Repubblicanesimo Geopolitico. 3a parte Alcune Delucidazioni Preliminari Di Massimo Morigi

Se però l’analisi del potere di Hannah Arendt risulta essere assolutamente realistica (il potere non è il male ma è la benzina della società), la filosofa politica ebrea tedesca naturalizzata statunitense non fu altrettanto puntuale nell’analizzare le problematiche del potere relative alla moderne democrazie rappresentative, in quanto il suo punto di riferimento della polis greca se assolutamente illuminante per quanto riguarda l’analisi fenomenologica del potere, non è assolutamente proponibile come modello per le moderne società industriali (e la Arendt ne era assolutamente consapevole) e la sua mitizzazione della rivoluzione americana – con l’idea di una riproposizione come futuro soggetto politico, mutatis mutantis, delle piccole comunità americane di origine che erano state alla base della voglia di libertà e laboratorio politico della rivoluzione e delle prime forme di democrazia del nuovo continente –, se ancora fondamentale per capire le dinamiche dominio-potere-libertà risulta ancora una volta improponibile come reale modello alternativo alla democrazia rappresentativa. Arrivo quindi rapidamente alla conclusione intorno alla domanda di cosa sia il Repubblicanesimo Geopolitico. Il Repubblicanesimo Geopolitico intende riempire questa lacuna nella consapevolezza molto elementare ma fondamentale che la partita della libertà non si gioca né in astratti enunciati (libertà come non interferenza di matrice liberale o libertà come non dominio del (neo)repubblicanesimo) ma nei concreti rapporti di forza (e quindi nei concreti spazi di libertà) che si sviluppano all’interno della società. Con questa enfasi sui rapporti di forza fra le classi, sembrerebbe però essere dalle parti di una riedizione del
marxismo vecchia maniera. Errore e per due semplici motivi. Primo perché nel Repubblicanesimo Geopolitico l’accento è messo sul potere come energia generatrice di libertà mentre il marximo classico vuole una società dove i rapporti di forza siano estinti (fine della storia, estinzione dello stato). Secondo perché se per il marximo l’agente generatore di una società più libera è il proletariato, per il Repubblicanesimo Geopolitico l’agente per una maggiore libertà sono proprio quelle forze ed energie (quindi anche il proletariato ma pure le forze che vi si contrappongono) che scontrandosi originano una dialettica del potere che è alla base per un concreto e non astratto ampliamento della sfera della libertà (sottolineo che questa della conflittualità come origine della libertà e/o della forza di una comunità politica non è certo molto originale discendendo direttamente da Machiavelli e dalla sua spiegazione della forza militare degli antichi romani, la quale, secondo il Segretario fiorentino, discendeva direttamente dalla lotta fra patrizi e plebei che trovava una sua valvola di sfogo nella espansione territoriale di Roma). E queste forze ed energie per il Repubblicanesimo Geopolitico possono trovare la loro piena espressione solo a condizione che il quadro geopolitico in cui questa comunità vive la sua esperienza storica sia favorevole a che questa comunità possa irrobustire la sua identità e, di conseguenza, progettare e lottare per sempre maggiori spazi di libertà. Dove Mazzini parlava di una missione dell’Italia una volta che fosse stata riunificata geograficamente e spiritualmente, sarebbe assai singolare non vedere in queste parole la consapevolezza che una nazione non può vivere – e quindi essere libera – senza che abbia un’idea della sua collocazione fra le altre comunità politiche del mondo, senza che possa disporre di un suo Lebensraum, non solo geografico e materiale ma anche culturale e spirituale (quello di Lebensraum, cioè spazio vitale, è un concetto che venne coniato da Friedrich Ratzel e sviluppato dalla geopolitica tedesca e per questo ha subito una sorta di damnatio memoriae. Ora il fatto che il nazismo abbia sviluppato una sua
versione criminale del Lebensraum non significa che questo concetto non sia fondamentale per la geopolitica e quindi per il Repubblicanesimo Geopolitico, tanto che il Repubblicanesimo Geopolitico potrebbe anche essere chiamato Lebensraum repubblicanesimo se non fosse per il fatto che il concetto di Lebensraum è ancor oggi appaiato all’imperialismo guglielmino e al male assoluto del nazismo e – per ironia della storia, se pur rifiutato dalle accademie politologiche e filosofico-politiche del secondo dopoguerra – impiegato come strumento di analisi fondamentale per dirigere l’azione geopolitica delle potenze vincitrici del secondo conflitto mondiale. Il Repubblicanesimo Geopolitico, invece, intende impiegarlo per i suoi scopi di libertà). Quando Mazzini criticava Marx questo non avveniva per una sorta di cecità nei confronti delle condizioni della classe operaia ma avveniva nella consapevolezza che la dinamica dello scontro delle classi sociali – e quindi della libertà – non poteva essere compressa nelle formulette che si riassumevano nella credenza parareligiosa della classe operaia come “classe intermodale” e quindi come unico agente per la trasformazione rivoluzionaria della società. Mazzini fu sempre accusato di misticismo. In realtà non era affatto un mistico ma, piuttosto, un dialettico che era consapevole che la partita della libertà poteva essere vinta solo con una generale crescita culturale (e quindi politica) di tutta la società. Quando Mazzini preconizzava l’edificazione per la sua nuova Italia di “scuole, scuole, scuole”, non designava per sé il ruolo di futuro ministro della pubblica istruzione ma era semplicemente consapevole che la libertà italiana doveva passare attraverso l’innalzamento culturale del popolo. Oggi questa dimensione culturale è entrata a pieno vigore nel lessico della geopolitica e si chiama noopolitik, quella noopolitik che presa molto sul serio dal Celeste Impero, rischia di qui a pochi anni, assieme ai suoi fattori di eccellenza economica, di rendere la Cina la prima superpotenza a dispetto degli standard terribilmente mediocri, almeno se comparati a quelli delle cosiddette
democrazie rappresentative occidentali, nel campo dei diritti politici. Ora, senza voler ripercorrere tutti quegli autori e personaggi storici in cui il momento geopolitico fu fondamentale (Garibaldi fu un geopolitico “pratico”, il nazionalismo italiano ebbe una sua versione di destra tipicamente autoritaria mentre la matrice democratica del nazionalismo è impensabile senza considerare il Maestro di Genova, l’interventismo democratico era mazzinianamente animato da una profonda, anche se rudimentale, consapevolezza repubblicana e geopolitica che la libertà del nuovo Stato – e quindi dei suoi cittadini – non era al sicuro senza la demolizione degli Imperi centrali, l’impresa fiumana ben lungi dall’essere stata uno stolto rigurgito del peggior nazionalismo come da certa stereotipata storiografia, diede voce – ed azione – alla consapevolezza geopolitica di matrice mazziniana diffusa fra gli strati più umili della popolazione – ma non per questo non certo politicamente meno avvertiti –, che l’astratto wilsonismo era un attentato non solo contro la potenza di una nazione, l’Italia, che aveva vinto la guerra ma anche contro la sua libertà nel consesso delle nazioni e, quindi, al suo interno, anche contro il suo sviluppo in una società sempre più libera. E quanto fossero avanzate le concezioni politiche e sociali dei “fiumani” guidati da D’Annunzio, volentieri si rimanda alla misconosciuta Carta del Carnaro), la tragedia dell’Italia attuale è che la sconfitta nel secondo conflitto mondiale, assieme alla giusta ridicolizzazione del fascismo, trascinò nel disastro anche quel Repubblicanesimo Geopolitico che era stato una delle componenti fondamenti del suo Risorgimento e della sua riunificazione e che aveva ben compreso che la libertà non poteva essere scissa dalla sua componente spaziale-geografica (2). Rimane da rispondere al quesito posto da Roberto Stefanini sulla rappresentazione della situazione che si fa il Repubblicanesimo Geopolitico. Se per rappresentazione della situazione s’intende il quadro delle relazioni internazionali, il Repubblicanesimo Geopolitico sente una profonda affinità, e prende robusti spunti oltre che dai già
citati padri della geopolitica, dalla dottrina delle relazioni internazionali che oggigiorno va sotto il nome di costruttivismo e che ha per caposcuola Alexander Wendt. Famoso il titolo del saggio di Alexander Wendt Anarchy is What States make of it, e cioè che l’anarchia del sistema internazionale non è una meccanica legge di natura ma dipende dalle scelte, a loro volta influenzate dalla storia e dalla cultura, che le singole nazioni compiono di volta in volta. Il costruttivismo, insomma, sottolinea l’importanza dei cosiddetti dati “sovrastrutturali” e volitivi nel determinare la dinamica del sistema internazionale. Da questo punto di vista, il Repubblicanesimo Geopolitico è completamente d’accordo col costruttivismo ma con una piccola rivendicazione, non per sé stesso – ci mancherebbe – ma per chi prima ancora del costruttivismo e con feroce volontà attuativa pensò in questi termini: il solito Giuseppe Mazzini. Se per rappresentazione della situazione si intende, invece, il giudizio sullo stato di salute della democrazia in Italia e nelle altre cosiddette democrazie rappresentative, il giudizio è già stato espresso in altri interventi sul “Corriere della Collera” ma, in estrema sintesi, si riassume nella conclusione che quello che i media – ed anche un pensiero politico asservito a necessità che con la ricerca della verità e dell’espansione della libertà hanno poco a che spartire – oggi chiamano democrazia non è altro che un regime ove le oligarchie finanziarie sostengono e foraggiano un teatrino dove ancora si consente di scegliere attraverso formalmente libere elezioni la rappresentanza politica ma in cui questa rappresentanza politica è totalmente irresponsabile rispetto al suo elettorato ed è spogliata, de facto, di qualsiasi potere decisionale (questo teatrino del potere e della falsa libertà politica è comune a tutte le cosiddette democrazie rappresentative occidentali. Proseguendo con l’immagine, possiamo dire che, allo stato attuale, la democrazia è una recita fatta dai politici su un palco gentilmente fornito dalle oligarchie finanziarie. In Italia poi, per non farci mancare niente, gli attori sono pure degli scadenti
guitti). Questo giudizio, peraltro, non è proprio un’esclusività del Repubblicanesimo Geopolitico ma è condiviso anche dalla parte meno corrotta dell’attuale mainstream della scienza politica (Colin Crouch, Robert Dahl tanto per citare qualche autore). Al contrario però di coloro che vedono la postdemocrazia e/o la poliarchia come un destino inevitabile per le democrazie rappresentative occidentali, il Repubblicanesimo Geopolitico non si rassegna all’avvizzimento della democrazia per il semplice motivo che se gli uomini per pigrizia possono essere sordi sulla loro libertà, la storia è un’ottima sveglia e che, se inascoltata, può portare a traumatici e tragici risvegli. È la storia del nostro paese che è tutto un susseguirsi di momenti alti e di altri di tragica miseria. È persino inutile dire in quale momento il Repubblicanesimo Geopolitico ambisca a collocarsi. Sembrerebbe, è vero, una missione impossibile, per non dire connotata da un’assoluta ed insopportabile hubris. Se il Repubblicanesimo Geopolitico fosse una semplice nuova elaborazione di scuola sui temi (neo)repubblicani ciò sarebbe assolutamente vero. Ma ovviamente la pretesa – o meglio la speranza – del Repubblicanesimo Geopolitico non è di essere la solita accademica variazione sul tema (neo)repubblicano ma modestamente, anche se con molto orgoglio, è di non essere altro che l’ennesima espressione di quel moto profondo che nasce dal cuore della nostra storia e civiltà e che si riassume nella ricerca di una sempre maggiore espansione della libertà. Ora e sempre.
Ravenna-Coimbra, 26 novembre 2013

NOTE
(1) In questa risposta [sul “Corriere della Collera”] sul Repubblicanesimo Geopolitico ho originariamente omesso qualsiasi citazione dei vari Nozik, Friedrich von Hayek, Dworkin
e Rothbard come autori di riferimento in merito al canone liberale. La ragione è molto semplice. Tutti questi autori, chi più da “sinistra” chi più da “destra”, ci restituiscono un’immagine talmente caricaturale del liberalismo – e talmente priva di qualsiasi riferimento alla nozione di “conflitto strategico” (concetto coniato da Gianfranco La Grassa nell’ambito del suo fondamentale rinnovamento del marxismo e dell’interpretazione del filosofo di Treviri ma il cui campo semantico rimanda direttamente a Machiavelli) – che da parte di un pensiero, come il Repubblicanesimo Geopolitico, che intende seriamente e radicalmente superare il pensiero liberale è consigliabile, almeno in sede divulgativa come può essere quella di un blog, piuttosto che lasciarsi andare a facili, scontate – seppur giustificate – ironie, lasciar perdere ed ignorarli del tutto. Insomma, i lettori dei blog politici (o, meglio, tutti coloro che vogliono costruirsi una vera cultura politica e comprendere quindi anche la grandezza, seppur da superare, del liberalismo) se vogliono “perdere” tempo, affrontino Tucidide, Machiavelli, Hobbes, Adam Smith, Ricardo, Carl von Clausewitz, Hegel, Marx, Mazzini, Mosca, Pareto, Benjamin Constant, Alexis de Tocqueville, Carl Schmitt, Sorel, Lenin, Antonio Gramsci, Hannah Arendt, Friedrich List, Schumpeter, John Maynard Keynes, per finire con i padri della geopolitica Alfred Thayer Mahan, Halford John Mackinder e Friedrich Ratzel piuttosto che i moderni pedestri, feticistici ed irrealistici propagandisti nominati sopra di un liberalismo visto come una sorta di sistema eterno, immutabile e al di sopra della storia (e di un individuo come una sorta di onnipotente Robinson sociale), servi sciocchi di quegli agenti strategici, che coperti dalle enunciazioni ideologiche (un tempo socialiste e liberali oggi solo liberali) ad usum della manipolazione del consenso hanno inteso le varie organizzazioni socioeconomiche in cui venivano ad operare (socialiste e liberaldemocratiche e oggi solo liberaldemocratiche) come il campo di battaglia sul quale scontrarsi per ottenere la supremazia. Agenti strategici che,
insomma, da veri propri leviatani hobbessiani hanno fatto sempre un sol boccone, strumentalizzandoli e trattandoli come carne da cannone, dei vari Robison sociali del liberalismo e dei vari Stakanov del socialismo reale. È inutile aggiungere che il Repubblicanesimo Geopolitico sia dal punta di vista conoscitivo che da quello politico è unicamente inteso a far uscire dal loro “stato di minorità” questi illusi Robinson liberali e i tuttora persistenti – e perdenti – cultori del fu Stakanov del defunto socialismo reale.
(2) Fondamentale per comprendere sul piano teorico questa dialettica spazio/libertà, Democratic Ideals and Reality. A Study in the Politics of Reconstruction, London, 1919 di Halford Mackinder, il fondatore accanto a Thayer Mahan della geopolitica, e al quale si deve la comprensione che la democrazia è nata e si sviluppata grazie all’insularità della Gran Bretagna e che quindi il wilsonismo – oggi si direbbe l’esportazione della democrazia – era un assoluto non senso,

