l’objectif global » fixé à Helsinki en décembre 1999, sur la base de
la déclaration de Saint-Malo qui prévoyait « une capacité autonome
d’action, appuyée sur des forces militaires crédibles, avec les
moyens de les utiliser et en étant prête à le faire afin de répondre
aux crises internationales ». Au sujet des quelque 40 opérations
lancées depuis, l’Institut Montaigne constate : « les missions et
opérations de la PSDC n’apportent que des réponses très partielles
aux crises actuelles »
1
. Elles ont, certes, pu avoir des effets
bénéfiques très circonscrits ici ou là, mais elles ne font certainement
pas le poids face aux enjeux internationaux. Il leur faudra, pour cela,
changer de nature et de logique. Jolyon Howorth, l’éminent
spécialiste de la défense européenne et des relations transatlantiques
a récemment fait remarquer à juste titre : les opérations de l’UE «
ne font pas grand-chose pour faire avancer la cause de
l’autonomie »
2
.
Pour ce qui est du magnifique trio d’initiatives post-2016 qui
auraient dû galvaniser la PSDC, sur chacun des trois volets les
ambitions ont été revues à la baisse, les objectifs initiaux dilués.
L’examen annuel coordonné en matière de défense (CARD en
anglais) n’est qu’une énième variation sur le thème du
« développement des capacités », en vue de déterminer et de
1 Défense européenne : le défi de l’autonomie stratégique, Rapport d’information N°626
du Sénat (par R. Le Gleut et H. Conway-Mouret), 3 juillet 2019. 2
Jolyon Howorth, “Europe and Biden –Towards a New Transatlantic Pact? ”,
Wilfried Martens Center, janvier 2021.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
19
combler les failles dans les capacités militaires des États membres
de l’Union. Avec les résultats que l’on connaît : ce sont les mêmes
lacunes qui sont énumérées depuis le premier exercice de ce type, il
y a 20 ans. D’après Sven Biscop, de l’Institut Egmont, le plan de
capacités de l’UE est tout aussi non-contraignant que celui de
l’OTAN, « il n’est donc pas surprenant qu’ils n’ont qu’une influence
marginale sur les planifications nationales de défense »
1
. Ignorer les
priorités du CARD, ajoute-t-il, n’entraîne même pas les quelques
inconfortables moments d’auto-justification comme c’est le cas
dans l’Alliance.
La Coopération structurée permanente (CSP), originellement mise
en place pour créer une sorte d’avant-garde de pays volontaires
avec des moyens capacitaires, a perdu tout son sens du fait de
l’exigence « d’inclusivité » formée par l’Allemagne. Elle compte
donc aujourd’hui 25 des 27 Etats membres (tous sauf Malte et le
Danemark). Finalement, le Fonds européen de défense (FED),
conçu pour assurer un cofinancement aux projets d’armement
européens en coopération, a aussi vu ses objectifs réduits. Tant sur
le plan pécuniaire (des 13 milliards d’euros initialement prévus pour
la période 2021-2027, le Fonds n’aura que 7 milliards) qu’en matière
d’ambitions stratégiques (contredites par le refus d’instaurer la
préférence européenne et par la tolérance envers l’entrisme de pays
tiers).
Simultanément à ce détricotage de la PSDC, on remarque un
déplacement de certaines initiatives hors du cadre de l’UE. Même
sans Londres, les 27 ont du mal à se mettre d’accord et il leur est
souvent impossible de trouver une réponse commune à telle ou
telle situation. Soit parce que certains rechignent à confier trop
d’importance à l’UE en matière militaire (de peur de rendre
l’OTAN redondante), soit parce que d’autres divergences d’ordre
politique compliquent les négociations sur le mandat, sur les
moyens à engager ou sur le commandement. Dans ce contexte,
pour éviter que toutes les initiatives opérationnelles ne fuissent
l’UE, le Conseil a lancé le projet pilote du « concept de présences
maritimes coordonnées », dans le golfe de Guinée. Ce nouveau
concept est expressément « distinct des missions et opérations
PSDC ». L’idée est de désigner « une zone d’intérêt maritime » et y
1
Sven Biscop, EU and NATO Strategy: A Compass, a Concept; and a Concordat,
Egmont Institute, Security Policy Brief n°141, mars 2021.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
20
assurer une meilleure coordination des activités nationales des Etats
membres1
.
De leur côté, l’Allemagne, la Belgique, le Danemark, la France, la
Grèce, l’Italie, les Pays-Bas, et le Portugal ont pris l’initiative de
créer, en janvier 2020, la Mission européenne de surveillance
maritime dans le détroit d’Ormuz (EMASOH) avec l’intention de
contribuer à la réduction de l’instabilité et sécuriser le trafic
maritime. Pour rappel, les huit pays ont tous adhéré à l’Initiative
européenne d’intervention (IEI), lancée par Paris en dehors de la
PSDC. Douze pays ont déjà adhéré à l’IEI, y compris le Danemark
et le Royaume-Uni, dans l’espoir d’opérationnaliser la coopération
de défense entre pays européens. C’est un signe supplémentaire du
pragmatisme ambiant, et traduit la volonté de préserver les
questions militaires à l’écart des institutions à 27, dans des cadres
souples, entre volontaires « capables et prêts ».
Le Commandement du transport aérien européen (CTAE/EATC)
regroupant sept pays est l’exemple le plus abouti en matière de
mutualisation dans une logique respectueuse des souverainetés
nationales. Inauguré en septembre 2010, le CTAE a permis à la
France, dès le mois de décembre de la même année, d’envoyer trois
compagnies de combat en Côte d’Ivoire en utilisant des avions
néerlandais, belges et allemands. Conformément à la procédure dite
de Reverse Transfer of Authority, « en l’absence d’engagement national,
ces moyens peuvent être mis à la disposition de partenaires selon
des modalités prévoyant une reprise sous commandement national
en cas de besoin »2
. Un rapport du Sénat sur l’autonomie
stratégique européenne remarque au sujet du CTAE : « le principe
mériterait d’être étendu à d’autres domaines (hélicoptères, soutien
médical, par exemple) »
3
.
1
Conclusions du Conseil portant lancement du projet pilote du concept de
présences maritimes coordonnées dans le golfe de Guinée, 25 janvier 2021 : «
Les Etats membres continuent d’améliorer la coordination sur une base
volontaire des actions menées par les moyens qu’ils déploient dans la zone
d’intérêt maritime sous le commandement national ».
2
Voir de l’auteur : « Les politiques d’armement en Europe à travers l’exemple
de l’affaire BAE Systems-EADS », Défense & Stratégie n°33, automne 2012
3 Défense européenne : le défi de l’autonomie stratégique, Rapport d’information N°626
du Sénat (par Ronan Le Gleut et Hélène Conway-Mouret), 3 juillet 2019.
L’échange de droits au sein de l’EATC se fait dans un cadre multilatéral
d’ensemble et est basé sur la notion d’EFH (Equivalent Flying Hour). La
référence est le prix de revient d’une heure de vol de C130 ou C160 (EFH =
1). D’après l’exemple donné par le CTAE/EATC : « Le néerlandais KDC-10
exécute une mission de ravitaillement en vol au nom de l’Espagne ; en parallèle
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
21
En somme, la Realpolitik revient en force, à la fois dans la prise de
conscience, peu ou prou, de l’exigence d’autonomie stratégique à
l’échelle européenne pour les secteurs les plus divers, et dans la
revalorisation de la logique intergouvernementale dans la
coopération entre les Etats. Il reste, néanmoins, un problème de
taille. Pour ce qui est du domaine de la défense proprement dite, les
partenaires européens de la France refusent de le penser réellement
en termes d’autonomie, que ce soit dans le cadre de l’UE ou dans
des formations multilatérales. Or, tant que l’autonomie stratégique
ne devient pas le principe directeur en matière de défense, leurs
efforts dans d’autres domaines resteront donc éphémères et vains.
Comme le souligne Charles A. Kupchan, directeur des affaires
européennes au Conseil de sécurité nationale sous les présidents
Clinton et Obama, « le contrôle en matière de sécurité est le facteur
décisif pour déterminer qui est aux commandes »
1
.
3- Le retour en force de l’éternel triptyque des
relations OTAN-UE
Depuis 2016, la coopération entre l’UE et l’OTAN s’est
remarquablement intensifiée, comme en témoigne deux
déclarations conjointes (en 2016 et 2018) et l’identification de non
moins de 74 actions à mettre en œuvre en commun. Cette
recrudescence des activités de rapprochement n’est pas sans lien
avec le redémarrage, en 2016 justement, de la défense européenne.
Comme le note le dernier rapport consacré à ce sujet à l’Assemblée
parlementaire de l’OTAN : un des facteurs principaux à l’origine de
cet « essor de la coopération » est « le nouveau cycle d’initiatives
européennes de sécurité en dehors du cadre de l’OTAN »
2
. En
effet, à mesure que l’autonomie stratégique européenne devient le
leitmotiv de ces nouvelles initiatives, l’Alliance cherche à ne pas les
laisser échapper de son emprise. Le Secrétaire général oppose

