FEBBRAIO-NOVEMBRE: DIECI MESI TERRIBILI IN CUI POTRÁ ACCADERE DI TUTTO, di Michele Rallo

Le opinioni eretiche

di Michele Rallo

 

 

FEBBRAIO-NOVEMBRE: DIECI MESI TERRIBILI

IN CUI POTRÁ ACCADERE DI TUTTO

 

 

Le presidenziali americane si svolgeranno a novembre, fra dieci mesi. Se si votasse oggi, non ci sarebbe storia: Trump asfalterebbe Biden. E questa volta il risultato sarebbe cosí “rotondo” da non poter giovarsi neanche di qualche provvidenziale “aiutino”, come quelli che i trumpiani sospettano siano stati usati nella tornata precedente. A proposito, perché non si è sgombrato il campo dai sospetti? In fondo, sarebbe bastato relativamente poco per una verifica volta ad appurare che i voti realmente espressi corrispondessero a quelli elaborati dai computer di qualche megasocietá dell’universo big tech.

Sia andata come sia andata in passato, questa volta ci saranno pochi spazi per gli “aiutini” di un certo livello. Per gli “aiutini” minori, invece, temo che si continuerá come al solito, ma ció non dovrebbe incidere sui grandi numeri.

Ma lasciamo stare queste considerazioni e veniamo al dunque. Trump, al momento, appare inarrestabile. Nonostante non sia proprio un simpaticone, e nonostante la miriade di azioni giudiziarie promosse contro di lui. L’elettorato, evidentemente, non ci crede. Anzi, crede che si tratti di trappole organizzate ad arte per metterlo fuori gioco. Certamente, i “servizi” di certi fortissimi poteri che manovrano i destini degli USA (e del mondo) potrebbero tentare una mossa disperata: mettere un’arma in mano al mentecatto di turno e spedirlo a compiere un attentato alla vita del candidato repubblicano. Male che vada, si potrá imputare il tutto al solito fanatico isolato, magari poi abbattuto da un provvidenziale proiettile vagante. Oppure cercare un mentecatto dell’altro fronte e mandarlo ad attentare a Biden. In questo caso, si potrá anche montare la solita cagnara contro i gruppi di “estremisti di destra” da cui sicuramente si scoprirá provenire l’attentatore.

Certo, una cosa del genere sarebbe possibile, ma non probabile. Penso piuttosto che il Deep State interverrá sulle strutture ufficiali del Partito Democratico perché mettano a riposo il vecchietto della Casa Bianca. Con le buone o, se necessario, con qualche pressione non proprio gentile.

Lo stesso can-can di questi giorni potrebbe rientrare in tale quadro, con un alto magistrato che assolve Biden da accuse specifiche, ma che trova il modo per infilare nella sentenza alcune considerazioni – non proprio pertinenti – sulla memoria del Presidente. Ed a questa strana sentenza ha súbito fatto séguito una miriade di riflessioni – non proprio lusinghiere – provenienti dal campo democratico sulla luciditá mentale del povero Biden.

Ma, guarda un po’, adesso scoprono l’acqua calda, dopo avere fatto finta di nulla per anni, quando ancóra si credeva – sará un caso – che Trump potesse essere fermato dalle inchieste della magistratura. Eppure, lo stato delle cose era chiaro a tutti. Anche noi ne abbiamo parlato con dovizia di particolari (e di documentazione fotografica).

Si veda, per esempio, il pezzo pubblicato su “Social” del 29 aprile 2022. Si intitolava «Dietro Biden c’è Obama, dietro Obama c’è Soros», e riferiva di due video che circolavano sul web: «Il primo mostra Biden errare imbambolato durante un ricevimento ufficiale, ignorato da un pubblico che riserva le sue attenzioni unicamente a Barack Obama, che é chiaramente la star della serata. Nessuno si fila il Presidente, che si dirige con lo sguardo nel vuoto verso la direzione opposta. Il secondo video mostra Biden che conclude un intervento ufficiale, si volge verso la sua destra e stende la mano a salutare qualcuno… che non c’é. Impiega forse una decina di secondi per rendersi conto che da quella parte non c’é nessuno. Altra svolta a destra, volgendo il viso al muro e le spalle al pubblico, altri interminabili secondi di imbarazzo generale. Infine, una terza virata di 90 gradi – quella buona – e l’incedere con passo malfermo verso la direzione giusta.»

E allora? Si puó credere che queste cose fossero chiare ad un modesto settimanale nella remota Sicilia, e sfuggissero invece agli autorevoli columnist del “New York Times” o del “Washington Post”? Se ne sono accorti solo ora?

Evidentemente il quadro è cambiato: adesso è chiaro che Biden andrebbe incontro ad un disastro sicuro, e si tenta di correre ai ripari. Il vecchietto va eliminato dalla scena politica, possibilmente nel modo piú soft. O, occorrendo, anche ricorrendo alle maniere forti.

Che so? Una inchiesta sul figlio Hunter, quel gentiluomo che è stranamente diventato pezzo grosso della Burisma, la potente holding ukraina che vorrebbe mettere le mani sul gas del Donbass. E qui mi fermo, anche se sono fortemente tentato di andare aventi sul versante ukraino, molto avanti.

Torniamo alle prossime presidenziali americane. Nella impossibilitá di fermare Trump, i poteri forti devono a tutti i costi fermare Biden. Al suo posto, nella sfida con il tycoon repubblicano, dovrá andare Michelle Obama. Stesso clan, stesso ambiente, stessi santi in Paradiso.

Mancano dieci mesi a quelle che sono le elezioni piú importanti dell’orbe terraqueo. Dieci mesi in cui potrá accadere di tutto. E non solo in America.

 

[“Social” n. 533  ~ 16 febbraio 2024]

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LA DOTTRINA PRIMAKOV, a cura di GILLES GRESSANI

LA DOTTRINA PRIMAKOV

Per capire Putin, è necessario rileggere la prima traduzione francese del testo chiave della dottrina geopolitica russa più influente e meno conosciuta.

AUTEUR
GILLES GRESSANI

TRAD.
DANYLO KHILKO
La doctrine Primakov

Siamo lieti di pubblicare la prima traduzione francese di uno dei testi più rari e influenti della geopolitica russa contemporanea. L’autore, Yevgeny Primakov, allora ministro degli Esteri nei governi Chernomyrdin e Kirienko, è senza dubbio uno dei più influenti operatori delle relazioni internazionali della fine del XX secolo. La direzione che ha dato alla politica estera russa durante il suo mandato rimane fondamentale per la classe politica russa, come è stato recentemente riconosciuto da Sergei Lavrov, il potente ministro degli Esteri dell’amministrazione Putin, attento lettore di questo testo inedito in francese.1 La sua lezione, all’attenzione di avversari politici del calibro di Henry Kissinger, deve quindi essere studiato da vicino.


Внешнеполитическое кредо // Встречи на перекрёстках

Sono entrato nel Ministero degli Affari Esteri in un momento completamente diverso.

HENRY KISSINGER
Dal 2007 al 2009, Evgeny Primakov e io abbiamo presieduto un gruppo composto da ministri in pensione, alti funzionari e leader militari di Russia e Stati Uniti, alcuni dei quali sono qui con noi oggi. Il suo scopo era quello di appianare i punti deboli delle relazioni tra Stati Uniti e Russia e di considerare possibili approcci di cooperazione. In America, questo gruppo è stato definito Track II, ossia bipartisan e incoraggiato dalla Casa Bianca a pensare, ma non a negoziare per suo conto. Abbiamo organizzato incontri in ciascuno dei due Paesi, in modo alternativo. Il Presidente Putin ha ricevuto il gruppo a Mosca nel 2007 e il Presidente Medvedev nel 2009. Nel 2008, il Presidente George W. Bush ha riunito la maggior parte della sua squadra di sicurezza nazionale nella Sala del Gabinetto per un dialogo con i nostri ospiti.

Tutti i partecipanti hanno ricoperto posizioni di alta responsabilità durante la Guerra Fredda. Durante i periodi di tensione, hanno fatto valere l’interesse nazionale del loro Paese. Ma hanno anche compreso, grazie all’esperienza, i pericoli di una tecnologia che minaccia la vita civile e si muove in una direzione che, in una situazione di crisi, potrebbe distruggere tutta la vita umana organizzata. Il mondo era pieno di crisi, alle quali le differenze tra le culture e l’antagonismo delle ideologie conferivano una certa grandezza.

Yevgeny Primakov fu un partner indispensabile in questo lavoro. La sua mente acuta e analitica, arricchita da una comprensione globale delle tendenze del nostro tempo, acquisita durante gli anni trascorsi vicino e poi finalmente al centro del potere, ma anche la sua grande devozione al suo Paese, ci hanno permesso di affinare il nostro pensiero e di contribuire alla ricerca di una visione comune. Non eravamo sempre d’accordo, ma ci siamo sempre rispettati a vicenda. Manca a tutti noi, e a me in particolare, come collega e amico.

↓FERMER
Il Paese si era ormai avviato verso l’economia di mercato e il pluralismo politico. Non tutti erano contenti della disintegrazione dell’Unione Sovietica. Molti erano dispiaciuti di perdere un Paese potente e multinazionale.

HENRY KISSINGER
Alla fine della Guerra Fredda, russi e americani immaginavano una partnership strategica basata sulle loro recenti esperienze. Gli americani si aspettavano che un periodo di minori tensioni avrebbe portato a una cooperazione produttiva su questioni globali. L’orgoglio russo per la modernizzazione del Paese è stato ferito dalle difficoltà causate dalla trasformazione dei confini e dalla scoperta dei compiti erculei che si prospettano per la ricostruzione e la ridefinizione della nazione. Molti, da entrambe le parti, hanno capito che i destini della Russia e degli Stati Uniti non potevano essere separati. Preservare la stabilità e prevenire la proliferazione delle armi di distruzione di massa stava diventando sempre più necessario, così come costruire un sistema di sicurezza in Eurasia, in particolare intorno ai confini della Russia.

Si aprivano nuove prospettive per gli scambi economici, gli investimenti e, per finire, la cooperazione energetica.

↓FERMER
Il passaggio dall’URSS alla Russia ha avuto gravi conseguenze. Il Patto di Varsavia e il Consiglio di mutua assistenza economica furono smantellati. Da lì è iniziato tutto.
Alcuni pensavano che da quel momento in poi la Russia sarebbe entrata a far parte del “mondo civilizzato” come un Paese di seconda categoria. A volte discretamente, a volte pubblicamente, si accettava che l’URSS avesse perso la “guerra fredda” e che la Russia ne sarebbe stata il successore. Si pensava che le relazioni con gli Stati Uniti si sarebbero sviluppate, come era avvenuto con il Giappone e la Germania dopo la sconfitta nella Seconda guerra mondiale. Questi due Paesi avevano visto la loro politica gestita da Washington e non si erano opposti.

Questa visione era condivisa dalla grande maggioranza dei politici nel 1991. Pensavano che questa strategia avrebbe aiutato la Russia a superare i problemi del passato.

Così è diventato di moda dire che i responsabili della riforma economica dovevano trovare un modo per affrontare la “rovina del dopoguerra”.

Un politologo, Roi Medvedev (“Медведев Р. Капитализм в России? М., 1998. С. 98.”, “Roi Medvedev, Capitalism in Russia?”), critica questo scritto “è impossibile paragonare le conseguenze della guerra fredda con quelle della guerra civile [1917-1919] o con quelle della Grande Guerra Patriottica [Seconda Guerra Mondiale].

L’economia dell’URSS, divenuta Russia, non è stata distrutta come alla fine di una guerra convenzionale ed è stata in grado di adattarsi alle nuove prospettive. I problemi dell’economia russa sono stati causati dalle politiche dei riformatori radicali, non dalla guerra fredda. In effetti, durante la guerra patriottica l’inflazione era più bassa rispetto al 1993-1994, così come la crescita.

Adottare un atteggiamento “disfattista”, sia in politica estera che interna, non era un modo per cancellare gli elementi perniciosi dell’eredità sovietica (alcuni aspetti della quale, aggiungerei, dovevano essere eliminati, altri dovevano essere mantenuti). Potevamo democratizzare e riformare la nostra società solo a condizione di non pensare che “laggiù” [in Occidente] tutto fosse armonioso, stabile e giusto, e che dovessimo imitarli a tutti i costi, anche nel loro modo di fare politica.

Questo non significa negare che, alla fine della Guerra Fredda, l’URSS abbia cessato di essere una “superpotenza”. In effetti, la nuova situazione significava che ora c’era una sola superpotenza. Tuttavia, era anche importante capire che il concetto stesso di “superpotenza” era stato ereditato dalla Guerra Fredda. Nessuno poteva contestare il fatto che gli Stati Uniti fossero allora la prima potenza militare, economica e finanziaria. Ma questo Stato non poteva controllare e dirigere gli altri.

È un errore pensare che gli Stati Uniti siano così potenti da far ruotare intorno a loro ogni evento importante del mondo. Un tale approccio ignora la grande trasformazione che è il passaggio da un mondo bipolare conflittuale a un mondo multipolare. Questa trasformazione è iniziata molto prima della fine della Guerra Fredda, con le sue origini nello sviluppo ineguale e i suoi limiti nella logica del confronto tra due blocchi.

HENRY KISSINGER
Non c’è bisogno che vi dica che le nostre relazioni oggi sono molto peggiori di quelle di dieci anni fa. Anzi, probabilmente sono peggiori di quanto non fossero prima della fine della Guerra Fredda. La fiducia reciproca si è dissipata da entrambe le parti. Il confronto ha sostituito la cooperazione. So che negli ultimi mesi della sua vita Evgeny Primakov ha cercato il modo di superare questo preoccupante stato di cose. Onoreremo la sua memoria facendo nostra questa ricerca.

↓FERMER
La fine della guerra ha indebolito notevolmente i legami che legavano la maggior parte dei Paesi del mondo a una delle due superpotenze. La fine del Patto di Varsavia ha allontanato i Paesi dell’Europa centrale e orientale dalla Russia. Questo è ancora più evidente con gli ex membri dell’URSS che sono diventati indipendenti. Anche gli Stati Uniti, sebbene in modo meno evidente, hanno visto gli ex alleati allontanarsi. In particolare, i Paesi dell’Europa occidentale hanno adottato una posizione più indipendente, poiché la loro sicurezza non dipendeva più dall'”ombrello nucleare” americano. Allo stesso modo, il Giappone è diventato in qualche modo più indipendente politicamente e militarmente.

HENRY KISSINGER
Forse il problema più importante era il divario abissale tra due concezioni della storia. Per gli Stati Uniti, la fine della Guerra Fredda ha rafforzato, per così dire, la loro profonda convinzione dell’inevitabilità della rivoluzione democratica. Ha annunciato l’estensione di un sistema internazionale governato principalmente dallo Stato di diritto. Ma l’esperienza storica russa è più complessa. Per un Paese il cui territorio è stato soggetto per secoli a invasioni militari, sia da Est che da Ovest, la sicurezza deve basarsi non solo su fondamenti giuridici, ma soprattutto geopolitici. Ora che il confine, baluardo della sicurezza, è stato spostato di 1000 km dall’Elba verso Mosca, la percezione della Russia dell’ordine mondiale non può prescindere da una dimensione strategica. La sfida del nostro tempo è catturare queste due visioni – quella legalistica e quella geopolitica – in un concetto coerente.

↓FERMER
A questo proposito, è significativo notare come i Paesi non direttamente coinvolti nel confronto tra i due blocchi abbiano mostrato una maggiore autonomia una volta terminata la guerra. Questo è particolarmente vero per la Cina, che è diventata rapidamente una grande potenza economica, e per le nuove unioni di integrazione in Asia, Oceania e Sud America.

Molti pensavano che, una volta superato il confronto ideologico e politico, non ci sarebbero state più tensioni tra gli Stati un tempo rivali. Non è stato così. Anche se la situazione sta cambiando, le mentalità rimangono.

Gli stereotipi che costituivano il pensiero degli statisti della Guerra Fredda non sono scomparsi, nonostante l’eliminazione dei missili strategici e di migliaia di carri armati.

All’epoca non parlavo male dei miei predecessori a causa delle mie convinzioni personali. Non voglio farlo oggi. Ma per capire meglio lo stato d’animo che regnava all’interno del Ministero degli Affari Esteri negli anni ’90, vi racconterò una conversazione tra il ministro russo e l’ex presidente americano. È stata rivelata da Dimitri Simes, presidente del Centro Nixon. Nixon chiese a Kozyrev di spiegare i nuovi obiettivi della Russia. Kozyrev rispose: “Vede, signor Presidente, uno dei problemi dell’Unione Sovietica era che dava troppa importanza agli interessi nazionali. Ora pensiamo al bene di tutta l’umanità. D’altra parte, se lei sa come si definiscono gli interessi nazionali, le sarei grato se me lo spiegasse”. Nixon si sentì “non molto a suo agio” e chiese cosa pensasse Simes della conversazione. Simes rispose: “Il ministro russo è solidale con gli Stati Uniti, ma non sono sicuro che comprenda appieno la natura e gli interessi del suo Paese. Questo, un giorno, causerà problemi a entrambi i Paesi”. Nixon ha quindi risposto: “Quando ero vicepresidente e poi presidente, volevo che tutti capissero che ero un figlio di puttana e che avrei combattuto per gli interessi americani. Quest’uomo, invece, si presenta come una persona molto benintenzionata e comprensiva, in un momento in cui l’URSS si è appena disintegrata e la nuova Russia ha bisogno di essere difesa e rafforzata”.

Molti al MAE hanno diviso il mondo in due parti: i civilizzati e la “feccia” (“шпана”). Pensavano che avremmo avuto successo stringendo alleanze strategiche con i “civilizzati”, cioè i nemici della Guerra Fredda, accettando di avere un secondo ruolo. Era una scommessa rischiosa perché anche molti politici americani volevano questo. Segretari di Stato ed ex vice del Presidente degli Stati Uniti volevano che Washington dominasse le relazioni tra Mosca e Washington. Nel 1994, Zbigniew Brzezinski dichiarò: “D’ora in poi, è impossibile collaborare con la Russia. Un alleato è un Paese che è disposto ad agire in modo genuino e responsabile con noi. La Russia non è un alleato. È un cliente.

Certo, le relazioni con l’Occidente, e in particolare con gli Stati Uniti, sono sempre state di grande importanza. Ma il nostro Paese non deve dimenticare i propri interessi e seguire il passaggio storico verso un mondo multipolare. Dobbiamo preservare i nostri valori e le nostre tradizioni, acquisiti nel corso della storia russa, compresi i periodi imperiale e sovietico.

Esiste una regola molto antica: i nemici non sono permanenti, mentre lo sono gli interessi nazionali. Questa idea ha guidato e guida tuttora la politica estera della maggior parte dei Paesi del mondo. Durante l’era sovietica, tuttavia, abbiamo dimenticato questa massima e gli interessi nazionali sono stati talvolta sacrificati al sostegno degli “amici permanenti” e alla lotta contro i “nemici permanenti”.

Oggi, dopo la Guerra Fredda, la Russia, come altri Paesi, ha il diritto di garantire la propria sicurezza, la propria stabilità, l’integrità del proprio territorio, di ricercare il progresso economico e sociale, di lottare contro le influenze esterne che potrebbero cercare di dividere la Russia e gli altri membri della “Comunità degli Stati Indipendenti” [ex membri dell’URSS].

Coloro che vogliono avvicinare la Russia e l’Occidente pensano che l’unica alternativa sia un graduale ritorno al confronto. Questo non è vero.

HENRY KISSINGER
Quindi, paradossalmente, ci troviamo ancora una volta di fronte a un problema essenzialmente filosofico. Come possono gli Stati Uniti andare d’accordo con la Russia, che non condivide affatto i loro valori, ma che è una parte essenziale dell’ordine internazionale? Come può la Russia garantire la sua sicurezza senza allarmare i suoi vicini e farsi dei nemici? Può la Russia assicurarsi un posto negli affari mondiali senza turbare gli Stati Uniti? Gli Stati Uniti possono difendere i loro valori senza essere visti come se volessero imporli? Non cercherò di rispondere a tutte queste domande, ma piuttosto di incoraggiarne l’esplorazione.
Molti commentatori, sia russi che americani, hanno affermato che la cooperazione tra i due Paesi per creare un nuovo ordine internazionale è impossibile. Per loro, Stati Uniti e Russia sono entrati in una nuova guerra fredda.
Oggi, il pericolo non è tanto il ritorno al confronto militare, quanto la continua convinzione, da entrambe le parti, di una profezia che si autoavvera. Gli interessi a lungo termine di entrambi i Paesi richiedono la creazione di un mondo in cui le fluttuanti turbolenze di oggi lascino il posto a un nuovo equilibrio, sempre più multipolare e globalizzato.

↓FERMER
Da un lato, la Russia deve cooperare con le altre potenze su base equa e cercare interessi comuni per rafforzare la cooperazione in alcuni settori. D’altro canto, nelle aree in cui gli interessi divergono, la Russia deve difendere i propri interessi evitando lo scontro. Questa è la logica della politica estera russa nel dopoguerra. Se si trascura l’esistenza di interessi comuni, si rischia una nuova guerra fredda.

Alcuni ritengono che la Russia non possa gestire una politica estera proattiva. Secondo loro, è necessario occuparsi degli affari interni, rafforzare l’economia, portare avanti la riforma militare e poi entrare nell’arena internazionale con un peso considerevole. Ma questa visione non regge all’analisi. Soprattutto, sarà difficile per la Russia realizzare questi cambiamenti cruciali e mantenere la propria integrità territoriale senza una politica estera attiva. La Russia non è indifferente al ruolo che svolgerà nell’economia globale aprendo le sue frontiere ai prodotti stranieri. Diventerà un fornitore discriminato di materie prime o un partner paritario? Rispondere a questa domanda è anche una questione di politica estera.

Dopo il periodo di confronto, tuttavia, è ancora importante per la Russia garantire sicurezza e stabilità, sia all’interno dei propri confini che nelle regioni limitrofe.

HENRY KISSINGER
In entrambi i Paesi, il discorso prevalente è quello di attribuire tutte le colpe all’altro. Allo stesso modo, in entrambi i Paesi si tende a demonizzare, se non l’altro Paese, almeno i suoi leader. Con le questioni di sicurezza nazionale sempre in primo piano, sono riapparsi sospetti e diffidenza, ereditati dai periodi più tesi della Guerra Fredda. Questi sentimenti sono stati esacerbati dal ricordo del primo decennio post-sovietico, durante il quale la Russia stava attraversando un’incredibile crisi economica e politica, mentre gli Stati Uniti si rallegravano di una crescita economica continua e di durata senza precedenti. Tutto ciò ha alimentato le divergenze politiche su questioni come i Balcani, i territori ex sovietici, il Medio Oriente, l’espansione della Nato, la difesa balistica e la vendita di armi, con il risultato che i progetti di cooperazione sono stati fagocitati.

↓FERMER
Se abbandona una politica estera attiva, la Russia non avrà alcuna possibilità di tornare sulla scena mondiale come Paese potente. Le relazioni internazionali aborriscono il vuoto. Se un Paese si disimpegna dai processi globali, viene rapidamente sostituito. Se la Russia vuole rimanere una delle maggiori potenze, deve agire su tutti i fronti. Dobbiamo tenere conto di Stati Uniti, Europa, Cina, Giappone, India, Paesi del Medio Oriente, Asia, Oceania, Sud America e Africa.

Possiamo farcela? Certo, è difficile avere successo su tutti i fronti con le nostre risorse limitate. Ma possiamo condurre una politica estera attiva grazie alla nostra influenza politica, alla nostra posizione geografica, alla nostra appartenenza al club nucleare, al nostro status di membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, alla nostra tradizione scientifica, alle nostre capacità economiche e alla nostra industria militare all’avanguardia.

La maggior parte dei Paesi non vuole quindi accettare la visione di un singolo Paese. L’ho percepito durante i miei viaggi in Medio Oriente, Israele, Cuba, Brasile, Argentina e altri Paesi dell’America centrale. I leader di Venezuela e Messico mi hanno detto francamente che vorrebbero che i russi avessero una maggiore presenza sulla scena mondiale per controbilanciare le conseguenze negative delle tendenze unipolari.

