HOMO COGNITIVUM, di Pierluigi Fagan

(Revisioni e rifondazioni di paleoantropologia). L’immagine di mondo, che comprende una nostra immagine di uomo, è un tutto coerente. Ogni epoca ha la sua IDM dominante che è poi quella largamente condivisa in un sistema piramidale che dai primi livelli sociali giunge fino alla massa. Non ricordo chi sostenesse, a ragione, che ogni filosofia generale parte da una esplicita o implicita antropologia, una idea di cos’è l’uomo. L’antropologia profonda ovvero la ricerca sull’intero arco temporale della nostra esistenza di genere prima che di specie, tra 3 e 2,5 milioni di anni, è la cornice che maggiormente influisce sulla risposta.
A metà Settecento Linneo era ancora fuori l’impeto della rivoluzione industriale. Quando dovette catalogare l’intero genere umano entro il generale catalogo dei viventi, la chiamò Homo sapiens. Il genere Homo, il nostro, si caratterizzava specificatamente per la cognizione. Ovviamente Linneo era ignaro della profondità temporale del genere e la sua suddivisione in molte specie, ma gli sembrò chiaro che il concetto di umano fosse la nostra peculiare mentalità.
Lungo tutto l’Ottocento ed il Novecento che ne è la continuazione di seconda modernità, si cominciò ad esplorare la profondità temporale. In pieno impeto della Rivoluzione industriale, prima venne messo nome al lungo periodo del Paleolitico, poi il Neolitico. Qualcuno provò ad inserire un intermedio tra i due, il Mesolitico, ma inizialmente con scarsa fortuna. Qui vanno notate due cose. La prima è che il concetto di questo lungo tempo dell’ominazione, era basato sulle pietre (litico) e loro lavorazione, la seconda è che non si vedeva necessario mettere un intermedio tra il paleo ed il neo perché valeva il concetto di rivoluzione e le rivoluzioni, si sa, sono cambiamenti radicali in breve tempo, a salto.
Quindi non c’era stata alcuna transizione, non era successo nulla di rilevante fino a che l’uomo ad un certo punto s’era messo a inventare strumenti nuovi, prima di pietra poi di metallo ed a coltivare la terra, aveva fatto la sua rivoluzione agricola. Come diceva Marx “l’anatomia della società civile è da cercare nell’economia politica” qui intesa come sussistenza. Lo schema, condiviso dalla mentalità positivistica a matrice nordeuropea ma più significativamente anglosassone (Marx vive, studia e scrive a Londra ai tempi di questa frase che è nella breve illustrazione della c.d. “concezione materialistica della storia” contenuta in “Per la critica …” 1859), quindi anche dalla tradizione liberale, era questo: a) innovazioni tecniche; b) nuovi modi di produzione; c) cambia la forma sociale e poi politica e giuridica della società.
Per questo si configurarono i tre milioni di anni del tempo profondo dell’ominazione seguendo il come scheggiavamo i sassi, fino agli anni ’60 del Novecento dove un archeologo anglosassone ma marxista, confezionò l’idea della “Rivoluzione agricola o neolitica” ovvero nuova società (civile, da civis = città) conseguente nuovi modi di produzione conseguenti innovazioni tecniche. Oggi sappiamo che non ci fu alcuna rivoluzione agricola ma una complessa storia determinata da un nugolo di variabili stesa su più di 10.000 anni prima di arrivare a vivere in città di decine di migliaia di persone.
Questa tradizione di pensiero che è un pensiero d’epoca al di là del fatto che la parte dominante (liberale) ne ha poi tratto giudizi diversi dalla parte critica (marxista), permane nella seconda metà del Novecento su base antropologica dell’homo faber, l’uomo che fa cose. Così paleoantropologi inglesi quando scoprirono quello che ritennero il primo umano gli misero nome Homo habilis ovvero con l’abilità di manipolare sassi per produrre strumenti che cambiarono il suo modo di stare al mondo. In seguito, altri ritrovamenti di Homo poco più recente, vennero definiti Homo ergaster che si può tradurre con “operaio”. Età della pietra, innovazione tecnica, modi di sussistenza, cacciatori ed operai, nuovi tipi di società che ne riflettono le forme, rivoluzioni improvvise ed eccoci qui a celebrare rivoluzioni produttive che secondo alcuni sarebbero arrivate alla versione 4.0.
Già, ma perché l’uomo fa cose che gli altri animali non fanno? E soprattutto, dopo un secolo e mezzo di scavi, affinamento delle tecniche che ci fanno trarre informazioni dai reperti fossili ed interpretazioni, questa impostazione vale ancora? È questa l’essenza umana?
L’essere umano deriva da stadi precedenti di cui eredita il percorso ed il nostro stadio precedente è nelle scimmie antropomorfe bipedi. Oggi troviamo resti di utilizzo della pietra da parte di queste scimmie, alcune sbozzate ovvero lavorate e spesso provenienti da siti di molti chilometri distanti da dove le troviamo ovvero dove erano lavorate prima che usate. In alcuni casi, la loro quantità suggerisce la possibilità che questo lavoro sulle pietre fosse collettivo. Questo ultimo fatto mostra una differenza sostanziale dall’utilizzo di strumenti rispetto gli altri animali. In questo secondo caso lo strumento è trovato o creato (ad esempio pulire un ramo di foglie in modo da farlo diventare una bacchetta da infilare in un termitaio) sul posto, nessuno va in giro diversi chilometri portandosi appresso strumenti da utilizzare alla bisogna, nessuno lo fa con le pietre, nessuno le lavora, nessuno lo fa in gruppo. La sequenza “prendo queste pietre assieme ad altri e le porto lontane all’accampamento per esser lavorate in gruppo in vista di successivo utilizzo” è mentale. Presuppone uno spazio mentale che prefigura l’azione prima di agire, prefigura la cognizione.
Tutto ciò, bipedismo e facoltà cognitive distinguenti sono correlate e compaiono come anche prima di 3 milioni di anni fa a livello di scimmie antropomorfe. Per più di un milione di anni abbiamo sbozzato pietre per ricavarne schegge, per poco più di un altro milione e mezzo di anni lo abbiamo fatto con una tecnica poco più sofisticata di modo da avere due lati taglienti, poi le tecniche hanno avuto una proliferazione più recente (30-40.000 anni fa). Il paradigma litico è confermato? Niente affatto.
In questi due milioni e mezzo di anni abbiamo conquistato definitivamente la posizione eretta e ci siamo messi a camminare invadendo l’intero pianeta dai ghiacci ai deserti, le terre, le acque ed i cieli. La nostra scatola cranica è triplicata in volume e con essa il cervello, si è evoluta la corteccia e la neocorteccia sede delle nostre facoltà mentali e cognitive più sofisticate e propriamente umane. Abbiamo sviluppato una “teoria della mente” che è una facoltà di intellezione sociale.
La retorica narrativa sulla caccia grossa paramilitare è falsa se presa come paradigma, gli ultimi cacciatori-raccoglitori hanno solo il 30% della loro sussistenza dalla caccia che in molti casi è caccia di piccole o medie prede. Il più antico dipinto murale non è francese ma indonesiano e non mostra grandi alci e mammut ma un grasso maiale selvatico.
Prima dell’ultima deglaciazione il mare era 90 metri meno profondo, oggi a nessuno viene in mente di andare a scavare a mare a cento metri di profondità per cercare fossili e tracce di vita umana. Ci sono buone ragioni per ritenere che la gran parte dei gruppi umani abbiano vissuto in prossimità della costa e pescato e frutti di mare hanno avuto un ruolo proteico fondamentale.
Avremo evoluto chissà quanto e come gli strumenti in legno molto più utili, versatili e lavorabili di quelli in pietra, abbiamo trovato lance di legno e strumenti composti di più di 300.000 anni fa, ma trovare legno del tempo profondo è un puro caso visto che per lo più si degrada. Abbiamo noiosissime catalogazioni sulle lavorazioni sapiens delle pietre in Francia, ma nessuno spiega come abbiamo fatto a coprire 80 chilometri di oceano per arrivare in Australia 50.000 anni fa.
Abbiamo poi ristretto la definizione di “sapiens” alla nostra singola specie, ma abbiamo poi scoperto che anche i Neanderthal o forse anche l’Homo heidelbergensis (700.000 – 200.000 a.f.) avevano forme di cognizione superiore ed usavano pigmenti colorati o producevano strumenti composti di parti.
Ci siamo anche raccontati fossimo gli unici a poter comunicare col linguaggio (poiché l’IDM prevede anche “In principio era il Verbo” da Giovanni a Derrida è un attimo) ma oggi sappiamo che anche l’Homo ergaster e l’erectus (1,8 milioni di anni fa) ne avevano facoltà sebbene limitata.
Il nostro apparato di dentizione e di digestione rimane stretto parente degli erbivori ma ci siamo fatti una immagine di barbecue miglior amico dell’uomo, ovviamente previa caccia, laghi di sangue e massacro indiscriminato. Per carità, tutte cose vere e provate ma che non fanno “paradigma”. Ci siamo raccontati di un uomo primitivo hobbesiano ma abbiamo prove provate di super-cooperazione interindividuale e sociale addirittura a livello Neanderthal.
Nel Paleolitico superiore vediamo una improvvisa crescita delle popolazioni nelle unità sociali e nella densità territoriale, ma la variabile demografica ci è ignota nelle descrizioni poiché l’intera immagine di uomo è centrata sull’individuo che inventa cose per produrre cose. In più il registro fossile rimane terribilmente scarso, pieno di buchi riempiti con vere e proprie narrazioni che riflettono solo i principi dell’immagine di mondo e di uomo moderna, stile anglosassone, come anglosassoni sono gran parte degli studiosi del campo.
Non compare nessuna rivoluzione, nessun salto particolare, solo un molto lento crescere di facoltà evolutesi su basi molto antiche ed espressesi in modalità molto più ampie che non la tecnologia litica. Molti nostri cambiamenti sono stati risposte a novità ambientali, ecologiche e climatiche, il nostro cambiamento è stato il risultato di vari tipi di adattamento al cambiamento del mondo e forse la nostra specie emerge come ibridazione tra molte altre.
Siamo le bestie più generaliste del vivente e per questo siamo diventati gli immaturi dominatori del mondo perché non ci siamo mai legati ad “un” modo di essere. E siamo le bestie più generaliste perché il nostro organo adattivo è un grande cervello plastico. Siamo in essenza generalisti ma le nostre forme di conoscenza attuali sono tutte specialistiche. Siamo l’animale cognitivo ma osserviamo solo i frutti delle nostre prassi.
Noi non siamo l’animale che fa, siamo l’animale che pensa prima di fare, come farlo e se farlo. Il nostro posto nel catalogo dell’antropologia profonda è quello di animali cognitivi. Aveva ragione Linneo. La revisione tassonomica dice che noi siamo Homo sapiens da circa 200.000 anni e facciamo parte del genere Homo cognitivum che deriva da Australopithecus habilis. Questo è un paradigma e si sa, è dal cambio di paradigma, a cascata, si produce una diversa immagine di mondo e noi oggi abbiamo disperato bisogno di una nuova immagine di mondo e di uomo.
Fino a che rimarremo intrappolati nell’IDM della Rivoluzione industriale, dell’economicismo positivista, dell’assurda dicotomia tra idea e materia, del fare senza pensare, rimarremo schiavi di un incanto che tra l’altro incanta sempre meno.
[Questa l’ultima scoperta. Erano bipedi, creavano strumenti di pietra, avevano un cervello un terzo più piccolo del nostro ed erano scimmie]

https://www.reuters.com/lifestyle/science/whodunit-mystery-arises-over-trove-prehistoric-kenyan-stone-tools-2023-02-09/?fbclid=IwAR0lvL2IfGm117ITUECxuO7rHq_vwG_QaWXoLGNEGFkqGWE0uuW707kE8vk

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Dal 3D al 5D e non mi riferisco alla cinematografia Di Claudio Martinotti Doria

Esco di casa sempre più raramente. Pur aggirandomi esclusivamente nell’area della riserva indigena provinciale dove risiedo, non ho potuto fare a meno di rilevare che ormai la conformazione sociale dell’ex homo sapiens geneticamente modificato da Big Pharma ha assunto tre connotazioni prevalenti:

–          La specie “faccia a scarpa” versione umana del Balaeniceps rex

–          La specie “occhio di cernia” versione umana del Polyprion americanus

–          La specie “zombie rallentato”, versione simile all’originale romeriano anni ‘60

Evitarli e impossibile. Interagire è difficile. Comunicare è irrilevante.

La celebre asserzione dantesca “fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza” è ormai solo un ricordo sbiadito, agli antipodi con l’attuale realtà dove ormai trionfano i bruti, soprattutto se portano una divisa o un camice e si sentono investiti dai gradi di caporale alla Totò, micropotere col quale poter sfogare la loro meschina frustrazione, nella peggiore delle ipotesi potranno sempre invocare l’attenuante che “stavano eseguendo degli ordini”.

Semmai andrebbe recuperata e valorizzata la premessa dantesca: “considerante la vostra s(c)emenza”

Ma cerchiamo di dettagliare meglio l’elencazione di cui sopra.

