WALTER BENJAMIN, IPERDECISIONISMO E REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO: LO STATO DI ECCEZIONE IN CUI VIVIAMO È LA REGOLA*, DI MASSIMO MORIGI – Prosegue il dibattito

Prosegue il dibattito su

WALTER BENJAMIN, IPERDECISIONISMO E REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO: LO STATO DI ECCEZIONE IN CUI VIVIAMO È LA REGOLA*, DI MASSIMO MORIGI

Massimo Morigi

« Il cortesissimo ( ed acuto) Fabio Falchi mi cita dove affermo che “lo strumento che permette di unificare nella teoria e nella prassi questi due campi apparentemente distinti è il conflitto dialettico-strategico” e quindi conclude che “Quindi natura e cultura non sono realtà identiche , dato che devono essere unificate (sono cioè realtà distinte non irrelate/separate). L’unificazione è appunto un processo storico (inevitabile a mio avviso). ” Purtroppo questa conclusione, ovviamente solo per quanto riguarda l’interpretazione del mio pensiero, è errata. Quando io parlo di “strumento”, l’affermazione deve essere interpretata dialetticamente, vale a dire che lo strumento interpretativo del conflitto strategico è la chiave che ci permette di interpretare la realtà ma è, al tempo stesso, la struttura della realtà stessa. E che questa debba essere l ‘ “interpretazione autentica” (m viene un po’ da ridere ad impiegare questo linguaggio da leguleo ma Fabio Falchi, la cui indulgenza ed ironia immagino sia pari alla sua giustissima acribia, spero sappia sorriderne) lo si deduce bene dalle parole finali al mio commento alla sua benevola recensione: “In altre parole per il Repubblicanesimo Geopolitico la suddivisione fra natura e storia o fra natura e cultura è totalmente artificiosa e lo strumento che permette di unificare nella teoria e nella prassi questi due campi apparentemente distinti è il conflitto dialettico-strategico. ” Unificare nella teoria e nella prassi significa che come processo astrattamente logico esistono la teoria e la prassi ma che la vera conoscenza e la vera azione si verificano quando riusciamo a superare questa ipostatizzazione logica; vera conoscenza e vera azione esistono, insomma, quando impieghiamo nella teoria come nella prassi il metodo dialettico. E la divisione fra natura e cultura è, a modestissimo giudizio dello scrivente, non altro che il frutto della predetta ipostatizzazione. Vi è, inoltre, un punto fra le intelligenti osservazioni di Fabio Falchi che dovrebbe essere molto approfondito ed è quando si afferma che “anche le formiche si fanno la guerra ma non fanno rivoluzioni o colpi di Stato”. Sinceramente sui colpi di stato della formiche non ho molto da dire ma fra gli animali che hanno raggiunto un maggior livello di evoluzione rivoluzioni e colpi di stato esistono eccome, e esistono pure linguaggi diversi, quindi diverse tradizioni culturali, fra gruppi di animali della stessa specie ma cresciuti in luoghi diversi. Non faccio esempi perché facilmente reperibili e sottolineo questo punto solo per mettere in dubbio le troppo salde certezze fra l’ontologica suddivisione fra natura e cultura e non tanto per controbattere alle pur legittime osservazioni di Falchi in merito all’uomo come animale politico e non, mi si passi il termine, “bellico” (natura bellica dell’uomo, sia detto per inciso, che io non sostengo, io sostengo che l’uomo è un animale “strategico”, e sono sicuro che Falchi, pur probabilmente non condividendola, colga pienamente questa sottile differenza). Infine, chiedo scusa se è parso che io abbia voluto accusare Falchi, siccome sviluppa una linea di pensiero in alcuni punti non conforme alla mia, di avere un atteggiamento da “tabula rasa” rispetto alla tradizione marxiana e marxista. E chiedo scusa non tanto perché tale atteggiamento sia, a mio giudizio, del tutto assente dal suo argomentare ma per il semplice motivo che anch’io mi ci posso ritrovare (tanto per essere chiari: quando, come il sottoscritto, si afferma che la la visione della classe operaia come classe intermodale in grado di originare una palingenesi del sistema capitalistico non è altro una immanentizzazione della soteriologia cristiana, direi che la compagnia di demolizione o gli sgombera cantine stanno bussando alle porte). Il punto è dove sgomberare e demolire e mi auguro che su questo si continui per molto ancora a (dialetticamente) dibattere. Massimo Morigi – 19 marzo 2017 »

 

Fabio Falchi

Io condivido in buona misura quanto sostiene Morigi nella sua ultima risposta, ma occorre fare due brevi precisazioni per capirsi meglio.
1) Il mio esempio riguardo alle formiche non deve essere frainteso. Con questo esempio ho solo voluto segnalare che le formiche sono sì animali sociali che si fanno le guerre tra di loro ma non per questo sono animali politici. Vale adire che il conflitto che davvero conta per comprendere il Politico (a mio giudizio s’intende) è la stasis, la lotta intestina , la guerra civile, piuttosto che la guerra in generale. Non è cioè qui in gioco tanto la differenza tra l’uomo e gli altri animali (ché pure l’uomo è animale, sia pure razionale, simbolico, economico, politico etc.) , ma la questione del rapporto (già evidenziato da Heidegger contro Schmitt) di quello tra l’Essere-insieme e l’Essere-contro che si verifica con la dicotomia amico vs nemico. Quindi anche per me l’uomo è animale politico ma non necessariamente un animale “bellico”. Riguardo infine agli animali più evoluti, risulta anche a me che vi possono essere (ad esempio tra i macachi) dei conflitti che portano ad un rivolgimento sociale e ad un mutamento della gerarchia all’interno del gruppo (non sono un esperto, ma non credo  che si possa parlare di rivoluzioni o di colpi di Stato, anche perché manca lo Stato; comunque sia, anche in questo caso mi pare che il Politico sia più connesso alla stasis che al polemos, che è appunto quello che mi premeva evidenziare).
2) Io non penso ad una natura da una parte e alla cultura da un’altra con il Politico in mezzo , ma fin dall’inizio come dure realtà uni-ficate ma in perpetuo divenire (un processo dialettico quindi, se si preferisce). Pertanto, è forse la nozione di natura che è diversa nel mio discorso, dato che non rimanda alla biologia bensì alla natura intesa “grosso modo” come la intende Aristotele. La natura umana, per lo Stagirita, è una (vi è identità di specie, cioè di “forma sostanziale”) ma si esprime e articola in modi diversi e perfino incompatibili tra di loro.  In base a questa prospettiva allora si può affermare che noi non siamo differenti dai Greci o dagli aborigeni australiani per natura ma per cultura. Nondimeno, non vi è una natura umana disincarnata (un universale astratto) ma sempre, per così dire, avvolta nelle differenze ( ossia è una realtà “particolare” in senso culturale, storico,  politico nonché sotto il profilo individuale/personale). In definitiva, in quest’ottica, il concreto modo di articolarsi della natura umana  non è “dato” (non si sviluppa in base ad una “legge di natura”) nel senso che è un processo  storico e politico (in quanto la natura comunitaria dell’uomo è “aperta”, si può cioè es-primere in modi diversi).
Chiaramente, anche se la mia posizione non coincide con quella difesa da Morigi, sono il primo a riconoscere l’importanza della sua riflessione sul repubblicanesimo geopolitico.

 

TAV, CORRIDOIO V, NATO E USA. DALLA CRITICA DELL’ECONOMIA POLITICA AL CONFLITTO STRATEGICO; DI LUIGI LONGO

un saggio del dicembre 2012 tratto dal sito www.conflittiestrategie.it sulla sussunzione delle scelte di politica economica al gioco delle strategie dei centri potere e come parte integrante delle strategie stesse attraverso la disamina di un esempio concreto di investimento infrastrutturale

 

Carducci non è mai riuscito a valicare i confini della terza Italia e parlare al mondo, il suo sogno umano fu nutrito di provinciali polemiche scolastiche e anticlericali; Lee Masters guardò spietatamente alla << piccola America >> del suo tempo e la giudicò e rappresentò in una formicolante commedia umana dove i vizi e il valore di ciascuno germogliano sul terreno assetato e corrotto di una società la cui involuzione è soltanto il caso più clamoroso e tragico di una generale involuzione di tutto l’Occidente. Per questo le spettrali, dolenti, terribili, sarcastiche voci di Spoon River ci hanno tutti commossi e toccati a fondo. E’ la voce di una società che non pensa più << in universali >>. Disse Lee Masters a un giornalista :<< Ogni due o tre anni ho fino a poco tempo fa riletto tutte le tragedie greche. La civiltà dei Greci fu la grande meraviglia del mondo. Essi pensavano in universali. Così i drammaturghi elisabettiani…

Pensare in universali significa far parte di una società dove non siano, come credono gli sciocchi, aboliti il dolore, l’angoscia spirituale o fisica, la problematicità della vita, ma esistono gli strumenti per condurre una comune concorde lotta contro il dolore, la miseria, la morte. E Lee Masters testimonia con l’Antologia che la società in cui si è trovato a vivere manca di questi strumenti, di questi << universali >> – in altre parole, ch’essa ha perso il senso e la guida dei suoi atti. Di qui le futili e atroci tragedie che hanno riempito il cimitero sulla collina.

Cesare Pavese *

 

Questo lavorio continuo per sceverare l’elemento << internazionale >> e << unitario >> nella realtà nazionale e localistica è in realtà l’azione politica concreta, l’attività sola produttiva di progresso storico. Esso richiede una organica unità tra teoria e pratica, tra ceti intellettuali e masse popolari, tra governanti e governati. Le formule di unità e federazione perdono gran parte del loro significato da questo punto di vista, mentre conservano il loro veleno nella concezione burocratica, per la quale finisce col non esistere unità ma palude stagnante, superficialmente calma e << muta >> e non federazione ma << sacco di patate >>, cioè giustapposizione meccanica di singole << unità >> senza nesso tra loro.

Antonio Gramsci *

 

Sacrificare i dettagli per realizzare disegni più vasti

Proverbio cinese *

 

 

1. Il 3 dicembre 2012 il presidente del Consiglio dei Ministri italiano Mario Monti e il presidente della Repubblica francese Francois Hollande si sono incontrati a Lione  per ribadire, all’interno del trentesimo vertice bilaterale tra i due Paesi, l’importanza strategica della rete infrastrutturale Torino-Lione, più nota come TAV ( fa parte della rete ferroviaria dell’Alta Velocità formata dalla “ grande T ”: le linee da Torino a Venezia e da Milano a Napoli a cui si aggiungerà in seguito la Milano-Genova; oggi è detta “Alta Capacità” ), considerata << un’infrastruttura prioritaria non soltanto per i due Paesi, ma per l’Unione europea nel suo insieme >> (1).

Perché è una infrastruttura prioritaria? E cosa vuol dire l’Unione europea nel suo insieme?.