HENRY KISSINGER
Siamo di fronte a un nuovo tipo di pericolo. Fino a poco tempo fa, le minacce all’ordine internazionale andavano di pari passo con l’accumulo di potere da parte di uno Stato dominante. Oggi, le minacce derivano piuttosto dal crollo delle strutture statali e dal numero crescente di Stati senza leader. Il problema del crollo del potere, sempre più diffuso, non può essere risolto da un singolo Stato, anche se grande, da una prospettiva esclusivamente nazionale. Richiede una cooperazione costante tra gli Stati Uniti, la Russia e le altre potenze. Di conseguenza, la rivalità tra i Paesi coinvolti nella risoluzione dei conflitti tradizionali, in un sistema interstatale, deve essere limitata in modo che questa rivalità non oltrepassi il limite o crei un precedente.

↓FERMER
Infine, un Paese come la Russia non può ignorare la crescente interdipendenza delle potenze.

La diversificazione dei partenariati della Russia consentirà al Paese di rafforzare la propria stabilità e sicurezza. La fine del confronto ideologico tra due poli è diventata il punto di partenza per un mondo stabile e prevedibile a livello globale. Sebbene profonda, questa trasformazione non ha reso impossibili i conflitti etnici regionali. Al contrario, li ha resi meno probabili. Siamo tutti colpiti dall’attuale ondata di attacchi terroristici. Anche le armi di distruzione di massa si stanno diffondendo. Ma questi fenomeni sono emersi durante la Guerra Fredda, prima dell’avvento della collaborazione multipolare.

HENRY KISSINGER
Negli anni ’60 e ’70, per me, le relazioni internazionali si riducevano a un rapporto conflittuale tra Stati Uniti e Unione Sovietica. L’evoluzione della tecnologia ha fatto sì che i due Paesi potessero attuare una visione strategica stabile, pur mantenendo la loro rivalità in altri settori. Da allora il mondo è profondamente cambiato. In particolare, in un mondo multipolare emergente, la Russia dovrebbe essere vista come una parte essenziale di qualsiasi equilibrio globale e non, soprattutto, come una minaccia per gli Stati Uniti.

Ho trascorso la maggior parte degli ultimi settant’anni occupandomi, in un modo o nell’altro, delle relazioni tra Stati Uniti e Russia. Sono stato al centro delle decisioni quando sono scoppiate le crisi e ai festeggiamenti comuni quando sono stati raggiunti i successi diplomatici. I nostri Paesi e i popoli del mondo hanno bisogno di una prospettiva più duratura.

↓FERMER
La capacità della comunità internazionale di superare questi nuovi pericoli, minacce e sfide dell’era post-Guerra Fredda dipenderà soprattutto dalle relazioni tra le grandi potenze.

Per la transizione verso un nuovo ordine mondiale (миропорядок) sono necessarie le seguenti due condizioni.

Primo. Le divisioni di un tempo non devono essere riproposte su nuove questioni. A mio avviso, ciò significa opporsi all’espansione della NATO nei Paesi che appartenevano al “Patto di Varsavia”, nonché ai tentativi di trasformare la NATO nel principio del nuovo sistema mondiale. La sanguinosa operazione della NATO in Jugoslavia ne è una chiara illustrazione. Questa operazione è stata condotta senza l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, è avvenuta al di fuori dei confini dei Paesi membri e non aveva nulla a che fare con la garanzia della sicurezza dei Paesi membri della NATO.

HENRY KISSINGER
Sfortunatamente, gli sconvolgimenti del mondo si sono rivelati troppo forti per l’intelligence politica. Ne è un simbolo la decisione di Yevgeny Primakov che, da primo ministro in volo verso Washington attraverso l’Atlantico, ha preferito fare dietrofront e tornare a Mosca per protestare contro l’inizio delle manovre militari della NATO in Jugoslavia. Le nascenti speranze che una stretta collaborazione contro Al-Qaeda e i Talebani in Afghanistan potesse essere il primo passo verso una partnership più profonda si sono infrante nel magma dei conflitti in Medio Oriente, prima di essere vanificate dalle operazioni militari russe nel Caucaso nel 2008 e poi in Ucraina nel 2014. I recenti tentativi di trovare punti di accordo sul conflitto siriano e di stemperare gli animi sulla questione ucraina non sono riusciti a contrastare un crescente senso di estraneità.

↓FERMER
L’emergere di nuove aree di conflitto può minacciarci, non solo in Europa, ma ovunque. Il netto rifiuto dell’estremismo da parte di alcuni gruppi islamici dovrebbe incoraggiarci a non considerare l’intero mondo musulmano come un nemico della civiltà contemporanea.

HENRY KISSINGER
Come sappiamo, ci attendono numerose questioni divisive, come l’Ucraina e la Siria. Negli ultimi anni, i nostri Paesi hanno discusso di tanto in tanto di questi temi senza compiere progressi significativi. Ciò non sorprende, perché le discussioni si sono svolte al di fuori di un quadro globale. Tutti questi problemi specifici sono l’espressione di un problema più ampio. L’Ucraina deve far parte del quadro di sicurezza internazionale ed europeo, fungendo da ponte tra la Russia e l’Occidente, e non da avamposto dell’uno o dell’altro. Per quanto riguarda la Siria, sembra chiaro che le fazioni locali e regionali non possono trovare una soluzione da sole. Invece, gli sforzi congiunti tra Stati Uniti e Russia, accompagnati dal coordinamento con le altre grandi potenze, potrebbero aprire la strada a soluzioni pacifiche, in Medio Oriente e forse anche altrove.

↓FERMER
Naturalmente, dobbiamo opporci fermamente alle forze estremiste e terroristiche, che sono particolarmente pericolose se gli Stati le sostengono. Dobbiamo fare tutto il possibile per evitare che gli Stati aiutino i gruppi terroristici.

Ovviamente, è urgente elaborare una convenzione generale all’ONU per negare l’asilo politico ai terroristi. Tuttavia, le sanzioni non devono essere utilizzate per punire i Paesi o rovesciare i regimi che non ci piacciono. È già chiaro che le operazioni militari contro i regimi nemici sono dannose, indipendentemente dal fatto che questi regimi sostengano o meno i creatori di caos che stanno mettendo il mondo sottosopra. È molto più efficace sostenere iniziative pacifiche.

In secondo luogo, se vogliamo muoverci verso un nuovo ordine universale e affrontare i pericoli reali, la comunità mondiale deve collaborare in modo equo. Per coordinare adeguatamente gli sforzi, è necessario mettere in atto meccanismi efficaci.

HENRY KISSINGER
Qualsiasi sforzo per migliorare queste relazioni deve includere una consultazione sul futuro equilibrio del mondo. Quali tendenze stanno mettendo in discussione l’ordine di ieri e plasmando quello di oggi? Quali sfide pongono questi cambiamenti agli interessi della Russia e dell’America? Quale ruolo vuole svolgere ciascun Paese nella costruzione di questo ordine e quale importanza può ragionevolmente sperare di avere in esso? Come conciliare le visioni del mondo radicalmente diverse emerse in Russia e negli Stati Uniti – così come in altre grandi potenze – sulla base della loro esperienza storica? L’obiettivo dovrebbe essere quello di concettualizzare le relazioni UE/Russia all’interno di una visione strategica che consenta di risolvere le questioni controverse.

↓FERMER
È importante sviluppare la dottrina (кредо) del Ministero degli Esteri cercando di rispondere al seguente problema. Tutti sanno che la politica estera è legata alla politica interna. Ma questo non significa che debba essere attuata per favorire alcune forze politiche. Né può essere utilizzata a fini elettorali. Il ministro degli Esteri, a prescindere dalle sue preferenze politiche, non deve dividere la società russa. Sono certo che la politica estera debba basarsi sull’accordo dei partiti politici. Deve essere nazionale e non partecipare alle rivalità politiche, difendendo i valori che sono vitali per la società nel suo complesso.

HENRY KISSINGER
Sono qui per difendere la possibilità di un dialogo che cerchi di unire i nostri futuri piuttosto che giustificare i nostri conflitti. Ciò richiede che ciascuna parte rispetti i valori e gli interessi essenziali dell’altra. Questi obiettivi non possono essere raggiunti entro il mandato dell’attuale amministrazione. Ma il loro perseguimento non deve essere ritardato dalla politica interna degli Stati Uniti. Saranno raggiunti solo grazie alla volontà comune di Washington e Mosca, della Casa Bianca e del Cremlino, di superare i rancori e i sentimenti di persecuzione per affrontare le grandi sfide che i nostri due Paesi dovranno affrontare nei prossimi anni.

↓FERMER
Ho presentato queste idee e questi principi al Presidente [Boris Eltsin] e lui si è convinto. Mi disse: “Dovresti lavorare di più con il Parlamento, con i leader dei partiti politici”. Capivo che non voleva tenermi al guinzaglio. Ma sentivo che spettava al Presidente decidere sulla nostra politica estera e che il Ministro degli Esteri doveva essergli fedele. D’altra parte, capivo che il Presidente si fidava di me e non voleva limitare le mie iniziative.

Michelle Obama: Salvatore di settembre o “missione suicida”?_di Peter Van Buren

Michelle Obama: Salvatore di settembre o “missione suicida”?
Quanto sono disperati i Democratici per togliere Biden dalle urne?

Peter Van Buren
26 febbraio 2024
12:05
Non voglio votare per Michelle Obama.

Joe Biden è, come candidato, un morto che cammina. Dimenticate i medici; chiunque si sia preso cura di un genitore anziano con un declino cognitivo può vedere tutti i segni e sa cosa sta per succedere. Joe non ricorda parole, nomi o date e cammina rigidamente con le braccia bloccate. Cade spesso. Si arrabbia e impreca. È tutto lì.

Sappiamo tutti cosa viene nascosto, proprio come quando la mamma rifiuta il cibo o si arrabbia perché qualcuno vuole i suoi soldi. Non è piacevole assistere a questa infantilizzazione di una persona che un tempo si ammirava, ma il declino è evidente, e il declino è una strada a senso unico. Fa male, davvero, che si tratti della mamma o di Joe Biden, assistere a tutto questo sapendo che non si può fare nulla.

Naturalmente, il problema è che Joe Biden è il Presidente degli Stati Uniti. È incaricato di gestire la nazione per conto di tutti noi, un lavoro come nessun altro. Il rapporto di quasi 400 pagine del consulente speciale Robert Hur è pieno di prove schiaccianti della negligenza di Biden nei confronti di segreti vitali per la sicurezza nazionale.

La sua difesa di Biden è che l’uomo è troppo vecchio e smemorato per essere ritenuto responsabile delle sue azioni. Una cosa è spiegare il comportamento della mamma a tavola, un’altra quando si parla di sicurezza nazionale. Nelle riunioni di famiglia c’è spazio per “un uomo simpatico, ben intenzionato, anziano e con poca memoria”, ma non alla Casa Bianca. Se Joe non è in grado di affrontare un processo per l’uso disinvolto di documenti riservati, allora non è in grado di essere presidente.

L’opinione pubblica sembra aver capito. Quasi tutti i sondaggi mostrano Biden indietro, spesso di diversi punti. Il suo indice di gradimento è fermo a 30 punti. Sta perdendo contro Trump; persino Nikki Haley batte Biden in alcuni sondaggi. “I numeri del presidente Biden nei sondaggi sembrano essere nelle sabbie mobili”, ha scritto un commentatore. Un recente sondaggio di ABC News ha rilevato che l’86% degli americani ritiene che Biden sia troppo vecchio per ricoprire un altro mandato. Potremmo sentirci male per Joe, ma ci sentiremmo tutti meglio se si fosse ritirato su una sedia a sdraio nel Delaware a mangiare un gelato invece di stare in piedi sopra il pulsante nucleare (e voi vi preoccupate di Trump).

Il problema è che, per tradizione, Joe Biden ha il “diritto” di candidarsi per un secondo mandato, cosa che in teoria sta facendo. Niente primarie, niente discussioni pubbliche, solo l’ipotesi che a Joe siano concessi due tentativi. La tradizione è abbastanza forte da consegnare la Casa Bianca a un vecchio rimbambito per altri quattro anni? Oppure l’eredità di Joe Biden tra i democratici sarà quella di essere l’uomo che ha riportato Trump al potere? Considerate l’infame valutazione di Barack Obama: “Non sottovalutate la capacità di Joe di mandare tutto a puttane”.

L’alternativa ovvia è che Biden si faccia da parte con un pretesto e che la vicepresidente Kamala Harris si faccia avanti come candidata democratica. Harris, che è entrata in carica come vincitrice della lotteria DEI dopo aver umiliato Biden in faccia nei dibattiti del 2020, non ha il fascino pubblico di Joe e, nei suoi giorni no, ha poco delle sue capacità cognitive. Sondaggio dopo sondaggio la vedono perdente, la sua mancanza di esperienza (tra le altre cose) è un ostacolo alla sua ascesa allo Studio Ovale. Harris ha un indice di gradimento del 37%, addirittura inferiore al 39% di Biden.

Ma cosa succederebbe se Harris ottenesse quell’esperienza attraverso il 25° emendamento? È dubbio che questo stratagemma sia possibile. Il 25° emendamento stabilisce la successione presidenziale quando il capo dell’esecutivo è “incapace”. Richiede una sorta di mini-corteo, poiché il processo prevede che sia il vicepresidente stesso a dare il via alle operazioni insieme al Gabinetto. Dovrebbero dichiarare che il presidente è “incapace di adempiere ai poteri e ai doveri del suo ufficio” e notificare al Congresso che il vicepresidente intende prendere il suo posto. Se la vicepresidente Kamala Harris riuscisse a convincere otto funzionari del Gabinetto a sottoscrivere una lettera al Congresso, il suo status di “presidente ad interim” sarebbe comunque di breve durata. Biden dovrebbe solo dichiarare che “non esiste alcuna incapacità” e poi riprendere il suo incarico.

Harris dovrebbe poi inviare entro quattro giorni un’altra dichiarazione al Presidente pro tempore del Senato e al Presidente della Camera, respingendo le affermazioni di Biden. Il Congresso avrebbe 21 giorni per votare la rimozione, che richiederebbe una maggioranza di due terzi in entrambe le camere. Se il Congresso non votasse entro 21 giorni, il Presidente riprenderebbe il potere. Come per le numerose richieste di invocare il 25° durante la prima amministrazione Trump, l’emendamento concepito per far fronte alla morte del presidente o a una vera e propria incapacità temporanea, come un intervento chirurgico, non può essere spremuto e solleticato in un ammutinamento del vicepresidente per salvare la sconfitta del suo partito a novembre.

Come ha scritto lo studioso di diritto costituzionale Jonathan Turley, invocare il 25° emendamento “richiederebbe molto di più di semplici vuoti di memoria e conferenze stampa “fuori dal mio prato””. L’unica domanda da porsi è se sia in grado di svolgere i doveri del suo ufficio. Il criterio non è se sia in grado di svolgere bene tali funzioni”. La preoccupazione per Biden (e Harris) è reale, ma il 25° emendamento non è la soluzione.

Rimane l’opzione nucleare: Michelle Obama, la sorpresa di settembre.

Immaginate una primavera mediocre che si trascina in un’estate poco brillante. L’Ucraina si trascina con Biden. Israele si trascina con Biden. L’economia si trascina con Biden. La convention nazionale democratica è senza spirito e il calendario cede all’autunno. Trump è in testa in quasi tutti i sondaggi e, mentre i Never Trumpers fanno ancora la loro parte, sembra che i Democratici resteranno a casa dalle urne e consegneranno la Casa Bianca. Se solo ci fosse qualcuno che non si chiama Harris in grado di farsi avanti come Grande Speranza.

Immaginate, dice Heather Higgins di RealClearPolitics,

se Biden dovesse essere incentivato a dichiarare improvvisamente un nuovo problema di salute che lo porti ad annunciare una o due settimane dopo la convention che continuerà il suo mandato ma non si candiderà, improvvisamente ci troveremmo di fronte a una di quelle crisi che non dovrebbero essere sprecate. Al di sopra di tutto questo, e per placare i mercanteggiamenti, Michelle – con il suo 91% di popolarità tra i democratici e il 68% a livello nazionale quando ha lasciato la Casa Bianca, e con la rete di raccolta fondi, la rete politica e l’esperienza degli Obama – può accettare, quando le viene richiesto, per il bene del Paese, di accettare gentilmente la candidatura del suo grato partito.

Chi altro potrebbe essere? Gavin Newsom? Hillary?

Michelle Obama ha la popolarità e la riconoscibilità del nome e del volto per sostituirsi all’ultimo minuto a uno stanco segnaposto come Joe. Settembre è “l’ultimo minuto”, viste le 50 leggi che regolano il tempo necessario per aggiungere un candidato alla scheda elettorale e rispettare le scadenze per l’invio del voto per corrispondenza. La sua mancanza di esperienza è mitigata dagli otto anni di Barack e, in effetti, un punto di forza tranquillo tra i Democratici sarebbe che questo è davvero un terzo mandato per una sorta di amministrazione Obama.

Con la popolarità di Obama e l’impermeabilità alle accuse di razzismo, nessuno si preoccuperà di mettere da parte Kamala Harris, magari con la promessa di un bel lavoro universitario per non mostrare rancore. Le celebrità si riverserebbero in massa su Oprah e Taylor Swift e qualcuno quasi immune allo stile di campagna elettorale di Trump, fatto di insulti personali, salirebbe sul palco contro di lui. Sarebbe un’elezione combattuta.

L’ex candidato presidenziale del GOP, Vivek Ramaswamy, ha dichiarato: “Se la razza e il genere sono le basi per la scelta di un candidato, non è possibile che il candidato sia un uomo,

Se la razza e il genere sono la base per selezionare qualcuno per un lavoro, e l’identità del tuo partito è legata a quel tempio della politica identitaria, allora rischiano di sembrare ipocriti se la mettono da parte [Harris] dopo aver messo da parte Biden. E credo che Michelle Obama offra loro una comoda via d’uscita da questo problema, qualcuno che risponda alle caselle che devono essere spuntate per la loro ideologia, selezionando al contempo un’alternativa a Biden che potrebbero considerare più appetibile in un’elezione generale…. Sembra sempre più che non sarà Biden il candidato. E penso che non dovrebbe essere scioccante vedere qualcuno come Michelle Obama assumere il ruolo di candidato.

Obama, da parte sua, ha dichiarato di essere “terrorizzata” dal potenziale esito delle elezioni del 2024, elencando la gara presidenziale di novembre tra le paure che la tengono sveglia la notte. Che ne dite di questa motivazione?

Le regole del Comitato Nazionale Democratico che si applicano sono in realtà semplici, e dicono: “Il Comitato Nazionale Democratico avrà la responsabilità generale degli affari del Partito Democratico tra le Convenzioni Nazionali…. Tale responsabilità comprende la copertura dei posti vacanti nelle nomine per la carica di Presidente e Vicepresidente”. Il presidente si confronta con la leadership del Congresso Democratico e con l’Associazione dei Governatori Democratici e porta la decisione al voto di tutti i 483 membri del DNC.

RCP ricorda al lettore che è già stato fatto in passato. Nel 1972, i Democratici si accorsero settimane dopo la loro convention che l’uomo che avevano nominato vicepresidente, il senatore Thomas Eagleton, aveva subito una terapia d’urto un decennio prima. Eagleton si ritirò dalla lista e lasciò al DNC il compito di scegliere un sostituto. I due hanno convinto il consuocero di Kennedy, Sargent Shriver, ad accettare quella che è diventata una “missione suicida”.

Quindi la vera domanda è: votereste per Michelle Obama? Molto dipende dalla risposta.

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Delphi a Bruxelles: la NATO e la difesa europea nel contesto della guerra in Ucraina, di Hajnalka VINCZE

Delphi a Bruxelles: la NATO e la difesa europea nel contesto della guerra in Ucraina

