MASCHERA E VOLTO DEL POLITICAMENTE CORRETTO, di FF

FF da una parte e alcuni altri intellettuali di matrice marxiana, tra i quali Andrea Zhok e Alessandro Visalli, dall’altra sono sicuramente la punta di diamante di una critica al neoliberalismo, intesa come pervasiva ideologia dominante sussunta dal capitalismo; in grado quindi, grazie a questo connubio, di ridurre progressivamente la società ad un conglomerato di individui in condizione di isolamento nichilista, tenuti paradossalmente insieme da una forma inedita di totalitarismo e autoritarismo. Tutti giustamente antepongono al concetto di individuo quello fondativo di comunità, giacché ciascuno può quanto meno essere definito individuo solo in quanto appartenente ad una comunità e ad un sistema di relazioni sociali. Arrivati a questa sacrosanta constatazione la critica sembra però da tempo arenarsi correndo addirittura continuamente il rischio di ricadere in concezioni superate nella loro rappresentazione sistemica e dogmatica, smentite dagli sviluppi storici dei due secoli passati. Il contesto è prematuro e le difficoltà enormi da superare prima di riuscire in un vero salto teorico ed individuare nuove chiavi interpretative utili alla costruzione di orientamenti politici alternativi efficaci. La riesumazione di vecchi termini per tentare di perimetrare nuovi concetti non aiuta di certo a compiere questo salto così necessario. Il termine socialismo è appunto uno di questi escamotage di fatto fuorvianti. Con socialismo, nella accezione più coerente e riconosciuta nella fase di massima spinta dei movimenti rivoluzionari tra seconda metà del XIX e prima metà del XX, si è intesa una forma di regime transitorio necessario ad estinguere il rapporto sociale di produzione capitalistico in favore di quello comunista grazie al quale si sarebbe reso superflua una qualsiasi forma di regime politico, tanto più se basato sulla forza e sull’oppressione tra diseguali. Come si sa, la dura realtà delle cose ha spostato a data da determinarsi il compimento di una tale missione e ha reso sempre meno univoca la definizione di un tale regime oltre a costringere a celare fin quando possibile le prosaiche efferatezze rese necessarie al procrastinarsi di tali regimi, nella loro forma più radicale e coerente. Tali esperimenti, con ogni evidenza, sono falliti e si sono trasformati nella negazione delle migliori intenzioni perché in sostanza avevano l’ambizione di costruire “l’uomo nuovo” pieno delle sue virtù e privo delle sue abiezioni piuttosto che proporre un nuovo regime politico, comunque necessario, in grado di valorizzare diversamente le une e le altre, tutte presenti nella natura umana e nella storia dei rapporti politico-sociali. In questo alveo ha trovato un suo spazio ed una sua legittimazione la velleità della programmazione e del calcolo centralistici integrali delle attività economiche sulla falsariga dei grandi passi in avanti offerti dal capitalismo con la sua spinta al calcolo e all’ottimizzazione dei fattori economici; velleità confutata alla fine anche da marxisti stessi di provata fede, ma non dogmatici del calibro di Althusser e Bettelheim. Hanno nascosto nuove gerarchie e diseguaglianze dietro una rappresentazione egualitaria più rozza e altrettanto ingannevole, nel medio periodo, di quella proposta dall’eguaglianza tra possessori dei mezzi di produzione e possessori della mera forza lavoro proposta dagli apologeti del capitalismo. Il termine socialismo, in una accezione ormai sempre più vaga e sempre più vicina al significato di comunitarismo sta servendo in realtà a contrapporre sempre più la presunta superiorità morale e funzionale del regime cinese rispetto a quello americano; il controllo politico del rapporto sociale capitalistico e dei capitalisti in particolare operante in Cina rispetto al dominio (potere) politico detenuto direttamente dai capitalisti, in particolare di quelli finanziari, negli Stati Uniti. In Cina prevarrebbe il senso comunitario e politico delle scelte, negli Stati Uniti, con il neoliberismo imperante, prevarrebbe totalitariamente e irrimediabilmente la visione economicistica e individualistica delle relazioni tale da disgregare senza via d’uscita la società e da garantire il potere politico pressoché esclusivo, piuttosto che il dominio, di capitalisti sempre più arroccati. In Cina prevarrebbe con successo la partecipazione, la mediazione politica positiva e la sintesi politica rispetto agli stessi interessi economici; negli Stati Uniti sarebbero gli interessi economici capitalistici a prevalere e a dettare legge sino a ridurre tutta la vicenda umana al suo aspetto economico. In realtà è vero che in Cina, su base territoriale e provinciale, vigono forme di partecipazione, mediazione e composizione politica frutto di antiche tradizioni, ma anche del persistente municipalismo comunitario nato con la rivoluzione comunista e della sua convivenza con la diffusione della iniziativa privata individuale disconosciute nel mondo occidentale anche nelle sue reali modalità di formazione delle gerarchie e di sviluppo dei conflitti. Anche negli Stati Uniti, a dire il vero, esiste a livello territoriale una diffusa base civica e comunitaria viva e vivace anche se dalle forme diverse e spesso parassitarie e decadenti nelle sue aree metropolitane. L’emergere di una figura come Trump non fa che confermare questa permanente vitalità.
La visione neoliberale e neoliberista trova certamente ragione d’essere negli Stati Uniti ma soprattutto, anche se non esclusivamente, come rappresentazione ideologica da dare in pasto al popolo americano e ai paesi subalterni. Rimarrà uno strumento ed una rappresentazione necessari e decisivi solo fino a quando le élites e i centri decisionali riterranno di poter imporre e riproporre la loro visione e il loro dominio unipolare. E’ il permanere di questa ambizione, in condizioni impraticabili, che li potrebbe spingere a procrastinare questa rappresentazione e a correre verso il disastro. Nel loro bagaglio teorico e politico esistono però altri armamentari alternativi, paragonabili a quelli russi e cinesi o anche possibili adattamenti della matrice liberale, già per altro intravedibili in alcune emergenti forme di realismo politico.
Saranno in ultima istanza le scelte politiche e il loro grado di realismo a determinare la prevalenza delle diverse forme di rappresentazione.
Cambiano invece le dinamiche verticali di esercizio del potere centrale all’interno dei due paesi. Sulla base della tradizione confuciana, la selezione delle élites e soprattutto degli attori nei centri decisionali in Cina avviene attualmente su una base più meritocratica rispetto a quella americana; è anche vero, però, che quella stessa tradizione ha conosciuto nel tempo, nei secoli, alti e bassi nella sua efficacia ed efficienza grazie alle dinamiche interne e alle eterne contrapposizioni con i potentati locali, spesso e volentieri veri e propri signori della guerra. Dinamiche che in forme diverse si ripropongono anche ora in quel paese. Come pure ad una maggiore efficacia e stabilità corrisponde una progressiva rigidità rispetto all’esercizio americano; rigidità che potrebbe rendere più difficoltosi e dolorosi eventuali adattamenti.
Ciò che sembra offrire maggiori opportunità e potenzialità alle élites cinesi rispetto a quelle americane è stata soprattutto l’abilità delle prime a sfruttare gli spazi offerti dalla globalizzazione a propulsione americana e dalle velleità di un impossibile controllo unipolare di quest’ultima, specie a partire dalla presidenza Clinton. Una dinamica ascendente rispetto a quella americana quantomeno stazionaria; in grado quindi di fornire strumenti di coesione maggiori, almeno teoricamente.
Un dinamismo cinese che deve ancora trovare conferme definitive di successo rispetto alla progressiva chiusura degli spazi e alla capacità di reazione della potenza a stelle e strisce.
Elites che a loro volta ospitano entrambe, a pieno titolo nel proprio seno, anche se con pesi diversi ma non opposti nella funzione capitalisti e finanzieri.
Se socialista quindi si può definire, quello cinese, è solo per la permanenza del ruolo del partito negli equilibri politici, certamente non per le finalità ultime, specie millenaristiche, di quel regime. A conferma della similarità tra le due formazioni emergono le tentazioni di controllo totalitario e integrale della popolazione, già operante in alcune città cinesi, legato all’uso ostentato delle nuove tecnologie informatiche rispetto alle modalità più surrettizie e meno esplicite, ma simili nella sostanza, in atto sul suolo americano.
Quanto alla politica estera non si tratta di superiore levatura morale nei comportamenti, quanto di capacità di potenza, di ambizioni territoriali legati alla capacità, di sapienza diversa. Sono questi i parametri che dovrebbero orientare le scelte politiche e geopolitiche degli altri paesi, compresi l’Italia.
In aggiunta a questi rilievi rimane un altro grande vuoto e comprensibile omissione nell’individuazione della natura dei regimi di potenze attive nelle dinamiche geopolitiche: la sostanza, la natura e le modalità operative della formazione sociale russa e delle sue élites; riemerse a pieno titolo nell’agone geopolitico, capaci di collocare esplicitamente l’azione politica come metro delle scelte nei vari campi e di offrire una visione di comunità esente da rimembranze socialiste.
In conclusione l’azione politica può essere motivata dalla volontà di garantire le condizioni politiche di giustizia, benessere, uguaglianza ed emancipazione degli strati popolari di una società, sempre specificando l’accezione da offrire a quei termini. Del resto la quasi totalità delle rivoluzioni hanno sbandierato tali finalità per riproporre nuove gerarchie e nuove modalità di esercizio del potere. Fondamentale è garantire la dinamicità, il ricambio e l’allargamento delle modalità di formazione delle classi dirigenti; soprattutto rimane essenziale rifuggire dalle tentazioni di cambiamento della natura umana foriere di drammatiche e tragiche eterogenesi dei fini a scapito di quelle stesse componenti sociali che si vorrebbe difendere ed emancipare.
Buona lettura_Giuseppe Germinario
MASCHERA E VOLTO DEL POLITICAMENTE CORRETTO, di FF
A differenza di quanto comunemente si ritiene, nella attuale società occidentale non prevale affatto una forma di estremo relativismo culturale, dato che in realtà si tratta di un relativismo solo apparente.
Infatti, se davvero prevalesse una qualche forma di relativismo culturale (dato che un estremo relativismo culturale è praticamente impossibile), la nostra società sarebbe caratterizzata dalla tolleranza e dal rispetto nei confronti di coloro che non condividono gli schemi concettuali dell’ideologia liberale politicamente corretta. Viceversa il politicamente corretto non ammette che vi siano opinioni o idee diverse da quelle neoliberali, tanto è vero che si cerca di vietare, anche con la forza (della legge), tutto quello che si contrappone al “pensiero (unico) neoliberale”.
Da un lato, quindi, il liberalismo politicamente corretto, ossia soprattutto il neoliberalismo di sinistra, si contraddistingue per una negazione radicale dell’idea stessa di “natura umana”, in quanto si tratterebbe solo di “metafisica” – quasi che la metafisica fosse una forma di superstizione e non contraddistinguesse gran parte della cultura europea (e sotto questo aspetto difficilmente si può negare che anche una acritica e “semplicistica” interpretazione del pensiero di Nietzsche e Heidegger abbia favorito questa assurda concezione della metafisica) -; dall’altro, però, i valori dell’ideologia neoliberale vengono considerati assoluti e indiscutibili, come se l’ideologia neoliberale fosse una teoria scientifica che solo un “troglodita” potrebbe mettere in discussione.
Il risultato è che dei gruppi di pressione particolarmente aggressivi e appoggiati dal grande capitale, che ovviamente ha tutto l’interesse ad eliminare tutto ciò che può ancora ostacolare la mercificazione di ogni ambito vitale, sono ormai in grado di diffondere la loro immagine (fasulla) del mondo, senza (almeno per ora) incontrare nessuna seria “resistenza”, giacché il politicamente corretto, come ogni forma di totalitarismo, può contare sul conformismo culturale nonché sul timore di essere emarginati ed “esclusi” se ci si azzarda ad “andare controcorrente”.
Pertanto, non sorprende nemmeno che più si è conformisti più si venga considerati “trasgressivi”. Guitti di vario genere (non solo cantanti e attori ma pure giornalisti e intellettuali) vengono così considerati “personaggi trasgressivi” solo perché diffondono i più triti luoghi comuni del politicamente corretto, godendo peraltro del pieno sostegno dei media degli oligarchi neoliberali.
Si è quindi perfino giunti a vedere dappertutto il fascismo – ossia ciò che l’ideologia neoliberale considera fascismo – tranne quello presente nella propria testa, al punto che il politicamente corretto si configura come una paradossale forma di permissivismo autoritario e di anticonformismo conformista. Si assiste perciò anche a grottesche forme di “disarcionamento”, giacché ormai rischia di venire accusato di essere fascista, sessista, razzista od omofobo e via dicendo pure chi è considerato un difensore del politicamente corretto. Insomma, quel che conta è solo spingersi sempre più avanti, per paura di essere “sorpassati” e finire tra le file dei “reprobi”.
In questo senso, quelli che per semplicità si possono definire i “destri” (neofascisti, razzisti, “nazipopulisti” od omofobi che siano) sono i migliori, anche se inconsapevoli, alleati dei neoliberali di sinistra (ovverosia sono degli “idioti” – nel senso etimologico del termine – socialmente e politicamente utili), giacché forniscono loro la giustificazione per imporre la propria (aberrante) ideologia politicamente corretta.
Il politicamente corretto costruisce così dei muri ben peggiori di quelli che vorrebbe abbattere e al tempo stesso giustifica le peggiori forme di diseguaglianza economica e sociale, con la scusa di difendere i cosiddetti “diritti individuali” che sovente altro non sono che espressione della ideologia della classe dominante.
In sostanza, il neoliberalismo di sinistra, anche se in apparenza rifiuta la “logica” secondo cui il Politico si struttura e si articola in base all’alternativa “o amico o nemico”, di fatto cerca di imporre proprio questa “logica” in ogni ambito sociale (in primis nel sistema educativo) strumentalizzando la miseria culturale e il disordine mentale della destra cosiddetta “populista”.
Di questo ne dovrebbero essere consapevoli coloro che, pur non ignorando le “dure repliche” della storia del Novecento, ritengono che l’unica società razionale possibile (certo non intendendo per razionale solo la mera razionalità strumentale) sia una società socialista. Vale a dire che è sul “terreno” del Politico (geopolitica e antropologia politica incluse) che ci si può ancora opporre, secondo una prospettiva socialista e comunitaria, all’ideologia neoliberale politicamente corretta.
Tuttavia, ciò è possibile solo se si abbattono “vecchi” steccati ideologici e se ci si libera definitivamente di una concezione economicistica nonché di quell’ottuso scientismo che anziché ostacolare favorisce proprio le peggiori forme di irrazionalismo e di anti-intellettualismo, come la stessa vicenda del Covid ha ampiamente dimostrato.
Dovrebbe essere chiaro cioè che un conto è riconoscere che il processo di civilizzazione non sarebbe possibile se non ci fossero dei progressi, sia sotto il profilo sociale che sotto quello culturale, e un altro è invece l’ideologia progressista che spaccia per progresso la dissoluzione di ogni legame comunitario e di ogni “espressione culturale” che non siano “funzionali” all’attuale società di mercato ovvero si considera come un progresso l’annientamento di tutto quel che può ostacolare gli interessi del grande capitale sedicente “cosmopolita”.
Nondimeno, si deve ammettere che la fine di quello che si potrebbe definire il “paradigma marxista” ha creato un “vuoto” culturale e politico che è ancora ben lungi dall’essere colmato, sempre che non si vogliano prendere in seria considerazione le assurde e puerili forme di complottismo di varia specie che si sono diffuse in questi ultimi decenni. Di fatto, tranne alcune pur rilevanti eccezioni, anche coloro che criticano duramente l’attuale società di mercato sembrano ancora essere “prigionieri” di schemi concettuali non solo obsoleti ma “incapacitanti”, ostinandosi a difendere quel che è già scomparso o che comunque è destinato a scomparire.
In definitiva, non si tratta di negare che la questione del lavoro e quindi dei diritti sociali ed economici sia una questione della massima importanza, ma di comprendere che la nostra società non la si può cambiare “partendo” dal lavoro (dalla fabbrica, ecc.), perché è solo combattendo sul “terreno” politico-culturale che è possibile cambiare pure le condizioni del lavoro. In altri termini è l’“ideologia della merce” (quindi della mercificazione della natura e delle stesse persone), della quale il politicamente corretto è l’espressione più coerente e “matura”, che si deve combattere se si vuole contrastare con successo la concezione secondo cui anche il lavoro sarebbe una merce.
Chiedersi come possa essere una società socialista o se si preferisce postcapitalistica (il termine conta relativamente poco) può essere utile per avere le idee più chiare, ma è evidente che è assai improbabile che nei prossimi decenni si possa realizzare qualcosa di simile. Quel che invece è possibile e necessario in questa fase storica (questo è il senso del mio post ‘Maschera e volto del politicamente corretto’) è contrastare l’ideologia della merce e questo dovrebbe essere il minimo comune denominatore in grado di unire diverse energie intellettuali e morali ancora presenti nella nostra società.
La struttura della stessa società postcapitalistica del resto non potrebbe che configurarsi in forme diverse, giacché sarebbe il frutto di questa battaglia che non può che essere diversa nei diversi Paesi in quanto non può non dipendere dalle condizioni storiche e culturali di ciascun Paese (che senso avrebbe altrimenti parlare di socialismo comunitario?).
Tuttavia, nella attuale fase storica del nostro Paese e in generale dell’Occidente sono ancora da creare le condizioni per combattere questa battaglia.
E’ quindi questo il problema che si dovrebbe cercare di risolvere e non è certo un problema facile da risolvere. In pratica siamo solo all’inizio di una fase storica che non concerne solo l’Occidente e che si configura come un periodo di transizione che non si sa quanto possa durare, benché tutto lasci pensare che sarà assai lungo e difficile, e il cui esito non è affatto scontato
Brevissima nota a proposito della frase di F.F. , di Roberto Buffagni
“coloro che, pur non ignorando le “dure repliche” della storia del Novecento, ritengono che l’unica società razionale possibile (certo non intendendo per razionale solo la mera razionalità strumentale) sia una società socialista.” R
ilevo che l’espressione “società socialista” va riempita di nuovo contenuto, e che questo contenuto non è già noto e autoevidente, proprio a causa delle “dure repliche della storia” e, aggiungo io, delle aporie teoretiche del marxismo.
Questo F.F. lo sa bene, e infatti tenta, nella sua ricerca, di riempire di nuovo contenuto la parola “socialismo”.
Non tutti lo sanno, né tutti conoscono la ricerca di F.F..