l’espagnol KC130 propose une mission de parachutage en Allemagne ; tandis
que le personnel militaire allemand et le fret italien sont transportés par un
A400M français ; un Learjet luxembourgeois procède à une évacuation
aéromédicale d’un soldat belge blessé dans des zones de crise ; l’italien C27J
transporte une cargaison hollandaise ; et le belge Embraer transporte les
soldats français ». Source : www.eatc-mil.com. 1
Charles A. Kupchan, The End of the American Era, Vintage Books, 2003, p.267. 2 Le partenariat OTAN-UE dans un contexte mondial en mutation, Rapport de
l’Assemblée parlementaire de l’OTAN, par Sonia Krimi, 19 novembre 2020,
§16.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
22
ouvertement les deux : « la solidarité stratégique à l’OTAN » est
préférable à « l’autonomie stratégique à l’UE »
1
.
Les limites politiques fixées à la PSDC dès le départ par les EtatsUnis reviennent donc sur le devant de la scène. Il faut admettre que
ces restrictions, connues sous le nom des 3D, ont été un coup de
maître de la part de la diplomatie américaine. L’exigence de nonduplication couvre tous les domaines critiques du point de vue de
l’autonomie : elle met des limites strictes à la capacité d’actions
autonomes des Européens à la fois sur le plan opérationnel (la
planification et conduite), structurel (l’industrie d’armement et
technologie) et stratégique (la défense collective). Le non-découplage
sert la prévention : les Européens sont priés de ne même pas
réfléchir et décider ensemble, hors OTAN, sur ces questions. La
non-discrimination, elle, fonctionne comme un verrou de sécurité.
Dans l’hypothèse où, malgré toutes ces précautions, une initiative
européenne prendrait une ampleur inattendue, l’exigence de
l’inclusion des alliés non-UE permet d’intervenir directement pour
rappeler à l’ordre les récalcitrants.
31 – Non-découplage ?
Le critère de non-découplage de la prise de décision a, une fois de
plus, révélé ses limites lors des tensions gréco-turques en 20202
.
Compte tenu du degré de conflictualité entre ces deux pays
membres de l’OTAN – dont l’un fait partie de l’Union européenne,
l’autre non – la distinction entre les deux enceintes prend,
justement, tout son sens. Pour rappel, au moment du lancement de
la PSDC, toute avancée institutionnelle de la politique de défense
européenne naissante fut suspendue à la conclusion d’accords entre
l’UE et l’OTAN – cette conclusion étant elle-même retardée par la
dispute entre la Grèce et la Turquie. Une des conditions posées par
Ankara était la promesse que les forces de l’Union européenne ne
seront jamais employées contre un Etat membre de l’Alliance. La
Turquie voulait éviter que la Grèce, rejointe plus tard par Chypre
après l’adhésion de celle-ci à l’UE, ne puisse impliquer l’ensemble
de l’Union, de manière militaire, dans leurs disputes. Au bout de
deux ans de négociations, la promesse a été faite, avec l’engagement
étrange, exigé par la Grèce au nom du principe de réciprocité, que
1
Laurent Lagneau, « Le secrétaire général de l’Otan critique l’idée d’autonomie
stratégique européenne, 5 mars 2021 », site Zone militaire Opex360.com ; ‘The
EU cannot defend Europe’: NATO chief, AFP, mars 2021.
2
Voir de l’auteur : La Turquie dans l’OTAN, entre utilité et hostilités, Note
IVERIS, 26 novembre, 2020.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
23
l’OTAN non plus n’attaquera jamais un pays de l’Union
européenne.
Quoi qu’il en soit, ces détails en disent long sur la nette distinction
entre les deux organisations. Malgré le fait que 21 Etats sont
membres des deux à la fois, l’UE et l’OTAN ne se confondent
point – un fait démontré de façon spectaculaire à l’occasion des
tensions récentes autour des réserves d’hydrocarbures en
Méditerranée orientale. La Grèce et Chypre étant membres de
l’Union européenne, toute tentative de grignotage sur leurs
frontières, maritimes ou autre, revient à remettre en cause celles de
l’UE. Par conséquent, suite aux agissements turcs dans la région, le
ministre grec des affaires étrangères a pu faire valoir : « La Grèce
défendra ses frontières nationales et européennes, la souveraineté et
les droits souverains de l’Europe ».
1
Une communauté de destin
soulignée aussi par le secrétaire d’Etat français aux affaires
européennes, Clément Beaune : « La Turquie mène une stratégie
consistant à tester ses voisins immédiats, la Grèce et Chypre et, à
travers eux, l’ensemble de l’Union européenne ».
2
Il va de soi que l’Alliance n’est pas l’enceinte idéale pour défendre
l’intégrité territoriale des Etats européens contre un pays allié.
D’emblée, la France y voit donc une occasion pour affirmer une
politique européenne de solidarité « envers tout Etat membre dont
la souveraineté viendrait à être contestée »
3
. Cette remarque
officielle de l’Elysée rappelle, en filigrane, la défense collective
implicite qui se cache dans les traités européens depuis celui
d’Amsterdam de 1997. Parmi les objectifs de la politique étrangère
et de sécurité y figure déjà la « sauvegarde de l’intégrité de l’Union »,
autrement dit la défense des frontières extérieures. Cet élément –
souvent ignoré, et pourtant plein de ramifications possibles – fut
ajouté à l’époque à la demande explicite d’Athènes, avec le plein
soutien de Paris.
32 – Non-duplication ?
Le critère de la non-duplication entre l’OTAN et l’UE comporte
traditionnellement trois interdictions : il ne peut pas y avoir de
« dédoublement » fonctionnel (la PSDC ne doit pas toucher au
monopole de l’OTAN sur la défense collective) ; pas de duplication
1
Les alliés de l’OTAN s’affrontent en Méditerranée, Fr24news, 26 août 2020.
2
Audition de Clément Beaune, secrétaire d’État chargé des affaires
européennes, à la Commission des Affaires européennes de l’Assemblée
nationale, 17 septembre 2020.
3
Communiqué de l’Elysée, 12 août 2020.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
24
capacitaire (en matière d’armement, les Européens sont priés de
continuer à prioriser l’achat d’armements américains, au lieu de
réfléchir en termes d’autonomie pour la BITDE – base industrielle
et technologique de défense européenne) ; ni duplication des
moyens de planification et de conduite (autrement dit, pas de
Quartier général pour la PSDC)1
. Les deux premiers sujets – la
défense collective et les achats d’armement – ont toujours été, plus
ou moins implicitement, imbriqués l’un dans l’autre. Car c’est un
fait : depuis la création de l’OTAN, les alliés qui se sentent protégés
par le parapluie américain, affichent comme l’a remarqué le PDG
de Dassault Aviation, « une vraie volonté d’acheter américain quels
que soient les prix, quel que soit le besoin opérationnel »2
. Or
l’incertitude, ces derniers temps, autour de la fiabilité des garanties
américaines met à rude épreuve cette logique transactionnelle.
La revigoration en 2016 de la PSDC a suscité des inquiétudes, dans
les milieux de l’OTAN, en particulier quant à un éventuel
débordement de la nouvelle dynamique européenne vers la défense
collective, chasse gardée de l’Alliance. Depuis, le Secrétaire général
de l’OTAN passe le gros de son temps à lancer des mises en garde
et martèle que « l’Europe ne peut pas se défendre ». A son malheur,
pendant quatre ans il a dû le faire alors que le président Trump, de
son côté, n’a cessé de jeter des doutes sur la garantie de défense de
l’OTAN. Cette remise en cause de l’Article 5, par le président
américain, a fait comprendre même aux plus atlantistes des
Européens que, justement, il pourra bien arriver un jour où ils se
retrouveront tous seuls pour se défendre. Une hypothèse qui donne
lieu à d’âpres polémiques publiques, mais aussi à un foisonnant
débat d’experts de part et d’autre de l’Atlantique.
L’un des échanges les plus intéressants s’est développé sur les
colonnes de la revue britannique Survival, une publication de renom
sous l’égide de l’IISS, International Institute for Strategic Studies. En avril
2019, une équipe de l’IISS a publié une étude estimant que les alliés
européens de l’OTAN ne seraient pas capables de faire face à une
1
Sur ce dernier point, peu de changements sont à signaler depuis l’état des
lieux dressé dans le dernier numéro de Défense & Stratégie (n°44, pp23-24).
L’exercice qui aurait dû valider la Capacité militaire de planification et de
conduite (MPCC en anglais) pour des missions dites « exécutives », avec
emploi de la force militaire, fut reporté en raison de la pandémie de Covid-19.
Voir : Lt. Colonel Stylianos Moustakis, “Military Planning and Conduct
Capability – A Review of 2020”, in Impetus n°30, hiver-printemps 2021, p.18. 2
Voir de l’auteur : « Dassault Aviation, Eric Trappier ironique sur l’achat des
F-35 par les Etats européens », Theatrum Belli, 17 mars 2014.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
25
agression russe – les Etats-Unis devraient venir à leur rescousse1
.
Fin 2020, Barry R. Posen, le directeur du Programme d’Etudes de
Sécurité au prestigieux Massachusetts Institute of Technology (MIT), a
pris le contre-pied de l’hypothèse et des affirmations de cette étude
dans un article au titre parlant : « L’Europe peut se défendre »
2
. Le
débat n’était pas sans susciter des réactions, qui pour mettre en
cause la pertinence des scénarii choisis, qui pour questionner les
motivations et les messages politiques des papiers. D’un côté,
l’étude de l’IISS fut vue par certains comme tombant à pic pour
discréditer toute idée d’autonomie. De l’autre, Posen fut accusé
d’être indulgent envers les faiblesses européennes uniquement pour
mieux étayer la thèse de son récent livre qui préconise une politique
étrangère de « retenue » pour les Etats-Unis3
.
Quoi qu’il en soit, trois éléments du débat méritent que l’on s’y
arrête. Premièrement, les intervenants des deux côtés s’accordent
pour dire que le montant nécessaire pour combler les lacunes
capacitaires des Européens (en vue d’une menace russe de type
conventionnel) se situe aux alentours de 300 milliards d’euros. Or,
comme le font remarquer même les chercheurs de l’IISS : rien
qu’en comblant l’écart avec l’objectif de 2% du PIB sur lequel les
alliés européens s’étaient engagés dans le cadre de l’OTAN, ils
dépenseraient 100 milliards d’euros de plus… par an.4
Deuxièmement, François Heisbourg a introduit dans le débat la
dimension nucléaire jusqu’alors complètement mise de côté.
Comme il remarque, à juste titre : « le risque d’une guerre en
Europe ne peut pas être analysée indépendamment du facteur
nucléaire [car] la Russie n’envisage pas la moindre opération sur le
théâtre européen sans un certain lien avec un menace nucléaire
russe implicite ». Par conséquent, une « dissuasion élargie » serait
« un élément indispensable de tout effort pour contrer une
agression militaire russe »
5
. Une occasion en or, pour Posen, de
rappeler la fragilité du concept même de dissuasion élargie : « La
1
Douglas Barrie et al, Defending Europe : Scenario-based Capability Requirements for
NATO’s European Members, IISS Research Paper, avril 2019. 2
Barry R. Posen, « Europe Can Defend Itself », Survival vol.62 n°6, décembre
2020 – janvier 2021.
3
Barry R. Posen, Restraint – a New Foundation for U.S. Grand Strategy, Cornell
University Press, 2015.
4
Douglas Barrie et al, « Europe’s Defence Requires Offence », Survival, vol.63
n°1, février-mars 2021.
5
François Heisbourg, « Europe Can Afford the Cost of Autonomy », Survival,
vol.63 n°1, février-mars 2021.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
26
relation de dissuasion élargie entre les Etats-Unis et l’Europe a
toujours été, elle aussi, une hypothèse problématique »
1
.
Finalement, le débat sur la défense de l’Europe se focalise
uniquement sur les lacunes européennes et fait abstraction de la
question de la capacité des Etats-Unis de venir en aide. Après la
guerre froide, le document de référence du Pentagone, le
Quadrennial Defense Review (QDR) a déterminé que les Etats-Unis
devaient être en mesure de mener (et de remporter) deux guerres à
la fois, la condition sine qua non du statut de superpuissance2
. Cette
approche fut la position officielle jusqu’à la Stratégie de 2012, où
l’administration Obama y substitua une doctrine dite de « deuxmoins » : l’objectif de remporter une guerre, tout en imposant des
coûts inacceptables à un agresseur sur un autre théâtre3
. Finalement,
la Stratégie de 2018, sous le président Trump, a tiré les conclusions
de la montée en puissance de la Chine et ne vise plus qu’une seule
guerre à la fois, s’en remettant à la dissuasion sur un second
théâtre4
.
Une évolution qui n’est certainement pas près de rassurer
les alliés européens. D’autant qu’elle ne fait que renforcer les
doutes, déjà exprimés dans le Rapport de la Commission Trident
britannique –composée d’anciens ministres de la défense et des
affaires étrangères, d’ex-ambassadeurs et chefs d’état-major – sur la
volonté et la capacité des Etats-Unis de défendre l’Europe5
.
Or, l’autre grand volet de l’interdiction de la non-duplication,
l’armement, est directement lié à la perception des garanties de
défense. Le sénateur américain Chris Murphy a clairement exposé la
logique du donnant-donnant lorsqu’il s’est inquiété, sous le
président Trump, de l’impact de la remise en cause de l’Article 5 sur
les ventes d’armement. Cet élu démocrate du Connecticut a
expliqué, lors d’une conférence, comment la garantie de l’OTAN
apporte un bénéfice économique à son Etat, à condition que les
Européens y croient : « grâce à cette alliance étroite, il est beaucoup
plus probable que les Européens achètent des produits de Sikorsky
et de Pratt & Whitney ». Murphy reproche à Donald Trump d’avoir
1
Barry R. Posen, « In Reply: To Repeat, Europe Can Defend Itself », Survival,
vol.63 n°1, février-mars 2021. 2 Quadrennial Defense Review, Département de la Défense des Etats-Unis, 1997.
3 Sustaining U.S. Global Leadership: Priorities for 21st Century Defense, Département
de la Défense, 2012.
4 National Defense Strategy, Département de la Défense, 2018. Pour une analyse
de cette nouvelle approche, voir Hal Brands – Evan Braden Montgomery,
« One War Is Not Enough: Strategy and Force Planning for Great-Power
Competition », Texas National Security Review, vol.3, n°2 printemps 2020.
5
The Trident Commission, Concluding Report, juillet 2014.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
27
jeté des doutes sur l’engagement américain pour la défense
collective, car suite à cela « les alliés européens commencent à
explorer d’autres options pour l’achat de leurs équipements
militaires, y compris des initiatives préoccupantes qui excluraient les
Etats-Unis »
1
.
Il fait référence au Fonds européen de défense conçu, comme on l’a
vu, pour cofinancer les projets d’armement européens à partir du
budget communautaire. La participation de tiers – surtout celle des
puissants industriels américains appuyés par leur gouvernement –
serait contre-productive par rapport à l’objectif affiché
d’autonomie. Les divisions entre Européens à cet égard sont
reflétées dans la coupe spectaculaire du budget (de 13 milliards à 7
milliards pour le prochain cadre pluriannuel). Tant que les EtatsUnis n’obtiendront pas d’accès selon leurs propres termes, ses alliés
européens les plus proches s’opposeront au renforcement de cet
instrument. Inversement, s’ils obtiennent gain de cause et que les
Etats-Unis deviennent éligibles au financement du FED (d’une
manière ou d’une autre, par le truchement de la participation à la
CSP par exemple), c’est la France qui devrait normalement y réduire
son engagement. Car cela transformerait le budget du FED en une
passoire permettant aux entreprises d’Etats tiers, en particulier
américains, de siphonner à leur guise les dépenses européennes.
Ceci d’autant plus que cette logique s’applique déjà pour les achats
d’armement en général. Comme le souligne un rapport récent de
l’Institut Montaigne « Il n’existe toujours pas aujourd’hui de
préférence européenne lors de l’acquisition d’équipement (…)
l’acquisition de matériels américains consomme les budgets de
défense des États, impacte les budgets restants pour les industriels
européens et permet une certaine ingérence américaine dans les
affaires de défense de l’UE »
2
. Le rapport donne l’exemple des
avions de combat : « Dans le domaine aérien par exemple, la
participation au programme F35 de pays comme l’Italie, les PaysBas ou plus récemment la Belgique fragilise l’industrie
européenne »
3
. Pour mémoire, c’est ce même avion que la ministre
Florence Parly évoqua pour refuser le lien établi par Washington
1
L’intervention du sénateur américain Chris Murphy au CSIS (Center for
Strategic and International Studies): The Midterm Elections’ Implications for
the Transatlantic Agenda, Washington, le 14 novembre 2018. 2 Repenser la défense face aux crises du 21e siècle, Rapport de l’Institut Montaigne,
février 2021, p.141.
3 At the Vanguard – European Contributions to NATO’s Future Combat
Airpower, RAND Report, 2020.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
28
entre garanties de défense et achats d’armement : « La clause de
solidarité de l’OTAN s’appelle Article 5, et non pas Article F-35 »
1
.
33 – Non-discrimination ?
Le domaine de l’armement continue d’être l’enjeu majeur du
troisième D, celui de l’interdiction de toute discrimination envers
les alliés non membres de l’UE. S’agissant d’un sujet névralgique,
cette interdiction est, pour une fois, directement et publiquement
invoquée pour assurer la présence des Etats-Unis dans les initiatives
européennes. La saga de l’accès au FED s’est poursuivie, dans cet
esprit, tout au long de l’année 2020.2
Comme le note un rapport de
l’Assemblée nationale : « Les discussions sont particulièrement
tendues sur la question de l’éligibilité des entreprises des pays tiers,
notamment celles du Royaume-Uni et des États-Unis, au FED. Les
États membres sont divisés sur la question et, pour certains qui
hébergent des filiales d’entreprises américaines, soumis à une forte
pression des États-Unis pour une plus grande souplesse dans les
critères d’éligibilité ». Et aux auteurs du rapport d’expliquer : « Il va
de soi que si le FED devait être largement ouvert aux entreprises
des pays tiers, c’est autant de financement en moins pour atteindre
l’objectif de l’autonomie stratégique »
3
.
Quelques mois plus tard, le Secrétaire d’Etat aux affaires
européennes, Clément Beaune, se veut rassurant : « Le fonds
européen de défense vient financer nos propres projets
d’autonomie stratégique européenne. Il est exclu de financer les
pays tiers. La coopération structurée permanente, qui est une
coopération de projet, inclut la possibilité d’intégrer des pays tiers à
bord de certains projets, avec des règles d’approbation par les pays
de l’Union européenne au cas par cas »
4
. En effet, aux termes du
compromis bricolé sous la présidence allemande de l’UE, des
« Etats tiers » peuvent entrer dans tel ou tel projet CSP à condition
qu’il y ait pour cela une décision politique, et tant qu’il n’y a pas de
fonds commun européen en jeu – du moins en principe. Pour
1 Discours de Florence Parly à l’Atlantic Council: “The US- French relationship
in a changing world”, Washington, 18 mars 2019.
2
Sur les antécédents de ce bras de fer, voir « Le double anniversaire OTAN –
Défense européenne : « Plus ça change et plus c’est la même chose ! », in
Défense & Stratégie n°44, hiver 2019, pp. 27-30.
3
Françoise Dumas & Sabine Thillaye, Rapport d’information sur la relance dans le
secteur de la défense, N°3492, Commission de la défense nationale et des forces
armées de l’Assemblée nationale, le 6 novembre 2020.
4
Audition à la commission des affaires étrangères, de Clément Beaune,
secrétaire d’État chargé des affaires européennes, 16 février 2021.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
29
rappel, la CSP et le FED ont été créés pour être complémentaires
l’un de l’autre. La CSP peut être vue par certains acteurs extérieurs
comme une éventuelle passerelle vers, ou un droit de blocage
contre, le FED : soit pour accéder à celui-ci en tant que tiers, soit
pour parvenir à en exclure tel ou tel programme du fait même de sa
propre participation au projet correspondant.
De surcroît, le Secrétaire d’Etat Beaune se garde bien de préciser si
la France avait réussi à imposer, en tant que critère sine qua non,
ses deux conditions initiales pour l’accès d’un tiers à la CSP. A
savoir : considérer comme un préalable non négociable le fait que la
propriété intellectuelle et le droit d’exportation doivent rester, sans
ambiguïté aucune, sous contrôle européen. Ou bien, au lieu de cela,
les conditions générales ont été réduites, comme le laisse penser le
communiqué de l’UE, à ce que le participant tiers « doit partager les
valeurs sur lesquelles l’Union est fondée, ne doit pas porter atteinte
aux intérêts de l’Union et de ses États membres en matière de
sécurité et de défense et doit avoir conclu un accord pour échanger
des informations classifiées avec l’UE »
.1
Car si c’est le cas, l’objectif
initial de non-dépendance est caduc et la CSP définitivement vidée
de sa substance.
Le risque est d’autant plus grand que l’approche choisie par la
nouvelle administration Biden est remarquablement intelligente. Les
Etats-Unis tirent prétexte du « nouveau départ » dans les relations
transatlantiques, après les années Trump, pour retourner la situation
et présenter leur revendication d’accès comme le signe d’un nouvel
engagement. C’est donc par désir de resserrer les liens entre alliés
qu’ils souhaitent honorer de leur présence les initiatives
européennes. La manœuvre est encore plus habile puisque
Washington avance par paliers. Au lieu de viser tout de suite les
questions les plus sensibles, les Etats-Unis vont se connecter
d’abord au projet sur la mobilité militaire, qui fait lui aussi partie des
quelque 50 projets de la CSP2
. Mais la porte-parole du Pentagone
1
Coopération de l’UE en matière de défense: le Conseil fixe les conditions de
la participation d’États tiers à des projets CSP, Communiqué du Conseil de
l’UE, 5 novembre 2020.
2
“U.S. ready to help EU speed up troop movement to meet Russia challenge”,
Reuters, 2 mars 2021. La mobilité militaire est un des initiatives phares de l’UE.
Elle vise à « lever les obstacles entravant les mouvements d’équipements et de
personnel militaires dans l’ensemble de l’UE, afin de faciliter et d’accélérer leur
mobilité, leur permettant ainsi de réagir rapidement et efficacement à des crises
internes et externes ». Elle comporte trois volets: un projet CSP mené par les
Pays-Bas, une communication conjointe de la Commission européenne relative
à la mobilité militaire dans l’UE financée par le mécanisme pour
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
30
admet que ce n’est que le premier pas : « une étape cruciale pour
identifier comment les États-Unis et l’UE peuvent travailler
ensemble dans d’autres projets de la CSP, et pour explorer une
éventuelle coopération entre les États-Unis et l’UE dans d’autres
initiatives de défense de l’UE ». Jessica Maxwell ajoute que
Washington voit dans l’approbation rapide par l’UE de la
participation américaine un signe prometteur quant aux
« engagements de l’UE et des États membres à garder les initiatives
de défense de l’UE ouvertes aux États-Unis »
1
. La messe est dite.
4- Union, quelle union ?
Plus l’UE parle d’autonomie, plus les appels à « plus d’intégration »
se multiplient. Dans cette narration, le passage à la majorité
qualifiée créerait, d’un coup de baguette magique, une Europepuissance parlant d’une seule voix, à même de jouer son propre rôle
sur l’échiquier géopolitique. Mais une telle vision simpliste a
tendance de confondre la forme et le fond. Ce n’est pas du fait de la
règle de l’unanimité que l’UE est incapable d’avoir une politique de
puissance indépendante, bien au contraire. La position majoritaire
parmi les partenaires européens a toujours été d’ignorer, voire
vilipender les concepts de puissance et d’indépendance. S’il ne
tenait qu’à eux, l’Europe serait, depuis fort longtemps, un 51ème
Etat américain voire, demain, une 24ème province chinoise.
L’exigence de l’unanimité est le seul garde-fou qui reste pour les
quelques-uns, souvent la France seule, qui sont attachés à l’idée
d’être maîtres de leur destin et faire leurs propres choix.
L’excellent article d’Hubert Védrine « Avancer les yeux ouverts »
(écrit en 2002, mais qui n’a pas pris une ride depuis) résume
parfaitement les options. L’ancien ministre des affaires étrangères y
plaide pour « l’honnêteté intellectuelle » avant d’entamer les
prochaines étapes de la construction européenne : « De deux choses
l’une : ou bien nous acceptons, parce que nous estimons que
l’ambition européenne prévaut sur toutes les autres ou parce que
nous jugeons que le cadre européen est désormais le seul qui nous
permette de défendre nos intérêts, de nous fondre progressivement
dans cet ensemble. Et alors nous jouons à fond le jeu européen, le
renforcement des institutions européennes et communautaires, la