Repubblicanesimo Geopolitico. 2a parte Alcune Delucidazioni Preliminari Di Massimo Morigi

Repubblicanesimo Geopolitico. 2a parte  Alcune Delucidazioni Preliminari Di Massimo Morigi

Rispondo molto volentieri, ringraziandolo per l’interesse mostrato, alle assai opportune domande di Roberto Stefanini sul Repubblicanesimo Geopolitico e ringrazio pure “Il Corriere della Collera” per dare spazio ed ospitalità alle seguenti opinioni ed analisi, ovviamente ascrivibili unicamente allo scrivente e non interpretabili come una sorta di sua linea editoriale ma che si ha fiducia che, almeno nello spirito, possano essere condivise dal blog e dai suoi cortesi ed attenti lettori. Senza scendere troppo nel dettaglio sugli autori e le fonti, attualmente, in contrapposizione ad una visione liberale della democrazia, che intravvede la libertà come non interferenza (e cioè che si sarebbe tanto più liberi quanto più la legge positiva non vieta di fare questo o quello), si contrappone, fra le altre, una corrente di pensiero che viene definita repubblicana o neorepubblicana (fra le altre, perché il repubblicanesimo o neorepubblicanesimo, nell’ambito delle dottrine che ambiscono a sostituire il liberalismo come ideologia guida, non è l’unica possibilità messa in campo dalla filosofia politica: abbiamo, per esempio, il pensiero comunitario (1) – cfr. Michael Sandel, Alasdair MacIntyre –, che indica come soluzione al deficit democratico un maggiore legame dell’individuo con la sua comunità di riferimento e che, da alcuni, per la sua critica alla versione liberaldemocratica della democrazia, viene avvicinato al repubblicanesimo, per non parlare dei vari marxismi più o meno neo che siano). Ora il (neo)repubblicanesimo, in contrapposizione ad una interpretazione liberale della libertà intesa come non interferenza, avanza un’idea della libertà intesa come non dominio (cfr., in particolare, Philip Pettit e Quentin Skinner), e cioè si è veramente liberi non solo quando la legge positiva interferisce il meno possibile con le scelte dell’individuo ma anche – e soprattutto – quando il contesto politico ed economico della società non consente che fra individuo ed individuo s’instaurino relazioni di dominio. L’esempio classico per illustrare la situazione di dominio è il rapporto servo/padrone di Hegel, dove il servo è sì legalmente libero di prendere decisioni in contrasto col suo padrone ma dove questo comportamento è, de facto, reso impossibile dalla disparità di forze fra questi due attori (per Hegel il rapporto servo/padrone aveva poi una sua evoluzione sempre più indispensabile al padrone, alla fine “padroneggiava” il padrone stesso; il (neo)repubblicanesimo meno dialettico e più “politically correct” vorrebbe, non si sa bene come, l’abolizione, ex abrupto – e bypassando del tutto la dinamica sociale delle scontro fra classi e della nascita da questa dialettica di nuove ed inedite classi – di questo rapporto). Quindi fra servo e padrone si instaura un rapporto di dominio e, giustamente secondo il (neo)repubblicanesimo, questo rapporto è una metafora di quanto avviene oggi nelle nostre moderne società rette politicamente da varie forme di democrazia rappresentativa. Per il (neo)repubblicanesimo è necessario, allora, per la costruzione di una società più democratica, affiancare alla non interferenza di matrice liberale anche una visione della libertà intesa come non dominio, una situazione quindi dove il comportamento del servo non sia condizionato dal maggior potere del padrone. Da ciò emerge un (neo)repubblicanesimo totalmente condivisibile a livello di etica pubblica ma, però, totalmente embrionale e a livello di elaborazione teorica e a livello di proposte di politiche pubbliche. Veniamo prima alle politiche pubbliche avanzate dal (neo)repubblicanesimo. Per quanto riguarda questo aspetto del (neo)repubblicanesimo, ci troviamo di fronte alla assoluta fumosità dei suggerimenti, fumosità il cui autentico “crampo del pensiero” è rappresentato dal fatto che l’analisi dei problemi politico-istituzionali delle società liberaldemocratiche non è mai affiancata ad una analisi delle classi socio-economiche che in queste società operano, dimodoché il (neo)repubblicanesimo stenta moltissimo ad individuare i reali rapporti di forza e/o di potere che operano all’interno di queste società, una dimenticanza di non piccolo momento per una dottrina che vorrebbe instaurare rapporti di non dominio all’interno delle democrazie rappresentative. Se questo è un problema del (neo)repubblicanesimo per quanta riguarda le politiche pubbliche (un problema che, comunque, potrebbe apparentemente essere risolto nella prassi con versioni più a “sinistra” e più redistributive della dottrina), è a livello teorico che troviamo il grande problema del (neo)repubblicanesimo, grande problema che sta proprio nella visione della libertà come non dominio, una visione, cioè, dove il potere (dominio) è visto come una cosa in sé cattiva e da contrastare il più possibile, una specie di pulsione da reprimere e da cacciare il più possibile nell’inconscio della vita politica, mentre il problema del potere non è tanto quello di rimuoverlo o di esorcizzarlo come una specie di peccato originale (una società ispirata al principio del non dominio altro non è che la realizzazione di questa rimozione) ma bensì un suo incremento e sempre maggiore condivisione di quote crescenti dello stesso fra tutti i membri della società. Se quindi la bandiera del (neo)repubblicanesimo è il non dominio, il Repubblicanesimo Geopolitico esprimendosi in termini simmetricamente contrari parla di dominio diffuso e/o diffusivo come condizione indispensabile per lo sviluppo della libertà. Per esprimersi ancora con maggior sintesi e ad uso di un facile promemoria: l’obiettivo del Repubblicanesimo Geopolitico è il Dominio Repubblicano Diffusivo, in inglese Republican Diffusive Domination (RDD se si preferisce l’impiego dell’acronimo o la Republican Increased Common Domination, RICD, Aumentato dominio comune repubblicano, usando un’altra locuzione semanticamente equivalente ed il suo rispettivo acronimo). Questa analisi sul potere come cosa in sé tutt’altro che malvagia, non proviene da autori autoritari, antidemocratici e/o fascisti ma discende direttamente dal pensiero di Hannah Arendt, per la quale, appunto, il potere non andava esorcizzato ma era lo strumento principale attraverso il quale sia la comunità politica che il singolo individuo potevano tendere alla realizzazione di una Vita Activa, quella Vita Activa la cui entelechia era la realizzazione di una immortale gloria terrena attraverso l’incremento della libertà/potere di ogni singolo individuo che, proprio in virtù di questa sua sempre più espansiva ed accresciuta capacità esistenziale, avrebbe potuto aspirare per sé e per la sua comunità ad obiettivi di tale esemplarità e bellezza da risultare immortali (tali da “vincere di mille secoli il silenzio”, cfr. in La guerra del Peloponneso di Tucidide il discorso funebre di Pericle agli Ateniesi).

STAR WARS di Gianfranco Campa

Pubblichiamo un articolo già apparso nell’aprile 2013 ma ancora attuale a proposito dell’intenzione dell’allora amministrazione di Obama di installare in Corea del Sud il sistema antimissile THAAD. La proposta fu accolta dal Governo Giapponese e respinta da quello Sudcoreano. Il progetto rientrava pienamente nella politica di destabilizzazione che il governo americano di allora perseguiva in diverse regioni cruciali del mondo a scapito di quei paesi più restii ad accettare i diktat e i desiderata americani e suscettibili di perseguire una politica di avvicinamento alla Russia. In questi giorni il governo sudcoreano ha invece acconsentito all’installazione del sistema antimissilistico; potrebbe essere però una decisione a termine a pochi mesi dalle elezioni di quel paese che potrebbero portare alla vittoria uno schieramento di centrosinistra favorevole ad un avvicinamento alla Cina e contrario al dispiegamento del sistema d’arma. Più che una prosecuzione, quindi, della politica obamiana un segno della schizofrenia dell’attuale politica estera statunitense la quale, piuttosto che riorientare il confronto ostile dalla Russia alla Cina, rischia l’apertura di più fronti di conflitto contemporaneamente con i due paesi. Una schizofrenia che soffre quindi questa volta del confronto aperto all’interno degli Stati Uniti tra diverse strategie.

All’inizio di aprile la Casa Bianca fu informata specificamente dai servizi che le minacce che venivano dalla Corea del Nord erano da prendersi sul serio. I probabili obiettivi dei colpi nord-coreani erano da considerare le isole di Guam ed Okinawa in Giappone. Entrambe le isole hanno una forte presenza militare americana e sono posizionate strategicamente nell’arena dell’Asia-Pacifico. In particolare Guam è considerato l’obiettivo principale in quanto territorio non-incorporato degli Stati Uniti nell’ oceano Pacifico occidentale. La valutazione dei servizi riteneva più probabile un attacco a Guam che non sugli USA continentali.

Le capacità di attacco della Corea del Nord non sono totalmente chiare, ma osservando delle immagini satellitari molto precise il Dipartimento della Difesa USA riporta che i missili che la Corea del Nord vorrebbe lanciare, fanno parte della famiglia No-Dong/Musadan, ed in particolare quelli di classe B. I No-Dong B sono la versione più recente della famiglia No-Dong.

Secondo i rapporti dei servizi il No-Dong B è lungo circa 12 metri con diametro di circa mezzo metro. Sembra che i missili classe B siano un po’ più piccoli di quelli dell’intera famiglia No-Dong. La differenza con gli altri sta nella maggiore gittata e mobilità di questi missili che possono essere lanciati da mezzi semoventi. Le stime della loro gittata vanno da un minimo di 2400 km ad un massimo di 4000 km. La classe B è potenzialmente in grado di raggiungere le basi americane a Guam ed Okinawa.

Diversi missili No-Dong B sono stati scoperti mentre erano trasportati via treno attraverso la nazione verso i loro siti di lancio. Guardando le foto in dettaglio, si osserva che i missili hanno un comparto motore ed un serbatoio di propellente insieme ad un componente ulteriore simile al No_Dong A/1 che fornisce al classe B un ulteriore stadio come veicolo di rientro. Con l’aggiunta del serbatoio di propellente e del veicolo di rientro, il No-Dong B potrebbe essere capace di aggiungere altri mille kilometri di gittata, che è un buon risultato, ma non ancora sufficiente per raggiungere parti critiche degli USA. Con le attuali apparecchiature militari la Corea del Nord non ha ancora sviluppato la capacità di raggiungere gli USA continentali. Le smanie dei media su possibili obiettivi come S.Francisco o Los Angeles sono esagerate e totalmente sbagliate.

Chiarito che non c’è alcuna possibilità di raggiungere gli USA continentali, comunque, i missili nord-coreani hanno la gittata per raggiungere Guam e Okinawa. Okinawa, anche se in territorio giapponese, è una delle più importanti aree militari americane, rendendola un obiettivo primario. Lo stesso per Guam, che non solo è un possedimento USA, ma è anche sede di tre basi militari importanti. La base aerea Andersen a Yigo, la base navale nel porto di Apra e le forze navali a Marianas.

Stabiliti i possibili obiettivi dell’attacco nord-coreano e con solide informazioni dei servizi (ancorché non complete) sulle capacità della Corea del Nord, la Casa Bianca ha scatenato pienamente la macchina militare. Il vincitore del Nobel per la pace Obama, fra un ricevimento ed un torneo di golf, ha chiarito che ogni azione ostile della Corea del Nord sarà contrastata col pugno di ferro. Ma mentre tutti rivolgono la loro attenzione alle tradizionali manovre della marina, dell’esercito e dell’aviazione nell’arena asiatica, lo sviluppo più significativo è lo spiegamento del nuovissimo THAAD (Difesa dell’Area Terminale ad Elevata Altitudine).

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Il 3 aprile 2013 il Dipartimento della Difesa ha annunciato che il sistema di difesa anti-missili balistici THAAD era stato dispiegato a Guam. Dal 14 aprile la prima unità THAAD è in posizione e pronta ad intercettare qualsiasi missile possa essere lanciato dalla Corea del Nord. Questa nuova classe di intercettori è l’ultima aggiunta al Sistema di Difesa anti-Missili Balistici (BMDS) che è completato dai Patriots e dal sistema AEGIES BMD. I THAAD sono dispiegabili rapidamente e capaci di distruggere missili sia dentro che fuori l’atmosfera durante la fase finale del loro volo.

Ecco alcune delle caratteristiche del THAAD. I missili sono basati a terra, montati su veicoli semoventi e ad alta tecnologia. Sono specificamente progettati per distruggere qualsiasi testata bellica e sono molto efficaci contro qualsiasi minaccia asimmetrica di missili balistici. La loro capacità di intercettare i missili in arrivo ad altitudini molto elevate, mitiga gli effetti di ogni arma di distruzione di massa prima che arrivino a terra. Una batteria THAAD consiste di quattro elementi: un lanciatore, gli intercettori, il radar ed infine il controllo del fuoco. I lanciatori sono montati su camion e quindi molto mobili, i missili possono essere facilmente sparati e ricaricati. Ci sono otto intercettori per ogni lanciatore. Ogni lanciatore è provvisto di un AN/TPY-2 (sistema di sorveglianza radar). Il radar è in grado di cercare, seguire e puntare un oggetto e di identificare di che tipo di oggetto si tratti prima di decidere di colpire l’oggetto in arrivo. Ogni componente del THAAD è connesso a mezzo di software estremamente sensibile e sofisticato. Il THAAD è capace di esplorare, applicare ed eseguire soluzioni di intercettazione multiple, ridefinendo continuamente i suoi obiettivi. THAAD ha un’altitudine operativa di 150 km.

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Il progetto THAAD è stato inizialmente concepito nei primi anni ‘90 ma vari ritardi per ragioni di budget lo avevano rallentato. Nel 1992, Lockeed Martin Missiles-Space e Raytheon hanno ottenuto un contratto di 689 milioni di USD per sviluppare il sistema THAAD. Alla fine il programma THAAD entrò nella fase di sviluppo progettuale e costruttiva nel 2000. La piena produzione del THAAD cominciò nel marzo 2004 nei nuovi impianti Lokheed Martin a Pike County, Alabama. Le prove di volo incominciarono nella base di White Sands Missile Range nel New Mexico. Il primo test di volo del sistema completo incluso missile, lanciatore, radar e sistema di controllo ebbe luogo nel maggio 2006. Nel gennaio 2007 nella base Pacific Missile Range, a Kauai, nelle Hawai ci fu un test positivo di intercettazione condotto nella elevata endo-atmosfera. I test sono continuati negli anni incluso, nell’ottobre 2012, un test combinato utilizzando tutta la tecnologia e le apparecchiature dell’arsenale BMDS, un test integrato per valutare l’interoperabilità fra AEEGIS BMD, THAAD, Patriots e il sistema di comando-controllo. Occorre dire che il test del sistema THAAD è stato estremamente positivo. Interessante che nel 2011 gli Emirati Arabi Uniti (EAU) abbiano  firmato un accordo da 1,96 miliardi di USD per due sistemi d’arma THAAD e apparecchi di supporto. Questo è il primo contratto di vendita estero del THAAD. Il THAAD è considerato vitale per la protezione degli EAU contro le minacce missilistiche provenienti dall’Iran. Personalmente non credo che la Corea del Nord stia preparandosi ad eseguire una attacco contro installazioni militari o territori americani, ma se un tale attacco avvenisse, Guam e Okinawa potrebbero diventare campi di prova per valutare le reali capacità dei sistemi di dispiegamento e lancio dei missili nord-coreani e per valutare il salto militare americano nel futuro con il sistema THAAD e la sua efficacia in situazioni di scenario reale.