Leggerò la questione TAV, tratto Torino-Lione, cercando di rispondere alle due domande e proporrò una lettura della TAV tenendo presente l’intero Corridoio V( di cui fa parte), che unisce Lisbona (Portogallo) e Kiev (Ucraina), con particolare attenzione all’Italia e al suo territorio strategico in direzione dell’Est – Europa, del Mediterraneo e del Medio Oriente.

Dirò subito che l’intero Corridoio V non è strategico per l’Unione europea, perché l’Europa non è un soggetto politico unitario, né costituisce un polo di potenza con una propria strategia, quanto per gli USA, via Nato (Organizzazione del trattato dell’Atlantico del Nord), per penetrare ad Est dell’Europa, contrastare le potenze mondiali emergenti (soprattutto Russia e Cina) e ritardare le lagrassiane fasi, multipolare e policentrica, per l’egemonia mondiale ( insieme ad altre acquisizioni di territori per gli obiettivi di lunga strategia di conflitto con i poli di potenza emergenti). Non a caso Zbigniew Brezezinski, con chiarezza imperiale, ritiene che l’area attraversata dai Corridoi I, V e “dei due mari” sia il centro critico della sicurezza europea per: << L’obiettivo strategico fondamentale dell’America in Europa [ che] consiste quindi, molto semplicemente, nel rafforzare, attraverso una più stretta collaborazione transatlantica, la testa di ponte americana sul continente euroasiatico, in modo che un’Europa allargata possa servire a estendere all’Eurasia l’ordine

Fonte: Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Zbigniew Brzezinski (1998).

Mia Sovrapposizione dell’area critica (linea nera) sui corridoi transeuropei programmati sul territorio italiano.

 

democratico e il sistema di cooperazione internazionale >> (2).

 

2.Vediamo cosa sono queste grandi opere.

Per l’ Unione Europea (UE) il Corridoio V fa parte dei dieci corridoi Paneuropei ( nel frattempo sono diventati 30! ) i cui tracciati sono stati definiti nelle conferenze di Creta (1994) ed Helsinki (1997), quindi dopo la caduta del muro di Berlino e l’implosione dell’ex URSS. E’ un asse di trasporto multimodale ovest-est che collega il Portogallo all’Ucraina. Il corridoio è multimodale in quanto interessa strade, ferrovie, porti, aeroporti (3). L’UE ha assegnato all’Italia un ruolo strategico rispetto al processo di integrazione verso quei Paesi che dal 1° maggio 2004 (4) sono entrati a far parte dell’Unione Europea. All’urgente necessità per l’Italia di un collegamento rapido, per merci e passeggeri, coi Paesi dell’Europa centro- orientale, risponde appunto il Corridoio V, che partendo da Lisbona arriva sino a Kiev in Ucraina (5). E’ utile sottolineare che << Nei dieci anni passati la spesa in infrastrutture europee è andata calando, anche perché i singoli Stati sono poco inclini agli investimenti transeuropei. È aumentata invece la regolamentazione per rendere operativo il mercato unico. Lo stesso non potrà tuttavia essere realizzato appieno se mancano interconnessioni infrastrutturali tra Stati, tra centri e periferie della Ue.
Per superare queste barriere le Istituzioni europee hanno predisposto il mega-progetto «Connecting Europe Facility» (Cef) per aumentare ed accelerare gli investimenti nei «Trans-European networks» (Ten) mobilitando finanziamenti pubblici e privati… Nell’ambito del mega-progetto Cef-Ten, che rientra nella Strategia «Europa 2020» e nel bilancio Ue fino al 2020, sono state identificate tre grandi filiere di investimenti infrastrutturali che è bene richiamare…1) energia…2) trasporti…3) telecomunicazioni [(6)]… il Ten-T riguarda soprattutto ferrovie, vie navigabili interne e trasporti marittimi, porti, aeroporti e sistemi di trasporto aereo, nodi urbani. La Ten-T è strutturata in «rete globale» da realizzare entro il 2050 e in «rete centrale» per realizzare entro il 2030 i collegamenti multimodali. I corridoi della rete centrale sono 10 e l’Italia è direttamente interessata da quattro ( tra cui la Torino Lione, mia precisazione) >> (7). Il Vicepresidente della Commissione Siim Kallas, responsabile per i trasporti, ha dichiarato: “Mettendo a disposizione un finanziamento di questa importanza, la Commissione mira a un rilancio competitivo dell’economia europea per sostenere e favorire la crescita. Indirizzando questi fondi verso le infrastrutture TEN-T, contribuiamo inoltre alla realizzazione dell’intera rete TEN-T, offrendo vantaggi concreti ai cittadini e alle imprese che potranno usufruire di un sistema di trasporti più efficiente, sostenibile ed efficace” (8). Il programma di lavoro pluriennale finanzia le priorità della rete TEN-T. Il bando pluriennale del 2012 è incentrato su sei settori ( tra cui quello della rete ferroviaria europea ) per i quali è messo a disposizione un bilancio indicativo totale pari a 1,015 miliardi di euro. Quindi, da una parte, si dà la priorità al finanziamento di determinati investimenti infrastrutturali TEN-T per i Paesi importanti per l’integrazione dei Paesi dell’Est europeo; dall’altra si riducono le risorse finanziarie, così come è chiaramente sostenuto da Perry Anderson: << In tutti i paesi in cui sono state somministrate, le misure tese a restaurare la fiducia dei mercati finanziari nell’affidabilità dei governi locali si sono accompagnate anche alla riduzione delle spese sociali, alla deregolamentazione dei mercati e alla privatizzazione dei beni pubblici: ossia al repertorio neoliberista classico, corredato da un’accresciuta pressione fiscale. Per vincolarli, Berlino e Parigi hanno deciso di imporre l’obbligo del pareggio di bilancio nella costituzione dei diciassette membri della zona euro – una nozione che negli Stati Uniti è da tempo screditata come l’idea fissa di una destra folle >> (9). L’Italia è stata oggetto di entrambe le decisioni, apparentemente europee, ma, nella sostanza, americane. La mancanza di strategia unitaria della UE – i progetti strategici del trasporto multimodale sono una sommatoria dei progetti dei singoli Paesi che rafforzano le economie dei Paesi forti ( Germania in primis) –  favorisce la flessibilità e l’adattabilità delle esigenze di fase della strategia USA ( per i dei Paesi della UE e per la penetrazione dei Paesi euroasiatici ) (10). Tant’è che << Il potenziamento nei trasporti e la creazione di un sistema di rapido dispiegamento, di uomini e mezzi, rende differente la relazione tra basi continentali e basi estere. La facilità e la rapidità di dispiegamento militare rendono infatti le installazioni continentali in grado di fornire una pronta risposta alle crisi locali ed alle necessità di intervento che si verificassero. Il dispiegamento rapido nelle aree di crisi non necessita quindi di una rete di installazioni e di una presenza stabile sul territorio quanto piuttosto di accordi di utilizzo delle installazioni in caso di necessità ed altre facilitazioni. La presenza militare all’estero assume quindi un’importanza soprattutto locale, maggiormente connessa al controllo territoriale ed alla possibilità di influenzare le politiche di difesa dei paesi ospitanti. La presenza militare estera degli Stati Uniti assume quindi un dispiegamento su scala globale, estendendosi a gran parte dei paesi mondiali, ed un’attività a scala macro-regionale, essendo destinata a risolvere problematiche che potrebbero svilupparsi contemporaneamente ed in differenti paesi >> (11)

L’Europa non è ancora la Schicksalsgemeinschaft, quella comunanza di destini della nazione weberiana, che lega governanti e governati in un ordine politico comune, in cui i primi paghino a caro prezzo la loro totale ignoranza dei bisogni esistenziali dei secondi, richiamata da Perry Anderson; né la confederazione di Stati auspicata da Zygmunt Bauman; né, tantomeno l’Unione dei popoli e delle loro tradizioni pensata da Franco Cardini; né quella dell’Unione delle nazioni auspicata da Gianfranco La Grassa; né, infine, il progetto dell’”Idea Europa” ( di tutta l’Europa) di Jacques Sapir (12).

Per l’Italia il progetto preliminare approvato dal CIPE ( deliberazione del 3 agosto 2011) prevede di realizzare l’opera per fasi:prima realizzare il tunnel di base e gli interventi di adeguamento del nodo di Torino e, solo dopo, qualora le dinamiche del traffico dovessero evidenziarne l’effettiva necessità, la tratta in bassa Valle di Susa (Bussoleno-Avigliana).

La FASE 1, il cosiddetto progetto “low cost”, consiste nella realizzazione prioritaria del tunnel di base e delle tratte di connessione alla linea storica esistente a Susa e S. Jean de Maurienne, comprese le due stazioni internazionali; il costo complessivo ammonta a circa 8,2 miliardi di euro, da ripartire tra i due Paesi. Il nuovo accordo conferma anche, come parte della prima fase, la ripartizione dei costi:l’importo delle opere verrà corrisposto per il 42,1% dalla Francia e per il 57,9% dall’Italia. Inoltre l’UE potrebbe erogare un finanziamento fino all’ammontare del 40% del costo complessivo dell’opera che è pari a 8,2 miliardi di euro.

Fonte: Presidenza del Consiglio dei Ministri, 2012.

 

La linea ferroviaria Torino Lione – corridoio est-ovest della “Rete ferroviaria trans-europea” è una componente essenziale del progetto europeo che ha come obiettivo la realizzazione di grandi direttrici ferroviarie che attraversano gli Stati Membri dell’Unione.

La tratta costituisce un investimento strategico per il futuro del nostro Paese in termini di maggior competitività, di abbattimento delle distanze, di prospettive di sviluppo.

L’idea di sviluppo infrastrutturale non riguarda solo gli assi strategici principali, ma anche il sistema di interconnessione con le reti a livello regionale e, soprattutto, con gli interporti e le piattaforme logistiche che sono in grado di generare valore aggiunto dai traffici e non si limitano a gestire i flussi in transito (13).

La posizione e le argomentazioni del governo italiano fanno parte, per dirla con Jacques Sapir, della “letteratura senza vergogna”. Il Governo nulla dice sulle questioni territoriali presenti nel Corridoio V : a) le problematiche diverse tra il Nord Est e il Nord Ovest ( per il nord-est la problematica del passaggio dai distretti industriali ai sistemi locali; per il nord-ovest la riconversione del territorio del triangolo industriale del boom economico ), b) le relazioni del sistema urbano e insediativo delle città in relazione al progetto ESPON (European Statial Planning Observation Network), c) la riorganizzazione dal Nord – Ovest al Nord – Est con una nuova configurazione dell’Italia settentrionale dal resto del Paese, d) lo sviluppo sbilanciato e non bilanciato dei territori che pongono domanda di infrastrutture diverse per la competitività delle imprese nel processo di mondializzazione, e) la mancanza di un briciolo di strategia su quelle che Federico Butera definisce “innovazioni senza sistemi”, eccetera (14).