l’interconnexion en Europe, et une initiative commune de l’Union et de
l’OTAN.
1
Sebastian Sprenger, “Pentagon pushes to partake in EU military mobility
planning”, Defense News, 2 mars 2021; “US-EU cooperation pitch on military
mobility gets positive response”, Defense News, 15 mars 2021.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
31
généralisation du vote à la majorité. Et nous en acceptons par
avance toutes les conséquences. Ou bien, considérant que nous ne
pourrons pas préserver avec 9 % des voix au Conseil, 9 % des
membres du Parlement, un commissaire sur 25, des positions et des
politiques que nous jugeons fondamentales, nous refusons ce saut
institutionnel »
1
.
Parmi ces positions fondamentales, impossibles à préserver dans
une Europe supranationale régie par la logique de la majorité, se
trouve l’exigence d’autonomie et de puissance. Un épisode récent
illustre à la perfection la solitude de la France et les dangers pour
elle à céder aux sirènes européistes dans l’espoir d’une Europepuissance imaginaire. Il s’agit de la passe d’arme, fin 2020, entre le
président Macron et la ministre allemande de la défense Annegret
Kramp-Karrenbauer (AKK)2
. Celle-ci déclare, à la veille de la
présidentielle américaine, que les « illusions d’autonomie stratégique
européenne doivent cesser »3
. Sur quoi, le président français
rétorque : « Il ne faut surtout pas perdre le fil européen et cette
autonomie stratégique, cette force que l’Europe peut avoir pour
elle-même. Il s’agit de penser les termes de la souveraineté et de
l’autonomie stratégique européennes, pour pouvoir peser par nousmêmes et non pas devenir le vassal de telle ou telle puissance et ne
plus avoir notre mot à dire.»
4
. AKK persiste et signe : « L’idée de
l’autonomie stratégique européenne va trop loin si elle implique que
nous serions capables de garantir la sécurité, la stabilité et la
prospérité de l’Europe sans l’OTAN et sans les Etats-Unis. C’est
une illusion »
5
.
Comme on pouvait s’y attendre, les autres pays européens se sont
rangés du côté de l’Allemagne. Le ministre polonais de la défense
Mariusz Błaszczak en a conclu que « nous devons être plus proches
des Etats-Unis que jamais », et le Premier ministre espagnol Pedro
Sánchez a fait savoir sans équivoque : « Je suis avec la vision
allemande ». Le ministre italien de la défense, Lorenzo Guerini, voit
1
Hubert Védrine, Europe : avancer les yeux ouverts, Le Monde, 27 septembre
2002.
2
Voir de l’auteur, Germany’s Transatlantic Ambiguities, FPRI Analysis, 5 mars
2021.
3
Annegret Kramp-Karrenbauer, Europe still needs America, Politico, 2
novembre 2020.
4 La doctrine Macron : une conversation avec le Président français, Le Grand
Continent, 16 novembre 2020.
5 Allocution de la ministre allemand de la défense Annegret KrampKarrenbauer à l’Université Helmut Schmidt à Hambourg, 19 novembre 2020.
Défense & Stratégie Printemps 2021 – N°45
32
dans l’autonomie stratégique européenne la « confirmation du rôle
de l’Europe en tant que pilier de l’architecture de sécurité collective
basée sur le pacte transatlantique ». Son homologue portugais, João
Gomes Cravinho, met en garde : « Essayer de faire en sorte que
l’autonomie stratégique de l’UE fasse moins au sein de l’OTAN ou
tenter de se séparer de l’OTAN serait, à notre avis, une grave
erreur ». Difficile de ne pas voir, derrière ces discours, le
positionnement des uns et des autres par rapport à Washington.
Tout comme chacun se détermine en fonction de sa propre vision
du monde par rapport à Pékin, Ankara ou Moscou. Les chercheurs
de l’institut allemand SWP, qui conseille le gouvernement fédéral
sur les questions de sécurité, constatent : les relations bilatérales
entre les États membres de l’UE et les grandes puissances sont
guidées par des « loyautés disparates et des intérêts
contradictoires », ce qui rend une approche commune de
l’autonomie stratégique difficile, pour ne pas dire inconcevable1
.
L’écrivain-philosophe anglais, G. K. Chesterton a brillamment
exposé, il y a cent ans, la vacuité des arguments en faveur d’une
union entre entités différentes : « L’Union c’est la force, l’union
c’est également la faiblesse. Transformer dix nations en un seul
empire peut s’avérer aussi réalisable que de transformer dix shillings
en un demi-souverain [aujourd’hui : dix pièces de dix pence en un Pound].
Mais cela peut également être aussi absurde que de transformer dix
terriers en un seul mastiff. La question dans tous les cas n’est pas
une question d’union ou d’absence d’union, mais d’identité ou
d’absence d’identité. En raison de certaines causes historiques et
morales, deux nations peuvent être si unies que dans l’ensemble
elles se soutiennent. Mais à cause de certaines autres causes morales
et de certaines autres causes politiques, deux nations peuvent être
unies et ne faire que se gêner l’une l’autre; leurs lignes entrent en
collision et ne sont pas parallèles. Nous avons alors un état de
choses qu’aucun homme sain d’esprit ne songerait jamais à vouloir
continuer s’il n’avait pas été ensorcelé par le sentimentalisme du
seul mot ‘union’ »
2
. Dans l’Europe d’aujourd’hui, continuer signifie
le nivellement par le bas et la dilution des ambitions.
1
B. Lippert, N. von Ondarza, V. Perthes (eds.), European Strategic Autonomy –
Actors, Issues, Conflicts of Interests, The German Institute for International and
Security Affairs (SWP), Research Paper, mars 2019.
2
Gilbert Keith Chesterton, Heretics, recueil d’essais publié en 1905.

Nazione, nazionalismo, etnia, popolo, razza, razzismo, impero, imperialismo, globalizzazione, cosmopolitismo (2), di Fabrizio Mottironi

Nazione, nazionalismo, etnia, popolo, razza, razzismo, impero, imperialismo, globalizzazione, cosmopolitismo (2)
Abbiamo dimostrato che il moderno concetto di “nazione” nasce in un contesto filosofico massone, in opposizione all’idea imperiale e religiosa “sovranazionale”.
Ma torniamo ai Romani, quindi a Roma che la tradizione vuole fondata da vari esuli di altre città italiche, ma non è questo il tema fondante. Il tema fondante di Roma sono le nozioni di “imperator” (che non è l’imperatore, sorta di supremo re per come è indottamente e comunemente conosciuto) e di “augus”. Nozioni molto importanti per capire cosa “muove” l’antica Roma.
Imperator: è così indicato colui che dopo l’”inauguratio” è ricolmo di “augus” (per intenderci l’”ojas” indoiranico) ossia è in grado di raccogliere, determinare e confermare la “maiestas” che il dio Iupiter ha consegnato a Romulus, fondatore della città, per uno scopo: la conquista delle altre città (e del mondo intero) affinché entrino nello spazio “sacro” del re degli dèi.
Il compito di Roma non può che essere ‘imperiale’, come quello dell’impero cinese o persiano o kuṣāṇa o mongolo.
Si parte da un uomo o da una comunità investita da un compito sacro: quello di conquistare il mondo perché tutti gli uomini si sottomettano ai dettami e dell’imperatore investito dal re degli dèi o dal principio del Dharma, ricevendo in cambio la protezione affinché ognuno possa realizzare compiutamente il suo destino e comprenderne i significati ultimi.
La cittadinanza romana viene quindi via via elargita a tutti coloro, anche appartenenti a ‘nazioni’ diverse, che mostrano di essere in grado di condividere, difendere e diffondere il “mōs maiōrum” che poi è il riverbero del principio sacro della stessa “maiestas”. I cristiani con il loro Sacro Romano Impero si muoveranno nella stessa identica logica in qualità di “populus dei” guidati dal loro pastore e pontefice e con un nuovo “imperator”, a volte sì a volte no a lui sottomesso.
Vero che i Romani, come i Greci prima di loro, dividono il mondo tra loro e i “barbari”. Ma questa divisione non inerisce al “sangue”, all’eredità, ma alla capacità di dominare la “cultura” e la “lingua” (ossia il “mōs maiōrum” di riferimento). D’altronde anche i cristiani additeranno i non-cristiani come “nationes”.
Per quanto riguardai miei studi, le uniche tradizioni che fanno riferimento in qualche modo alla stretta eredità famigliare, o di casta, o di sangue, sono quella vedica (con particolare riguardo a quella ancora odierna dei Nambūṭiri del Kerala), quella giudaica (ma solo dopo la riforma esdrina), quella zoroastriana (ma solo quella dei Parsi del Gujarat). Sui Germani è più impegnativo collocarli correttamente, a parte le prime tradizioni longobarde attestate che risultano invece ben evidenti.
Tornando alla Grecia, ad Atene, Zenone di Cizio, di origini fenicie, fondava nel IV secolo a.C. la Stoa dove predicava il primo cosmopolitismo: il cosmo è l’unica patria di tutti gli uomini resi comuni nella loro capacità di pensare, trovando secoli dopo in un imperatore romano, Marco Aurelio, un fervente seguace.
Ma questo solo a veloce titolo esemplificativo. E sempre solo a veloce titolo esemplificativo, ancora secoli dopo un altro fenicio di cultura greca, Porfirio, si scaglierà contro il cristianesimo considerato una “superstitio”, o meglio, un concorrente nell’ideologia imperiale romana.
Quindi i moderni filosofi, massoni, propugnatori della nozione moderna di “nazione” si scontreranno, e non solo culturalmente, con gli eredi della idea imperiale e delle aristocrazie sovranazionali, variamente declinate nei secoli…
Ancora nella modernità, interessante, come al solito, il contributo di Giuseppe Mazzini che indirizza il concetto di “nazione” non sugli abitanti di un territorio preciso ma lo lega a un nuovo termine, quello di “patria”, a sua volta non dipendente dal territorio ma dal sentimento di condivisione tra le genti. Mazzini non era un massone, quanto piuttosto e probabilmente un “carbonaro”, quindi appartenente a un’organizzazione clandestina abbastanza simile alla prima ma di origini diverse, o se si preferisce “eretiche”.
Ecco in arrivo il “nazionalismo”, che però è cosa diversa dai moti nazionali dei nostri intellettuali, più o meno rivoluzionari, sopracitati. È la sua radicalizzazione.
Dapprima il “nazionalismo” si fonda su un diffuso vissuto di “Realpolitik”, poi declina in una vera e propria ideologia. Detto con l’accetta esso parte da intellettuali tardoromantici tedeschi con una imprecisa nozione di “Volkgeist” (nozione già utilizzata dallo Hegel!) per individuare una sorta di spirito “nazionale” che rende la nazione come un ricettacolo che sovrasta i suoi componenti indicandone il destino spesso individuato come “eletto” o “suprematista”.
Gli intellettuali che in qualche modo predicano questo indirizzo sono diversi, tra tutti spicca, quantomeno per spessore culturale e per ruolo politico, il tedesco Heinrich von Treitschke.
Nel mentre sul finire del XIX secolo il tedesco von Treitschke diffonde le sue dottrine, il francese Arthur de Gobineau diffonde le sue, raccolte nel “Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane”.
De Gobineau predica la razza come il vero fondamento di una nazione. La razza ne decide anche il destino, se la razza si mischia con altre razze, quella nazione sarà destinata al declino. Va da sé che la “razza” più importante e ‘forte’ è quella “bianca”. Ma De Gobineau non inventa nulla, prima di lui altri autori si erano dilettati a descrivere le razze umane, tra tutti il tedesco Johann Friedrich Blumenbach.
Ma il periodo di De Gobineau e di von Treitschke è anche il periodo delle ricerche degli inglesi Herbert Spencer, propugnatore del darwinismo sociale, e di Houston Stewart Chamberlain devoto allievo di De Gobineau (grazie a Cosima Wagner).
La zuppa positivista e ancora liberale incontra il nazionalismo e il piatto è ora pronto per le varie dottrine naziste e fasciste (non sempre omogenee).
Ma la correlazione tra personalità, intelligenza e segno somatico non è proprio solo dei positivisti (eredi dell’Illuminismo) e dei successivi nazisti. Cesare Lombroso ed Enrico Ferri erano infatti convintamente socialisti…
Riassumendo nei primi dell’800 va in voga tra gli intellettuali massoni e romantici la critica all’idea sovranazionale delle aristocrazie europee e all’universalismo cattolico, che fonda l’idea di “nazione”.
Verso la fine dell’800 tale idea si nutre delle nozioni positiviste della “razza” e romantiche della “Volkgeist” fondando dapprima le diverse forma di “nazionalismo”, infine dei movimenti fascisti europei. I quali, sul finire della guerra, individueranno nell’Europa unita l’unica vera nazione. Così l’intellettuale fascista francese Pierre Drieu La Rochelle: «La race des Aryens retrouve son union/Et reconnait son dieu à l’encolure forte./Trois cents millions d’Humains chantent dans un seul camp./Un seul drapeau rouge à la cime des Alpes./Voici les temps sacrés remontant des enfers»…
Oggi gli eredi del nazionalismo radicale sono al contempo anche eredi dell’idea imperiale di Roma o del cosmopolita Federico II di Svevia, sono nazionalisti italiani antieuropei ma predicano il verbo europeista di intellettuali quali Drieu La Rochelle. Poche idee mal studiate e molto confuse… un po’ come la storia della vaccinazione obbligatoria criticata con motivazioni neoliberali… ma sempre tanto entusiasmo….
2 –segue, senz’altro-
NB_tratto da facebook