I faccia a scarpa versione umana sono in forte diminuzione, ma non a rischio di estinzione come il Balaeniceps rex. Probabilmente il calo è dovuto al fatto che il panico indotto mediaticamente e istituzionalmente sta perdendo efficacia e a portare la maschera o museruola sul viso rimangono solo quelli che già in precedenza la indossavano per motivi psicologici più che sanitari. Per nascondere le loro presunte bruttezze, per celare la loro identità, perché si sentono più a loro agio riducendo la loro timidezza e imbarazzo sociale, perché non prendono più il mal di gola e attribuiscono il merito al feticcio, ecc.. I motivi possono essere un’infinità, ma quello che duole all’osservatore obiettivo è rilevare che la maggioranza sono giovani, gli anziani gradualmente tornano alla normalità, i giovani meno, proprio non vogliono rinunciare a quel capo di abbigliamento.

I secondi in elenco, gli occhi di cernia, sono visibili e riconoscibili solo a distanza ravvicinata, anche se alcune caratteristiche comportamentali consentono di anticipare la loro identificazione. Non portano il feticcio in volto ma è come se lo portassero velato e invisibile sui loro occhi e il loro cervello, sul quale si dovrebbe indagare, magari anche solo con un EEG. Sono spenti nella loro vitalità e socialità, evitano di affrontare qualunque argomento delicato e vitale che possa compromettere il loro precario equilibrio esistenziale e porre in dubbio le loro scelte precedenti, privi di autocritica e capacità analitiche, preferiscono continuare a illudersi piuttosto che riconoscere la cruda realtà e affrontarla. Sono morti dentro, privi di prospettive, sperano sempre e comunque nell’intervento esterno di qualcuno che si occupi di loro e si lasciano trascinare dagli eventi, Probabilmente erano già così prima della modifica genetica subita da Big Pharma, questa loro connotazione si è solo accentuata, esasperata, fino a predisporli per il passaggio successivo, la zombificazione.

I terzi sono ormai completamente zombificati, proprio quelli dei primi film di Romero, sono cioè zombie romeriani, lenti e apparentemente innocui se si evita la distanza ravvicinata. Sono ancora in grado di emettere suoni, più o meno disarticolati, già in precedenza erano analfabeti funzionali gravi ma in qualche occasione riuscivano ancora ad articolare qualche semplice frase di senso compiuto, ora non più, al massimo ripetono a fatica e con qualche errore e omissione, quanto hanno sentito ripetutamente in televisione, qualche slogan propagandistico della narrativa ufficiale. Privi di pensiero autonomo attingono al pensiero unico elementare ultra semplificato e soprattutto duale, tipo buoni e cattivi, democrazia e dittatura, aggressore e aggredito, ecc., ovviamente senza sapere come attribuire in maniera appropriata la dualità ma delegando le istituzioni e i presunti esperti a farlo per loro.

In una simile condizione sociale ormai consolidata e destinata ad aggravarsi, paradossalmente per sapere come stanno realmente le cose occorre leggere alcuni romanzi, saggi, vedere film e serie tv di alcuni anni fa, nei quali trovi tutto quello che è accaduto recentemente e ti spiegano pure come lo avevano preparato da decenni, gli autori lo avevano previsto e anticipato e comunicato come potevano, con la loro arte, l’unica che poteva passare la censura. Gli sprovveduti che ancora guardano la tv pensano che sia solo fiction, e che la tv dei telegiornali riporti la realtà, mentre è il contrario, la fiction riporta i fatti e la tv (informativa e d’intrattenimento) riporta menzogne manipolatorie e mistificatorie e la propaganda (che è menzogna più sofisticata).

Se nel mondo cinematografico si è diffusa la tecnologia 3D mentre la 4D molto più complessa e costosa è limitata soprattutto ai parchi divertimenti, nella realtà che viviamo, da alcuni anni è stata ormai implementata la tecnica degli effetti speciali 5D, solo che molti non se ne sono ancora accorti. Lo scopo delle prima due è di rendere il più realistico possibile quanto si propone come fiction al pubblico pagante, in modo da intensificare le emozioni indotte nello spettatore come fosse coprotagonista del film. Ma il massimo successo, le élite che dominano il pianeta (i burattinai)  lo hanno ottenuto nella realtà stessa tramite le tecniche complesse e multidisciplinari del 5D, ottenendo in brevissimo tempo: Dispotismo, Distopia, Delirio, Demenza, Disimpegno, in quasi tutta la società cosiddetta occidentale e alcune sue colonie in vari continenti, soprattutto nei paesi dove si è accentuata la sperimentazione, Italia in primis, seguita non a caso da alcuni paesi anglofoni, come il Canada, Australia e Nuova Zelanda, oltre a parecchi stati degli USA, controllati dai DEM.

I burattinai avevano pianificato da parecchi anni questi esperimenti e li avevano anche comunicati anticipatamente in vari modi, persino pubblicandoli in alcuni siti d’istituzioni e organizzazioni facenti parte della piramide di potere, ma nell’eccesso di informazione (disinformazione) disponibile la dispersione è inevitabile e solo pochissimi si erano resi conto di quello che stava per accadere o stava accadendo e invano hanno cercato di trasmettere i loro sospetti a quante più persone possibili.

Gli episodi che caratterizzano questo successo del 5D sono molteplici e interconnessi, ma i fenomeni principali ovviamente sono due, che pur dissimili nelle modalità sono simili nella sostanza finalizzata, il primo è stata la psicopandemia e il secondo la guerra in Ucraina, entrambe provocate artatamente dai burattinai dell’élite dominante. Entrambi i fenomeni indotti sono stati gestiti con gli stessi criteri manipolativi seppur con altri complici, ma sempre sfruttando il completo controllo del potere mediatico.

Un piano del genere poteva essere eseguito solo con la partecipazione di centinaia di migliaia di complici a tutti i livelli istituzionali e gerarchici, sia tramite la corruzione, che l’intimidazione, la minaccia, il ricatto, il condizionamento, il mobbing, ecc.. Soprattutto efficace si è come sempre rivelato il divide et impera, la psicologia di massa e di gregge, la propaganda, il marketing, l’ideologia, l’indottrinamento, la narrazione unica mediatica, la menzogna ripetuta all’infinito, la negazione, la censura, ecc.. Tutte tecniche ormai collaudate da tempo immemore, tutte applicate in simultanea.

Il successo è stato tale che i burattini non si sono mai sentiti manipolati neanche per un attimo, finché hanno iniziato nelle loro stesse famiglie e in loro stessi, ad avere problemi gravi la cui correlazione con l’ingerenza di Big Pharma nelle loro vite non poteva essere negata. Se stavano male non era per casualità ma per causalità, e la causa non poteva che essere una. Non occorre essere Sherlock Holmes o Hercule Poirot per scoprire il colpevole. Anche in seguito alle demenziali sanzioni alla Russia vi sono state gravi ripercussioni, in particolare l’aumento dei costi energetici e non ha funzionato a lungo l’attribuzione della responsabilità a Putin, la speculazione era in corso da prima del conflitto. L’inflazione e la disoccupazione e l’indebitamento porteranno le famiglie a esaurire i loro risparmi, che è quanto desiderava l’élite per poterle spogliare dei loro averi e soggiogarle.

Ma c’è un fatto piuttosto rilevante che è sfuggito ai più, soprattutto a quelli che pensavano di trarre vantaggio dall’aver scelto “il carro dei vincitori” (o almeno così credevano), in particolare ai complici, più o meno lautamente remunerati per aver venduto la loro anima: che i burattinai di rango elevato, una volta raggiunto lo scopo, oppure per sottrarsi a ripercussioni impreviste, non esiteranno un attimo a sacrificare i loro complici come capri espiatori, cioè i burattinai di basso rango o i burattini kapò. Questi pagheranno al posto dei loro manovratori che rimarranno quasi tutti impuniti, perché irraggiungibili, perlopiù non identificabili, mentre quelli di basso rango sono tutti facilmente identificabili, ancora vivi nella memoria delle loro vittime.

E pagheranno sia perché subiranno le stesse conseguenze delle loro stesse vittime, perché fidandosi dei loro padroni anche loro sono stati intossicati da Big Pharma, sia perché verranno puniti in un’infinità di modi diversi dalle loro stesse vittime e dalle circostanze che diverranno molto avverse per loro col passare del tempo. Nessuno è esente dal precipitarsi degli eventi.

A differenza degli aguzzini dei campi di concentramento e sterminio nazisti della II Guerra Mondiale, non ci vorranno decenni come avvenne per molti nazisti per essere individuati, processati e puniti. Questa volta i tempi saranno più rapidi e le ripercussioni molto più complesse ed estese, il tempo non lavora a loro favore e non la passeranno liscia, nessuno di loro la farà franca, possono scordarselo.

Mala tempora currunt sed peiora parantur.

 

 

Cav. Dottor Claudio Martinotti Doria, Via Roma 126, 15039 Ozzano Monferrato (AL), Unione delle Cinque Terre del Monferrato,  Italy,

Email: claudio@gc-colibri.com  – Blog: www.cavalieredimonferrato.it – http://www.casalenews.it/patri-259-montisferrati-storie-aleramiche-e-dintorni

Independent researcher, historiographer, critical analyst, blogger on the web since 1996

 

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In che modo un EMP nucleare influenzerebbe la rete elettrica?


[Nota che questo articolo è una trascrizione del video incorporato sopra.]

Nella tarda mattinata del 28 aprile 1958, la nave portaerei USS Boxer si trovava a circa 70 miglia dalla costa dell’atollo di Bikini nell’Oceano Pacifico. L’equipaggio del Boxer si stava preparando a lanciare un pallone ad elio ad alta quota. In effetti, questo sarebbe il 17° pallone ad alta quota lanciato dalla nave. Ma questo era un po’ diverso. Dove quei primi 16 palloni trasportavano alcuni strumenti e carichi utili fittizi, attaccati a questoil pallone era una testata nucleare da 1,7 chilotoni, nome in codice Yucca. La nave, il pallone e la bomba facevano tutti parte dell’operazione Hardtack, una serie di test nucleari condotti dagli Stati Uniti nel 1958. Yucca fu il primo test di un’esplosione nucleare nei limiti superiori dell’atmosfera terrestre. Circa un’ora e mezza dopo che il pallone è stato lanciato, ha raggiunto un’altitudine di 85.000 piedi o circa 26.000 metri. Quando due bombardieri pacificatori B-36 carichi di strumenti hanno fatto il giro dell’area, la testata è stata fatta esplodere.

Naturalmente, il team di ricerca ha raccolto tutti i tipi di dati durante l’esplosione, compresa la velocità dell’onda d’urto, l’effetto sulla pressione atmosferica e l’entità della radiazione nucleare rilasciata. Ma, da due postazioni a terra, stavano anche misurando le onde elettromagnetiche risultanti dall’esplosione. Sin dalle prime esplosioni nucleari si sapeva che le esplosioni generano un impulso elettromagnetico o EMP, principalmente perché continuava a friggere strumenti elettronici. Ma fino a Hardtack, nessuno aveva mai misurato le onde generate da una detonazione nell’alta atmosfera. Ciò che hanno registrato è stato così ben oltre le loro aspettative, che è stato liquidato come un’anomalia per anni.

Non è stato fino a 5 anni dopo che il fisico statunitense Conrad Longmire avrebbe proposto una teoria per gli impulsi elettromagnetici da esplosioni nucleari ad alta quota che è ancora la spiegazione ampiamente accettata del motivo per cui sono ordini di grandezza più forti di quelli generati da esplosioni a terra . Da allora, i nostri timori di una guerra nucleare non includevano solo lo scenario di una testata che colpiva un’area popolata, distruggendo città e creando ricadute nucleari, ma anche la possibilità che una testata esplodesse molto al di sopra delle nostre teste nell’atmosfera superiore, inviando un EMP abbastanza forte a interrompere i dispositivi elettronici e persino togliere la rete elettrica. Come con la maggior parte delle armi, viene classificata la ricerca migliore e più completa sugli EMP. Ma, nel 2019, una coalizione di organizzazioni energetiche ed enti governativi chiamata Electric Power Research Institute (o EPRI) ha finanziato unstudio per cercare di capire esattamente cosa potrebbe accadere alla rete elettrica da un EMP nucleare ad alta quota. Non è l’unico studio nel suo genere, e non è privo di critiche da parte di coloro che pensano che sia ottimista, ma ha i dettagli ingegneristici più succosi di tutte le ricerche che sono riuscito a trovare. E le risposte sono un po’ diverse da come Hollywood vorrebbe far credere. Questo è un riassunto di quel rapporto, ed è il primo di una serie di video approfonditi sulle minacce su larga scala alla rete. Sono Grady, e questa è ingegneria pratica. Nell’episodio di oggi, parliamo dell’impatto di un EMP nucleare sulla nostra infrastruttura energetica.