Quanto fin qui detto è la conseguenza di una Italia che ha perso la propria sovranità e ha ridotto il proprio territorio a uno spazio geografico ad uso e consumo degli agenti strategici pre-dominanti(USA) e sub-dominanti europei ( Inghilterra, Germania, Francia ), annullando il proprio territorio ricco di storia, di cultura, di ricchezze, di intraprese ( in alcune parti della mia regione Puglia non si parla più la lingua italiana ma quella angloamericana! E molte parti di territorio e di città pregiate sono state e vengono vendute ad americani, inglesi, tedeschi. Solo per restare in Puglia!).

L’Italia, come ponte tra la penetrazione a Nord-Est e la proiezione mediterranea verso l’area mediorientale ed il nord Africa, si sta avviando a diventare una nazione “piattaforma militare” degli USA e della Nato.

 

 

3.Gli agenti sub-dominanti europei, con le loro corti di politici, giornalisti e intellettuali e le loro articolazioni in blocchi di potere, ritengono che le grandi opere pubbliche, sopratutto quelle collegate alle infrastrutture multimodali, siano importanti per la costruzione di un piano per la fuoriuscita dell’Europa dalla crisi: una sorta di New Deal americano che fu capace di far uscire il Paese dalla grande crisi del 1929 (15). Come se la grande crisi mondiale del ’29 fosse stata risolta con un bel programma di lavori pubblici o con il finanziamento della spesa pubblica in deficit di bilancio ( sistemata teoricamente post festum da J.M. Keynes nel 1933 con la pubblicazione de “ i mezzi per la prosperità” e nel 1936 con la pubblicazione de “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta”) e non con il conflitto della seconda guerra mondiale quando venne sancito il passaggio dall’egemonia dell’impero inglese a quello americano per il mondo dell’occidente capitalistico << Alla fine del XIX secolo gli Stati uniti presentavano già delle caratteristiche che li rendevano possibili successori della Gran Bretagna. Ma ci vollero più di mezzo secolo, due guerre mondiali e una depressione catastrofica prima che essi sviluppassero le strutture e le idee che, dopo la Seconda guerra mondiale, li misero in grado di assumere veramente l’egemonia >> (16).

Oggi vogliono far credere, gli agenti sub-dominanti di cui sopra, che un ripensamento di un nuovo New Deal “americano-europeo”, proprio di quelle opere pubbliche necessarie alle strategie dei dominanti USA per consolidare la loro “testa di ponte” nello spazio ( non territorio ) sul continente euroasiatico, paragonando erroneamente l’attuale crisi a quella del ’29 (17), sia in grado di risolvere la crisi attuale che è una crisi d’epoca dove l’emergere dei grandi attori strategici mondiali ( in primis Russia e Cina) indicano l’inizio della fase multipolare (di preparazione a quella policentrica) dove la politica sarà sempre accompagnata dalle guerre << La guerra non è dunque solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi >> (18).

Per iniziare a togliere il velo ideologico dell’importanza delle opere pubbliche infrastrutturali per lo sviluppo e l’uscita dalla crisi dell’Europa e dell’Italia, bisogna uscire dal campo della teoria keynesiana, attraversare con passo pensante il campo della critica dell’economia politica per fermarsi nel vivaio del conflitto strategico che permette di disvelare la funzionalità delle infrastrutture, per gli agenti strategici pre-dominanti USA ( attraverso l’egemonia nelle agenzie della governance mondiale utilizzati come luoghi per l’economia, per la finanza, per il consenso e per la forza : G20, ONU, NATO, FMI, BM, WTO, eccetera), per la preparazione della fase multipolare soprattutto in direzione della Russia e del Medio Oriente in particolare di quell’area – chiave che Nicholas J. Spykman (1893-1943) ha definito come Rimland: <<…Il Rimland dell’Eurasia comprende le terre della fascia esterna: l’Europa costiera, i deserti d’Arabia e del Medio Oriente, l’Asia dei Monsoni. E’ uno spazio cerniera tra le potenze di mare e quelle di terra, che può essere attaccato da entrambe ma che, nello stesso tempo, consente di dominarle, dato che rappresenta il teatro di scontro. Il controllo del Rimland può garantire la possibilità di neutralizzare il potere dello Heartland…chi domina il Rimland domina l’Eurasia. Chi domina l’Eurasia ha in mano i destini del mondo. >> (19). E’ un caso l’accelerazione dell’attuale strategia USA nel pacifico asiatico ?.

Paradossalmente, la concezione delle opere pubbliche (tralascio per motivi di spazio e di non rilevanza ai fini del presente scritto la definizione di opera pubblica nelle varie teorie neoclassica, keynesiana, sraffiana e marxiana) nella teoria keynesiana e nella marxiana critica dell’economia politica, convergono nella loro logica economicistica ( anche se quella marxiana, che legge il capitale come un rapporto sociale complessivo della società a modo di produzione capitalistico, è una lettura critica e di cambiamento della società capitalistica) e annebbiano il significato diverso che l’approntamento delle opere pubbliche può assumere in determinati territori, in determinate aree di influenza, in determinate fasi dello sviluppo capitalistico ( soprattutto nella fase multipolare con la nascita delle potenze mondiali ). Occorre togliere la cortina fumogena che nasconde il reale scopo delle strategie politiche – militari – territoriali che diventano prioritarie, nella fase multipolare, per gli attori strategici globali, rispetto a quelle economiche e sociali.

Attraverso il conflitto strategico è possibile destrutturare il rapporto territorio – politica – potere, simboleggiato nelle rappresentazioni geografiche che tendono a raffigurare, e quindi a riprodurre il territorio in modo conforme ai rapporti sociali e di potere esistenti (20), e leggere l’asservimento del territorio italiano ed europeo ai desiderata degli USA, attraverso l’egemonia nelle agenzie della governance mondiale soprattutto quella della Nato, per le sue strategie di dominio in direzione dell’Est Europa, del Mediterraneo e del Medio Oriente.

In estrema sintesi si può sostenere che solo attraverso il conflitto strategico ( soprattutto il ruolo della sfera politico-militare) si può capire l’uso delle infrastrutture del Corridoio V in funzione delle strategie territoriali degli agenti strategici USA. Al contrario, se rimaniamo all’interno della critica dell’economia politica non andiamo oltre la lettura economicistica delle infrastrutture, come capitale fisso sociale, della fase di produzione e riproduzione della società a modo di produzione capitalistico ( il secondo libro de Il Capitale di Karl Marx).

 

 

4.La TAV Torino – Lione è stata oggetto da più di venti anni di: a) studi ( penso all’Università di Venezia, al Politecnico di Milano, al Politecnico di Torino); b) mobilitazione popolare “NO TAV” che ha prodotto inchieste, analisi, saperi popolari; c) apertura di diversi siti web; d) documentazione delle istituzioni locali di area vasta; e) inchieste di denunce del malaffare ( a livello di rete nazionale dei trasporti i primi e gli unici a denunciare e a capire la stortura e il malaffare dell’Alta velocità furono Luigi Preti in qualità di Presidente del PSDI e Nino Andreatta in qualità di ministro della DC); f) scelte errate dei modelli di riferimento europeo [ si è preferito, infatti, il modello francese ( la lobby con capofila la Fiat!) di nuove linee ferroviarie “dedicate”, senza curve o con raggi di curvatura molto ampi per il collegamento veloce tra le aree metropolitane, anzichè quello tedesco e svizzero, più vicino alla struttura del nostro Paese, alla nostra geografia urbana, all’assetto del territorio e alle esigenze della mobilità ]; g) strumenti finanziari ( project financing, project bond) per l’acquisizione delle risorse pubbliche senza nessun rischio per le imprese private con architettura progettuale, finanziaria, contrattuale ed economica strutturata su un grande sfruttamento finanziario delle finanze dello Stato con forti conseguenze sul territorio ( rete ferroviaria, nodi di penetrazioni nelle città, stazioni, eccetera); h) solite cordate di imprenditori che si accaparrano le risorse pubbliche ( i “cotonieri” di Gianfranco La Grassa: da Caltagirone a Lodigiani, da Todini a Ligresti, dalla Lega delle cooperative al capofila Impregilo della Fiat) (21). La TAV è stata studiata da tutti i punti di vista: economia dei trasporti, valutazioni ambientali e strategiche, relazioni territoriali, inquinamento ambientale, dissesto idrogeologico, eccetera.

Non c’è una ragione seria e scientifica perché la TAV Torino – Lione si debba fare!.

Allora, perché la TAV va fatta? Perché si ripete quello che è successo a Sigonella con la costruzione del nodo europeo del sistema di comunicazione globale?; a Vicenza con la costruzione della più grande base USA in Europa (sui terreni dell’ex aeroporto “Dal Molin”), che insieme a quella della Nato di Aviano costituiscono una sorta di hub dell’area mediterranea?; a Taranto dove la situazione si sta indirizzando sempre più verso la trasformazione da polo siderurgico di livello europeo a polo USA-NATO?; a Niscemi ( Caltanisetta) con la costruzione del Muos ( Mobile User Objective System ), un potentissimo sistema di comunicazione militare di ultima generazione messo a punto dal dipartimento della Difesa degli Stati Uniti?; per non parlare della riconsiderazione e del riposizionamento della base di Gaeta e dei comandi USA di Napoli e Taranto. Non è un caso che le basi Nato e Usa in Italia siano oggetto di interventi di elevato valore che corrisponde ad una elevata importanza delle stesse per le strategie USA.(22)

 

 

5.Per capire perché i nostri decisori hanno decretato la realizzazione della TAV Torino – Lione del Corridoio V, in esecuzione delle strategie dei pre-dominanti americani e sub-dominanti europei, occorre situarsi, per quanto detto sopra, nel vivaio del conflitto strategico, per leggere l’insieme del Corridoio V, in particolare, e, in generale, i corridoi europei che sono infrastrutture per lo sviluppo e l’integrazione dell’Unione dei 27 Paesi. In questa fase multipolare, essi nascondono l’uso politico militare degli agenti strategici (23): la penetrazione ad Est per chiudere il cordone militare alla Russia, attraverso il tentativo di fare entrare nella Nato un paese importante come l’Ucraina. << Come è noto, il rafforzamento delle relazioni con gli USA crea continui motivi di conflitto con Mosca, che teme ovviamente la cosiddetta “cintura speciale” degli stati membro della NATO attorno alla Federazione Russa, dall’Ucraina alle Repubbliche Baltiche, al Caucaso, con la chiusura o la riduzione di tutti gli accessi al mare, dal Baltico al Delta del Danubio, fino al Caspio e il problema dei gasdotti >> (24).

 

Fonte: “Limes” 2009.

 

I corridoi trans europei programmati sul territorio italiano ( Corridoi: V, I e dei “due

mari” ) sono al servizio di tutte le basi Nato ed USA. L’innervamento delle basi americane sul territorio italiano, per l’importanza che esso assume nelle strategie di dominio, è la continuazione di quel lungo processo di strategia globale iniziato con la liberazione e l’occupazione dell’Italia nella seconda guerra mondiale, con lo sbarco in Sicilia nell’estate del 1943 (25); allora, in funzione delle strategie contro il comunismo ( quando la Russia era una promessa, la Cina una poesia e il comunismo il paradiso terreste, cantava Giorgio Gaber), oggi, in funzione delle strategie di conflitto contro gli attori globali emergenti ( soprattutto Russia e Cina ) per il dominio mondiale.