Hajnalka VINCZE
Senior Fellow presso il Foreign Policy Research Institute (FPRI) di Philadelphia4 , analista indipendente di sicurezza.
Una settimana dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, il Presidente della Commissione di Bruxelles ha dichiarato che “questo è un momento di verità” per l’Unione Europea5. L’ambiguità di queste parole ricorda la deliberata vaghezza dei famosi oracoli greci di Dordogna e Delfi. Col senno di poi, saranno interpretate come l’annuncio di una determinazione e di uno slancio europei senza precedenti o, al contrario, come un cattivo presagio che anticipa l’ennesima dimostrazione di impotenza? È l’inizio di una nuova era per la sicurezza del vecchio continente e, in caso di risposta affermativa, in quale direzione penderà la bilancia? Stiamo assistendo alla “nascita dell’Europa geopolitica”, come sostiene l’Alto rappresentante Josep Borrell, o alla “NATOizzazione dell’Europa”, per citare il presidente Joe Biden?
A queste e ad altre domande simili, ognuno risponde secondo le proprie preferenze e simpatie. Le reazioni agli eventi in Ucraina si collocano quindi in scenari diametralmente opposti. Alcuni ritengono che gli europei, messi di fronte alla logica dell’equilibrio di potere che avevano ignorato per decenni, si stiano ora risvegliando dai pericoli della dipendenza e inizino a fare un salto verso l’autonomia. Da qui il passo sarebbe breve – e comporterebbe un’integrazione ancora più stretta – verso un’Europa che prende in mano il proprio destino, un “attore a pieno titolo” nel sistema internazionale. Per altri, invece, la guerra ha messo fine una volta per tutte ai sogni di indipendenza dell’Europa. Anche i più ferventi sostenitori hanno dovuto fare i conti con la realtà: quando il gioco si fa duro, gli europei, consapevoli delle proprie divisioni e debolezze, si rivolgono all’America per essere guidati e rassicurati dalle garanzie dell’Alleanza Atlantica.
Qual è la lettura giusta? Dal punto di vista politico, la crisi ha fornito a entrambe le parti una moltitudine di argomenti e ha agito da catalizzatore in entrambe le direzioni. Ciò che accadrà in seguito potrà essere visto, per quanto possibile, solo osservando da vicino i cambiamenti più significativi nella direzione della NATO, nelle ambizioni della “difesa europea” e, in particolare, nel modo in cui le due cose sono interconnesse. Il trentennale grattacapo della partenza rimane, e si aggrava man mano che le sfide si intensificano e l’orizzonte si restringe. Gli europei non vogliono certo diventare indipendenti, ma sono ben consapevoli che un giorno potrebbero essere costretti a farlo. Gli americani capiscono che avrebbero bisogno di un partner più autonomo, ma si rifiutano di permetterlo. L’equazione è insolubile?
1. La NATO rinvigorita
Per una volta, un’espressione di un capo di Stato francese ha raccolto consensi in Europa. Il Presidente Macron sembra aver trovato la parola giusta quando ha affermato che la guerra in Ucraina ha “risvegliato la NATO”, che fino a poco tempo fa considerava cerebralmente morta, “con il peggior tipo di elettroshock “7 . I dati sembrano chiaramente dargli ragione.
Rinforzi su tutti i fronti
La presenza americana nel continente è passata dai 65.000 soldati del 2018 agli oltre 100.000 di oggi. All’indomani dell’attacco russo all’Ucraina, l’Alleanza ha attivato i suoi piani di difesa e la sua forza di reazione rapida: 40.000 soldati schierati sul fianco orientale, un centinaio di aerei per sorvegliare lo spazio aereo e oltre due dozzine di navi da guerra in crociera nel Mediterraneo e nel Mar Nero. Il numero di gruppi tattici multinazionali schierati a est (dall’Estonia alla Bulgaria) passerà da quattro a otto, con un numero maggiore di effettivi (dal livello di battaglione a quello di brigata). Secondo il nuovo modello di forze adottato al vertice di Madrid del giugno 2022, l’organizzazione disporrà di rinforzi ad alta prontezza fino a 300.000 uomini, disponibili in circa 30 giorni8.
Il vertice di Vilnius del luglio 2023 ha approvato una nuova generazione di piani di difesa per la regione settentrionale, l’Europa centrale (dal Baltico alle Alpi) e il fianco meridionale. Per definizione segreti, questi piani sono notevoli per due motivi. In primo luogo, il Comandante supremo alleato della NATO (SACEUR) sottolinea che, per la prima volta in trent’anni, gli obiettivi di capacità saranno basati su una pianificazione dettagliata, Stato membro per Stato membro.9 In secondo luogo, il rappresentante della Francia presso la NATO richiama l’attenzione sulla partecipazione degli Stati Uniti: “Il contributo dei piani regionali è l’integrazione degli Stati Uniti, che hanno una pianificazione nazionale in Europa, in un quadro collettivo”.10 Un altro aspetto del rafforzamento “operativo” della politica di difesa della NATO è il fatto che anche gli Stati Uniti, che hanno una pianificazione nazionale in Europa, sono coinvolti nel processo di pianificazione. Un altro aspetto del rafforzamento “operativo” dell’Alleanza è l’annosa questione della delega di autorità al SACEUR, che si ripresenta con le solite motivazioni di efficienza e di accelerazione del processo decisionale. Secondo un recente rapporto: “Il SACEUR avrà una maggiore autonomia per garantire che, sulla base del suo nuovo modello di forza, la NATO possa agire rapidamente e con decisione nelle situazioni di crisi “11 .
Tuttavia, la vera impresa delle armi è politica. Dopo la guerra in Ucraina, la dimensione politica dell’Alleanza è stata particolarmente rafforzata. Lo status di membro è doppiamente rafforzato. Da un lato, i Paesi europei vedono nella NATO l’ultimo protettore e nell’articolo 5 la loro unica assicurazione sulla vita. L’Alleanza sta facendo tutto il possibile per dare credibilità alla sua difesa collettiva: i piani di difesa sono stati attivati, le truppe mobilitate, i pattugliamenti aerei aumentati e l’amministrazione americana ha chiarito in numerose occasioni che difenderà “ogni centimetro quadrato” del territorio degli alleati. A riprova, se mai ce ne fosse bisogno, dell’attrattiva di una simile posizione in questi tempi, Svezia e Finlandia hanno deciso di aderire all’Alleanza Atlantica rinunciando al loro status di neutrali.
L’ostruzionismo turco, che ha ritardato il processo per mesi al fine di ottenere concessioni da Helsinki e Stoccolma, oltre che da Washington, ha ulteriormente evidenziato la frattura tra coloro che appartengono all’Alleanza e coloro che non vi appartengono, frattura che assume tutta la sua importanza nelle discussioni sul possibile ingresso dell’Ucraina nella NATO. Contrariamente alle voci entusiaste che sostengono che questo o quel Paese ha il “diritto” di entrare nell’Alleanza, sta diventando chiaro che questo diritto non esiste da nessuna parte. Al contrario, sono i singoli Stati membri ad avere il diritto di decidere se consentire o meno l’ingresso di un determinato candidato, in base ai propri calcoli nazionali. È alla luce di questa realtà, evidenziata in primo luogo dall’atteggiamento della Turchia, che va valutata la dichiarazione fatta al Vertice di Vilnius: “Saremo in grado di estendere un invito all’Ucraina ad aderire all’Alleanza una volta che gli Alleati avranno deciso di farlo e le condizioni saranno soddisfatte “12 . La prima di queste condizioni, prevista dall’articolo 10 del Trattato Nord Atlantico, è l’approvazione unanime.
Con l’adesione alla NATO e l’ombrello americano così rafforzato, l’ala atlantista era chiaramente in una posizione di forza. E intende spingere al massimo il suo vantaggio, soprattutto su quelle che normalmente sono le questioni più difficili. L’ex comandante supremo della NATO, il generale Philip Breedlove, non scherza: “Ora che abbiamo l’unità, affrontiamo tutte le questioni che dividono”, dice. E quali sono? L’elenco è noto da anni. Tutto ciò che punta a una maggiore integrazione sotto l’egida dell’Alleanza atlantica (finanziamento comune, deroga alla regola del consenso, trasferimento di autorità al SACEUR americano a capo delle forze alleate), così come tutto ciò che va nella direzione di un’espansione delle competenze geografiche (Asia, Africa) o di competenze funzionali (oltre allo spazio, al cyber e alla cooperazione NATO sulle tecnologie avanzate, si parla ora di accelerare le consultazioni NATO su clima, trasporti, energia e persino su questioni di politica interna, grazie a un nuovo Centro per la resilienza democratica).
Fragilità e battute d’arresto
Questo rinvigorimento nasconde tuttavia molteplici vulnerabilità. I piani di difesa sembrano impressionanti, ma la loro attuazione solleva interrogativi. Rimangono dubbi sulle capacità e sulle risorse: nonostante l’aumento generale dei bilanci per la difesa, solo 11 dei 31 Stati membri destinano il 2% del PIL all’esercito. Il presidente del Comitato militare dell’Alleanza, l’ammiraglio Rob Bauer, sottolinea inoltre che l’aumento del prezzo di munizioni ed equipaggiamenti (dovuto alla loro consegna in massa e urgente all’Ucraina) rischia di divorare il surplus di bilancio13. Gli otto gruppi tattici rinforzati avevano ancora solo 10.000 uomini alla fine dello scorso anno, rispetto ai 4.000-5.000 previsti per ciascuno. Per non parlare del fatto che l’aspetto più delicato dell’attuazione dei piani, ossia la questione della delega di autorità, rimane irrisolto. Si tratta di capire come verranno trasferiti i poteri decisionali degli Stati membri al Comandante in Capo della NATO: dovranno approvare l’attivazione dei piani di difesa prestabiliti e, una volta attivati i piani, il SACEUR avrà bisogno della loro approvazione per compiere un determinato passo nell’escalation?
Si tratta di una questione eminentemente politica, tanto più delicata se si considera che, nonostante la grande unità dimostrata negli ultimi tempi, le tensioni tra gli Stati membri rimangono elevate. Il Concetto Strategico fa la quadratura del cerchio quando afferma che “la ragion d’essere della NATO è assicurare la nostra difesa collettiva” affrontando “minacce globali interconnesse “15 . Gli europei ritengono che l’Alleanza debba concentrarsi più che mai sul suo obiettivo iniziale, ovvero la sicurezza del Nord Atlantico (Stati Uniti ed Europa), mentre i leader americani, in vista del confronto tra Washington e Pechino, vorrebbero “globalizzare” la NATO e trovano orecchie attente nella burocrazia della NATO. Il veto francese all’idea di aprire un ufficio di collegamento a Tokyo è stato ampiamente pubblicizzato dai media. Tuttavia, come spiega l’ambasciatore Domenach: “Si trattava di un’iniziativa istituzionale, non americana, presa dalle strutture della NATO, senza dubbio per sostenere la priorità strategica americana. Non appena le priorità strategiche americane cambiano direzione, è naturale che l’istituzione cerchi di “estendere il suo ufficio” su argomenti di interesse per gli Stati Uniti16.
Ma questa non è l’unica controversia. Le differenze di opinione sulla guerra in Ucraina (tra il “campo della giustizia”, che chiede la massima punizione per Mosca, e il “campo della pace”, che dà priorità alla ricerca di una stabilità duratura) sorgono inevitabilmente non appena si prospetta una soluzione diplomatica della crisi. Gli Stati membri non condividono nemmeno la stessa analisi della sfida alla sicurezza posta dall’immigrazione di massa e dall’ascesa dell’Islam politico17. Inoltre, i dubbi degli alleati sull’America si sono affievoliti solo temporaneamente. Che si tratti di decisioni unilaterali (come il ritiro dall’Afghanistan o la partnership AUKUS sui sottomarini australiani), di politica industriale (come i piani per sovvenzionare l’industria americana) o di pressioni sui contratti di armamento, dal punto di vista europeo la presidenza Biden assomiglia molto alla presidenza Trump. Per non parlare di un possibile ritorno al potere di Trump e/o dei suoi sostenitori. Non sorprende che i membri europei della NATO siano preoccupati dal fatto che il Pentagono preferisca dispiegare le proprie truppe come rinforzi a rotazione, piuttosto che assegnarle al Vecchio Continente in modo permanente.
Nonostante queste debolezze, o proprio per compensarle, una serie di iniziative mira a consolidare le relazioni tra alleati, soprattutto a livello di basi tangibili: armamenti e tecnologie. Ciò ha portato a una proliferazione di progetti, come il North Atlantic Defence Innovation Accelerator (DIANA)18 , il NATO Innovation Fund (NIF)19 e il Defence Production Action Plan20. Dietro le varie iniziative c’è una volontà, quella di catturare questo tema, un obiettivo, la standardizzazione, e un concetto per raggiungerlo, l’intercambiabilità.21 Cosa intendiamo con questo? Le dottrine, la logistica, l’addestramento e gli equipaggiamenti verrebbero armonizzati al punto che gli eserciti potrebbero operare in modo “intercambiabile”, cancellando le specificità nazionali. In occasione dei colloqui annuali della NATO sui combattenti alleati, il vice capo di Stato maggiore delle forze armate statunitensi, l’ammiraglio Christopher Grady, ha presentato questo modello: “L’interoperabilità è solo il punto di partenza. Il nostro obiettivo è passare dall’interoperabilità all’integrazione, fino all’intercambiabilità “22 . Un’agenda che tiene poco conto dell'”autonomia strategica”.
2. Una politica di sicurezza e di difesa comune rivisitata (PSDC)
Paradossalmente, è proprio nel momento in cui, in pratica, gli europei si precipitano tutti sotto l’ombrello protettivo dell’America che, nei loro discorsi, i leader europei hanno sulle labbra solo la parola “autonomia”. Il Presidente Macron si rallegra: “la battaglia ideologica è stata vinta”. E continua il Presidente francese: “Da un punto di vista dottrinale, giuridico e politico, penso che non ci sia mai stata una tale accelerazione della potenza europea “23. Ma che cos’è in realtà?
Una bussola multiuso
Dall’inizio della guerra in Ucraina, l’UE è stata assente da tutti gli aspetti politici e operativi della difesa. A parte una missione di solidarietà per addestrare i soldati ucraini24 , l’Unione si sta concentrando, per la maggior parte, sull’aspetto “armamenti”. Questo sviluppo fa parte di una tendenza iniziata in precedenza. La ripresa della PSDC nel 2016 si era già concentrata essenzialmente su questo settore attraverso la Cooperazione Strutturata Permanente e il Fondo Europeo per la Difesa. Il disaccordo sul grado di autonomia auspicabile ha frenato queste iniziative, al punto che “dall’inizio del 2020 abbiamo assistito a uno spostamento del concetto di autonomia strategica, originariamente apparso nella
PSDC, ad altri settori “25 .

Semiconduttori,
Si tratta di un “aggiornamento gradito e necessario, ma nelle circostanze attuali c’è il rischio che il fondamento originario venga diluito”. Con la guerra in Ucraina, la dimensione militare è tornata sotto i riflettori, concentrandosi sull’aspetto “armamenti”, all’incrocio tra politica di difesa e politica industriale.
Naturalmente, la Bussola strategica adottata nel marzo 2022 è molto più ambiziosa. Vi si legge: “L’Unione europea è più unita che mai.
Siamo determinati a difendere l’ordine di sicurezza europeo “26 . E lo fa concentrandosi su “quattro priorità”: azione, protezione, investimenti e cooperazione. Tutto è incluso, dalla “solidarietà e assistenza reciproca” ai sensi dell’articolo 42, paragrafo 7, del Trattato (che è stato totalmente screditato dalla decisione dei due Stati membri dell’UE, Stoccolma e Helsinki, di aderire con urgenza all’Alleanza atlantica), alla lotta contro “la manipolazione delle informazioni e le attività di interferenza condotte dall’estero”. In particolare, la Bussola prevede di “sviluppare una capacità di dispiegamento rapido dell’UE che ci permetterà di schierare rapidamente fino a 5.000 truppe in ambienti ostili in risposta a diversi tipi di crisi”.
Un’impresa enorme, visti i successivi fallimenti, dal primo Headline Goal del 1999 al concetto di Battlegroups adottato nel 2004 e dichiarato operativo tre anni dopo – ma da allora mai attuato. Un importante rapporto commissionato dal Parlamento europeo esamina la nuova iniziativa Rapid Deployable Capability alla luce dei suoi precedenti, nella speranza di suggerire modi per evitare di ripetere gli errori del passato27. Tra gli insegnamenti da trarre, il documento consiglia all’UE di non dipendere dalle decisioni di altre organizzazioni, come l’ONU o la NATO. Tuttavia, anche se questa condizione potrebbe essere stabilita in linea di principio, politicamente è difficile che i 27 Stati membri la rispettino nella pratica. Per gli autori del rapporto, l’attuale modello soffre di difetti strutturali, tra cui l’insufficiente condivisione dei costi, la convergenza ancora limitata tra gli Stati membri nella percezione delle minacce e delle priorità e, per quanto riguarda l’opzione di mettere insieme una coalizione di volenterosi, “la perdita di controllo sui parametri chiave dell’operazione”. La principale raccomandazione del rapporto riguarda il packaging: non “vendere” al pubblico la nuova iniziativa come un miglioramento del concetto di battlegroups, ma presentarla come una nuova impresa governata da una diversa logica politica.
Armamenti sotto i riflettori
L’aumento dei bilanci per la difesa, uno degli obiettivi indicati nella Bussola, non sembra essere fuori portata: secondo i calcoli della Commissione, “gli Stati membri hanno annunciato aumenti dei loro bilanci per la difesa che si avvicinano, ad oggi, a 200 miliardi di euro in più nei prossimi anni “28 . Il problema è decidere come gli europei intendono spenderli. Cinque anni fa, il Presidente Macron ha parlato molto chiaramente di questo argomento sul canale americano CNN – perché l’aumento dei bilanci precede di diversi anni lo scoppio della guerra in Ucraina29 : “Non voglio vedere i Paesi europei aumentare i loro bilanci della difesa per acquistare armi americane o di altri Paesi, o attrezzature prodotte dalla vostra industria”. 30 Ha seguito la stessa linea quando ha insistito lo scorso maggio a Bruxelles: “Il denaro che stiamo per stanziare deve essere accompagnato da una strategia industriale, perché non si tratta di acquistare attrezzature prodotte altrove. Costruire la nostra sovranità significa anche costruire attrezzature che siano prodotte dagli europei per gli europei “31 .
Secondo la Francia, questa era un’occasione d’oro per rimilitarizzare e riabilitare il concetto di autonomia. Solo che, nel frattempo, gli Stati membri, poco ricettivi all’idea, l’avevano progressivamente snaturata inserendovi delle qualifiche. Oggi si parla di autonomia “aperta” e soprattutto di autonomia “inclusiva”, che garantirebbe l’accesso a Paesi terzi amici. Eppure l’Unione Europea, in quanto tale, è attiva in un modo senza precedenti. Il suo Fondo per la pace, ora dotato di 12 miliardi di euro fino al 202732 , sta rimborsando ai Paesi membri, in modo notoriamente poco trasparente, le attrezzature consegnate all’Ucraina. Lo strumento per rafforzare l’industria europea della difesa attraverso gli appalti congiunti (EDIRPA), annunciato nel luglio 2022 e adottato nell’ottobre 2023, prevede 300 milioni di euro fino al dicembre 2024 e propone “un rimborso parziale dal bilancio dell’UE quando l’appalto congiunto coinvolge un consorzio di almeno tre Stati membri “33 . Il regolamento sul sostegno alla produzione di munizioni (ASAP)34 combina queste due componenti e ne aggiunge una terza, volta a incoraggiare l’avvio della produzione industriale. I punti critici sono noti da tempo, ma rimangono gli stessi ovunque35.
I tre mostri
La “difesa europea” ha sempre dovuto evolversi sotto la pressione di tre forze sia politiche che ideologiche: la tensione pacifista, la distrazione atlantista e la tentazione federalista. È per placare le tendenze pacifiste di alcuni Stati membri, in particolare dei Paesi nordici, che l’UE si è sforzata, al momento del lancio della sua politica di difesa europea, di compensare qualsiasi iniziativa di natura militare con progressi nella “gestione civile delle crisi”. Ciò ha rassicurato anche il campo atlantista, stabilendo una divisione dei compiti più o meno tacita tra la NATO e la PSDC. Per quanto riguarda gli armamenti, la stigmatizzazione del settore e la mancata classificazione del suo posto nella tassonomia dell’UE pongono le industrie europee in una situazione di “svantaggio competitivo”, secondo Bertrand Delcaire, vicepresidente di Thales: “Le industrie sovrane hanno più gestori non europei che gestori europei “36 . La stessa BEI (Banca europea per gli investimenti) è riluttante a dare il suo sostegno all’iniziativa sulle munizioni, una questione prioritaria considerata troppo militare.
Un’altra limitazione autoinflitta degli armamenti europei è la cosiddetta lealtà atlantista. Non appena si parla di un trattamento preferenziale per le industrie europee, viene sollevato lo spettro dell’allontanamento o addirittura della rottura con l’America. Già nelle prime discussioni sul dopo 2016 sono stati lanciati degli avvertimenti, in particolare dal Segretario Generale dell’Alleanza Atlantica: “L’UE non deve sostituirsi a ciò che sta facendo la NATO” e “non deve chiudere i suoi mercati della difesa” agli americani e ad altri Paesi non appartenenti all’UE.37 Non sorprende che i dibattiti più accesi sugli armamenti riguardino l’accesso ai fondi dell’UE, in altre parole il posto dato nei criteri di ammissibilità alle entità controllate da terzi. In particolare, se l’imperativo dell’autonomia europea sarà preso in considerazione nelle iniziative lanciate sotto l’egida dell’Unione e finanziate da tutti. La risposta è: sì, ma alla fine no, o meglio non del tutto… 38.
Infine, ma non meno importante, c’è la tentazione di affrettare i tempi con le istituzioni. Da un lato, dopo l’invasione della Commissione in quello che un tempo era il dominio riservato degli Stati; dall’altro, la crescente pressione per la generalizzazione del voto a maggioranza qualificata in seno al Consiglio. Per anni, il collegio di Bruxelles ha cercato di fare breccia nel bastione un tempo inespugnabile dell’articolo 346 del Trattato sull’Unione europea39 . Questo articolo consente agli Stati membri di invocare “interessi essenziali di sicurezza” per esentare dalle norme europee tutto ciò che ha a che fare con “la produzione o il commercio di armi, munizioni e materiale bellico”. Nelle sue proposte, la Commissione sta cercando di introdurre misure che le conferiscano il diritto di richiedere la condivisione di informazioni sensibili, di effettuare ordini prioritari e di autorizzare trasferimenti intraeuropei senza l’approvazione dei governi. Allo stesso tempo, si moltiplicano gli attacchi alla regola dell’unanimità in politica estera e di difesa. Quando si tratta di un settore così importante della sovranità, una simile prospettiva potrebbe facilmente rivelarsi controproducente. Per una volta, la NATO è più lucida. Come si legge in un rapporto: “Abbandonare questo principio [del consenso] e porre alcuni membri in una posizione di minoranza su questioni essenziali potrebbe generare rancore, che sarebbe dannoso per la coesione dell’Alleanza “40 . Nell’UE, la regola dell’unanimità è anche l’unica salvaguardia rimasta per coloro, spesso la sola Francia, che si oppongono a una maggioranza incurante di rinunciare all’autonomia.
3. E le tre D? Disaccoppiamento, duplicazione, discriminazione
La relazione tra PSDC e Alleanza Atlantica è sempre stata
il più affidabile indicatore della serietà delle sue ambizioni dichiarate.
Secondo l’ex direttore dell’Istituto per gli studi sulla sicurezza dell’UE, Nicole Gnesotto: “Dalla creazione di una politica di sicurezza e di difesa europea quasi vent’anni fa, la NATO
è sempre stata vista come il limite superiore da non superare”. E lo storico spiega: “In altre parole, gli europei sono stati applauditi se i loro sforzi si limitavano a questioni di bilancio o di capacità tecniche per rafforzare la NATO; si proibiva loro di agire se emergeva un rischio di autonomia politica per l’Europa attraverso il progresso della difesa europea “41. Questo divieto è stato incarnato sin dall’inizio dalla triplice condizione posta da Washington per mantenere la sua mano sulla nuova politica dell’UE. Nessun disaccoppiamento del processo decisionale europeo dalla NATO, al fine di garantire la priorità all’Alleanza.
Nessuna duplicazione dei compiti, delle strutture e capacità della NATO, in modo da impedire all’Unione di acquisire strumenti che le consentano di agire in modo indipendente. Nessuna discriminazione nei confronti degli alleati non appartenenti all’UE, il che significa che la politica europea deve essere strutturalmente aperta alle interferenze permanenti dei Paesi terzi42.
Alcuni di questi argini finora incrollabili sembrano iniziare a cedere. Tabù del passato, come una sede europea permanente, la preferenza europea negli armamenti o la difesa collettiva, stanno riapparendo nelle discussioni, anche se con le consuete precauzioni. È quindi importante esaminare i dettagli di questi presunti cambiamenti e, soprattutto, confrontarli con i fatti e le azioni. Ad esempio, è opinione comune che l’adesione di Finlandia e Svezia rafforzerà automaticamente il famoso “pilastro europeo” dell’Alleanza. Ma i conti non tornano. È vero che il numero di Paesi dell’UE passerà da 21 a 23, ma il numero di alleati aumenterà da 30 a 32. D’altra parte, 23 dei 27 Stati membri dell’UE saranno anche membri della NATO, con le sole eccezioni di Austria, Irlanda, Malta e Cipro.
Più sono i Paesi dell’UE che non appartengono alla NATO, più c’è motivo di chiedere una distinzione tra le due organizzazioni e la possibilità per gli europei di condurre le proprie politiche. D’altra parte, la sovrapposizione sempre più perfetta tra le due mappe serve da pretesto per abolire le barriere tra questi due organismi e arruolare l’intera Europa nelle strategie “occidentali” sotto la bandiera della NATO. La posta in gioco è alta, tanto più nel nuovo contesto internazionale, e il disagio degli europei è palpabile. Certo, c’è stata una dichiarazione congiunta NATO-UE (secondo la NATO)43 o UE-NATO (secondo l’UE)44 dopo l’altra, nel 2016, nel 2018 e più recentemente nel gennaio 2023, ma la rivalità è innegabile. Questo spiega, secondo un rapporto del Senato francese, “le difficoltà incontrate per far sì che la cooperazione NATO-UE sia menzionata nel nuovo Concetto Strategico della NATO, nonché il rinvio del progetto di dichiarazione NATO-UE “45 .
Non disaccoppiamento
La guerra in Ucraina è stata vista da molti come un’opportunità per rafforzare i legami tra le due organizzazioni. Il nuovo Concetto strategico della NATO riconosceva l’UE come “un partner essenziale e unico” per l’Alleanza e aggiungeva alle consuete aree di cooperazione (mobilità militare, resilienza, lotta alle minacce ibride) “la risposta alle sfide sistemiche alla sicurezza euro-atlantica poste dalla Repubblica Popolare Cinese”. Questa novità è stata ripresa, con più cautela, nella dichiarazione congiunta del 202346. Oltre al dossier cinese, la continua estensione delle aree di competenza e di interesse dell’Alleanza (dal cambiamento climatico alla lotta alla disinformazione) sta forzando la mano agli europei. Una volta che un argomento viene trattato nell’arena atlantica, il doppio argomento della sicurezza e del legame con l’America fa sì che, sulla stessa questione nell’UE, gli europei vedano ridotto il loro margine di manovra.
In pratica, la guerra in Ucraina ha offerto l’opportunità di una maggiore partecipazione incrociata tra i team delle due organizzazioni in gruppi di lavoro e riunioni di ogni tipo. La cooperazione formale e informale si sta intensificando, con il rischio di rendere sempre più teorica l'”autonomia decisionale” degli europei. Tanto più che, politicamente, il “pilastro europeo” dell’Alleanza è un costrutto fittizio. Come ha sottolineato Sven Biscop nel suo libro del 2019: “Fondamentalmente, la voce dell’Europa non è presente nell’Alleanza”. A suo avviso, sarebbe logico che gli europei parlassero con una sola voce all’interno della NATO, e in linea di principio non c’è nulla che impedisca loro di raggiungere un accordo tra di loro prima delle riunioni con gli alleati. Questa sarebbe “la logica conseguenza del progressivo sviluppo dell’UE come attore strategico: una grande potenza agisce come una grande potenza ovunque “47 . Anche se riescono a trovare una posizione comune su alcune questioni, gli alleati europei rimangono profondamente divisi sull’opportunità di aderire alla NATO per paura di offendere gli Stati Uniti.