Una detonazione nucleare è sgradita in quasi tutte le circostanze. Questi eventi sono intrinsecamente pericolosi e la fisica di un’esplosione va ben oltre le nostre intuizioni. Ciò è particolarmente vero nell’atmosfera superiore, dove la detonazione interagisce con il campo magnetico terrestre e la sua atmosfera in modi davvero unici per creare un impulso elettromagnetico. Un EMP ha in realtà tre componenti distinti, tutti formati da diversi meccanismi fisici che possono avere impatti significativamente diversi qui sulla superficie terrestre. La prima parte di un EMP si chiama E1. Questo è l’impulso estremamente veloce e intenso che segue immediatamente la detonazione.

I raggi gamma rilasciati durante qualsiasi detonazione nucleare entrano in collisione con gli elettroni, ionizzando gli atomi e creando un’esplosione di radiazioni elettromagnetiche. Questo è generalmente negativo di per sé, ma quando viene fatto esplodere in alto nell’atmosfera, il campo magnetico terrestre interagisce con quegli elettroni liberi per produrre un impulso elettromagnetico significativamente più forte che se fatto esplodere nell’aria più densa ad altitudini inferiori. L’impulso E1 va e viene in pochi nanosecondi e l’energia è in qualche modo scherzosamente indicata come CC alla luce del giorno, il che significa che è diffusa su una parte enorme dello spettro elettromagnetico.

L’impulso E1 generalmente raggiunge qualsiasi punto all’interno di una linea di vista della detonazione e, per un’esplosione ad alta quota, può coprire un’enorme area di terra. Al culmine del test Yucca, questo è un cerchio con un’area più grande del Texas . Un’arma a 200 chilometri di altitudine potrebbe avere un impatto su una frazione significativa del Nord America. Ma non ovunque all’interno di quel cerchio sperimenta i campi più forti. In generale, più ci si allontana dall’esplosione, minore è l’ampiezza dell’EMP. Ma, a causa del campo magnetico terrestre, l’ampiezza massima si verifica un po’ a sud del punto zero (nell’emisfero settentrionale), creando questo modello chiamato diagramma del sorriso. Ma nessuno sorriderà scoprendo di trovarsi all’interno dell’area colpita da un’esplosione nucleare ad alta quota.

Anche se un’arma come questa non danneggerebbe edifici, creerebbe ricadute nucleari, non sarebbe percepita dagli esseri umani, o probabilmente anche visibile alla maggior parte, quell’impulso E1 può avere un enorme effetto sui dispositivi elettronici. Probabilmente hai familiarità con le antenne che convertono i segnali radio in tensione e corrente all’interno di un conduttore. Bene, per un impulso abbastanza forte diffuso su una vasta gamma di frequenze, praticamente qualsiasi oggetto metallico agirà come un’antenna, convertendo l’impulso in enormi picchi di tensione che possono sopraffare i dispositivi digitali. Inoltre, l’impulso E1 si verifica così rapidamente che persino i dispositivi destinati alla protezione dalle sovratensioni potrebbero non essere efficaci. Naturalmente, con quasi tutto ciò che ha l’elettronica incorporata in questi giorni, questo ha implicazioni di vasta portata. Ma sulla griglia, ci sono davvero solo pochi posti in cui un impulso E1 è una delle maggiori preoccupazioni. Il primo riguarda i sistemi di controllo all’interno delle stesse centrali elettriche. Il secondo riguarda i sistemi di comunicazione utilizzati per monitorare e registrare i dati per assistere gli operatori di rete. Il rapporto EPRI si è concentrato principalmente sul terzo pericolo associato a un impulso E1: i relè di protezione digitale.

La maggior parte delle persone ha visto gli interruttori che proteggono i circuiti in casa. La rete elettrica dispone di apparecchiature simili utilizzate per proteggere le linee di trasmissione e i trasformatori in caso di cortocircuito o guasto. Ma, a differenza degli interruttori di casa tua che fanno sia il rilevamento dei problemi che l’interruzione del circuito tutto in un unico dispositivo, quei ruoli sono separati sulla griglia. La disconnessione fisica di un circuito sotto carico viene eseguita da grandi contattori motorizzati temprati in olio o gas dielettrico per evitare la formazione di archi. E i dispositivi che monitorano la tensione e la corrente per problemi e dicono agli interruttori quando sparare sono chiamati relè. Normalmente si trovano in un piccolo edificio in una sottostazione per proteggerli dalle intemperie. Questo perché la maggior parte dei relè oggigiorno sono apparecchiature digitali piene di circuiti stampati, schermi e microelettronica. E tutti questi componenti sono particolarmente sensibili alle interferenze elettromagnetiche. In effetti, la maggior parte dei paesi ha regole severe sulla forza e la frequenza delle radiazioni elettromagnetiche che puoi imporre alle onde radio, regole che spero di non violare con questo dispositivo.

Questo è un generatore di impulsi che ho comprato su eBay solo per dimostrare gli strani effetti che le radiazioni elettromagnetiche possono avere sull’elettronica. Emette solo un’onda da 50 MHz attraverso questa antenna, e puoi vedere quando lo accendo vicino a questo multimetro economico, ha degli strani effetti. La lettura sul display diventa irregolare e talvolta riesco ad accendere la retroilluminazione. Puoi anche vedere i due diversi tipi di vulnerabilità E1 qui. Un EMP può accoppiarsi ai fili che fungono da input per il dispositivo. E un EMP può irradiare direttamente l’apparecchiatura. In entrambi i casi, questo piccolo dispositivo non era abbastanza forte da causare danni permanenti all’elettronica, ma si spera che aiuti a immaginare cosa sia possibile quando campi ad alta intensità vengono applicati a dispositivi elettronici sensibili.

Il rapporto EPRI ha effettivamente sottoposto i relè digitali a forti EMP per vedere quali sarebbero stati gli effetti. Hanno usato un generatore Marx che è un circuito moltiplicatore di tensione, quindi ho deciso di provarlo io stesso. Un generatore Marx immagazzina elettricità in questi condensatori mentre si caricano in parallelo. Quando vengono attivati, gli spinterometri collegano tutti i condensatori in serie per generare tensioni molto elevate, nel mio caso fino a 80 o 90 kilovolt. Il mio collega ingegnere di YouTube Electroboom ha creato uno di questi sul suo canale se vuoi saperne di più su di loro. Il mio genera una scintilla ad alta tensione quando viene attivato da questo cacciavite. A proposito, non provarlo a casa. Non ho progettato un’antenna per convertire questo impulso ad alta tensione in un EMP, ma ho provato un test di iniezione diretta. Questa cornice digitale economica non aveva alcuna possibilità. Giusto per chiarire, questo non è in alcun modo un test scientifico. È solo una divertente dimostrazione per darti un’idea di cosa potrebbe essere capace un impulso E1.

L’impulso E2 è più lento di E1 perché è generato in modo totalmente diverso, questa volta dall’interazione di raggi gamma e neutroni. Si scopre che un impulso E2 è più o meno paragonabile a un fulmine. Infatti, molti fulmini sono più potenti di quelli che potrebbero essere generati da detonazioni nucleari ad alta quota. Naturalmente, la rete non è del tutto immune ai fulmini, ma usiamo molta tecnologia di protezione contro i fulmini. La maggior parte delle apparecchiature sulla rete è già protetta contro alcuni impulsi ad alta tensione in modo tale che i fulmini di solito non creano molti danni. Quindi, l’impulso E2 non è così minaccioso per la nostra infrastruttura energetica, soprattutto rispetto a E1 ed E3.

Il componente finale di un EMP, chiamato E3, è, ancora una volta, molto diverso dagli altri due. In realtà non è nemmeno un impulso, perché è generato in un modo completamente diverso. Quando si verifica una detonazione nucleare nell’alta atmosfera, il campo magnetico terrestre viene disturbato e distorto. Man mano che l’esplosione si dissipa, il campo magnetico ritorna lentamente al suo stato originale nel corso di pochi minuti. Questo è simile a ciò che accade quando una tempesta geomagnetica sul sole interrompe la gravità terrestre e grandi eventi solari potrebbero potenzialmente rappresentare una minaccia più grande di un EMP nucleare per la rete. In entrambi i casi, è a causa della perturbazione e del movimento del campo magnetico terrestre. Probabilmente sai cosa succede quando sposti un campo magnetico attraverso un conduttore: generi una corrente. Lo chiamiamo accoppiamento, ed è essenzialmente il modo in cui funzionano le antenne. E infatti,

Ad esempio, la radio AM utilizza frequenze fino a 540 kilohertz. Ciò corrisponde a lunghezze d’onda che possono essere superiori a 1800 piedi o 550 metri, grandi onde. Piuttosto che servire come luogo per montare antenne come la radio FM o le torri cellulari, le torri radio AM lo sonol’antenna. L’intera struttura metallica è energizzata! Spesso puoi riconoscere una torre AM guardando in basso perché si trovano in cima a un piccolo isolante ceramico che le separa elettricamente dal suolo. Come puoi immaginare, maggiore è la lunghezza d’onda, più grande deve essere un’antenna per accoppiarsi bene con la radiazione elettromagnetica. E spero che tu veda a cosa sto arrivando. Le linee di trasmissione e distribuzione elettrica spesso si estendono per chilometri, il che le rende il luogo ideale in cui un impulso E3 si accoppia e genera corrente. Ecco perché è un problema.

Lungo tutta la rete usiamo trasformatori per cambiare la tensione dell’elettricità. Sul lato della trasmissione, aumentiamo la tensione per ridurre le perdite nelle linee. E dal lato della distribuzione, abbassiamo nuovamente il voltaggio per renderlo più sicuro da usare per i clienti nelle loro case ed edifici. Quei trasformatori funzionano utilizzando campi elettromagnetici. Una bobina di filo genera un campo magnetico che passa attraverso un nucleo per indurre la corrente a fluire attraverso una bobina adiacente. In effetti, il motivo principale per cui utilizziamo la corrente alternata sulla rete è perché ci consente di utilizzare questi dispositivi davvero semplici per aumentare o diminuire la tensione. Ma i trasformatori hanno un limite.

Fino a un certo punto, la maggior parte dei materiali utilizzati per i nuclei dei trasformatori ha una relazione lineare tra la quantità di corrente che scorre e l’intensità del campo magnetico risultante. Ma questa relazione si interrompe al punto di saturazione, oltre il quale la corrente aggiuntiva non creerà molto ulteriore magnetismo per guidare la corrente sull’avvolgimento secondario. Un impulso E3 può indurre un flusso di corrente approssimativamente CC attraverso le linee di trasmissione. Quindi hai DC sopra AC, che crea un bias nell’onda sinusoidale. Se c’è troppa corrente CC, il nucleo del trasformatore potrebbe saturarsi quando la corrente si muove in una direzione ma non nell’altra, distorcendo la forma d’onda di uscita. Ciò può portare a punti caldi nel nucleo del trasformatore, danni ai dispositivi collegati alla rete che si aspettano un piacevole schema di tensione sinusoidale e molte altre cose strane.

Quindi quali sono le implicazioni di tutto questo? Per l’impulso E1 che danneggia alcuni relè, probabilmente non è un grosso problema. Ci sono spesso percorsi ridondanti per il flusso di corrente nel sistema di trasmissione. Ecco perché si chiama griglia. Ma maggiore è il numero di apparecchiature che vanno offline e maggiore è lo stress sulle linee rimanenti, maggiore è la probabilità di un guasto a cascata o di un collasso totale. L’EPRI ha effettuato test simulando una bomba da un megaton fatta esplodere a 200 chilometri di altitudine. Hanno stimato che circa il 5% delle linee di trasmissione potrebbe avere un relè che viene danneggiato o interrotto dall’EMP risultante. Questo da solo probabilmente non è sufficiente per causare un blackout su larga scala della rete elettrica, ma non dimenticare l’E3. L’EPRI ha scoperto che la terza parte di un EMP potrebbe portare a blackout regionali che coinvolgono più stati a causa della saturazione del nucleo del trasformatore e degli squilibri tra domanda e offerta di elettricità. La loro modellazione non ha portato a danni diffusi ai trasformatori effettivi, e questa è una buona cosa perché i trasformatori di potenza sono dispositivi grandi e costosi che sono difficili da sostituire e la maggior parte delle utility non tiene molti ricambi in giro. Detto questo, il loro rapporto non è privo di critiche e molti credono che un EMP potrebbe causare molti più danni alle infrastrutture elettriche. e la maggior parte delle utility non tiene molti ricambi in giro. Detto questo, il loro rapporto non è privo di critiche e molti credono che un EMP potrebbe causare molti più danni alle infrastrutture elettriche. e la maggior parte delle utility non tiene molti ricambi in giro. Detto questo, il loro rapporto non è privo di critiche e molti credono che un EMP potrebbe causare molti più danni alle infrastrutture elettriche.
Quando si combinano gli effetti dell’impulso E1 e dell’impulso E3, non è difficile immaginare come la rete possa essere seriamente disabilitata. È anche facile vedere come, anche se i danni reali alle apparecchiature non sono così significativi, la natura diffusa di un EMP, oltre ai suoi potenziali impatti su altri sistemi come computer e telecomunicazioni, ha il potenziale per frustrare il processo di recupero delle cose. in linea. Un blackout di più giorni, più settimane o persino più mesi non è fuori questione nello scenario peggiore. Probabilmente non causerà un ritorno in stile hollywoodiano all’età della pietra per l’umanità, ma è certamente in grado di causare un grave sconvolgimento nella nostra vita quotidiana . Esploreremo cosa significa in un video futuro.