SOTTO LA COPERTURA DELLE TENEBRE, di Gianfranco Campa

Mentre si infiamma la guerra civile, attualmente in atto tra le orde  Sorosiane/Obamiane/Clintoniane/Neoconiane da un lato e la armata Brancaleone/Trump dall’altra, cominciano ad affiorare in superficie le mine disseminate dall’amministrazione Obama con l’obbiettivo di far deragliare parzialmente se non completamente il convoglio della Presidenza di Trump.

Sono tutte trappole piazzate con discernimento, disseminate lungo il percorso intrapreso da Trump, al solo scopo di far saltare e distruggere le buone intenzioni del Presidente.

Arroccato nel castello bianco, stretto sotto assedio, Trump è diventato il Capitano York di Fort Apache. Le orde barbariche girano come avvoltoi senza tregua cercando il momento opportuno per sferrare il colpo mortale, mentre tutto intorno la sua scarna truppa cerca disperatamente di spegnere i fuochi che rischiano di incendiare e far crollare l’intero accampamento.

Siamo forse arrivati al momento più delicato di questo scontro. Trump sta vivendo ore cruciali; tutta la sua amministrazione è messa a dura prova, rischia di saltare in aria. Le mine da disinnescare sono numerose e quasi tutte accuratamente mimetizzate. Non riguardano solo la politica interna ma anche la geopolitica; quella che poi ci coinvolge maggiormente.

Una di queste trappole è stata preparata da Barack Obama nella notte dello scorso capodanno,  approfittando della copertura delle tenebre e del rumore dei botti festosi.  L’Amministrazione Obama prende una decisione apparentemente inspiegabile e allo stesso tempo strana, pericolosa che lascia non solo perplessi , ma soprattutto con pesanti interrogativi circa la sua utilità e le gravi conseguenze che potrà innescare in termini geopolitici. La sera del 31 Dicembre 2016, al tramonto della suo mandato, Obama ha imposto al Pakistan pesanti sanzioni. Queste sanzioni, dato l’orario, il giorno e l’obbiettivo, sono passate quasi del tutto inosservate e tuttora la stragrande maggioranza dei media non pare esserne al corrente. Gli stessi “esperti” di Politica Estera e Strategie Geopoltiche, come i Think Tank di Foreign Policy, del Council on Foreign Relation, del Brookings Institution e via dicendo, non hanno dedicato praticamente nulla del loro tempo ad analizzare la bizzarra decisione presa da Barack e “Barakkini”.

Anche gli esperti sono stati colti di sorpresa? Solo in parte, data la tarda ora; soprattutto, visto che non sono degli sprovveduti, hanno chiuso gli occhi perché hanno volutamente omesso di avvertire il team di transizione di Trump, all’epoca non ancora insediato alla Casa Bianca. Si sono quindi autocensurati per non allertare il nuovo Presidente di questa patata geopolitica molto bollente, diventando quindi complici di Obama nella sua opera di posizionamento delle mine anti-Trump. Di conseguenza, oppressi dal cumulo di impegni assillanti, i nuovi inquilini della Casa Bianca hanno impiegato molte settimane per prendere coscienza prima della esistenza stessa delle sanzioni, poi del loro carattere pesantemente negativo, dall’importanza geopolitica enorme con potenziali nefaste consequenze epocali per l’attuale amministrazione.

Obama, dopo aver proposto nel febbraio dello scorso anno al Senato Americano aiuti finanziari al Pakistan per un totale di 860 milioni di dollari, appena qualche mese dopo ha finito per sanzionarlo. Un atteggiamento in teoria strano e inspiegabile; in realtà una decisione mirata solo ed esclusivamente a porre Trump con le spalle al muro.

Il primo ministro indiano Modi, a Luglio dello scorso anno aveva fatto pressione sugli Stati Uniti per punire il Pakistan per il suo aggressivo programma missilistico e  nucleare. Obama all’epoca non reagì alle richieste dell’India. In effetti Obama non si è mai realmente curato della situazione geopolitica e della tensione che intercorre tra il Pakistan e i paesi limitrofi tra i quali l’India. In aggiunta l’Arabia Saudita ha manifestato insofferenza verso il Pakistan per il rifiuto di quest’ultimo di partecipare o quantomeno sostenere i Sauditi nella guerra in Yemen. Anche su questo aspetto Obama ha sempre ostentato disinteresse, creando disappunto tra le fila del regime saudita.

Sono anni che il Pakistan sostiene un programma missilistico e nucleare. In otto anni di presidenza Obama, il Pakistan non ha modificato di una virgola questo programma, rimasto inalterato per tutto il prosieguo. In altre parole Obama sapeva benissimo quale fossero i progetti e le capacità militari del Pakistan. Anzi, durante il suo mandato, ha manipolato il Pakistan come un burattino violando più volte il suo territorio e la sua sovranità; non dimentichiamoci del raid contro Bin Laden. Addirittura ha usato il Pakistan come leva per arrivare a un accordo con l’Iran.

Quindi una domanda importante da porsi è la seguente: cosa ha fatto cambiare idea al nostro caro Barack? La risposta è semplice; fino a novembre Trump non costituiva una minaccia; alla fine di dicembre Trump era ormai avviato verso la Casa Bianca.

Sono molte le aziende che sono state messe fuorilegge dal Dipartimento del Commercio Americano; tra queste figurano la Ahad International, la Air Weapons Complex, la Engineering Solutions Pvt. Ltd., il Maritime Technology Complex, il National Engineering and Scientific Commission, il  New Auto Engineering e l’Universal Tooling Services. Tutte aziende importanti e vitali per l’economia Pakistana; sanzioni quindi che fanno male e che hanno suscitato in Pakistan un forte malumore verso gli Stati Uniti. I Pakistani hanno  sbagliato su una cosa però; ritengono che la decisione delle sanzioni sia stata presa da Obama sotto suggerimento degli Indiani e dei Sauditi. Solo ora, in pieno caos politico Americano, stanno finalmente mettendo insieme i tasselli e prendendo coscienza che il Pakistan si ritrova vittima sacrificale della guerra civile politica in atto negli States.

Per Trump sarà molto problematico cancellare le sanzioni per due semplici motivi. Prima di tutto perchè i Pakistani hanno ormai aperto la porta ai Cinesi, i quali hanno sostanzialmente aumentato la loro presenza economica nel paese, accrescendo il peso diplomatico al punto tale che sono ora in grado di dettare loro stessi la linea geopolitica al Pakistan. In secondo luogo l’eventuale decisione da parte di Trump di revocare le sanzioni risulterebbe intollerabile sia per gli Indiani che per i Sauditi, in particolare  per Narendra Modi, il piu  ostinato oppositore a qualsiasi rapporto amichevole  tra Pakistan e USA.

In sovrappiù le sanzioni servono a collocare Trump in una situazione difficilissima per quanto riguarda l’Afghanistan. I vertici del Pentagono e gli esperti geopolitici concordano nel considerare l’Afghanistan un paese sull’orlo del collasso. Stiamo parlando non di anni, ma di mesi, forse di settimane. Trump dovrà confrontarsi con un problema serio; salvare il salvabile in Afghanistan.

Due opzioni sono a disposizione dell’amministrazione Trump. Intervenire al più presto oppure abbandonare l’Afghanistan al proprio destino. In ogni caso tutte e due queste soluzioni comportano un problema enorme, un dilemma serio. Se Trump decide di lasciare l’Afghanistan al proprio destino, il mondo intero lo taccerà di quel fallimento e di ingenua approssimazione al cospetto dei piu` “capaci” Obama e Bush. Dovesse decidere il massiccio intervento militare, l’azione sarebbe pesantemente pregiudicata dal mancato supporto logistico del Pakistan. Date le sanzioni, ritengo improbabile una concreta disponibilità dei Pakistani nei confronti degli Americani. In alternativa ci sarebbero i Russi, ma anche qui Obama ha fatto terra bruciata.

Ecco perchè Trump si ritrova con le spalle al muro.

Non ci devono sorprendere le manovre obamiane. Si conosce la sua particolare predisposizione e sensibilità alla pace nel mondo. Il Nobel, Obama se lo è proprio meritato!

L’unica via per Trump sarebbe quella di negoziare una qualche soluzione che smussi le tensioni e il malcontento di Pakistani, Indiani e in alternativa dei  Russi e poter quindi operare liberamente in Afghanistan; sempre che i Cinesi non si mettano di traverso.

Vedo già i titoloni che annunciano il fallimento di Trump in Afghanistan; fallimento di cui dovrà sopportare tutta la colpa, sappiamo già come operano i media.

Non c’è da aggiungere altro; il suo predecessore gli ha lasciato in eredità una situazione geopolitica gravissima. D’altronde c`era da aspettarselo da un uomo come Barack, campione dei diritti civili, sempre attento alle necessità degli ultimi.Un figuro che se può ti dà una mano; controlla però che nel  frattempo non ti abbia tagliato l’altra.

REPUBBLICANESIMO GEO-POLITICO, di Massimo Morigi 1a parte

Italia e il mondo pubblicherà una serie di riflessioni e commenti di Massimo Morigi, già apparsi nel 2013, riguardanti la sua particolare interpretazione del “conflitto strategico” tra agenti inteso come peculiare modalità di articolazione della azione politica. L’ambizione è quella di metterla a confronto con analoghe chiavi di lettura dell’azione politica come quella offerta dal professor Gianfranco La Grassa

1a parte ALLA RICERCA DELL’IDENTITÀ ITALIANA

Come in nessun’altra democrazia rappresentativa occidentale, l’Italia, con la sua involuzione verso il dominio delle oligarchie finanziarie, si presta alla più perfetta dimostrazione della “legge ferrea dell’oligarchia” di Robert Michels: se sul piano dell’enunciazione ideologica le élite al potere e i partiti politici dichiarano piena adesione alla democrazia, de facto, costantemente operano per una sempre maggiore restrizione degli spazi di libertà.
Michels vedeva nel parlamento il luogo dove avvenivano queste illiberali transazioni fra partiti e lobby, oggi aggiornando il suo pensiero c’è da osservare che il parlamento è sempre più surclassato come luogo di compensazione fra questi poteri dalla tecnoburocrazia transnazionale collusa con la grande finanza, una tecnoburocrazia che a differenza del partito michelsiano non è nemmeno formalmente responsabile verso il suo elettorato.
Se questo è “lo stato delle cose” è quindi di tutta evidenza che rivolte di piazza non possono che subire “manu militari” una facile repressione, vista la sproporzione delle forze in campo.
E allora quale via d’uscita? La risposta è che se le attuali pseudo-democrazie rappresentative sono immensamente più forti ed imbattibili come forza militare che possono dispiegare sul campo degli ancien régime spazzati via dalla rivoluzione francese (o dell’autocratico regime zarista o, per rimanere in Italia, dell’Italia liberale che non seppe superare la terribile prova del primo dopoguerra), non possono __________
*(Col presente documento si immettono in rete in gli articoli e gli interventi di Massimo Morigi sul repubblicanesimo geopolitico – o repubblicanesimo geostrategico o repubblicanesimo strategico, animati dalla ricerca teorica sui concetti di Lebensraum republicanism e di conflitto repubblicano strategico – e sulle attuali questioni geopolitiche apparsi fino al 3 marzo 2014 sul blog “Il Corriere della Collera”. Sono pure pubblicati alcuni dei commenti del blog a questi articoli ed interventi. Preme per ultimo sottolineare che, per quanto sviluppatosi del tutto autonomamente e con una sua specificità dialettica, il repubblicanesimo geo-politico condivide una profonda affinità colla scuola neomarxista di Gianfranco La Grassa e sul suo euristicamente denso concetto di conflitto strategico. Ravenna-Coimbra, marzo 2014).
nemmeno rinunciare, vista la loro natura poliarchica, a mantenere aperti quegli spazi di libertà di espressione che, se possono risultare molto fastidiosi, costituiscono anche il terreno di manovra sui cui si possono scontrare i vari gruppi di potere (e a dimostrazione di quanto questi spazi di “libera circolazione” siano intesi dai gruppi di potere in maniera strumentale, si considerino in tentativi messi in atto in ogni liberaldemocrazia per comprimere la libertà di espressione dando invece libero sfogo alla anarchica libera circolazione delle merci e dei capitali).
Siamo quindi di fronte ad un problema di “egemonia”, una egemonia come direbbe Gramsci che, invece di lanciare fantomatici e ridicoli appelli per una conquista del Palazzo d’inverno, deve preoccuparsi di conquistare a sé sempre più vasti strati della popolazione, attualmente indifferente o addormentata dall’oppio neoliberale.
Dal punto di vista dell’elaborazione teorica questo è il programma del repubblicanesimo geopolitico. Per quanto riguarda gli strumenti per diffondere una vera consapevolezza democratica, unico in campo nazionale – per non dire internazionale – è il blog, il “Corriere della Collera”, che cortesemente ospita questo ed altri interventi animati tutti dalla medesima consapevolezza della crisi epocale che le democrazie rappresentative stanno attraversando.
Visti gli strumenti materiali messi in campo, sembrerebbe che la sfida per superare il vecchio canone neoliberale sia disperata.
Non dimentichiamo però che l’Italia è sorta su scommesse che parevano già perse in partenza e che i protagonisti di queste scommesse azzardate furono uomini (primo fra tutti Mazzini) che ben lungi dall’essere metafisici sognatori capivano che il dato fondamentale di ogni azione sono le rappresentazioni che gli uomini si fanno della situazione.
Oggi questa impostazione la si chiamerebbe costruttivista. Quello che importa non è tuttavia il nome ma la consapevolezza che è dalla tradizione dell’azione e del pensiero politico italiani che non solo le più profonde correnti del pensiero politico internazionale trovano le sue radici ma che, soprattutto, possiamo trarre forza ed ispirazione per contrastare le forze delle oligarchie.
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M5S, la stampella del potere Scritto il 12 giugno 2015 by Federico Dezzani

Mi pare utile riprendere un articolo di Federico Dezzani, con il quale l’autore ricostruisce la genesi del movimento- Giuseppe Germinario

M5S, la stampella del potere

Scritto il 12 giugno 2015 by Federico Dezzani

Twitter: @FedericoDezzani

link originario dell’articolo:  http://federicodezzani.altervista.org/m5s-la-stampella-del-potere/
Le recenti elezioni regionali certificano l’arretramento del M5S che perde 900.000 voti rispetto alle europee del 2014 e quasi 2 mln di voti rispetto alle politiche del 2013: è il prezzo della defezione di Beppe Grillo, ritiratosi nel novembre 2014 dalla guida del movimento perché “un po’ stanchino”. Perché Grillo abdica quando la situazione economica dell’Italia, sempre più esplosiva, permetterebbe di assestare il colpo definitivo al governo Renzi e realizzare la “rivoluzione araba” promessa nel 2013? La risposta è che M5S è la stampella dell’establishment euro-atlantico. Dall’American Chamber Of Commerce alla Telecom Italia, come è stata assemblata la piattaforma di Gian Roberto Casaleggio: l’arroganza è che tale che è apposta pure la firma “nuovo ordine mondiale”.