Non duplicazione
Il criterio di non duplicazione tra NATO e UE – incarnazione del famoso concetto di “complementarità” tra le due organizzazioni – si esprime attraverso tre divieti: non ci può essere “duplicazione” di compiti (la PSDC non deve toccare il monopolio della NATO sulla difesa collettiva); non ci può essere duplicazione di armamenti (gli europei sono invitati a continuare a dare priorità all’acquisto di armamenti americani, invece di pensare in termini di autonomia per l’EDTIB – European Defence Technological and Industrial Base); e non ci può essere duplicazione di risorse di pianificazione e comando (nessun quartier generale permanente per le operazioni PSDC).
La valorizzazione dell’articolo 5 del Trattato Nord Atlantico va di pari passo con la percezione dell’incredibile leggerezza delle disposizioni analoghe dell’Unione Europea, in particolare della clausola di mutua difesa definita all’articolo 42, paragrafo 7, del Trattato UE. L’affermazione del Cancelliere Scholz secondo cui la Svezia, in attesa di aderire alla NATO, “può contare sulla clausola di solidarietà dell’UE” per la sua difesa ha provocato, nel migliore dei casi, un’educata derisione. All’ombra della guerra, gli europei si precipitano tutti sotto l’ombrello americano – un chiaro ripudio degli impegni europei. Ma c’è di peggio. Secondo il relatore dell’Assemblea Nazionale sull’argomento, gli esperti del Ministero delle Forze Armate e del Ministero dell’Europa e degli Affari Esteri “hanno sottolineato che l’articolo 5 è più solido dell’articolo 42.7”, poiché include un riferimento esplicito all’uso della forza armata48.
Tuttavia, finora Parigi ha sempre sottolineato l’implicita inclusione della forza armata nell’espressione “tutti i mezzi” e l’automaticità dell’impegno previsto dall’articolo 42.7 (gli Stati membri “prestano aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro potere” a uno Stato membro attaccato). Ciò era in contrasto con la non automaticità, sottilmente negoziata all’epoca da parte americana, dell’impegno di cui all’articolo 5: se un alleato viene attaccato, ciascuno degli altri Paesi dell’Alleanza “prenderà le misure che riterrà necessarie”. Se confermata, questa inversione di rotta rispetto alla visione francese avrebbe conseguenze di vasta portata per la difesa europea. La NATO ha sempre considerato la difesa collettiva come il suo mercato vincolato e i leader dell’organizzazione tengono d’occhio qualsiasi dichiarazione, tradizionalmente francese, che possa seminare dubbi. C’è stata frustrazione nel quartier generale dell’Alleanza quando Parigi ha deciso, dopo gli attentati al Bataclan nel novembre 2015, di invocare l’articolo 42.7 dell’UE e non l’articolo 5 della NATO, come aveva fatto Washington dopo l’11 settembre.
Secondo Nicole Gnesotto: “L’elenco delle battaglie ideologiche, gigantesche e irrisorie, sul tema trito delle relazioni UE-NATO potrebbe riempire ogni piano di una biblioteca. La più dura riguardava la creazione di un comando supremo europeo per dirigere le operazioni europee “49 . Su questo tema abbiamo avuto di tutto: un divieto totale, poi parziale, senza struttura permanente, senza pianificazione strategica, un nucleo nella sfera civile con un quartier generale senza alcuna competenza per le operazioni militari in quanto tali. Per non parlare dei nomi più fantasiosi utilizzati per evitare la parola “Quartier Generale”, considerata troppo ambiziosa. Oggi, la Military Planning and Conduct Capability (MPCC) dovrebbe diventare la chiave di volta della Rapid Deployment Capability prevista dalla Strategic Compass50. Creata nel 2017 per garantire la pianificazione e la condotta di operazioni per missioni “non esecutive”, senza l’uso della forza, entro il 2025 dovrebbe essere in grado di aggiungere due operazioni militari su piccola scala e una su media scala, oltre alle regolari esercitazioni militari dal vivo51.
Un altro punto cardine della sicurezza europea, quello che determina il suo grado di autonomia in termini di risorse, è la questione degli armamenti, che sta diventando più che mai rivelatrice. A seguito della guerra in Ucraina, gli acquisti di armi americane sono in aumento: Finlandia, Germania, Grecia, Repubblica Ceca e Romania stanno ora cercando di acquistare anche gli F-35. E il super-aereo di quinta generazione è solo la punta dell’iceberg. Tutto ciò conferma l’analisi di Eric Trappier, CEO di Dassault Aviation, che parla di “preferenza americana” in Europa. Lo squilibrio è evidente fin dall’inizio: il 94% degli acquisti di armi del Pentagono proviene da fonti americane e i fornitori europei non rappresentano nemmeno il 2% del totale, mentre quasi due terzi degli acquisti di armi da parte dei Paesi dell’UE sono effettuati al di fuori dell’Unione, principalmente negli Stati Uniti. Nell’attuale situazione ucraina, Washington sta accelerando il passo: ha sbloccato 3 miliardi di dollari di aiuti per l’acquisto di armi americane da parte dei “Paesi più a rischio di aggressione russa”, tra cui 11 Stati membri dell’UE. Con tutto ciò che ne consegue in termini di conquista del mercato, indebolimento dei concorrenti e garanzia di futuri contratti di ammodernamento e manutenzione per anni, se non decenni, a venire.
Inoltre, quando gli europei compiono timidi sforzi per rifornire il loro DITB, la NATO reagisce immediatamente, con la pelle in mano. Le recenti iniziative sopra elencate, l’acceleratore di innovazione per la difesa del Nord Atlantico DIANA, il Fondo per l’innovazione della NATO e il Piano d’azione per la produzione nel settore della difesa, sono state tutte lanciate per togliere il vento alle vele del crescente attivismo dell’Unione Europea in questo settore. Allo stesso tempo, la NATO si sta adoperando per intensificare la cooperazione tra le due organizzazioni in materia di industria e tecnologia della difesa: il Commissario europeo Breton è stato invitato a presentare un documento non esposto sulle iniziative europee al Consiglio del Nord Atlantico nel dicembre 2022, e i contatti tra i rispettivi team si stanno moltiplicando. Duplicare le attività dell’UE e stringere legami sono i metodi abituali utilizzati dalla burocrazia della NATO per catturare e penetrare le iniziative europee. Ma la sua carta vincente è, come sempre, l’ultima delle tre D: la richiesta di accesso alle politiche europee per gli alleati non UE. Come si legge nella Dichiarazione congiunta del 2018, “incoraggiamo la più ampia partecipazione possibile dei membri dell’Alleanza non appartenenti all’UE alle iniziative dell’UE”.
Non discriminazione
In questo spirito, lo scorso aprile è stato concluso un accordo amministrativo tra il Pentagono e l’Agenzia europea per la difesa, atteso da tempo52 . Ma il requisito della “non discriminazione” nei confronti degli alleati esterni all’Unione europea è onnipresente in tutte le iniziative, in misura diversa. L’UE sottolinea che la partecipazione di terzi avviene sempre caso per caso e che la distinzione è chiara tra i suoi Stati membri e gli altri alleati. Tuttavia, Eric Trappier sottolinea che “in alcuni casi, i fondi europei vanno a beneficio di aziende americane piuttosto che europee, il che solleva alcuni interrogativi sull’uso del denaro pubblico in Europa “53 . Gli Stati Uniti, la Norvegia e il Canada partecipano al progetto di mobilità militare nell’ambito della Cooperazione permanente strutturata e l’azienda americana John Cockerill partecipa a tre progetti del Fondo europeo per la difesa (FAMOUS2, MARSEUS e INDY)54 .
Con il moltiplicarsi delle iniziative e dei finanziamenti dell’UE, la spinosa questione dell’accesso dei terzi (i cosiddetti “criteri di ammissibilità”) si fa sempre più pressante. I fondi liberati rimarranno all’interno dell’Unione, per rafforzare il suo ITB autonomo, o saranno utilizzati per acquistare dall’estero, anche se ciò significa diluire l’autonomia e la specificità dell’Europa all’interno del blocco euro-atlantico? Le ultime iniziative forniscono una serie di risposte. L’UE spera di alleviare la carenza di munizioni con un piano in tre parti chiamato ASAP55 , ognuna delle quali è regolata da norme diverse. Non esistono criteri vincolanti per il rimborso da parte del Fondo europeo per la pace (EPF), un fondo intergovernativo fuori bilancio, delle munizioni di artiglieria e missili prelevate dagli Stati membri dalle proprie scorte e consegnate all’Ucraina. Vi sono tuttavia alcuni vincoli all’acquisizione congiunta di queste attrezzature: gli operatori stranieri
sono ammissibili se “una fase significativa di produzione, compreso l’assemblaggio finale” è effettuata nell’UE o in Norvegia.
Per quanto riguarda la produzione industriale, le aziende che ricevono gli aiuti non devono essere soggette al controllo di terzi; se lo sono, devono essere state preventivamente sottoposte a screening per gli investimenti stranieri; se non lo sono state, possono essere ammissibili solo se la loro partecipazione è ritenuta nell’interesse dell’UE. Questa definizione lascia aperta la porta a varie deroghe. Il regolamento stabilisce, tuttavia, che il bilancio dell’UE “non dovrebbe” finanziare l’aumento della produzione di prodotti soggetti a restrizioni d’uso imposte da un Paese terzo. Ciò implica l’esclusione delle entità soggette alle normative ITAR degli Stati Uniti.
La stessa logica si ritrova nel testo finale del Regolamento sugli appalti congiunti per la difesa56 . Il paragrafo 22 afferma che “le procedure e i contratti di appalto congiunto dovrebbero anche includere un requisito che il prodotto della difesa non sia soggetto a restrizioni imposte da un Paese terzo non associato o da un’entità di un Paese terzo non associato che limitino la capacità degli Stati membri di utilizzare tale prodotto della difesa”. Come sempre quando si tratta di questioni controverse e delicate, il testo europeo lascia spazio all’interpretazione – in una lettura minimalista o massimalista, a seconda dello spirito del momento.
4. La formula magica
Nel nuovo contesto, che il Concetto strategico 2022 della NATO riassume come segue: “L’area euro-atlantica non è in pace”, europei e americani si trovano di fronte alle loro antiche contraddizioni, alle quali si aggiungono una nuova urgenza e nuovi vincoli. I governi europei sanno che la loro credibilità in termini di difesa vale tre volte zero, quindi sono desiderosi di mantenere la tutela americana, pur sapendo che questa protezione dall’esterno non è né solida né permanente. Per Washington, le ambizioni di autonomia europea porterebbero a un’intollerabile perdita di influenza e di controllo, ma non è nemmeno auspicabile un’eccessiva dipendenza dagli alleati: riconosce e aggrava la loro mancanza di responsabilità in campo militare e aggiunge benzina al fuoco degli isolazionisti americani, che non vogliono certo questo tipo di fardello.
Per ricordare che, dalla caduta del Muro di Berlino, la ricerca di modi per tagliare questo nodo gordiano ha occupato gran parte del tempo e delle energie di decisori e strateghi. In tre decenni, sono emerse solo due iniziative significative. A metà degli anni ’90, all’interno dell’Alleanza Atlantica è stata designata un’identità europea di sicurezza e difesa (ESDI), basata sul principio delle capacità “separabili ma non separate”, al fine di incanalare eventuali aspirazioni di autonomia all’interno dell’Alleanza. Tuttavia, lo slancio dell’epoca era tale che l’ESDI si rivelò insufficiente. Fu abbandonata a favore della Politica Europea di Sicurezza e Difesa (PESD), creata due anni dopo nel quadro dell’UE, al di fuori della NATO, uno sviluppo che all’epoca fu visto come una piccola rivoluzione. Il direttore politico del Ministero della Difesa britannico espresse la sua preoccupazione in questi termini: “Abbiamo lasciato che il genio scappasse dalla bottiglia “57 .
Ma si trattava di un genio meticolosamente addomesticato. Le condizioni 3D lo hanno bloccato in una camicia di forza, assicurando che, nonostante le spinte istituzionali e (mini-)operative della PESD, il primato della NATO rimanesse intatto. Il risultato è un livello di inerzia che continua a stupire anche gli osservatori più smaliziati. Nel 2017, Jeremy Shapiro, direttore della ricerca presso l’ECFR (European Council on Foreign Relations) ed ex consigliere del Dipartimento di Stato, ha sottolineato lo squilibrio: “Le nazioni europee dipendono dall’America per la loro sicurezza e l’America non dipende dall’Europa per la propria. Questa dipendenza asimmetrica è la caratteristica fondamentale e apparentemente permanente della relazione transatlantica “58 . Cinque anni dopo, è tornato sull’argomento, scrivendo: “Con l’intensificarsi della competizione geopolitica, gli europei sono diventati più dipendenti dagli Stati Uniti di quanto non lo siano mai stati dall’inizio della Guerra Fredda “59 .
È in questo contesto che il conflitto ucraino è stato introdotto nella dinamica transatlantica, nel senso di uno squilibrio più pronunciato a favore degli Stati Uniti. La discrepanza tra una “difesa europea” svalutata e una NATO rivalutata – basti ricordare gli acquisti di armi americani e la fretta di Finlandia e Svezia di mettersi sotto le ali protettive dell’Alleanza – ha fatto rivivere l’idea, molto diffusa negli anni ’90, di una difesa europea concepita come “pilastro europeo della NATO”. Il genio è tornato nella sua meravigliosa lampada. Su questa base sembra emergere un ampio consenso tra gli esperti e i decisori di tutti gli schieramenti: “La guerra in Ucraina ha evidenziato la dipendenza dell’Europa dagli Stati Uniti per la sua sicurezza.
Anche se l’autonomia strategica è fuori portata, l’UE deve lavorare per rafforzare il pilastro europeo della NATO “60 .
A riprova, se ce ne fosse bisogno, dello zeitgeist, il rapporto del Senato francese sulle relazioni transatlantiche ripete questa antifona, che si riteneva superata negli ultimi anni, se non decenni. Torna sulla necessità di “spiegare e convincere i nostri partner americani ed europei per dimostrare, nel modo più concreto possibile, che gli sforzi di difesa europei non indeboliscono la NATO, ma la rafforzano al contrario”. Allo stesso tempo, ha fatto due osservazioni su cui riflettere: “per gli Stati membri dell’UE, questo sforzo di difesa può concretizzarsi solo nel quadro della NATO, sotto forma di un pilastro europeo dell’Alleanza” e “gli Stati Uniti continuano a percepire il progetto di difesa europeo come in competizione con – e non complementare a – la NATO “61 .
Il Presidente Emmanuel Macron intende quadrare il cerchio con la magia delle parole: “Credo che abbiamo dimostrato collettivamente che la difesa europea non è in concorrenza o in sostituzione della NATO, ma che è uno dei suoi pilastri. Anche in questo caso, noi dell’Alleanza non vogliamo essere semplici partner vassallizzati, dipendenti solo da una potenza che ne ha la capacità “62. Di quale “noi” stiamo parlando? È vero che i leader europei cercano di riempire i loro discorsi con riferimenti all’autonomia. “Questa alleanza con gli Stati Uniti implica forse che dovremmo seguire ciecamente e sistematicamente la posizione degli Stati Uniti su tutte le questioni? No!”, ha dichiarato Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, a France Info63. Josep Borrell, Alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri, ha affermato un’ovvietà: “Senza autonomia, rimaniamo dipendenti “64. Di quale autonomia stanno parlando? Di quale autonomia stanno parlando? Se negli ultimi anni la retorica europea ha ripreso il termine a lungo tabù di autonomia, è solo per usarlo, distorcendolo, al servizio di spinte federaliste. Come già osservato: “Più l’UE parla di autonomia, più chiede “maggiore integrazione”. In questa narrazione, il passaggio alla maggioranza qualificata creerebbe, con un colpo di bacchetta magica, un’Europa-potenza che parla con una sola voce, in grado di giocare il proprio ruolo sullo scacchiere geopolitico. Ma una visione così semplicistica tende a confondere la forma con la sostanza. Non è a causa della regola dell’unanimità che l’UE è incapace di avere una politica di potenza indipendente, al contrario. La posizione maggioritaria tra i partner europei è sempre stata quella di ignorare o addirittura vilipendere i concetti di potere e indipendenza”.65 Su questo punto, nulla è cambiato. Il senatore Jean-Marc Todeschini ha osservato durante una sessione dedicata al tema: “La Francia è isolata, come possiamo vedere quando ci sediamo all’Assemblea parlamentare della NATO. Possiamo continuare a sognare, ma i nostri partner europei non hanno alcuna intenzione di far progredire la difesa europea “66 .
Ottimista, Nicole Gnesotto osserva che l’odierno “riflesso atlantista” non significa necessariamente la “sepoltura” di qualsiasi idea di potenza.
Prima la NATO, poi l’Europa “67.

Solo che tutto sarà fatto per la prima fase. La Francia dovrà lottare affinché la nozione di pilastro europeo “separabile” si trasformi in quella di “separabilità in toto”. Dalle basi tecnologiche e industriali alla pianificazione strategica e operativa: una sorta di inversione di ciascuna delle componenti del famoso 3D. Ciò promette aspre battaglie in cui l'”insieme” non trova spazio. Le formule ambigue del discorso NATO-Europa, come “autonomia aperta”, “autonomia intelligente” e “complementarietà”, ingannano solo chi vuole essere ingannato.
Per definizione, l’autonomia europea deve basarsi sull’idea di essere “separabile nella sua interezza”. Solo così potremo sperare di raggiungere un giorno un partenariato veramente equilibrato con l’America. L’autonomia a buon mercato non va bene. Gli Stati Uniti hanno uno spiccato senso dei rapporti di forza e non si impegneranno con i loro alleati europei su un piano di parità finché le relazioni transatlantiche rimarranno segnate, in ultima analisi, dall’asimmetria. Nel suo libro pubblicato nel 1987, André Lebeau, ex presidente del CNES, ha riassunto la sfida in una frase che non è invecchiata di un giorno: “La strada che potrebbe un giorno portare alla dipendenza reciproca con gli Stati Uniti è la stessa che porta all’autonomia europea “68 .
Trentacinque anni dopo, gli europei si rifiutano ancora di seguire questa logica fino alla sua conclusione. Non è escluso che sia la volubilità della politica americana a costringerli, in ultima analisi, a rompere con i loro riflessi di autovassallizzazione. Lo spettro sempre più reale del disimpegno americano, totale o parziale, temporaneo o permanente, è l’unico argomento che può motivare i Paesi europei verso una maggiore autonomia – salvo che questa ambizione di autonomia viene temperata fin dall’inizio, perché viene sempre vista come una precipitazione dello stesso disimpegno tanto temuto. Si tratta di un dilemma finora insolubile, che gli elettori americani potrebbero un giorno risolvere per l’Europa.
Tuttavia, restano da affrontare sfide importanti. Una volta che le matrici della dipendenza sono ben salde, è facile passare da una dipendenza all’altra. Nulla fa pensare che, senza la leadership americana, gli europei nel loro complesso si orienterebbero verso l’affermazione del loro potere e della loro indipendenza, anziché lasciarsi tentare da una politica di acquiescenza o addirittura di sottomissione ad altre potenze o forze esterne. Soprattutto se la marcia federalista continua, denigrando e disfacendo le identità e le sovranità nazionali. Philippe Seguin ha avvertito nel suo leggendario discorso sul Trattato di Maastricht: “Il primo alibi per tutte le nostre rinunce è senza dubbio l’integrazione europea. Questo alibi per l’Europa è pieno di pericoli, perché è inutile sperare che i nostri problemi siano risolti da quella che è fondamentalmente una corsa a perdifiato. Condividere le debolezze e le mancanze degli altri non ha mai migliorato le prestazioni “69 . Il suo unico contributo è quello di paralizzare coloro che non vogliono entrare nei ranghi.

4 Nota: « Le contenu de l’article n’engage que son auteur et ne reflète pasnécessairement la position du Foreign Policy Research Institute ».

5 Discours de la présidente de la Commission Ursula von der Leyen auParlement européen, 1er mars 2022.

6 Discours du Haut représentant de l’Union pour les Affaires étrangères et laPolitique de sécurité Josep Borrel au Parlement européen, 1er mars 2022.Remarques du Président Biden à Madrid, le 29 juin 2022.

7 Discours de clôture d’Emmanuel Macron, président de la République, ForumGlobsec, Bratislava, 31 mai 2023.

8« Invasion de l’Ukraine par la Russie: implications pour la défense collectivedes alliés et impératifs du nouveau Concept stratégique », Rapport àl’Assemblée parlementaire de l’OTAN, par Cédric Pérrin, 20 novembre 2022.

9 NATO Details Defense Plans—And Reiterates Call for More MemberSpending, in Defense One, 11 mai 2023.

10 Audition, à huis clos, de Mme Muriel Domenach, ambassadrice,représentante permanente de la France au conseil de l’OTAN pour un retoursur le sommet de l’OTAN des 11 et 12 juillet 2023 à Vilnius. 19 juillet 2023

11« Guerre russe contre l’Ukraine: impératifs stratégiques pour l’OTAN »,Rapport de l’Assemblée parlementaire de l’OTAN, par Tomas Valasek, 8octobre 2023.

12 Communiqué du Sommet de Vilnius, le 11 juillet 2023

13 Rising ammunition prices set back NATO efforts to boost security, officialsays, Reuters, 16 septembre 2023.

14 The Invasion of Ukraine Spurred NATO to Revamp Its Defense PlansAgainst Russian Attack, AP, 11 juillet 2023.

15 Concept stratégique 2022 de l’OTAN, adopté à Madrid, le 29 juin 2022.

16 M. Domenach, Audition précitée.

17 Voir de l’auteur: « La Turquie dans l’OTAN, entre utilité et hostilités », Notede l’IVERIS, 26 novembre 2020.

18 Speech by Secretary General Jens Stoltenberg at the NATO-Industry Forum,25 octobre 2023. Afflux de candidatures pour le programme pilote du DIANA,l’accélérateur d’innovation de l’OTAN, www.nato.int, 31 août 2023.

19 Le Fonds OTAN pour l’innovation formalise son compartiment phare d’unmilliard d’euros, www.nato.int, 1er août 2023.

20 Déclaration du secrétaire général au Forum OTAN-Industrie: « Il n’y a pasde défense sans industrie de défense », 25 octobre 2023.

21 John A. Tirpak, “US and Partners Now Moving Toward Interchangeable—Not Just Interoperable—Weapons”, in Air&Space Forces Magazine, 30septembre 2022.

22 Allied Warfighter Talks Look to NATO’s Future, DoD, 8 novembre 2022.

23 Emmanuel Macron: « L’autonomie stratégique doit être le combat del’Europe», Les Echos, 9 avril 2023.

24 Mission d’assistance militaire de l’Union européenne en soutien à l’Ukraine(EUMAM), lancée le 15 novembre 2022 pour une période de deux ans en vuede former, à terme, 30 000 soldats ukrainiens.

25 Voir de l’auteur, « L’OTAN reprend l’avantage dans son bras de fer avecl’UE », in Défense & Stratégie n°45 printemps 2021.

26 Une boussole stratégique en matière de sécurité et de défense – Pour uneUnion européenne qui protège ses citoyens, ses valeurs et ses intérêts, et quicontribue à la paix et à la sécurité internationale, Secrétariat général du Conseilde l’Union européenne, 21 mars 2022.

27« The EU Rapid Deployment Capacity: This time, it’s for real? », Parlementeuropéen, Analyse de fond à la demande de la sous-commission sécurité etdéfense (SEDE), 28 octobre 2022.

28 Communication de la Commission sur l’analyse des déficits d’investissement dans ledomaine de la défense et sur la voie à suivre, 18 mai 2022.

29 D’après le rapport de l’Agence européenne de défense publié en décembre2022, les budgets de défense européens – des 27 sauf le Danemark –augmentent pour la septième année consécutive (avec un total de 214 milliardsd’euros en 2021, soit 1,5% du PIB), et à l’intérieur des budgets, la part desinvestissements monte elle aussi depuis trois ans, pour atteindre 24%, plus queles 20% que les Etats membres s’étaient fixés. Voir : Defence Data : Key Findingsand Analysis, AED, 8 décembre 2022.

30 Entretien du président Emmanuel Macron, CNN, 11 novembre 2018.

31 Déclaration de M. Emmanuel Macron, président de la République, surl’Union européenne face au conflit en Ukraine et ses répercussions en matièreénergétique et alimentaire, Conseil européen, Bruxelles, 31 mai 2022.

32 Décision de Conseil du 26 juin 2023 modifiant la décision (PESC) 2021/509établissant une facilité européenne pour la paix.

33 EDIRPA: feu vert du Conseil aux nouvelles règles visant à encourager lesacquisitions conjointes dans l’industrie de la défense de l’UE, Communiqué depresse, 9 octobre 2023.

34 Règlement (UE) 2023/1525 du Parlement européen et du Conseil du 20juillet 2023 relatif au soutien à la production de munitions (ASAP).

35 Voir de l’auteur: « Initiatives en matière de munitions : l’Europe se tirera-telle une balle dans le pied ? », DefTech n°7, octobre-décembre 2023.