https://practical.engineering/blog/2022/11/7/how-would-a-nuclear-emp-affect-the-power-grid

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Andrà tutto bene, di Andrea Zhok

Personalmente credo che la regola da adottare verso circenses lobotomici come il cosiddetto “festival della canzone italiana” sia tacerne. Anche parlarne male, nel meccanismo mediatico odierno, significa farlo diventare qualcosa di significativo.
Ma posto che il fuoco di artiglieria su questa grande operazione di distrazione e indottrinamento è comunque massivo, forse ci possiamo permettere una considerazione di cornice, che non nobiliti nessuno dei penosi dettagli della kermesse citandoli.
La prima osservazione da fare riguarda un meccanismo mentale, invalso a partire dagli anni ’80 con l’ingresso nelle vite degli italiani della televisione commerciale. Chiamiamolo l’argomento del “populismo delle élite”. Questo argomento scatta in presenza di critiche e contumelie espresse verso questi circenses, denunciandole come manifestazioni di elitarismo, lontane dal sentire del popolo.
È da quando ho memoria che sento usare questo argomento a molla, per cui se auspichi che qualcuno legga un classico della letteratura piuttosto che la finta autobiografia di un calciatore di successo, che ascolti buona musica invece di spazzatura commerciale, che apprezzi la differenza tra cinematografia di qualità (o, dio non voglia, buon teatro di prosa) rispetto all’ultimo video autopromozionale dell’influencer di turno, se fai questo gesto ti vedi rinfacciare di essere elitista, di non essere in sintonia con il gusto popolare, ecc.
Ed è così che, anno dopo anno, iterazione dopo iterazione di questa scemenza, si è arrivati al fondo del barile, iniziando gaiamente a scavare. Per rendere l’idea, nel mio anno di nascita (1967) il film per ragazzi campione di incassi era “Il libro della giungla” (Disney), oggi è “Me contro Te”.
Il problema dell’argomento del “populismo delle élite” è che è una falsità esiziale che si nutre di un fraintendimento.
Il fraintendimento è che si fa credere che tenere alti i criteri di qualità significhi prediligere dei generi “alti” rispetto ad altri generi. Ma questo è un modo di calciare la palla in tribuna. Non ha senso contrapporre, chessoio, la musica classica al rock, il teatro al cinema, la letteratura entrata nelle antologie a quella contemporanea, ecc. È del tutto ovvio che si trova alta e bassa qualità trasversalmente ad ogni genere, (oddio, per la Trap rimane un’ipotesi da dimostrare, ma diciamo in generale.)
C’è della “musica seria” contemporanea che è solo boriosa trasposizione in pubblico di un’officina di sperimentazione autoreferenziale che ha bisogno dei sottotitoli per significare alcunché, e c’è musica pop che ha prodotto capolavori.
La falsità (e nocività) in questo argomento sta nel fatto che il “gusto popolare” non è una realtà fissa e intrinsecamente scadente. La letteratura popolare ha creato miti profondi e leggende eterne, la musica popolare ha prodotto danze, canti e cori straordinari, una miniera tutt’oggi saccheggiata per estrarre cellule armoniche, melodiche e ritmiche. Il gusto popolare non è una realtà stabile: cresce o decresce, matura o degenera. E la prima forma per qualificare, educare, far maturare le qualità cognitive e la sensibilità pubblica è esporre le persone ad opere di qualità. (Ed ora, per piacere, risparmiatemi gli zebedei dai colpi di “e-chi-lo-dice-che-quella-è-qualità-è-qualità-per-te-non-per-me-il mio-idolo-è-bombolo”).
La scelta di cercare e proporre il livello più basso possibile ponendolo come “naturalmente popolare” è una scelta specifica, una scelta di politica culturale che produce una sistematica degenerazione delle anime. L’abbrutimento del mondo è in effetti la prima condizione per far accettare alla gente tutto il resto: l’arte e la letteratura di qualità consentono alle persone di esplorare modi di sentire e di vedere più perspicui, di percepire la possibilità di forme di vita superiori. Ma guai a lasciar vedere agli schiavi che lavorano nelle viscere della terra la luce del sole, perché potrebbero non voler più rientrare nel fango e nelle tenebre.
La cosiddetta “cultura popolare” odierna non è affatto popolare, non ha niente di spontaneo e non ha nulla a che vedere con una produzione “dal basso”. Si tratta di produzione industriale seriale, fatta cadere dall’alto da multinazionali dell’intrattenimento, che simultaneamente costruiscono personaggetti spendibili nelle proprie “pubblicità progresso”, personaggi su cui gli schiavi possono proiettarsi e trovare conferma che sono “nel posto giusto” e, soprattutto, che “non vi sono alternative”.
Le linee direttive di fondo che guidano l’intrattenimento per il bestiame di riferimento sono tre: bisogna comunicare che “è tutto a posto così com’è”, bisogna garantire che “ci stiamo già prendendo cura dei più alti ideali”, e bisogna far balenare l’idea che “c’è spazio per la spontaneità e per la massima libertà”.
Per fare qualche esempio con riferimenti puramente casuali a cose e persone. Monologhi piacioni da parte di qualche giullare di regime che spiegano la bellezza di una costituzione che viene straziata tre volte al dì nelle forme più spudorate servono a comunicare l’idea che “è tutto a posto” e che “abbiamo a cuore i più alti ideali”. In un paese che ha massacrato senza ritegno il diritto al lavoro, il diritto alla salute, la libertà di insegnamento, la libertà di parola, la libertà di stampa, la libertà terapeutica e che chiama le guerre cui partecipa incostituzionalmente da decenni “azioni di pace”, è necessario che qualcuno metta in campo di quando in quando una sviolinata falsa come Giuda sulla “Costituzione più bella del mondo”.
Similmente il florilegio di libertà in scatola, di trasgressioncelle a cottimo in cui si esibiscono “artisti” fatti a macchina è il modo in cui si rassicura il gregge intorno all’esistenza di spazi di spontaneità e di tolleranza. C’è quello che per l’ennesima volta, stancamente, spacca una chitarra, quello che si presenta in reggicalze, quella che recita in finto nudo, ecc. ecc. infinite spossate ripetizioni di simulacri di libertà, conformismo dell’anticonformismo.
L’intrattenimento è da almeno mezzo secolo – lo notava già Günther Anders – la forma primaria di indottrinamento e conformazione. Da tempo si sa che l’indottrinamento attraverso l’asserzione diretta produce resistenza. Invece l’intrattenimento produce i suoi effetti scivolando negli interstizi dell’attenzione, nella forma dell’implicito, dello sfondo, del collaterale.
L’odierno intrattenimento è un’operazione non semplicemente di rincoglionimento (è anche questo naturalmente), ma soprattutto è un’operazione sistematica di castrazione mentale. L’intero spettro dei luoghi dove si può e si deve “lottare” viene spostato in aree protette, innocue per chi detiene il potere, dove la plebe dedica gli ultimi ritagli di mente, tra una corvè e l’altra, alla rivendicazione di diritti sott’olio e libertà sponsorizzate.

https://sfero.me/article/andra-tutto-bene-1675946057027?fbclid=IwAR0u7G57IHj_oW6zSDx4uTX_EGfX5o7YkmIkwiDoHtqcCs_-5kqdZux3vKE

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RAGION DI STATO E RAZIONALISMO GIURIDICO, di Teodoro Klitsche de la Grange

NOTA

Questo breve saggio era stato pubblicato sul n. 3/2001 di “Palomar”. Lo
si propone perché presenta spunti d’attualità.

Teodoro Katte Klitsche de la Grange

RAGION DI STATO E RAZIONALISMO GIURIDICO

  1. Malgrado le vicende del secolo scorso, in particolare le guerre mondiali e i regimi totalitari poterebbero contraddirlo, è un fatto che l’idea di Stato e la realizzazione della stessa è un’opera, a un tempo, in larga misura della ragione e del razionalismo (politico e giuridico) dell’età moderna.

Non a caso, appena nato lo Stato, per definire a un tempo il criterio di azione di questo e del Principe, si usò l’espressione “Ragion di Stato”; ma non è men vero che se essa individua il dovere e la “bussola” del governante (e in larga misura l’ambito, anche giuridico, dei poteri del medesimo) quello moderno è, insieme, mutuando il titolo di un’opera di Fiche, uno Stato secondo ragione. Anche se sull’esatta definizione di questa espressione e su cosa s’intenda per essa, è bene capirsi, per non confondere la ragione “storica” e “concreta” con le costruzioni intellettualistiche, (e nelle intenzioni, spesso utopiche), di cui la modernità ci ha fornito una pletora di esempi (al punto che De Maistre, affermava di non conoscere, nell’epoca pre-rivoluzionaria, un giovane letterato che non avesse scritto almeno un trattato di pedagogia e una costituzione); mentre il carattere peculiare della ragion di Stato, è sì d’essere “razionale”, ma di esserlo in una situazione data e su presupposti concreti, ovvero di costituire la regola di scelta in un contesto reale; è cioè l’applicazione – conseguenza del realismo politico, e non dell’intellettualismo utopico (e ucronico).

Se la ragion di Stato è nient’altro che la “tecnica” di difesa dell’unità politica e della sicurezza collettiva ed individuale (salus rei publicae suprema lex esto), lo strumento principale con cui si è attuato e garantito quelle è, per l’appunto, lo “Stato secondo ragione”, attraverso la progressiva e costante “razionalizzazione” delle strutture pubbliche. Funzionalizzazione, de-patrimonializzazione, centralismo, legalità, burocratizzazione sono state le principali vie percorse per innestare sul vecchio ceppo delle monarchie feudali la razionalità funzionalistica di un apparato che è, in larga parte, il prodotto di un processo cosciente (ed autocosciente) di costruzione della “gran macchina”, dell’ “uomo artificiale” concepito per la sicurezza (e il benessere) collettivo. Questo è nel contempo il risultato della secolarizzazione o meglio, in relazione al tema qui trattato, del weberiano “disincanto del mondo”, della cesura del legame tra cielo e terra; chiaro nella sfera politica, lo è meno, ma di poco, nell’ambito giuridico, probabilmente perché la razionalizzazione del diritto e del processo, nella cristianità occidentale, ha preso l’avvio diversi secoli prima della “scoperta” dello stesso termine di Stato (e della, di poco successiva, “Ragion di Stato”), ed è la risultante della recezione del diritto romano (del Corpus juris) e dello sviluppo di quello canonico. Ambedue costruzioni razionali, ancorché l’una “Deo auctore”, secondo l’espressione di Giustiniano, l’altro ordinamento di una  ierocrazia; ma al riguardo occorre notare che, ancora, la concezione del monarca (e del magistrato) come rappresentante di Dio, tipica della Riforma e, in parte anche, della Controriforma, fornisce la base legittima e “sacra” per la prima fase della razionalizzazione politica (e la seconda di quella giuridica)[1].

Per cui la stessa razionalizzazione “politica” ha un fondamento “aperto alla trascendenza”. Ciò non toglie che l’una (e l’altra) si fondino, come detto, sul “disincanto del mondo”, sulla costruzione di decisioni razionali, su presupposti realistici e razionalmente argomentati, su responsabilità umane, con l’esclusione sia di interventi “magici” o “divini”, che di norme non aventi una “promulgazione”, o un consenso all’applicazione, da parte dell’autorità sovrana.

  1. In questi termini, il razionalismo giuridico si coniuga con la razionalizzazione prodotta dallo Stato, che è, in primo luogo e, a un tempo, sia separazione-delimitazione (tra interno ed esterno, tra potere temporale e spirituale) che centralizzazione.

Il primo aspetto è stato ampiamente considerato, nei suoi aspetti (politici e quel che più interessa, giuridici) da Thomas Hobbes. Questi rifiutava sistematicamente di considerare vincolante qualsiasi norma che non fosse legge di natura o comando del Sovrano, negava di conseguenza che fosse norma applicabile quella non proveniente (anche se tacitamente assentita) dall’unica autorità sovrana e che altre autorità avessero il potere di emanarle (nell’ambito dell’unità politica). Con ciò impediva la possibilità di conflitto tra centri diversi di (potere e) produzione normativa. A un sovrano corrisponde un solo diritto applicabile dallo stesso e dai giudici da questi istituiti. Daltro canto fa parte dello spirito dell’epoca, e in larga misura della modernità, ritenere che “non vi è mai tanta perfezione nelle opere composte di pezzi fatti da artefici diversi quanto in quelle costruite da uno solo”, come scriveva Cartesio[2]. Così la semplificazione andava di pari passo con la razionalizzazione. E con la centralizzazione: la quale non è identificabile solo con la struttura dello Stato francese, ovvero di quello che più coerentemente l’aveva e l’ha perseguita e realizzata, ma è connaturale alla stessa idea di Stato; anche se le forme per la sua realizzazione sono le più diverse, e spesso fanno ampio spazio a poteri decentrati ed autonomie regionali e locali. Tuttavia il “monopolio della violenza legittima” (il che significa anche dell’esecuzione delle pretese)  ed alcuni istituti ed uffici particolarmente significativi come, per esemplificare, le Corti supreme uniche (Cassazione, Consiglio di Stato) e il potere generale di annullamento amministrativo sovente riconosciuto all’organo statale apicale, ne sono la conferma per gli aspetti non solo politici, ma anche giuridici. Ed ancor più le “codificazioni” con le quali, dal ‘700 in poi, si sostituiva al diritto di formazione dottrinale-giurisprudenziale e consuetudinaria, una legislazione unitaria, emanata dall’autorità sovrana, di guisa che dal XIX secolo in poi non poteva generalmente più affermarsi quanto scriveva, sul finire del secolo precedente, il giovane Hegel della Germania pre-napoleonica, che si cambiava il diritto con la frequenza con cui si sostituivano i cavalli della diligenza.