Italia: poligono per le sperimentazioni politiche

Quando una nuova arma è perfezionata è abitudine sperimentarla in qualche poligono di tiro lontano dal territorio metropolitano, oppure in qualche teatro bellico: ne sanno qualcosa i cittadini sardi che subiscono gli effetti del poligono sperimentale Salto di Quirra, il più grande della NATO in Europa, oppure i ribelli Houthi dello Yemen, contro cui è stata di recente scagliata una bomba termobarica, immortalata nel video che mostra tutta la potenza devastatrice dell’ordigno1. Le armi convenzionali sono solo uno degli strumenti cui il sistema euro-atlantico ricorre per esercitare il proprio dominio. Esiste poi un vasto arsenale di armi riconducibile alla “guerra psicologica”, combattuta contro nemici esterni o contro le opinioni pubbliche di paesi alleati se non, come sempre più spesso capita, direttamente contro i propri cittadini: rientrano tra le armi psicologiche gli attentati falsa bandiera, la propaganda contro governi ostili, gli omicidi politici e le rivoluzioni colorate.

Anche in questo campo l’Italia, uscita sconfitta dall’ultima guerra, ha il triste primato di essere uno dei poligoni preferiti dalla NATO, dove sono testate le nuove armi psicologiche che, se funzionanti, sono poi applicate all’occorrenza in altri Paesi. È nel Bel Paese ad esempio che è sperimentata la strategia delle tensione, applicata poi negli stessi USA con gli attentati dell’11 settembre e le lettere all’antrace.

Le basi della strategia della tensione sono poste nel settembre 1963, tre mesi prima che nasca il primo governo di centrosinistra (DC,PSI, PSDI, PRI) presieduto da Aldo Moro: è in quei giorni che dall’Ufficio Ricerche Economico Industriali del SIFAR parte una relazione riservata indirizzata al generale Giovanni Allavena, capo del controspionaggio del Servizio Informazione Forze Armate. Qui si contempla, pur di arginare l’avanzata comunista, la possibilità di2:

“creare gruppi di attivisti, di giovani, di squadre che possano usare tutti i sistemi, anche quelli non ortodossi, dell’intimidazione, della minaccia, del ricatto, della lotta di piazza, dell’assalto, del sabotaggio, del terrorismo”.

Ad attuare questo innovativo, eversivo, disegno (che metabolizza molti concetti della guerra rivoluzionaria marxista-leninista) è chiamato il maggiore Adriano Magi Braschi, tra i massimi esperti della NATO in guerra psicologica e futuro ponte tra servizi segreti e terrorismo nero, anche internazionale (è infatti in stretto contatto con l’Organisation armée secrète francese).

Due anni dopo, nel maggio del 1965, si svolge presso l’hotel romano Parco dei Principi, il convegno organizzato dall’Istituto di studi militari Alberto Pollio che posa il primo mattone della futura strategia della tensione: intervengono alla conferenza il suddetto maggiore Magi Braschi, alti esponenti delle forze armate e dei servizi, accademici e figure di spicco dell’estremismo di destra (tra cui Pino Rauti e Guido Giannettini).

La fine del mondo bipolare e la volontà di procedere a tappe forzate verso il “nuovo ordine mondiale” (Stati Uniti d’Europa, allargamento della NATO a est, neoliberismo e finanza selvaggia) comporta per l’establishment euro-atlantico la necessità di sbarazzarsi della vecchia classe politica dei “paesi alleati”, con sui si è vinta la guerra fredda: abituati a ritagliarsi una certa libertà di manovra entro i paletti della NATO e propugnatori dell’intervento dello Stato nell’economia, questi politici sono infatti obsoleti nel nuovo assetto unipolare.

In Italia è quindi testata una nuova arma psicologica che negli anni a venire sarà largamente impiegata in tutto l’Occidente: gli scandali mediatici-giudiziari, con cui si discreditano e/o eliminano politicamente singole figure o intere classi dirigenti. Quest’arma psicologica, recentemente impiegata contro i vertici della FIFA rei di non aver cancellato i mondiali in Russia del 2018, si avvale di illeciti o di ipotesi di reato, portati alla luce se e quando la vittima disobbedisce alle direttive o occorre sostituirla con uomini più freschi e fidati.

La prima e, la più potente in Europa Occidentale, bomba mediatica-giudiziaria è sganciata su Milano nel 1992, facendo leva sul finanziamento illecito dei partiti che, fino a quel momento, era stato il segreto di Pulcinella della politica italiana: è l’inchiesta Mani pulite condotta, come ha ammesso l’ex-ambasciatore americano Reginald Bartholomew prima di morire per un tumore3, dal pool milanese di Francesco Saverio Borrelli in stretto contatto con il consolato americano di Milano. Il console generale americano a Milano, Peter Semler, riceve nei suoi uffici il futuro uomo simbolo di Mani Pulite, il magistrato Antonio Di Pietro, quattro mesi prima dello scoppio dell’inchiesta: scopo dell’incontro è essere “informato” sulle implicazioni politiche delle indagini.

Antonio Di Pietro (che attira l’ammirazione del console Semler perché sa usare il computer “a differenza di gran parte degli italiani”) entra alla procura di Milano nel 1985 e la sua padronanza degli strumenti informatici (poi persa nel tempo se, come vedremo in seguito, per aprire il suo blog deve avvalersi di Gianroberto Casaleggio) gli consente di essere cooptato nel 1989 dal Ministero della Giustizia come consulente per l’informatizzazione.

Di Pietro, il cui italiano incerto corrobora le voci di una laurea in giurisprudenza parecchio opaca, ha un trascorso nel SISDE: negli anni ’80 figura tra i poliziotti di scorta al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa4 ed un appunto del centro Sisde di Milano afferma che in quegli stessi anni Di Pietro è in contatto con un diplomatico USA attivo nel nord Italia e con una società vicina alla CIA5. Perché gli americani inseriscono Di Pietro nel pool di Mani pulite, quando la squadra di Borelli sarebbe capace di condurre l’inchiesta contro i vertici della Prima Repubblica anche senza il suo apporto? La spiegazione è duplice: la volontà di avere un proprio referente fidato dentro la squadra di Mani Pulite e, non meno importante, il piano di lanciare Di Pietro, l’eroe nazionale che libera l’Italia dal marciume del DC ed il PSI, come nuovo astro nascente della politica italiana.

Tutti i media del periodo infatti, dal Corriere a Repubblica, preparano il terreno in questo senso6 e, non appena Di Pietro lascia la toga nel dicembre del 1994, gira l’ipotesi che l’ex-magistrato si schieri a destra dell’arena politica, usando come base di partenza il Movimento Mani pulite.

Nel luglio del 1995 Antonino Di Pietro compie il terzo misterioso viaggio negli USA dalla scoppio di Mani Pulite (un primo nell’ottobre del 1992 finanziato dalla United States Information Agency ed il secondo nel 1994 prima di lasciare la magistratura): là è ricevuto dall’American Enterprise Institute7 (lo stesso pensatoio che 15 anni dopo sforna Matteo Renzi) e dal politologo Edward Luttwak.

Al suo ritorno in Italia, stupendo tutti i collaboratori, Di Pietro decide di non entrare in politica con un soggetto autonomo bensì appoggiandosi al centro-sinistra. A Washington devono avergli spiegato che saranno infatti i governi di sinistra a spadroneggiare negli anni successivi, dopo l’effimera esperienza del governo Berlusconi I: il loro compito sarà smantellare l’industria di Statoagganciare l’Italia all’euro a qualsiasi costo e piegarsi alla politica angloamericana nei Balcani.

Tonino è ministro dei lavori pubblici del governo Prodi I (1996) e poi nuovamente ministro delle infrastrutture del governo Prodi II (2006-2008): è nella veste di responsabile di questo dicastero che l’ex-pm, in ottimi rapporti con gli USA, nomina nel febbraio 2007 Gianroberto Casaleggio ed i fondatori della Casaleggio associati (Mario Bucchich e Luca Eleuteri) come esperti del ministero per le strategie comunicative ed i nuovi media8.

Siamo entrati nella sperimentazione dell’ultima arma psicologica, concepita ed applicata con discreto successo già in Ucraina con la rivoluzione arancione del 2004: l’impiego della rete per influenzare l’opinione pubblica, screditare i governi ostili e, all’occorrenza, organizzare manifestazioni di piazza o moti contro le istituzioni.

È nel 2004 che Casaleggio allestisce il sito Beppegrillo.it e, a distanza di tre anni, replica l’operazione con il sito di Antonio Di Pietro: è singolare che tra le centinaia di esperti di comunicazione operanti in Italia, un ministro della Repubblica italiana si affidi “per imparare a schiacciare i bottoncini di Twitter e di Facebook”9allo stesso guru informatico che sta preparando il primo Vaffanculo-day contro il governo Prodi.

La collaborazione tra l’ex-pm di Mani Pulite e Casaleggio prosegue per tre anni, finché Di Pietro si accorge che non è più lui a dettare la linea politica del proprio sito, bensì a subirla, talvolta anche con imbarazzo a causa del toni sempre più aggressivi e denigratori dei contenuti: nel settembre del 2009 si consuma il divorzio tra il segretario dell’Idv e l’esperto informatico.

Da quel momento Di Pietro non è più un socio, seppur di minoranza, della corazzata Casaleggio bensì un rivale politico con cui spartirsi il voto di protesta: a due riprese, man mano che il governo Berlusconi IV affonda sotto il peso degli scandali-mediatici giudiziari e si avvicinano le elezioni, Tonino è liquidato. Nel febbraio del 2010 è pubblicata sul Corriere delle Sera un foto di 18 anni prima che immortala Di Pietro a cena con l’allora capo del Sisde del Lazio, Bruno Contrada, ed uno 007 in servizio all’ambasciata americana. Poi, nel novembre del 2012, la conduttrice di Report Milena Gabanelli assesta il colpo letale all’Italia dei Valori con un’inchiesta sui rimborsi elettorali.

Addio Di Pietro!

Il sol dell’avvenire è ora il Movimento 5 Stelle, nato e cresciuto attorno al blog beppegrillo.it messo a punto dalla Casaleggio Associati. È quindi tempo di indagare sul passato del guru informatico, diviso tra Olivetti, esoterismo e finanza anglosassone.

 

Casaleggio: tra Olivetti, Telecom, Goldman Sachs e nuovo ordine mondiale

Telecomunicazioni e servizi segreti sono pressoché diventati sinonimo dopo le rivelazioni dell’ex-tecnico informatico della CIA Edward Snowden, che nel 2013 dimostra come l’NSA intercetti e sorvegli illegalmente americani e stranieri, semplici cittadini o capi di Stato, appoggiandosi anche a servizi segreti alleati per coprire i rispettivi territori nazionali. Al vertice della piramide che vaglia centinaia di petabite al giorno è il Five Eyes, l’alleanza spionistica tra le potenze anglosassoni (USA, Regno Unito, Australia, Nuova Zelanda e Canada). Sotto, in base ad affinità politiche e peso internazionale, scendono a cascata gli altri Paesi della NATO.

È superfluo dire che l’Italia, dove il governo Letta neppure fiata quando esplode lo scandalo NSA, è considerata un’espressione geografica, preziosa solo perché dalla Sicilia transitano i fondamentali cavi sottomarini che connettono l’Europa con tutto l’Oriente ed il Sud America: il controllo di Telecom Italia cui fa capo la rete fissa e le linee transoceaniche (Telecom Sparkle) è quindi fondamentale per Washington, tanto che ciclicamente ricorre l’ipotesi di una fusione con la texana AT&T. La penetrazione dei servizi angloamericani nell’ex-monopolio dei telefoni affonda le radici già nel dopoguerra e, dal confezionamento di dossier alle intercettazioni diffamatorie, è sempre stata usata per esercitare il ferreo controllo sul Paese.

È nella cornice Telecom/servizi segreti che deve essere inquadrata la figura di Gianroberto Casaleggio. Perito informatico, mai laureato, entra nel 1975 alla Olivetti dove incontra la prima moglie, la britannica Elizabeth Clare Birks da cui ha un figlio. Il padre di Gianroberto è interprete di lingua russa e questo è un dato interessante perché Adriano Olivetti (1901-1960), l’imprenditore visionario che lascia un’impronta indelebile all’azienda, è appassionato di letteratura russa. In particolare Adriano Olivetti, che con il nome in codice “Brown” è in stretto contatto con i servizi segreti inglesi sin dalla primavera del 194310, è un fervido appassionato di occultismo russo11Helena Blavatsky, fondatrice della Società Teosofica ed autrice del libro Iside Svelata, ed il teosofo russo Vladimir Sergeevič Solov’ëv.

Ad un occultista russo, George Gurdjieff (1877-1949), Gianroberto Casaleggio si richiama espressamente, definendosi suo discepolo12. Il profilo esoterico di Gianroberto Casaleggio si arricchisce poi di nuovi importanti particolari nel marzo del 2013, quando sul settimanale Panorama compare l’intervista al massone Giuliano Di Bernardo, ex-Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, dove, commentando la visione del guru di M5S, sono evidenziate le forti analogie tra il Casaleggio-pensiero e l’esoterismo della massoneria speculativa. Sia per Casaleggio che per l’ex- Gran Maestro del GOI, in un futuro non troppo lontano scompariranno le differenze ideologiche, politiche e religiose, ma secondo Di Bernardo13:

Per me a governare sarà una comunione di illuminati, presieduta dal “tiranno illuminato”, per Casaleggio a condurre l’umanità sarà la rete.

Nel 1999, con un’azzardata scalata a debito che lascerà un segno indelebile, la Olivetti di Roberto Colaninno, attiva nella telefonia con Omnitel ed Infostrada, lancia un’offerta pubblica d’acquisto su Telecom Italia, arrivando a detenerne il 51%. Da circa un anno l’ex-monopolio dei telefoni è guidato da Franco Bernabé che, legato a doppio filo con l’establishment euro-atlantico (è uno dei massimi referenti italiani del Round Table, nella veste di membro del Council on Foreign Relations, gruppo Bilderberg, International Council di JP Morgan e vice presidente di Rothschild Europe14), è reduce dell’esperienza in ENI, dove da amministratore delegato ha curato la privatizzazione del gigante petrolifero italiano al motto di “vendere, vendere, vendere”15.