36 Aurélie Pugnet, « Défense: l’industrie européenne veut des moyens à lahauteur des objectifs de l’UE », Euractiv, 27 juin 2023.

37 Otan: les Européens rassurent les Américains sur la défense collective, AFP,15 février 2018.

38 Voir dans la prochaine section sur les conditions 3D sous « Nondiscrimination ».

39 Article 296, avant le traité de Lisbonne. Voir de l’auteur, « L’article 296 duTCE : obstacle ou garde-fou ? », in Défense & Stratégie, N°18, automne 2006.

40« L’adaptation politique et sécuritaire de l’OTAN en réponse de la guerremenée par la Russie : prendre la mesure du nouveau Concept stratégique etmettre en œuvre les décisions prises au sommet de Madrid », Rapport del’Assemblée générale de l’OTAN, par Tomas Valasek, 19 novembre 2022.

41 Nicole Gnesotto, L’Europe: changer ou périr, Editions Tallandier, 2022, pp. 211et 143.

42 Madeleine K. Albright, « The Right Balance Will Secure NATO’s Future »,Financial Times, 7 décembre 1998. Voir de l’auteur: « Double anniversaireOTAN – défense européenne: « Plus ça change et plus c’est la même chose !»Défense & Stratégie n°44, hiver 2019.

43 Voir « Relations avec l’Union européenne », sur le site Internet de l’OTAN,mis à jour le 25 juillet 2023.

44 Voir « Coopération UE-OTAN », sur le site du Conseil européen/Conseil del’Union européenne, mis à jour le 18 janvier 2023.

45 Amis, alliés mais pas alignés Pour des relations transatlantiques équilibrées, Rapportd’information, Commission des affaires étrangères, de la défense et des forcesarmées du Sénat, 6 juillet 2022.

46« L’enhardissement de la Chine et les politiques appliquées par celle-ci sont sources de défisauxquels il nous faut répondre. », Déclaration conjointe sur la coopération entrel’UE et l’OTAN, 10 janvier 2023.

47 Sven Biscop, European strategy in the 21st century – New future for an old power,Routledge, 2019, p.109.

48 Examen et vote sur le projet de loi sur l’accession de la Finlande et de la Suède, Commission des affaires étrangères, Assemblée nationale, 27 juillet2022. Propos du rapporteur Jean-Louis Bourlanges.

49 N. Gnesotto, Ibid. p.142.

50 The Military Planning and Conduct Capacity (MPCC), Factsheet de l’Unioneuropéenne, février 2023.

51 Le premier de ces exercices eut lieu en Espagne, à la mi-octobre 2023, leprochain est prévu pour le second semestre de 2024, « avec en particulier lesoutien de l’Allemagne » d’après le Haut représentant de l’UE.

52 EDA–U.S. Department of Defense Administrative Arrangement Signed, Agenceeuropéenne de défense, 26 avril 2023.

53 Audition de M. Eric Trappier, Président-directeur général de DassaultAviation, Commission des affaires étrangères, de la défense et des forcesarmées du Sénat, 24 mai 2023.

54 Reinforcing the European defence industry, Briefing, Parlement européen, juin2023.

55 Règlement (UE) 2023/1525 du Parlement européen et du Conseil du 20juillet 2023 relatif au soutien à la production de munitions (ASAP).

56 Règlement relatif à la mise en place d’un instrument visant à renforcerl’industrie européenne de la défense au moyen d’acquisitions conjointes(EDIRPA), adopté par le Conseil le 10 octobre 2023.

57 Richard Hatfield, The Consequences of Saint-Malo, Public Lecture at IFRI,Paris, 28 April 2000.

58 Jeremy Shapiro – Dina Pardijs, The transatlantic meaning of Donald Trump:a US-EU Power Audit, ECFR, 21 septembre 2017.

59 Jeremy Shapiro, Why Europe has no say in the Russia-Ukraine crisis, ECFR,27 janvier 2022.

60 Judy Dempsey, Judy Asks, « Is European Strategic Autonomy Over? »,Carnegie Europe, 23 janvier 2023.

61 Rapport d’information sur les grandes orientations de la politique étrangèreaméricaine et les relations transatlantiques, Sénat, 6 juillet 2022.

62 Discours d’Emmanuel Macron, Président de la République à la Conférencedes ambassadeurs, Paris, 1er septembre 2022.

63 Entretien diffusé le 12 avril 2023.

64 Josep Borrell, chef de la diplomatie européenne: « Le système mondial risque de se fragmenter », in Le Monde, 24 avril 2023.

65 Voir de l’auteur, « L’OTAN reprend l’avantage dans son bras de fer avecl’UE », in Défense & Stratégie n°45 printemps 2021.

66 Propos de Jean-Marc Todeschini lors de l’examen en Commission duRapport d’information précité, Sénat, 6 juillet 2022.

67 Nicole Gnesotto, « Boussole stratégique: l’industrie ou la puissance »,Blogpost, Institut Jacques Delors, 4 avril 2022.

68 André Lebeau – Patrick Cohendet, Choix stratégiques et grands programmes, Ed.
ECONOMICA, 1987, p.171-172.
69 Discours prononcé par Philippe Seguin, Assemblée nationale, 5 mai 1992.

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GAS E POLITICA/ L’importanza e i nemici del Piano Mattei italiano, di Marco Pugliese

GAS E POLITICA/ L’importanza e i nemici del Piano Mattei italiano

Marco Pugliese

L’accordo siglato in Libia è molto importante per l’Italia, anche in ambito europeo. Ma ci sono anche degli “alleati” che remano contro questa strategia

meloni dbeibah libia 1 lapresse1280 640x300 Giorgia Meloni con il premier libico Abdul Amid Dbeibah (LaPresse)

Partiamo da un dato: la Libia era al primo posto in Africa nell’indice Onu dello sviluppo umano, ora invece viaggia verso gli ultimi posti ed è tra i più pericolosi (ex) Stati del mondo. L’export del petrolio fino al 2011 aveva nell’italiana Eni il suo assetto principale. Ricordiamo che la Libia detiene il 38% del petrolio africano ed è in grado di soddisfare l’11% dei consumi europei. Di fatto è un Paese-asset strategico da cui la nostra produzione industriale trae linfa vitale.

Non bisogna poi dimenticare che l’Italia dal 2011 a oggi ha perduto commesse, tra infrastrutture e contratti di estrazione, per un valore di 5 miliardi di euro. Il valore in termini economici (energetico più infrastrutture) ammonta a 140 miliardi di euro nell’immediato e sarebbe pari a circa quattro volte e mezzo se l’esportazione energetica e di greggio tornasse a livelli precedenti la crisi del 2011.

Questa premessa per capire l’importanza del recente accordo Eni-Libia, di fatto pilastro di quel “piano Mattei” invocato più volte dalla premier Giorgia Meloni, che nelle dichiarazioni congiunte con il primo ministro del Governo di unità nazionale libico, Abdul Hamid Dbeibah, ha affermato: “L’Italia è impegnata a fare la sua parte, per assicurare una maggiore unità di intenti da parte della comunità internazionale sul dossier libico ed evitare il rischio che alcune influenze lavorino per destabilizzare il quadro piuttosto che favorirlo”.

Una dichiarazione che ha messo il cappello all’accordo da 8 miliardi siglato da Eni in Libia tra l’ad Eni, Claudio Descalzi, e l’ad della National Oil Corporation (Noc), Farhat Bengdara, per avviare lo sviluppo delle Strutture A&E. Questo progetto andrà ad aumentare la produzione di gas per rifornire in monopolio l’intero mercato interno libico; e l’Italia sarà il nodo principale della rete di export verso l’Europa. Il prezzo e i flussi saranno gestiti da Roma, che di fatto potrà utilizzare questo canale privilegiato come leva nei confronti del Nord Europa, altra bisettrice energetica del continente. Grazie a questi accordi il nostro Paese sarà in grado di poter gestire in equilibrio le future partite energetiche europee, senza imposizioni. Questo grazie al ruolo dato dall’autonomia energetica che si vuole raggiungere. In più l’accordo consentirà di mettere al sicuro la Libia a livello energetico, di fatto creando lavoro e portando sviluppo tecnologico al Paese, con effetti di stabilizzazione sul piano sociale.

Energia e immigrazione

Giorgia Meloni in conferenza stampa ha ricordato che “il contrasto ai flussi di immigrazione irregolare per noi rimane un dossier centrale. Nonostante gli sforzi, i numeri delle migrazioni irregolari dalla Libia verso l’Italia sono ancora alti. Gli ingressi irregolari in Italia sono oltre il 50% delle persone che vengono dalla Libia, si devono intensificare gli sforzi in materia di contrasto al traffico e alla tratta di esseri umani, assicurando un trattamento umano alle persone interessate”. In sintesi l’Italia, anche tenendo in sicurezza le installazioni Eni (già presenti nel Paese), aiuterà il Governo libico nel processo di normalizzazione.

Russia e Francia

Attualmente Russia e Francia portano in Libia armi dall’Egitto, che in segreto sogna di conquistare la Cirenaica. Il Paese tornerà in sicurezza solo con una vera e propria stabilizzazione. La Francia è nel ruolo di spettatrice interessata e non possiamo considerarla Paese amico al di fuori dell’Europa. È la stessa Francia che con Nicolas Sarkozy attaccò Gheddafi senza nemmeno avvisarci. Perché? Il funzionario Sidney Blumenthal rivelò che Gheddafi intendeva sostituire il Franco Cfa, utilizzato in 14 ex colonie, con un’altra moneta panafricana. Lo scopo era rendere l’Africa francese indipendente da Parigi: le ex colonie hanno il 65% delle riserve depositate a Parigi. Poi naturalmente sul piatto c’era anche il petrolio della Cirenaica per la Total.<

Il piano Mattei è una strategia geoeconomica atta a darci autonomia energetica, senza la quale è a rischio perfino la permanenza nel G7, o comunque tra le nazioni mondiali più sviluppate. La politica green europea è già fallimentare e con elezioni continentali il prossimo anno è bene che il nostro Governo (questo come i prossimi) stia finalmente capendo che l’Europa è piena di mezzi amici e finti alleati, che vedrebbero felicemente venir meno i nostri interessi diretti in certi scenari. In questo senso, l’accordo con la Libia ha risvolti importantissimi.

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Ecco cosa ho imparato analizzando la nuova guerra fredda ogni giorno per due anni di fila, di ANDREW KORYBKO

Ecco cosa ho imparato analizzando la nuova guerra fredda ogni giorno per due anni di fila

ANDREW KORYBKO
24 FEB 2024

Queste cinque tendenze sono considerate le più significative e strategiche che si prevede avranno il maggiore impatto sulla transizione sistemica globale nel corso del prossimo anno.

Sono un analista politico americano con sede a Mosca e ho conseguito un dottorato di ricerca in Scienze Politiche presso il MGIMO; questa è la mia seconda analisi annuale della Nuova Guerra Fredda, dopo aver pubblicato la prima in occasione dell’anniversario di un anno dell’operazione militare speciale (SMO). Ho analizzato la Nuova Guerra Fredda ogni giorno dal 24 febbraio 2022, iniziando dall’ormai defunto OneWorld fino alla metà del 2022 e continuando con il mio Substack fino ad oggi. Ecco cosa ho imparato facendo questo lavoro quotidiano per il secondo anno consecutivo:

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* La bi-multipolarità sino-statunitense ha lasciato il posto alla tri-multipolarità

Il sistema bi-multipolare sino-statunitense che ha caratterizzato gli anni precedenti l’OMU si è poi evoluto in tri-multipolarità a seguito dell’ascesa dell’India come Grande Potenza di rilevanza globale. L’ordine mondiale emergente è ora plasmato dall’interazione tra il miliardo d’oro dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti, l’Intesa sino-russa e il Sud globale guidato informalmente dall’India, all’interno del quale si trovano diverse Grandi Potenze indipendenti. Con il tempo, il sistema raggiungerà la fase di multipolarità complessa (“multiplexity”), la sua forma finale.

* La “fortezza Europa” è il nuovo progetto degli USA per contenere la Russia

Il fallimento della controffensiva di Kiev ha spinto gli Stati Uniti a considerare piani di riserva per contenere la Russia, dopo che è diventato evidente che la NATO non poteva sconfiggere strategicamente il suo avversario in Ucraina. La subordinazione della Polonia alla Germania, dopo il ritorno al potere del Primo Ministro Donald Tusk, ha permesso al Paese di riprendere la traiettoria da superpotenza con il sostegno degli Stati Uniti per accelerare la costruzione della “Fortezza Europa”, che raggiungerà questo obiettivo liberando al contempo le forze americane da ridispiegare in Asia per contenere la Cina.

* La capacità militare-industriale dell’Occidente è più debole del previsto

La Germania non diventerà presto una superpotenza, né gli Stati Uniti riusciranno a contenere la Cina in modo più muscolare nel prossimo futuro, poiché i mezzi militari-industriali dell’Occidente sono più deboli del previsto, come dimostrato dal fallimento della controffensiva e dall’incapacità di ricostituire le scorte perdute che sono state consegnate a Kiev. Il New York Times ha persino confermato, lo scorso settembre, che la Russia è molto più avanti della NATO nella “corsa alla logistica”/”guerra di logoramento”, il che spiega perché anche il conflitto ucraino ha iniziato a rallentare ultimamente.

* Qualsiasi crisi sino-americana deliberatamente calcolata è stata probabilmente rinviata

Sulla base dell’ultima osservazione, è probabile che qualsiasi crisi sino-statunitense deliberatamente calcolata sia stata ritardata almeno fino alla fine del decennio, perché il complesso militare-industriale americano, sorprendentemente debole, ha bisogno di tempo per riarmare l’America, rifornire le sue scorte e armare gli alleati regionali. Una crisi relativamente minore potrebbe verificarsi per un errore di calcolo, magari a causa della disputa sino-filippina, ma gli Stati Uniti farebbero fatica a gestirne una maggiore di propria iniziativa, per non parlare di combattere una grande guerra in questo momento.

* L’ampia regione del Mar Rosso è il nuovo punto di infiammabilità del Sud globale

La rotta principale per il commercio euro-asiatico è stata interrotta dal blocco degli Houthi e la sicurezza rimane incerta anche se il blocco viene revocato, perché la Somalia ha riunito una coalizione regionale – Eritrea, Egitto e potenzialmente Turchia e Stati Uniti – per fermare i piani dell’Etiopia di aprire una base navale nel Somaliland. Gli interessi di tutte le grandi potenze chiave – Stati Uniti, Cina, Unione Europea, Russia e India – convergono nella più ampia regione del Mar Rosso, che diventa così il nuovo punto di infiammabilità del Sud globale da tenere sotto controllo.

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Queste cinque tendenze sono considerate le più significative, anche se ciò non significa che altre, come quelle in atto nel Sahel o l’accelerazione dei processi di multipolarità finanziaria, non siano importanti. Sono solo quelli che si prevede avranno il maggiore impatto sulla transizione sistemica globale nel corso del prossimo anno, per le ragioni che sono state spiegate. Spero che la mia intuizione possa ispirare altri analisti a riorientare il loro lavoro e di conseguenza a migliorarne la qualità.

L’abbraccio ai valori tradizionali della Russia degli immigrati non sara così semplice come alcuni pensano

ANDREW KORYBKO
23 FEB 2024

A differenza dell’Occidente, la Russia non è interessata alla “migrazione di sostituzione” per motivi puramente economici. Vuole che i nuovi arrivati si assimilino e si integrino nella società, che riescano a sbarcare il lunario da soli e che, idealmente, abbraccino i valori della società ospitante.

RT e Sputnik hanno riferito che la scorsa settimana il Presidente Putin si è detto d’accordo con la proposta di uno studente italiano di snellire il processo di naturalizzazione per gli immigrati che sposano i valori tradizionali, condivisi da molti occidentali, anche se ha avvertito che non c’è modo di testare queste convinzioni. Ciononostante, molti “filorussi non russi” (NRPR) sono stati incoraggiati dalle sue parole e hanno immaginato di poter presto realizzare il loro sogno di trasferirsi in Russia, ma non è così semplice come pensano.

Sebbene la Russia sia alla ricerca di lavoratori altamente qualificati dall’estero e abbia bisogno di rimpiazzare la sua popolazione in calo naturale attraverso un sistema migratorio più liberalizzato, anche per i lavoratori poco qualificati le convinzioni personali di queste persone non sono importanti quanto la loro capacità di assimilare e integrarsi nella società. La conoscenza della lingua russa è necessaria, così come la conoscenza delle leggi e della storia del Paese, per ottenere la residenza, il consueto passo avanti che la maggior parte dei cittadini compie prima di richiedere la cittadinanza.

Alcune domande di base sui valori tradizionali potrebbero quindi essere facilmente aggiunte a questi esami, come chiedere ai candidati di definire il matrimonio e di elencare il numero di generi, ma l’accordo con queste convinzioni – sincero o simulato – non sarà mai realisticamente il criterio principale per permettere a una persona di trasferirsi nel Paese. Gli immigrati devono essere in grado di svolgere un ruolo positivo nella società e di sostenersi economicamente, e solo chi è in grado di farlo può poi ricevere la cittadinanza, indipendentemente dal fatto che sia liberale o conservatore.

Il sistema migratorio è comunque molto complesso da gestire anche per coloro che soddisfano già questi criteri, e di solito richiede un avvocato specializzato come quello di VISTA Immigration affinché le domande di residenza o di cittadinanza abbiano successo. Questo perché questo ramo del governo conserva in gran parte le sue bizantine tradizioni burocratiche di epoca sovietica, che non sono migliorate molto negli ultimi trent’anni, nonostante i ben intenzionati sforzi di riforma compiuti dallo Stato negli ultimi anni.

Il modo più comune per trasferirsi permanentemente in Russia al giorno d’oggi è quello di arrivarci come studente o lavoratore, ma sono disponibili strade semplificate per coloro che completano il servizio militare o hanno parenti stretti nel Paese, tra le altre categorie che i NRPR possono conoscere meglio dal link sopra citato. La condivisione di questi dettagli serve a temperare le aspettative di queste persone, in modo che non rimangano deluse quando scoprono quanto sia ancora difficile trasferirsi in Russia.

Per la maggior parte dei richiedenti è necessaria una proverbiale montagna di documenti, e interagire con gli impiegati all’interno del Paese può spesso essere un’esperienza stressante, soprattutto se non si parla correntemente il russo. Questo processo non è adatto a chi ha poca pazienza, ma solo a chi ha la grinta di perseverare. Ne vale la pena, soprattutto per chi sposa i valori tradizionali, ma probabilmente navigare in questo sistema complesso non sarà mai così semplice come in Occidente.

C’è anche la sfida di guadagnarsi da vivere in Russia, dove i costi variano molto a seconda della località. Senza parlare un russo fluente o senza lavorare come insegnante della propria lingua madre, è estremamente difficile trovare un impiego. Questo non perché l’economia vada male, ma perché poche persone parlano una lingua straniera, quindi è naturale che non assumano nessuno che non parli russo come loro. Le eccezioni esistono, come ovunque, ma nessuno dovrebbe darle per scontate.

Naturalmente qualcuno può essere un lavoratore autonomo, e potrebbe essere più facile per lui fare un lavoro online di qualche tipo per una paga relativamente misera per gli standard occidentali, vivendo in una piccola città o in una zona rurale dove i costi sono piuttosto bassi, ma chi vuole vivere in città probabilmente farà fatica ad arrivare a fine mese. Un NRPR può essere il più convinto dei valori tradizionali e comportarsi “più russo dei russi stessi”, ma non potrà comunque trasferirsi a meno che non soddisfi i criteri precedentemente menzionati.

Ecco perché è così importante che coloro che sono interessati a questa scelta di vita inizino subito a imparare il russo, cosa che possono iniziare a fare a distanza o con lezioni private, se sono disponibili nel luogo in cui vivono attualmente, per non parlare dei corsi presso un’università locale, se anche questa è un’opzione. Il passo successivo per molti potrebbe essere quello di iscriversi a un’università russa come studenti a tempo pieno, dove possono anche imparare il russo insieme ai loro studi regolari, dopodiché possono richiedere la residenza temporanea.

Questo potrebbe aiutare le persone ad avere un vantaggio su tutto, ma questo percorso è per lo più rilevante per i più giovani, a metà dei 20 o forse dei 30 anni, essendo molto più difficile per chi ha già piantato radici in Occidente o da dove proviene. In questi casi, il servizio militare o l’imprenditoria potrebbero essere un’opzione più realistica se non si soddisfano i criteri di un lavoratore altamente specializzato, la cui categoria è ammissibile per i processi di cittadinanza semplificati.

A differenza dell’Occidente, la Russia non è interessata alla “migrazione di sostituzione” per motivi puramente economici. Vuole che i nuovi arrivati si assimilino e si integrino nella società, che riescano a sbarcare il lunario da soli e che idealmente abbraccino i valori della società ospitante. Quest’ultimo aspetto è preferibile ma non è un prerequisito, poiché non può essere verificato in modo infallibile. Chi sposa queste convinzioni e apprezza la difesa della Russia non dovrebbe quindi sperare in procedure migratorie semplificate solo in base a questo criterio.

La teoria cospirativa della Meloni su una connessione tra Russia e Hamas ha secondi fini geopolitici

Il suo riferimento ai Balcani e all’Africa nel contesto di una presunta instabilità di origine russa, che la maggior parte dei commentatori ha ignorato quando ha commentato le sue ultime dichiarazioni, potrebbe far presagire una maggiore ingerenza occidentale in Bosnia e nel Corno d’Africa.

Il Primo Ministro italiano Giorgia Meloni ha affermato in una recente intervista che “se la Russia non avesse invaso l’Ucraina, con ogni probabilità Hamas non avrebbe lanciato un simile attacco contro Israele. Era inevitabile che una così grave violazione del diritto internazionale, per di più per mano di un membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, avesse conseguenze a cascata su altre aree del mondo, dal Medio Oriente ai Balcani, fino all’Africa”.

Ha aggiunto che “questo è il gioco che stiamo giocando, e dobbiamo esserne consapevoli. Se non si ristabilisce la legalità internazionale in Ucraina, i focolai di conflitto continueranno a moltiplicarsi”. Le sue parole dovrebbero essere interpretate come un rilancio della screditata teoria cospirativa secondo cui Hamas opererebbe come proxy russo attraverso i partner iraniani di Mosca, in base a un quid pro quo segreto tra loro. Non c’è nulla di vero in questa idea, ma è destinata a galvanizzare l’Occidente contro questi due paesi nella nuova guerra fredda.

Tuttavia, il motivo per cui l’autrice ripropone questo argomento è quello di collegare altri sviluppi geopolitici non correlati in Afro-Eurasia all’operazione speciale della Russia. Il riferimento al Medio Oriente è già stato spiegato, mentre quello ai Balcani si riferisce probabilmente allo spettro del separatismo serbo in Bosnia. Il riferimento all’Africa, invece, è probabilmente un’allusione al Memorandum of Understanding (MoU) del mese scorso tra Etiopia e Somaliland più che a qualsiasi altra cosa nel continente.

Per quanto riguarda la Bosnia, l’Occidente ha spinto la falsa affermazione che il separatismo serbo non è il risultato dei disfunzionali accordi di Dayton e dell’espansione de facto della NATO in questo Paese diviso, ma si suppone che faccia parte di un oscuro complotto del Cremlino per destabilizzare l’Europa lontano dalle linee del fronte ucraino. Per quanto riguarda il Corno d’Africa, un membro del Comitato di Difesa somalo ha lasciato intendere qualche giorno fa che la Russia è la “mano nascosta” che il suo presidente ha affermato essere dietro il MoU durante il suo viaggio in Italia alla fine del mese scorso.

Il lettore dovrebbe anche sapere che la teoria cospirativa di Meloni è stata avanzata proprio mentre l’Italia ha concluso un accordo di sicurezza con l’Ucraina durante il suo viaggio a Kiev nel fine settimana, che probabilmente precederà l’adesione alla “Schengen militare” che sta rapidamente prendendo forma in Europa. A differenza della Francia, che ha appena raggiunto un accordo simile con l’Ucraina e che prevedibilmente vi esporterà equipaggiamenti militari attraverso il neonato “ponte terrestre” tedesco-polacco, l’Italia si affiderà probabilmente alla rotta greco-bulgaro-rumena.