D’altra parte Thomas Hobbes  non è stato solo il più conseguente teorico della sovranità, ma anche quello di un diritto razionale, sia perché chiaro ed applicabile, sia perché giusto (in quanto razionale o almeno ragionevole). In particolare nei capitoli XXVI-XXVIII del “Leviathan” ne elabora alcuni principi, quali la comprensibilità (“perché altrimenti un uomo non saprebbe come obbedire”) la conoscibilità (la legge positiva deve essere pubblicata, secondo la nota tesi di S. Tommaso) la non obbligatorietà delle “leggi positive divine” (cioè quelle oggetto di “rivelazione”) non “recepite” e “comandate” dal sovrano; il principio nulla poena sine lege; tutti caposaldi del diritto dello Stato moderno; meno attenzione Hobbes dava agli aspetti organizzativi e, per così dire, “professionali”, dato che l’esempio della organizzazione giudiziaria inglese non lo induce a preferire il magistrato “giurista” (cioè esperto di diritto) rispetto al giudice non professionale. La coniugazione tra sovranità e razionalismo giuridico è evidente anche in Rousseau: all’onnipotente legislateur corrispondono i caratteri intriseci della loi: conoscibile, durevole, chiaramente applicabile. Così anche nei giacobini la dittatura sovrana della convenzione si associa all’aspirazione alla semplificazione ed alla chiarezza legislativa. Anche se tra la concezione della sovranità e il razionalismo giuridico non c’è un rapporto di implicazione necessaria (ben può esistere un Sovrano che governi in base ai principi del “sultanismo” e della volontà arbitraria come nelle monarchie dispotiche orientali) tuttavia il rapporto, nell’età moderna, è stato costante, sia sotto l’aspetto delle realizzazioni pratiche, che sotto quello teorico. Allo sviluppo dello Stato sovrano moderno corrisponde quello del razionalismo giuridico; i teorici del primo , di solito, sono gli stessi che auspicano il secondo. Questo nesso è verosimilmente rafforzato dall’identità dei poteri che sovranità e razionalizzazione limitano e riducono: i poteri “intermedi”, “indiretti” e “spirituali” progressivamente privati dallo Stato sia della possibilità di regolare e giudicare, sia di eseguire coattivamente le loro pretese. Alla soluzione del problema politico, risolto dall’unità del comando, è corrisposta così quella, giuridica, della razionalità – sia del comando che dell’obbedienza: quest’ultima garantita in primo luogo, dall’unità di quello.

  1. Max Weber ha delineato i postulati del razionalismo giuridico, con particolare, ma non esclusivo, riferimento alla pandettistica[3]; sempre allo stesso Weber notoriamente dobbiamo le analisi del “tipo” di potere dello Stato moderno, ovvero quello razionale-legale con amministrazione (prevalentemente) burocratica, che è l’altro volto della razionalizzazione politica e giuridica; e l’individuazione del carattere distintivo del diritto borghese (e della funzione giudiziaria), costituito sia dalla “misurabilità” delle norme che dalla previsione di una puntuale applicazione delle stesse da parte del giudice “professionale ed esperto”, bouche de la loi. Tali principi, valevoli sia per un diritto codificato (continentale), sia per un sistema basato sull’autorità del precedente (come quello anglosassone), trovano comunque le proprie condizioni irrinunciabili da un lato in norme giuridiche, come scriveva Thibaut, chiare, inequivocabili e, complessivamente esaurienti, dall’altra nella razionale applicazione di esse da parte di giudici (competenti ed) indipendenti da tutti fuorché dalla legge medesima: ambedue caratteristiche dello Stato (borghese) di diritto, con la sua concezione della legge (che è tale perché ha precise “qualità”); e del giudice “bouche de la loi”. Il razionalismo giuridico trova pertanto le condizioni più favorevoli al proprio sviluppo nella fase “liberaldemocratica” dello Stato, cioè quella che inizia con la rivoluzione francese (anticipata, per certi aspetti che qui interessano, dall’Illuminismo); e trova il proprio “punto d’Archimede” nell’ethos e nelle istituzioni politiche della borghesia, al di fuori delle quali non è (compiutamente) realizzabile: il legame con lo Stato (e la politica) moderna ne è confermato.

Proprio al periodo immediatamente precedente la rivoluzione risalgono le prime codificazioni dell’età moderna, frutto, come cennato, del secolo dei Lumi, e diffusesi nei decenni successivi. Coerentemente con l’esigenza di “stabilità” della legislazione borghese (necessaria al capitalismo) alcuni di quei codici pre e post-rivoluzionari sono tuttora in gran parte vigenti. Le necessità di “sistematizzazione” e di “sicurezza” che stanno alla base delle codificazioni in genere, e di quelle in particolare sono state descritte da Max Weber; ed a questi, come a Tarello, dobbiamo l’osservazione, d’esser spesso state osteggiate dal ceto dei pratici del diritto, dei “causidici” che sovente trovano occasioni di lucro nelle situazioni d’incertezza ed oscurità del medesimo[4].

4 Così come aveva trovato l’ “ambiente” più favorevole nelle istituzioni dello Stato borghese, così il razionalismo giuridico l’ha perso in quello del XX secolo: in modo evidente negli Stati totalitari, in forma meno netta e decisa (“correttiva”) altrove. Quanto alle ideologie totalitarie queste negano proprio quei due caposaldi della legge “qualificata” e della neutralità/indipendenza del Giudice; e più in generale negano (riducono) l’essenza dello Stato (come “idea direttiva”, non come apparato di coazione, chè, anzi, è esasperato). Così che la legge debba essere interpretata in conformità ai principi della rivoluzione o del regime, significa renderne assai incerta l’applicazione; che questa poi possa essere modificata con disposizioni varie (dall’ “ordnung” al “befehl”, alle norme “interpretative” del Praesidium del Soviet supremo) e se ne teorizzi anzi la mutevolezza a seconda dello stadio raggiunto dalla rivoluzione (o della situazione) è l’esatto contrario del roussoviano “imiter les immuables décrets de la divinité”; peraltro una certa, marcata, inclinazione alla weberiana “razionalità materiale” (che spesso si trasforma nel contrario) serve anch’essa a vanificare quella “formale” legando la decisione del giudice a principi di carattere etico, politico o utilitaristico. In quei regimi, poi, parlare di neutralità/indipendenza del giudice era umoristico più che assurdo: basta leggere una delle costituzioni (qualsiasi) degli Stati del “socialismo reale” – veri reperti di archeologia giuridica – per rendersi conto che il sistema giudiziario era di nomina – e sotto controllo – politico.

Ancor di più, è connaturale a comunismo e nazismo – le forme più coerenti di totalitarismo – negare (o limitare) l’idea direttiva dello Stato[5]. Il primo perché è un’ideologia dell’estinzione dello Stato: nella società comunista vagheggiata, lo stato di perfezione impedirà l’insorgere di conflitti (dovuti, notoriamente, al meum e tuum individuale), o se insorti ne consentirà la conciliazione ad un arbitro non “professionale”, dotato di bontà  e rettitudine naturale. In questa utopia, giudici ed avvocati “tecnici” sono altrettanto superflui di polizie e eserciti professionali. Nel nazismo, lo Stato più che forma dell’unità politica, è la macchina asservita al Führer ed al Bewegung, vere componenti attive (cioè politicamente decisive) dell’unità politica a tre “membra” come ricostruita da Carl Schmitt[6]. Il che conferma che, sviluppato (ancorché non esclusivamente) nello Stato moderno, il razionalismo giuridico deperisce con quello.

Sotto un diverso profilo il nesso tra Stato moderno (in particolare liberal-democratico) e razionalismo giuridico è dato dall’identica sottesa concezione della natura umana (e del potere pubblico). Nell’ideologia dello Stato moderno alla concezione “problematica” dell’uomo, come esposta da Machiavelli (che non cade né nel paradosso dell’uomo buono per natura, ma neppure nel pessimismo antropologico protestante), corrisponde, da un canto che un solo potere, quello sovrano, non ha bisogno di avere ragione per far eseguire le proprie decisioni, dall’altro che tutti gli altri, devono “giustificare” le proprie decisioni, sulla base delle norme emanate, o consentite dal primo. E tranne il sovrano, vige per lo Stato liberal-democratico la regola, esposta nel 51° saggio del “Federalista” laddove si legge “se gli uomini fossero angeli non occorrerebbe alcun governo. Se fossero gli angeli a governare gli uomini, ogni controllo esterno o interno sul governo sarebbe superfluo. Ma nell’organizzare un governo di uomini che dovranno reggere  altri uomini, qui sorge la grande difficoltà: prima si dovrà mettere il governo in grado di controllare i propri governanti, e quindi obbligarlo ad autocontrollarsi”.

Dato che per l’appunto i funzionari pubblici non sono degli angeli, ovvero non sono dotati di moralità ed intelligenza superiore a quella degli amministrati, si pone il problema delle giustificazioni e dei controlli, in modo non esclusivo, ma sicuramente assai più acuto che in altre forme  politiche. La motivazione, il richiamo alla norma “superiore” in minor misura lo stesso contraddittorio, l’uso di regole logiche e così via sono le garanzie che oltre a norme “misurabili” le stesse decisioni prese siano “controllabili” e “verificabili” (in particolare rispetto alle norme – alle leggi – applicabili, che impone la rispondenza della decisione al parametro “astratto”). In una forma di potere carismatico o tradizionale, tale esigenza non sussiste o lo è in misura ridotta. Il “profeta” può giustificare la propria decisione sulla rivelazione divina, o su un sogno; il cadì su un detto del Profeta più o meno applicabile al caso; Sancho Panza col buonsenso e la furbizia del contadino; ma il funzionario – amministrativo o giudiziario – dello Stato moderno ha il dovere di farlo in base alle norme, sia attributive di competenza, che di “merito”, razionalmente interpretate e sa fatti comprovati. Gli uni e gli altri molto più controllabili di profezie, sogni, esempi o detti, sia dal destinatario della decisione che dall’autorità di verifica (superiore “gerarchico”).

  1. Il razionalismo giuridico ha pertanto trovato nel secolo passato avversari meno diretti, aperti e determinati delle ideologie totalitarie, ma, a dispetto della minore incidenza, più persistenti e duraturi.

Si può identificarli, in generale, con alcuni presupposti – e conseguenze – delle ideologie del c.d. “Stato sociale” (altrimenti connotato come “Stato totale quantitativo” da Carl Schmitt); in particolare, per l’Italia, quelle ideologie hanno fortemente condizionato la prassi legislativa e l’evoluzione istituzionale della Repubblica. Connotato comune è l’aumento d’importanza della razionalità materiale rispetto a quella “formale” verso la quale quella viene fatta giocare in contrapposizione; e in effetti lo è oggettivamente, come  rilevato acutamente da Max Weber. Secondo il quale legislazione e giurisdizione “sono materialmente irrazionali quando per la decisione assumono rilevanza valutazioni concrete del caso singolo – siano esse di natura etica, affettiva o politica – e non invece norme generali”. Ma anche il diritto razionale può essere tale o formalmente, ossia perché individua le caratteristiche giuridicamente rilevanti “attraverso un’interpretazione logica, dando luogo alla formazione e all’applicazione di concetti giuridici definiti sotto forma di regole rigorosamente astratte” o in senso materiale. Ma questo non fa che accrescere “l’antitesi rispetto alla razionalità materiale. Quest’ultima implica infatti precisamente che la decisione delle questioni giuridiche deve essere influenzata da norme di dignità qualitativa diversa dalle generalizzazioni logiche di interpretazioni astratte – cioè da norme come imperativi etici o regole di opportunità utilitaristica e di altra specie, o massime politiche – che infrangano sia il formalismo della caratteristica esteriore, sia quello dell’astrazione logica”. In realtà nella legislazione italiana contemporanea troviamo sia elementi di irrazionalità materiale (in misura minore ma non trascurabile), sia, come cennato, il tentativo (l’espediente) di contrapporre la razionalità materiale a quella formale.

In un ordinamento giuridico coerente sia questa che quella (come, in certa misura, anche la valutazione concreta del caso singolo, ovvero il “materialmente irrazionale”) trovano una collocazione “armonica”. Così la discrezionalità (soprattutto amministrativa) viene esercitata in base ai presupposti “circoscritti” ed alle finalità determinate formalmente (cioè essenzialmente in base al principio di legalità), nell’ambito consentito dalla legge.