All’ombra del Re Sole, di FF e Andrea Zhok

Cosa succederà a questa insulsa e supponente classe dirigente euro-atlantista, da decenni ormai abituata ad agire all’ombra e sotto protezione, quando i loro mentori, burattinai per meglio dire, non avranno più i mezzi e forse la voglia di assecondarli? Qualche segnale è già arrivato nel recente passato. Ci penseranno le potenze rivali a mettere a nudo la reale consistenza dei loro atti solenni. Buona lettura, Giuseppe Germinario
Quos Deus perdere vult, dementat prius, di FF
Il botolo euro-atlantista, convinto, perché protetto dal suo (pre)potente padrone d’oltreoceano, di poter mordere impunemente pure chi è di taglia assai più grossa di lui, all’improvviso ha scoperto che chi di sanzioni ferisce di sanzioni può perire.
Prima la Cina e ora la Russia hanno cercato di ricordare all’UE che vi sono limiti che non si possono superare senza subirne le conseguenze, ma l’insipienza degli euro-atlantisti è ormai tale che scambiano la loro fasulla rappresentazione del mondo per il mondo reale.
Difatti, convinti di potere favorire colpi di Stato e “rivoluzioni colorate” o di potere appoggiare movimenti neofascisti e personaggi (a dir poco) “equivoci”, senza patirne le conseguenze, solo perché difenderebbero una democrazia che invero sono i primi a calpestare confondendola con una dittatura oligarchica e plutocratica (viene in mente il bue che dà del cornuto all’asino…), adesso si scandalizzano perché anziché darle rischiano di prenderle.
In sostanza, gli euro-atlantisti adesso si indignano per un “atto ostile” della Russia nei confronti dell’Europa ma che altro non è che un avvertimento che dovrebbero prendere in seria considerazione, giacché, in sostanza, significa “non fare agli altri ciò che non vorresti che gli altri facessero a te”.
Tuttavia, per gli euro-atlantisti prima di tutto conta obbedire al padrone d’oltreoceano, anche perché sono persuasi che, comunque vada, le conseguenze della loro insipienza (geo)politica non saranno loro a pagarle. Il che però non è affatto così scontato come pensano individui ridicoli che, sebbene ricoprano incarichi politici importanti, forse non sanno nemmeno con quali Paesi confina la Russia (o la Cina), per non parlare della storia della Russia (o della Cina).
Eppure è proprio la storia che dovrebbe insegnare che ogni volta che gli europei hanno sottovalutato la potenza e le capacità della Russia hanno fatto una brutta fine, benché si debba riconoscere pure che “quos Deus perdere vult, dementat prius”.
C’è speranza per tutti, di Andrea Zhok.
E’ arrivato il quarto d’ora di celebrità anche per David Sassoli.
Non gli dev’esser parso vero di ritrovarsi nella lista delle personalità cui Putin ha vietato l’ingresso in Russia.
<<Ma allora sono una personalità!>>
<<Se mi cacciano, vuol dire che esisto!>>
Si inaugura così la prima variante europeista del cogito cartesiano:
“Vetor ergo sum”
(Vengo interdetto, dunque esisto)
Cercando di battere il ferro finché è caldo, l’ex conduttore televisivo, nonché ex trombato alle elezioni comunali di Roma si è poi lanciato in un fiero “Le minacce non ci zittiranno!” che lascia trasparire il proverbiale coraggio civile che ne ha animato l’intera carriera.
Il Sassoli già si vede effigiato nell’autobiografia di prossima uscita – con prefazione di Paolo Mieli:
“Quella volta in cui Putin voleva farci tacere!”
Il momento di gloria si chiude con una citazione di Tolstoj prelevata di peso da Wikipedia: “Non c’è grandezza senza verità”.
Ecco, a proposito di verità.
Sassoli ha omesso di ricordare che, come precisato dal corpo diplomatico russo, il divieto d’accesso alla Federazione Russa è semplicemente una risposta all’analoga sanzione promossa dall’UE nei confronti di sei personalità russe il 22 marzo scorso.
Sempre a proposito di verità, Sassoli ha omesso anche di ricordare che queste sanzioni UE seguivano una sequela di sanzioni unilaterali europee a partire dal 2014, promosse a sostegno del governo ucraino nel contenzioso con la Russia sulla Crimea, e poi reiterate e ampliate in innumerevoli altre occasioni (caso Skrypal, incidente di Kerch, caso Navalny, ecc.) fino a coinvolgere 177 cittadini e 48 enti giuridici russi.
Le sanzioni includono oltre alle misure restrittive individuali (congelamento dei beni e restrizioni di viaggio), svariate sanzioni economiche (limitazione all’accesso ai mercati dei capitali primari e secondari dell’UE da parte di banche e società russe, divieti di esportazione e di importazione, limitazioni all’accesso russo a servizi e tecnologie utilizzati per la produzione e la prospezione del petrolio, ecc.)
Ecco, a ben pensare una cosa non si può negare: il Presidente del Parlamento Europeo ha tutti i titoli per esprimersi con competenza sul detto “Non c’è grandezza, senza verità”.