Il motivo per cui questo è rilevante è che la sua teoria cospirativa distrae dai rapidi progressi nella costruzione della “Fortezza Europa”, che è la tendenza geostrategica a cui si sta dando priorità all’indomani della vittoria russa ad Avdeevka. Una volta completata, gli Stati Uniti potranno fare affidamento sull’UE a guida tedesca per contenere la Russia in Europa, consentendole così di ridispiegare parte delle sue forze in Asia, in modo da contenere più muscolarmente la Cina, dato che quel fronte della Nuova Guerra Fredda si riscalda dopo il raffreddamento di quello europeo.

L’Italia ha interessi anche nei Balcani e nel Corno d’Africa, il primo a causa della vicinanza geografica e dell’alleanza con la Croazia, il cui popolo costituisce una delle tre nazionalità titolate della Bosnia, il secondo a causa della Somalia, sua ex colonia. In effetti, quel Paese potrebbe presto diventare una sua neocolonia, dopo che il suo presidente ha letteralmente chiesto all’Italia di riprendere il controllo delle piantagioni perdute in quel Paese durante il suo viaggio del mese scorso, nel tentativo di assicurarsi il sostegno contro l’Etiopia e il Somaliland.

Questo fronte della Nuova Guerra Fredda è destinato a diventare più prominente nel prossimo futuro, quando la Somalia pianificherà una guerra ibrida contro i suoi due vicini in collusione con l’Eritrea e l’Egitto, i cui leader si stanno attualmente incontrando al Cairo e hanno riaffermato il loro sostegno a Mogadiscio. L’Eritrea è stata anche un’ex colonia italiana e il suo leader è stato a Roma il mese scorso nell’ambito del vertice africano di quel Paese, per cui non si può escludere che la Meloni cerchi di coinvolgere l’Italia in un eventuale conflitto attraverso questi due Paesi.

Dopotutto, è stato molto insolito che il leader eritreo si sia recato in Europa, per non parlare della sua permanenza a Roma per un periodo così lungo. Un popolare blog gestito da uno degli espatriati del suo Paese ha descritto questa visita di 10 giorni come un “punto di svolta”, il che è vero. Col senno di poi, potrebbe anche rivelarsi che il viaggio del leader eritreo rappresenta l’inizio di un incipiente disgelo nei legami con l’Occidente, che potrebbe essere suggellato dalla partecipazione del suo Paese a un’eventuale prossima guerra ibrida a guida somala contro l’Etiopia e il Somaliland.

Il pensatore neoconservatore Robert Kagan, sposato con la sottosegretaria di Stato Victoria Nuland, famosa per l'”EuroMaidan”, ha ipotizzato già nel 2008 “Il ritorno della storia e la fine dei sogni” nel suo libro fondamentale dallo stesso nome. La sua rilevanza per il presente è che prevedeva il ritorno della rivalità tra le grandi potenze e la ricaduta dei principali Paesi nei loro precedenti modelli di comportamento, che nel caso dell’Italia potrebbe vedere Roma presto flettere la sua storica influenza nei Balcani e in alcune parti dell’Africa.

Questo spiegherebbe perché la Meloni ha tirato in ballo queste due regioni quando ha rilanciato la screditata teoria del complotto su un collegamento Russia-Hamas, che la maggior parte degli osservatori ha probabilmente ritenuto casuale ma che, col senno di poi, potrebbe essere un’allusione a ciò che presto accadrà in Bosnia e nel Corno. L’accordo di sicurezza appena concluso dall’Italia con l’Ucraina potrebbe far presagire una più stretta cooperazione militare con la Croazia, con il pretesto di contrastare il separatismo serbo, e un patto correlato con la Somalia, in risposta al MoU.

Entrambi gli sviluppi in queste diverse parti del mondo hanno in comune, nella mente dei leader occidentali, il legame con la Russia, per cui ne consegue che questo blocco potrebbe essere maggiormente coinvolto in queste aree con il falso pretesto di contenere la Russia. È per queste ragioni che la teoria del complotto della Meloni ha ulteriori motivazioni geopolitiche, dal momento che non era necessario tirare in ballo i Balcani e l’Africa in quel contesto, suggerendo così che l’instabilità guidata dall’Occidente potrebbe presto scuotere la Bosnia e l’Etiopia-Somaliland, anche se in modi diversi.

Ai politici occidentali non importa il fatto di aver screditato le loro precedenti smentite di intromettersi negli affari della Russia festeggiandola come hanno fatto, dal momento che hanno ufficiosamente rinunciato a cercare di convincere coloro che in patria e all’estero già credono di essere colpevoli di Questo.

Le false accuse di ingerenza russa nelle elezioni americane del 2016 hanno causato lo sprofondamento dell’intero Occidente in una frenesia paranoica che continua ancora oggi, il tutto negando di essersi mai intromessi negli affari della Russia, ma le loro affermazioni sono ora screditate come mai prima d’ora dopo Biden e l’abbraccio di Bruxelles a Yulia Navalnaya. La prima l’ha letteralmente abbracciata quando ha visitato DC, mentre la seconda prima le ha permesso di rivolgersi ai ministri degli Esteri del blocco , entrambi avvenuti dopo che lei aveva dichiarato che avrebbe portato avanti l’eredità di suo marito.

Alexei è recentemente morto in una colonia carceraria artica dove stava scontando una lunga pena per crimini legati alla corruzione, ma il presidente Putin lo aveva precedentemente accusato di lavorare per l’intelligence americana. Si è autoproclamato leader dell’opposizione russa nonostante ne rappresentasse solo la fazione marginale e non sistemica, anche se la sua esplicita condanna del Cremlino gli è valsa le lodi dei leader occidentali e dei loro media.

La decisione di Yulia di seguire le sue orme suggerisce già che lei collaborerà anche con le agenzie di intelligence straniere per intromettersi negli affari della sua patria, ma il suo abbraccio da parte dell’Occidente non lascia dubbi sul fatto che questo è effettivamente ciò che stanno facendo già da decenni. È un po’ sorprendente che Biden e Bruxelles l’abbiano ospitata come hanno fatto, poiché ciò scredita le loro negazioni di fare esattamente ciò di cui hanno affermato che la Russia è colpevole, ma d’altra parte ha anche senso se visto in un certo modo.

Il pubblico occidentale, che è il pubblico a cui si rivolge l’abbraccio di quei due, si è biforcato tra coloro che sono scettici praticamente su tutto ciò che fanno i loro governi e coloro che sostengono ciecamente la stessa cosa. Il primo sapeva già che l’Occidente si intromette negli affari altrui, mentre il secondo lo riconosce tacitamente, ma ritiene che ciò persegua il cosiddetto “bene superiore” e quindi sia accettabile.

Intromettersi nelle loro menti significa solo che un paese apparentemente non democratico sta intervenendo negli affari di un paese apparentemente democratico, ma quando quest’ultimo fa lo stesso con il primo, allora viene considerato una “democrazia che diffonde nobilmente la democrazia”. È a questa categoria di occidentali che mirava l’abbraccio di Yulia da parte di Biden e Bruxelles, e queste acrobazie avevano lo scopo di sollevare il loro morale dopo che questo era recentemente affondato in seguito al fallimento della controffensiva estiva di Kiev .

Queste persone pensano che Relazioni Internazionali sia un film Marvel pieno di supereroi come Zelenskyj e Navalnya di cui non possono accettare la sconfitta. Di fronte a fatti “politicamente scomodi” come il fallimento della controffensiva di cui sopra o i presunti legami di Alexei con l’intelligence americana, semplicemente li ignorano e si distraggono con fantasie politiche. Nel caso dell’Ucraina, si tratta di espellere la Russia dal suo territorio pre-2014, mentre nel secondo caso si tratta di prendere il potere al Cremlino.

Nessuna delle due cose accadrà mai, ma quelli tra il pubblico occidentale che nutrono ancora false speranze su di essi dopo aver sostenuto ciecamente i rispettivi obiettivi dei rispettivi governi hanno bisogno di essere nutriti con “ oppio ” di tanto in tanto per poter rimanere impegnati in queste cause condannate, ergo trasformando Yulia in una celebrità. Continuerà a girare l’Occidente in esilio autoimposto e a trarne grandi profitti, sia attraverso canali pubblici come le imminenti vendite di libri, sia attraverso canali clandestini come i libri paga dei servizi segreti stranieri.

Ai politici occidentali non importa il fatto di aver screditato le loro precedenti smentite di intromettersi negli affari della Russia festeggiandola come hanno fatto, dal momento che hanno ufficiosamente rinunciato a cercare di convincere coloro che in patria e all’estero già credono di essere colpevoli di Questo. Invece, l’attenzione è ora nel mantenere i loro sostenitori nutriti con “hopio” in modo che non rimangano disillusi al punto da disertare, spiegando così perché stanno dando uno spettacolo tale abbracciando Yulia.

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Epilogo di Avdeevka: la svolta decisiva dello slancio russo, di Simplicius the Thinker

Molte cose rivelatrici sono emerse nella continua copertura dell’epilogo di Avdeevka. Per la prima volta, il portavoce degli Stati Uniti è stato costretto a riconoscere che la Russia sta avendo successo:

A ciò sono seguiti una serie di articoli dei mass media che hanno fatto emergere alcune delle reali perdite subite dalle AFU al momento del collasso finale.

L’ articolo WaPo di cui sopra inizia con:

KIEV – L’Ucraina non è riuscita a evacuare in sicurezza tutte le sue truppe dalla città orientale di Avdiivka durante la ritirata disordinata dello scorso fine settimana, nonostante le affermazioni del suo nuovo comandante militare in capo secondo cui la mossa era progettata per salvare vite umane ed evitare l’accerchiamento da parte dell’avanzata russa.

Ma il rapporto più scioccante è arrivato dal NYTimes che affermava che i soldati vicini all’azione hanno confermato la cattura di più di 850-1000 AFU durante le caotiche ritirate:

Continuano a scrivere:

Ma la cattura di centinaia di soldati potrebbe cambiare questo calcolo. Funzionari americani hanno affermato nei giorni scorsi che il morale si stava già erodendo tra le truppe ucraine, sulla scia di una controffensiva fallita lo scorso anno e della rimozione di un alto comandante. A causa di questi problemi, hanno detto i funzionari, l’esercito ucraino ha difficoltà con il reclutamento.

Allora perché è così scioccante? Al di là della semplice ammissione di un numero così elevato di catture in appena un giorno o due, la cosa più profonda è che ciò conferma i dati russi, che ho riportato l’ultima volta. Ho scritto che fonti russe affermavano che ne erano stati catturati almeno 500 e più, e i resoconti pro-UA si erano fatti beffe di questo numero. Pertanto, se questo dimostra che le stime russe sulle catture erano accurate, significa che anche le altre cifre ancora più critiche della Russia sono probabilmente accurate, ad esempio, sulle perdite totali delle AFU ad Avdeevka.

Shoigu ha fornito la cifra di 2.400 vittime solo negli ultimi due giorni del crollo:

E per quanto riguarda la Russia? Shoigu ha riferito che la cattura finale di Avdeevka è avvenuta con “perdite minime” da parte russa:

Alcuni riderebbero della disparità, ma come ho detto, il NYTimes ha già dimostrato a malincuore che la Russia sta fornendo cifre accurate. Chiunque abbia guardato i numerosi video di “pulizia” trasmessi in streaming dopo la liberazione, probabilmente avrà visto le montagne di cadaveri delle AFU ripulite dalle forze russe.

Le stime parlano di perdite ucraine totali ad Avdeevka comprese tra 30 e 60.000, ma è difficile conoscere l’importo totale. Per quanto riguarda le perdite russe, la parte ucraina rivendica le solite cifre esorbitanti non fornite da fonti, come 50-100.000, ecc. Un aspetto interessante è stato un blogger russo di nome “Murz” che giorni fa ha scritto un lungo sfogo disperato, sostenendo che la Russia ha perso 16.000 uomini ad Avdeevka, e poi si è tolto la vita. Murz era vicino a Strelkov e insieme formavano da tempo la spina dorsale di quello che alcuni potrebbero chiamare un “blocco” della sesta colonna. Murz era famoso per le sue continue lamentele e insulti contro il Ministero della Difesa russo, così come per le “previsioni” regolarmente errate sulla perdita o sull’incapacità della Russia di catturare ulteriormente qualcosa.

Alla luce di ciò, è difficile prendere sul serio il conteggio delle vittime di Murz, poiché era semplicemente un blogger con legami con l’esercito ma in realtà non sarebbe stato a conoscenza del conteggio delle vittime. Inoltre, va notato che ha espressamente detto che la cifra di 16.000 era per l’intero fronte che va da “Nevelske a Novoselovke”, che comprende il campo di battaglia molto attivo di Pervomaiske attraverso Avdeevka e altro ancora.

In definitiva, secondo MediaZona la Russia ha registrato una media di circa 200 morti settimanali durante l’intera guerra dall’inizio di ottobre, quando è iniziata l’offensiva di Avdeevka.

Ciò consentirebbe qualcosa come 3000 morti lungo tutto il fronte da quel periodo, di cui Avdeevka sarebbe solo una frazione. Se dovessi indovinare, direi che è possibile che la Russia abbia perso 2.000-4.000 ad Avdeevka. Ma ricordate, Shoigu ha detto che l’Ucraina ha perso 2500 persone solo nel crollo finale di due giorni, quindi estrapolatelo per l’intera campagna di 4 mesi. Dopotutto, Shoigu ha detto che la Russia lanciava ogni giorno 200 tonnellate di bombe di precisione su Avdeevka, equivalenti a 200 bombe plananti Fab da 1.000 kg, o 400 Fab-500.

I soldati di Wagner che hanno combattuto sia a Bakhmut che ad Avdeevka sostengono indirettamente questa affermazione poiché hanno recentemente affermato che ad Avdeevka era più facile poiché gli ucraini molto più spesso semplicemente scappavano piuttosto che combattere:

Ma la cosa notevole è che le perdite per l’Ucraina sono apparse così gravi da innescare una spirale discendente di panico e collasso. I dati provenienti da tutto il versante pro-UA stanno ora suonando un campanello d’allarme. Ad esempio, la portavoce della Casa Bianca Sabrina Singh ha affermato che se gli aiuti non verranno forniti presto, l’Ucraina dovrà iniziare a scegliere “quali città può o non può difendere”:

Le principali figure ucraine ora fanno pubblicamente eco al fatto che le linee delle AFU potrebbero presto crollare, o stanno già crollando su tutti i fronti:

Qui Vladimir Raschuk, comandante della Brigata Rubezh di Dnepropetrovsk, prevede la liberazione dello stesso Dnipro “presto” se non verranno adottate misure di emergenza:

Ora il comandante ad interim della Brigata Azov, Bogdan Krotevich, lamenta alla TV ucraina che la Russia attacca ovunque e che l’Ucraina non solo non ha abbastanza truppe per difendersi, ma lascia intendere che Kiev e Kharkov potrebbero finire per cadere:

La traduzione automatica fa un po’ di confusione alla fine, ma in sostanza afferma che “La Russia sta facendo ruotare le truppe avanti e indietro ovunque, da Avdeevka, Kupyansk, Rabotino, ecc. Coloro che hanno appena letto il mio nuovo rapporto a pagamento riconosceranno queste parole immediatamente: questo è esattamente ciò di cui ho scritto e che approfondirò più avanti in questo pezzo. In breve: con la sua mobilità e infrastruttura logistica di gran lunga superiori, la Russia è in grado di stupire totalmente il nemico riorientando costantemente le sue forze attraverso circa 5 fronti principali, mantenendo le forze ucraine invariabilmente sbilanciate a causa della loro incapacità di tenere il passo con rotazioni delle truppe.

Anche se sembra iperbolico dirlo, soprattutto perché lo abbiamo detto molte volte in passato, ora è in atto un definitivo cambiamento di tono. Sta cominciando a diffondersi un panico chiaramente palpabile, con l’immediatezza degli avvertimenti provenienti dai funzionari che raggiungono nuovi livelli di urgenza. Il principale di questa recente ondata è il seguente:

Ricordiamo che abbiamo già ricevuto dichiarazioni, intorno a gennaio, in cui si affermava che le scorte dell’Ucraina potrebbero durare “due mesi”. Ciò sembra concordare con ciò.

Ma ecco il kicker dell’articolo sopra:

Funzionari statunitensi prevedono che scenari simili si verificheranno altrove in Ucraina, poiché il governo è costretto a fare scelte difficili su dove collocare le rimanenti difese aeree – e mentre la Russia fa un uso maggiore della sua potenza aerea, compreso il lancio di bombe plananti guidate dai satelliti. come è stato ad Avdiivka.

“Le cose che sono protette oggi non saranno in grado di proteggere tutte queste località in futuro se non manterranno scorte di intercettori”, ha detto l’alto funzionario della difesa. E se la Russia dovesse riprendere il controllo dei cieli, “la natura di questa battaglia cambierebbe completamente”.

Seguito da:

Un funzionario ucraino ha aggiunto: “Il nostro obiettivo principale è scoraggiare l’aviazione russa. Se non possiamo farlo, è ora di fare le valigie”.

Ed ecco alcuni altri esempi che mostrano come sta cambiando il commento:

Alla televisione ucraina il segretario del comitato di difesa della Verkhovna Rada ha dichiarato che presto potrebbe dover iniziare la “mobilitazione totale”:

L’ex capo della CIA e segretario alla Difesa americano Robert Gates dice che la guerra non è in una situazione di stallo, ma in realtà le sorti sono andate a favore della Russia, e dice che la perdita di Avdeevka è stata importante:

“La marea è girata a favore della Russia” – L’ex capo della CIA ed ex segretario alla Difesa degli Stati Uniti Robert Gates dice deluso. 

Molte persone parlano di questo conflitto militare come di una situazione di stallo. Credo che non ci sia una situazione di stallo: i russi hanno ripreso slancio. 

C’è la sensazione che ora stiano andando all’offensiva. La perdita di Avdeevka ( https://t.me/IntelRepublic/34184 ) è stata importante. Ciò crea un’opportunità per i russi di spingere la linea del fronte più a est – ribadisce Gates.

Bloomberg è d’accordo:

E Reuters ha redatto un rapporto il cui video di accompagnamento assolutamente desolante è assolutamente da vedere:

E un altro rapporto afferma che le carenze nelle AFU sono ora “così estreme che stanno contando i proiettili”:

Ciò è culminato in un nuovo rapporto di Politico che affermava addirittura che gli ucraini venivano bombardati nelle loro trincee mentre cercavano aggiornamenti sul telefono sul pacchetto di aiuti del Congresso:

Le cose stanno chiaramente andando in una direzione in cui la macchina da guerra russa sta riprendendo a pieno ritmo su tutti i lati del fronte, il che coincide proprio con l’inizio non troppo lontano della primavera. Naturalmente, dobbiamo prima attraversare un’altra stagione del fango a Rasputitsa, ma la traiettoria indica chiaramente una situazione pessima per l’Ucraina entro aprile o maggio.

Secondo gli ultimi aggiornamenti, le forze russe hanno tutta l’iniziativa, tutto il ritmo e stanno sfondando in ogni settore del fronte.

Il New York Times sui prossimi probabili attacchi dell’esercito russo dopo Avdiivka. Lo scenario più probabile è lo sviluppo di un’offensiva a nord di Ugledar con attacco a strapiombo e accerchiamento della città.
Un altro punto focale delle forze armate russe è Rabochino, dove si stanno svolgendo gli eventi in questo momento, e il comando dell’AFU considera quest’area la più tesa e la concentrazione delle forze russe è maggiore che vicino ad Avdiivka. Altri 100mila soldati russi sono radunati nella zona da Kremennaya a Kupyansk. 

La BBC, nel frattempo, scrive già che la caduta di Avdiivka segnerà il più grande cambiamento in prima linea dai tempi delle battaglie per Bakhmut e avrà un impatto molto più forte sulla situazione rispetto allo stesso Bakhmut.
Il comandante del plotone di fanteria della 53a brigata delle Forze armate ucraine ha dichiarato che quasi l’intero gruppo delle Forze armate ucraine a ovest di Donetsk era legato logisticamente ad Avdiivka , non esistono centri di distribuzione e svincoli simili a ovest di questa città per decine di chilometri. Naturalmente, la cattura di Avdiivka avrà il maggiore impatto sulla linea del fronte nelle prossime settimane.

E questa è la grande domanda che tutti si pongono: cosa accadrà dopo Avdeevka? Ora sappiamo che l’Ucraina è esausta a causa della sua “controffensiva”, quindi chiaramente non è pronta per un altro tentativo, soprattutto non quando segnala apertamente il 2025 come prima data per il prossimo tentativo:

In questo momento la situazione sul fronte può essere descritta solo così: la Russia avanza ovunque. E ci sono stati anche momenti di allarme che sembrano indicare un potenziale collasso a cascata dell’AFU.

Dopo la caduta di Avdeevka, Stepove nel nord è stato completamente catturato, seguito da Severne nel sud attualmente invaso, con le forze russe che già controllavano parte dell’insediamento.

Canale ucraino che conferma:

E proprio nel momento in cui scrivo, Lastochkino, appena a ovest di Avdeevka, sarebbe stato completamente catturato:

Sono stati rilasciati numerosi video delle forze russe che piantano la bandiera al centro.

Appena a sud, vicino alla città chiave di Kurakhovo, si diceva che il comando ucraino avesse cominciato a fuggire:

Poi, le forze russe hanno catturato completamente il villaggio di Pobeda (Vittoria), che si trova vicino allo stesso asse:

È più importante di quanto sembri perché inizia a mettere in un calderone la città strategica di Novomikhailovka, come si vede qui sotto:

La stessa Novomikhailovka viene presa d’assalto da est:

Tutto questo può sembrare dispersivo, ma seguitemi e lo inserirò in un quadro generale importante e più ampio.

In primo luogo, Ugledar sta lentamente venendo tagliato fuori dalle sue vie di rifornimento più importanti a causa dello smantellamento di Novomikhailovka e della recente cattura di Pobeda – tutti e tre visti qui in cerchio per una migliore visualizzazione:

I corrispondenti ucraini invitano a prestare attenzione a quest’area, poiché Kurakhovo è la prossima nel mirino e Ugledar potrebbe presto essere avvolta:

Sintesi di quanto sopra con note:

Sia Ugledar che Kurakhovo sono roccaforti chiave con un’importanza pari a quella di Avdeevka, in quanto detengono le chiavi dell’intero fronte AFU a est del fiume Vovcha e del bacino idrico. Ecco una buona analisi di questo fronte da parte di Mikael Valtersson:

L’utile mappa qui sopra mostra la fonte d’acqua (la mappa è leggermente datata e risale a poco prima della cattura di Avdeevka, quindi ignoratela). Lo segnalo perché, come ricorderete, in un rapporto di 10 giorni fa ho descritto come l’Ucraina stia costruendo la sua seconda linea difensiva più o meno lungo il fiume Vovcha, da Kurakhovo a Prohres/Progress. Per usare la vecchia mappa di quel precedente rapporto:

Valtersson mostra anche come la seconda linea del fiume Vovcha sia la successiva barricata principale a ovest di Avdeevka: la linea blu da Prohres verso sud è il fiume:

Non lontano da lì, i paracadutisti russi starebbero assaltando Ivanovske, sul fianco occidentale di Bakhmut, e si sarebbero già insediati anche nell’importante città:

Inoltre, secondo quanto riferito, hanno iniziato a prendere d’assalto la periferia di Krasnogorovka, a nord di Marinka. Durante questo, gli aerei russi hanno consegnato un massiccio Fab-1500 – o Odab-1500, secondo alcuni resoconti – alle posizioni dell’AFU nel settore industriale al centro della città (Krasnogorovka):

La potenza cruda vista sopra evidenzia come il crollo delle difese dell’Ucraina possa iniziare ad accelerare. Con una carenza di truppe demoralizzate e con la Russia che sta pompando bombe di questo tipo a volumi record, è difficile immaginare quanto a lungo possano continuare a subire questi bombardamenti.