 

Quale razionalità? La pandemia e la filosofia, di Vincenzo Costa

Quale razionalità? La pandemia e la filosofia
La pandemia ha indotto molti filosofi, più importanti e meno importanti, a prendere posizione. Ma temo che la discussione sia divenuta l’occasione per una sorta di regolamento di conti. In questo regolamento di conti si sono sviluppate critiche che trovo mancare il bersaglio, del tutto campate in aria, in cui ci si inventa la posizione dell’altro, si operano ricostruzioni improbabili.
Io credo vi siano due posizioni da rifiutare: la prima è quella di Agamben, che non va confusa con quella di Cacciari, molto diversa. La seconda è quella del coro del “bisogna fidarsi della scienza”, un coro che oramai identifica la razionalità tout court con la fede nella scienza (da non confondere con la scienza, poiché la scienza è un’impresa razionale, mentre l’appello alla fede nella scienza è caratteristico dell’irrazionalismo di certe correnti filosofiche che si considerano custodi della razionalità).
Vorrei brevemente argomentare in tre passaggi:
1) Critica della posizione di Agamben
2) Critica della fede nella scienza e messa in luce del suo carattere irrazionalistico
3) Proposta di un modo filosofico di affrontare le questioni del rischio, attraverso un uso libero di Ulrick Beck e del principio responsabilità di Jonas.
1. Critica della posizione di Agamben
Io non sono un esperto di Agamben, e su questo non sono del tutto sicuro di cogliere nel segno. Tuttavia, a me pare che, dal punto di vista filosofico, alla base dell’impostazione assunta da Agamben vi sia un concetto ben preciso, che merita di essere contestato. Alla sua base, non vi è Heidegger né tantomeno Hegel, come pure è stato detto. In Heidegger e Hegel vi sono tanti pericoli, passaggi da sorvegliare e di cui diffidare, ma questi vanno in direzione opposta a quella che si è voluta imputare a questi filosofi. Il pericolo che si annida in Heidegger e Hegel non è il libertarismo, ma la dissoluzione dell’individuo nello spirito oggettivo (nello Stato per dirla in maniera imprecisa ma chiara) o nell’epoca. Ricordo l’invito di Heidegger a decidersi per la propria generazione, per il destino. Ricordo le lezioni del 1934 sul Volk, sulla sua preminenza. Heidegger e Hegel non c’entrano niente. Poi ovviamente ci si può confrontare in maniera più specifica e questa cosa non la temo di certo. Testi alla mano.
Alla base delle posizioni di Agamben vi è invece, mi pare, il concetto foulcaultiano di “dispositivo disciplinare”, così come viene elaborato in Sorvegliare e punire e poi, secondo me con più chiarezza, ne Il potere psichiatrico:
«Nel sistema disciplinare non si è, secondo le circostanze, a disposizione di qualcuno, ma si è perpetuamente esposti allo sguardo di qualcuno o, in ogni caso, nella condizione di poter essere costantemernte osservati»,
dice Foucault. Il problema è che questo si estende a tutto: alla disciplina scolastica, sanitaria, manicomiale etc. Tutto diventa un dispositivo disciplinare. Tutto diventa “dispositivo di potere”, che mira a controllare i corpi, il tempo etc. A questo punto il potere è dappertutto, non esistono più questioni di razionalità, perché la razionalità stessa diventa un sistema disciplinare. E la mia critica è, molto semplicemente e rozzamente: che cosa NON è un dispositivo disciplinare?
Perché la formazione, l’alfabetizzazione, la crescita culturale del popolo invece di essere strumento di progresso diviene a questo punto “dispositivo disciplinare”.
Per la verità, Foucault, soprattutto l’ultimo Foucault che civetta con Habermas, è molto ironico, Chiarisce di non essere così matto da voler abolire l’istituzione scolastica. Ma semplicemente che bisogna avere coscienza del suo potenziale di “dispositivo disciplinare”.
Questo tema dilaga invece in Agamben, dove tutto è dispositivo disciplinare, e pare che Nancy abbia raccontato che Agamben gli avesse raccomandato di non farsi operare al cuore. Ovviamente Nancy sarebbe morto. Ovunque Agamben vede dispositivi disciplinari, e così si priva della possibilità di distinguere cose diverse, cioè tutela della salute da dittatura sanitaria, e chiaramente il lockdown prima e il vaccino dopo verranno visti come dispositivi disciplinari, per cosi dire a priori.
Questa dunque la radice, credo, e detto alla buona, mentre non c’entra niente Heidegger, Hegel, o Derrida, che peraltro attacca in maniera feroce Agamben ne La bestia e il sovrano. E solitamente Derrida è delicato nelle critiche.
Posizione del tutto diversa quella di Cacciari, autore con altra base culturale, più preoccupato del funzionamento della legge, di quello che può succedere quando questa viene meno e si sviluppa l’eccesso, la tracotanza. Tema che non trascurerei, poiché di tracotanza (e spocchia) se ne vede molta in giro.
Ecco, di questa idea di dispositivo disciplinare bisogna liberarsi, perché effettivamente impedisce di confrontarsi con la scienza, che ovviamente viene immediatamente ricondotta a dispositivo di manipolazione e controllo, mentre la scienza è anche e soprattutto uno strumento adattivo per sovravvivere in un ambiente che cambia.
2. Critica della fede nella scienza e messa in luce del suo carattere irrazionalistico
La pandemia poteva essere una grande occasione per sviluppare la divulgazione scientifica e la crescita culturale del paese. Ci si poteva immaginare programmi televisivi che spiegassero la differenza tra un virus e un batterio, un virus a dna e a rna, che cosa è un rna, come funziona un dna, quali parti codificano e quali no. Ci si poteva aspettare che fosse un’occasione per avvicinare a scuola gli studenti alla scienza, a partire da un’urgenza. Niente di tutto questo. Tutto si è risolto in una sfilata di cialtroni che hanno sbagliato tutto dall’inizio alla fine: il virus è una semplice influenza, poi lo stesso competente: “non uscite di casa che morite”. Poi: la comunità scientifica assicura, con evidenze assolute, che il virus è naturale, lo mostra la sequenziazione. Ora, la stessa comunità scientifica ci dice: “certamente uscito da un laboratorio”. Come ci si può fidare? Chiaro che emergono problemi di legittimazione del sapere.
Ora il complottismo è una brutta bestia, ma bisogna farne di strada per diventare così coglioni da considerare la scienza del tutto priva di rapporto con il potere e con il profitto. Bisogna seppellire almeno un secolo di ricerca scientifica sociologica, mandare in soffitta Habermas, la sociologica dalla conoscenza, il nesso tra conoscenza e interesse. Tutte analisi fallibili, per carità, ma che ci hanno insegnato uno spirito critico verso la scienza. Spirito critico che non rifiuta la scienza, ma anzi la protegge e ne tutela la legittimazione.
Poi, si continua a dire: bisogna fidarsi dei competenti, solo loro devono parlare. Dunque, solo i medici (e quali medici) decidono per il mio corpo e la mia salute, mentre io sono espropriato da ogni decisione che riguarda proprio il mio corpo e la mia salute. Solo i competenti decidono le scelte di politica economica, perché la ggggente non capisce niente. Che poi alla fine il competente è tal Marattin, che manco due lire gli affiderei.
Ma allora, se tutto deve essere deciso dai competenti, la democrazia a che cosa serve? Che cosa rimane della democrazia? Oltre che di calcio, c’è qualcosa di cui l’opinione pubblica può discutere? Che senso ha per voi la sfera pubblica e l’opinione pubblica, che si vede espropriata di ogni terreno di discussione?
Peraltro, esiste un’ampia letteratura, a partire da Max Weber sino allo Habermas della teoria dell’agire comunicativo, che ha ipotizzato che la scienza può indicarci quali mezzi usare per raggiungere un certo scopo. MA NON Può INDICARE QUALI SCOPI SIA DESIDERABILE PERSEGUIRE. Questo significa che accanto alla razionalità scientifica (strumentale, usando un vecchio linguaggio) vi è una razionalità comunicativa, che ha strutture e risorse razionali differenti.
Tutto questo viene spazzato via con un colpo di spugna dal detto: “fidati dei competenti”, “come osi parlare, lurido parvenu”? Viene spazzata via una discussione di secoli, che temo oramai si conosca poco, e con essa il concetto stesso di democrazia. Si passa, è stato opportunamente notato da un caro amico, alla tecnocrazia.
E tutto ciò indica anche una regressione del concetto stesso di liberalismo. Per un liberale come John Stuart Mill l’appello alla fede nella scienza sarebbe suonato come una bestemmia, e lo stesso per un’intera tradizione filosofica che pure ha costruito i pilastri della filosofia della scienza contemporanea. Mi chiedo che ne avrebbe detto Schlick, ucciso da un nazista se la mia memoria non mi tradisce. Emerge invece ora un liberalismo solidale con il totalitarismo, che niente ha a che fare con la tradizione liberale classica.
Al posto di una teoria critica, che sorvegli il discorso del potere (questo è Amartya Sen e Rawls, non Foucault), emerge ora una teoria critica del tutto solidale con i discorsi di potere. La nuova “teoria critica” (o critical Thinking) non mira a mettere in luce le contraddizione del sistema, i meccanismi di oppressione (e ce ne sono tanti), non sviluppa un discorso che smaschera il potere: sviluppa un discorso contro la ggggente, contro la loro ignoranza, per mostrare che chi si oppone, chi protesta, è a priori uno scemo, uno spostato, un terrapiattista, uno che a malapena sa dire sgrunt sgrunt. E a questo punto, davvero, contraddicendo me stesso (ma mica tanto), davvero questa teoria critica che mira a produrre la spirale del silenzio, la colpa, l’ammutolire del dissenso, è un dispositivo disciplinare. E’ il totalitarismo, e deve arretrare, perché gli italiani sono ancora capaci di difendere la loro libertà.
3. Proposta di un modo filosofico di affrontare le questioni del rischio, attraverso un uso libero di Ulrick Beck e del principio responsabilità di Jonas.
Ma su questo basta. Passiamo a una parte positiva, che trarrei non dai filosofi, ma da Ulrich Beck, in particolare dalla sua distinzione tra rischio e catastrofe. Qui voglio essere davvero breve, limitarmi a indicare un punto soltanto, ma sperando che Beck venga letto un poco di più:
“Rischio non è sinonimo di catastrofe. Rischio significa l’anticipazione della catastrofe. I rischi riguardano la possibilità di eventi e sviluppi futuri, rendono presente una condizione del mondo che non c’è ancora….. I rischi sono sempre eventi futuri che forse ci attendono, che ci minacciano”
L’anticipazione della catastrofe, nota Beck, “stimola a reinventare il politico”.
Beck pensa a molte cose. Qui potremmo piegare il suo ragionamento in maniera molto semplice: occorre un principio responsabilità, precauzione, un’anticipazione della catastrofe.
Nessuno può dire che cosa i vaccini produrranno tra 10 o 30 anni. Mettiamo che siano vaccinati 54 milioni di abitanti. Mettiamo che, con tutta probabilità, i vaccini siano innocui, non producano danni futuri. Tuttavia, può accadere che li producano. Anticipazione del rischio significa:
se (dico “se”) il 10% della popolazione sviluppasse problemi (cardiaci, tumori), quale sistema sanitario al mondo potrebbe essere in grado di gestire una cosa simile?
Che cosa significherebbe? Questa è l’anticipazione della catastrofe, questo è il principio responsabilità.
Chi si salverebbe? Chi verrebbe curato? E chi non lo sarebbe? Emerge un problema di classe, di differenze di ricchezza.
Mettiamo che il danno tocchi il 5% degli attuali adolescenti, con una malattia invalidante. Quale sistema sanitario e previdenziale potrebbe sostenere un costo simile? In che mondo ci troveremmo a vivere? Chi vivrebbe e chi morirebbe?
Abbiamo, nel caso questi problemi si presentassero, gli strumenti per gestire questa situazione?
Certo, ora vogliamo rischiare, perché il PIL deve salire, e questo ci serve per avere i finanziamenti europei, che sto iniziando a maledire. Si corre un rischio, va bene, corriamolo. Ma vogliamo almeno porci il problema di anticipare la catastrofe, anche se qualcuno è certo (nella sua razionalità) che non si verificherà?
E riempire di soldi (si vedano gli aumenti del costo dei vaccini) le case produttrici dei vaccini, che così saranno le uniche a poter fare ricerca, ci mette in condizioni di indipendenza o è un altro limite alla sovranità degli stati, e alle istituzioni democratiche. Che cosa prepara per il futuro questo spostamento di denaro pubblico?
Ecco, io penso che abbiamo bisogno di un altro tipo di razionalità rispetto a quella che si sta facendo strada. Quella che si sta facendo strada è solo un metodo di dissuasione, di emarginazione, per silenziare, ma che non ci aiuta minimamente a comprendere che cosa sta accadendo e come affrontarlo.
A questo punto credo di essermi inimicato provax e novax, continentali e analitici. Pazienza, a volte bisogna andare da soli, e può non essere spiacevole.