Fonte: “Limes” 2007, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

Mia sovrapposizione dei corridoi transeuropei sulle localizzazioni delle basi USA e Nato in Italia.

La carta non è aggiornata soprattutto per quanto riguarda le basi italiane in concessione d’uso agli USA.

 

Il loro approntamento accelera la lenta e costante americanizzazione del territorio italiano ed europeo. Il declino delle città storiche europee ed italiane verso una configurazione di città MEGA (26) comporta una nuova idea di città e di territorio europeo sul modello americano ( penso, per esempio, alle mutazioni che hanno subito le città di Barcellona, Lione, Torino, tanto per rimanere in tema di Corridoio V) che contagia anche le città e i territori dell’Asia ( Cina meridionale in primis) (27) con le loro peculiarità storiche, culturali e sociali ( i capitalismi) che si innervano con gli elementi universali del capitalismo.

Le città e i territori incorporano l’immagine del mondo funzionale all’impero americano e al suo progetto di strategia di dominio mondiale. La politica di potenza americana non è fondata soltanto sulla semplice espansione territoriale, ma è altresì fondata sulla diffusione della visione americana del mondo e si appoggia sull’esportazione e sull’imposizione di modelli esemplari, a partire appunto dal modello più vistoso e imponente, quello urbano ( così come è stato per gli imperi ateniese e romano) (28).

 

 

6.La Nato, dopo la caduta del muro di Berlino e l’implosione dell’ex URSS, è stata ricalibrata per affrontare la nuova strategia USA che, liquidata la breve fase unipolare durata più o meno un decennio, si prepara al lungo conflitto per l’egemonia mondiale contro le nuove potenze emergenti soprattutto Russia e Cina. Essa si trasforma da strumento di difesa contro la minaccia sovietica a strumento di attacco “fuori area” per le strategie egemoniche americane ( la Nato Response Force) e, quindi, le basi devono essere pronte ai diversi impieghi nei possibili teatri di guerra ( azioni flessibili delle basi, possibili con le nuove tecnologie informatiche e satellitari) (29). La Nato è uno strumento di politica estera degli USA. Con la Nato si superano le difficoltà connesse alle installazioni militari ( con il suo ruolo di alleanza politico-militare, volta a proteggere gli stati membri da attacchi esterni, con una maggiore interoperabilità degli strumenti militari, sia tramite lo sviluppo di progetti industriali congiunti che favoriscono le economie di scala, sia tramite la formazione e l’addestramento condivisi); si controlla militarmente e socialmente il territorio (risorse energetiche, attività economiche, alleanze diplomatiche per allargare la sfera di influenza, pressione territoriale); si ottiene la contribuzione finanziaria dei Paesi della Nato che sono importanti nell’affrontare le crisi che affliggono le varie aree del mondo (30); si coordinano le politiche di difesa( le armi nucleari trasformano l’Europa in una realtà macroregionale e gli USA si espandono e si rafforzano curando gli aspetti della sicurezza dei singoli stati); si impedisce la nascita di una organizzazione di difesa autonoma dell’Unione Europea; si attua la prevenzione dei conflitti; si realizza il sostegno alla stabilizzazione, alla ricostruzione post – conflitto, agli interventi umanitari; si applicano le strategie di intervento che integrano la dimensione militare e quella civile, compresa la ricostruzione economica e istituzionale ( istitution – building), per fare ciò la Nato si coordina con l’Unione Europea, l’Onu, l’Ocse e con le altre organizzazioni che intervengono nelle situazioni di crisi [ si pensi alla strategia per reintegrare l’Europa Balcanica con i poli del subsistema adriatico (poli 1, 3, 4), il polo del subsistema danubiano (polo 2), i poli del subsistema balcanico continentale ( poli 5°, 5b, 5c e sistema multipolare), i poli di sviluppo per la sostenibilità economica del fianco meridionale eurobalcanico ( poli 7a, 7b, 7c, 7d )]; si interviene con la militarizzazione delle grandi città (MEGA), a seguito della concentrazione della popolazione che sarà sempre più massiccia ( si calcola che entro l’anno 2020 il 70% della popolazione mondiale vivrà all’interno di zone urbane), per reprimere e controllare le contraddizioni sistemiche più pesanti ( povertà, scontri e tensioni sociali ) (31).

<< L’idea dei corridoi nasce con la caduta del Muro di Berlino per favorire la cooperazione economica fra Europa e i paesi dell’Est e predisporre le basi della loro futura integrazione nell’Unione Europea…i corridoi transeuropei rappresentano l’ossatura portante del disegno [ USA, mia precisazione] geopolitico e di integrazione economica tra l’Europa comunitaria e quella del Sud-Est ( corsivo mio). Infatti i corridoi vengono qualificati oggi come “multimodali”, indicando così che essi non corrispondono semplicemente ad un tracciato ma sono dei connettori globali (corsivo mio) attraverso cui passa il trasporto di merci, di persone, di energia e di sistemi di telecomunicazione. I corridoi multimodali dovranno altresì incentivare la creazione o il potenziamento di poli di sviluppo nelle aree da essi attraversate, al fine di rendere il progetto, nel tempo, economicamente sostenibile >> (32).

La strategia degli USA per l’allargamento della loro sfera di influenza ad Est dell’Europa si articola attraverso un diverso ruolo che la Nato si è dato dopo l’implosione sovietica. La Nato non ricopre più solo il ruolo militare con la militarizzazione territoriale e sociale italiana ed europea, ma anche quello politico ed economico, in “coordinamento” con le agenzie della governance mondiale ad egemonia americana.

Il problema che i corridoi multimodali transeuropei pongono, riguardano soprattutto l’autonomia e l’autodeterminazione delle nazioni (e di una Europa delle nazioni) che sappiano contrastare l’egemonia degli agenti strategici della potenza imperiale americana favorendo la fase multipolare dell’attuale crisi d’epoca.

<< In questo periodo di sventura, quando l’Italia correva incontro alla sua miseria ed era il campo di battaglia delle guerre che i principi stranieri conducevano per impadronirsi dei suoi territori, ed essa forniva i mezzi per le guerre e ne era il prezzo; quando essa affidava la propria difesa all’assassinio, al veleno, al tradimento, o a schiere di gentaglia forestiera sempre costose e rovinose per chi le assoldava, e più spesso anche temibili e pericolose – alcuni dei capi di esse ascesero al rango principesco – ; quando tedeschi, spagnoli, francesi e svizzeri la mettevano a sacco ed erano i gabinetti stranieri a decidere la sorte della nazione ( corsivo mio)…>> (33).

Parafrasando William Shakespeare posso chiedermi:<< che ammasso di immondizie, pattume e rifiuti è l’Italia, se serve da vile materia per illuminare una cosa indegna come i nostri agenti sub-decisori ? >> (34).

 

 

 

 

 

 

 

 

*Le citazioni che ho scelto come epigrafe sono tratte da:

  • Edgard Lee Masters, Antologia di Spoon River, a cura di Fernanda Pivano, Einaudi, Torino, 2009, pag. XLV.
  • Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, Volume III, quaderno 13 (XXX), Einaudi, Torino, 1975, pag. 1635.
  • Pierre Fayard, Vincere senza combattere, Ponte alle Grazie, Milano, 2010, pag. 85.

 

 

 

 

 

 

NOTE

 

1.La dichiarazione congiunta è riportata in Marco Moussanet, Tav, una priorità per noi e per la UE in “Il Sole 24 ORE” del 4/12/2012. A proposito di alta velocità per le merci, riporto una affermazione del Presidente della Camera di Commercio locale di Algeciras, Don Carlos Fenoy, << Alta velocità per le merci? Lei è matto! Il consumo energetico e l’usura dei carri oltre gli 80 chilometri orari aumentano esponenzialmente i costi. E poi i treni veloci e i nodi inadeguati significano intasamenti nell’ultimo chilometro: pensi a una grande autostrada con piccoli caselli >>. La dichiarazione è riportata da Luca Rastrello, Corridoio 5. I fantasmi dell’alta velocità in “La Repubblica” del 28/5/2012. Quelli, che di ferrovie ne capiscono, sanno che chi fa viaggiare le merci con il treno non è interessato alla velocità, ma all’affidabilità e ai costi bassi.

2.Zbigniew Brzezinski, La grande scacchiera, Longanesi, Milano, 1998, pag. 119. Indirettamente Robert Kaplan conferma l’importanza dell’Ucraina per la testa di ponte americana sul continente euroasiatico di Brzezinski, si veda Robert D. Kaplan, Il fattore Russia dell’Europa in www.conflittiestrategie.it, maggio 2012.

3.Per ulteriori approfondimenti riguardanti le diramazioni, le interconnessioni delle reti e dei porti, dei collegamenti con gli altri corridoi europei, le congiunzioni tra i paesi dell’Ovest con i paesi dell’Est dell’ex URSS, si rimanda al sito del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (www.infrastrutturetrasporti.it) e alle varie Decisioni del Parlamento Europeo e del Consiglio in merito agli orientamenti comunitari per lo sviluppo della rete trans europea dei trasporti, nonché al libro verde “Verso una migliore integrazione nella rete trans europea di trasporto al servizio della politica comune dei trasporti” della Commissione delle Comunità Europee ( www.europa.eu) .

4.Dal 1° maggio 2004, dieci nuovi paesi e quasi 75 milioni di abitanti sono entrati a far parte dell’Unione Europea. L’UE a 25 membri costituisce ormai uno spazio politico ed economico di 450 milioni di cittadini e comprende tre ex repubbliche sovietiche (Estonia, Lettonia, Lituania), quattro ex Stati satelliti dell’URSS (Polonia, Repubblica ceca, Ungheria, Slovacchia), un’ex repubblica iugoslava (Slovenia) e due isole del Mediterraneo ( Cipro e Malta) in www.europa.eu .

5.Anna Marino, Il corridoio 5: storia e stato dei lavori in “ Il Sole 24 ORE” del 13/6/2007.

6.Per la definizione delle tre grandi filiere di investimenti infrastrutturali si rimanda a Rete Transeuropea dei Trasporti in www.europa.eu; la Comunicazione della Commissione Europea, Europa 2020. Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, 3/3/2010, in www.europa.eu.

7.Alberto Quadrio Curzio, Investire sulle reti per riunire l’Europa in “Il sole 24 ORE” del 26/9/2012. Per l’elenco dei corridoi della rete centrale si rinvia a List of pre-identified projects on the core network in the field of tran sport in www.europa.eu. Per una sintesi complessiva degli aspetti progettuali e finanziari delle reti transeuropee di trasporto che coinvolgono l’Italia si veda Redazione, Le reti transeuropee di trasporto: il quadro evolutivo europeo in www.mobilityconference.it, 2011.