NOTTE FONDA, MA SOLO IN OCCIDENTE_di FF

NOTTE FONDA, MA SOLO IN OCCIDENTE
Come sempre in tempi di insicurezza politica e sociale e di grave crisi economica si diffondono le peggiori forme di irrazionalismo, che, lasciando spazio a ciarlatani e demagoghi di ogni risma, sembrano offrire non solo una “immagine del mondo” che non richiede particolare “ingegno” o cultura per essere compresa dai “semplici”, ma pure un facile rimedio ai mali che affliggono le “moltitudini”.
Capacità di organizzazione, lucidità di pensiero e ordine mentale non vengono così neppure presi in considerazione, quasi che bastasse una folla inferocita per “cambiare il mondo”. Eppure è noto che se nei secoli passati le “moltitudini” potevano uccidere qualche nobile o incendiare qualche castello, poi tutto tornava come prima. Bastava cioè una “decisa” carica di cavalleria e mozzare qualche “testa calda” per calmare i bollenti spiriti delle “moltitudini”.
In politica centomila teste, sempre pronte ad azzuffarsi tra di loro perché ciascuna vuole difendere solo il proprio “bene” anche a scapito di quello degli altri, valgono assai meno di mille teste che vedono il bosco oltre agli alberi, ossia hanno uno scopo comune e soprattutto sanno come perseguirlo, senza anteporre il proprio interesse a quello del gruppo cui appartengono.
D’altronde, miseria, rabbia e disperazione hanno sempre contraddistinto la vita delle “moltitudini” nei secoli passati, ma non hanno mai abbattuto i muri della prigione in cui le “moltitudini” erano rinchiuse, tranne quando, nel cosiddetto “secolo breve”, le “moltitudini” sono diventate dei veri eserciti, guidati da “rivoluzionari di professione” o comunque era il “moderno principe” a guidarle. Anche il “secolo breve” però è finito, perlomeno in Occidente in cui le “moltitudini” sembrano tornate ad essere quel che sono state nel corso dei millenni.
E con i “nuovi tempi”, non più diversi da quelli “vecchi”, i “signori” sono tornati a comandare e le “moltitudini” ad ubbidire anche se ancora pronte a seguire l’arruffapopolo di turno, sia che si tratti di qualche “signore” che vuole fare le scarpe ad altri “signori” carpendo la fiducia delle “moltitudini”, sia che si tratti del solito cieco che vuol guidare degli altri ciechi, scambiando la propria immagine fasulla del mondo per la realtà. Sotto questo aspetto, conta relativamente poco pure che oggi sia la destra a pretendere o a far finta di rappresentare gli interessi delle “moltitudini” mentre la sinistra difende a spada tratta quelli dei nuovi “signori”, giacché quel che conta davvero è che le “moltitudini” pensino e si comportino come vogliono i “signori”, e che gli “eunuchi”, di destra o di sinistra che siano, facciano bene il loro mestiere.
Dunque, tutto come prima o perfino peggio di prima?
No. E non solo perché i nuovi “signori” non sono dei “signori” ma in buona misura sono solo “plebaglia” arricchita e volgare, ovverosia non tanto perché considerino dei maestri di pensiero e di morale saltimbanchi, pagliacci e ballerine, o perché siano privi di quel senso estetico che una volta caratterizzava il mondo indubbiamente “feroce” dei “signori” ma che ha lasciato opere che “impreziosiscono” tuttora la vita delle stesse “moltitudini”, quanto piuttosto perché pensano di potere governare il mondo grazie all’aiuto (certo non disinteressato) degli “eunuchi” e di quella sorta di “liberti” che sono i cosiddetti “tecnici”, mentre è solo il “loro mondo” che governano.
Nuove “moltitudini”, infatti, sono comparse sul palcoscenico della storia, anch’esse guidate se non da “rivoluzionari di professione” da capi capaci e soprattutto decisi a non servire più coloro che ancora credono di essere i “padroni del mondo”. Sicché, chi pensa che ormai sia possibile soltanto una continua “variazione” o “ricapitolazione” di quel che in Occidente già esiste, ignora che i confini dell’Occidente non sono (ancora?) i confini del mondo. Vale a dire che ignora che non esiste solo la storia dell’Occidente e che pertanto pure la storia dell’Occidente, comunque la si pensi, è ben lungi dall’essere terminata.

 

I significati di una scelta_ di Giuseppe Germinario, Antonio de Martini, FF

Già dalle prime mosse Mario Draghi sta confermando la sua missione di “costruttore”. Con la nomina di Gabrielli a sottosegretario, di Curcio alla Protezione Civile, del generale Figliuolo a Commissario per l’emergenza Covid ha dato un bello scossone a tre degli apparati chiave così come si sono assestati in questi ultimi dieci anni. Ha concesso a man bassa posti di sottosegretario ed alcuni ministeri secondo le logiche da manuale Cencelli, ma ha mantenuto strettamente il controllo diretto o indiretto dei ministeri economici e della sicurezza; ha affidato alcuni ministeri chiave a politici di peso (Guerini e Giorgetti) dei due partiti più importanti, ma ne ha svuotate in parte le competenze di uno di essi. La defenestrazione di Arcuri e la mancata conferma di numerosi funzionari del governo precedente segnano probabilmente una svolta importante. Rappresentano l’inizio di un declino di un ceto manageriale e dirigenziale radicatosi progressivamente in quaranta anni e consolidatosi negli ultimi quindici. Una discesa che trascinerà con sè il partito che più ne è stato l’espressione e il fattore di coagulo e legittimazione; quel Partito Democratico ormai da anni in crisi di consenso, con una base elettorale stravolta rispetto alle origini, ma che rimane abbarbicato da più di venti anni e sostenuto dai centri di governo e di potere più stantii, con una funzione assertiva e un dinamismo talmente insufficiente da mettere a repentaglio la coesione interna del paese e l’utilità stessa della sua collocazione internazionale pur così remissiva ed accondiscendente. Devono essersene resi definitivamente conto anche a Washington e Londra soprattutto, ma anche più a malincuore a Berlino e Parigi. Non sarà solo il PD a pagare pegno. Man mano che saranno evidenti l’insulsaggine, i misfatti e la distruttività dell’azione del Governo Conte nella corrente emergenza sanitaria ed economica agli occhi della popolazione e nel ruolo internazionale, specie nel Mediterraneo, agli occhi dei centri di potere, l’acclamazione di Giuseppe Conte a salvatore del M5S rischierà di trasformarsi nella condanna definitiva all’estinzione del movimento durante una fase di competizione, simile per altro ad un abbraccio mortale, più che di occupazione di spazi complementari, con il suo alleato piddino. Un sodalizio che rischia di trasformarsi in un abbraccio mortale. Se questo schieramento sarà chiamato a pagare pegno nell’immediato, il futuro riserverà qualche sorpresa anche nel centrodestra, in particolare nella Lega. L’impegno dei tre commissari sarà probabilmente la prova generale per una riconfigurazione e un riordino dei poteri e della gestione dello Stato e soprattutto di una ridefinizione più chiara dei poteri dello stato centrale rispetto alle amministrazioni periferiche. L’intento sarà di porre fine alla surrettizia e logorante competizione sulle competenze tra Stato centrale e regioni e ad una definizione delle gerarchie più favorevole e funzionale allo Stato Centrale; scemerà con esso l’argomento con il quale si è alimentato il radicamento e la ragion d’essere della Lega e soprattutto potrà dissolversi l’equivoco di un partito proclamatosi nazionale ma con una classe dirigente in realtà ancora espressione di una parte geografica del paese. Tutto dipenderà dalla forza effettiva di Mario Draghi e dalle logiche geopolitiche che determineranno l’importanza e il ruolo dell’Italia nel contesto europeo e mediterraneo; quanto alla forza e alla consapevolezza dei centri interni al paese, tutto sembra muoversi ancora sotto traccia. Non è un buon segno. Ne vedremo comunque delle belle e soprattutto di drammatiche. Non sarà facile costruire o ricostruire sulle ceneri di questo sistema partitico i soggetti politici incaricati di garantire il “front-line”. Personaggi del calibro di Mario Draghi non devono e di solito non gradiscono rimanere troppo esposti per lungo tempo. Devono farlo in situazioni di emergenza; ma le emergenze per definizione vivono in tempi delimitati. Potrebbero quindi rimanerne prigionieri; non sarebbe la prima volta di una guerra lampo trasformatasi in guerra di posizione, se non in una disfatta_Giuseppe Germinario

SIGNIFICATI DI UNA SCELTA PRIMAVERILE, di Antonio de Martini
Mentre la macchina della disinformazione é occupata a “scaricare” il sig Domenico Arcuri sulle braccia dell’avvocato Conte e dei 5 stelle, ma io l’ho conosciuto a Invitalia nel 2005 come rappresentativo del giro “ Prodi& Co”,
vorrei fare un piccolo ragionamento sui significati del gesto di sostituire un borghese con un militare.
Il primo significato da dare a questo gesto é dimostrare che si vuole agire e liberarsi del malcontento generale provocato dalla pandemia e accentuato dalla “mala gestio” in specie della informazione al pubblico che non si é mai sentito rassicurato vedendo i propri leader rubare il ruolo ai rispettivi addetti stampa invece di contrastare coi fatti l’epidemia.
Gente che non rispetta il proprio ruolo, non può pretendere il rispetto altrui.
Il secondo significato é che Draghi ha dato dimostrazione di indipendenza decisionale rispetto al sistema dei partiti che lo ha nominato, prescindendo dai meriti o demeriti del sig Arcuri che altri giudicheranno.
Il terzo significato é stato il riconoscimento implicito che la sorgente della sovranità é la competenza e non il suffragio popolare.
Non conosco il generale Figliuolo, ma é incontestabile che sia stato scelto per la competenza che gli viene da studi rigorosi dove la logistica é materia di studio continuo ( Accademia, 2 anni; Scuola di applicazione 2anni; Scuola di guerra 3 anni) e dal ruolo ricoperto di ispettore logistico dell’Esercito: l’unica organizzazione in Italia a gestire oltre centomila uomini ( e numerosi ospedali) sparsi in una ventina di paesi.
Nel gesto e nella accettazione generale della decisione c’é anche qualche importante e sotteso significato politico e,segnatamente, l’inizio della fine della competenza regionale su un affare tanto serio quanto la salute dei cittadini.
La conquistata libertà di circolazione delle persone ( e merci) ha comportato libertà analoghe per bacilli, batteri, virus e contagi.
Che senso hanno ormai cambi di regolamenti sanitari ogni cento chilometri?Che senso ha una regione come il Molise, la Liguria, il Friuli o la Basilicata ?
La ripartizione regionale avrebbe avuto un senso se i confini avessero ricalcato le frontiere dei vecchi stati preunitari come ha fatto la Germania che si riunificò nello stesso periodo storico.
Gli attuali confini regionali possono al più avere contenuti folcloristici, ove esistenti, e gestire gli investimenti turistici, prima industria nazionale.
Le regioni andranno bene per festival della castagna secca e manutenzioni stradali ma gli standard mondiali e la diffusione delle seconde case – spesso site in altre regioni o stati- la pericolosa velocità dei contagi, chiedono dimensioni analoghe in termini di spazi, procedure e strutture.
Aspettare di giungere a settantamila morti perché si palesasse la presenza dello Stato, é peggio che un crimine: é un errore che farà saltare l’equilibrio sociale e politico della Nazione e se dicessi che mi dispiace non sarei sincero.
Il regionalismo e la politica politicante vanno verso le loro idi di marzo.
UN BRAVO FIGLIUOLO, di Antonio de Martini
Il presidente del Consiglio ha nominato a commissario straordinario per l’emergenza ( ormai permanenza ) Covid 19 , l’ispettore logistico dell’Esercito.
Ovviamente, il generale conosce perfettamente tutte le potenzialità dell’Esercito essendone il responsabile.
Ci voleva una delle menti più brillanti del paese per attivare al massimo livello le FFAA coinvolgendole nella pianificazione invece che nella sola servile esecuzione???
E nessuno mi leverà dalla testa l’idea che la nomina di Arcuri sia stata fortemente caldeggiata da qualcuno che poi ha raccomandato – per interposta persona si capisce- i fornitori che si sono ingrassati sulle spalle dei morti nostri e de li mortacci loro.
Punti interrogativi, di FF
“Mario Draghi è intervenuto in mattinata alla sessione Sicurezza e Difesa del Consiglio Ue, sottolineando l’importanza dell’autonomia strategica dell’Ue in un quadro di complementarietà con la Nato e di coordinamento con gli Usa” (ANSA).
Che significa? Nulla. Parlare di autonomia strategica della UE senza che vi sia alcuna strategia della UE è come pretendere di abitare in un palazzo che non esiste.
Quale sarebbe infatti il nemico dell’Europa se non quello scelto dall’America?
Quale sarebbe la sua politica estera?
Quale sarebbe la sua politica di difesa?
Chi comanderebbe?
Quale sarebbe la sua struttura logistica?
Quale sarebbe la sua forza anfibia?
Quale sarebbe la sua struttura di intelligence?
E l’opinione pubblica europea è forse disposta ad appoggiare una azione militare che potrebbe causare la morte di centinaia o migliaia di soldati europei?
Insomma, come potrebbe l’UE avere autonomia strategica se di fatto dipende del tutto dalla NATO, ossia dagli USA, anche solo per controllare i propri confini?
Peraltro, l’UE ora è priva dell’esercito britannico, in pratica l’unico esercito europeo in grado di svolgere delle “vere” missioni di combattimento (e la Gran Bretagna è pure l’unico Paese europeo che può trarre vantaggio dal sistema Echelon, controllato dagli USA, dalla Gran Bretagna, dal Canada, dall’Australia e dalla Nuova Zelanda).
Di fatto i Paesi europei, tranne per quanto concerne l’impiego di pochi reparti speciali, possono tutt’al più svolgere delle missioni di peacekeeping “sotto l’ombrello” della NATO. La stessa Francia può avere una certa autonomia strategica in Africa, ma nulla di più.
Insomma, il Proconsole si sta rivelando sempre più non uno stratega ma un abile tecnocrate al servizio del grande capitale occidentale, sia per quanto concerne la scelta di ministri e sottosegretari (cui nessuno sano di mente affiderebbe la gestione di un vespasiano), sia per quanto concerne la geopolitica.
In altri termini, si conferma che questo governo deve limitarsi ad eseguire un disegno politico-strategico deciso, almeno nelle sue linee essenziali, dagli incappucciati della finanza, sia pure secondo un’ottica euro-atlantista. E per realizzare un programma politico-strategico certo occorre competenza, ma non intelligenza politica e strategica.
In definitiva, la strategia – sia politica che economica – non è “affare” che riguardi il nostro Paese.