Nazione, nazionalismo, etnia, popolo, razza, razzismo, impero, imperialismo, globalizzazione, cosmopolitismo (1), di Fabrizio Mottironi

Nazione, nazionalismo, etnia, popolo, razza, razzismo, impero, imperialismo, globalizzazione, cosmopolitismo (1)
Tanti termini controversi a partire dalla loro polisemia. Provo a fare veloce e sintetica chiarezza (una sorta di “Bignami”), visto che in giro c’è davvero tanta confusione e, soprattutto, una stupefacente ingenuità.
Incominciamo con “nazione”. Il lemma procede dal latino “natĭo –ōni”, derivando dalla radice “nāsci” (nascere).
Da notare invece che il termine “razza” non possiede alcuna radice latina. Provenendo sì da una lingua romanza (cfr. il francese medievale “haras”) che però la prende dal norreno (G. Contini, “Studi di Filologia Italiana” 17.1959, pp. 319-327) laddove indica solo un allevamento di cavalli (vedremo poi come evolverà il lemma e la sua nozione).
I romani utilizzano il termine “nazione” per indicare una comunità indigena che abita un dato territorio. Nella modernità per indicare questa nozione viene utilizzato anche il lemma “etnia” (dal greco “éthnos”: popolo, nazione).
Diversamente “popolo” (dal latino “pŏpŭlu-m”) va a indicare la stessa comunità di genti che però risulta organizzata, ossia sottoposta a un’autorità di governo. Per inciso il latino “pŏpŭlu-m” viene dall’antico umbro “poplo” (di origine indoeuropea) dove indica anche la parte posteriore del ginocchio. In antichità quella porzione del corpo umano era connessa alla generazione (da qui la relazione con il “nascere”) in quanto organo che consente la stazione eretta del corpo umano.
Nel Medioevo i significati di “nazione” e “popolo” si sovrappongono. Così nelle università medievali le comunità di studenti che provengono da diversi paesi vengono additate con il lemma di “nazione” (“natio hispanica”, “natio italica”, etc.).
Solo la modernità ha iniziato la riflessione sui concetti che questi termini intendevano, anche se in modo spesso sovrapposto e approssimativo.
Comunque a partire dal XVIII secolo il termine “nazione” inizia a indicare un’entità organizzata dal punto di vista politico, ossia giuridico-statuale.
È Johann Gottfried Herder (“Idee per la filosofia della storia dell’umanità”, 1784) il primo a individuarne le radici “culturali”; mentre Johann Gottlieb Fichte (“Discorsi alla nazione tedesca”, 1808) è il primo che ulteriormente indica nella comune lingua la vera radice “spirituale” di una nazione, andando così a proporsi come uno dei padri spirituali del successivo “nazionalismo”.
A margine, è curioso che Fichte uno dei padri, o se si preferisce nonni, del nazionalismo (e delle sue derive radicali), era al contempo il vero padre filosofico della massoneria così come la conosceremo nel XIX e XX secolo (cfr. i suoi fondamentali contributi alla rivista “Eleusinie del XIX secolo”, 1802 e 1803)…
Subito dopo, nel 1815, il nostro Gian Domenico Romagnosi (anche lui, come lo Herder e il Fichte, massone) va a delineare la “nazione” come una realtà naturale e storica (cfr. “Della costituzione di una monarchia nazionale rappresentativa”).
Con Pasquale Stanislao Mancini (“La nazionalità come fonte del diritto delle genti”, 1851), che parla di “personalità nazionale” e lo Hegel (“Lezioni sulla filosofia della storia”, 1837) che vede nel “popolo” un “individuo spirituale”, un “tutto organico”, chiudiamo con i padri della nozione moderna di “nazione”. Questa nozione non esisteva prima, essendo, prima, puramente descrittiva, indicativa.
Da ora la “nazione” risulta essere quella comunità di persone che condividono una “lingua”, un’eredità storica, una comune “cultura”.
Che i padri del concetto di “nazione”, e quindi i nonni del successivo “nazionalismo”, siano tutti massoni (di Mancini e di Hegel non è attestato, ma fortemente sospettato) non deve stupire: la massoneria è nata nel XVIII secolo come una sorta di fratellanza tra “liberi” intellettuali (per lo più filosofi con interessi “ermetici” come era costume dell’epoca) che intendevano opporsi al dominio culturale, e politico, degli imperi e della aristocrazie “sovranazionali” e della chiesa cattolica “universale”… va da sé che la massoneria non poteva che promuovere proprio una visione opposta all’idea di governo “universale”, “imperiale” e “sovranazionale”, alimentando le successive “rivoluzioni nazionali”.
Incredibile vero? Ma il bello deve ancora venire…
NB_tratto da Facebook

 

Il mito di Cassandra e il disprezzo dei profeti, di Davide Gionco

Il mito di Cassandra e il disprezzo dei profeti

di Davide Gionco

Secondo il racconto di Omero (Iliade, Libro XIII) Cassandra era la più bella delle figlie di Priamo, re di Troia. Cassandra aveva ricevuto dal dio Apollo il dono della profezia, il dono di prevedere il futuro.  Una volta ricevuto il suo dono, Cassandra avrebbe rifiutato di concedersi a lui. Il dio, fuori di sé dalla rabbia, le avrebbe sputato sulle labbra, condannandola con questo a restare per sempre inascoltata dagli altri.

Cassandra veniva presa per pazza, per una iettatrice, dato che annunciava le disgrazie che sarebbero ricadute sulla città di Troia. Non veniva presa in considerazione, perché annunciava cose che nessuno voleva sentirsi dire.
Una volta la città di Troia fu conquistata e distrutta dagli Achei, Cassandra venne rapita dal re Agamennone e condotta come ostaggio a Micene. Anche lì profetizzò al re che ci sarebbe stata una congiura contro lui, ordita dalla sua stessa moglie Clitemnestra, ma neppure Agamennone volle credere ad una profezia così inaccettabile. Dopo che la congiura fu messa in atto dalla moglie, come preannunciato, insieme al re Agamennone, fu anche uccisa la stessa Cassandra.

Sapere che si va incontro ad un destino inaccettabile è qualcosa che può condurre alla disperazione, per questo il nostro inconscio preferisce respingere quelle informazioni. Siccome si tratta di fatti che devono ancora accadere, non certi, si preferisce credere che “speriamo che non succeda”. E si va avanti, avendo come unico sostegno la speranza di un futuro migliore che non ci fa paura.
Sigmund Freud spiegherebbe che si tratta di impulsi irrazionali, legati al nostro istinto di sopravvivenza, che ci porta nel subconscio a sfuggire mentalmente ciò che ci potrebbe fare soffrire o addirittura morire.

Il destino dei profeti di essere inascoltati e perseguitati è qualcosa di ricorrente nella Bibbia. Ad esempio il profeta Geremia annunciava al popolo che sarebbe stato invaso dai “Popoli del Nord” (i Babilonesi), se non si fosse convertito a Yahveh e non avesse cambiato vita.
Come era accaduto a Cassandra, anche Geremia fu preso per un “annunciatori di malauguri”, non fu ascoltato, fu odiato e disprezzato e fu messo nella fossa per farlo morire.

In tempi molto più recenti, fra il 1933 ed il 1939 il giornalista americano Frederick Birchall (1868-1955) scrisse come invitato del New York Times in Europa moltissimi articoli sull’ascesa di Hitler e del nazismo, mettendo in guardia i lettori ed i leader politici sull’estrema pericolosità del fenomeno. Ma non fu creduto e non fu ascoltato, perché scriveva cose “inaccettabili”, dato che nessuno poteva accettare l’idea che Hitler avrebbe fatto ciò che la storia ci racconta che poi fu fatto dai nazisti.

San Giovanni Bosco (1815-1888) faceva fare periodicamente ai suoi ragazzi gli “esercizi della buona morte”. Oggi la morte è il più grande tabù di cui non si può discutere. Eppure per San Giovanni Bosco il ricordare ai ragazzi che “ciascuno di noi deve morire, che potremmo morire anche questa notte” non era per fare dei malauguri, ma per aiutare i suoi ragazzi a vivere in modo responsabile il tempo che ci è concesso di vivere, dato che non siamo padroni del nostro futuro e che il nostro tempo certamente finirà.

I profeti non sono coloro che preannunciano, per preveggenza, un futuro inevitabile quello che gli antichi romani chiamavano “il fato”), ma sono coloro che sanno leggere meglio degli altri i segni dei tempi, comprendendo come le cose andranno a finire.
Il termine “profeta” deriva dall’antico greco
προϕτης, che è la caratteristica di colui che è cosciente, razionale, poiché discerne ogni cosa con il “ragionamento.
Il profeta, quindi, non è qualcuno che annuncia un destino senza scampo o che diffonde dei malauguri, ma è una persone che annuncia un futuro condizionato dalle nostre scelte, avendo la piena comprensione del presente ed avendo coscienza di come la situazione si potrà evolvere.

Ma la gente non ama cambiare le proprie abitudini, perché costa fatica ed impegno. La gente non ama mettere in discussione le proprie scelte, perché significherebbe ammettere che prima ci si era sbagliati ed affrontare tutte le conseguenze sociali e materiali del cambiamento di decisione.
Ancora più difficile è ammettere da essere stati ingannati da chi ci ha convinti a prendere una decisione che poi ci rendiamo conto essere stata sbagliata.
Un detto sapiente ci ricorda che “
l’orgoglio muore un quarto d’ora dopo di noi“. Piuttosto che cedere al nostro orgoglio, si preferisce mantenere la propria decisione, anche se il profeta ci dimostra che è sbagliata e che ci porterà a conseguenze a cui non vorremmo andare incontro.

La gente preferisce una bugia rassicurante alla scomoda verità del profeta. E lo fa al punto di arrivare a mettere a tacere il profeta in qualsiasi modo: censurandolo dal punto di vista mediatico, escludendolo dal punto di vista sociale o addirittura eliminandolo fisicamente.

Ovviamente nessuno di noi è “la gente”. Siamo persone in grado di compiere le nostre scelte, di prendere atto dei nostri errori, di capire se chi ci parla è un profeta oppure no.
Dipende da ciascuno di noi, se preferiamo conformarci al fare comune della gente preferendo evitare ogni sforzo mentale e psicologico o se preferiamo invece essere persone che non si fanno sovrastare dalla paura e dall’orgoglio. Se vogliamo avere il coraggio di metterci in discussione e di ascoltare i profeti che, da che mondo e mondo, non sono mai mancati. Basta avere occhi ed orecchi per riconoscerli.

DURATE ED EMERGENZE, di Pierluigi Fagan

DURATE ED EMERGENZE. Anni fa, nelle mie ricerche sul passaggio dal Paleolitico al Mesolitico, mi imbattei in due ipotesi sul cambiamento climatico ed ecologico, una in Cina, l’altra in India. Quella relativa alla Cina, sosteneva che nel tempo antico, diciamo 10.000 anni fa circa, in Cina arrivavano i monsoni e quindi il clima era tropicale. C’era un aspetto di riflesso culturale interessante. Come alcuni di voi avrà notato, nell’immaginario cinese che sopravvive nel folklore, ci sono draghi e tartarughe. Ebbene, data la permanenza sostanziale della civiltà cinese in un ben preciso areale, questa sarebbe una permanenza di immaginario proprio dei tempi in cui in effetti c’era abbondanza di varani e testuggini quali si trovano proprio in regioni tropicali. Qualcosa, ad un certo punto, cambiò il regime periodico di venti umidi che chiamiamo “monsoni” e con ciò cambiò profondamente le ecologie locali, ma il bestiario dei tempi antichi, rimase nell’immaginario tramandato.
La seconda storia riguarda il fiume Indo che oggi attraversa il Pakistan. Se prendete una cartina fisica della regione, noterete l’arzigogolato corso dell’Indo a partire dalla sua fonte tibetana. Nei tempi antichi, pare ci fosse anche un altro fiume parallelo che troviamo molto citato nel più antico libro dei Veda, il Rg. Il complesso Indo-Sarasvati con una serie di altri corsi d’acqua che intrecciavano la regione, sarebbe stato la culla dell’antica civiltà vallinda. La misteriosa scomparsa di quella civiltà che ad un certo punto sembra aver abbandonato più o meno di colpo i propri imponenti centri abitati, erroneamente attribuita in un primo tempo alle ipotetiche invasioni ariane indoeuropee (che ci furono in tutta evidenza ma non nei tempi e nei modi descritti da queste vecchie ipotesi), pare fosse dovuta ad una serie di terremoti dovuti allo scontro tettonico che spinge il triangolo indiano contro l’Asia (da cui il Tibet). Tali terremoti avvenuti in alta montagna proprio lì dove originavano gli antichi corsi d’acqua, ne cambiò il tracciato a monte e quindi a valle i corsi cambiarono direzione e portata, cambiando radicalmente le ecologie. I vallindi, si suppone, migrarono verso est, dalle parti del Gange, qui espulsero i locali che migrarono verso sud. L’attuale divisione netta di areali linguistici tra ceppo sanscrito (Nord) e dravidico (Sud), che poi ebbe riflessi anche nella composizione e definizione castale tra chiari (ex vallindi misti ad ariani) e scuri (ex popolazioni indigene gangetiche di lontane origini africane), rifletterebbe tale storia.
Tutto ciò ha ancora tratti speculativi, ma tutto ciò era ignoto fin quando non abbiamo allargato le durate delle nostre indagini. Eventi di poche migliaia di anni fa, ci mostrano un possibile fatto prima ignoto: le ecologie possono cambiare in archi anche solo di pochi millenni e con esse, la vita umana che vi dipende. Quest’ultima però, nei casi in questione, non aveva storia e scrittura per cui dei tormenti delle genti dei tempi non abbiamo ricordo, in più, dato che il pianeta era decisamente sottopopolato, c’era pur sempre la possibilità di far quello che gli umani hanno fatto da sempre: spostarsi. Sono decine e decine i casi di storia antica che o abbiamo del tutto ignorato o abbiamo cercato di interpretare cercando ragioni all’interno delle dinamiche sociali dei gruppi umani, quando invece erano mossi dal semplice variare climatico ed ambientale.
Chi mai fosse interessato a questa storia mossa dal clima troverà soddisfazione nei bei libri del mio omonimo Brian Fagan. Avverto che quel Fagan indaga e scrive su questo argomento da quaranta anni, non è un cialtrone che specula sul “cambiamento climatico” per sfornare best seller un tanto al chilo. Ma pur non essendo l’unico a condurre questi progetti di ricerca da così lungo tempo, poiché la nostra immagine di mondo era ai tempi affaccendata in tutt’altro, l’argomento a molti sembrerà ignoto, recente, quindi collegato al Grande Reset o ad altri presentismi. Gli ignoranti si svegliano sempre tardi e piuttosto che domandarsi perché avevano ignorato argomenti macroscopici del genere e per così lungo tempo, prendono un articolino su Internet e ci fanno sopra la loro teoria mondo dando cause sbagliate ad eventi complessi. Poi vengono pure col sorrisino di chi la sa lunga a spiegare a te che di queste cose ti occupi da decenni, che sei un ingenuo a credere a queste “narrazioni” catastrofiche, spacciate per verità dal solito gruppetto di élite banco-finanziarie pluripotenti capitanate da un oscuro massone capo di Spectre. Potenza dell’immaginario di Ian Fleming di cui sono figli, nutriti con la saga di 007.
Venendo a noi, ricercatori del CNR ci avvertono che, da tempo, il fatidico anticiclone delle Azzorre, sta perdendo potenza e regolarità, forse anche locazione. Altri ci avvertono da tempo, che l’ Atlantic meridional overturning circulation – AMOC, sta perdendo portanza, regolarità ed intensità, fatto che preluderebbe all’ennesima catastrofe climatica poiché questa corrente oceanica atlantica è la principale responsabile della stabilità climatica degli ultimi millenni, quantomeno per le zone settentrionali che si affacciano sull’Atlantico, ma forse non solo.
Quanto alle Azzorre, il ritiro di questa area di circolazione, favorirebbe l’espandersi delle celle anticicloniche africane (ad esempio celle di Hadley) che però hanno caratteristiche climatiche e di umidità del tutto differenti. Questo spiegherebbe il “Mediterraneo in fiamme” dalla Turchia, alla Grecia in cui mi trovo, alla Sicilia, alla Sardegna. Qui dove mi trovo, nell’Egeo, siamo a 36-38 gradi stabili. Poiché le economie locali vivono di turismo, in estate arriva un sacco di gente. Gente che usa i condizionatori a palla, il che mette sotto pressione la rete elettrica che talvolta salta. Saltando, non solo toglie corrente ai condizionatori, ma anche ai de-salinizzatore locale per cui a volte manca l’acqua, oltre Internet e tutto il resto. Ad Atene nord, c’è chi vive vicino ad incendi di lunga durata per cui deve rintanarsi a casa con le finestre chiuse, senza condizionatore e senza elettricità, l’inferno in terra praticamente.
Lunedì esce parte del nuovo rapporto IPCC che si annuncia più pessimista dei precedenti. Il tema è il riscaldamento climatico e la CO2. Ma c’è un altro argomento in questa faccenda che è la disclocazione dei climi, lo spostamento delle celle climatiche che poi determinano celle ecologiche a cui siamo adattati per millenni e che ora cambiano regime, come cambiarono al tempo della Cina mesolitica o dell’India Neolitica. Può darsi cambino per colpe antropiche più generali, ma può anche darsi cambino perché sono sempre cambiate se si inquadrano durate storiche meno anguste della mezzoretta che chiamiamo “civiltà”. Quindi, a prescindere le cause, gli effetti sono certi, tangibili ed immediati nel qui ed ora. Nell’attesa si svolga il grande dibattito sull’Antropocene avversato da negazionisti manipolati dalle lobbies carbonifere e dai centri anarco-capitalisti americani, mentre altri pensano sia tutta una invenzione di quelli di Davos per manipolarci dopo averci imposto la dittatura sanitaria, sarebbe forse il caso di domandarci cosa fare in senso adattivo?
Altrimenti, come ci fa notare l’opportuno Cacciari (le cui ragioni di filosofia politica-giuridica hanno fondamenti ben diversi da quelli di c.d. “bio”-politica à la Agamben che però non ha di biologia competenze pari a quelle che Cacciari ha di giurisprudenza costituzionale), andremo di stato d’eccezione in stato d’eccezione non solo subìto, ma invocato per ragioni apparentemente evidenti.
Dedicato ai molti che pensano di esser svegli mentre dormono (Eraclito), ricordo che il sociologo U. Beck (e non solo lui per altro) scrisse trentaquattro anni fa il saggio “La società del rischio”. Rischi pandemici, alimentari, sanitari, geopolitici, ambientali, tecnologici, migratori, demografici, economici, finanziari et varia. Del resto, se ti aumenta la popolazione planetaria di tre volte in settanta anni, una “durata” molto breve per un evento molto intenso, non ci voleva un genio per capire che qualcosa di nuovo sarebbe successo.
Tutte cose note da tempo quindi, tempo trascorso invano. Ignoranza di massa, madre di tutte le catastrofi, dovrebbe esser “il” nemico comune per tutti coloro che non si rassegnano a subire le conseguenze di questa epoca problematica. Ma l’ignoranza rende ciechi anche sul problema della sua importanza negativa, questo è il problema primo, quello da cui discende ogni altro. Sopportare e supportare l’ignoranza di massa fa sì che ad eventi eccezionali, l’unica risposta che sembra potersi dare è quella dei vari stati d’eccezione e degli interventi emergenziali promossi da politici ignoranti eletti da persone altrettanto ignoranti.