8.La dichiarazione del Vicepresidente della Commissione Siim Kallas è tratta da Commissione Europa, Infrastrutture di trasporto: la commissione sbocca più di 1,2 miliardi di euro per finanziare progetti essenziali TEN-T in www.europa.eu, novembre 2012-12-20.

9.Perry Anderson, L’Unione europea nella morsa dell’egemonia tedesca in “Le monde diplomatique/il Manifesto”, dicembre 2012, pag.21.

10.E’ opportuno precisare che le infrastrutture e la loro realizzazione necessitano di accordi internazionali stabili e di tempi di costruzione lunghi; la localizzazione delle infrastrutture non risponde quindi re attivamente alle evoluzioni dello scenario globale e della relativa strategia militare.

11.Daniele Paragano, Le basi militari degli Stati Uniti in Europa: posizionamento strategico, percorso localizzativo ed impatto territoriale, dottorato di ricerca in geopolitica, geostrategia e geoeconomia, Università degli Studi di trieste, 2007-2008, pag. 70.

12.Perry Anderson, L’Unione Europea,…op.cit; Zygmunt Bauman, Al bivio tra sopravvivere o disgregarsi. Per questo serve una confederazione, intervista a cura di Paolo Valentini, in “Corriere della sera” del 20/10/2012; Franco Cardini, Europa, la civiltà prima di sacrifici in www.eurasia-rivista.org, aprile 2012; Gianfranco La Grassa, Quanta sopportazione ci vuole in www.conflittiestrategie.it, novembre 2012; Jacques Sapir, Europa: fine della partita? In www.sinistrainrete.info, dicembre 2012.

13.La conferenza stampa di presentazione del progetto e dell’analisi dei costi benefici della Nuova Linea Torino Lione tenuta dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri il 26/4/2012 a Roma. La documentazione completa della conferenza è disponibile sul sito www.governo.it.

14.Per un approfondimento delle tematiche si rimanda a Paolo Perulli e Angelo Pichierri, a cura di, La crisi italiana nel mondo globale. Economia e società del Nord, Einaudi, Torino, 2010.

15.L’Unione Europea è allo sbando. Da una parte si vincolano i singoli Paesi al pareggio di bilancio ( in Italia solo grazie alla chiusura anticipata della legislatura forse non verrà approvata la legge per l’attuazione del pareggio di bilancio da introdurre nella Costituzione ), dall’altra si invita ad un nuovo New Deal ( noto per la sua attuazione in deficit di bilancio) europeo, un programma di opere pubbliche per l’uscita dell’Europa dalla crisi. Per una interpretazione del New Deal americano, delle sue implicazioni nella società capitalistica e della sua sistemazione teorica post festum, si rimanda al bel affresco sintetico ed efficace di Gianfranco La Grassa, Sommarie riflessioni sulla criis. Parte prima: la prospettiva più tradizionale (economicista) in www.conflittiestrategie.it, dicembre 2012.

16.Giovanni Arrighi, Capitalismo e (dis)ordine mondiale, a cura di Giorgio Cesarale e Mario Pianta, Manifestolibri, Roma, 2010, pag.40. Il premio nobel per l’economia Peter North così dichiara << Non siamo usciti dalla depressione grazie alla teoria economica, ne siamo venuti fuori grazie alla Seconda guerra mondiale >> in Peter North, Una nuova economia di guerra, intervista, “Il Sole 24 ORE” del 10/10/2001.

17.Per una analogia, da prendere con le dovute cautele, dell’attuale crisi d’epoca con quella del periodo 1873-1896 ( di lunga stagnazione) si veda Gianfranco La Grassa, Sommarie riflessioni sulla crisi. Parte seconda: un ripensamento complessivo in www.conflittiestrategie.it, dicembre 2012; S. Amin, Il capitalismo entra nella sua fase senile, intervista a cura di Ruben Ramboer, in www.sinistrainrete.info. Per il ruolo del capitale che svolge nell’approntamento delle infrastrutture e nella riorganizzazione delle città a partire dall’ascesa di Napoleone III ( la Parigi del secondo impero) si veda David Harvey, Il capitalismo contro il diritto alla città, Ombre Corte, verona,2012, pp.7-39.

18.Clausewitz, Della guerra, Mondadori, Milano, 2007, pag.38.

19.Per l’egemonia degli USA attraverso le agenzie della governance mondiale si veda Giovanni Arrighi e Beverly J. Silver, Caos e governo del mondo. Come cambiano le egemonie e gli equilibri planetari, Mondadori, Milano, 2003. La citazione di Nicholas J. Spykman è tratta da Elena dell’Agnese, Geografia politica critica, Edizioni Guerini e Associati SpA, Milano, 2005, pag.51.

20.Giuseppe Dematteis, Le metafore della terra. La geografia umana tra mito e scienza, Feltrinelli, Milano, 1986; Franco Farinelli, Geografia. Un’interpretazione ai modelli del mondo, Einaudi, Torino, 2003; Claudio Minca e Luiza Bialasiewicz, Spazio e politica. Riflessioni di geografia critica, Cedam, Padova, 2004.

21.L’elenco delle pubblicazioni è lungo, ne cito solo alcuni per dare il quadro complessivo delle questioni: Virginio Bettini, Tav: i perché del NO, Utet, Torino, 2006; Maria Rosa Vittadini, Rileggendo Zambrini: l’alta velocità e la verifica parlamentare in “ Archivio di Studi urbani e Regionali” n.85-86/2006; Antonio Calafati, Dove sono le ragioni del si, Edizioni SEB, Torino, 2006; Donatella della Porta e Gianni Piazza, Le ragioni del no. Le campagne contro la Tav in Val di Susa e il Ponte dello Stretto, Feltrinelli, Milano, 2008; Mario Cavargna, 150 ragioni contro la Torino Lione in www.informarexresistere.fr ; Ivan Cicconi, Il libro nero dell’alta velocità, edizioni Koinè, Roma, 2011; Ferdinando Imposimato, Corruzione ad alta velocità, Koinè edizioni, Roma, 1999.

22.Mi interessa evidenziare due cose: 1) la partecipazione delle donne nei movimenti popolari ( in special modo quello di “NO Dal Molin”) si è distinta solo per le tematiche oggettive della differenza di genere e non per una soggettività femminile altra dal pensiero maschile su un tema sensibile per la storia del pensiero femminile di qualsiasi orientamento quale la militarizzazione del territorio; si veda Antonella Cunico, Per un’altra città. Storie e percorsi nel movimento NO Dal Molin in Diotima, Potere e politica non sono la stessa cosa, Liguori, Napoli, 2009; 2) le basi Nato sono utilizzate dagli USA, si rimanda all’intervista rilasciata dal prof. Natalino Ronzitti ( ordinario di diritto internazionale alla Luiss “Guido Carli” di Roma) dove viene evidenziata la confusione e l’ambiguità tra basi Nato e basi USA in Natalino Ronzitti, Il ruolo della Nato dopo la caduta del muro di Berlino in www.docenti.luiss.it, febbraio 2009; Natalino Ronzitti, a cura di, Le basi americane in Italia- problemi aperti, Dossier n. 70/2007, Servizio Affari Internazionali del Senato della repubblica, in www.senato.it .

23.Per lo scontro tra le diverse anime delle strategie di potere per la supremazia interna ma compatte nel portare avanti gli interessi complessivi della potenza imperiale USA si rinvia a Robert Kaplan, La classe imperiale americana in www.conflittiestrategie.it, dicembre 2012; Janine Wedel, Shadow Elite, ( l’elite nell’ombra) pubblicato in lingua inglese dalla Basic Group e recensito da Marcello Foa su “il Giornale” del 20/10/2010.

24.Per una introduzione alle politiche USA e Nato, con l’intreccio dei Gruppi Finanziario-Industriali (GFI) ( il gruppo di Kiev, il gruppo di Donetsk e il gruppo di Dnipropetrovsk), nell’Ucraina in Yuliya Rubans’ka e Gianfranco Franz, Geografia del potere e grandi progetti urbani in una città dell’Ucraina in “Archivio di Studi Urbani e Regionali” n.104/2012.

25. E’una peculiarità dell’impero americano, affinata col tempo, la capacità di disordine, di caos, di disaggregazione messa in atto, su scala mondiale, per la sua strategia di dominio ( gli esempi recenti sono eclatanti: Libia, Siria, la cosiddetta primavera araba). Sul territorio italiano – intrecciando mafia, banditismo e nazifascismo – risale alla seconda guerra mondiale, periodo 1943-1947, finalizzato strategicamente al contenimento del blocco URSS, si veda  Giuseppe Casarrubea, Mario J. Cereghino, Lupara nera. La guerra segreta alla democrazia in Italia 1943-1947, Bompiani, Milano, 2009.

26. << Il progetto ESPON ( European Spatial Planning Observation Network) individua nel Nord Italia quattro città cosiddette MEGA ( Metropolitan European Growth Areas), fra le sei presenti in Italia: Milano, denominata “motore europeo”; Torino, area “forte”; Bologna, MEGA “potenziale”; e Genova, MEGA “debole”. Sulla carta delle città europee, esse contribuiscono a configurare l’asse centrale storico dell’urbanizzazione europea, la cosiddetta “banana blu”, che va dalla Pianura Padana centrale ai Paesi Bassi fino a Londra. In un secondo ordine, sono individuate dieci città denominate “ Aree urbane funzionali a carattere transnazionale e nazionale”: Bergamo, Brescia, Verona, Trento, Padova, Venezia, Udine, Trieste, Parma e La Spezia. Queste città, accostate alla forte densità di aree urbane di terzo ordine, dette Aree Urbane Funzionali Regionali e Locali, trasmettono comunque un messaggio di forte strutturazione urbana della macroregione del Nord. >> in Roberto Camagni e Nicola Francesco Dotti, Il sistema urbano in Paolo Perulli e Angelo Pichierri, La crisi italiana…op.cit., pp. 41-42.

27.Per esempio si veda Richard Walker e Daniel Buck, La via cinese in Giovanna Vertova, a cura di, Lo spazio del capitale. La riscoperta della dimensione geografica nel marxismo contemporaneo, Editori Riuniti, Roma, 2009, pp. 255-295; Paolo Perulli, La città. La società europea nello spazio globale, Mondadori, Milano, 2007.

28.Lewis Mumford, La città nella storia, Bompiani, Milano, 1997, Volume primo.

29.Istituto Affari Internazionali, La Nato e la difesa europea: sviluppi recenti, scenari e ruolo dell’Italia, a cura di Riccardo Alcaro et alii, aprile 2009, Senato della Repubblica-Camera dei Deputati in www.senato.it. ; Samir Amin, Fermare la Nato. Guerra nei Balcani e globalizzazione, Edizioni Punto Rosso, Milano, 1999.