Il 22 febbraio del 2000 l’Olivetti acquista, per 52 mld di lire, dalla britannica Logica Plc il 45% della società Logicasiel, di cui Finsiel (controllata da Telecom Italia) detiene il restante 55%: la società, che cambia il nome in Webegg Spa, è quindi ora in mano al 100% al gruppo Telecom Italia/Olivetti16.

La britannica Logica plc non è un’azienda qualsiasi, bensì il colosso inglese delle nuove tecnologie: nel 1974 è la prima azienda europea ad importare sul Vecchio Continente il papà di internet (Arpanet) quando è ancora un tecnologia militare statunitense e, in quegli stessi anni, disegna la rete elettronica per lo scambio di dati tra banche (il celebre SWIFT, Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication).

La neonata Webegg Spa che, si legge nel comunicato aziendale,“offre consulenza e soluzioni informatiche alle aziende che si organizzano in rete su modello delle web company17 è davvero ben inserita nel comunità economica anglofona, se si considera che appena un anno prima, nel 1999, ha siglato un accordo di collaborazione con la società di nuove tecnologie Neon (New Era Of Networks, con sede in Colorado), fondata nel 1995 dal responsabile informatico di Goldman Sachs, Rick Adam18 (laurea a West Point, già ufficiale della US Air Force ed ex-esperto informatico presso il colosso degli armamenti Litton Industries19, poi Northrop Grumman. Un personaggio decisamente in odore di servizi).

Amministratore delegato delle ex-Logicasiel, ora Webegg spa, è nientemeno che Gianroberto Casaleggio, affiancato dai fidi collaboratori che il guru porterà poi con sé nelle future esperienze aziendali e politiche: Luca Eleuteri (direttore generale tra il 2000 ed il 2003), Mario Bucchich (responsabile della comunicazione tra 2000 e 2003) e Enrico Sassoon (membro del cda dal 2001 al 200320). Merita qualche approfondimento quest’ultimo: Sassoon, membro del consiglio della camera di commercio americana in Italia sin dal 1998 e direttore responsabile della Harvard Business Review dal 2006, ha le sembianze del classico “agente di collegamento” tra l’ambasciata americana di Via Vittorio Veneto e gli uffici della Webegg Spa.

Come sono le prestazioni economiche del gruppo Webegg? Nel 2011 il bilancio si chiude con 91 mln di fatturato ed un utile di 6 mln 21; nel 2002 la società è consolidata da Telecom, gli utili crollano a 45 mln e l’utile a 2,8 mln; nel 2003 continua la caduta dei ricavi che si attestano per la Webegg Spa a soli più 19 mln22. Nonostante i non eclatanti risultati, la Webegg di Casaleggio non bada a spese per i propri dipendenti, come se la società godesse di qualche connaturato privilegio: tre sedi con uffici avveniristici, feste di fine anno con celebri personaggi delle tv, trasferte internazionali per partecipare a tornei di calcio aziendali, etc. etc.

L’enigmatica attività di Casaleggio in Webegg, tale da richiedere la collaborazione del responsabile informatico di Goldman Sach e la consulenza della camera di commercio americana, si interrompe bruscamente sotto il governo Berlusconi II: nel giugno del 2001 il Cavaliere vince le elezioni, il presidente di Pirelli Marco Tronchetti Provera acquista nel luglio successivo, grazie al placet del governo, il controllo di Telecom Italia e, a distanza di due anni, Gianroberto Casaleggio è costretto a lasciare la Webegg Spa. Poi, nel giugno del 2004, la controllata della Telecom è venduta alla società Value Partners.

Con l’avvento del governo Prodi II (2006-2008), Tronchetti Provera perde la sponda con l’esecutivo: prima si dimette dalla presidenza e poi accetta un nuovo patto di controllo che diluisce progressivamente la percentuale di Pirelli fino all’uscita definitiva. È facile scorgere nella salace satira23 di Beppe Grillo contro Tronchetti Provera, eletto a suo bersaglio preferito finché questi non cede Telecom, una vendetta di Casaleggio per la chiusura del “laboratorio Webegg”.

L’ex-perito informatico dell’Olivetti non si perde d’animo: traghetta i suoi uomini più fidati e soprattutto il consigliere della American Chamber of Commerce in Italy, Enrico Sassoon, verso nuovi lidi e nel gennaio del 2004 nasce la Casaleggio Associati. È molto significativo che il blasonato Sassoon (è corrispondente de il Sole 24 Ore e consulente per le maggiori multinazionali americani operanti in Italia), anziché permanere nel cda di Webegg, decida di seguire Casaleggio nella neonata impresa. Corrobora il sospetto che Sassoon, più che alle nuove tecnologie, sia interessato alla specifica attività cui sta lavorando l’enigmatico perito.

Siamo nel 2004 ed internet è parte integrante dell’allora innovativa strategia angloamericana per rovesciare i governi ostili: l’Ucraina è teatro di un primo tentativo di cambio di regime, la rivoluzione arancione finanziata da George Soros e dal Dipartimento di Stato americano24, dove sono massicciamente impiegati blog e siti d’informazione, ampiamente pubblicizzati dai media anglofoni.

Proprio in quell’anno, stando alla ricostruzione ufficiale, Beppe Grillo legge un libro di Casaleggio, ne rimane affascinato e gli telefona25. I due si incontrano al termine di uno spettacolo a Livorno e stordendolo con racconti sull’esoterista Gurdjieff e sul celebre scrittore dell’imperialismo inglese, il massone Rudyard Kipling, Casaleggio convince il comico genovese (fino ad allora un fervente luddista26) ad affidarsi alle sue mani per la creazione del blog Beppegrillo.it.

La verità deve essere probabilmente un’altra: il comico genovese (che con l’ex agente del Sisde Antonio di Pietro condivide il profilo giustizialista, anti-casta e demolitore) deve essere stato segnalato da qualcuno come idoneo al progetto che Casaleggio sta sviluppando. Chi è questo qualcuno? Gli indizi portano all’ex-colonnello della Guardia di Finanza Umberto Rapetto: amico di Grillo sin dagli anni ’9027, in contatto sin dal 2000 con Franco Bernabé che lo nomina 12 anni dopo consulente strategico in Telecom, Rapetto è docente alla NATO School di Oberammergau e consulente del Pentagono in materia di sicurezza28.

Una peculiarità che Casaleggio conserva dalla precedente esperienze in Webegg è la prodigalità negli investimenti: nell’autunno del 2004 la neonata società di Casaleggio sigla infatti un accordo di collaborazione con Enamics, società di Stanford fondata “dall’esperto mondiale di IT ed autore di best seller internazionali”29 Faisal Hoque, che costruisce le architetture informative per giganti come GE, MasterCard, American Express, Northrop Grumman, PepsiCo, IBM, Netscape, Infosys, JP Morgan Chase, etc. etc.

Come è possibile che un divo dell’informatica che lavora per i colossi delle finanza e degli armamenti americani si lasci coinvolgere nei progetti di una neo-costituita ed anonima azienda italiana? Bisogna forse porre la domanda ad Enrico Sassoon ed ai suoi amici dell’American Chamber of Commerce in Italy, perché difficilmente la Casaleggio Associati avrebbe le risorse finanziarie per pagare la parcella di Faisal Hoque.

Arriviamo ad un punto fondamentale: se in Telecom Italia i progetti del guru di Beppe Grillo erano finanziati direttamente dall’ex-monopolio dei telefoni, dove trae ora sostentamento la Casaleggio Associati? In rete sono disponibili i bilanci per il triennio 2009-201230 che mostrano ricavi ed utili in costanti calo, passando da un 1,6 mln a 1,4 e da un attivo di 118.000 € ad un perdita di 57.000 €. Nulla si sa circa i clienti, ma se si considera che nel 2012 il sito beppegrillo.it è già nato da otto anni, M5S da tre, e che circa un milione di ricavi proviene dai servizi venduti dall’ex-Sisde Antonio Di Pietro31, sorgono spontanei i dubbi sulla capacità della Casaleggio Associati di stare sul mercato senza qualche aiuto interessato.

Di certo, come nel caso di Antonio Di Pietro, è la Casaleggio Associati che produce i contenuti del blog di Grillo, stabilisce la linea politica, decide quando e contro chi alzare i toni.

Direttamente prodotti dalla Casaleggio Associati e diffusi in rete dalla società milanese sono i celebri video Prometheus – la Rivoluzione dei media32 (2007) e Gaia – The future of politics (2008): prescindendo dagli scenari ivi contenuti (terza guerra mondiale, pace perpetua, fusioni tra colossi della rete, trionfo dell’informazione angloamericana), è interessante soffermarsi sui richiami esoterici che, come abbiamo precedentemente visto, sono parte integrante del profilo di Casaleggio. Si cita espressamente il “nuovo ordine mondiale” che, da George Bush senior a Giorgio Napolitano passando per Jacques Delors è sulla bocca di tutti i membri dell’élite euro-atlantica. Inoltre, al termine di “Prometheus” (personaggio chiave della dottrina massonica/teosofica), compare il celebre occhio divino nel triangolo raggiante.

Siamo nel 2008: sfruttando il sito Meetup per l’organizzazione di incontri e manifestazione, Grillo ha iniziato da tre anni a radicarsi sul territorio e, l’8 settembre dell’anno precedente, si è tenuto in diverse piazze italiane il Vaffanculo-Day con cui il comico genovese (condannato nel 1985 a 14 mesi di reclusione per omicidio colposo) pubblicizza l’iniziativa “Parlamento pulito” contro la casta, la corruzione, i segretari di partito, i politici condannati in appello, etc. etc.

Già in quell’occasione a dare un particolare rilievo mediatico al Vaffanculo-day di Grillo sono, ça va sans rien dire, i media anglofoni: in particolare la BBC inglese (che fomenta disordini a casa altrui dai tempi della rivoluzione iraniana del 1979) non perde mai di vista il comico giustizialista, diffondendo su radio34, televisione e internet, gli spettacoli con cui, come ai tempi di Mani Pulite, si demolisce la classe politica italiana.

I tempi sono quindi maturi per il primo incontro ufficiale tra l’astro nascente della politica italiana ed il corpo diplomatico americano in Italia: nell’aprile del 2008, George Bush junior imperante, si consuma il pranzo/esame tra Beppe Grillo e l’ambasciatore americano Ronald Spogli (lo stesso che di lì a poco ammonirà Silvio Berlusconi per i suoi pericolosi legami con la Russia).

Al termine dell’incontro, l’intimo amico di Bush, consigliere tra l’altro della J. William Fulbright Foreign Scholarship (emanazione del Round Table), scrive soddisfatto un cablo al segretario di Stato Condoleeza Rice dal titolo “Lunch with italian activist Beppe Grillo: No hope for Italy. Un obsession with corruption35. Grillo, dice Spogli, è un tipo berbero ma capisce di tecnologie ed è all’avanguardia nella lotta contro la corruzione che mina l’economia italiana (insomma, il Di Pietro degli anni 2000).

L’esame è superato e dalla politica arriva il via libera al progetto sui cui i servizi d’informazione britannici e statunitensi lavorano dai tempi della Logicasiel/Webegg: il 4 ottobre 2009, al Teatro Smeraldo di Milano, nasce il Movimento 5 Stelle come filiazione del blog di Beppe Grillo, appena eletto dalla rivista americana Forbes a settima celebrità mondiale della rete36.

Dalla “rivoluzione araba” allo “sono un po’ stanchino”

Arriviamo all’interrogativo decisivo: a cosa serve il Movimento 5 Stelle?

In base alla storia recente, i movimenti politici finanziati dagli angloamericani e costruiti attorno alla rete, sono riconducibili a tre tipologie: movimenti per rovesciare governi ostili, per rovesciare governi amici e, infine, per mantenere lo status quo, fornendo una valvola di sfogo al malcontento.

Alla prima categoria è riconducibile il golpe ucraino del 2014 o l’attuale tentativo angloamericano di rovesciare il governo macedone di Nikola Gruevski: tramite siti d’informazione, blog e microblog si organizzano manifestazioni e proteste contro l’esecutivo in carica, accusandolo normalmente di corruzione, brogli elettorali e repressione dei dissidenti (stranamente nessuna protesta è mai scoppiata nel Regno Unito contro l’infamante piaga delle pedofilia che da sempre affligge la BBC e Westminister37). La protesta ha la tendenza a fallire perché l’apparato di sicurezza, fedele al governo, reprime i disordini: occorrono quindi attentati falsa bandiera di grande impatto mediatico, come l’impiego di cecchini o attentati dinamitardi, per conseguire il risultato.

Il secondo caso è quello della Tunisia o dell’Egitto del 2011: fantomatici blogger incitano alla rivolta con l’ausilio della rete Otpor!/CANVAS, il movimento di protesta si evolve in un’aperta disobbedienza alle istituzioni, le forze di sicurezza fedeli agli USA non reprimono i disordini, ed il cambio di regime si conclude con un limitato spargimento di sangue e la fuga del premier.

Il terzo caso è invece quello del Movimento 5 Stelle che, dopo aver dato ottimi risultati Italia, è riprodotto perfino negli Stati Uniti attraverso il movimento Occupy Wall Street, finanziato dal miliardario George Soros, come ammesso dall’agenzia Reuters nell’ottobre del 2011 prima di ritrattare rapidamente38.

Scrive infatti il fondatore di Occupy Wall Street, il trentenne Micah White, sul blog di Grillo39:

Al momento il M5S è il più importante movimento sociale al mondoSiete voi che ci state mostrando la strade dove andare, la direzione. E adesso vi voglio spiegare perché il vostro movimento è così importante. Noi siamo come il popolo eletto, siamo i prescelti, i prescelti per creare una nuova realtà. Ci troviamo davanti a tre grosse sfide, che hanno bisogno di soluzioni urgenti.

Sia in Italia, colonia americana sin dal 1945, che, a maggior ragione negli USA, non c’è nessuna volontà di rovesciare l’establishment né di metterlo in discussione: come le rivoluzioni colorate di Ucraina, Georgia o Libia, si agisce sì sul malcontento e sulla frustrazione della popolazione per organizzare manifestazioni e occupazioni di luoghi pubblici, ma lo scopo è offrire una valvola di sfogo, impedendo che l’accumularsi della tensione esploda in autentici disordini o moti di piazza contro la classe dirigente.

Da quando l’Italia è precipitata nella depressione economica, l’unica genuina ed autentica protesta è stata quella dei Forconi, commercianti e piccoli imprenditori piegati dalla crisi, non a caso ignorati o disprezzati dai media, messi in quarantena dal M5S40 e duramente repressi dalle autorità giudiziarie41.