Ora si continua a dire che la Russia sta radunando una “forza enorme” nella regione di Zaporozhye:

Questo per quanto riguarda le offensive che sono già iniziate intorno a Rabotino. Al momento in cui scriviamo, ci giungono notizie che Rabotino è stata completamente o quasi catturata, e che l’AFU si è completamente ritirata dietro i primi denti di drago della linea Surovikin, appena a est, vicino a Verbove:

Ciò significa che l’Ucraina è tornata quasi completamente alla linea di partenza della sua “controffensiva”.Sfortunatamente per l’Ucraina, le voci di enormi malversazioni hanno compromesso qualsiasi lavoro di preparazione difensiva su Zaporozhye, ed è probabilmente per questo che la Russia è ora in grado di riprendere rapidamente il territorio:

Il Consiglio dei Ministri ucraino non aveva abbastanza soldi per i “denti di drago” per l’Amministrazione statale regionale di ZaporizhzhyaIl dipartimento per la costruzione della capitale di Zaporizhzhya ha prima aperto un’asta, ma poi è stata chiusa a causa della mancanza di fondi dal bilancio statale. Le autorità locali si aspettavano di acquistare 45 mila piramidi di cemento per 88 milioni di grivne per combattere i carri armati.Così, le spese per la difesa sono semplicemente ignorate dal Consiglio dei Ministri dell’Ucraina. Hanno semplicemente rimosso metà dei comandanti militari dai loro incarichi, e non ci sono abbastanza soldi non solo per le armi, ma anche per i blocchi di cemento. E tutto questo perché gli sponsor stranieri non hanno ancora firmato l’assegno.

E questo anche da Rezident UA:

La nostra fonte ha riferito che le strutture difensive non sono mai state costruite sistematicamente in Ucraina, a causa del desiderio di fare soldi su questo tema.Ora è emersa l’informazione che il team del Ministero della Difesa è stato rafforzato in modo non ufficiale dall’ex-deputato OP Kirill TimoshenkoSecondo le informazioni disponibili, egli è visto ogni giorno nel ministero stesso.Il funzionario, in quanto ex curatore e manager della “Grande Costruzione”, è stato incaricato del lavoro di coordinamento della costruzione di fortificazioni. Kirill Timoshenko sa come fare soldi nei cantieri e gestire grandi budget, ed è per questo che la Bankova ha davvero bisogno di una persona del genere.

Ma la notizia più importante di tutte fu la visita di Zelensky al fronte di Kharkov il 19 febbraio:

Alcuni hanno notato come abbia visitato Avdeevka letteralmente settimane prima che cadesse, e di solito mette in scena le sue visite disperate per sollevare il morale su un fronte che è destinato a riscaldarsi in modo massiccio:

Non sono sicuro che l’aneddoto sulla “superstizione” di cui sopra sia ironico o meno, ma lo schema lo conferma.

Ma è stato seguito da questa notizia:

Kiev si prepara a cedere la regione di Kharkov: quasi tutti i fondi per la ricostruzione sono stati sottratti alla regione.Nei social network del Ministero dello Sviluppo, la regione di Kharkov è stata la prima a ricevere i fondi: 993 milioni di UAH dovevano essere destinati alla ricostruzione della regione. Tuttavia, la mappa è stata successivamente aggiornata e solo 1 milione di UAH è rimasto per la regione di Kharkov. Nessuno degli oblast ha un importo inferiore, ad eccezione degli oblast di Sumy e Kherson, che non riceveranno alcuna sovvenzione”, scrive Ukropa Fresh. Secondo la nuova mappa, la regione di Lvov (424 milioni di UAH) e la regione di Dnepropetrovsk (341 milioni di UAH) riceveranno il massimo. Ricordiamo che l’intera regione di Kharkov è stata dichiarata evacuata ed è iniziata la rimozione attiva di archivi e attrezzature industriali dal centro regionale.

Si afferma che tutti i fondi per l’assistenza governativa a Sumy e Kharkov sono stati ritirati, come se Zelensky considerasse la loro perdita come una conclusione scontata.

E su questa nota finale, abbiamo notizie continue di qualcosa di grosso che potenzialmente sta per accadere nella regione di Sumy. L’ho lasciata per ultima perché, guarda caso, questa è l’unica notizia di cui ho una conferma esclusiva e personale con una mia fonte di prima mano sul campo.

Allora, quali sono le notizie?

Gli alti funzionari ucraini hanno parlato di un rafforzamento russo nel nord, ma non solo a Kharkov, in particolare nella regione di Sumy:

Mosiychuk ha commentato quanto sopra:

Non ho trovato il video
Non nominerò i villaggi esatti per motivi di OPSEC, ma ora ho un rapporto diretto sul fatto che i villaggi sul lato russo del confine nella regione di Sumy sono stati evacuati in silenzio. Le autorità russe stanno offrendo alle persone denaro e un periodo di tempo di circa due mesi per andarsene, per un motivo sconosciuto.

Alla luce di quanto sopra e delle recenti notizie, è molto probabile che la Russia stia finalmente pianificando una forte campagna di primavera con una nuova direzione aperta da nord. Come ha detto ‘Pyotr Chernik’ sopra, non ci sono ancora segnali diretti – egli ritiene che le forze russe stanziate in loco siano ancora troppo poche. Tuttavia, la Russia potrebbe rapidamente portare il raggruppamento a un corpo d’armata o a più corpi d’armata, quando la data di inizio si avvicina.

Questo ci porta alla parte finale, che ho promesso sarebbe stata una continuazione del finale dell’ultimo pezzo a pagamento.

Per gli abbonati gratuiti che non hanno potuto leggere il pezzo a pagamento, inizierò incollando prima la parte finale di esso per collegarlo all’analisi conclusiva:

È l’era del paradosso in guerra: dove la dispersione totale delle forze sembra rendere obsolete le alte densità di vittime, eppure l’intera lunghezza del campo di battaglia è sorvegliata dai sistemi più potenti e precisi della storia, come gli Iskander, i Kinzhal, gli Zircon, gli HIMAR, ecc, Questo è il motivo per cui l’unico modo per combattere e avanzare è quello di disperdere le operazioni strategiche sulla più ampia scala possibile, in modo che l’obiettivo finale diventi la totalità della vittoria piuttosto che obiettivi operativi specifici come: “Catturare questa zona di città”. Questo compito richiede la concentrazione di forze, da divisioni, brigate, battaglioni, la cui azione di preparazione è monitorata con trasparenza quasi totale dal nemico. Questa “guerra del futuro” sarà vinta dalla forza più flessibile, resiliente e adattabile, quella che può tirare i colpi, usare finte e riorientamenti lungo l’intera linea di combattimento nel modo più conveniente. La Russia lo sta dimostrando oggi utilizzando una rotazione confusa dei fronti attivi non solo per sbilanciare l’AFU, ma anche per sollecitare all’estremo la sua mobilità e la sua logistica. Quando si ha un vantaggio in termini di infrastrutture e strutture logistiche, si può “stordire” l’avversario conducendo piccole operazioni su una serie di fronti sparsi, causandogli un grande stress nel tentativo di tenere il passo. Nella battaglia di Avdeevka, abbiamo visto che l’Ucraina è stata costretta a ritirare una quantità significativa di unità d’élite da diversi fronti, come Zaporozhye e Bakhmut, per rinforzare le linee di Avdeevka che si stavano sgretolando. Una volta terminato, la Russia ha lanciato un attacco a Zaporozhye, travolgendo le posizioni dell’AFU, ormai esaurite, e non riuscendo a ripristinare le riserve abbastanza velocemente. Lo stesso vale per le regioni di Kupyansk e Kremennaya: i rapporti parlavano di un disperato ritiro di truppe dell’AFU da Kupyansk per rafforzare le difese nel nord-ovest di Bakhmut, dove la Russia ha iniziato una serie di attacchi. È come pungere un ubriaco che gira con un ago da ogni lato: non sa quasi dove viene colpito, né ha il tempo di orientarsi correttamente. Mancando di mobilità logistica – sotto forma di trasportatori fisici come gli HET, i trasporti, eccetera – l’Ucraina ha la peggio, essendo costretta a correre continuamente per tamponare le falle del ponte alluvionale.
Tenendo conto di tutto ciò che ho detto sopra e nel resto dell’articolo a pagamento riguardo all’eccesso di ISR della NATO per l’Ucraina, oltre alla prevalenza dei droni in generale e al modo in cui hanno limitato enormemente la guerra di manovra, sappiamo che l’unico modo per vincere veramente è quello di mettere a dura prova il nemico su ogni fronte e sconfiggerlo nei dettagli, mettendo a disposizione le proprie maggiori risorse logistiche ed economiche.

L’Ucraina sta iniziando a cedere: le porte si sono aperte e le linee stanno crollando ovunque, come si può vedere in molti degli aggiornamenti dai vari fronti di cui sopra. Nell’articolo a pagamento, ho sottolineato come la Russia abbia una mobilità logistica molto maggiore, che le consente di trasportare grandi quantità di unità più velocemente dell’Ucraina. Quello che stiamo vedendo ora è l’utilizzo di questa capacità da parte della Russia: sta trasferendo e facendo ruotare le unità sulla mappa da un settore all’altro, conducendo assalti lampo e raid che inducono l’Ucraina a iniziare a trasferire le riserve di emergenza per rinforzare il fronte. Ma poiché la meccanizzazione logistica dell’Ucraina è molto più sclerotica rispetto a quella della Russia, quando l’Ucraina sposta i suoi rinforzi, la Russia ha già effettuato un’altra rotazione verso un altro fronte, o addirittura verso quello che l’Ucraina ha appena privato dei suoi rinforzi critici.

Questo permette alla Russia di attaccare l’Ucraina nei punti deboli in modo rapido, mentre un’AFU esausta è costretta a reagire con un ritardo crescente. Ancora una volta riporto l’articolo in cui prevedevo che questo sarebbe stato proprio il metodo che la Russia avrebbe utilizzato per affrontare l’AFU:

Come già osservato, tutti i peggiori indicatori possibili stanno attualmente convergendo per l’AFU: gli effettivi sono bassi, il morale è basso, gli armamenti sono bassi, la volontà politica e il sostegno degli “alleati” sono bassi, i blindati e i tipi critici di munizioni sono bassi. L’Ucraina ha una quantità sempre più ridotta di armamenti critici da “destreggiare” tra i fronti dove le linee si stanno rompendo. Lo abbiamo appena visto ad Avdeevka, quando sono stati costretti a un disperato tentativo di arginare il flusso portando lì i Bradley e i Leopard, e ora anche il primo M1 Abrams, che è stato visto compiere una missione di fuoco rapido a Berdychi, nel tentativo di fermare l’avanzata delle forze russe a ovest di Stepove:

Abbiamo parlato a lungo di “segni” di cedimento delle linee ucraine, ma non si sono mai verificate rotture nella misura in cui lo sono ora. Ad esempio, anche diversi mesi fa le cose sembravano desolanti per l’AFU, che tuttavia continuava ad avanzare e a condurre alcune operazioni di successo almeno in uno o due punti: ad esempio, nell’area di Klescheyevka e Andreevka (a sud di Bakhmut), dove ha spinto le forze russe dietro la linea ferroviaria, e persino a Khrynki, dove inizialmente stava effettuando alcune piccole espansioni verso l’esterno del suo fantomatico “alloggiamento”.

Ma ora la situazione non è mai stata così cupa per loro: anche intorno all’area di Bakhmut le forze russe stanno avanzando, soprattutto a Bogdanovka e Ivanovske. E Khrynki è stata appena annunciata come “liberata”, anche se è un po’ prematuro e sembra che l’AFU tenga ancora alcuni edifici, ma l’intera testa di ponte è crollata dai lati, riducendosi a una frazione delle sue dimensioni precedenti.

Sarebbe una cosa se queste circostanze si presentassero sotto la promessa di aiuti a breve o di una mobilitazione massiccia. Ma il problema è che la mobilitazione sociale su larga scala è fallita e i cittadini ucraini hanno una fiducia storicamente bassa nella vittoria, così come la tolleranza per il reclutamento forzato, come mostrano i recenti sondaggi. Allo stesso modo, gli aiuti non sono affatto vicini e, come si è visto dai recenti articoli e dalle dichiarazioni dei funzionari, si prevede una situazione “catastrofica” per la fine di marzo e oltre.

Prendendo per buona questa situazione totalmente intrattabile: immaginiamo ora che arrivino marzo e aprile, che le linee ucraine siano al punto di rottura e che le forze russe continuino ad aumentare la pressione impossibile, spremendo la vita dell’AFU. E poi: e se quel favoloso fronte settentrionale venisse finalmente aperto, e le linee dell’AFU, già a pezzi, fossero costrette a disfarsi delle loro ultime inesistenti riserve per fermare disperatamente una nuova avanzata su Sumy e/o Kharkov.

Continuo a ritenere che, nonostante i segnali, un fronte settentrionale non sia necessariamente probabile a questo punto per diverse ragioni, tra cui il fatto che la Russia non ha particolarmente bisogno di aprirlo al momento; ma se ha le risorse disponibili, allora farlo potrebbe sicuramente precipitare una situazione catastrofica per l’AFU.

Il punto importante è quello che ho espresso nell’ultimo articolo a pagamento:

Il modo in cui la Russia sta perseguendo questa strategia da boa constrictor è tale che non c’è un obiettivo operativo particolare, di per sé: ce ne sono ovviamente di più a lungo termine, ma il modo in cui li si raggiunge è semplicemente impoverendo il nemico con la strategia della “morte per mille tagli” da ogni lato, che può poi facilitare i veri obiettivi operativi convenzionali.

La guerra ha diverse fasi. Non tutte le fasi consistono nel combattere direttamente in linea d’aria verso la città che si intende conquistare. È un po’ come negli sport da combattimento, dove nella prima metà dell’incontro l’obiettivo non è necessariamente quello di “uccidere” contro un avversario ostico, ma di “lavorare il corpo” e di esaurire lentamente la resistenza ai pugni e la resistenza dell’avversario con duri colpi al corpo. Solo nel secondo tempo, quando si sente l’odore del sangue, si può andare per uccidere e iniziare a cercare i colpi finali alla testa.

Allo stesso modo, la Russia non ha bisogno di puntare a un obiettivo specifico, come le grandi frecce che vanno da Kharkov al Dnieper e incontrano la grande freccia meridionale da Zaporozhye. Tutto ciò che la Russia deve fare è continuare a costringere e soffocare l’AFU con il suo superiore potenziale economico, logistico e manifatturiero, che eroderà completamente la resistenza e la capacità dell’AFU di funzionare. A quel punto, potranno iniziare le vere e proprie campagne di grandi frecce verso obiettivi tangibili.

Il punto conclusivo è che non si tratta di catturare particolari città o regioni, il vero lavoro che si sta facendo è all’interno: l’AFU viene sventrata e svuotata. Questo è il motivo per cui è così difficile per i biechi osservatori pro-UA capire la vera dinamica di fondo del conflitto. Essi giudicano la guerra in modo algoritmico: La Russia ha conquistato solo pochi chilometri, quindi non sta avendo successo. Ma non tengono conto degli aspetti intangibili, ovvero che la stessa fibra morale e meccanica dell’AFU si sta sgretolando.

In breve: il modo corretto di pensare alla guerra non è necessariamente quello di catturare Kiev o tutta l’Ucraina, ma piuttosto di fare tutto ciò che è necessario per costringere l’esercito ucraino ad arrendersi – cosa che può avvenire in vari modi; per esempio, un crollo della leadership che porti a un colpo di stato militare che accetti le condizioni di resa della Russia, ecc.

È vero che ho scritto parole simili quasi un anno fa. Ed è vero che si può sostenere che: “Beh, avete affermato che l’AFU si stava deteriorando l’anno scorso e ancora non sta accadendo nulla di importante”.

Ma a questi comprensibili critici chiedo di nuovo: avete davvero visto la situazione come è attualmente? In quale periodo dell’anno scorso o dell’anno precedente abbiamo assistito alla rottura delle linee su ogni fronte? La situazione è chiaramente e tangibilmente diversa, nonostante alcune somiglianze di superficie sull’apparente “deterioramento senza fine” dell’AFU. E non dimentichiamoci che gli aiuti sono stati completamente interrotti: è una situazione senza precedenti, e un crollo molto precipitoso può verificarsi nei prossimi mesi se gli aiuti di emergenza non vengono reintegrati.

C’è qualcosa che l’Ucraina può fare?
L’ho già detto in passato, ma l’unica cosa che l’Ucraina può fare è concentrarsi sui “pezzi grossi”, come le navi russe e gli aerei A-50, che possono creare scalpore a livello globale e dare l’impressione di un qualche successo operativo. Questo include attacchi terroristici e varie azioni di sabotaggio in tutta la Russia. Ma ognuna di queste azioni è priva di significato e non ha alcun effetto sull’esito della guerra.

Tuttavia, la loro migliore possibilità consiste nel ritardare il più possibile la Russia fino a quando l’Europa e gli Stati Uniti potranno potenzialmente aumentare la produzione di munizioni nel 2025. Possono farlo aumentando notevolmente l’attenzione sui FPV per rendere gli assalti russi il più costosi possibile. Nonostante i progressi su ogni fronte, la Russia sta ancora perdendo quantità relativamente elevate di corazzati in generale. Sembra essere una quantità sostenibile, ma l’Ucraina potrebbe potenzialmente renderla insostenibile aumentando ancora di più la letalità degli attacchi. Questo non “fermerà” la Russia, ma può rallentare le offensive a tal punto che l’Ucraina potrebbe guadagnare tempo per continuare a mobilitarsi e addestrarsi nelle retrovie, oltre a permettere alla NATO di aumentare la produzione di armi.

Il problema è che la maggior parte dei commentatori pro-UA, per qualche motivo, parla di rampe di produzione nel vuoto, come se la produzione russa rimanesse statica mentre quella degli alleati dell’Ucraina avesse un andamento parabolico. In realtà, anche la Russia sta aumentando. Anche se la NATO riuscisse a fare una rampa di produzione, cosa che è già molto incerta, la Russia sta facendo una rampa di produzione su scala simile. Quindi a cosa serve all’Ucraina passare da un rapporto di 2.000 UA contro 8.000 proiettili sparati dalla RF a 10.000 UA contro 40.000 proiettili sparati dalla RF se la disparità rimane proporzionalmente la stessa? Non c’è alcuna logica in questo.

Infine, ricordate la mia recente argomentazione: anche se l’Ucraina ottenesse uomini e armi sufficienti per una nuova offensiva, dove potrebbe mai aver luogo? La Russia ha fortificato la linea di Surovikin fino a renderla ancora più impenetrabile della prima, che ha completamente annientato l’AFU. Zelensky, da parte sua, continua a sostenere che alla fine organizzeranno una nuova offensiva, e altre sue recenti dichiarazioni hanno affermato che l’Ucraina catturerà la Crimea con un assalto anfibio di massa: si tratta di illusioni sfrenate.

Ricordate: non è solo la mia opinione che l’Ucraina sarà costretta ad andare di nuovo a Zaporozhye, lo dicono loro stessi:

Si legga sopra: “l’obiettivo di dividere le forze russe a Melitopol” – quindi, di nuovo, un altro tentativo attraverso la linea Surovikin. È più che comicamente assurdo, soprattutto alla luce della notizia che la Russia ha appena riconquistato Rabotino e tutto il territorio perduto vicino a Verbove, portando l’AFU praticamente alla linea di partenza del giugno 2023.

Ricordiamo le parole del precedente comandante di Azov: secondo lui l’Ucraina presto non avrà nemmeno abbastanza truppe per difendere Kharkov e il nord. Proprio per questo la Russia potrebbe finalmente essere in grado di aprire un altro fronte. L’unica domanda è se la Russia stessa abbia abbastanza truppe e materiali di riserva.

Per quanto riguarda le truppe, Medvedev ha appena fornito un nuovo aggiornamento per l’inizio dell’anno per quanto riguarda le iscrizioni alle truppe:

Più di 53.000 persone sono state arruolate nelle Forze Armate russe ai fini dell’operazione speciale dal 1° gennaio di quest’anno, ha annunciato Medvedev.
Ricordiamo anche che l’anno scorso si diceva che la Russia avesse una media di oltre 40.000 nuovi arruolamenti e volontari al mese. La citazione di cui sopra risale a circa una settimana fa, il che significa che la Russia sembra stia ancora arruolando 30-40 mila uomini al mese, diventando sempre più grande e forte.

C’è un ultimo evento che può sconvolgere le cose in una nuova direzione e che vale la pena di menzionare. Da più di una settimana si vocifera che le autorità della Pridnestrovia abbiano manifestato l’intenzione di indire un referendum per l’adesione alla Russia. Inizialmente avevo archiviato le voci, ma la nuova indiscrezione è molto più incisiva: sostiene che Putin in persona catalizzerà l’adesione della PMR durante un discorso trasmesso il 28 febbraio:

PMRLa situazione intorno alla PMR ha ricominciato a degenerare. È già successo in passato e si è concluso con un nulla di fatto, ma ora tutto è un po’ più interessante. Innanzitutto, è apparsa l’informazione che il 28 febbraio la PMR chiederà di aderire alla Russia, e questo coincide molto bene con il discorso di Putin all’Assemblea federale previsto per il 29 febbraio. Secondo quanto riferito dall’oppositore del PMR, egli darà voce a questa richiesta e l’Assemblea la prenderà in considerazione con urgenza. E in effetti, il 28 è previsto un congresso dei deputati di tutti i livelli del PMR, il primo in 18 anni. Poi, però, è stata smentita l’informazione, anche in Ucraina, che tale appello non era previsto. Anche in Moldavia credono che la situazione non peggiorerà. Sembrerebbe che si possa ignorare il rumore delle informazioni, ma ora le autorità ufficiali della PMR hanno annunciato che la Moldavia sta preparando attacchi terroristici sul territorio non riconosciuto. Si scopre che “zhzhzh” non è senza ragione? A quanto pare no, la situazione si sta nuovamente aggravando e il promotore è chiaramente Mosca. Perché è necessario? Perché la PMR è isolata da entrambi i lati dall’Ucraina e dalla Moldavia; la PMR non ha altre comunicazioni con il “mondo esterno”. Il raggruppamento delle truppe della PMR non rappresenta un pericolo per l’Ucraina; insieme al contingente russo ci sono circa 10 mila persone, due brigate. Per fare un paragone: solo nella zona di Bakhmut, da parte russa, sono impegnate 19 brigate e 21 reggimenti, molto meglio equipaggiati dell'”esercito PMR”, che ha solo una dozzina di carri armati in movimento. In altre parole, non solo la cattura di Odessa, ma in generale l’esercito russo non è in grado di svolgere almeno qualche compito strategico sul territorio ucraino contro l’esercito ucraino. L’esercito della Moldavia è più piccolo di quello della PMR. La cattura di Chisinau è quindi abbastanza concreta, a meno che, ovviamente, non intervengano forze terze, Bucarest o Kiev. Il fatto che la Romania sia un membro della NATO aumenta l’interesse della situazione. E ha quelle stesse “ambizioni imperiali” sul tema della Grande Romania, che in pratica si esprimono nella lenta assimilazione della Moldavia. Ci sono molte persone che hanno il passaporto rumeno, che è stato sostanzialmente distribuito a tutti coloro che lo volevano, e sotto il nuovo governo la linea politica ufficiale è stata quella del riavvicinamento anche a livello di politica di “un solo popolo”. È così che di recente la stessa Moldavia ha ufficialmente abbandonato la propria lingua, dichiarando che non esiste una lingua moldava e che si parla rumeno. È quindi inutile considerare l’opzione di aprire un “secondo fronte” contro l’Ucraina a spese della PMR; queste due brigate con 10 carri armati non faranno nulla all’Ucraina. Ma contro la Moldavia, ha senso almeno pensarci. E tenendo conto delle dichiarazioni delle autorità della PMR, che parlano di addestramento di sabotatori, stiamo parlando specificamente della Moldavia, e non dell’Ucraina.I motivi, tuttavia, non sono molto chiari; perché inasprire la situazione essenzialmente con la NATO, se tutto sta andando più o meno bene per la Russia al fronte ora, in ogni caso, l’iniziativa è stata presa. Ebbene, il 28 febbraio scopriremo presto se si tratta di un’altra vuota escalation o se “succederà qualcosa”.PSApparentemente le informazioni su Avdeevka e sul settore adiacente passeranno in secondo piano entro la fine del mese.
È difficile capire cosa pensare di questo, ma il fatto che sembri essere un’iniziativa della Russia è piuttosto interessante se si considera la tempistica del deterioramento apparentemente terminale dell’Ucraina. Cosa potrebbero avere in serbo Putin e soci? Dovremo aspettare e vedere se qualcosa si rivelerà valido o se si tratta solo di fumo negli occhi come in passato. Ma la vedo come una misura potenzialmente preventiva, presa proprio per evitare che l’asse Occidente/NATO cerchi di destabilizzare la Russia con qualche attacco obliquo imprevisto attraverso il vettore Moldova, proprio nel momento in cui la Russia sta finendo l’Ucraina.