30.Si sottolinea che gli USA nel 2010 risultano essere il paese che ha investito maggiori risorse nelle proprie Forze Armate, allocando 698 miliardi di dollari, apri al 43% delle spese militari complessive a livello mondiale. Nel secolo nuovo Cina, Gran Bretagna e Francia hanno mantenuto i propri valori pressoché costanti al 2% del PIL, gli Stati Uniti ( e la Russia) hanno rapidamente incrementato le proprie spese, fino a superare il 4% del PIL. Per approfondimenti si rimanda a Andrea Locatelli, Le risorse militari dell’egemonia americana, ISPI-Analysis, gennaio 2012, in www.ispionline.i ; Giuseppe Belardetti, Le ambizioni strategiche della Nato dopo il vertice di Chicago, ISPI-Commentary, giugno 2012 in www.ispionline.it .

31.Sulle nuove competenze della Nato si rinvia a Servizi Affari Internazionali e Servizi Rapporti Internazionali, Il vertice Nato di Chicago, 20-21 maggio 2012, Senato della Repubblica e Camera dei Deputati in www.senato.it; Daniele Paragano, Le basi militari…,op.cit.; Manlio Dinucci, Geopolitica di una “ guerra globale” in AaVv, Escalation. Anatomia della guerra infinita, Derive Approdi, 2005, pp.11-112; Adriaticus, Italia – Europa – Usa: la grande partita della ricostruzione in “Limes” n.2/1999; Adriaticus, La strategia dei poli per reintegrare l’Europa balcanica in “Limes” n.4/1999; Alfonso Desiderio, Paghiamo con le basi la nostra sicurezza in “Limes” n.4/1999; RTO( Organizzazione per la Ricerca e la Tecnologia della Nato), Rapporto Nato Operazioni Urbane 2020 in www.rta.nato.int .

32.Adriaticus, Italia – Europa – Usa…op.cit.,pp.57.58.

33.George W.F. Hegel, Il “Principe” di Macchiavelli e l’Italia in Niccolò Macchiavelli,, Il Principe, a cura di Ugo Dotti, Feltrinelli, Milano, 2011, pp.246-247.

34.William Shakespeare, Giulio Cesare, Mondadori, Milano, 2009.

Repubblicanesimo Geopolitico. 3a parte Alcune Delucidazioni Preliminari Di Massimo Morigi

Se però l’analisi del potere di Hannah Arendt risulta essere assolutamente realistica (il potere non è il male ma è la benzina della società), la filosofa politica ebrea tedesca naturalizzata statunitense non fu altrettanto puntuale nell’analizzare le problematiche del potere relative alla moderne democrazie rappresentative, in quanto il suo punto di riferimento della polis greca se assolutamente illuminante per quanto riguarda l’analisi fenomenologica del potere, non è assolutamente proponibile come modello per le moderne società industriali (e la Arendt ne era assolutamente consapevole) e la sua mitizzazione della rivoluzione americana – con l’idea di una riproposizione come futuro soggetto politico, mutatis mutantis, delle piccole comunità americane di origine che erano state alla base della voglia di libertà e laboratorio politico della rivoluzione e delle prime forme di democrazia del nuovo continente –, se ancora fondamentale per capire le dinamiche dominio-potere-libertà risulta ancora una volta improponibile come reale modello alternativo alla democrazia rappresentativa. Arrivo quindi rapidamente alla conclusione intorno alla domanda di cosa sia il Repubblicanesimo Geopolitico. Il Repubblicanesimo Geopolitico intende riempire questa lacuna nella consapevolezza molto elementare ma fondamentale che la partita della libertà non si gioca né in astratti enunciati (libertà come non interferenza di matrice liberale o libertà come non dominio del (neo)repubblicanesimo) ma nei concreti rapporti di forza (e quindi nei concreti spazi di libertà) che si sviluppano all’interno della società. Con questa enfasi sui rapporti di forza fra le classi, sembrerebbe però essere dalle parti di una riedizione del
marxismo vecchia maniera. Errore e per due semplici motivi. Primo perché nel Repubblicanesimo Geopolitico l’accento è messo sul potere come energia generatrice di libertà mentre il marximo classico vuole una società dove i rapporti di forza siano estinti (fine della storia, estinzione dello stato). Secondo perché se per il marximo l’agente generatore di una società più libera è il proletariato, per il Repubblicanesimo Geopolitico l’agente per una maggiore libertà sono proprio quelle forze ed energie (quindi anche il proletariato ma pure le forze che vi si contrappongono) che scontrandosi originano una dialettica del potere che è alla base per un concreto e non astratto ampliamento della sfera della libertà (sottolineo che questa della conflittualità come origine della libertà e/o della forza di una comunità politica non è certo molto originale discendendo direttamente da Machiavelli e dalla sua spiegazione della forza militare degli antichi romani, la quale, secondo il Segretario fiorentino, discendeva direttamente dalla lotta fra patrizi e plebei che trovava una sua valvola di sfogo nella espansione territoriale di Roma). E queste forze ed energie per il Repubblicanesimo Geopolitico possono trovare la loro piena espressione solo a condizione che il quadro geopolitico in cui questa comunità vive la sua esperienza storica sia favorevole a che questa comunità possa irrobustire la sua identità e, di conseguenza, progettare e lottare per sempre maggiori spazi di libertà. Dove Mazzini parlava di una missione dell’Italia una volta che fosse stata riunificata geograficamente e spiritualmente, sarebbe assai singolare non vedere in queste parole la consapevolezza che una nazione non può vivere – e quindi essere libera – senza che abbia un’idea della sua collocazione fra le altre comunità politiche del mondo, senza che possa disporre di un suo Lebensraum, non solo geografico e materiale ma anche culturale e spirituale (quello di Lebensraum, cioè spazio vitale, è un concetto che venne coniato da Friedrich Ratzel e sviluppato dalla geopolitica tedesca e per questo ha subito una sorta di damnatio memoriae. Ora il fatto che il nazismo abbia sviluppato una sua
versione criminale del Lebensraum non significa che questo concetto non sia fondamentale per la geopolitica e quindi per il Repubblicanesimo Geopolitico, tanto che il Repubblicanesimo Geopolitico potrebbe anche essere chiamato Lebensraum repubblicanesimo se non fosse per il fatto che il concetto di Lebensraum è ancor oggi appaiato all’imperialismo guglielmino e al male assoluto del nazismo e – per ironia della storia, se pur rifiutato dalle accademie politologiche e filosofico-politiche del secondo dopoguerra – impiegato come strumento di analisi fondamentale per dirigere l’azione geopolitica delle potenze vincitrici del secondo conflitto mondiale. Il Repubblicanesimo Geopolitico, invece, intende impiegarlo per i suoi scopi di libertà). Quando Mazzini criticava Marx questo non avveniva per una sorta di cecità nei confronti delle condizioni della classe operaia ma avveniva nella consapevolezza che la dinamica dello scontro delle classi sociali – e quindi della libertà – non poteva essere compressa nelle formulette che si riassumevano nella credenza parareligiosa della classe operaia come “classe intermodale” e quindi come unico agente per la trasformazione rivoluzionaria della società. Mazzini fu sempre accusato di misticismo. In realtà non era affatto un mistico ma, piuttosto, un dialettico che era consapevole che la partita della libertà poteva essere vinta solo con una generale crescita culturale (e quindi politica) di tutta la società. Quando Mazzini preconizzava l’edificazione per la sua nuova Italia di “scuole, scuole, scuole”, non designava per sé il ruolo di futuro ministro della pubblica istruzione ma era semplicemente consapevole che la libertà italiana doveva passare attraverso l’innalzamento culturale del popolo. Oggi questa dimensione culturale è entrata a pieno vigore nel lessico della geopolitica e si chiama noopolitik, quella noopolitik che presa molto sul serio dal Celeste Impero, rischia di qui a pochi anni, assieme ai suoi fattori di eccellenza economica, di rendere la Cina la prima superpotenza a dispetto degli standard terribilmente mediocri, almeno se comparati a quelli delle cosiddette
democrazie rappresentative occidentali, nel campo dei diritti politici. Ora, senza voler ripercorrere tutti quegli autori e personaggi storici in cui il momento geopolitico fu fondamentale (Garibaldi fu un geopolitico “pratico”, il nazionalismo italiano ebbe una sua versione di destra tipicamente autoritaria mentre la matrice democratica del nazionalismo è impensabile senza considerare il Maestro di Genova, l’interventismo democratico era mazzinianamente animato da una profonda, anche se rudimentale, consapevolezza repubblicana e geopolitica che la libertà del nuovo Stato – e quindi dei suoi cittadini – non era al sicuro senza la demolizione degli Imperi centrali, l’impresa fiumana ben lungi dall’essere stata uno stolto rigurgito del peggior nazionalismo come da certa stereotipata storiografia, diede voce – ed azione – alla consapevolezza geopolitica di matrice mazziniana diffusa fra gli strati più umili della popolazione – ma non per questo non certo politicamente meno avvertiti –, che l’astratto wilsonismo era un attentato non solo contro la potenza di una nazione, l’Italia, che aveva vinto la guerra ma anche contro la sua libertà nel consesso delle nazioni e, quindi, al suo interno, anche contro il suo sviluppo in una società sempre più libera. E quanto fossero avanzate le concezioni politiche e sociali dei “fiumani” guidati da D’Annunzio, volentieri si rimanda alla misconosciuta Carta del Carnaro), la tragedia dell’Italia attuale è che la sconfitta nel secondo conflitto mondiale, assieme alla giusta ridicolizzazione del fascismo, trascinò nel disastro anche quel Repubblicanesimo Geopolitico che era stato una delle componenti fondamenti del suo Risorgimento e della sua riunificazione e che aveva ben compreso che la libertà non poteva essere scissa dalla sua componente spaziale-geografica (2). Rimane da rispondere al quesito posto da Roberto Stefanini sulla rappresentazione della situazione che si fa il Repubblicanesimo Geopolitico. Se per rappresentazione della situazione s’intende il quadro delle relazioni internazionali, il Repubblicanesimo Geopolitico sente una profonda affinità, e prende robusti spunti oltre che dai già
citati padri della geopolitica, dalla dottrina delle relazioni internazionali che oggigiorno va sotto il nome di costruttivismo e che ha per caposcuola Alexander Wendt. Famoso il titolo del saggio di Alexander Wendt Anarchy is What States make of it, e cioè che l’anarchia del sistema internazionale non è una meccanica legge di natura ma dipende dalle scelte, a loro volta influenzate dalla storia e dalla cultura, che le singole nazioni compiono di volta in volta. Il costruttivismo, insomma, sottolinea l’importanza dei cosiddetti dati “sovrastrutturali” e volitivi nel determinare la dinamica del sistema internazionale. Da questo punto di vista, il Repubblicanesimo Geopolitico è completamente d’accordo col costruttivismo ma con una piccola rivendicazione, non per sé stesso – ci mancherebbe – ma per chi prima ancora del costruttivismo e con feroce volontà attuativa pensò in questi termini: il solito Giuseppe Mazzini. Se per rappresentazione della situazione si intende, invece, il giudizio sullo stato di salute della democrazia in Italia e nelle altre cosiddette democrazie rappresentative, il giudizio è già stato espresso in altri interventi sul “Corriere della Collera” ma, in estrema sintesi, si riassume nella conclusione che quello che i media – ed anche un pensiero politico asservito a necessità che con la ricerca della verità e dell’espansione della libertà hanno poco a che spartire – oggi chiamano democrazia non è altro che un regime ove le oligarchie finanziarie sostengono e foraggiano un teatrino dove ancora si consente di scegliere attraverso formalmente libere elezioni la rappresentanza politica ma in cui questa rappresentanza politica è totalmente irresponsabile rispetto al suo elettorato ed è spogliata, de facto, di qualsiasi potere decisionale (questo teatrino del potere e della falsa libertà politica è comune a tutte le cosiddette democrazie rappresentative occidentali. Proseguendo con l’immagine, possiamo dire che, allo stato attuale, la democrazia è una recita fatta dai politici su un palco gentilmente fornito dalle oligarchie finanziarie. In Italia poi, per non farci mancare niente, gli attori sono pure degli scadenti
guitti). Questo giudizio, peraltro, non è proprio un’esclusività del Repubblicanesimo Geopolitico ma è condiviso anche dalla parte meno corrotta dell’attuale mainstream della scienza politica (Colin Crouch, Robert Dahl tanto per citare qualche autore). Al contrario però di coloro che vedono la postdemocrazia e/o la poliarchia come un destino inevitabile per le democrazie rappresentative occidentali, il Repubblicanesimo Geopolitico non si rassegna all’avvizzimento della democrazia per il semplice motivo che se gli uomini per pigrizia possono essere sordi sulla loro libertà, la storia è un’ottima sveglia e che, se inascoltata, può portare a traumatici e tragici risvegli. È la storia del nostro paese che è tutto un susseguirsi di momenti alti e di altri di tragica miseria. È persino inutile dire in quale momento il Repubblicanesimo Geopolitico ambisca a collocarsi. Sembrerebbe, è vero, una missione impossibile, per non dire connotata da un’assoluta ed insopportabile hubris. Se il Repubblicanesimo Geopolitico fosse una semplice nuova elaborazione di scuola sui temi (neo)repubblicani ciò sarebbe assolutamente vero. Ma ovviamente la pretesa – o meglio la speranza – del Repubblicanesimo Geopolitico non è di essere la solita accademica variazione sul tema (neo)repubblicano ma modestamente, anche se con molto orgoglio, è di non essere altro che l’ennesima espressione di quel moto profondo che nasce dal cuore della nostra storia e civiltà e che si riassume nella ricerca di una sempre maggiore espansione della libertà. Ora e sempre.
Ravenna-Coimbra, 26 novembre 2013