Il Movimento 5 Stelle ha quindi il compito, in una prima fase, di catalizzare la protesta esacerbando i toni, e poi, superate le scadenze elettorali decisive, sterilizzare i voti raccolti, lasciando ai partiti d’establishment la possibilità di governare indisturbati, autonomamente o in coalizione se necessario.

Il sito Beppegrillo.it e M5S fa proprie le tematiche più impellenti per l’elettorato e più scottanti per la UE/NATO (l’ostilità verso la moneta unica, il rifiuto alle installazioni militari americani, l’impopolarità delle sanzioni alla Russia, lo sdegno per la responsabilità degli angloamericani nel golpe ucraino, etc.) ma poi le castra, proponendo soluzioni irrealistiche o limitandosi a qualche innocua invettiva (il referendum sull’euro cui la nostra Costituzione non riconoscerebbe nessun valore, l’esultanza per la sentenza per il provvedimento della procura di Caltagirone con cui è stato sospeso il MOUS, generiche indignazioni contro la rivoluzione colorata ucraina, etc. etc.).

Ripercorriamo la breve parabola del M5S per dimostrare la nostra tesi.

Nell’autunno del 2012 imperversa la campagna elettorale per le imminenti politiche, dove, tra l’altro, l’apparato del PD è riuscito a bloccare l’Opa ostile di Matteo Renzi, cavallo di Troia degli americani, presentando Pierluigi Bersani come candidato premier.

Il duo Casaleggio-Grillo alza al massimo i toni dello scontro, non perché voglia espugnare i palazzi romani con la forza e mettere in discussione il sistema, ma perché deve risucchiare tutto il voto di protesta: è la fase dei “giornalisti carogne”, “se va avanti così ci sarà una rivoluzione violenta”, “il sistema sta collassando”, “la rivoluzione è iniziata” etc. etc..

L’imponente tsunami tour che porta Grillo in 87 città, e di cui manca qualsiasi rendicontazione sui costi e sulle fonti di finanziamento42, è un grande successo di piazza. Il 25 febbraio 2013, prima ancora che le urne siano chiuse, sul sito OpenDemocracy finanziato da George Soros si può leggere43:

There is no telling what the outcome of today’s remarkably uncertain Italian elections will be. But the real story might just be Beppe Grillo’s Movimento 5 Stelle, which could become the third political force in the country, and set a model for others in Europe to follow.

La profezia di Soros è corretta, perché M5S, raccogliendo il 25% delle preferenze, si afferma come la terza forza del Paese, dietro alle coalizioni guidate da Pierluigi Bersani e Silvio Berlusconi.

A questo punto scatta la seconda fase della strategia per cui M5S è stato studiato, ovvero la sterilizzazione del voto di protesta: entrati in Parlamento, i grillini bocciano qualsiasi tipo di alleanza in Parlamento, bollato come “inciucio”, condannando così all’irrilevanza gli 8 mln di voti raccolti.

Il problema che si pone per gli angloamericani è ora quello di sbarazzarsi di Pierluigi Bersani, portando Matteo Renzi prima alla segretaria del PD e poi a Palazzo Chigi.

A inizio di aprile 2013, in vista delle elezioni del nuovo presidente della repubblica, Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo si recano in pellegrinaggio all’ambasciata inglese per discutere sulle votazioni del nuovo presidente della Repubblica44.

È significativo che gli inglesi propongano loro la riconferma di Giorgio Napolitano: il loro obbiettivo è infatti bloccare ad ogni costo l’elezione di Romano Prodi, considerato anti-americano e filo-russo, assestando così un colpo definitivo anche a Pierluigi Bersani. Grillo si adegua, dichiarando che i suoi parlamentari non voteranno mai il professore bolognese45, mentre Matteo Renzi coalizza i famosi 101 parlamentari che affossano Prodi46: l’effetto domino non riserva sorprese e cadono prima Bersani e poi il premier Letta. L’americano Matteo Renzi è finalmente a Palazzo Chigi e può recitare un simpatico teatrino con il sodale Beppe Grillo, quando si incontrano tête-à-tête nel febbraio del 2014.

Siamo nella primavera del 2014 e si avvicinano le fondamentali elezioni europee di maggio, importanti non perché si decide la composizione dell’inutile Parlamento europeo, ma perché servono a dare un’investitura pseudo-democratica a Matteo Renzi, il cui ultimo vaglio elettorale risale alle comunali di Firenze del 2009.

Grillo riveste i panni dell’agitatore blanquista, coadiuvato dai sondaggi falsati e dai media che danno il M5S ad un soffio dal PD o addirittura in testa47: urlando come un ossesso “Siamo il primo partito! Siamo al 60%! Chiederemo le dimissioni di Napolitano e vinceremo le politiche!”, Grillo spinge il voto moderato, allarmato da una vittoria del M5S, verso il PD di Renzi. È la celebre vittoria del 40%, stranamente sfuggita a qualsiasi sondaggista, che consente a Renzi di presentarsi come il trionfatore delle europee, celebrato da tutti i media di regime (“Si legge PD, si scrive DC”48, “Con Renzi ha vinto il partito della Nazione”49).

Arriviamo all’autunno del 2014: malauguratamente per Renzi, ma soprattutto per 60 mln di italiani, le ricette della Troika si confermano fallimentari, il terzo trimestre del 2014 si chiude con un PIL a -0,1% rispetto all’anno precedente e ci si avvia verso l’ennesima stagione di recessione, con un PIL a -0,4% su base annua50.

La congiuntura economica dovrebbe fornire l’assist decisivo a Beppe Grillo: la cura della BCE-UE-FMI ha precipitato l’Italia nella depressione economica, Renzi ha fallito nell’impresa di rivitalizzare l’economia, la disoccupazione continua a crescere e il malcontento pure… È tempo di assestare il colpo decisivo al governo e scatenare quella “rivoluzione araba” promessa nel 201351.

Invece Giuseppe Piero Grillo che fa?

Sostiene di essere “un po’ stanchino, come direbbe Forrest Gump”52 e, tra lo sconcerto della base, passa la palla ad un direttorio di cinque parlamentari del M5S, sotto l’occhio vigile della Casaleggio Associati. Adieu, révolution!

Da allora, ghiottissime occasioni per mandare al tappeto le fatiscenti istituzioni della Repubblica italiana scorrono placidamente sotto i ponti (perché M5S non organizza un oceanico Vaffanculo-day in Piazza del Popolo contro Mafia Capitale? Misteri d’Italia).

In cambio, l’establishment euro-atlantico, lo stesso che marchia i video della Casaleggio Associati coll’occhio divino nel triangolo irradiato, prepara l’ennesima mostruosa trasformazione del M5S, questa volta in partito di governo da sostituire/affiancare al già fuso PD di Matteo Renzi.

Sull’americana La Stampa del 3 giugno si legge l’articolo53 “D’Alimonte: l’anti Renzi non può essere Salvini. Il politologo: con l’Italicum sarebbe più favorito Di Maio”.

Stanno apparecchiando un governo Renzi-Di Maio per tenerci agganciati alla UE?

P.S.: non ce ne vogliano i grillini per il nostro articolo. A noi interessa solo la verità. Per il resto, chioserebbe Gianroberto Casaleggio con un equivocabile motto massonico54, “honi soit qui mal y pense”.

 

 

1https://www.youtube.com/watch?v=OTE_Eshm2xw

2La altre Gladio, Giacomo Pacini, Einaudi Storia, 2014, pag. 275

3http://www.lastampa.it/2012/08/29/italia/cronache/cosi-intervenni-per-spezzare-il-legame-tra-usa-e-mani-pulite-tTSX3uC51vAtqfACDDKGUI/pagina.html

4http://www.italiaoggi.it/giornali/dettaglio_giornali.asp?preview=false&accessMode=FA&id=1617080&codiciTestate=1

5http://www.ilgiornale.it/news/usa-007-e-seychelles-lato-oscuro-pietro.html

6http://www.liberoquotidiano.it/news/libero-pensiero/936673/Facci-racconta-Mani-Pulite–cosi.html

7http://www.ilgiornale.it/news/interni/tonino-pendolare-stati-uniti-quattro-viaggi-avvolti-nel-833406.html

8http://www.liberoquotidiano.it/news/politica/11619935/Quando-Casaleggio-lavorava-al-ministero-con.html

9http://www.liberoquotidiano.it/news/politica/11619935/Quando-Casaleggio-lavorava-al-ministero-con.html

10Il Golpe Inglese, Mario José Cereghino e Giovanni Fasanella, Chiare Lettere, 2011, pag. 58

11http://spazioinwind.libero.it/gburrini/arch2002/olivetti.html

12http://archivio.panorama.it/news/politica/Gianroberto-Casaleggio-l-uomo-che-ha-inventato-Grillo

13http://www.panorama.it/news/politica/gianroberto-casaleggio-massoneria/

14http://www.auditorium.com/download/download/?file_id=5767123

15http://archiviostorico.corriere.it/1993/giugno/09/NUOVO_PIGNONE_ceduta_entro_anno_co_0_93060910298.shtml

16http://www.01net.it/il-45-di-logicasiel-a-olivetti-che-lancia-webegg/

17http://www.marketpress.info/notiziario.php?g=20000223

18http://www.01net.it/logicasiel-neon-alleanza-per-il-middleware/

19http://www.avweb.com/news/profiles/182463-1.html

20http://www.affaritaliani.it/politica/casaleggio-ecco-il-guru-che-ha-creato250512.html

21https://www.telecomitalia.com/content/dam/telecomitalia/it/archivio/documenti/Investitori/AGM_e_assemblee/2005/Olivetti-2001-bilancio.pdf

22http://www.valuepartners.com/downloads/PDF_Comunicati/scrivono%20di%20noi/2004/rep_040615_computerworld_acquisizione.pdf

23https://www.youtube.com/watch?v=_KOR4EmTouU

24http://www.theguardian.com/world/2004/nov/26/ukraine.usa

25http://www.blitzquotidiano.it/politica-italiana/chi-e-gianroberto-casaleggio-influencer-beppe-grillo-1339710/

26https://www.youtube.com/watch?v=mRhqllCLjss

27http://mag.corriereal.info/wordpress/?p=20432

28https://it.linkedin.com/in/rapetto

29http://www.faisalhoque.com/pdf/NetForum1104.pdf

30http://www.ilfattoquotidiano.it/wp-content/uploads/2013/05/AA-CASALEGGIO-ASSOCIATI-6626519-Bilancio-Ottico.pdf

31http://www.unita.it/italia/m5s-di-pietro-casaleggio-grillo-web-grillini-guru-movimento-cinquestelle-italia-valori-idv-pm-blog–1.506600

32https://www.youtube.com/watch?v=HsJLRX-nK4w

34http://www.beppegrillo.it/2005/12/radio_londra.html

35http://www.lastampa.it/rw/Pub/Prod/PDF/4aprile2008.pdf

36http://www.forbes.com/2009/01/29/web-celebrities-internet-technology-webceleb09_0129_land.html

37http://www.corriere.it/esteri/14_luglio_05/scandalo-pedofilia-westminster-mistero-dossier-scomparso-10033346-042a-11e4-80b4-bb0447b18f3b.shtml

38http://www.corriere.it/esteri/14_luglio_05/scandalo-pedofilia-westminster-mistero-dossier-scomparso-10033346-042a-11e4-80b4-bb0447b18f3b.shtml

39http://www.beppegrillo.it/2013/12/oltre_-_v3day_micah_white_e_la_solidarieta_globale.html

40http://www.ilpost.it/2013/12/11/morra-m5s-forconi/

41http://www.adnkronos.com/fatti/cronaca/2015/01/13/forconi-blocchi-nel-torinese-processo-nel_4M2G8WINwgJAiHoP6K1OtN.html

42http://www.panorama.it/news/politica/grillo-il-rendiconto-dello-tsunami-tour-e-falso/

43https://www.opendemocracy.net/jamie-bartlett/beppe-grillos-five-star-revolution

44http://www.secoloditalia.it/2014/05/gli-strani-incontri-di-casaleggio-e-grillo-allambasciata-inglese-con-letta-che-pranzava-al-piano-di-sotto/

45http://www.lastampa.it/2013/04/19/italia/speciali/elezione-presidente-repubblica-2013/grillo-votare-prodi-non-esiste-DWxYl9vvEDtafqaw205gaP/pagina.html

46http://www.ilgiornale.it/news/politica/fassina-accusa-renzi-era-capo-dei-101-che-fecero-fuori-prodi-1085115.html

47http://www.repubblica.it/speciali/politica/elezioni-europee2014/2014/05/26/news/sondaggi_flop_europee-87221057/

48http://espresso.repubblica.it/palazzo/2014/05/26/news/si-scrive-pd-si-legge-dc-1.166704

49http://www.unita.it/politica/elezioni-2014/voto-renzi-vinto-partito-nazione-evento-italia-europa-argine-garanzia-sinistra-grillo-protesta-stato-1.572042

50http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-11-14/istat-pil-01percento-iii-trimestre-04percento-2013-economia-italiana-ai-livelli-2000-100100.shtml?uuid=AB5wcqDC

51http://www.giornalettismo.com/archives/869691/la-primavera-araba-di-beppe-grillo/

52http://www.corriere.it/politica/14_novembre_28/grillo-io-blog-non-bastiamo-piu-nomina-cinque-vice-voto-rete-f65f46e8-76e6-11e4-90d4-0eff89180b47.shtml

53http://www.lastampa.it/2015/06/03/italia/politica/dalimonte-salvini-non-pu-essere-lanti-renzi-e73xzRtvBnEkSZwO11X0jN/pagina.html

54http://www.beppegrillo.it/2012/05/honi_soit_qui_mal_y_pense.html

 

ΣΥΡΊΑ 10.06.2012, di Giuseppe Germinario

ΣΥΡΊΑ

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Non tutti hanno la fortuna di godere delle eteree certezze sull’universo mondo di cui dispone Bernard-Henry Levy, in arte BHL. Le nouveau philosophe, discepolo, ahimè, anche se dozzinale, di Althusser, ha iniziato la sua folgorante carriera nei migliori salotti strappando quella maschera umanistica al marxismo che altrettanti marxisti decadenti, dal cuore cedevole al pari del rigore analitico, hanno appiccicato allo scienziato di Treviri; lo ha fatto, però, per riproporre un suo umanesimo a “la carte”, in barba agli insegnamenti del suo maestro all’Ecole Normale.

La apparente linearità del pensiero “debole” trova spazi accoglienti in quegli ambienti ben disposti a farsi dettare le ultime verità, specie in periodi di facile smarrimento.

BHL, infatti, ormai al crepuscolo in Francia, trova sempre più frequente ospitalità nientedimeno che sul Corriere nostrano, un tempo acerrimo nemico.