INTERVISTA a Deepti Gurdasani , uno dei maggiori esperti mondiali di COVID-19. a cura di Maria Modica (tratto da facebook)

INTERVISTA a Deepti Gurdasani , uno dei maggiori esperti mondiali di COVID-19.
AL PRIMO COMMENTO la seconda parte dell’ intervista ( Delta )
È una delle principali autrici dell’articolo del BMJ che condanna la promozione da parte del governo del Regno Unito dell'”immunità di gregge attraverso l’infezione di massa”, definendo le sue azioni un “esperimento pericoloso e immorale”
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Puoi spiegare l’origine del termine immunità di gregge e come si applica all’epidemiologia? E in particolare, come si inserisce nel contesto di queste varianti mutevoli del coronavirus che sono più trasmissibili e forse più evasive dell’immunità?
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Il termine è entrato in gioco dall’agricoltura e dalla zootecnia. E in seguito, è stato introdotto nell’epidemiologia più nel contesto della vaccinazione per capire quale percentuale della popolazione aveva bisogno di sviluppare l’immunità dalla vaccinazione prima che quelle persone che non erano state vaccinate o non avevano l’immunità fossero protette. L’idea dell’immunità di gregge o delle soglie di immunità di gregge è essenzialmente che si raggiunga un tale livello di immunità in una popolazione, idealmente attraverso la vaccinazione, in modo che le persone che non hanno diritto alla vaccinazione o non sono state vaccinate o non possono montare un adeguato anche la risposta alla vaccinazione è protetta. Significa che il cento per cento della popolazione non ha bisogno di essere immune, perché a un certo livello [di immunità della popolazione] l’infezione non può diffondersi. Anche se è stato introdotto dall’esterno,si estingue semplicemente perché non ci sono abbastanza persone [vulnerabili] a cui può diffondersi a causa di questo muro di immunità nella popolazione.
Quindi, in termini statistici, le soglie di immunità di gregge sono la proporzione della popolazione che deve essere immune affinché il numero di riproduzione, che è il tasso di crescita della pandemia scenda al di sotto di uno, il che significa che inizia la pandemia o la diffusione dell’infezione restringendosi da solo senza bisogno di misure o interventi esterni per contenerlo.
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Come si applica questo alla situazione attuale in cui ci troviamo in cui la quota della popolazione che è stata infettata e vaccinata non è chiara con una possibile sovrapposizione considerevole? Vale a dire, in teoria, se ogni persona che è stata infettata ha ricevuto un vaccino che lascia un bacino più ampio di popolazione non vaccinata e vulnerabile.
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DG: Per essere chiari, non c’è nessun paese che abbia ottenuto l’immunità di gregge alla SARS-CoV-2. E, certamente, ci sono paesi con diversi livelli di vaccinazione. Voglio dire, alcuni paesi hanno oltre il 60 percento della loro popolazione completamente vaccinata. Ci sono anche paesi che hanno avuto un’esposizione naturale all’infezione a tassi molto elevati. Ma non ha spento la pandemia. Abbiamo sempre visto impennate anche dopo. E penso che rifletta diversi fattori.
Primo, penso che l’immunità naturale possa diminuire nel tempo. E penso che la durata di quell’immunità dipenda dalla gravità dell’infezione originale. Quando le infezioni sono lievi e asintomatiche, possiamo almeno valutare gli anticorpi neutralizzanti e come ciò si correla con il declino dell’immunità. Non lo sappiamo ancora, ma sappiamo che la reinfezione, o l’infezione di nuovo con il virus, la stessa variante o un’altra variante, sono molto più comuni di quanto pensassimo inizialmente. Sebbene ci sia protezione, anche per periodi di tempo più lunghi, non è assoluta.
La seconda cosa è che nel tempo abbiamo avuto molte nuove varianti sorte in diverse parti del mondo e hanno mostrato un livello di fuga dall’immunità precedente, il che significa che se sei immune contro una precedente variante del virus, non significa necessariamente che sei immune a un nuovo ceppo. Ciò significa che anche se hai un livello di immunità contro le varianti precedenti, potresti non essere in grado di raggiungere la soglia di immunità di gregge perché questo virus è in continua evoluzione.
L’altro aspetto della soglia di immunità di gregge è che dipende molto dalla trasmissibilità. Più un virus è trasmissibile, e questo ha senso, hai bisogno di un muro di immunità molto più grande, il che significa che hai bisogno di molte più persone per diventare immuni per poter raggiungere quella soglia. Il morbillo, ad esempio, che è un agente patogeno altamente infettivo, l’immunità di gregge soglia è superiore al 95 percento.
Sfortunatamente, poiché abbiamo avuto nuove varianti in un momento in cui i vaccini sono stati sviluppati contro varianti precedenti, mostrano anche un livello di fuga dai vaccini, il che significa che i vaccini non sono efficaci contro queste nuove varianti come lo erano in termini di precedenti varianti nella prevenzione della trasmissione dell’infezione.
Tutti questi fattori rendono molto difficile ottenere l’immunità di gregge.
Dobbiamo ricordare con la variante attuale che sta diventando dominante in diverse parti del globo, perché è altamente trasmissibile, abbiamo bisogno che circa l’85% o più della popolazione sia immune, non vaccinata, ma immune e non sia essenzialmente in grado di trasmettere ad altre persone. Al momento attuale, non pensiamo che i vaccini forniscano necessariamente l’85% di efficacia.
Anche se hai vaccinato il 100% della popolazione, potresti non raggiungere quel livello in cui la pandemia muore da sola, che è essenzialmente la soglia di immunità di gregge.
E questo lo rende molto complicato. Penso che ci debba essere un livello di onestà intorno a questo. Questa non è una soglia che probabilmente saremo in grado di raggiungere attraverso la vaccinazione o contenere la pandemia attraverso la sola vaccinazione, a meno che non sviluppiamo una prossima generazione di vaccini efficaci contro queste nuove varianti, cosa che potrebbe accadere. Ma è improbabile che sia in grado di tenere il passo con l’evoluzione del virus a meno che non impediamo l’evoluzione di nuove varianti.
È probabile che con le attuali generazioni di vaccini avremo bisogno di mitigazioni in atto per essere in grado di contenere la pandemia.
Ma abbiamo anche bisogno di investimenti a lungo termine e cose come la ventilazione negli ambienti interni.
E i governi, penso, devono essere molto chiari e onesti su questo perché c’è un consenso che si sta sviluppando tra gli scienziati che è improbabile che raggiungeremo l’immunità di gregge attraverso i soli vaccini con gli attuali vaccini che abbiamo.
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So che tu e il governo di Boris Johnson avete duellato con le parole della stampa. Perché pensi che i leader del Regno Unito, dell’UE, degli Stati Uniti e di altri paesi non stiano ascoltando gli avvertimenti lanciati dagli scienziati? In effetti, quello che stiamo vedendo è che molti degli scienziati con più principi vengono attaccati, maltrattati o diffamati. Questi leader eletti a cui è affidato il benessere del loro popolo, la salvaguardia della loro popolazione, stanno lavorando contro di loro.
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DG: Penso che siano in gioco diversi fattori; Ci sono valori in gioco, ci sono ideologie in gioco e ci sono interessi acquisiti che stanno chiaramente influenzando i nostri governi che non hanno a cuore un interesse pubblico.
Quando parliamo di valori, penso che piuttosto che i valori della protezione della salute pubblica e della compassione, molti governi hanno avuto valori di guadagni economici a breve termine e sfortunatamente non si sono resi conto che non esiste una dicotomia tra la salute pubblica e l’economia e i paesi che sono riusciti a proteggere maggiormente le economie sono quelli che sono riusciti a superare il virus e sono riusciti a contenerlo.
Penso che la seconda cosa sia l’ideologia. Penso che ci sia molta ideologia libertaria che ha influenzato i governi, in particolare in Occidente, e l’eccezionalismo, dove c’è stata una certa arroganza nel non imparare lezioni da molte parti del mondo da cui avremmo potuto imparare lezioni, e che erano colpiti prima di noi nella pandemia e hanno risposto molto meglio.
E penso che ci siano effettivamente gruppi di disinformazione e interessi costituiti. E abbiamo visto questo, per esempio, la Dichiarazione del Grande Barrington che è uscita l’anno scorso e ha avuto un’influenza enorme nella politica in molte parti diverse del mondo, incluso il Regno Unito, dai nostri alti funzionari che si sono incontrati con i sostenitori del Grande Dichiarazione di Barrington. Per coloro che non lo conoscono, hanno essenzialmente promosso un’idea di protezione mirata dei vulnerabili mediante una sorta di schermatura e lasciando che il virus si diffonda al resto della popolazione affinché sviluppino l’immunità di gregge attraverso l’infezione naturale. Questo era ovviamente non scientifico e completamente immorale, come è stato dimostrato ripetutamente ora anche nell’esperienza del mondo reale.
Ma è un’idea che ha permeato la coscienza e la politica di molti paesi, tra cui Svezia, penso che i Paesi Bassi, certamente il Regno Unito e gran parte dell’Occidente, il che è stato piuttosto deludente da vedere dato che c’erano esempi molto positivi che avremmo potuto seguire abbastanza presto. E anche adesso non è troppo tardi per seguire quegli esempi.
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BM: La stampa ha parlato di endemicità, che il virus diventerà inevitabilmente endemico. Questa è una delle strategie più sinistre della politica di immunità del gregge che viene promossa, il che significa che dovremo imparare a conviverci. Prima lo accettiamo, meglio è. Quali sono le tue preoccupazioni riguardo a tale strategia che viene promulgata?
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DG: Penso che endemicità sia uno dei termini meno compresi e usati più male da molti scienziati che hanno suggerito che l’endemia sia in qualche modo una buona cosa. L’endemicità è essenzialmente ciò che vediamo per molte malattie ora, inclusa la malaria. E la malaria uccide milioni di persone.
Endemicità significa essenzialmente che l’infezione o la trasmissione continueranno senza l’introduzione di infezioni dall’esterno. Quello che vedrai sono diversi livelli di infezione o trasmissione che si verificano continuamente perché c’è una sorta di endemicità stabile in cui una persona trasmette a un’altra persona e la trasmissione si propaga. Non si spegne. Potrebbero esserci periodi in cui hai un’elevata endemicità, in cui hai alti livelli di infezione. Ciò sarà ovviamente devastante per un virus come SARS-CoV-2, che causa malattie a lungo termine, che possono causare malattie gravi ed essere piuttosto fatali.
Naturalmente, questa idea di convivere con il virus e l’endemica porta a nuove opportunità per l’evoluzione del virus, come abbiamo già visto, perché più si trasmette, più mutazione avviene. E se hai una popolazione parzialmente immune, quel tipo di alto livello di mutazione colpisce una sorta di protezione parziale contro la vaccinazione, il che significa che vengono quindi selezionate le mutazioni che possono sfuggire a un’immunità basata sul vaccino o a un’immunità naturale.
Ed è così che avviene l’adattamento del virus, per sfuggire ai vaccini, e promuove nuove varianti potenzialmente più trasmissibili e più gravi di quanto abbiamo visto. Le persone che parlano di endemicità spesso parlano di virus benigni o di virus che diventano benigni nel tempo, qualcosa come l’influenza con cui si convive, che arriva nelle stagioni, uccide qualche migliaio di persone, come se fosse accettabile. Ma, in realtà, è probabile che l’immagine con SARS-CoV-2 appaia molto diversa. È probabile che si tratti di una situazione di elevata endemicità in cui il virus continua ad adattarsi e, forse, anche i nostri vaccini non riescono a stargli dietro. Nel qual caso perdiamo gran parte dei guadagni che abbiamo già fatto. Questo porterà a una sorta di cicli di pandemia ed epidemia.
E questo lascerà molte persone disabili con malattie a lungo termine. Voglio dire, questo è un virus che sappiamo può entrare nel cervello, che causa deficit neurologici a lungo termine, che provoca l’assottigliamento di parti del cervello associate al gusto, all’olfatto e alla memoria. Sappiamo anche che colpisce diversi sistemi di organi, anche in quelle persone con infezione lieve.
E sappiamo che la malattia cronica non è rara [con questo virus]. Non è niente come l’influenza e non è niente di benigno. E non ci sono assolutamente prove che questo virus si stia attualmente evolvendo in alcun modo per diventare meno grave o meno trasmissibile o meno in grado di sfuggire ai vaccini. Tutte le indicazioni puntano nella direzione opposta. Dovremmo essere molto cauti e preoccuparci di lasciare che questo virus si diffonda nelle nostre comunità e raggiunga l’endemia. Questo non è un virus con cui possiamo convivere o con cui vogliamo convivere. Questo è un virus che dobbiamo eliminare, ma che richiede un coordinamento globale. E richiede ai paesi di fare ciò che è nell’interesse della salute pubblica e ciò che è basato su prove. E richiede anche che una comunità scientifica si riunisca e non indulga in posizioni “eccezionali” che non sono fondate sull’evidenza.