NOTA SULLA “TENTAZIONE” NAZIONAL-POPULISTA …, di FF

NOTA SULLA “TENTAZIONE” NAZIONAL-POPULISTA ALLA LUCE DELLA QUESTIONE (NEO)FASCISTA E DELLA TRASFORMAZIONE IN SENSO ANTISOCIALISTA DELLA SINISTRA EUROPEO-OCCIDENTALE

Non è facile trattare in una semplice nota un argomento come quello che concerne il problema del fascismo e del neofascismo nell’attuale fase storica, contraddistinta da una crisi che non è solo economica ma concerne i fondamenti stessi della civiltà europeo-occidentale. Mi limito quindi ad alcune “sintetiche” (forse, secondo alcuni, anche troppo “sintetiche”) considerazioni di carattere generale. Ritengo comunque necessario, per evitare “spiacevoli equivoci”, precisare che si deve sempre distinguere tra le persone che si definiscono o vengono definite fasciste e neofasciste e, rispettivamente, il fascismo e il neofascismo (e lo stesso vale naturalmente per i nazional-populisti rispetto al nazional-populismo, per i “liberal” rispetto alla sinistra neoliberale, ecc.).

*

Il fascismo nella sua fase iniziale (il “sansepolcrismo”, per capirsi) si presentò come una mescolanza, peraltro assai confusa, di elementi social-rivoluzionari e nazionalismo, in un contesto storico sociale completamente diverso da quello che c’era prima della Grande Guerra. Infatti, l’Italia, benché fosse tra i Paesi vincitori, era uscita dalla guerra con le “ossa rotte” sotto il profilo economico, ma al tempo stesso nutriva ambizioni di grande potenza (la “vittoria mutilata”, ecc.). Inoltre, la rivoluzione russa aveva cambiato l’intero quadro geopolitico e ideologico, diffondendo la paura del “pericolo rosso” tra le file della borghesia europea.

Tuttavia, nelle elezioni politiche del 1919 a Milano il fascismo cosiddetto “rivoluzionario” venne nettamente sconfitto e la stessa “impresa di Fiume”, contraddistinta anch’essa da aspetti social-rivoluzionari e sciovinisti, terminò con un sanguinoso fallimento nel dicembre 1920. Il fascismo comunque riuscì a sopravvivere e a rafforzarsi, grazie soprattutto al sostegno da parte del capitalismo agrario (e poi pure del capitale industriale), ossia diventando il “manganello” della borghesia contro i socialisti e i comunisti.

Nel 1921 entrò quindi a far parte dei Blocchi nazionali (una coalizione di destra) conquistando comunque solo 35 seggi (i Bocchi nazionali ne conquistarono in tutto 105, mentre i socialisti ne conquistarono 123 e i comunisti 15). Nondimeno, nel 1921-22 si moltiplicarono le violenze dello squadrismo fascista, appoggiato anche dagli apparati di coercizione dello Stato, contro i quali, come dimostrarono i fatti di Sarzana del luglio 1921, ben poco poteva fare lo squadrismo fascista. La stessa marcia di Roma, difatti, sarebbe miseramente fallita se l’esercito avesse avuto ordine di impedirla (anche se non è assolutamente certo che l’esercito avrebbe obbedito ciecamente a quest’odine; ma i carabinieri avrebbero certo obbedito, e per sconfiggere lo squadrismo fascista i carabinieri sarebbero stati più che sufficienti, se – s’intende – l’esercito non si fosse schierato con i fascisti).

Il fascismo quindi non conquistò il potere ma si alleò con il potere (a differenza del nazismo, anche se lo stesso nazismo, ispirandosi al fascismo, sfruttò le “debolezze” della repubblica di Weimar, inclusa la mancanza di un forte apparato di coercizione statale, a causa delle limitazioni imposte alla Germania dal trattato di Versailles; ma se durante il regime fascista le camicie nere giuravano fedeltà al re, durante il regime nazista le SS e la Wehrmacht non giuravano fedeltà al Kaiser ma solo ad Hitler).

Il regime fascista comunque non fu certo un regime social-rivoluzionario (lo stesso Stato corporativo fu nella sostanza un fallimento, tranne per il grande capitale), nonostante il “dirigismo” (una scelta giusta e, in un certo senso anche inevitabile) degli anni Trenta (una politica economica che avrebbe però dato i suoi migliori frutti nel dopoguerra). Difatti, nonostante la relativa modernizzazione attuata negli Trenta (sia pure in un quadro di “irreggimentazione” delle masse), il regime fascista non ebbe nemmeno il totale controllo degli apparati dello Stato – tranne una fascistizzazione superficiale, che in pratica era frutto del “matrimonio di convenienza” del fascismo con la monarchia e il grande capitale – come avrebbero dimostrato la disastrosa impreparazione bellica e la ancora più disastrosa e perfino criminale impreparazione (geo)politica e strategica che portarono il Paese sull’orlo della catastrofe già nella primavera del 1941(evitata solo per l’intervento in Africa Settentrionale dei tedeschi) e poi al totale sfacelo all’inizio del 1943.

“Scaricato” dalla monarchia e dal grande capitale (che però pensavano a salvare sé stessi più che a salvare il Paese mettendo fine ad una ignominiosa alleanza che aveva ridotto il nostro Paese a semplice strumento della politica di potenza nazista), il fascismo si dissolse di colpo nell’estate del 1943, e solo per l’incredibile viltà e/o irresponsabile negligenza dei vertici politici e militari – che non diressero, com’era loro preciso dovere, la battaglia di Roma contro i tedeschi, ma lasciarono senza ordini l’esercito, tradendo così l’intero Paese non certo la Germania nazista – si crearono le condizioni per una guerra civile, in cui “riemersero” pure alcuni aspetti del cosiddetto “fascismo movimento” ma in un contesto “segnato” irrimediabilmente dalla alleanza con i tedeschi  e dalle stragi nazi-fasciste, nonché dai fallimenti del “fascismo regime”, di modo che, al di là delle intenzioni di alcuni fascisti, la repubblica sociale tutto poteva essere fuorché una repubblica socialista.

Il vero patriottismo fu dunque quello della Resistenza (scelte diverse si possono comprendere tenendo conto solo del contesto storico, dacché non sono giustificabili sotto il profilo politico), che seppe scrivere delle pagine di storia di alto valore politico e morale, anche se non riuscì ad evitare che il nostro Paese venisse trattato come un Paese sconfitto (un “trattamento” che ha “pesato” non poco nella storia della I Repubblica e di cui ancora oggi l’Italia paga le conseguenze).

*

In sostanza, il fascismo “morì” nell’estate del 1943, e la repubblica sociale fu solo, per così dire, una “appendice storica” di un movimento e di un regime politicamente e storicamente “defunti”.

Lo stesso neofascismo quindi è un fenomeno nettamente distinto dal fascismo e comprende aspetti così diversi – una caratteristica comunque dello stesso fascismo – che lo fanno apparire come un fenomeno storico e politico tutt’altro che “unitario”. Comprende “nostalgici” ma pure filonazisti, antisemiti e filo-sionisti, atlantisti e anti-atlantisti, e via dicendo. Peraltro, si dovrebbe pure distinguere tra “semplici nostalgici” e la cosiddetta “destra sociale” più attenta a “valorizzare” gli elementi social-rivoluzionari (ma sempre “in chiave” antisocialista) presenti nel “fascismo movimento” che non la politica del regime fascista. (Un discorso diverso vale per coloro che identificano nel nichilismo il nemico da combattere, e, quindi – basandosi soprattutto sulla storia comparata delle religioni, le opere di Jünger, ecc. – privilegiano un approccio di tipo esistenziale al Politico. Ma in questo caso non si tratta di neofascismo, bensì di una forma di “anarchismo di destra” – inteso come una  sorta di “via esistenziale” anti-nichilista, contrassegnata da una particolare concezione della “trascendenza” – sempre che non si “intrecci” – e non mancano numerosi esempi di tali “intrecci” – con posizioni neofasciste o addirittura esplicitamente filo-naziste).

Ma, oltre al fatto di “richiamarsi” a questo o quell’aspetto del regime fascista o nazista, ciò che accomuna le diverse forme di neofascismo è l’odio per il socialismo e il comunismo nonché l’esaltazione di qualità cosiddette “virili” (compresa la concezione secondo cui l’uso della forza è “positivo” in quanto tale), che si accompagna non raramente ad un disprezzo per la “ragione” (nel senso di “logon didonai”) che può giungere a negare l’identità sostanziale del genere umano.

Di conseguenza anche il volontarismo e l’irrazionalismo sono tratti costitutivi delle varie formazioni neofasciste, benché si debba tener presente che c’è pure un neofascismo più “moderato” (perlopiù atlantista e filosionista), che non è ostile alla democrazia liberale nella misura in cui sia radicalmente antisocialista e anticomunista. Insomma, l’anticomunismo (incluso, al di là di certi “equivoci lessicali”, l’antisocialismo) sembra essere il tratto distintivo delle varie forme di neofascismo e questo “minimo comune denominatore” ((si badi, necessario ma non sufficiente per definire il neofascismo) ha reso (e rende) possibile pure l’alleanza tra il neofascismo e il liberalismo più marcatamente anticomunista e antisocialista.

Ovviamente, si deve sempre tener conto dei diversi contesti storici. Si pensi ad esempio all’America Latina ovverosia al cosiddetto “fascismo di mercato”, agli “squadroni parafascisti”, ecc. In Europa e soprattutto in Italia, “patria del fascismo”, il neofascismo si è manifestato e non poteva che manifestarsi in forma diversa. In particolare in Italia, oltre ai “nostalgici” (presenti una volta soprattutto nel Movimento sociale italiano) c’è stato un neofascismo ben più “aggressivo”, che si ispirava più al nazismo che al fascismo, e che oltre a scontrarsi nelle piazze e nelle scuole con le varie formazioni comuniste negli anni di piombo, è stato “usato” in chiave anticomunista da centri di potere atlantisti per attuare la “strategia della tensione”, compiere atti terroristici, ecc. (una strumentalizzazione indubbiamente favorita dalle caratteristiche del neofascismo, ossia dal culto della forza e dall’odio per il comunismo oltre, che, almeno in certi casi, da una forma di nazionalismo estremista).