Dopo la sua marcia trionfale a Bengasi a sostegno della primavera libica, omaggiata con sguardo ammirato dal “Corrierone” pur con qualche stonatura, eccolo di nuovo a perorare con toni melensi e indignati, sulla stessa testata, il sostegno diretto alla “primavera siriana” sino a rammentare pubblicamente ad Holland il significato della gentile concessione del suo voto e favore all’allora candidato ed attuale presidente di Francia.

Si sa che gli umanisti quanto più si accaniscono con veemenza nel difendere l’ UOMO, tanto più infieriscono e abusano degli uomini in carne ed ossa, per lo più indegni di incarnare il loro idealtipo; poco propensi a mettere a repentaglio la propria vita, bene troppo prezioso per l’umanità e meritevole, per questo, di sicurezza e benevole licenze, quanto più riescono a inveire contro il dittatore reo delle peggiori nefandezze verso la propria gente, tanto più rimangono abbagliati dai proclami di un qualsiasi assembramento di persone le quali il più delle volte proiettano le proprie esigenze di emancipazione su quelle di una massa con ben altri orientamenti e propositi. Rendendosi conto, in corso d’opera, che per fare una rivoluzione non bastano i messaggini di Twitter e Facebook, agli umanisti illuminati non resta altro che fare appello, per il buon esito della causa, all’arrivo poco sportivo ma rassicurante dei “nostri” in groppa a cavalli e draghi d’acciaio e all’azione sul terreno dei peggiori tagliagole per l’occasione investiti alla bell’e meglio di doti e sembianze “umanistiche” e “democratiche”.

Pensavo che la fine tragica di Gheddafi e di suo figlio, l’intera vicenda libica rappresentassero lo zenit di questa rappresentazione e di questi istrioni.

Si è trattato invece di un primo rudimentale esperimento, alla fine riuscito con qualche difficoltà di troppo, ma ancora con tanti aspetti dilettanteschi da regolare, legati alla balordaggine di alcuni protagonisti e gran parte delle comparse, all’improvvisazione di alcune costruzioni mediatiche (vedasi il cimitero di Tripoli spacciato per fossa comune) e alla stonatura  reiterata di alcuni compartecipi dello scenario libico; vedasi la Chiesa Cattolica impersonata dal vescovo Martinelli. La grottesca ritrattazione di quest’ultimo, dopo una lunga catechizzazione in Vaticano, non ha fatto altro che aggiungere la beffa al grottesco e far crollare la credibilità del pastore di anime romano sino alla sua degradazione a cane da guardia del gregge per conto terzi.

La Siria, purtroppo per quel paese e per quel popolo, rischia al contrario di diventare un campo di azione e di battaglia dalle regie meno improvvisate.

Lo scenario si presenta decisamente più complesso e incerto di quello libico, ma con gli schieramenti più definiti.

Gli strateghi del pantano e della destabilizzazione non possono rischiare uno stallo di tipo afghano a pochi mesi dalla probabile rielezione della loro maschera alla Casa Bianca. Non solo; qualcuno tra di essi, all’interno dei servizi e dell’apparato militare statunitense, vorrebbe indurre ad una maggiore cautela nella manipolazione e nella istigazione di forze che potrebbero rivoltarsi in un breve volger di tempo.

Così, anche se in maniera ancora latente, cominciano ad apparire le prime discrepanze con gli oltranzisti dei diritti umani e degli interventi umanitari pronti sempre e comunque a strepitare. Questi ultimi capeggiati dalla Hillary Rodham in Clinton al centro dello schieramento; con i satelliti occidentali, in particolare Francia e Gran Bretagna, ad incitare e fomentare, consapevoli che solo da una acutizzazione progressiva dello scontro con Russia e Cina possono sperare di alzare il prezzo della loro collaborazione e ritagliarsi qualche lembo periferico dell’impero; con le forze ed i paesi presenti nella regione impegnati a ritagliarsi, in competizione tra loro, sfere di influenza locali a spese delle vittime via via designate.

In quest’ultimo anno e mezzo la Libia è stato il bacino di decantazione di queste forze: la Turchia ha sciolto ogni originaria incertezza manifestata all’inizio del conflitto e rivelato il patto di ferro sottoscritto, dopo anni di attriti, tra Erdogan e i militari turchi, sul cui altare sono stati sacrificati i rapporti con la Russia e le buone relazioni con il vicinato, in particolare Siria e Iran e consolidati i rapporti con gli Stati Uniti; la Francia ha cercato, con il suo interventismo eterodiretto e ostentato, di interrompere la continua erosione anche violenta delle sue aree di influenza ad opera soprattutto del suo ingombrante alleato americano, ma anche di Cina e Russia.

Quali siano i risultati di tanto attivismo servile transalpino, li abbiamo visti dalle turlupinature subitanee ricevute in Libia e da quelle che arriveranno dalla destabilizzazione dell’intera Africa Subsahariana a seguito della dissoluzione dello stato libico; i sauditi sono entrati in aperta competizione regionale oltre che con l’avversario storico iraniano, anche con la Turchia islamizzata.

La Siria rischia di diventare il terreno di confronto e di scontro di queste forze, in parte ormai sedimentate le quali hanno comunque trovato nella distruzione degli stati laici e nazionalisti residui il campo di azione comune da occupare per contendersi e accaparrarsi le spoglie.

Si tratta comunque di forze, queste ultime, ancora fragili e precarie all’interno delle loro stesse basi di partenza, che poggiano spesso e volentieri ancora su clan e tribù e con una forza integralista tanto radicale quanto pronta a frantumarsi a contatto con le realtà locali; suscettibili, quindi, di diventare repentinamente, a loro volta, vittime.

Il terreno ideale per i giochi geopolitici spregiudicati delle potenze dominanti. Il discorso di Obama al Cairo, tre anni or sono, con le sue profferte di “dialogo” al mondo islamico, ufficializzò questa strategia, per altro già in corso;  oggi prosegue con qualche cautela da parte di taluni e con spregiudicatezza distruttiva da parte di altri.

Non più tardi di alcuni giorni fa, ancora la Hillary Clinton ha denunciato con veemenza e faccia tosta l’espansione di Al Qaeda nel mondo, dopo aver incoraggiato ed alimentato ancora una volta generosamente le attività dei suoi scherani e tagliagole in Libia e Siria, rilasciando loro entusiasti attestati di democraticità.

Non è certamente l’unica; gli stessi nazionalisti, oggi vittime in Libia, Siria e Algeria, in passato ed alcuni ancora oggi, hanno alimentato e foraggiato le fila di questi militanti apolidi per i più svariati motivi. Ma è certamente la più disinvolta, grazie forse allo sguardo panoramico consentito dal suo punto di vista centrale.

Oltre alle contingenze politiche interne al paese dominante, la situazione di stallo apparente in Siria è determinata da altri tre fattori altrettanto importanti in relazione tra loro e assenti nell’intervento in Libia:

ñ  la resistenza di Cina e Russia all’intervento occidentale e il sostegno diretto dell’Iran al Governo Siriano. Per l’Iran è evidente il rischio diretto che correrebbe con la sconfitta di Assad. Per la Russia il valore simbolico di un cedimento sarebbe enorme, oltre alla perdita della presenza militare residua nel Mediterraneo. Perderebbe ogni residua capacità di conflitto regolato e contrattazione con gli americani e le rimarrebbero le sole carte della remissione e della disperazione

ñ  la relativa solidità e capacità di resistenza del regime di Assad

ñ  la presenza di una parte importante dell’opposizione che, di fronte al rischio di una dissoluzione e una occupazione del paese, ha preferito interrompere le ostilità e tentare un accordo diretto con il regime di Assad piuttosto che diventare uno strumento e la maschera presentabile di forze forcaiole esterne. Una scelta affatto gradita dallo schieramento occidentale non a caso impegnato a coprire le provocazioni terroriste tese a innescare la dinamica repressione indiscriminata, proteste, intervento straniero. Le conseguenze evidenti sono l’incapacità di una opposizione oltranzista più agguerrita ma meno radicata di quella libica di costituire quella testa di ponte necessaria a consentire l’intervento diretto esterno e la creazione di aree franche.

A rendere più trasparente e delineata la situazione in campo in Siria, rispetto alla Libia, è, inoltre, il silenzio assordante della Chiesa Cattolica, conferma evidente di una scelta di campo magari estorta, non ostante la presenza nel paese di una comunità cristiana di oltre due milioni di persone (10% della popolazione) schierata per lo più contro l’interventismo esterno. Del resto, quella comunità, nel corso dei secoli, ha dovuto spesso difendersi più dalle persecuzioni dei correligionari, compresi i crociati, che da quelle dei mussulmani; nelle comunità ristrette la memoria, spesso, rimane più viva che in quelle allargate.

In questo contesto, l’attivismo frenetico dei ribelli sul posto e delle potenze satelliti nel supporto militare e nella propaganda sembrano colpi di mano tesi a forzare una situazione che, dopo la eventuale rielezione di Obama, potrebbe sfuggire di mano agli oltranzisti della strategia del pantano.

L’invito recente di Obama rivolto a Putin, per il tramite di Medvedev, a pazientare, probabilmente non riguardava solo l’ambito del confronto militare strategico, ma anche e soprattutto il contenzioso geopolitico di alcune zone, tra cui la Siria e la definizione dei rapporti economici; uno spiraglio che consentirebbe a Putin di definire, al proprio interno, un compromesso più solido con le forze “sensibili” ai richiami del mondo occidentale.

È probabile che l’epilogo della vicenda comporterà comunque la defenestrazione di Assad, ma lo scenario è tutto da costruire, tanto più che le forze lealiste risultano ancora in grado di ritorcere le intromissioni, fomentando a loro volta le divisioni in Turchia e Libano.

La Siria sta diventando un caso esemplare che consente di intuire e individuare le dinamiche di conflitti, alleanze e influenze tra i vari gruppi strategici in competizione, così come teorizzate dal nostro blog.

Sta rivelando, inoltre, un affinamento significativo della macchina propagandistica.

All’adulazione dozzinale dei rivoltosi libici e all’utilizzo rozzo e sfrontato delle costruzioni mediatiche si sovrappongono un uso più sapiente delle immagini e reportage sulla condizione del paese, sulla modernità delle relazioni sociali cui non corrisponderebbe l’organizzazione clanica del sistema di potere degli Assad; si prefigura una svolta che nel lungo periodo (sic!) porterebbe all’affermazione di una società dei diritti e della cittadinanza; nel lungo periodo, appunto, quasi a premunirsi sulla possibilità di svolte di breve periodo in tutt’altra direzione.

Qualche sforzo cerebrale più significativo rispetto alla macelleria di ogni raziocinio perpetrata durante la guerra a Gheddafi.

Segno che anche l’opinione pubblica è diventata un po’ più esigente e diffidente.

http://www.marianne2.fr/Syrie-pourquoi-la-revolution-n-est-pas-pres-de-s-arreter_a219385.html

http://inshallah.comunita.unita.it/2012/06/05/siria-un-appello-ai-media-italiani/

SIRIAN CONNECTIONS : LA PACE AVANZA IN SEGRETO: ISRAELE TEME I RUSSI E GLI USA LA TURCHIA. di Antonio de Martini

un articolo di Antonio de Martini, uno dei maggiori esperti italiani del mondo arabo e di questioni mediorientali, tratto da il corrieredellacollera.com

Con la ripresa del controllo di Palmira da parte delle truppe lealiste, la situazione, se non fosse tragicamente sanguinosa, giunge al culmine della comicità. L’ennesimo comandante americano in tour assieme ai giornalisti  – Joseph L.Votel,  sembra un sosia del comico Jerry Lewis ed è il capo dell’US central Command – aveva appena dichiarato ai reporter del suo seguito di voler aumentare i mezzi USA in zona per liberare Palmira con una frase cui siamo ormai abituati: ” that’s an option”.L’ha pronunziata con tanta convinzione da indurre l’inviato del New York Times, Michel L. Gordon,  a riferirla virgolettata.

La settimana dopo, le truppe siriane riprendevano Palmira ( Tadmor in arabo) e iniziavano i lavori di sminamento come annunziato dal portavoce del Cremlino Dimitri Peskov.

Nel frattempo, Tom Perry della Reuters da Amman rivelava che sul fronte occidentale ( l’area che va dal confine giordano al Giabal Druso e confina con Israele) la CIA aveva sospeso addestramento , salari ai combattenti e rifornimento di munizioni anche ai ribelli del FSA ( Free Sirian Army), ossia alla fazione più vicina agli USA ed ai suoi interessi.

Sul fronte orientale ( confine Siria-Turchia e costa attorno ad Aleppo) la situazione è al calor bianco.

Dopo la conquista della cittadina di Al Bab, strappata al Daesch grazie a una azione congiunta ribelli del FSA, truppe turche e osservatori USA che hanno fornito appoggio aereo, il fronte unitario si è sfilacciato di fronte al rifiuto turco di accettare che l’YPG ( milizie curde appoggiate da Israele) vengano riforniti ad integrazione degli evidentemente sparuti ribelli del FSA.

Non solo, approfittando della loro presenza  in territorio siriano, i turchi, per bocca del ministro degli esteri  Mevlut Cavusoglu hanno inviato un ultimatum : se entro 48 ore l’YPG non avesse evacuato la città di frontiera di Minbej, avrebbero provveduto le truppe turche.

A questa dichiarazione, ha replicato il Consiglio Militare di Minbej ( che fa parte del FDS, Fronte Democratico Siriano) di aver raggiunto un accordo, mediato dai russi, che le truppe regolari siriane verranno accettate e si interporranno lungo l’intera frontiera vanificando così l’operazione ” Scudo sull’Eufrate” ideata dai turchi e mostrando chiaramente di preferire il regime di Assad piuttosto che una occupazione turco-americana.

La sorpresa è stata totale: che Assad si fidasse dei russi si sapeva da un pezzo. Che i ribelli del FSA ed il loro organo politico FDS preferissero la mediazione russa e la protezione delle truppe siriane a quella NATO rappresentata dai turco-americani, è veramente dura da digerire.

Naturalmente, anche nelle cose illogiche la logica c’é.

La Siria continua a disporre con intelligente parsimonia delle proprie truppe. Ha ripreso Palmira infliggendo un duro colpo ai banditi del Daesch che avevano abbandonato il campo dopo aver minato fino all’inverosimile la zona archeologica. Lo aveva saputo anche il generale americano e voleva fare una bella rentrée in territorio siriano, ma è stato preceduto da Assad.

La interruzione dei rifornimenti ( e degli stipendi) sul fronte nord, è stata ufficialmente attribuita al rifiuto delle varie milizie all’unificazione, ma non è vero. Il fronte nord, come abbiamo visto, è ben più frazionato e addirittura in lotta con le altre milizie che si dicono alternative a Assad.

La realtà è ben più consolante:in tutta la zona frontaliera con Israele le armi devono tacere. La Siria ha annunziato ufficialmente che vuole riconquistare quel territorio ed ha ammonito ( dopo cinque anni di incursioni subite in silenzio) Israele a non interferire.  Ora la Siria ha ripreso Aleppo, svincolando altre truppe ed ha al suo fianco un alleato impegnato militarmente. Ecco un altra area in cui si apre uno spazio di mediazione per la Russia e questa scelta è stata certamente negoziata in segreto.