Quando invece si giustifica l’inosservanza o la disapplicazione di una norma legislativa, per le nobili finalità esternate dall’interprete (lottare contro la mafia, la criminalità, la plutocrazia, o più semplicemente provvedere per il bene di tutti, determinato dall’esegeta) si ha l’esempio di come l’una possa contrapporsi all’altra.

Quel certo eudemonismo, quell’aspirazione più intensa a realizzare la giustizia anche sociale sono elementi suscettibili d’introdurre e che spesso introducono dei discordi parametri valutativi nelle decisioni pubbliche. Ma è più interessante notare come, nella Repubblica dei partiti, è stata usata la razionalità materiale contro la formale, e come si è ridotto l’ordito del parametro principale di riferimento – la legge – nelle decisioni pubbliche.

Entrambi in modo spesso surrettizio, indiretto, e comunque non del tutto preponderante, sia per l’appartenenza al mondo occidentale (e all’economia di mercato) che per i vincoli costituzionali.

Quanto alla legge, cioè al principale parametro normativo delle decisioni, sono stati largamente disapplicati quei principi della legge “qualificata” tipici del Rechtstaat. Due ne sono i fenomeni più evidenti: la tendenza alla de-codificazione (ovvero alla sostituzione – talvolta totale, ma assai di più, parziale, di testi organici, come codici e testi unici con una miriade di leggi particolari e/o speciali), per cui gli stessi codici “tradizionali” costituiscono soltanto le stelle di prima grandezza di una nebulosa normativa d’incerta visibilità; e quella alla “amministrativizzazione” della legge.

Tra le distinzioni “classiche” dello Stato borghese c’è quella tra legge e provvedimento, la prima ratio, il secondo actio; la prima destinata a regolare situazioni e rapporti in modo durevole, il secondo a soddisfare necessità e bisogni mutevoli e concreti, spesso contingenti. Coerentemente al carattere “materiale” di Stato amministrativo della Repubblica, e non potendosi incidere sui principi costituzionali di legalità e riserva di legge, si è piegata, in larga misura, la legge a divenire essa stessa, nella funzione e nella sostanza un atto amministrativo preso con deliberazione parlamentare.

Basta leggere, tra le tante similari, una delle ricorrenti “finanziarie” per rendersene conto: l’esigenza che “unifica” una congerie di disposizioni disparate, spesso raggruppate nello stesso articolo, è lo scopo “gestionale” di soluzione di uno o più problemi contingenti che certe misure si propongono. A ciò si aggiunge la pletora legislativa, in larga parte determinata sia dalla de-codificazione che dall’amministrativizzazione, ma anche dalla settorializzazione e corporativizzazione (norme fatte per esigenze di piccoli gruppi, pubblici e/o privati); e la vieppiù scadente tecnica legislativa. Di guisa che a trovare nella Gazzetta ufficiale una “legge” che abbia le caratteristiche dei teorici dello Stato borghese (generale, astratta, destinata a durare, chiara, non ridondante ecc. ecc.) vi sono le stesse probabilità che incontrare una vergine in un bordello. In una situazione del genere, il problema più urgente ed essenziale che si pone a chi la deve applicare, non è tanto l’interpretazione, ma la ricerca e la “scoperta” della norma applicabile al caso: con l’inevitabile potenziamento sia della “discrezionalità interpretativa”, cioè della possibilità di scelta, per l’interprete, di due o più soluzioni plausibili, che dell’incremento degli errori.

Quanto alla “razionalità materiale”, nei testi normativi non risulta un deciso incremento di quelle norme, volutamente – e, in parte, anche necessariamente – indeterminate, che consentono all’interprete d’introdurre parametri etici o di opportunità nella decisione (il “comune senso del pudore”, la “diligenza del buon padre di famiglia” e così via); e questo potrebbe consolare, se il diritto fosse un insieme di norme. Ma questo è, in primo luogo, come riteneva Santi Romano, istituzione, cioè la varia e complessa organizzazione dello Stato, con i suoi rapporti di sovra – e sotto-ordinazione, i collegamenti di potere e autorità, la ripartizione di competenze. Se da un lato il clima politico e sociale incentiva o sollecita l’introduzione di regole etiche o di opportunità, anche attraverso il “pluralismo dei valori”; e dall’altro l’istituzione non reprime o, addirittura, facilita certi comportamenti, è naturale che, queste si diffondano nell’applicazione del diritto. Se l’oscurità e la proliferazione delle norme aumentano le incertezze interpretative, queste vengono applicate secondo il filtro dei giudizi di “valore” fatti propri dall’interprete. Il vincolo del funzionario alla legge viene così doppiamente attenuato. Anche perché il “pluralismo dei valori” con cui si delinea un aspetto – importante – del liberalismo, viene qui, trasposto, in modo nient’affatto liberale, dal privato al pubblico.

Se nel “privato” – nella società civile – è del tutto ammissibile la coesistenza di realtà, credenze e “sistemi di valori” diversi, come per esempio, le confessioni religiose – nel “pubblico” si richiede l’osservanza di un “sistema di valori” unitario, che consente solo modesti e parziali aggiustamenti, autorizzati legalmente. Se un cittadino italiano può legittimamente essere musulmano o buddista, un funzionario dello stato civile, pur musulmano o buddista, non può celebrare matrimoni poligamici o “a termine”.

Pluralità di credenze ed opinioni “private” non si trasforma nella pluralità di diritti, doveri e “garanzie istituzionali” tutelati (o imposti) dallo Stato. In realtà un simile “pluralismo” o “politeismo” di valori, oltre ad essere dissolutorio dell’unità e dell’omogeneità, connotati peculiari del pubblico, appare come la giustificazione di un assetto policratico di poteri, organi ed uffici non (o poco) coordinati e autoreferenziali.

Il tutto sfocia poi nel soggettivismo interpretativo, che è proprio ciò che il razionalismo giuridico è vocato ad evitare. Sulle forme in cui il soggettivismo si esercita ed articola, è importante leggere le acute pagine dedicate da Hegel alla fenomenologia della soggettività elevante se stessa ad assoluto “der sich als das Absolute behauptenden Subjektität”, con riferimento alla morale, ma utili anche nel diritto[7]: specie alle “figure” del “probabilismo”, della “buona intenzione”, dell’ “etica della convinzione” e dell’ “ironia romantica”, si possono ricondurre le giustificazioni esternate di una prassi interpretativa che finisce col negare oggettività al diritto e controllabilità alle decisioni, per cui costituisce un catalogo del soggettivismo burocratico: ma, purtroppo, al contrario di quello, più celebre, di Laparello, che si riferisce a un’attività forse non morale, ma piacevole, questo inquadra comportamenti immorali e  – per lo più – dannosi per tutti, fuorché, s’intende, per chi li pone in essere.

Che poi il tutto abbia effetti dissolutori verso lo Stato (di diritto e non) e incrementativi del potere – un potere non, o poco, funzionale all’ordine, in particolare a quello di una società moderna – è altrettanto evidente: lo notava già Hegel, contrapponendo la soggettività “particolare” alla soggettività del potere sovrano “identisch mit dem substantiellen Willen”, proprio perciò garante e conservatrice dell’unità politica, al contrario dell’altra, che la decompone[8]. Quanto al potere, quando chi lo esercita viene dispensato dal’onere di aver ragione – o quantomeno di doverla argomentare logicamente – e dalle correlative responsabilità, è moltiplicato per il numero di coloro che lo esercitano, anche se attenentisi alle loro (più o meno) limitate competenze[9]: invece di avere un Grande Fratello, ne abbiamo qualche centinaia di migliaia, spesso dannosi od inutili, e talvolta avidi: e nel cambio tra l’uno e i molti non c’è da guadagnare.

P.S.. Qualche mese fa suscitò commenti ironici, da parte degli (allora) futuri        oppositori, l’affermazione dell’on. Berlusconi che il suo futuro governo avrebbe operato come “Napoleone e Giustiniano” togliendo dalle leggi “il troppo e il vano”, e ci sia permesso di aggiungere, l’oscuro e l’equivoco. L’immagine più usata dagli oppositori (attuali) fu quella del Cavaliere con lo scolapasta in testa. In effetti per esponenti di partiti che hanno nel DNA l’estraneità ai principi dello Stato democratico-liberale e la diffidenza (a dir poco) verso il razionalismo giuridico, la pretesa di voler fare l’inverso di quanto da loro praticato può apparire incomprensibile e folle, anche perché vi sono tanti interessi (di partiti e di corporazioni) alla conservazione dello statu quo, e quindi l’impresa non sarà facile. Per gente abituata a pesare il potere col bilancino e ad adeguarsi di conseguenza è un argomento decisivo. Ma, a voler infondere coraggio al centro-destra a proseguire in quella (difficile quanto ragionevole) via occorre ricordare il giudizio di Max Weber “che tutte le innovazioni politiche favoriscono le codificazioni”.

Nella misura in cui il governo è innovatore, non può sottrarsi a confermare questa tendenza, a sostegno della quale sta che  la mera enunciazione di essa ha intimorito le forze della conservazione. C’è da sperare, pertanto, che le future azioni confermino la constatazione di Weber.

T.K.

[1] A tale proposito basti ricordare Calvino, il quale definisce così i magistrati – cioè i governanti – “En somme,  s’ils se souvienent qu’ils sont vicaires de Dieu, ils ont à s’emploiyer de toute leur étude, et mettre tout leur soin de répresenter aux hommes en tous leurs faits, comme une image de la providence, sauvegarde, bonté, douceur ed justice de Dieu ”; e Bossuet, che a sua volta, considera il monarca “ rappresentante” di Dio (v. ne “Politique tireé de l’écriture sante” e nel “Sermon sur les devoirs des rois”).

È inutile aggiungere che mentre il primo negava al Papa di rappresentare alcunché, il secondo negava allo stesso di poter intervenire nelle questioni temporali (v. la “Cleri gallicani de ecclesiastica potestate declaratio” secondo l’opinione più seguita, redatta da Bossuet).

 

 

[2] E poco dopo “se Sparta è stata un tempo così fiorente, ciò si deve, non alla bontà delle sue leggi particolari… ma al fatto che dettate da uno solo, tendevano tutte a uno stesso fine”. Discours de la méthode, p. II.

[3] V. Max Weber Wirtshaft und gesellshaft, trad. it., vol. III, Milano 1980, p. 17.

[4] v. G. Tarello Le ideologie della codificazione nel secolo XVIII, III edizione p. 25-26, Genova.

[5] Su questo concetto v. M. Hauriou, La théorie de l’institution et de la fondation (essai de vitalisme social) trad. it., Milano 1967, pp. 14-15.

[6] v. Carl Schmitt, Staat, Bewegung, Volk, trad. it. nei Principi politici del naziolsocialismo, Firenze 1936, pp. 186-190.

[7] Lineamenti di filosofia del diritto, prgf. 140.

[8] Op. cit., prgf. 320.

[9] Evitiamo, per motivi di spazio, di approfondire, nel contesto contemporaneo, l’opinione di Weber sul contributo a ciò delle “ideologie interne di ceto dei pratici del diritto” e degli interessi intellettualistici, che incidono, ovviamente sulla distribuzione del potere e sull’ “onore sociale” (v. M. Weber, op. cit. p. 192 ss.)

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Le sanzioni anti-russe dell’Occidente hanno reso l’India indispensabile per il mercato globale dell’energia, di Andrew Korybko

Era difficile spiegare alla fine dell’anno scorso perché gli Stati Uniti avessero iniziato a ridurre notevolmente la pressione sull’India affinché prendesse le distanze dalla Russia, ma all’epoca si pensava che si trattasse semplicemente di un riconoscimento ritardato della realtà geostrategica e che fosse stato fatto per amore del pragmatismo per mantenere la loro legami strategici. Ora, tuttavia, sembra che il ruolo indispensabile dell’India nel mercato globale dell’energia come intermediario nel facilitare l’ormai tabù del commercio energetico russo-occidentale abbia giocato un ruolo nella ricalibrazione della politica degli Stati Uniti.

I media indiani hanno rivelato a metà gennaio  che il loro paese stava elaborando e riesportando petrolio russo scontato in Occidente, compresi gli Stati Uniti, in una mossa che ha screditato lo spirito delle sanzioni anti-russe di quel blocco de facto  Nuova Guerra Fredda .  La maggior parte degli osservatori ha respinto quei rapporti poiché andavano contro la loro visione del mondo in cui si dava per scontato che il GoldenGolden Billion dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti non avrebbe mai alleviato la pressione sulla Russia facendo in modo che l’India fungesse da intermediario nel loro commercio di petrolio.

“Secondo un esperto citato da Bloomberg nel loro ultimo rapporto intitolato “La nuova mappa del petrolio: come l’India trasforma il greggio russo nel carburante dell’Occidente ”,  “la volontà dell’India di acquistare più greggio russo a uno sconto maggiore è una caratteristica, non un bug, nel piano delle nazioni occidentali per imporre il dolore economico a Putin senza imporlo a se stessi”. Un altro è stato citato dicendo che “i funzionari del tesoro degli Stati Uniti hanno due obiettivi principali: mantenere il mercato ben rifornito e privare la Russia delle entrate petrolifere”.