D’altra parte, pure il neofascismo ha “mutato pelle” per così dire, con la scomparsa dell’Unione Sovietica, la fine della I Repubblica e la nascita del “berlusconismo”. Da un lato il neofascismo “moderato” si è riciclato in forma nazional-liberale mirando a rappresentare i “valori” della cosiddetta “maggioranza silenziosa” (media e piccola borghesia) secondo gli schemi concettuali “semplicistici” del berlusconismo. Dall’altro, terminato lo scontro con il comunismo a livello mondiale, i vari gruppetti neofascisti sono diventati sempre più “marginali” e politicamente “insignificanti”.

Del resto, il neofascismo, in tutte le sue forme, in Italia (ma pure in Europa) non può che essere “politicamente parassitario”, non avendo un progetto politico che possa essere condiviso dalla maggioranza degli italiani (e degli europei). Deve quindi necessariamente “appoggiarsi” a qualche formazione liberal-democratica o indossare le “vesti liberal-democratiche” per potere contare sul piano politico.

La crisi del sistema neoliberale, soprattutto a partire dal 2007-08, ha però nuovamente cambiato il quadro politico non solo in Europa ma pure in America, facendo crescere su entrambe le sponde dell’Atlantico una forma particolarmente “aggressiva” di populismo di destra, che, per semplicità, si può definire nazional-populismo. Si è cioè venuta a formare una situazione che offre anche ai gruppetti neofascisti l’opportunità di stabilire nuove alleanze con formazioni politiche nazional-populiste (in cui sono presenti ancora dei “semplici nostalgici”), giacché il nazional-populismo si configura come un estremismo di centro, contraddistinto da un radicale antistatalismo, da anti-intellettualismo e da antisocialismo, nonché, perlomeno in alcuni casi, da una certa xenofobia.

Peraltro, il nazional-populismo trae vantaggio pure dalla progressiva “involuzione” politico-culturale della sinistra, che in buona misura si è trasformata nella “guardia bianca” del grande capitale, rinunciando a rappresentare non solo gli interessi dei ceti sociali subalterni ma pure della piccola e di parte della media borghesia, ossia di ceti sociali penalizzati da una globalizzazione che favorisce soprattutto il grande capitale “transnazionale” o “cosmopolita”.

In questo senso l’accusa generica di fascismo nei confronti dei nazional-populisti può favorire paradossalmente solo i neofascisti e lo stesso nazional-populismo. L’ideologia “politicamente corretta” della sinistra neoliberale porta difatti a formulare dei paragoni e dei giudizi privi di ogni fondamento, che non solo non spiegano le ragioni della nascita e della diffusione del nazional-populismo, ossia del malcontento popolare a causa dei danni causati dall’attuale sistema neoliberista, ma al tempo stesso spingono la piccola borghesia e perfino buona parte dei ceti sociali subalterni ancor più verso le posizioni del nazional-populisti in quanto, in pratica, il nazional-populismo è rimasto l’unico soggetto politico a rappresentare gli interessi di questi ceti sociali.

Il fatto che il nazional-populismo proponga una “terapia” che è se non peggio altrettanto perniciosa del male che dovrebbe curare, dovrebbe invece far comprendere che solo non ignorando le ragioni del malcontento popolare e rappresentando gli interessi dei ceti sociali medio-bassi e subalterni secondo una prospettiva che riconosca il primato della funzione pubblica, e di conseguenza riconosca allo Stato il ruolo di mettere il mercato al servizio della collettività, è possibile sconfiggere il nazional-populismo e al tempo stesso relegare in un ruolo” marginale” e politicamente “insignificante” lo stesso neofascismo.

Cercare quindi di combattere il nazional-populismo senza “accorgersi” del pericolo che rappresenta la sinistra neoliberale equivale a farsi soffocare dal “boa neoliberale” per sfuggire alla “tigre” o, se si preferisce, al “gatto selvatico” nazional-populista. Del resto, se si dovesse usare il termine fascista allo stesso modo dei “liberal”, non sarebbe difficile definire pure questi ultimi “liberal-fascisti”, dato che controllano quasi tutti i gangli vitali dello Stato e della società civile (industria culturale, media, sistema educativo, ecc.), di modo da reprimere ogni forma di “dissenso”. Il neocapitalismo “a guida culturale gauchista” è una realtà che non lascia ormai spazio (politico-culturale) a nessun’altra “voce”. Certo vi è pur sempre la “rete”, ma com’è noto, “in rete” vi è tutto e il contrario di tutto, di modo che è sempre più difficile distinguere tra (la poca) informazione e (la molta) disinformazione.

Di fatto, la sinistra neoliberale (ma anche in questo caso si deve ricordare che non tutte le persone che si definiscono ancora di sinistra si identificano con le posizioni della sinistra neoliberale) non è l’erede della sinistra storica né, a maggior ragione, della Resistenza. Anch’essa ha “mutato pelle” con la fine della I Repubblica (e invero il mutamento era già cominciato alla fine degli anni Settanta) e ormai, dopo tre decenni (un periodo quindi più lungo dello stesso ventennio fascista), può non vedere che il “re è nudo” solo chi non vuole vederlo.

D’altronde, se l’irrazionalismo è tratto distintivo del nazional-populismo, la razionalità meramente strumentale che caratterizza la sinistra neoliberale è anch’essa “negazione” di quella idea di “polis” come spazio sociale e politico della ragione che la civiltà europea ha ereditato dalla cultura greca. Una razionalità al servizio del grande capitale, e che si configura quindi come strumento di dominio dell’uomo sull’uomo e sulla natura (c’è differenza tra dominio e controllo), è una razionalità “dimidiata” che alimenta essa stessa le peggiori forme di irrazionalismo e di alienazione (la sinistra europea, difatti, tranne alcune importanti eccezioni, cerca, tutt’al più, di porre la tecnologia sociale e lo stesso “agire comunicativo” al servizio dei cosiddetti “diritti individuali” – che concernono soprattutto determinati gruppi di pressione -, a scapito dei diritti sociali ed economici, nonché del benessere morale e materiale dell’intera collettività).

*

Non è quindi questione di scelta tra nazional-populismo e sinistra neoliberale. Entrambi sono parte dello stesso sistema neoliberale, anche se la sinistra neoliberale occupa i “piani alti”, e l’alternativa non può certo essere quella di “invertire le posizioni” o addirittura di cercare riparo nei “bassifondi” del sistema neoliberale. Occorre piuttosto avere il coraggio civile e intellettuale di “staccare la spina”, ossia di compiere una sorta di “delinking, in un’ottica che sappia ridefinire la concezione socialista tenendo conto del quadro geopolitico mondiale.

La lotta per l’egemonia a livello mondiale, infatti, nella misura in cui si configura come uno scontro tra la potenza (ancora) egemone (ovvero gli Stati Uniti) e un centro di potenza anti-egemonico (la Cina) caratterizzato da una società “con” mercato anziché “di” mercato (e che ripropone quindi la questione della pianificazione, sia pure in un’ottica diversa da quella che contraddistinse il “socialismo reale”), acquista un significato politico che non si può ignorare, nemmeno alla luce della sconfitta del “socialismo reale” e della stessa fine della socialdemocrazia. In questo senso, “staccare la spina” non equivale a muoversi nel “vuoto”, ma piuttosto significa che si deve agire in una fase storica che proprio perché è estremamente “fluida” lascia ancora spazio per costruire una valida e realistica alternativa all’attuale società di mercato neoliberale.

https://fabiofalchicultura.blogspot.com/2020/11/nota-sulla-tentazione-nazional.html

LA TORRE DI BABELE, di FF

LA TORRE DI BABELE
La montagna ha partorito un altro topolino ed è subito cominciata un’altra zuffa di tutti contri contro tutti.
Difatti, com’è noto, il governo adesso ha imposto nuove misure anti-contagio, dividendo l’Italia in tre fasce (zona rossa, arancione e gialla) in base a criteri che tengono conto della differente situazione delle regioni del nostro Paese per quanto concerne la pressione sul sistema sanitario causata dal virus, ma questi criteri vengono già contestati anche da diversi esperti.
Le regioni, che fino a pochi giorni fa chiedevano che venissero adottate restrizioni più severe, ora criticano il governo perché le nuove misure anti-contagio sarebbero sarebbero insufficienti per ridurre il contagio o, all’opposto, perché sarebbero tropo severe (solo due giorni fa i medici della Lombardia e del Piemonte chiedevano che queste regioni fossero ‘zone rosse’ ma adesso i governatori della Lombardia e del Piemonte criticano il governo perché ha inserito queste regioni nella ‘fascia rossa’).
I ‘nazi-populisti’ dell’opposizione, dal canto loro, pretendono addirittura di sostituirsi ai medici – ossia di stabilire come devono essere curati i malati di Covid – e di debellare il virus lasciando morire a casa i ‘nonni’, perché ormai ‘improduttivi’.
Molti protestano perché penalizzati dalle misure anti-contagio, ma badando soprattutto a difendere i loro interessi e infischiandosene degli interessi nonché della salute degli altri, come se si fosse tornati allo stato di natura immaginato da Hobbes, caratterizzato dalla guerra di tutti contro tutti.
La scuola, che prima del Covid era più simile ad una fabbrica di ‘semicolti idioti’ (nel senso etimologico del termine ossia socialmente più dannosi che utili) che ad un ‘sistema educativo’, è diventata improvvisamente un centro di ‘eccellenza didattica’ di vitale importanza per il Paese, di modo che adesso si può chiudere tutto – fabbriche e ospedali inclusi – tranne la scuola.
Intanto, piccoli ma aggressivi gruppi di interesse si contendono il controllo degli apparati dello Stato per tutelare i loro interessi e/o per imporre i loro ‘particolari valori’ all’intera collettività, spacciandoli per ‘valori universali’, mentre la maggiore preoccupazione del capitalismo ‘tricolore’ è sempre quella di socializzare le perdite e privatizzare i profitti.
Naturalmente, ci sono pure quelli – e il loro numero aumenta ogni giorno, perfino più di quello dei ‘positivi’ – che considerano tutta la ‘vicenda del Covid’ una gigantesca ‘montatura’ allo scopo di instaurare una ‘dittatura sanitaria’, nonostante che lo Stato neoliberale occidentale (meglio ‘rimarcarlo’, dacché in generale in Oriente vi è un diverso ‘senso dello Stato’) sembri una sorta di grottesco e imbelle ‘Stato groviera’ (capace cioè di soddisfare solo gli ‘appetiti’ dei gruppi di interesse più ‘pre-potenti’), per non parlare del governo e della maggioranza ‘giallo-rosa’, che sembrano più simili ad un’armata Brancaleone ma senza Brancaleone (che perlomeno non mancava di coraggio).
***
Impossibile quindi evitare il paragone con la Cina.
Tuttavia, che la Cina sia riuscita a mettere ‘sotto controllo’ il virus non importa quasi a nessuno perché i cinesi sono ‘comunisti’ ossia brutti, sporchi e cattivi (al punto che alcuni accusano i cinesi di avere addirittura diffuso intenzionalmente il virus in tutto il mondo). Ma la Cina come ha messo ‘sotto controllo’ il virus?
‘Lockdown’ durissimo per due mesi, controlli capillari e ‘a tappeto’, personale sanitario e ospedali (costruiti, peraltro, in un batter d’occhio) solo per malati di Covid, eccezionale potenziamento del sistema sanitario, immediata ‘rimozione’ dei dirigenti politici o sanitari inetti, controlli severissimi alle frontiere e misure anti-contagio condivise e rispettate dalla popolazione, pena sanzioni severissime, così la Cina ha messo ‘sotto controllo’ il virus
E se si afferma che questo lo possono fare solo i cinesi, perché in Cina vi è una ‘dittatura’, allora come si può al tempo stesso affermare che Italia vi sarebbe una ‘dittatura sanitaria’?
Ma, si obietta, si può credere che gli ‘arconti dell’Occidente’ abbiano davvero a cuore la nostra salute e in particolare quella dei ‘nonni’? Ovviamente no. Sicché per alcuni questa sarebbe la prova migliore che la ‘vicenda del Covid’ è (perlomeno) una ‘mezza bufala’.
Insomma, per costoro il capitalismo si sarebbe imposto con l’inganno, la truffa e il complotto, non mediante il dominio della natura, sapendo cioè porre la natura e la stessa tecnoscienza al servizio degli interessi della classe capitalistica.
Certo, che per la parte più ‘avanzata’ della classe capitalistica il virus costituisca un’ottima occasione per una ‘distruzione creatrice’, al fine di imporre una nuova forma di capitalismo ‘green e digitale’, come, del resto, già stava accadendo prima del Covid, è ben difficile negarlo.
Tuttavia, un conto è controllare il virus in funzione dei propri interessi, un altro è ‘ficcare la testa sotto la sabbia’, lasciando correre liberamente il virus, come se il ‘grande capitale’ si potesse permettere di perdere il controllo della natura (tanto varrebbe pensare che la classe capitalistica occidentale si stia comportando come il Romolo Augusto di Friedrich Dürrenmatt!) e la storia del capitalismo non fosse caratterizzata solo dalla lotta tra dominanti e dominati ma pure dalla lotta tra dominanti e quindi dallo scontro tra ‘vecchio’ e ‘nuovo’ capitalismo, nonché dalla lotta per l’egemonia tra i diversi Stati (altro che ‘megacomplotto internazionale’!).
Nondimeno, che il capitalismo non possa ignorare le sfide della natura e della tecnoscienza, perché per il capitalismo o, meglio, per qualsiasi forma di capitalismo è comunque essenziale ‘vincere’ queste sfide – ossia imprimere, per così dire, il proprio ‘sigillo’ su tutto (virus incluso, che potrebbe pure mutare in modo imprevedibile) – a molti, anzi a troppi, non passa neppure per la mente. Difatti, è assai più facile spiegare tutto con i complotti e le ‘filosofesserie’ sulla ‘biodittatura’.