Abbiamo parlato a lungo della possibilità che gli Stati Uniti e i loro partner cerchino di fomentare un conflitto all’undicesima ora per salvare l’Ucraina dalla fine. Forse, intuendo la fine dell’Ucraina, Putin sa che si sta preparando un tale “intervento” e cerca quindi di tagliarlo alla radice, anticipando la sua rapida adesione alla PMR.

Paralleli con la Seconda Guerra Mondiale
Un’ultima riflessione sull’Ucraina in questo momento chiave, non solo per il deterioramento dell’Ucraina, ma anche per il simbolico anniversario di due anni dell’OMU. Permettetemi una piccola indulgenza figurativa.

Le guerre, si scopre dopo averle studiate, hanno un certo ritmo. Respirano e fluiscono con un movimento quasi organico che spesso è parallelo ad altri conflitti apparentemente lontani. Una delle ragioni è che le esigenze della logistica e della condizione umana sono paragonabili in ogni epoca, in proporzione. Così, eserciti diversi di due epoche diverse che subiscono sconfitte devastanti potrebbero impiegare un tempo simile per riprendersi, attingere alle riserve e organizzare un nuovo sforzo. Inoltre, gran parte della guerra ruota attorno ai ritmi temporali della terra e della natura stessa, condizionando le principali operazioni militari alle stagioni dell’anno e alle loro caratteristiche idiosincratiche.

La guerra in Ucraina può essere paragonata, con qualche gesto di ampia licenza artistica, al fronte orientale della Seconda guerra mondiale. Nei termini più elementari, ogni anno della Seconda guerra mondiale può essere riassunto come segue:

1941: La Germania attacca e subisce il primo inaspettato e brusco errore.
1942: Pur considerandolo un piccolo errore di calcolo, la Wehrmacht si riorganizza e, invece di tentare di “decapitare” la Russia a Mosca, si dirige a sud per catturare i giacimenti petroliferi del Caucaso come “piano B”.
1943: Questa spinta culmina a Stalingrado come “porta del Caucaso”, che funge da cuscinetto finale per ostacolare il piano Caucus. La seconda costosa perdita rappresenta un punto di svolta proprio a metà del conflitto: l’ultimo disperato tentativo di superare le difese centrali russe a Kursk fallisce e da lì in poi è tutta una discesa.
1944: Da quest’anno in poi la Russia compie un’operazione di pulizia fino alla fine. L’Operazione Bagration distrugge il Gruppo d’Armate Centro ed è un lento rullare di liberazione incessante di territori fino a raggiungere Berlino nel 1945.

Quindi, dopo aver letto quanto sopra, concedetemi questo accostamento.

Ignorate l’incongruenza che la Russia abbia attaccato per prima nel ruolo del 1941. Nello spirito delle dinamiche di flusso e riflusso ancorate ai tempi logistici e all’esaurimento del personale, se ipotizziamo che il 1942 sia equivalente alle prime controffensive di successo dell’Ucraina a Kherson e Kharkov nel 2022, in cui si sono dapprima spazzolati via le perdite iniziali e si sono ubriacati di “vittorie” erroneamente percepite – che in realtà erano ritirate strategiche russe con poche perdite -, se partiamo da un tale confronto, otteniamo quanto segue:

Il riorientamento del “Piano B” della Wehrmacht del 1942 verso il Caucaso diventa la controffensiva ucraina del 2022, che ha riempito l’AFU di eccessiva fiducia. Bakhmut diventa così la Stalingrado dell’Ucraina. È qui che la presunzione arrogante dell’AFU ha trovato la sua fine.

Tuttavia, dopo Bakhmut/Stalingrado, la Wehrmacht-AFU aveva ancora un’ultima massiccia spinta di grandine: Kursk/Zaporozhye. L’aspetto più interessante è che l’esatto punto medio equi-distante del Fronte Orientale della Seconda Guerra Mondiale è il luglio 1943 (esattamente a metà tra il giugno 1941 e il maggio 1945), quando iniziò la Battaglia di Kursk, rendendola il vero punto di svolta centrale della guerra.

A Zaporozhye l’Ucraina tentò l’ultimo sfondamento in massa, utilizzando tutte le forze principali e le riserve. Subirono così tante perdite che non furono più gli stessi, proprio come la Germania dopo Kursk.

Tutto questo per dire che, a quanto pare, nella guerra ucraina ci troviamo già da un po’ di tempo nel momento post-Kursk, e stiamo di fatto per entrare nel momento dell’Operazione Bagration del 1944, che spezzò definitivamente la schiena della Wehrmacht annientando il suo più potente Gruppo d’Armate Centro.

Facendo questo paragone, se la grande offensiva di Zaporozhye rappresenta il punto medio della guerra nel giugno-settembre del 2023, possiamo dedurre che la fine della guerra si collocherebbe tra l’ottobre 2024 e l’aprile 2025 (se usiamo la fine della “controffensiva” come punto medio). Alcuni ricorderanno che il primo o il secondo trimestre del 2025 è esattamente il periodo in cui ho personalmente previsto la fine della guerra, soprattutto se si considera che una vittoria elettorale di Trump sarebbe il chiodo finale per qualsiasi ulteriore sostegno degli Stati Uniti.

Utilizzando questo schema, ci aspetteremmo ipoteticamente che da questo momento in poi tutto sia solo la spinta dell’esercito russo a proseguire l’offensiva Bagration per spezzare completamente il Gruppo d’Armate Centro, che potrebbe essere stato simboleggiato dalla vittoria di Avdeevka.

Naturalmente, prendete questa fantasiosa indulgenza “artistico-licenziosa” con un granello di sale, poiché è stata pensata solo come un diversivo divertente e stimolante, piuttosto che come un’analisi militare veramente seria. Le cose potrebbero ancora andare completamente al di là dei nostri schemi deterministici. Tuttavia, direi che è abbastanza probabile che il resto del conflitto si svolga in modo non troppo dissimile da quanto descritto sopra.

Per lasciarvi con un ultimo articolo rinvigorente e stuzzicante.

Molti hanno sentito parlare del rabbioso furto delle tubature di Avdeevka, in cui le truppe d’assalto russe hanno attraversato molti chilometri di fognature per sbucare eroicamente fuori e catturare la zona della Caccia allo Zar. Per chi non l’avesse ancora visto, ecco un ampio resoconto dell’impresa senza precedenti:

Ma per coloro che si immaginano una scappatella in stile hollywoodiano, vi invito a leggere i dettagli macabri della versione non romanzata e a scoprire cosa hanno veramente sacrificato gli eroi per questa impresa eroica:

Dal momento che il Presidente ha menzionato il tubo, allora possiamo… Il tubo è uno degli elementi chiave del successo della cattura di Avdiivka. Il suo diametro è di 1,4 m. La sua lunghezza è di 3,7 km. Immaginate che in un’armatura semicurva e con un carico dovete percorrere questa strada ed essere pronti a svolgere ulteriori compiti… Lungo il percorso, in alcuni punti c’è acqua profonda fino alla vita, e in alcuni punti non c’è abbastanza ossigeno. L’equipaggiamento è sparso ovunque. Caschi, giubbotti antiproiettile… Lungo il percorso, si possono incontrare soldati nudi che sono impazziti… Feriti, morti, ed è ormai quasi impossibile tirarli fuori, dato che l’intero percorso in equipaggiamento completo richiede 12 ore… L’udibilità è tale che si può essere sentiti perfettamente a 300 metri se si parla con voce normale. E quando si arriva nel tubo, si perde semplicemente conoscenza e si ritorna in sé dopo 3 ore… La comunicazione con il mondo esterno avviene tramite telefono su un filo (tapik) che si trova a 1,5, 2,6, 3,7 km. Il filo si rompe periodicamente e qui i segnalatori agiscono come un nucleo eroico a parte, vagando avanti e indietro alla ricerca di un’interruzione.Ora siete arrivati al punto. Dovete riscaldarvi in qualche modo, dormire, mangiare qualcosa, andare in bagno… Dovete anche scavare un buco verso l’esterno. Solo Dio sa dove uscirete. E se il nemico si accorge del buco, sarà difficile uscire dalla situazione… Poi c’è l’accumulo e le incursioni all’assalto. Le buche vengono individuate prima o poi, gli elicotteri ci volano, viene rilasciato il gas, l’artiglieria lavora. Abbiamo ruotato i gruppi ogni 2-3 giorni. Tutti quelli che tornavano avevano la polmonite, e la folla stava lentamente finendo… Questa è l’impresa che si nasconde dietro l’operazione “tubo” e le foto “divertenti” delle tartarughe ninja russe nel tombino di Avdeevka.

E a proposito di Avdeevka, ecco un campione dei presunti circa 1000 prigionieri dell’AFU presi durante l’assalto finale e la ritirata di massa:

All’indomani dello sgombero di Avdeevka, le truppe russe hanno fatto alcune interessanti scoperte nel famoso sistema di bunker rinforzati. Una di queste scoperte è stata che, a quanto pare, gli attacchi delle bombe russe Fab hanno persino squarciato i rifugi nucleari realizzati per resistere agli attacchi atomici:

Si capisce subito perché l’AFU ha iniziato a rinunciare e a fuggire dopo che l’aviazione russa ha iniziato a scaricare 200 tonnellate di bombe al giorno solo su Avdeevka.

Infine, alla luce della storia del gasdotto di cui sopra, vi lascio con questo suggestivo dipinto postato da uno dei canali ufficiali russi VDV, che sta a significare il sacrificio delle truppe russe, che, come Atlante, lottano sotto il calpestio indifferente della società, che sopportano con tutta la loro forza terrena:

Il loro sacrificio non deve essere dimenticato.


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MEGLIO FOUCHÉ, di Teodoro Klitsche de la Grange

MEGLIO FOUCHÉ

La morte di Navalny in detenzione (oltre il circolo polare artico) pone problemi non solo come quelli discussi (ed agitati) in questi giorni, sul tasso di democrazia del regime putiniano, sui diritti umani in Russia, sul ruolo (e lo status) dell’opposizione in un regime democratico (più o meno), ma, ancor di più sulla convenienza di chi ha il potere di uccidere (o procurare la morte) ad un avversario politico.

Due esempi (tra i tanti offerti dalla storia) vengono in mente: l’assassinio dopo un processo-farsa (al fine di contentare i legalitari un tanto al chilo) del Duca d’Enghien da parte di Napoleone. Il quale fu accusato di avere commesso un crimine (accusa non infondata). A tale proposito fu attribuito a Fouché (ministro di polizia di Napoleone) di aver così commentato la vicenda “è peggio di un delitto, e un’idiozia”. Giudizio esatto: la morte del Duca non arrecava alcun beneficio alla Francia e a Napoleone. Invece sia per le circostanze del fatto (il Duca era stato rapito dai francesi nel territorio di un altro Stato, era stato giudicato da un Tribunale ad hoc ecc. ecc.) che, e ancor più, per senso e conseguenza politica dell’azione (la quale allargava il divario di Napoleone con i legittimisti) generava gravi inconvenienti.

L’altro esempio è quello del trattamento praticato da Churchill a Gandhi durante la seconda guerra mondiale. Nel 1942, a seguito dell’intervento giapponese, l’India era invasa. I giapponesi conquistarono gran parte della Birmania (oggi il Mianmar). Il partito del congresso lanciò una (energica) campagna per l’indipendenza indiana (Quiet India) seguita da una sanguinosa repressione inglese. I leaders del partito del Congresso, Gandhi compreso, furono arrestati. L’accortezza politica di Churchill, tuttavia, fece si che Gandhi fosse recluso nel palazzo dell’Aga Khan a Pune, con moglie al seguito. Però il Mahatma aveva deciso di praticare lo sciopero della fame; dato che era un vecchietto macilento c’era un alto rischio che morisse prigioniero degli inglesi.

Il Premier britannico ordinò ai medici che assistevano Gandhi di alimentarlo anche a sua insaputa. Il tutto per evitare che la morte del leader indiano aggravasse la già difficile situazione politica e militare.

Putin non sembra aver preso esempio da tali vicende: aver fatto condannare Navalny, averlo recluso oltre il circolo polare artico (e non nel palazzo dell’Aga Khan) e quant’altro ha finito per provocare (o almeno agevolare) la morte dell’oppositore. Con “ritorno” politico a favore dei nemici della Russia, proprio quando la vicenda della guerra in corso, e il ridotto (forse) appoggio dell’Occidente dell’Ucraina, fa intravedere una soluzione – o almeno una fase discendente del conflitto.

Un risultato controproducente: proprio quello che un politico prudente deve evitare.

Avv. Teodoro Klitsche de la Grange

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I Bideniti promuovono la guerra come nuova politica per riportare i posti di lavoro e stimolare l’economia, Di Jack Hellner

I Bideniti promuovono la guerra come nuova politica per riportare i posti di lavoro e stimolare l’economia
Di Jack Hellner
Se si hanno dubbi sulla quantità di denaro erogato all’Ucraina e si chiede conto, si dice che si è a favore di Putin. Questa è spazzatura. Dovremmo sempre interrogarci su come vengono spesi i soldi dei contribuenti e per quale scopo.

La guerra può essere necessaria, e la guerra è costosa, ma non dovrebbe mai essere una politica economica!

Domenica il Wall Street Journal ha pubblicato questo articolo:

Come la guerra in Europa fa crescere l’economia statunitense

I sostenitori del sostegno all’Ucraina di solito invocano gli interessi strategici o gli obblighi morali degli Stati Uniti. Ultimamente, però, stanno facendo un ragionamento più calcolatore: È un bene per l’economia.

Secondo i dati della Federal Reserve, la produzione industriale nel settore della difesa e dello spazio degli Stati Uniti è aumentata del 17,5% da quando la Russia ha lanciato la sua invasione su larga scala dell’Ucraina due anni fa.

I funzionari dell’amministrazione Biden affermano che dei 60,7 miliardi di dollari stanziati per l’Ucraina in un disegno di legge supplementare per la difesa da 95 miliardi di dollari, il 64% tornerà effettivamente alla base industriale della difesa statunitense.

Questa è una delle cose che non si capisce… quanto sia importante questo finanziamento per l’occupazione e la produzione in tutto il Paese”, ha dichiarato mercoledì in un’intervista Lael Brainard, direttore del Consiglio economico nazionale della Casa Bianca.

Allora perché non aumentiamo il debito per finanziare tutte le guerre del mondo, visto che è così importante per l’economia? Dopotutto, crea posti di lavoro e dà una spinta alla nostra economia.

Le spese per la guerra nascondono la debolezza del resto dell’economia? Sembra di sì.

La guerra in Ucraina potrebbe essere il motivo per cui gli Stati Uniti hanno evitato la prevista recessione? Joe Biden vuole mantenere alti i numeri dei suoi posti di lavoro per le elezioni? Le sue politiche sono così sbagliate che si affida alla spesa pubblica per mantenere alti i numeri del PIL?

Il deficit federale per l’anno fiscale 2023 è stato di circa 2.000 miliardi di dollari in un’economia che Biden e i media sostengono stia andando alla grande. Il governo sta essenzialmente prendendo in prestito un terzo del suo budget di spesa di 6.000 miliardi di dollari; questo è chiaramente insostenibile e molto distruttivo nel lungo periodo, ma di sicuro può mascherare la debolezza dell’economia generale.

Non so come la pensino gli altri, ma a me viene da dubitare ancora di più dei soldi quando citano come questi aiutino il nostro settore della “difesa”: da quando in qua i Democratici si preoccupano così tanto delle nostre industrie della difesa?

Stranamente, però, sebbene gli uomini di Biden continuino a bloccare gli accordi di cessate il fuoco, non sono esattamente favorevoli alla campagna di Israele contro Hamas. Vediamo molti Democratici protestare contro Israele e molti chiedere un cessate il fuoco a Gaza, ma cambiano tono quando si tratta dell’Ucraina. Perché? È perché Bibi non ricicla i soldi ai Democratici?

Il motivo per cui Biden rimane concentrato sulla distruzione della nostra industria petrolifera è perché mantiene alti i prezzi del petrolio e arricchisce la Russia, e quindi la guerra continuerà finché Putin avrà i soldi per finanziarla? Mantenere alti i prezzi del petrolio danneggia i poveri e la classe media, ma di sicuro aiuta i venditori stranieri di petrolio, come la Russia e l’Iran.

Biden danneggia anche gli alleati della NATO e aiuta la Russia quando vieta le esportazioni di GNL. Perché un presidente americano dovrebbe fare una cosa del genere se volesse davvero danneggiare Putin?

Perché i media, gli altri democratici e i repubblicani dell’establishment come Nikki Haley non criticano Biden? Dopo tutto, è lui che ha politiche che aiutano la Russia e l’Iran a finanziare guerre e terrorismo. Invece, cercano di distruggere Trump, perché non pensano che le sue parole siano abbastanza dure? Per loro la verità non conta, conta solo il potere.

Biden è così incompetente e pericoloso che afferma ripetutamente che Trump e i suoi sostenitori sono una minaccia esistenziale, invece di chiamare in causa Russia, Cina, Iran e Corea del Nord.

Haley, Pelosi, Hillary e altri rimproverano a Trump di non aver condannato Putin… ma lui lo ha fatto. Ha detto che la Russia ha truccato le elezioni e ha un sistema giudiziario ingiusto, motivo per cui Navalny è stato imprigionato.

Hanno anche criticato Trump per aver detto che i membri della NATO dovrebbero pagare i loro obblighi, che è una politica dura nei confronti di Putin; aiuta Putin quando le persone che attaccano Trump per qualsiasi cosa agiscono come se i membri della NATO non avessero la responsabilità di prepararsi per un potenziale conflitto con la Russia o altri avversari. Putin ama quando i Paesi della NATO non costruiscono le proprie difese e si affidano alla Russia per il loro fabbisogno energetico.

Trump è sempre stato più duro con Putin di quanto non lo siano mai stati Obama e Biden, che lo hanno continuamente placato, ed è proprio per questo che ha attaccato l’Ucraina durante gli anni di Obama e Biden e non durante la presidenza di Trump.

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Prima, seconda, terza Repubblica. Confrontiamo. Non dimentichiamo_di Yari Lepre Marrani

Riceviamo e pubblichiamo

Prima, seconda, terza Repubblica.

Confrontiamo. Non dimentichiamo.

 

Passione e politica sono un connubio imprescindibile. Un vero uomo politico è quell’ individuo visceralmente appassionato della cosa pubblica per la quale combatte ogni giorno; considera lo Stato un mezzo per migliorare le condizioni dei cittadini non un fine da raggiungere per scopi personali: un uomo che perde e vince ma cerca sempre di lottare per affermare un ideale di progresso collettivo. La politica italiana,nel turbinio degli anni, ha perso un grande valore: quella dignità d’intenti e riforma che rende i suoi rappresentanti figure forti di riferimento, leader e statisti “capaci di governare”. La conseguenza di questa perdita ha mostrato quanto sia fragile l’equilibro tra l’incompetenza e il potere, e pericoloso. Quanto siano labili e sottomessi i politici italiani di oggi è palese, lo riconoscono i cittadini e il popolo disilluso lascia all’astensionismo sempre più alto il suo responso. L’astensionismo diviene un simbolo sociale di un disagio ingravescente di individui che disertano le cabine elettorali in un silenzioso disprezzo.

Grandi ideali,sublimi speranze di riscatto sociale e popolare tradite – si veda la parabola del M5S, il suo percorso, la sua catastrofica caduta, il rinnegamento dei suo nobili obiettivi, le personalità che l’hanno abitato e che lo sfruttano ancora – sono, tra molti altri, i tumori di uno Stato che barcolla nell’instabilità e nell’asservimento a poteri palesi e occulti. In questa sferza di disastri, doppiogiochismi, opportunismi,debolezze possiamo ripensare al passato, agli anni perduti, a protagonisti i cui errori sono stati svelati e legalmente condannati ma dei quali non possiamo negare l’intelligenza e lungimiranza nonchè l’indiscussa capacità di leadership. E torna il nome, amato e esecrato, di Craxi: uomo “totus politicus”, simbolo di un intero decennio di benessere – gli anni ’80 – che lui ha segnato con 2 governi e la cui figura controversa torna alla memoria e al doveroso confronto quando pensiamo (e osserviamo) la politica di oggi, dal berlusconismo in poi. Craxi riemerge come simbolo di una politica concreta, riformista, estremamente attiva il cui presente articolo non vuole delimitare al celeberrimo episodio della base di Sigonella. Se il nome e le idee di Craxi possono tornare alla ribalta nell’oceano di desolazione della politica attuale che tradisce elettori e ripugna astensionisti, non è solo per la differente statura del personaggio e le riforme attivate nei suoi governi ma per un’intuizione politica chiara che il leader socialista ebbe nel settembre 1979 quando lanciò, all’alba del pentapartito, l’idea rimasta inattuata di una Grande Riforma dello Stato non in senso settoriale ma istituzionalmente vasta, coinvolgente tutte le forze politiche, culturali e sociali del paese. Una Grande Riforma costituzionale, istituzionale, amministrativa preludio di un’Era italiana nuova. E fu l’idea più illuminata dell’allora leader nascente del PSI: un’idea di riforma universale che trasformi lo Stato  italiano, ne muti la politica debole, moralmente velenosa, incapace di galvanizzare  i lavoratori italiani in un sigillo di reciproca fiducia tra governanti, politici e uomini del popolo per risollevare uno Stato in perpetua crisi sociale. L’Italia necessita di cambiamenti  profondi, riforme non episodiche ma risolute e migliorative delle condizioni del popolo stesso sempre più rabbioso  con palesi, gravi parentesi di sofferenza sociale la quale finisce per mutarsi, inevitabilmente,in bruttura morale  e stagnazione economica. La figura di Craxi va ricordata non solo per la notte tra il 10 e l’11 ottobre del 1985 ovvero la Crisi di Sigonella: una minuta goccia d’orgoglio in un oceano di asservimento italiano alla “Fedeltà agli Alleati”.

Craxi è morto da latitante e nessuno nega le condanne in giudicato, la corruzione della politica italiana che toccò l’apice tra il 1987 e il 1992. Nessuno nega gli errori finali di un leader che è stato tanto rilevante come statista quanto degradato a “lupo delle tangenti”. Non possiamo tuttavia, se illuminati da onestà intellettuale, negare la sua intelligenza politica.

 

Quella “Grande Riforma” non è mai stata realizzata, neanche lontanamente si è cercato di porne le basi realistiche per una sua concreta realizzazione il cui fine andrebbe ricercato nella riforma profonda e integrale della cosa pubblica. E l’Italia da oltre 40 anni si perde nell’oblio. Di quell’idea Craxi è stato l’artefice nel marasma degli anni che portarono alla progressiva autonomia del PSI e quest’ultimo al governo.

 

Confrontare passato e presente non è solo doveroso: è strumento necessario per valutare e giudicare i cambiamenti e i peggioramenti, le loro genesi, per gettare le basi  a grandi mutamenti, non piccole riforme stagnanti che nascono nel silenzio e per il silenzio sono state concepite. Si cercano “Grandi Riforme” innanzi al mondo che corre, ad un’Italia assopita, frustrata,delusa, ad un’Europa finta e disunita, incapace persino di reagire militarmente forte e compatta al criminale attacco russo.  E Craxi, al netto delle sue colpe ma anche dell’importanza incontestabile dei suoi governi, ha lanciato una visione su cui i suoi successori hanno calato un velo funereo senza accorgersi che con quel velo coprivano l’orgoglio (e il benessere) del popolo italiano per decenni. Craxi ha acceso una fiammella che i suoi successori non hanno voluto trasformare in fuoco riformatore. Eschilo diceva che “la vita è un complesso di felicità e sventura”: Craxi ne è stato un vivo esempio, dagli altari di Palazzo Chigi alla cupa latitanza di Hammamet. Ricordare dunque, confrontare sempre. Mai dimenticare. Diversamente dall’oblio nasce solo altro oblio, dall’ignoranza nuova ignoranza. Dalla censura vendicativa del passato nasce lo sfacelo attuale e aumenta lo scetticismo e la distanza del popolo verso i governanti: i cittadini finiscono per essere sempre illusi e poi traditi dopo ogni tornata elettorale. L’astensionismo è solo un sintomo di un malessere molto più poderoso. Chi ha cercato di contenerlo non ha mantenuto le promesse ma si è dimostrato un vuoto fallimento figlio di opportunismi e profonda ignoranza: il M5S, fondato da un comico e affondato dalla finale sua indifferenza e dall’incapacità dei suoi uomini e donne che ancora occupano molte poltrone nella grande casa della politica.

Dott. Yari Lepre Marrani

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