La chiave per giungere alla pace, per ora,  è a Ginevra , dove l’ HCN ( alto comitato negoziale, legato agli USA) sta sabotando i negoziati di pace con i gruppi di lavoro di Mosca e del Cairo  dove stanno negoziando le sigle della rivolta che sono più in contatto con la Russia.

Resta l’ostacolo reale del fronte nord dove la Turchia non vuole rinunziare a schiacciare i curdi e gli USA che li hanno già abbandonati due volte in Irak, non se la sentono di farlo per la terza volta. Ma è una brutta figura che vale l’alleanza della Turchia.

Altro indizio che la pace sia segretamente in cammino è dato dall OSCH, la strana organizzazione del signor Abdelrahman ( marito della prof del caso Regeni?)che , giunto a cinquecentomila vittime della guerra, ha iniziato a scendere. Ieri era tornato a quattrocentomila. Buon segno.

IL RITORNO DEI NEOCONS, di Gianfranco Campa

Storicamente parlando, durante la prima Guerra Fredda,  anche nei momenti di tensione più palpabili, come per esempio la crisi dei missili a Cuba, da qualche parte, nelle stanze riservate della casa Bianca e del Cremlino, c’era chi si parlava, comunicava, cercava spiragli per risolvere crisi che portavano sempre inevitabilmente a confrontarsi con la possibilità di una Guerra Nucleare. Nell’assurdità del sistema politico attuale, la assillante propaganda Anti-Russa, usata come arma per screditare Trump e qualsiasi nemico del sistema governativo teso al nuovo ordine mondiale, porta a chiederci fino a che punto questi signori sono disposti a spingere la retorica di una nuova Guerra Fredda; confronto che potrebbe sfociare in qualcosa di molto più grave. Servirebbe fermarsi un attimo per ponderare le ripercussioni che potrebbero avere una intensificazione della crisi Nato-Russia.

In questo contesto si impongono un paio di domande fondamentali:

  • cosa ne sarà di una distensione mai veramente cominciata, forse appena solo accennata?
  • Una distensione con la Russia è ancora possible?

Il generale Flynn ha pagato il prezzo di essere stato la figura di spicco, l’attore principale, incaricato da Trump nel provare a tessere quella rete diplomatica che con il supporto di Tillerson avrebbe dovuto portare ad un tavolo di negoziati Trump e Putin.  Flynn ha anche pagato un prezzo caro per la sua lealtà al Presidente e per la dedizione alla missione a lui assegnata nelle sue valenze ed implicazioni più strettamente geopolitiche. Il pesante retaggio di Flynn, arrivato ad inimicarsi negli anni via via la maggior parte degli apparati di governo con le sue dure critiche, prima ad Obama poi all’establishment Repubblicano, colpevole quest’ultimo di non aver  sostenuto Trump durante la campagna elettorale, per proseguire con  la sua aperta disapprovazione della condotta dei vertici dei servizi di intelligence, tra di essi personaggi come James Clapper e John Brennan, ne ha fatto un bersaglio facile. Sarebbe stato troppo costoso, in termini politici, per Trump difendere Flynn. Così il Presidente ha cercato un atterraggio morbido, qualcosa che alleggerisse la pressione e rilanciasse la possibilità di creare un ambiente meno torbido intorno alla sua presidenza.

Ora possiamo ricostruire con quasi certezza gli episodi principali che hanno portato alle sue dimissioni. Tre giorni prima dell’ormai noto “scandalo” delle intercettazioni, Flynn aveva consegnato a Trump un dossier, un documento, da lui stesso redatto, con l’assenso, piu o meno tacito di Tillerson e di pochi altri appartenenti al circolo più stretto di Trump, con il quale si ponevano le basi di un accordo su vasta scala con la Russia. Seguendo la traccia del documento si sarebbe dovuto discutere, in un summit Trump-Putin, dei Balcani, della Siria, dell’Iran e della Cina; soprattutto si sarebbe affrontato la questione dell’Uncraina, punto critico da cui si genera la ragione della maggior resistenza dei Neocons alla svolta politica del Presidente. I contenuti dettagliati del fascicolo sono tuttora sconosciuti e, se devo azzardare una previsione, il dossier probabilmente è sparito per sempre, consegnato agli annali della storia più nascosta e segreta della Repubblica a Stelle e Strisce. Comunque è chiaro che il tempestivo assalto a Flynn tendeva  non solo ad un indebolimento di Trump, ma ad un deragliamento definitivo di qualsiasi accordo con Putin.

Girano voci di corridoio che additano in Reinhold Richard Priebus, meglio conosciuto come “Reince” Priebus, il cecchino di Flynn. Sono solo voci di corridoio, tese ad indebolire un altro fedele di Trump. Insinuando un tradimento di Priebus si colpiscono due piccioni con un solo colpo; far fuori Flynn e Priebus con lo stesso scandalo delle intercettazioni, equivarebbe ad un terno al lotto. Ma io so con certezza che Priebus non c’entra assoluntamente niente con il siluramento di Flynn. C’è invece un altro attore più potente complice del siluramento, perché sodale del vecchio establishement: Mike Pence. Il nostro caro vice presidente, Mike Pence, con il pretesto che Flynn gli avesse mentito riguardo alle sue assicurazioni dello scorso dicembre di non aveva parlato di sanzioni con l’ambasciatore russo, ha fatto pesanti pressioni su Trump perché lo rimuovesse dal suo incarico.

Mike Pence è un sornione, un uomo che trasuda fiducia da tutti i pori con la sua aria di vecchio amico che non ti tradisce mai. Fatto sta che Pence col suo sorriso soave di buon Cristiano e brav’uomo di famiglia è lo strumento che viene usato, naturalmente con il suo pieno consenso, dall’establishement repubblicano per manovrare Trump.

Trump ha cosegnato a Pence le chiavi di molte stanze e concesso una ampia libertà di azione; neanche il vecchio Joe Biden godeva sotto Obama di tale facoltà.

Biden era il cagnolino di Obama, Pence è la serpe che si insinua nel letto e ti colpisce quando vuole.

E` andata piu` o meno così. Pence ha sussurato all’orecchio di Trump la soluzione di tutti i suoi problemi: “fai fuori Flynn, affida la politica estera in mano ad altri, concentrati sulla politica interna, cerca un accordo con l’establishment per poi essere ricompensato con il pieno appoggio di tutto l’apparato repubblicano contro le orde barabariche democratiche.”

Questo però è un gioco pericoloso per Trump; intanto perché non sono convinto che i Repubblicani possano ostacolare i Democratici nella loro offensiva. Sono soprattutto persuaso che non abbiano assolutamente il desiderio di farlo.

Flynn, il fautore di una relazione più stretta fra Russia e USA, lascia il posto ad un altro Generale, H. R. McMaster. Con McMaster la manovra di aggiramento da parte dell’Establishment è completata. Ci sono voluti più o meno quattro mesi di assidui attacchi, di manovre e contromanovre  per far capitolare Trump e far deragliare le sue promesse di una nuova distensione con la Russia sostenute sin dai tempi delle primarie.

Intendiamoci; le credeziali del nuovo National Security Advisor non si discutono.

Il curriculum parla da sè: McMaster, per chi lo non lo conosce è un generale a tre stelle, decorato dalla testa ai piedi, soprattutto per le sue azioni durante la prima Guerra del Golfo, in Iraq. McMaster è anche l’autore di diversi libri; il più famoso riguarda la Guerra in Vietnam, con il quale McMaster critica, non tanto le ragioni della guerra, quanto le tattiche usate e la divisione alimentata con gli argomenti “parrocchiali” di chi altrimenti avrebbe dovuto gestirla strategicamente. Fattori che secondo McMaster hanno contribuito alla disfatta militare .

Il libro è diventato, per un’intera generazione di ufficiali militari, una lettura obbligata.

Ora il Generale McMaster avrà la possibilità di mettere a disposizione della Casa Bianca le proprie conoscenze, anche se McMaster non solo è un uomo di intelligenza superiore ma è anche un personaggio di brutale schiettezza e scorbuticità.

Un carattere duro che gli è costato più volte la promozione, raggiunta poi inevitabilmente grazie alle innegabili capacità.

Resta il fatto che McMaster è stato messo lì per intimidire Trump e portarlo ad abbracciare politiche neocons. Basta osservare che gli arcinemici di Trump, fino al giorno precedente la capitolazione di Flynn, sputavano veleno sul Presidente; ora si trovano ad eloggiare la nomina di McMaster. Il nostro caro McCain in un Twitter ha detto di McMaster: “Lt Gen HR McMaster è una scelta eccellente come consigliere per la sicurezza – uomo d’intelletto genuino, carattere e capacità

 

La disfatta di Trump è sintetizzata dal regista Oliver Stone; in un commento ha detto che:  “Condi Rice e Susan Rice impallidiscono accanto al generale H.R. McMaster, un cane da guerra del Pentagono fino alle midolla. Trump chiaramente sembra ormai sconfitto dal potere delle agenzie di intelligence e dei media. Anche il psicotico John McCain approva con tutto il cuore la nomina di McMaster.”

Il regista Stone è impegnato da oltre un anno nell’arduo compito di comunicare agli americani la pericolosità dell’antagonismo verso la Russia e delle menzogne costruite sull’Ucraina. Lo stesso regista parla di ostruzioni pesanti che arrivano non solo da entità politiche ma anche dall’ipocrita mondo hollywoodiano i quali cercano di ostacolarlo in tutti i mondi nella produzione di un documentario sulle verità ucraine.

Con la dipartita del General Flynn, la speranza di una distensione con la Russia sembra ormai confinata nell’ottimismo quasi illusorio di pochi credenti i quali si abbarbicano a cercare improbabili appigli.

Come ho scritto in precedenza, nutro ancora qualche speranza; soprattutto che Rex Tillerson possa compiere un miracolo e contro tutto e tutti riesca a raggiungere un accordo, anche se minimo con Lavrov. Un accordo che apra la via a negoziati più seri.  Inutile nascondere le difficoltà nelle quali Tillerson dovrà operare.

Tillerson però è un uomo dalle risorse nascoste, che ne fanno un formidabile nemico degli avversari della distensione.

Non ci resta  che seguire le trame che si svilupperano nei prissimi giorni, settimane, mesi.

Una cosa è certa; i Neocons sono tornati, ma forse non erano mai andati via.

Una chiosa di Massimo Morigi a “NATURA MORTA”

Nella “Natura morta (Prima parte)” di Giuseppe Germinario assieme alla esemplare definizione – se mai ce ne fosse ancora bisogno – della natura di parvenu della politica dell’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi e alla descrizione dello spappolamento dello scenario politico italiano che ha consentito che un tal personaggio, unicamente dotato di prontezza ferina di riflessi ma senza alcun spessore umano e politico, abbia potuto arrivare così lontano, emerge anche un dato di fondo che consente anche riflessioni sulla attuale involuzione dei sistemi politici retti dalle cosiddette democrazie rappresentative. E questo dato di fondo è che non solo in Italia, ma in tutti i paesi del perimetro di queste democrazie, quello che è sempre più solarmente evidente – e si cerca di nascondere con tutti i mezzi della propaganda per le masse e della dottrina politica per le classi meno indòtte della popolazione – é che il concetto di politica visto come rappresentanza/rappresentazione dei vari strati e diversificati strati della popolazione non sta letteralmente più in piedi. Non sta in piedi in primo luogo perché si è visto bene che le democrazie non riescono de facto a dare rappresentanza/rappresentazione armonica della società ma solo di coloro che in virtù della loro posizione privilegiata potrebbero benissimo fare a meno di delegare un ceto politico per avere una rappresentanza/rappresentazione parlamentare-teatrale dei loro desiderata e se lo fanno lo fanno solo perché così la realtà vera dei rapporti di forza viene meglio mascherata e, in secondo luogo, non sta nemmeno in piedi dal punto di vista scientifico perché ormai dopo un più che secolare rimbambimento ingenerato dalla scienza politica liberal-liberista dovrebbe, anche al più stolto cultore di scienze politiche e/o filosofico-politiche, risultare del tutto evidente che la politica non è rappresentanza/rappresentazione di qualcos’altro ma non è altro che un episodio del morfogenetico conflitto espressivo della società. Che poi la politica dei paesi nel perimetro liberaldemocratico possa assumere la Gestalt della rappresentanza/rappresentazione politico-teatrale, non contraddice la natura intimamente conflittuale della politica ma non è altro che una sua “astuzia” per coprire questa natura e rendere perciò lo scontro ancora più efficace. Frank Ankersmit con il suo “Political Represention” è il massimo esponente di questa farlocca visione teatrale della politica e Matteo Renzi, pur probabilmente non conoscendone nemmeno l’esistenza, è con la sua postmoderna “narrazione”, senza possibilità di smentita, il massimo interprete della dottrina di questo professore olandese. Ma ciò, come ben sappiamo, non è il problema: il problema non è cioè Renzi ma una politica in Italia e all’estero e, ugualmente, le relative conoscenze teoriche sulla stessa, che sono tutte da rifondare buttando a mare il concetto che la politica sia una specie di rappresentazione di marionette (in effetti, sotto un certo punto di vista lo è, lo è, cioè, per coloro che credono nella visione teatrale della politica), dove quello che conta, in ultima istanza, sono le leggi eterne dell’economia, indiscusse ed indiscutibili (e, in effetti, l’economia riveste un grandissimo ruolo ma non perché questa sia l’espressione di leggi eterne ma perché l’economia non è altro che un episodio, come la politica del resto, dello scontro all’interno fra le classi egemoni e di queste classi egemoni contro le classi sottomesse). Nell’articolo di Germinario viene riferito di un Orlando in cerca anche di nuove categorie di pensiero. Se sia coloro che rimangono dentro il PD in posizione falsamente critica che coloro che ne escono cercheranno, come è sicuro, con un tardo e poco creativo ricalco della visione Ankersmitiana rappresentativo-parlamentar-teatrale, queste categorie in un stupido ed irriflessivo rifiuto delle “narrazioni” renziane (rifiutino, cioè, il postmodernismo narrativo di Renzi per un “sano” ritorno alle vecchie retoriche della sinistra), costoro avrebbero potuto darsi anche meno pena. Se, come invece di tutta evidenza, il loro scopo è stato quello di meglio rappresentare il loro guicciardiniano “particolare” (ottenere una parte più o meno da comprimari nel futuro parlamento-teatro), lo sforzo sarà valso lo sputtanamento di aver combattuto il segretario del partito senza alcun apparentemente valido motivo di fondo. E a questo punto dobbiamo veramente rivalutare Ankersmit e le sue (apparentemente ma anche realmente) svianti elucubrazioni teatrali.
Massimo Morigi – 27 febbraio 2017

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