L’altro esperto ha aggiunto che “Sono consapevoli che le raffinerie indiane e cinesi possono guadagnare margini maggiori acquistando greggio russo scontato ed esportando prodotti a prezzi di mercato. Stanno bene con quello. Questa intuizione di Bloomberg, che è tenuto in grande considerazione come uno dei principali punti vendita al mondo, sposta completamente il paradigma attraverso il quale gli osservatori interpretano la dimensione energetica delle sanzioni anti-russe del Golden Billion.

La “narrativa ufficiale” fino a questo punto era che miravano a mandare in bancarotta il Cremlino nella speranza che interrompesse immediatamente le sue operazioni speciali in corso e forse addirittura ” balcanizzassero ”  se il collasso economico desiderato avesse catalizzato processi socio-politici incontrollabili come durante il tardo anni ’80. Il New York Times ha recentemente ammessoche le sanzioni anti-russe hanno fallito, tuttavia, indicando prove attendibili che l’economia di questo stato preso di mira ha smesso di contrarsi e ha persino iniziato a crescere.

.Di fronte a questi fatti “politicamente scomodi”, era quindi prevedibile a posteriori che la “narrativa ufficiale” avrebbe dovuto cambiare in modo più completo nel tentativo del Golden Billion di “salvare la faccia” davanti alla sua gente, ergo l’ultimo contributo di Bloomberg a questa gestione della percezione fine. Il pubblico è ora indotto a pensare che le sanzioni non abbiano mai avuto lo scopo di mandare in bancarotta il Cremlino, interrompere le sue operazioni speciali o “balcanizzare” la Russia, ma solo erodere un po’ delle sue entrate.

La realtà è che il risultato riportato da Bloomberg è davvero un “bug” e non una “caratteristica” come stanno affermando col senno di poi per disperazione di rivedere la storia per ragioni di soft power egoistiche. Il Golden Billion non ha previsto completamente le conseguenze durature delle loro sanzioni poiché hanno ingenuamente dato per scontato che avrebbero immediatamente mandato in bancarotta il Cremlino, interrotto le sue operazioni speciali e successivamente “balcanizzato” la Russia, nessuna delle quali alla fine è emersa.

Tuttavia, non possono revocare le loro restrizioni economiche unilaterali poiché ciò rappresenterebbe una vittoria senza precedenti per il soft power della Russia, motivo per cui hanno iniziato a sondare il mercato per esplorare soluzioni alternative per garantire l’affidabilità delle loro importazioni, anche se a un prezzo elevato. La politica pragmatica dell’India di neutralità di principio nei confronti del conflitto ucraino in piena sfida alle richieste statunitensi di “isolare” la Russia finì per essere un involontario dono del cielo per l’Occidente in questo contesto.

Se quella grande potenza di importanza mondiale non avesse intensificato i suoi acquisti di petrolio russo nella misura in cui lo ha fatto per resistere agli shock sistemici causati dalle sanzioni occidentali e che hanno destabilizzato dozzine di altri stati del Sud del mondo, allora non ci sarebbe un eccesso di offerta per la riesportazione. Dopo averli aiutati a soddisfare i loro bisogni, che non facevano parte di un “piano generale degli scacchi 5D” tra l’India e l’Occidente, ma il risultato organico di come si sono svolti gli eventi, hanno ridotto la loro pressione su di esso come contropartita.

Era difficile spiegare alla fine dell’anno scorso perché gli Stati Uniti avessero iniziato a ridurre notevolmente la pressione sull’India affinché prendesse le distanze dalla Russia, ma all’epoca si pensava che si trattasse semplicemente di un riconoscimento ritardato della realtà geostrategica e che fosse stato fatto per amore del pragmatismo per mantenere la loro legami strategici. Ora, tuttavia, sembra che il ruolo indispensabile dell’India nel mercato globale dell’energia come intermediario nel facilitare l’ormai tabù del commercio energetico russo-occidentale abbia giocato un ruolo nella ricalibrazione della politica degli Stati Uniti.

Da questa intuizione, si può concludere che l’India è riuscita non solo a resistere alle pressioni occidentali guidate dagli Stati Uniti nei suoi rapporti con la Russia, ma ha anche inconsapevolmente finito per fare un favore al miliardo d’oro nel processo ponendosi in la posizione per garantire l’affidabilità delle loro importazioni di energia. Questa osservazione parla del suo nuovo ruolo di kingmaker nella Nuova Guerra Fredda, che lo conferirà di un’influenza sempre maggiore all’interno della transizione sistemica globale più a lungo continuerà questa lotta.

https://korybko.substack.com/p/the-wests-anti-russian-sanctions

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Dai palloni aerostatici spia si passa ai missili balistici intercontinentali, a cura di Gianfranco Campa

Botta e risposta!

Ai palloni aerostatici spia si risponde con i missili balistici intercontinentali.

L’escalation di tensioni tra gli USA e la Cina e Corea del Nord va avanti pericolosamente. Gli Stati Uniti lanciano un missile balistico intercontinentale Minuteman III dalla base Vandenberg.

https://www.foxnews.com/politics/us-launches-unarmed-icbm-pacific-ocean-china-north-korea-tensions?intcmp=tw_fnc

Gli Stati Uniti lanciano missili balistici intercontinentali disarmati nell’Oceano Pacifico tra le tensioni tra Cina e Corea del Nord

Il test missilistico arriva pochi giorni dopo che la Corea del Nord ha organizzato una parata che mostra lanciatori di missili balistici intercontinentali e la Cina ha sorvolato gli Stati Uniti con un pallone spia

L’ aeronautica americana ha lanciato un test missilistico balistico intercontinentale Minuteman III disarmato dalla California in una dimostrazione di prontezza nucleare.

Il test è stato lanciato alle 23:01 PT dalla Vandenberg Space Force Base in California , la base ha annunciato venerdì.

Si trattava di un’attività “di routine” “intesa a dimostrare che il deterrente nucleare degli Stati Uniti è sicuro, protetto, affidabile ed efficace”, secondo l’annuncio.

“Un lancio di prova mostra il cuore della nostra missione di deterrenza sulla scena mondiale, assicurando alla nostra nazione e ai suoi alleati che le nostre armi sono capaci e che i nostri aviatori sono pronti e disposti a difendere la pace in tutto il mondo in un attimo”, ha affermato il generale Thomas. A. Bussiere, comandante dell’Air Force Global Strike Command.

MATT GAETZ CHIEDE A BIDEN DI ‘FAR FAR FAR FAR FAR FAR ESPLOSIONE TIKTOK’ DOPO CHE I MILITARI USA HANNO ABBATTUTO UN SOSPETTO PALLONCINO SPIA CINESE

Una squadra di Air Force Global Strike Command Airmen ha lanciato un missile balistico intercontinentale Minuteman III disarmato dotato di un veicolo di rientro di prova alle 23:01 PT, 9 febbraio 2023, dalla Vandenberg Space Force Base, California.

Una squadra di Air Force Global Strike Command Airmen ha lanciato un missile balistico intercontinentale Minuteman III disarmato dotato di un veicolo di rientro di prova alle 23:01 PT, 9 febbraio 2023, dalla Vandenberg Space Force Base, California. (US Air Force Foto di Airman 1a classe Landon Gunsauls)

LA CINA AFFERMA CHE IL CONGRESSO “DRAMMATIZZA” I VOLI DI SPIA CON LA RISOLUZIONE BIPARTISANA

L’Air Force ha affermato che il veicolo di rientro di prova dell’ICBM ha percorso circa 4.200 miglia fino all’atollo di Kwajalein nelle Isole Marshall, dimostrando la “precisione e affidabilità” del sistema ICBM statunitense.

“Questo lancio mette in mostra la ridondanza e l’affidabilità dei nostri sistemi di deterrenza strategica inviando un messaggio visibile di rassicurazione agli alleati”, ha affermato il colonnello Christopher Cruise, comandante del 377° gruppo di test e valutazione.

“Questo team multilaterale riflette la precisione e la professionalità del nostro comando e dei nostri partner congiunti”, ha aggiunto Cruise.

Una squadra di Air Force Global Strike Command Airmen ha lanciato un missile balistico intercontinentale Minuteman III disarmato dotato di un veicolo di rientro di prova alle 23:01 PT, 9 febbraio 2023, dalla Vandenberg Space Force Base, California.

Una squadra di Air Force Global Strike Command Airmen ha lanciato un missile balistico intercontinentale Minuteman III disarmato dotato di un veicolo di rientro di prova alle 23:01 PT, 9 febbraio 2023, dalla Vandenberg Space Force Base, California. (US Air Force Foto di Airman 1a classe Landon Gunsauls)

Il lancio di prova arriva pochi giorni dopo che il governo degli Stati Uniti ha abbattuto un pallone spia cinese al largo della costa della Carolina del Sud. Il pallone, che ha attraversato gli Stati Uniti continentali prima di essere decollato, è stato collegato a un programma di sorveglianza gestito dall’esercito della Repubblica popolare cinese.

Segue anche una dimostrazione di forza da parte dell’esercito della Corea del Nord, che ha sfilato fino a 12 singoli lanciatori di missili balistici intercontinentali Hwasong-17, ha riferito Politico .

I funzionari hanno affermato che il lancio è stato pianificato con mesi di anticipo in più agenzie delle forze aeree.

BIDEN DICE CHE IL VOLO DELLA SPIA CINESE “NON È UNA GRANDE VIOLAZIONE”

L’addetto stampa del Dipartimento della Difesa Brig. Il generale Patrick Ryder ha detto ai giornalisti mercoledì che gli Stati Uniti stavano monitorando le pratiche di sorveglianza della Cina prima che l’ultimo pallone arrivasse negli Stati Uniti la scorsa settimana.

Una squadra di Air Force Global Strike Command Airmen ha lanciato un missile balistico intercontinentale Minuteman III disarmato dotato di un veicolo di rientro di prova alle 23:01 PT, 9 febbraio 2023, dalla Vandenberg Space Force Base, California.

Una squadra di Air Force Global Strike Command Airmen ha lanciato un missile balistico intercontinentale Minuteman III disarmato dotato di un veicolo di rientro di prova alle 23:01 PT, 9 febbraio 2023, dalla Vandenberg Space Force Base, California. (US Air Force Foto di Airman 1a classe Landon Gunsauls)

“Ora stiamo imparando di più sulla portata di questo programma cinese di sorveglianza dei palloni, che l’intelligence statunitense e il Pentagono osservano da diversi anni”, ha affermato. “La nostra consapevolezza e comprensione di questa capacità è aumentata”.

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“Se si guarda alla portata di questo programma, che opera in almeno cinque continenti in regioni come l’America Latina, il Sud America, il Sud-est asiatico, l’Asia orientale e l’Europa, ancora una volta dimostra perché, per il Dipartimento della Difesa, la Cina rimane il sfida di ritmo e qualcosa su cui continueremo a concentrarci”, ha aggiunto Ryder.

Jennifer Griffin e Caitlin McFall di Fox News hanno contribuito a questo rapporto.

L’incidente del pallone cinese potrebbe cambiare in modo decisivo le dinamiche dello “Stato profondo” della Cina e degli Stati Uniti, di ANDREW KORYBKO

La traiettoria lungo la quale tutto dovrebbe svolgersi rimarrà probabilmente all’interno dei parametri stabiliti in questo pezzo. Se ciò dovesse cambiare, allora verrà preso in considerazione nelle analisi di follow-up che incorporeranno qualunque sviluppo possa essere nel grande modello strategico che è stato appena condiviso e potrebbero quindi rimodellare di conseguenza le valutazioni su queste dinamiche di “stato profondo”. In ogni caso, si spera che il lettore apprezzi questo nuovo paradigma attraverso il quale interpretare l’incidente del pallone.

Palloncino cinese o cigno nero?

L’incidente del pallone meteorologico cinese potrebbe passare alla storia come un punto di svolta in termini di quanto in modo decisivo potrebbe cambiare le rispettive dinamiche di “stato profondo” della Cina e degli Stati Uniti. Da metà novembre, entrambi stavano perseguendo l’auspicata nuova distensione, ma ora la prima fazione amica degli Stati Uniti, fino a quel momento presumibilmente predominante, è in disparte, mentre quella anti-cinese della seconda, la cui precedente influenza è stata sostituita dai suoi rivali anti-russi su Trump La sconfitta elettorale del 2020 è ora di nuovo in rapida ascesa.

Briefing di base: la nuova distensione, le relazioni russo-cinesi e l’incidente del pallone

Per comprendere correttamente il significato di ciò che è appena accaduto, i lettori intrepidi sono incoraggiati a rivedere i seguenti pezzi per il contesto. Questo ” Exposing Western Media’s Narrative Agenda In Spinning The Sino-American New Détente ” descrive in dettaglio i progressi compiuti tra Cina e Stati Uniti sulla New Détente, che possono anche essere descritti come le loro discussioni su una serie di compromessi reciproci volti a “normalizzare” ” le loro relazioni, fino all’inizio di gennaio.