TRA CONSIGLIO EUROPEO e CORTE COSTITUZIONALE TEDESCA, a cura di Giuseppe Germinario

Qui sotto una piccola raccolta di note e considerazioni di FF e Giuseppe Masala_Giuseppe Germinario

GIUSEPPE MASALA

Davvero ma come fa qualcuno a credere che le norme del trattato istitutivo del Mes possano essere sospese/abrogate con la letterina di due commissari europei? E magari una legge dello stato italiano o direttamente una norma di rango costituzionale possono essere abrogate con una dichiarazione di Conte scritta da Casilino. Ma per favore, levate la scolarizzazione di massa, dite che all’Università possono andare solo coloro che hanno conto in banca in Svizzera, ditta con domicidio fiscale in Olanda e possibilmente doppio cognome nobiliare. Dite che dobbiamo andare a zappare e non fate più studiare nessuno. Però non provate a prenderci per il culo così. PS L’Unione Europea va abbattuta.

<<The ESM will also implement its Early Warning System to ensure timely repayment of the Pandemic Crisis Support.>> (Punto 5 Eurogrup Statement). Post sorveglianza. Ecco, l’ombrello di Altan

https://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2020/05/08/eurogroup-statement-on-the-pandemic-crisis-support/?fbclid=IwAR1pBZr0RTe3QNKjLgoCdNxG89xfMfuI12lsQtdmEOgVBJcFzPO4efNybYI

traduzione (con traduttore):

Dichiarazione dell’Eurogruppo sul sostegno alla crisi pandemica

1. Il 23 aprile 2020, Leaders ha approvato l’accordo dell’Eurogruppo in formato inclusivo del 9 aprile 2020 sulle tre importanti reti di sicurezza per lavoratori, imprese e sovrani, pari a un pacchetto del valore di 540 miliardi di EUR, e ha chiesto la loro attuazione da parte del 1 ° giugno 2020. I leader hanno anche convenuto di lavorare per istituire un fondo di risanamento e hanno incaricato la Commissione di analizzare le esigenze esatte e di presentare urgentemente una proposta commisurata alla sfida. L’Eurogruppo in un formato inclusivo continuerà a monitorare attentamente la situazione economica e preparerà il terreno per una solida ripresa.

2. L’Eurogruppo accoglie con favore gli sforzi ben avviati in seno al Consiglio sulla proposta SURE e negli organi direttivi della BEI sull’istituzione del fondo di garanzia paneuropeo a sostegno dei lavoratori e delle imprese europee e conferma l’accordo per l’istituzione di ESM Pandemic Crisis Support per sovrani.

3. Oggi abbiamo concordato le caratteristiche e le condizioni standardizzate del sostegno alla crisi pandemica, disponibili per tutti gli Stati membri dell’area dell’euro per importi del 2% del PIL dei rispettivi membri alla fine del 2019, come parametro di riferimento, per sostenere il finanziamento interno di e i costi indiretti dell’assistenza sanitaria, della cura e della prevenzione dovuti alla crisi COVID-19. Abbiamo inoltre accolto con favore le valutazioni preliminari delle istituzioni sulla sostenibilità del debito, le esigenze di finanziamento, i rischi di stabilità finanziaria, nonché sui criteri di ammissibilità per l’accesso a questo strumento. Concordiamo con l’opinione delle istituzioni che tutti i membri ESM soddisfano i requisiti di idoneità per ricevere supporto nell’ambito del supporto per crisi pandemiche. Con riserva del completamento delle procedure nazionali, prevediamo che il consiglio dei governatori del MES adotti una risoluzione che confermi questo ben prima del 1 ° giugno 2020. Seguiranno le disposizioni del Trattato MES.

4. L’Eurogruppo ricorda che l’unico requisito per accedere alla linea di credito sarà che gli Stati membri dell’area dell’euro che richiedono assistenza si impegnino a utilizzare questa linea di credito per sostenere il finanziamento interno dell’assistenza sanitaria diretta e indiretta, i costi relativi alla cura e alla prevenzione dovuti al COVID 19 crisi. Questo impegno sarà dettagliato in un singolo piano di risposta pandemica da preparare sulla base di un modello, per qualsiasi struttura concessa nell’ambito del sostegno alla crisi pandemica.

5. Concordiamo sul fatto che il monitoraggio e la sorveglianza dovrebbero essere commisurati alla natura dello shock simmetrico causato da COVID-19 e proporzionati alle caratteristiche e all’utilizzo del sostegno per la crisi pandemica, in linea con il quadro dell’UE [1] e le pertinenti linee guida ESM . Accogliamo con favore l’intenzione della Commissione di applicare un quadro di monitoraggio e monitoraggio semplificato, limitato agli impegni dettagliati nel piano di risposta pandemica, come indicato nella lettera del vice presidente esecutivo Valdis Dombrovskis del 7 maggio e del commissario Paolo Gentiloni indirizzata al presidente dell’Eurogruppo . L’ESM implementerà inoltre il suo sistema di allarme rapido per garantire il rimborso tempestivo del sostegno alla crisi pandemica.

6. Concordiamo con la proposta ESM sui termini e le condizioni finanziarie comuni applicabili a qualsiasi struttura concessa nell’ambito del sostegno alla crisi pandemica. Ciò include una scadenza media massima di 10 anni per i prestiti e modalità di prezzo favorevoli adattate alla natura eccezionale di questa crisi [2].

7. L’Eurogruppo conferma che il sostegno alla crisi pandemica è unico, dato il diffuso impatto della crisi COVID-19 su tutti i membri del MES. Le richieste di sostegno alla crisi pandemica possono essere presentate fino al 31 dicembre 2022. Su proposta del direttore generale dell’ESM, il consiglio dei governatori dell’ESM può decidere di comune accordo di adeguare tale termine. La proposta dell’amministratore delegato si baserebbe su prove oggettive sull’andamento della crisi. Successivamente, gli Stati membri dell’area dell’euro rimarrebbero impegnati a rafforzare i fondamenti economici e finanziari, coerentemente con i quadri di coordinamento e sorveglianza economica e fiscale dell’UE, compresa l’eventuale flessibilità applicata dalle competenti istituzioni dell’UE.

8. Il periodo di disponibilità iniziale per ciascuna struttura concessa nell’ambito del sostegno alla crisi pandemica sarà di 12 mesi, che potrebbe essere prorogato due volte per 6 mesi, conformemente al quadro ESM standard per gli strumenti precauzionali.

9. A seguito di una richiesta nell’ambito del sostegno alla crisi pandemica, le istituzioni dovrebbero confermare le valutazioni con il minor preavviso possibile e preparare, insieme alle autorità, il singolo piano di risposta pandemica, basato sul modello concordato.

10. Fatte salve le procedure nazionali relative a ciascuna richiesta, gli organi direttivi del MES approveranno i singoli piani di risposta pandemica, le singole decisioni di concessione dell’assistenza finanziaria e gli accordi relativi alle strutture di assistenza finanziaria, in conformità dell’articolo 13 del trattato MES.

[1] In particolare il considerando 4 del regolamento (UE) n. 472/2013: “l’intensità della sorveglianza economica e di bilancio

FF

Molti si chiedono che avrebbe da guadagnare la Germania a sfasciare l’UE.
Per rispondere a questa domanda si dovrebbe tener presente che gli strateghi tedeschi del capitale ragionano in modo simile ai generali tedeschi della I e della II guerra mondiale, ossia nessuna autentica strategia ma solo efficienza tattico-operativa. Perfino Erich von Manstein, considerato il miglior generale tedesco della II guerra mondiale, nelle sue memorie, “Vittorie Perdute”, e che pure ambiva a dirigere tutte le operazioni sul Fronte orientale, si occupa solo del settore del Fronte di cui era responsabile. Di strategia e dei complessi problemi, non solo militari, di un Paese che combatteva pure nell’Atlantico, nel Mediterraneo e nel Nord Europa contro gli anglo-americani, non vi è traccia nel suo libro.
Certo, sotto il profilo tattico-operativo i tedeschi furono sempre superiori agli Alleati (ma a partire dal 1944 non ai russi, anche se questo aspetto della II guerra mondiale è poco conosciuto) in entrambe le guerre mondiali.
Anche sotto l’aspetto economico ragionano quindi soprattutto in termini di organizzazione, di efficienza e di dominio, anziché in termini di egemonia, di intelligence e perfino di mero interesse (nel senso di business).
Da qui si dovrebbe dunque partire per capire il comportamento della Germania.

GIUSEPPE MASALA

Le linee di credito sanitarie del Mes soprannominate Mes Light stanno diventando un caos completo.

Conte dice che non ne abbiamo bisogno (Renzi sì così come tutto l’apparato piddin-confindustriale) ma che lo approveremo per non far dispetto alla Spagna che lo vuole.
La Spagna oggi risponde che manco per nulla lo vuole.
La Francia oggi fa sapere che manco loro sono interessati.
Ma ieri Gentiloni ha detto che non c’è condizionalità.
Però oggi Donbrovskis dice che c’è condizionalità ma light.
Alla fine parla il Direttore Generale del Mes che dice che c’è una novità: un Meccanismo di Allerta Rapido per la restituzione tempestiva del prestito. Tasso al 0,115%. E se uno non caccia i soldi gli mandano la Banda della Magliana.

Insomma, a me pare che siamo in pieno caos. Al di là delle battute caustiche, secondo voi come potrà agire un qualsiasi governo a Roma se avrà sopra la testa una mannaia che ti impone la restituzione dei trentasei miliardi del Mes a semplice chiamata da Bruxelles e dunque con la necessità di fare a tamburo battente una manovra aggiuntiva che copra la cifra da restituire? E’ chiaro che qualsiasi governo sarà eterodiretto da Bruxelles indipendentemente da quello che sarà il voto degli italiani. E temo che tutta questa tarantella del Mes presunto Light (ma molto hard) abbia proprio quello di ingabbiare qualsiasi maggioranza che possa formarsi a Roma e renderla docile rispetto ai voleri di Bruxelles.