NOTE
(1) In questa risposta [sul “Corriere della Collera”] sul Repubblicanesimo Geopolitico ho originariamente omesso qualsiasi citazione dei vari Nozik, Friedrich von Hayek, Dworkin
e Rothbard come autori di riferimento in merito al canone liberale. La ragione è molto semplice. Tutti questi autori, chi più da “sinistra” chi più da “destra”, ci restituiscono un’immagine talmente caricaturale del liberalismo – e talmente priva di qualsiasi riferimento alla nozione di “conflitto strategico” (concetto coniato da Gianfranco La Grassa nell’ambito del suo fondamentale rinnovamento del marxismo e dell’interpretazione del filosofo di Treviri ma il cui campo semantico rimanda direttamente a Machiavelli) – che da parte di un pensiero, come il Repubblicanesimo Geopolitico, che intende seriamente e radicalmente superare il pensiero liberale è consigliabile, almeno in sede divulgativa come può essere quella di un blog, piuttosto che lasciarsi andare a facili, scontate – seppur giustificate – ironie, lasciar perdere ed ignorarli del tutto. Insomma, i lettori dei blog politici (o, meglio, tutti coloro che vogliono costruirsi una vera cultura politica e comprendere quindi anche la grandezza, seppur da superare, del liberalismo) se vogliono “perdere” tempo, affrontino Tucidide, Machiavelli, Hobbes, Adam Smith, Ricardo, Carl von Clausewitz, Hegel, Marx, Mazzini, Mosca, Pareto, Benjamin Constant, Alexis de Tocqueville, Carl Schmitt, Sorel, Lenin, Antonio Gramsci, Hannah Arendt, Friedrich List, Schumpeter, John Maynard Keynes, per finire con i padri della geopolitica Alfred Thayer Mahan, Halford John Mackinder e Friedrich Ratzel piuttosto che i moderni pedestri, feticistici ed irrealistici propagandisti nominati sopra di un liberalismo visto come una sorta di sistema eterno, immutabile e al di sopra della storia (e di un individuo come una sorta di onnipotente Robinson sociale), servi sciocchi di quegli agenti strategici, che coperti dalle enunciazioni ideologiche (un tempo socialiste e liberali oggi solo liberali) ad usum della manipolazione del consenso hanno inteso le varie organizzazioni socioeconomiche in cui venivano ad operare (socialiste e liberaldemocratiche e oggi solo liberaldemocratiche) come il campo di battaglia sul quale scontrarsi per ottenere la supremazia. Agenti strategici che,
insomma, da veri propri leviatani hobbessiani hanno fatto sempre un sol boccone, strumentalizzandoli e trattandoli come carne da cannone, dei vari Robison sociali del liberalismo e dei vari Stakanov del socialismo reale. È inutile aggiungere che il Repubblicanesimo Geopolitico sia dal punta di vista conoscitivo che da quello politico è unicamente inteso a far uscire dal loro “stato di minorità” questi illusi Robinson liberali e i tuttora persistenti – e perdenti – cultori del fu Stakanov del defunto socialismo reale.
(2) Fondamentale per comprendere sul piano teorico questa dialettica spazio/libertà, Democratic Ideals and Reality. A Study in the Politics of Reconstruction, London, 1919 di Halford Mackinder, il fondatore accanto a Thayer Mahan della geopolitica, e al quale si deve la comprensione che la democrazia è nata e si sviluppata grazie all’insularità della Gran Bretagna e che quindi il wilsonismo – oggi si direbbe l’esportazione della democrazia – era un assoluto non senso,

Repubblicanesimo Geopolitico. 2a parte Alcune Delucidazioni Preliminari Di Massimo Morigi

Repubblicanesimo Geopolitico. 2a parte  Alcune Delucidazioni Preliminari Di Massimo Morigi

Rispondo molto volentieri, ringraziandolo per l’interesse mostrato, alle assai opportune domande di Roberto Stefanini sul Repubblicanesimo Geopolitico e ringrazio pure “Il Corriere della Collera” per dare spazio ed ospitalità alle seguenti opinioni ed analisi, ovviamente ascrivibili unicamente allo scrivente e non interpretabili come una sorta di sua linea editoriale ma che si ha fiducia che, almeno nello spirito, possano essere condivise dal blog e dai suoi cortesi ed attenti lettori. Senza scendere troppo nel dettaglio sugli autori e le fonti, attualmente, in contrapposizione ad una visione liberale della democrazia, che intravvede la libertà come non interferenza (e cioè che si sarebbe tanto più liberi quanto più la legge positiva non vieta di fare questo o quello), si contrappone, fra le altre, una corrente di pensiero che viene definita repubblicana o neorepubblicana (fra le altre, perché il repubblicanesimo o neorepubblicanesimo, nell’ambito delle dottrine che ambiscono a sostituire il liberalismo come ideologia guida, non è l’unica possibilità messa in campo dalla filosofia politica: abbiamo, per esempio, il pensiero comunitario (1) – cfr. Michael Sandel, Alasdair MacIntyre –, che indica come soluzione al deficit democratico un maggiore legame dell’individuo con la sua comunità di riferimento e che, da alcuni, per la sua critica alla versione liberaldemocratica della democrazia, viene avvicinato al repubblicanesimo, per non parlare dei vari marxismi più o meno neo che siano). Ora il (neo)repubblicanesimo, in contrapposizione ad una interpretazione liberale della libertà intesa come non interferenza, avanza un’idea della libertà intesa come non dominio (cfr., in particolare, Philip Pettit e Quentin Skinner), e cioè si è veramente liberi non solo quando la legge positiva interferisce il meno possibile con le scelte dell’individuo ma anche – e soprattutto – quando il contesto politico ed economico della società non consente che fra individuo ed individuo s’instaurino relazioni di dominio. L’esempio classico per illustrare la situazione di dominio è il rapporto servo/padrone di Hegel, dove il servo è sì legalmente libero di prendere decisioni in contrasto col suo padrone ma dove questo comportamento è, de facto, reso impossibile dalla disparità di forze fra questi due attori (per Hegel il rapporto servo/padrone aveva poi una sua evoluzione sempre più indispensabile al padrone, alla fine “padroneggiava” il padrone stesso; il (neo)repubblicanesimo meno dialettico e più “politically correct” vorrebbe, non si sa bene come, l’abolizione, ex abrupto – e bypassando del tutto la dinamica sociale delle scontro fra classi e della nascita da questa dialettica di nuove ed inedite classi – di questo rapporto). Quindi fra servo e padrone si instaura un rapporto di dominio e, giustamente secondo il (neo)repubblicanesimo, questo rapporto è una metafora di quanto avviene oggi nelle nostre moderne società rette politicamente da varie forme di democrazia rappresentativa. Per il (neo)repubblicanesimo è necessario, allora, per la costruzione di una società più democratica, affiancare alla non interferenza di matrice liberale anche una visione della libertà intesa come non dominio, una situazione quindi dove il comportamento del servo non sia condizionato dal maggior potere del padrone. Da ciò emerge un (neo)repubblicanesimo totalmente condivisibile a livello di etica pubblica ma, però, totalmente embrionale e a livello di elaborazione teorica e a livello di proposte di politiche pubbliche. Veniamo prima alle politiche pubbliche avanzate dal (neo)repubblicanesimo. Per quanto riguarda questo aspetto del (neo)repubblicanesimo, ci troviamo di fronte alla assoluta fumosità dei suggerimenti, fumosità il cui autentico “crampo del pensiero” è rappresentato dal fatto che l’analisi dei problemi politico-istituzionali delle società liberaldemocratiche non è mai affiancata ad una analisi delle classi socio-economiche che in queste società operano, dimodoché il (neo)repubblicanesimo stenta moltissimo ad individuare i reali rapporti di forza e/o di potere che operano all’interno di queste società, una dimenticanza di non piccolo momento per una dottrina che vorrebbe instaurare rapporti di non dominio all’interno delle democrazie rappresentative. Se questo è un problema del (neo)repubblicanesimo per quanta riguarda le politiche pubbliche (un problema che, comunque, potrebbe apparentemente essere risolto nella prassi con versioni più a “sinistra” e più redistributive della dottrina), è a livello teorico che troviamo il grande problema del (neo)repubblicanesimo, grande problema che sta proprio nella visione della libertà come non dominio, una visione, cioè, dove il potere (dominio) è visto come una cosa in sé cattiva e da contrastare il più possibile, una specie di pulsione da reprimere e da cacciare il più possibile nell’inconscio della vita politica, mentre il problema del potere non è tanto quello di rimuoverlo o di esorcizzarlo come una specie di peccato originale (una società ispirata al principio del non dominio altro non è che la realizzazione di questa rimozione) ma bensì un suo incremento e sempre maggiore condivisione di quote crescenti dello stesso fra tutti i membri della società. Se quindi la bandiera del (neo)repubblicanesimo è il non dominio, il Repubblicanesimo Geopolitico esprimendosi in termini simmetricamente contrari parla di dominio diffuso e/o diffusivo come condizione indispensabile per lo sviluppo della libertà. Per esprimersi ancora con maggior sintesi e ad uso di un facile promemoria: l’obiettivo del Repubblicanesimo Geopolitico è il Dominio Repubblicano Diffusivo, in inglese Republican Diffusive Domination (RDD se si preferisce l’impiego dell’acronimo o la Republican Increased Common Domination, RICD, Aumentato dominio comune repubblicano, usando un’altra locuzione semanticamente equivalente ed il suo rispettivo acronimo). Questa analisi sul potere come cosa in sé tutt’altro che malvagia, non proviene da autori autoritari, antidemocratici e/o fascisti ma discende direttamente dal pensiero di Hannah Arendt, per la quale, appunto, il potere non andava esorcizzato ma era lo strumento principale attraverso il quale sia la comunità politica che il singolo individuo potevano tendere alla realizzazione di una Vita Activa, quella Vita Activa la cui entelechia era la realizzazione di una immortale gloria terrena attraverso l’incremento della libertà/potere di ogni singolo individuo che, proprio in virtù di questa sua sempre più espansiva ed accresciuta capacità esistenziale, avrebbe potuto aspirare per sé e per la sua comunità ad obiettivi di tale esemplarità e bellezza da risultare immortali (tali da “vincere di mille secoli il silenzio”, cfr. in La guerra del Peloponneso di Tucidide il discorso funebre di Pericle agli Ateniesi).