La recente analisi che chiede ” Perché il capo della CIA ha detto inaspettatamente la verità sui legami russo-cinesi ” chiarisce le relazioni di quei partner strategici multipolari tra le false percezioni propagate contro di loro sia dalla Alt-Media Community (AMC) che dai Mainstream Media (MSM ) allo stesso modo, sebbene ciascuno guidato da programmi ideologici diversi e per fini narrativi diversi. È fondamentale valutare accuratamente le loro relazioni alla vigilia dell’incidente del pallone per apprezzare cosa potrebbe accadere dopo.

Per quanto riguarda quell’incidente stesso, questa serie analitica in tre parti ne discute diverse dimensioni:

* ” Gli intransigenti cinesi e americani sono probabilmente responsabili del rinvio del viaggio di Blinken a Pechino ”

* ” Dieci domande legittime sulla gestione da parte di Biden dell’incidente del pallone meteorologico cinese ”

* ” Non c’è assolutamente modo che il presidente Xi fosse a conoscenza del pallone cinese in anticipo ”

In breve, i pezzi precedenti sostengono che le fazioni militari intransigenti in entrambi hanno fatto deragliare la Nuova Distensione.

Da questa osservazione, di cui gli intrepidi lettori possono saperne di più rivedendo la suddetta serie di articoli in tre parti i cui dettagli vanno oltre lo scopo di ripetere in modo ridondante nel presente pezzo, diventa chiaro che le loro rispettive dinamiche di “stato profondo” probabilmente cambieranno in un modo decisivo. Questa conclusione si basa sul fatto che ciascuna delle loro fazioni militari intransigenti abbia svolto ruoli complementari nell’incidente del pallone cinese che ha portato a ritardare il viaggio del Segretario di Stato Antony Blinken a Pechino.

Le dinamiche dello “stato profondo” degli Stati Uniti sono cambiate in modo decisivo

La sua visita programmata avrebbe dovuto vedere le loro leadership politiche compiere ulteriori progressi sul loro obiettivo comune di una nuova distensione, ma l’intero processo è ora messo in discussione a causa di ciò che è appena accaduto. L’intervento senza precedenti di entrambe le loro fazioni militari intransigenti nel dominio della politica estera, e più in generale in quello della grande strategia, potrebbe far deragliare la loro traiettoria precedente e quindi condannarli a una rivalità ancora più feroce che mai che potrebbe aumentare le possibilità di un conflitto convenzionale .

La fazione militare anti-cinese della linea dura degli Stati Uniti dovrebbe quindi lavorare a stretto contatto con i repubblicani allineati ideologicamente per infliggere un colpo mortale alla nuova distensione e quindi dare la priorità a riorientare gli sforzi globali di “contenimento” del loro egemone unipolare in declino sulla Cina invece che sulla Russia . Di fronte a questo scenario credibile, la fazione militare anti-USA della linea dura della Cina potrebbe a sua volta prevalere su quella amica degli Stati Uniti, attualmente predominante ma sempre più screditata, per scoraggiare l’America in modo più deciso.

La nuova grande traiettoria strategica lungo la quale gli eventi potrebbero presto svilupparsi potrebbe portare gli Stati Uniti ad accelerare una cosiddetta uscita “salva-faccia” dalla loro guerra per procura contro la Russia attraverso l’Ucraina , in modo da “contenere” più efficacemente la Cina in Asia all’indomani di l’incidente del pallone. La Germania e la Polonia giocherebbero quindi un ruolo maggiore di ” guida da dietro ” nel “contenere” la Russia per conto dei loro protettori al fine di liberare le sue risorse militari per accelerare il suo “Pivot to Asia” (P2A) finora lento.

Le dinamiche dello “stato profondo” della Cina sono cambiate in modo decisivo

In risposta, la Cina potrebbe considerare di violare le sanzioni secondarie degli Stati Uniti che finora ha tacitamente rispettato attraverso l’invio di letali aiuti militari alla Russia al fine di ritardare il summenzionato perno del suo rivale sistemico. ” La Cina non vuole che nessuno vinca in Ucraina ” poiché beneficia dell’acquisto massiccio di risorse scontate dalla Russia vendute a un valore inferiore a quello di mercato a causa della pressione occidentale e della Russia che distrugge le scorte della NATO che ora vengono tutte inviate in Ucraina invece che in Asia , ergo questo scenario.

Mosca potrebbe non essere interessata a questo se Washington le offrisse un accordo ragionevole per porre fine ai combattimenti lì, che dovrebbe iniziare almeno de facto con il riconoscimento della riunificazione delle ex regioni ucraine con la Russia . In quello scenario, la Russia riequilibrerebbe più efficacemente il suo parziale relazioni sbilenche con la Cina ribaltando i loro ruoli l’uno rispetto all’altro al momento diventando una delle valvole insostituibili del suo partner dalla ritrovata pressione occidentale sull’entrata in piena forza della P2A.

La fazione militare anti-statunitense della linea dura della Cina avrebbe quindi il successo dei suoi sforzi per scoraggiare in modo più deciso l’America in Asia, dipendente in modo sproporzionato dalla Russia, che dovrebbe assistere la Repubblica popolare in misura incerta in cambio di vantaggi economici e tecnologici. L’equilibrio di influenza nella Nuova Guerra Fredda tra l’Occidente guidato dagli Stati Uniti d’ Oro Billion e il Global South guidato congiuntamente da BRICS e SCO , di cui questi due fanno parte, si ricalibrano quindi a favore di Mosca.

L’inevitabile ascesa del sud del mondo

Anche i partner strategici speciali e privilegiati della Russia da decenni in India trarrebbero enormi benefici anche alla luce dell’ascesa astronomica di quello stato-civilizzazione come Grande Potenza di importanza globale nell’ultimo anno, determinata dalla sua pragmatica politica di neutralità di principio nei confronti del Nuovo Guerra fredda. Diventando con successo il kingmaker in questa competizione mondiale sulla direzione della transizione sistemica globale , Delhi potrebbe così mantenere l’equilibrio di influenza tra Pechino e Washington.

Per quanto riguarda il primo, il suo nuovo ruolo nei confronti della grande strategia cinese integrerebbe quello della Russia nei confronti dell’India, funzionando anche come una delle valvole insostituibili di quel paese dalla nuova pressione occidentale, che potrebbe essere sfruttata per risolvere finalmente le loro controversie sui confini a favore di Delhi. come contropartita. Per quanto riguarda il secondo, l’India continuerà a rafforzare in modo completo le sue relazioni strategiche con gli Stati Uniti principalmente nei domini economico-tecnologico e militare per bilanciare l’ascesa della Cina nella loro regione.

Nel mezzo dell’esacerbazione della dimensione sino-statunitense della Nuova Guerra Fredda causata dalla sequenza di eventi che l’incidente del pallone dovrebbe catalizzare, Russia e India continueranno a portare avanti il ​​loro grande obiettivo strategico condiviso di accelerare l’evoluzione della transizione sistemica globale dalla Cina al Da bi-multipolarità americana a tripolarità prima della sua forma finale di multipolarità complessa (“multiplexity”) . Il Sud del mondo nel suo insieme sarà quindi inevitabilmente salire come un terzo polo con il tempo grazie ai loro sforzi congiunti.

Pensieri conclusivi

Naturalmente, la previsione dello scenario condivisa in questa analisi può essere controbilanciata dal fatto che le leadership politiche cinesi e statunitensi lavorino con successo attorno alle loro fazioni militari ostruzioniste e intransigenti per salvare la loro sperata Nuova Distensione, anche se le possibilità che ciò accada sono basse. Inoltre, la fazione anti-russa degli Stati Uniti potrebbe anche “diventare canaglia” provocando unilateralmente quella grande potenza presa di mira al fine di mettere in moto una reazione a catena di eventi geostrategici che sabota ogni possibile accordo di pace in Ucraina.

Tutto sommato, la traiettoria lungo la quale tutto dovrebbe svolgersi rimarrà probabilmente all’interno dei parametri stabiliti in questo pezzo. Se ciò dovesse cambiare, allora verrà preso in considerazione nelle analisi di follow-up che incorporeranno qualunque sviluppo possa essere nel grande modello strategico che è stato appena condiviso e potrebbero quindi rimodellare di conseguenza le valutazioni su queste dinamiche di “stato profondo”. In ogni caso, si spera che il lettore apprezzi questo nuovo paradigma attraverso il quale interpretare l’incidente del pallone.

https://korybko.substack.com/p/the-chinese-balloon-incident-could

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COSTITUZIONE E CANZONETTE, di Teodoro Klitsche de la Grange

COSTITUZIONE E CANZONETTE

A vedere l’omelia di Benigni a Sanremo sulla “Costituzione più bella del mondo” (di cui è l’interprete certificato), mi è venuto in mente quello che scriveva della sovranità del popolo Massimo Severo Giannini – e può essere adattato alla Costituzione nel frangente – che il popolo sovrano esiste solo nelle canzonette. Non posso dire con certezza quale dei molti significati possibili tale espressione volesse privilegiare.

Se quello dei realisti politici, che a governare è sempre la classe dirigente e non le norme né le “masse”; ovvero che il giurista pensasse alla tesi di Lelio Basso (e non solo) che la sovranità (del popolo) italiano fosse andata persa con la sconfitta in guerra e la subordinazione al vincitore più potente; ovvero all’incapacità del popolo di dirigere una macchina così complessa (e altro).

Tuttavia resta il fatto che il pistolotto sul palco dell’Ariston ha collocato la Costituzione nel posto  dall’ironia di Giannini assegnato alla sovranità: nelle (o almeno tra) le canzonette. E anche il ritornello che la Costituzione è la più bella del mondo esprime una (profonda) verità, da collegare per l’appunto (anche) alle canzonette.

Attribuire il predicato della bellezza è un giudizio estetico: si può legittimamente dire che è bella la Vittoria di Samotracia, ma è più bella un’auto di Formula 1 (come sosteneva Marinetti), che lo è la Carmen o la Nona Sinfonia; può piacere il Giudizio Universale di Michelangelo e l’Entierro del Senor de Orgas di El Greco. Tuttavia nessuno attribuirebbe, al contrario, quale (primo) giudizio positivo a un sant’uomo che è bello; o che S. Francesco e S. Martino donando beni ai poveri avessero fatto una bella azione anziché buona. Ovvero che era bello il Piano Marshall e brutte le riparazioni del Trattato di Versailles. Per il diritto che è bello il corpus juris e brutto l’Editto di Rotari. A seconda delle attività umane vi sono delle qualificazioni – positive o negative – appropriate alla natura delle stesse. Per le costituzioni da Polibio in poi, passando per de Bonald il giudizio positivo è dato (prevalentemente) dalla durata e dall’aver contribuito all’indipendenza e potenza dell’unità politica. Ci sono anche costituzioni belle; ma così belle che non furono mai applicate come la costituzione giacobina francese o quella polacca del 1791 (tra l’altro la prima costituzione europea scritta – che durò pochi mesi). Onde dare un attributo positivo (e improprio) di bellezza non le distingue (e non le santifica).

Tuttavia nel chiamare bella la costituzione vigente c’è qualcosa di vero e di necessitato. Vero perché se non la più bella del mondo, quella italiana è un compromesso, tuttora appetibile, almeno sul piano dei principi tra diritti umani, sociali ed economici, cui hanno contribuito le più influenti culture politiche del XX secolo; dell’altro, dati i risultati degli ultimi trent’anni, non resta che riferirsi al testo piuttosto che alla sua “applicazione”, in particolare a quella più recente. E ai partiti che si sono più “intestati” la difesa della Costituzione, come il PD, riportando un consenso deludente che dimostra, semmai, come l’entusiasmo verso la stessa è variegato, ma ormai minoritario.

C’è un’altra ragione perché il giudizio sulla bellezza della Costituzione abbia comunque un significato. Le opere d’arte definite belle sono un frutto dell’immaginazione umana, del poeta, del musicista o del pittore. La Divina Commedia è una straordinaria costruzione dell’immaginazione e non un atlante del pianeta e dell’universo. Come gli orologi di Dalì non sono un prodotto della tecnica o la Venere di Botticelli un disegno di anatomia. O che Astolfo sia stato sulla Luna a cercare il cervello di Orlando. Tutti tali artisti hanno immaginato mondi, uomini, cose (ed imprese). La fantasia poetica e la bellezza hanno compensato l’irrealtà di queste.

Ma in politica vale come principio generale quello di Machiavelli, da me spesso citato, che è “più conveniente andare dietro alla verità effettuale della cosa che alla immaginazione di epsa”. Ma proprio la “verità effettuale”, così modesta costringe ad illudersi, scambiando l’immaginario (bello) per il reale “brutto”. Come d’altra parte, abitudine consolidata negli ultimi decenni.

Teodoro Klitsche de la Grange

Ucraina 27a puntata, primi importanti scricchiolii_Con Max Bonelli e Stefano Orsi

La coperta disponibile per le forze armate ucraine comincia a restringersi troppo per poter coprire l’intero fronte. Le difficoltà emergono su numerosi punti di contatto e con esse i primi segnali di sbandamento. Più la situazione tende a sfuggire, tanto più la morsa del regime si stringe sulla propria popolazione e lo scontro politico assume i contorni di una vera e propria faida. La realtà di un regime che ha sempre meno a che fare con gli interessi di un popolo che pretende di rappresentare comincia ad emergere anche tra i più ferventi sostenitori. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
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