Intervista con l’ambasciatore russo Anatoly Antonov, di Jacob Heilbrunn

Intervista con l’ambasciatore russo Anatoly Antonov: “Dobbiamo combattere le bugie e le notizie false praticamente su base giornaliera”.

Il redattore di National Interest Jacob Heilbrunn intervista l’Ambasciatore della Federazione Russa negli Stati Uniti d’America SE Anatoly Antonov.

Heilbrunn: Il presidente Vladimir Putin ha recentemente pubblicato un nuovo saggio sull’Ucraina in cui afferma che ucraini e russi sono la stessa gente. Ha anche indicato che ci sono linee rosse che né l’Ucraina né la NATO potrebbero attraversare. Alcuni dicono che Putin stia gettando le basi per un’azione più dura contro l’Ucraina. Ha comunicato qualcosa del genere all’amministrazione Biden?

Queste mappe ti lasceranno a bocca apertaLontano e largo

Antonov: L’articolo del presidente della Federazione Russa Vladimir Putin ha avuto un’enorme risonanza a Washington. Per molti qui è stato un nuovo sguardo sulle relazioni tra russi e ucraini, un’opportunità per conoscere le radici del popolo. Sfortunatamente, ci sono malvagi che negano il bene, specialmente quando si tratta della Russia. Cercano di pervertire l’immagine, di presentare l’articolo come se fosse un ultimatum contro la nazione indipendente. Dobbiamo riconoscere che ci sono molti rappresentanti dell’amministrazione che condividono questo punto di vista. Ignorano la tesi principale del leader russo che una vera, reale e forte sovranità dell’Ucraina è possibile solo in partnership e buone relazioni con la Russia.

Dobbiamo combattere le bugie e le fake news praticamente ogni giorno. Prima che l’articolo fosse pubblicato, avevamo affrontato una campagna diffamatoria da parte di politici ed esperti in merito ai colloqui tra il presidente Putin e il presidente Biden a Ginevra. Come sapete, i capi dei nostri paesi hanno discusso in modo costruttivo del conflitto intraucraino. Hanno convenuto che gli accordi di Minsk fungono da unico quadro per la soluzione politica del conflitto in Donbass. Invece di lavorare sui modi per attuare gli accordi di Minsk, alcuni funzionari del Dipartimento di Stato incolpano la Russia di tutti i problemi in Ucraina e etichettano il mio paese come “aggressore”.

Abbiamo più volte avvertito l’amministrazione che tali affermazioni controproducenti non hanno nulla a che fare con la realtà. Le soluzioni possono essere trovate solo attraverso mezzi diplomatici senza propaganda. In questo momento gli Stati Uniti possono influenzare il governo dell’Ucraina incoraggiandolo a impegnarsi in un dialogo sostanziale con i rappresentanti di Donetsk e Lugansk, ritirare le armi pesanti dalla linea di contatto e intraprendere misure concrete e tangibili per quanto riguarda lo status autonomo dell’Ucraina sud-est.

Heilbrunn:  Gli Stati Uniti e la Russia hanno concordato di avviare un nuovo dialogo sulle questioni informatiche. Quali sono i progressi in questo settore e vede qualche motivo di ottimismo dopo anni di aspri disaccordi?

Antonov: L’accordo per avviare un dialogo sulla sicurezza informatica è uno dei risultati chiave del vertice Russia-Usa di Ginevra. Esperti di entrambi i paesi hanno già iniziato a comunicare. I Consigli di sicurezza russo e statunitense forniscono un coordinamento generale.

Per ora ci sono state diverse tornate di consultazioni, ed è sicuramente un segnale importante e promettente. I colleghi americani, tuttavia, preferiscono concentrare le discussioni principalmente sulle attività di ransomware, mentre la sicurezza informatica è molto più ampia. Mi auguro che questo dialogo acquisisca un carattere globale nel prossimo futuro. Come opzione, possiamo discutere sulle minacce informatiche ai sistemi di controllo degli armamenti, ecc.

È ovvio che i nostri paesi soffrono ugualmente di criminali informatici. I casi di recenti attacchi contro il sistema sanitario della regione di Voronezh in Russia e l’azienda Kaseya qui negli Stati Uniti lo confermano.

Abbiamo costantemente cercato di stabilire una cooperazione professionale su questioni di sicurezza informatica a Washington. In particolare, dal 2015, abbiamo compiuto sei tentativi per avviare tale interazione. Inoltre, il 25 settembre 2020, il presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, ha proposto un programma completo di misure per ripristinare la cooperazione Russia-USA nel campo della sicurezza internazionale dell’informazione (IIS). Sfortunatamente, finora non c’è stata alcuna reazione ufficiale dagli Stati Uniti.

A proposito, anche le richieste delle autorità competenti russe in merito agli attacchi informatici rimangono senza reazione da parte degli Stati Uniti. Erano quarantacinque nel 2020 e trentacinque nei primi sei mesi del 2021. Da parte nostra, abbiamo soddisfatto pienamente dieci richieste dagli Stati Uniti lo scorso anno e due ricorsi nella prima metà dell’anno in corso. Questo indica che abbiamo molto su cui lavorare.

Vorremmo ribadire che la Russia è pronta per una cooperazione onesta e reciprocamente vantaggiosa, senza politicizzazione e agende nascoste. Adottiamo un approccio responsabile ai problemi di sicurezza informatica. In questo contesto, siamo orgogliosi di annunciare che il nostro Paese è diventato il primo stato a sviluppare e presentare all’ONU un progetto di Convenzione sul contrasto all’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione a fini criminali. La presentazione ufficiale del documento è avvenuta il 27 luglio a Vienna.

Un’altra cosa da menzionare. Quasi ogni giorno ci occupiamo di materiale mediatico sugli attacchi degli hacker, che si presume vengano effettuati dal territorio russo. Le prove non sono mai fornite. Tali questioni dovrebbero essere sollevate non dai giornalisti, ma dai professionisti. I colleghi americani se lo richiedono possono contare su un’assistenza rapida e di alto livello da parte russa. Il nostro National Computer Incident Response and Coordination Center è pronto a collaborare strettamente.

Heilbrunn: Come valuta le prospettive del dialogo strategico Russia-USA?

Antonov: Negli ultimi dieci anni si sono accumulati una miriade di problemi nel controllo degli armamenti e nella stabilità strategica. Indipendentemente dalla congiuntura politica, sono necessari complessi negoziati bilaterali per risolverli.

Il problema del superamento della crisi in questo settore è stato uno dei temi chiave del primo incontro russo-statunitense del 28 luglio a Ginevra. I rappresentanti dei due paesi hanno scambiato le loro percezioni sulla direzione in cui è necessario muoversi per ridurre i rischi strategici. Nonostante le notevoli differenze negli approcci a molte questioni, entrambe le parti hanno dimostrato la loro volontà di impegnarsi in un dialogo regolare e costruttivo e di cercare un terreno comune. È sicuramente un segnale positivo. Tuttavia, siamo solo all’inizio di una lunga strada. Il difficile compito che ci attende è ripristinare la fiducia in questo ambito.

Vorrei sottolineare che la parte russa è aperta alla discussione di qualsiasi questione relativa al controllo degli armamenti. Non ci sono argomenti tabù per il nostro Paese. Siamo pronti a considerare le preoccupazioni degli Stati Uniti per quanto riguarda i nuovi sistemi strategici della Russia.

Tuttavia, tale conversazione non dovrebbe essere una strada a senso unico. È necessario che anche le controparti statunitensi prestino ascolto alle nostre affermazioni e tengano conto degli interessi di sicurezza nazionale della Russia. Il dialogo non può essere fruttuoso senza un equo scambio di opinioni.

Heilbrunn : Lei è tornato a Washington dopo il vertice di Ginevra di un mese fa e il suo omologo statunitense John Sullivan è tornato a Mosca. Ha qualcosa di positivo da riferire, in particolare sulla controversa questione del lavoro delle ambasciate nelle due capitali? Ci sono nuovi sviluppi sullo stato dei consolati degli Stati Uniti e della Russia che sono stati chiusi negli ultimi anni?

Antonov: Purtroppo la situazione non cambia in meglio. Le missioni diplomatiche russe negli Stati Uniti sono ancora costrette a lavorare sotto restrizioni senza precedenti che non solo rimangono in vigore, ma vengono intensificate. Al di là delle dichiarazioni dell’amministrazione Biden sull’importante ruolo della diplomazia e sulla volontà di sviluppare relazioni stabili e prevedibili con il nostro Paese, la presenza diplomatica russa subisce continui scioperi.

I colleghi statunitensi diventano persistenti e creativi in ​​questo business. Le espulsioni dei diplomatici vengono attuate di tanto in tanto con pretesti inverosimili. Lo scorso dicembre il Dipartimento di Stato ha stabilito unilateralmente un limite di tre anni al periodo di assegnazione del personale russo negli Stati Uniti che, per quanto ne sappiamo, non viene applicato a nessun altro Paese. Inoltre, abbiamo ricevuto un elenco di ventiquattro diplomatici che dovrebbero lasciare il paese prima del 3 settembre 2021. Quasi tutti partiranno senza rimpiazzi perché Washington ha improvvisamente inasprito le procedure di rilascio dei visti.

Si è arrivati ​​al punto in cui le autorità statunitensi annullano i visti validi di coniugi e figli del nostro personale senza fornire alcuna motivazione. I diffusi ritardi nel rinnovo dei visti scaduti mirano anche a spingere i lavoratori diplomatici russi fuori dal Paese. Di conseguenza, una sessantina dei miei colleghi (130 insieme ai membri della famiglia) non possono tornare in patria nemmeno in circostanze umanitarie urgenti.

Abbiamo mostrato moderazione per molto tempo, ma dopo un’altra ondata di sanzioni aggressive da parte degli Stati Uniti ad aprile siamo stati obbligati a prendere ulteriori misure per equiparare le condizioni di lavoro per le missioni statunitensi in Russia, compreso il divieto di assumere personale locale. È certo che nessuno beneficia di una situazione del genere. C’è bisogno di soluzioni basate sul principio di parità. Siamo convinti che il modo più semplice e veloce per farlo sia quello di abrogare completamente tutte le misure e contromisure che stanno vincolando l’attività dei diplomatici.

Washington non mostra la disponibilità a prendere una tale decisione mentre cerca di garantire vantaggi unilaterali per la parte americana. Lo stesso vale per le prospettive di ripresa dei lavori dei Consolati Generali della Russia a San Francisco e Seattle che sono stati chiusi per coercizione. Anche l’accesso temporaneo delle squadre di manutenzione ai locali confiscati della proprietà diplomatica russa è ancora negato, il che porta a un ulteriore deterioramento delle condizioni lì.

Ci auguriamo che prevalga il buon senso e che saremo in grado di normalizzare la vita dei diplomatici russi e americani negli Stati Uniti e in Russia sul principio della reciprocità. I nostri presidenti hanno concordato a Ginevra di continuare le consultazioni tra il Ministero degli affari esteri della Russia e il Dipartimento di Stato al fine di risolvere questo problema.

Heilbrunn : Una questione che ha destato preoccupazione negli ultimi anni è la questione dell’accesso ad alto livello per i diplomatici russi e americani a Washington e Mosca? Credi di avere un accesso adeguato ora? È migliorato? Ci sono gravi delusioni?

Antonov: Dopo essere tornato a Washington all’indomani del vertice di Ginevra, ho avuto l’opportunità di incontrare alcuni alti funzionari dell’amministrazione. Tuttavia, questi incontri sono stati per lo più incidenti isolati. Secondo la prassi diplomatica, sono state inviate decine di richieste per effettuare “visite di cortesia” dell’ambasciatore russo ai vertici delle principali autorità americane di nuova nomina. La stragrande maggioranza di loro è stata negata o ignorata.

A volte non riusciamo a organizzare conversazioni di alto livello, anche quando abbiamo bisogno di trasmettere determinati segnali per conto di Mosca.

La situazione con i contatti a Capitol Hill è ancora deprimente. Tutte le mie richieste di riunione indirizzate ai capi dei partiti, alle fazioni di entrambe le camere del Congresso, nonché alle commissioni per gli affari esteri, sono apparentemente andate nel vuoto. Rimangono semplicemente senza risposta. Allo stesso tempo, il Dipartimento di Stato alza le spalle e afferma di non poter fornire alcuna assistenza a causa della “separazione dei poteri”.

Heilbrunn : Nel 2017 c’è stato un vertice tra l’ex presidente Donald Trump e il presidente Putin a Helsinki. Mentre l’incontro stesso è stato molto controverso, c’erano anche grandi aspettative che le relazioni tra Washington e Mosca potessero migliorare. Meno controverso si è rivelato l’incontro tra Biden e Putin a Ginevra. Vedete un nuovo slancio o più affari come al solito?

Antonov: È troppo presto per esprimere giudizi al riguardo. A questo punto, possiamo valutare positivamente l’accordo tra i due presidenti per ripristinare un dialogo professionale e di sistema su temi chiave di reciproco interesse. Questi includono le questioni già menzionate: stabilità strategica, sicurezza informatica e funzionamento delle missioni diplomatiche.