FF

La Germania ha chiaramente rinunciato a sfruttare la pandemia per rifondare l’UE secondo una prospettiva geopolitica ed economica autenticamente europea, preferendo invece, come sempre, una politica fondata sulla sottomissione degli altri Paesi europei anziché sulla cooperazione tra i diversi Paesi europei.
In questo contesto, il futuro del nostro Paese appare disastroso. Si prevede difatti un crollo del PIL di quasi il 10% e un debito pubblico superiore al 150% del PIL, ma nel malaugurato caso di una nuova ondata di Covid-19 la situazione potrebbe essere perfino peggiore.
E’ evidente, pertanto, che se l’Italia dovesse cercare di porre rimedio a questa recessione con gli strumenti attualmente messi a disposizione della UE, ossia eseguendo le direttive di Berlino, le conseguenze per il nostro Paese sarebbero catastrofiche.
Una classe dirigente che accettasse questi diktat non sarebbe dunque diversa da una classe dirigente che dichiara guerra al proprio Paese. Del resto, le guerre oggi non si combattono solo con le armi da fuoco. Si possono impiegare altre armi, ma gli effetti, nella sostanza, sono analoghi a quelli delle guerre in cui si impiegano le armi da fuoco.
Tuttavia, le guerre si sa come iniziano ma non come finiscano.
Di questo dovrebbe comunque essere consapevole perfino una classe dirigente di infimo livello come quella italiana notoriamente incapace di agire strategicamente, giacché da decenni si limita ad eseguire le direttive di centri di potenza stranieri, pur di difendere i propri privilegi.

In realtà la Corte Costituzionale tedesca ha posto dei limiti precisi all’acquisto dei titoli di Stato da parte della BCE lanciando a quest’ultima un ultimatum. Pertanto, perfino Repubblica ammette che “la Bce ha tre mesi di tempo per dimostrare che ‘gli obiettivi di politica monetaria perseguiti dal programma di acquisto di titoli pubblici non sono sproporzionati rispetto agli effetti di politica fiscale ed economica derivanti dal programma’. Al momento, questo il cuore del verdetto, quegli acquisti sono sproporzionati”.
In sostanza, nessuna “monetizzazione” del debito da parte della BCE o se si preferisce nessun “whatever it takes”.
In altri termini, ossia in termini politici, comanda la CC tedesca, cioè la Germania, e la BCE deve eseguire quel che Berlino ordina.

GIUSEPPE MASALA

La Frankfurter Allgemeine Zeitung ci informa che il Servizio Studi del Bundestag ha chiarito che il Governo federale e lo stesso Bundestag (che sarebbe la camera bassa del parlamento tedesco, come la nostra Camera) in ottemperanza a quanto sentenziato dalla Corte di Karlsruhe dovranno adoperarsi per controllare che la Bce si attenga a quanto stabilito. A partire dal rispetto del principio di proporzionalità negli acquisti di assets (Capital Key). Come se non bastasse il controllo – sempre per l’Ufficio Studi del Bundestag – non sarà relativo solo al piano ordinario di acquisti di assets (Pspp) ma anche a quelli straordinari dovuti all’emergenza pandemica (Pepp).

Tutto questo significa che la Politica Monetaria dell’Euro sarà fatta secondo i principi stabiliti dalla Corte di Karlsruhe e verrà controllata dal Senato tedesco. Voi avete votato i vostri rappresentanti al Senato tedesco? No? Allora avete cittadinanza presso una colonia tedesca. Tipo la Namibia e il Camerun dei tempi di Guglielmo II. Era già così da prima ma ora la condizione è cristallizzata giuridicamente.

Rimane da parte mia la stima per la Corte di Karlsruhe che ha indicato chiaramente la via d’uscita. Gli stati sono padroni dei trattati e non i trattati padroni degli stati. Ergo, chi non accetta la condizione di colonia tedesca può tranquillamente stracciare i trattati.

PS Chiaro e palese che in Italia sarebbero pronti ad accettare la condizione di colonia. Altri paesi io non credo. Traete voi la conclusione del tutto.

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-faz_bce_sotto_osservazione_rafforzata/11_34811/?fbclid=IwAR3sXHL84pA0s4Dq7JKwlOQlyWrYwdx_LdXcAyHs_ttS_ROAeSiQgbgIE1s

Il vice Presidente della Bce, lo spagnolo Luis de Guindos dice che la Banca Centrale Europea è sotto la giurisdizione della Corte di Giustizia Europea e non della Corte di Karlsruhe e che entro fine anno il programma di acquisto di titoli arriverà a 1000 mld di euro. Bene, vanno allo scontro frontale con Karlsruhe fino al punto di continuare anche se la Bundesbank decidesse di interrompere il programma. Del resto la sentenza di Karlsruhe ha prescrizioni talmente stringenti tali da rendere impossibili i soliti trucchi per aggirare trattati e sentenze varie. Sembra che Parigi sia disposta a prendersi il rischio della rottura dell’Euro nel medio periodo

Scusate se ci ritorno ancora, ma lascia abbastanza stupefatti il coro di critiche degli europeisti alla sentenza della Corte di Karlsruhe. Credo sia emblematica di come in Italia e in Europa sia completamente saltato il sistema di valori e dunque di valutazione dei fatti. Secondo i dettrattori di Karlsruhe saremmo di fronte ad una “sentenza nazionalista”. Niente di più sbagliato. Siamo di fronte ad una sentenza che ristabilisce i più elementari principi di democrazia. E che ridà ai miei occhi la massima stima dovuta al popolo tedesco e alle sue istituzioni. Se la Cancelleria ormai da qualche lustro occupata dalla Merkel ha accarezzato grazie all’Euro e all’Unione Europea di ridare vita sotto mentite spoglie al Septemberprogramm di Theobald von Bethmann-Hollweg se non direttamente al funesto piano di Walther Funk dell’epoca del Terzo Reich con una sentenza coraggiosissima la severa Corte di Karlsruhe tiene il punto. I beni primari del Popolo tedesco sono la Democrazia e la Sovranità. Beni primari da tutelare ad ogni costo. Anche a costo di perdere danaro se questo significa ricadere nell’errore secolare dell’Imperialismo tedesco di sottomettere gli altri popoli europei.

La Corte lo dice chiaramente, l’Eu non è uno stato federale conseguentemente la Corte stessa fa da guardia alla Sovranità dello Stato tedesco democratico e alle regole sancite nella sua Legge Fondamentale, di fatto, ingabbiando i demoni di epoche che speriamo siano per sempre passate alla Storia. Ogni qualvolta che le istituzioni europee non rispetteranno quanto scritto tassativamente nei trattati e porranno in essere politiche Ultra Vires la Corte interverrà con un fuoco di sbarramento. Anche se si tratta della Banca Centrale Europea. Anche se la Corte di Giustizia Europea la pensa diversamente. Karlsruhe richiamerà le istituzioni tedesche al rispetto dell’ordine costituzionale, qualunque sia il costo economico e politico.

E’ vera, nella concretezza delle cose a noi ci dice male quello che ha stabilito la Corte. Ma il rispetto della Costituzione è fondamentale: nessuno ha dato alle istituzioni UE potere di porre in essere politiche fiscali. Le politiche fiscali sono in capo ai singoli stati e la Corte lo ribadisce. Certo, dicevo, ci dice male sotto l’aspetto pratico: significa che l’Italia (ma non solo l’Italia) per sostenere la crisi in corso nell’ambito della Ue dovrà accedere al Mes, firmare un Memorandum, svendere la democrazia, e sottoporsi a sacrifici speventosi. Ma quelle sono le regole dei Trattati liberamente accettati dai contraenti. Non c’è via di scampo. La Corte forse sa che le regole dei trattati in materia di finanza pubblica sono state scritte male, o più probabilmente nascondono un patto faustiano tendente a demolire gli stati e il welfare in una logica neoliberista? Probabilmente sì. Lo sanno. Sanno anche che ciò che è stato fatto alla Grecia è un crimine. E hanno posto un punto. Un punto storico e dirimente. La Corte sottolinea con forza – lanciando di fatto un appello a tutti gli stati e popoli europei – che gli stati sono i padroni dei Trattati (testuali parole) e non i Trattati padroni degli stati e della democrazia e della libertà dei popoli. La Corte tedesca ha detto chiaro e tondo ciò che con forza finalmente qualcuno doveva avere il coraggio di dire: ogni stato è libero di uscire dalla Ue rompendo i trattati e riconquistando la libertà da una organizzazione tecnocratica, fondata sulla menzogna e sull’inganno. Questo è il punto storico. La Corte di Karlsrhue non ha emesso una sentenza nazionalista, ma una sentenza che ristabilisce la democrazia e il diritto di ogni popolo di essere artefice del proprio destino. Bello o brutto che sia, ma il proprio.

FF

Da ascoltare attentamente l’intervista al prof. Pastrello, che spiega bene la sentenza della CC tedesca e le disastrose conseguenze che può avere per l’Italia

GIUSEPPE MASALA

Davvero è stucchevole questa polemica sul Mes. Non se ne può più. Eppure è giusto controbattere con le povere armi che abbiamo al profluvio ignobile di menzogne da parte di chi vuole a tutti i costi rinchiuderci in questa gabbia.
Ricapitoliamo:

➡️La cifra di 37 miliardi è sovradimensionata per le spese sanitarie, ed è buona solo per consentire ad una banda di malfattori di prodursi in una operazione di saccheggio. Allo stesso tempo è una cifra risibile per rimettere in carreggiata un’economia da 1800 mld di euro di pil.

➡️Tema delle condizionalità ovvero di come ti fregano con le parole. I gerarchi del regime dicono che non ci sono condizionalità tranne quella banale di spendere i soldi nel settore sanitario. Vero e falso contemporaneamente. L’Eu intende per “condizionalità” una richiesta di “aggiustamenti preventivi” all’erogazione della cifra richiesta. Bene questi aggiustamenti preventivi non sono richiesti perchè ieri l’Eurogruppo ha sancito che tutti i debiti dei paesi europei sono sostenibili. Dove sta il trucco? Il trucco sta nel fatto che sono previste azioni correttive ovvero aggiustamenti su deviazioni future che per ora non ci sono ma che sicuramente ci saranno. Secondo voi ci saranno scostamenti rispetto a quanto ad oggi previsto in un’economia che crolla del -9,5% del pil (stima Commissione Europea)? Si andrà molto peggio, per esempio Uk prevede un -14% e i dati che escono sono terrificanti e -9,5% per noi sarà un miracolo irrealizzabile.

➡️Cosa succederà quando ci saranno queste deviazioni rispetto alle previsioni ottimistiche (si, per quanto possa sembrare strano un -9,5% è ottimistico)? Si attiverà (come da comunicato di ieri dell’Eurogruppo) un Early Warning System ovvero un meccanismo di controllo stringente delle politiche fiscali del nostro Governo da parte del Mes (che è una società di diritto privato lussemburghese). In pratica le scelte di governo saranno dettate non dalla volontà democraticamente espressa dal popolo ma da questo Moloch lussemburghese.

➡️Non basta, tenete anche conto che dopo la sentenza della Corte di Karlsruhe la possibilità della Bce di chiudere gli spread e calmierare i tassi sui titoli del debito pubblico di paesi come l’Italia, nella migliore delle ipotesi, si riduce notevolmente.Quindi entreremo in crisi finanziaria netta.

➡️Entrare in crisi finanziaria significa che dovremmo fare una scelta: rimanere appesi all’Unione Europea che ci condannano alla fame pur avendo fondamentali sanissimi (Niip, Saldo partite correnti, Bilancia Commerciale) per dover rispettare regole ideologiche ormai fuori tempo massimo e condannate dalla storia e avendo come unica colpa quella di esserci indebitati in Euro, una moneta straniera che ha i principi di politica monetaria dettati dalla Corte Costituzionale tedesca e controllati dal Bundestag tedesco, oppure dire – una volta per tutte – leviamo il disturbo e magari accettiamo la il Memorandum propostoci dagli Usa.

➡️Ecco, questo bocconcino da 37 miliardi che tanto ingolosisce i nostri politici serve a legarci una volta per tutte al Moloch Europoide.

➡️Evito di ironizzare peraltro sul fatto che 14 miliardi di questi 37 li abbiamo dati noi al Mes qualche anno fa. In realtà si stanno comprando (conncedendoci un prestito netto da 23 miliardi da restituire in comode rate decennali) giusto il tempo per farci ingoiare la riduzione a Romania post caduta del comunismo.

➡️Faccio infine notare che da questa crisi sono in arrivo altri 5 milioni di poveri assoluti che si aggiungono ai 5 milioni creatisi dopo la manovra di aggiustamento strutturale del governo Monti. Bene, si tenga conto che a questi 10 milioni di persone nessuno potrà chiedere di farsi espiantare un rene da vendere al mercato degli organi per risanare (sic) i conti dello stato. A questo giro l’onere dell’aggiustamento non ricade sui disgraziati ma sull’eletta schiera delle classi medie generalmente benpensanti e garantite.