Hai ragione sul fatto che, come abbiamo visto in precedenza, l’impulso positivo dei nostri leader è annegato nei corridoi della burocrazia statunitense ed è stato condannato all’inutilità. Speriamo che le relazioni Russia-USA non siano più una moneta simbolica nella rivalità politica interna degli Stati Uniti. Il loro miglioramento serve interessi di sicurezza cruciali della Russia, degli Stati Uniti e del mondo intero. Ci vorrà tempo e sforzi da entrambe le parti. E siamo pronti per tale lavoro.

https://nationalinterest.org/feature/interview-russian-ambassador-anatoly-antonov-%E2%80%9Cwe-have-fight-lies-and-fake-news-virtually?page=0%2C1

 

SFERA DEL MONDO E DELL’IMMAGINE DI MONDO, di Pierluigi Fagan

SFERA DEL MONDO E DELL’IMMAGINE DI MONDO. Partiamo da una ipotesi sulla realtà. Come si vede nel grafico, all’11 luglio, il Governo italiano si trova al vertice basso delle richieste di vaccinazione da parte della popolazione. Il dato è riferito a “prima dose” poiché se hai fatto la prima va da sé che -più o meno- farai la seconda. E’ già da qualche giorno che ti trovi lungo questa linea discendente, è da metà Giugno che quella linea scende. Questa situazione, come dinamica, è simile -più o meno- presso tutti i paesi occidentali. Si può inferire che liberatasi la possibilità vaccinazione in primavera, una marea di “early adopter” (coloro che adottano un atteggiamento per primi) ha subito usato la possibilità. Ma questa massa relativa non è la totalità e quindi ad un certo punto declina e si esaurisce. Più o meno ti trovi con un 50-55% di persone con prima o già seconda dose. Ma il tuo obiettivo, poiché questa è la strategia scelta nei paesi occidentali, è arrivare ad una massa vaccinati da 70% o meglio sarebbe perché così dice la strategia, all’80%. Lì la strategia dice che per ragioni statistiche, anche se non tutto l’universo (la totalità delle persone) è vaccinato, in pratica la vita può riprendere normalmente dove per normalmente s’intende il ripristino delle forme e dinamiche di vita associata precedenti l’inizio della pandemia. Con un brutto nome, la chiamano “immunità di gregge”.
Tu sei in estate e si sa che la vita normale in estate ha dinamiche tutte sue. Il tuo obiettivo è arrivare all’immunità di gregge, sperabilmente all’80% a fine settembre come da precoce annuncio del General Figliuolo, dato -mi sembra- addirittura a marzo. Questo perché la vita normale riprende per convenzione, pienamente, ai primi di ottobre. E questo, anche perché il tuo mandato è ristrutturare il sistema Italia (da cui la riforma della giustizia che dovrebbe ripristinare la certezza del diritto -durata dei processi-, fondamentale per ambienti in cui si vogliono attrarre “investimenti”), stante che preventivamente devi portarlo fuori dall’impiccio Covid. Anche perché ti stanno dando, più o meno sulla fiducia, un pacchetto di miliardi dall’Europa, la cui corretta spendibilità (che dovrà convincere i tuoi arcigni critici tedeschi, olandesi, finlandesi et varia) verrà valutata con metro economico, ovvero in base a quanta crescita produrrà. Se non si ripristina la “normalità” scordati la crescita, ovvio.
Non pertinente qui discutere se la tua strategia, che abbiamo visto è concordata a livello di G7, è giusta o sbagliata. Siamo qui, solo, a cercar di capire come va il mondo e in parallelo come va la sua immagine riflessa in vari tipi di mentalità. E del resto è proprio dalla comune immagine di mondo economicista da G7 il pensare che per ogni problema complesso esiste sempre una soluzione semplice. Che è sbagliata. Quindi, com’è nella logica economicista “one-size-fit-all”, tempeste epidemiche di virus mutanti da una parte? Vaccini mutanti (come le annate dei vini) dall’altra, in una sorta di Achille e la tartaruga che non arrivano mai ad appaiarsi. Del resto a capo del G7 c’è un tizio che presiede il paese che ha il monopolio della produzione occidentale di vaccini (assieme al fido scudiero britannico), quindi si fa così, allineati e coperti ed anzi pur con ritocchino del prezzo, un bel +25% circa, la salute costa. Il tempo è poco le chiacchiere stanno a zero, mica stai sui social, tu.
Ti trovi quindi con due mesi davanti per arrivare a 80 e stai a 55 circa, che fai? In quei giorni, il presidente del paese vicino che ha un suo rilievo in ambito europeo e che ti ha anche un po’ aiutato ad avere quegli agognati miliardi che molti non volevano darti, la mette giù dura. Il tipo pensa di prender il passaporto vaccinale sdoganato in Europa per facilitare i transiti interni (arriva l’estate e capisci che Spagna, Italia, Grecia ma anche molti altri, se il turismo ha una seconda botta, muore e con esso posti di lavoro, Pil e quant’altro) ed usarlo internamente. Pensiero forse derivato da una teoria economica che valse addirittura il Nobel nel 2017 (dalle parti degli economisti si dà il Nobel per ragioni spesso surreali, ma del resto non è un vero Nobel ma un premio istituita dalla Banca di Svezia) al suo autore, un certo Tahler. Si chiama “nudge” ovvero “spintarella”. Che male può fare una “spintarella” spesso definita anche spintarella “gentile”?
Ma quello che per un economista è una “spintarella gentile”, per uno psicologo o un sociologo o un giurista o un politologo, non è gentile per niente. In effetti, non lo è neanche per parte della tua popolazione che infatti, in Francia, scende in piazza indignata. Come ti permetti di creare diseguaglianza oltre quelle che ci sono già in abbondanza? Tu sei un banchiere centrale, neanche un economista, infatti ti sei circondato di una pletora di economisti e gli economisti, si sa, di psicologia, sociologia, politica, giurisprudenza ed affini, nulla sanno. Non sanno ma non sanno neanche di non sapere. Proprio perché non sanno, pongono assurde dogmatiche a capo di catene inferenziali, poi con abuso di linguaggio matematico, dimostrano che il dogma era giusto. Sarebbe ragionamento circolare, ma non sapendo di non sapere, non sanno neanche quanto nuoce la misconoscenza della logica di base. Per loro la matematica è tutta la logica da conoscere, quindi non c’è problema. Per cui, decidi di fare come Macron, ma con più gentilezza ulteriore. Limitiamo l’utilizzo ad incentivo negativo del Green pass ad alcune situazioni limitate, poi vediamo. Infatti, da quando annunci di voler fare il decreto sul Green pass, al quando lo fai, la curva di richieste di vaccinazione riprende! Magia del “nudge”!
Funziona, un po’, ma ha affetti collaterali. Una parte della popolazione non la prende bene. Difficile dire chi sono, ognuno di loro pensa che tutti gli altri sono lì ad indignarsi in piazza per il suo stesso motivo, con la sua stessa ragione. Ma non è così. Ci sono No-Vax radicali, addirittura negazionisti della prima ora, antiscientisti ed antiscienza, naturopati, ex trumpiani, libertari anti-liberisti, esperti di diritto, filosofi politici, truppe salviniane e meloniane in astinenza da “azione politica” ora che l’uno è al governo e l’altra fa finta di fargli opposizione, ma “gentile” anche quella. Ma anche anticapitalisti smarriti, erotomani del conflitto sociale non importa su cosa, democratici di principio giustamente preoccupati per l’abuso di “stato eccezionale”, allarmati preventivi ipersensibili al concetto di “capitalismo della sorveglianza”. Non hanno davvero letto la Zuboff, se avessero letto la Zuboff da mo’ che sarebbero scesi in piazza per la ben più legittima indignazione e paura verso il vero “capitalismo della sorveglianza” digitale. Ma la gente va a titoli, slogan, non legge, anche per loro ogni problema complesso ha una soluzione semplice e sbagliata. Così si organizzano per la rivolta contro il temuto (e temibile) “capitalismo della sorveglianza”, utilizzando i social ed Internet ovvero i dispositivi del capitalismo della sorveglianza. Non però quello vero, quello versione “dittatura sanitaria”, variante Delta del Panopticon nata su Internet. La descrizione sintetica data non copre tutto l’universo che per altro è per lo più fatto di semplici “indecisi” che tra il trambusto social e il perdurante delirio degli esperti televisivi, con aggiunta di “un mio amico medico mi ha detto” et varia, passano facile dall’indecisione allo smarrimento.
Peccato che quelli bravi, i veri capitalisti della sorveglianza che gli psicologi, i sociologi, gli esperti di diritto, gli statistici e financo i filosofi o quantomeno i teorici avveduti, li usano e da tempo, non si sono minimante sognati di fare una cosa così stupida come imporre il certificato di vaccinazione a popolazioni incerte ed indecise. Hanno usato il “nudge”, versione incentivo positivo, il sale della strategia di ogni marketing, il “push and pull” lo spingerti ma attraendoti. Ecco allora che scopriamo che mentre Draghi e Macron sono gli architetti della dittatura sanitaria con baffetti hitleriani di rigore, negli USA regalano canne di marjuana ai riottosi o i pigri della vaccinazione, target giovani s’intende. Birre e cibo per i bovari dell’entroterra americano. Biglietti per eventi sportivi o per lotterie fantastiche la cui vincita di cambierà la vita. Fino addirittura a pagarti: 100 euro per puntura! “Sorvegliare e punire” per gli italiani diventa “incentivare e premiare” per gli americani, strano no? Seguono uova gratis per i cinesi, polli per gli indiani (o sconti fiscali? ognuno ha il suo incentivo, si chiama “segmentazione”), giorni di vacanza retribuita ad Hong Kong, app di dating o Uber o Deliveroo in UK, pizza e birra in Israele, sconti ristorante nei EAU. Insomma, gli unici a cadere nella trappola dell’incentivo negativo e repressivo, digiuni di ogni minima norma di buonsenso per altro da sociologia liberale, sembrano esser stati francesi ed italiani. Gli uni con un tizio selezionato da banchieri, gli altri direttamente con a capo un banchiere. Un po’ poco per gridare alla dittatura sanitaria, visto poi che gli occhiuti dittatori si fanno pure rubare le banche dati da gruppetti di hacker della domenica rivelando tutta la loro sterminata incompetenza.
Insomma, ad 80% manca ancora poco meno di un 20%. La partita si gioca al centro (come sempre), tra gli indecisi. Nei prossimi due mesi, cederanno e si vaccineranno riportando l’Italia nella “normalità” o saranno catturati dal nucleo irriducibile degli scettici-contrari mossa da plurali istanze di cui molte confuse? Cosa sperare? Il ritorno alla normalità del consumo senza pensieri o l’irrigidirsi delle posizioni con scontro sociale che potrebbe realizzare l’incubo della “dittatura” (si fa per dire …) per cause di forza maggiore (con i prestiti EU non si scherza) a cui Sorgi ha dato voce paradossale, ma poi neanche tanto?
Secondo me il problema è un altro ed è più grave. Il mondo dei fatti va da una parte, il mondo delle immagini di mondo da un altro. Questo non è mai un bene ed ognun dovrebbe interrogarsi sul contributo che porta a questa dissociazione foriera di una certezza: il fallimento adattivo. Vale oggi per la pandemia, domani per la lunga sequenza di accidenti tutti giù ampiamente previsti, come del resto lo era la stessa pandemia.

Gagliano Giuseppe. Anarchici e spie nell’ottocento in Italia

Gagliano Giuseppe. Anarchici e spie nell’ottocento in Italia

Il saggio dello storico italiano Piero Brunello intitolato “Storie di anarchici e di spie“ (Donzelli editore, 2009) non è solo utile per comprendere il modus operandi delle prefetture delle questure nel controllare i circoli socialisti e anarchici italiani dell’ottocento, ma è soprattutto utile per comprendere l’esistenza di una indiscutibile continuità tra le modalità operative della polizia politica ottocentesca ,quella del regime fascista ma soprattutto del regime repubblicano.Vediamo sinteticamente quali sono questi aspetti di continuità. In primo luogo le questure e le prefetture hanno sempre avuto a loro disposizione fondi riservati per i confidenti e gli infiltrati; in secondo luogo allo scopo di controllare l’attendibilità delle informazioni fornite dai loro confidenti, sovente sia le questure che le prefetture ,infiltravano nelle stesse organizzazioni più di un confidente all’insaputa l’uno dell’altro per avere un credibile controllo incrociato delle attendibilità delle informazioni fornite.In terzo luogo la loro attività era abbastanza ampia e capillare da consentirgli un monitoraggio sistematico dell’attività politiche e pubblicistiche dei circoli socialisti anarchici italiani. In quarto luogo esistevano spesso servizi di sicurezza per così dire autonomi e come fare ad esempio posto in essere da Giuseppe Basso vice console italiano a Ginevra che naturalmente era strettamente collegato al ministero degli interni. In quinto luogo ,attraverso una sorveglianza perlopiù inavvertita, venivano prodotte segnalazioni, fotografie, rapporti, prospetti, schede, bollettini, registri, fascicoli e archivi.Lo scopo quindi era osservare, prevenire, reprimere e scoprire.Solo in un secondo momento reprimere attraverso i canali ufficiali delle procure.Questa attività di sorveglianza era possibile anche grazie al fatto che gli ispettori ma anche i carabinieri tenevano d’occhio le osterie, i bassifondi, i luoghi di assembramento e di ritrovo popolare.Naturalmente uno dei pericoli maggiori era l’esistenza di informatori bugiardi, doppio o triplo giochisti ma soprattutto millantatori e fanfaroni.Come osserva puntualmente lo storico italiano ,tra il 1880 e il 1881 ,la presenza di Giovanni Bolis alla direzione dei servizi di pubblica sicurezza costituirà una svolta importante perché verrà istituito un ufficio politico che segna una fase importante nella organizzazione della polizia in Italia.Grazie a lui infatti verrà istituito un registro biografico delle persone sospette e le questure incominceranno a usare le foto segnaletiche e ad assumere agenti in borghese organizzando un servizio di polizia internazionale in collaborazione con il ministro degli affari esteri. Quando sorgerà l’Ovra questa trovò a sua disposizione già sistemi di sorveglianza ben collaudati, procedure di schedatura efficienti, metodi di archiviazione, strumenti preventivi e repressivi insomma una routine burocratica già ampiamente rodata durante gli anni dell’unità d’Italia.Sia durante il regime monarchico italiano che durante il regime fascista la polizia italiana spiava, faceva spiare, raccoglieva voci e pettegolezzi in modo sistematico, quotidianamente, pagando informatori e confidenti e distribuendo fondi segreti .Insomma vi erano spie al servizio di ispettori, di questori, di prefetti e di consoli.Ma tutto ciò era possibile anche grazie alla collaborazione del direttore postale in Italia che inviava la corrispondenza su richiesta della polizia. Tuttavia buona parte di questa attività posta in essere dalla polizia italiana era, seppure nelle sue linee generali, speculare a quella attuata dalla Repubblica di Venezia durante il 500 a dimostrazione del fatto che, sul piano storico, esiste una secolare continuità nel modo di procedere da parte delle istituzioni politiche nei confronti degli avversari reali o potenziali. Un altro aspetto, certamente rilevante, era la capacità attraverso confidenti o informatori di fomentare i contrasti o le rivalità interne allo scopo di indebolire sul piano politico i movimenti considerati sovversivi. I pagamenti agli informatori e ai confidenti erano diversamente modulati a seconda della qualità dell’informazione . Un altro aspetto importante è l’impunità e la segretezza di cui dovevano necessariamente godere i confidenti. Ma vi erano certamente altre regole ben individuate dall’autore a pagina 131 e fra queste le cosiddette 10 regole come le chiama l’autore del saggio.Vediamone alcune: le istituzioni dello Stato tendono ad assicurare l’impunità del confidente, le singole notizie viaggiano in via gerarchica dal basso verso l’alto, il confidente migliore è quello che non sa di esserlo, un buon ispettore di polizia è innanzitutto un buon archivista e infine un individuo è un confidente per un ispettore di polizia ma può essere un rivoluzionario per tutti gli altri Ispettori.

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