Per quel poco che vale questo è quanto.

le guerre di Israele e il nomos della terra secondo Fabio Falchi

Da sempre il richiamo della terra, la sedimentazione dello spirito, della cultura e dell’anima di un popolo in un particolare territorio hanno suscitato l’interesse di studiosi ed analisti entrando a pieno titolo tra i fattori che determinano le dinamiche geopolitiche, il confronto e il conflitto tra stati e popoli. La retorica sulla globalizzazione in primo luogo e la tesi delle dinamiche del conflitto politico dettate dalla lotta di classe sembravano aver messo definitivamente in secondo piano questo interesse sino a prevederne la totale rimozione. Con il suo ultimo libro “le guerre di Israele e il nomos della terra” Fabio Falchi ci offre un esempio concreto di quanto sia illusoria questa rimozione e di come sia una che l’altra non possano prescindere dalla forza delle radici. Ne discutiamo in questa conversazione. Buon ascolto_Giuseppe Germinario

IL BASTONE AMERICANO E Il “VENTRE MOLLE” DELL’OCCIDENTE, di Fabio Falchi

IL BASTONE AMERICANO E IL “VENTRE MOLLE” DELL’OCCIDENTE

È opinione diffusa tra coloro che (giustamente) criticano la politica di pre-potenza degli Stati Uniti che sarebbe giunto finalmente il momento non solo per l’Italia ma per l’UE di ribellarsi agli USA, perché la politica americana dei dazi e delle sanzioni arbitrarie non colpisce solo l’Italia ma tutta l’Europa. In realtà, è la guerra commerciale degli USA contro l’UE e in particolare contro la Germania che colpisce pure l’Italia. Comunque sia, pensare che ci si debba schierare con la Germania o dalla parte dell’UE per smarcarsi dagli USA significa interpretare i rapporti tra gli USA e l’UE in modo semplicistico e fuorviante.
Invero, la stessa supremazia economica della Germania in Europa (e in generale dell’Europa del Nord rispetto ai Paesi europei dell’area mediterranea) non sarebbe possibile senza l’egemonia (geo)politica degli USA sul Vecchio Continente, giacché gli interessi economici della UE di fatto sono garantiti, sotto il profilo geopolitico e militare, proprio dalla NATO, cioè dagli USA, tanto che se l’UE (che non è né uno Stato federale europeo né una Confederazione europea) dovesse smarcarsi dall’America, rischierebbe di precipitare in un caos geopolitico che non potrebbe non avere conseguenze disastrose per l’Europa.
In sostanza, l’UE, se si sganciasse dagli USA, per non sfasciarsi dovrebbe mutare l’intera sua struttura politica ed economica, per trasformarsi in un vero “soggetto” (geo)politico, rinunciando di conseguenza ad essere una unione competitiva europea, con tutto ciò che ne deriverebbe riguardo ai rapporti tra i diversi Paesi della UE.
Non a caso è sulla debolezza geopolitica e militare della UE che cerca di far leva l’America di Trump, che non è più disposta a subire la concorrenza europea (e soprattutto l’enorme surplus commerciale della Germania) a scapito della bilancia commerciale americana. Difatti, l’amministrazione di Trump rappresenta gli interessi non tanto della middle class cosmopolita americana quanto piuttosto quelli dei ceti medi americani che più sono stati penalizzati dalla crisi economica di questi ultimi anni, ovverosia Trump concepisce la politica di pre-potenza americana in funzione degli interessi della nazione americana più che in funzione della élite cosmopolita neoliberale, e dato che la UE è sì una potenza economico-commerciale ma anche un nano (geo)politico e militare è evidente che l’America di Trump sia convinta di potere vincere la partita contro la Germania o qualunque altro Paese europeo.
Certo, in teoria l’UE “a trazione” franco-tedesca (ma di fatto soprattutto “a trazione” tedesca) potrebbe allearsi con la Russia per cercare di smarcarsi dagli USA, ma chiaramente (perlomeno in questa fase storica) un simile mutamento di rotta geopolitica è pressoché impossibile. Del resto, i gruppi (sub)dominanti europei condividono la stessa ideologia neoliberale e “politicamente corretta” che caratterizza i gruppi (sub)dominanti americani che si oppongono a Trump, né si deve dimenticare che sia in America che in Europa (Italia compresa) gran parte della ricchezza si è concentrata nelle mani di circa il 10% della popolazione, ragion per cui per i gruppi (sub)dominanti occidentali è necessario difendere comunque il sistema (geo)politico ed economico euro-atlantista per opporsi non solo ai nuovi centri di potenza anti-egemonici (Russia, Cina, ecc.) ma anche alle classi sociali subalterne occidentali (che ormai comprendono la maggior parte dei ceti medi).
Vale a dire che (euro)atlantismo e neoliberalismo simul stabunt simul cadent, di modo che, anche se sotto il profilo  economico l’America e l’UE (e in specie la Germania) possono avere obiettivi diversi e perfino opposti, è ovvio che sia i “dem” che gli “eurocrati” considerino estremamente pericolosa la politica di Trump, che (benché  si tratti di una politica che non è esente da notevoli “oscillazioni” e contraddizioni, poiché neppure Trump non può non tener conto degli interessi del deep State statunitense) sembra ignorare il nesso strettissimo che unisce (euro)atlantismo e neoliberalismo, privilegiando invece una prospettiva populista e nazionalista, che rischia di danneggiare gli interessi politici ed economici delle élites cosmopolite neoliberali.
Sia Trump che i populisti europei costituiscono pertanto una minaccia che i gruppi (sub)dominanti neoliberali devono assolutamente eliminare, anche se paradossalmente i populisti (americani ed europei), tranne qualche eccezione, condividono gli stessi principi politici ed economici dei neoliberali.
D’altronde, non è un segreto che la strategia della oligarchia neoliberale mira a promuovere la colonizzazione di qualsiasi sfera sociale e personale da parte del mercato capitalistico e perfino una immigrazione irregolare di massa, nonostante la difficoltà di integrare buona parte dei cosiddetti “migranti economici” (da non confondere con i profughi che sono solo una piccola parte dei “migranti”). Al riguardo è significativo che non vi sia nemmeno una agenzia europea per l’immigrazione in Europa di cittadini extracomunitari che abbiano i requisiti necessari per inserirsi rapidamente nel sistema produttivo, mentre il flusso dei “migranti” che provengono dall’Africa viene gestito da organizzazioni criminali (a conferma, come ben sapeva Thomas Sankara, che coloro che sfruttano l’Africa sono gli stessi che sfruttano l’Europa).
In effetti, tanto più si indeboliscono il legame comunitario e il “senso di appartenenza”, che caratterizzano gli Stati nazionali, tanto più è difficile che emergano delle “contro-élites” capaci di sfruttare l’attuale crisi (non solo economica ma anche di legittimazione) per opporsi al sistema neoliberale (ovviamente secondo una prospettiva politico-culturale nettamente diversa da quella che contraddistingue il neofascismo).
Tuttavia, non è impossibile che da una “costola” del populismo (che peraltro è l’effetto della crisi di un sistema che non sa più risolvere i problemi che esso stesso genera) possa nascere una forza politica in grado di mettere fine alla pre-potenza delle élites neoliberali. In altri termini, parafrasando Carl Schmitt, non si può escludere che si veda solo insensato disordine (anche e soprattutto “mentale”) dove invece un nuovo senso può essere già in lotta per il suo ordinamento. Di questo però sono consapevoli anche gli strateghi del grande capitale (anche se non necessariamente i politici o gli intellettuali neoliberali), dato che difficilmente possono ignorare che l’indipendenza dell’Europa presuppone la sconfitta dell’oligarchia neoliberale.

Superiorità miserevoli, di Fabio Falchi

Molte persone hanno notevole difficoltà a comprendere che i frutti velenosi sono appunto solo dei frutti , ossia che una certa pianta non può che produrre dei frutti velenosi. Il caso di Bibbiano non fa eccezione. Benché sia più che comprensibile che si voglia fare chiarezza su questa vicenda, impegnarsi in questo senso servirà a ben poco se non si capisce che il “sistema Bibbiano” (definiamolo così) e altri simili – come il “sistema Forteto” – non nascono per caso. Non si tratta cioè di semplici “aberrazioni” di un organismo sociale sostanzialmente sano, bensì di manifestazioni di un organismo sociale malato.
In particolare, sotto questo aspetto, è illuminante il “caso Epstein” (e molti altri esempi si potrebbero fare).
Eppure anche il “caso Epstein” non dovrebbe sorprendere. Certo, difficilmente può meravigliare chi, ad esempio, ha letto “Men di Zero” o “American Psycho” di Bret Easton Ellis.
Difatti, anche se ormai il romanzo raramente può essere in grado di farci comprendere il nostro essere-nel-mondo (dacché la forma romanzo nel mondo moderno è legata a doppio filo con l’ascesa e il declino della borghesia, e oggi quella che si definisce borghesia in realtà è postborghesia, ossia la classe sociale dominante – a sua volta divisa in varie sottoclassi – della postmodernità), non si deve generalizzare.
In questo senso, i due romanzi sopraccitati di Ellis sono davvero significativi.
Certo, Ellis non disdegna nemmeno di criticare duramente e apertamente l’industria culturale e in specie il mondo dei media ovverosia il mondo liberal/neoliberal (in pratica, la “sinistra”), che egli accusa di diffondere una ideologia totalitaria che include chiunque tranne chi “fa domande”, chi non “si adegua” ossia chi non è liberal/neoliberale. Si tratta di un ottuso e pernicioso conformismo culturale, politico e morale che si presenta con la veste di una assoluta superiorità morale e che uccide l’arte, l’intelligenza critica e creatrice. Così chi non è liberal/neoliberale è subito accusato di essere un “hater” o un “barbaro” che tutt’al più si può cercare di “salvare” ma a cui si deve togliere “diritto di parola”, ovviamente per il bene dell’umanità (peraltro, Ellis, che pure è omosessuale, non esita nemmeno a parlare di fascismo gay, soprattutto a causa dei cosiddetti “movimenti Lgbtq”).
Più che la sua critica del mondo liberal/neoliberale sono però i personaggi dei suoi romanzi che rivelano alcuni tratti distintivi della attuale società postborghese (che da un lato è figlia di quella borghese, dall’altro ne è, per così dire, l’“immagine speculare”). Difatti, anche Epstein poteva benissimo essere un personaggio di un romanzo di Ellis. Epstein cioè non è un “mostro”, ma il “frutto naturale” della società postborghese. La sua vera colpa è stata quella di esseri spinto “troppo avanti” e di essersi fatto “scoprire”. Non tutto si può rivelare, almeno per ora.
Ma al di là di quel che può pensare Ellis e dei suoi stessi romanzi, si dovrebbe tener presente che se il borghese era sessuofobo, morigerato, tutto lavoro e famiglia, per il postborghese sono proprio i vizi privati del borghese che devono diventare “pubbliche virtù” (benché questa trasformazione – come prova lo stesso “caso Epstein” – richieda del tempo per realizzarsi compiutamente).
L’ arroganza, l’intolleranza, la prepotenza, la miseria esistenziale e in definitiva anche culturale e intellettuale del postborghese, sono allora “mascherate” da una ideologia che rappresenta il postborghese come antropologicamente superiore sotto tutti punti vista, di modo che la stessa illimitata bramosia di possesso e potere che caratterizza la classe sociale cui egli appartiene sia “percepita” dalle masse come ciò che favorisce il progresso dell’umanità ovverosia un imprescindibile fattore di civilizzazione cui solo un “barbaro” può opporsi.
Il nuovo Tribunale dell’Inquisizione può e deve dunque operare per punire i “peccatori” e far trionfare il “bene” nel mondo.

https://www.ilfoglio.it/cultura/2019/09/16/news/il-totalitarismo-dei-buoni-274224/?fbclid=IwAR2Oi69crbVQPC9foRCxQbP5LOcrq6ukxogkUj2lo0Zxl9fqsjNxyY67HAE

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