STAR WARS di Gianfranco Campa

Pubblichiamo un articolo già apparso nell’aprile 2013 ma ancora attuale a proposito dell’intenzione dell’allora amministrazione di Obama di installare in Corea del Sud il sistema antimissile THAAD. La proposta fu accolta dal Governo Giapponese e respinta da quello Sudcoreano. Il progetto rientrava pienamente nella politica di destabilizzazione che il governo americano di allora perseguiva in diverse regioni cruciali del mondo a scapito di quei paesi più restii ad accettare i diktat e i desiderata americani e suscettibili di perseguire una politica di avvicinamento alla Russia. In questi giorni il governo sudcoreano ha invece acconsentito all’installazione del sistema antimissilistico; potrebbe essere però una decisione a termine a pochi mesi dalle elezioni di quel paese che potrebbero portare alla vittoria uno schieramento di centrosinistra favorevole ad un avvicinamento alla Cina e contrario al dispiegamento del sistema d’arma. Più che una prosecuzione, quindi, della politica obamiana un segno della schizofrenia dell’attuale politica estera statunitense la quale, piuttosto che riorientare il confronto ostile dalla Russia alla Cina, rischia l’apertura di più fronti di conflitto contemporaneamente con i due paesi. Una schizofrenia che soffre quindi questa volta del confronto aperto all’interno degli Stati Uniti tra diverse strategie.

All’inizio di aprile la Casa Bianca fu informata specificamente dai servizi che le minacce che venivano dalla Corea del Nord erano da prendersi sul serio. I probabili obiettivi dei colpi nord-coreani erano da considerare le isole di Guam ed Okinawa in Giappone. Entrambe le isole hanno una forte presenza militare americana e sono posizionate strategicamente nell’arena dell’Asia-Pacifico. In particolare Guam è considerato l’obiettivo principale in quanto territorio non-incorporato degli Stati Uniti nell’ oceano Pacifico occidentale. La valutazione dei servizi riteneva più probabile un attacco a Guam che non sugli USA continentali.

Le capacità di attacco della Corea del Nord non sono totalmente chiare, ma osservando delle immagini satellitari molto precise il Dipartimento della Difesa USA riporta che i missili che la Corea del Nord vorrebbe lanciare, fanno parte della famiglia No-Dong/Musadan, ed in particolare quelli di classe B. I No-Dong B sono la versione più recente della famiglia No-Dong.

Secondo i rapporti dei servizi il No-Dong B è lungo circa 12 metri con diametro di circa mezzo metro. Sembra che i missili classe B siano un po’ più piccoli di quelli dell’intera famiglia No-Dong. La differenza con gli altri sta nella maggiore gittata e mobilità di questi missili che possono essere lanciati da mezzi semoventi. Le stime della loro gittata vanno da un minimo di 2400 km ad un massimo di 4000 km. La classe B è potenzialmente in grado di raggiungere le basi americane a Guam ed Okinawa.

Diversi missili No-Dong B sono stati scoperti mentre erano trasportati via treno attraverso la nazione verso i loro siti di lancio. Guardando le foto in dettaglio, si osserva che i missili hanno un comparto motore ed un serbatoio di propellente insieme ad un componente ulteriore simile al No_Dong A/1 che fornisce al classe B un ulteriore stadio come veicolo di rientro. Con l’aggiunta del serbatoio di propellente e del veicolo di rientro, il No-Dong B potrebbe essere capace di aggiungere altri mille kilometri di gittata, che è un buon risultato, ma non ancora sufficiente per raggiungere parti critiche degli USA. Con le attuali apparecchiature militari la Corea del Nord non ha ancora sviluppato la capacità di raggiungere gli USA continentali. Le smanie dei media su possibili obiettivi come S.Francisco o Los Angeles sono esagerate e totalmente sbagliate.

Chiarito che non c’è alcuna possibilità di raggiungere gli USA continentali, comunque, i missili nord-coreani hanno la gittata per raggiungere Guam e Okinawa. Okinawa, anche se in territorio giapponese, è una delle più importanti aree militari americane, rendendola un obiettivo primario. Lo stesso per Guam, che non solo è un possedimento USA, ma è anche sede di tre basi militari importanti. La base aerea Andersen a Yigo, la base navale nel porto di Apra e le forze navali a Marianas.

Stabiliti i possibili obiettivi dell’attacco nord-coreano e con solide informazioni dei servizi (ancorché non complete) sulle capacità della Corea del Nord, la Casa Bianca ha scatenato pienamente la macchina militare. Il vincitore del Nobel per la pace Obama, fra un ricevimento ed un torneo di golf, ha chiarito che ogni azione ostile della Corea del Nord sarà contrastata col pugno di ferro. Ma mentre tutti rivolgono la loro attenzione alle tradizionali manovre della marina, dell’esercito e dell’aviazione nell’arena asiatica, lo sviluppo più significativo è lo spiegamento del nuovissimo THAAD (Difesa dell’Area Terminale ad Elevata Altitudine).

2

 

Il 3 aprile 2013 il Dipartimento della Difesa ha annunciato che il sistema di difesa anti-missili balistici THAAD era stato dispiegato a Guam. Dal 14 aprile la prima unità THAAD è in posizione e pronta ad intercettare qualsiasi missile possa essere lanciato dalla Corea del Nord. Questa nuova classe di intercettori è l’ultima aggiunta al Sistema di Difesa anti-Missili Balistici (BMDS) che è completato dai Patriots e dal sistema AEGIES BMD. I THAAD sono dispiegabili rapidamente e capaci di distruggere missili sia dentro che fuori l’atmosfera durante la fase finale del loro volo.

Ecco alcune delle caratteristiche del THAAD. I missili sono basati a terra, montati su veicoli semoventi e ad alta tecnologia. Sono specificamente progettati per distruggere qualsiasi testata bellica e sono molto efficaci contro qualsiasi minaccia asimmetrica di missili balistici. La loro capacità di intercettare i missili in arrivo ad altitudini molto elevate, mitiga gli effetti di ogni arma di distruzione di massa prima che arrivino a terra. Una batteria THAAD consiste di quattro elementi: un lanciatore, gli intercettori, il radar ed infine il controllo del fuoco. I lanciatori sono montati su camion e quindi molto mobili, i missili possono essere facilmente sparati e ricaricati. Ci sono otto intercettori per ogni lanciatore. Ogni lanciatore è provvisto di un AN/TPY-2 (sistema di sorveglianza radar). Il radar è in grado di cercare, seguire e puntare un oggetto e di identificare di che tipo di oggetto si tratti prima di decidere di colpire l’oggetto in arrivo. Ogni componente del THAAD è connesso a mezzo di software estremamente sensibile e sofisticato. Il THAAD è capace di esplorare, applicare ed eseguire soluzioni di intercettazione multiple, ridefinendo continuamente i suoi obiettivi. THAAD ha un’altitudine operativa di 150 km.

3

Il progetto THAAD è stato inizialmente concepito nei primi anni ‘90 ma vari ritardi per ragioni di budget lo avevano rallentato. Nel 1992, Lockeed Martin Missiles-Space e Raytheon hanno ottenuto un contratto di 689 milioni di USD per sviluppare il sistema THAAD. Alla fine il programma THAAD entrò nella fase di sviluppo progettuale e costruttiva nel 2000. La piena produzione del THAAD cominciò nel marzo 2004 nei nuovi impianti Lokheed Martin a Pike County, Alabama. Le prove di volo incominciarono nella base di White Sands Missile Range nel New Mexico. Il primo test di volo del sistema completo incluso missile, lanciatore, radar e sistema di controllo ebbe luogo nel maggio 2006. Nel gennaio 2007 nella base Pacific Missile Range, a Kauai, nelle Hawai ci fu un test positivo di intercettazione condotto nella elevata endo-atmosfera. I test sono continuati negli anni incluso, nell’ottobre 2012, un test combinato utilizzando tutta la tecnologia e le apparecchiature dell’arsenale BMDS, un test integrato per valutare l’interoperabilità fra AEEGIS BMD, THAAD, Patriots e il sistema di comando-controllo. Occorre dire che il test del sistema THAAD è stato estremamente positivo. Interessante che nel 2011 gli Emirati Arabi Uniti (EAU) abbiano  firmato un accordo da 1,96 miliardi di USD per due sistemi d’arma THAAD e apparecchi di supporto. Questo è il primo contratto di vendita estero del THAAD. Il THAAD è considerato vitale per la protezione degli EAU contro le minacce missilistiche provenienti dall’Iran. Personalmente non credo che la Corea del Nord stia preparandosi ad eseguire una attacco contro installazioni militari o territori americani, ma se un tale attacco avvenisse, Guam e Okinawa potrebbero diventare campi di prova per valutare le reali capacità dei sistemi di dispiegamento e lancio dei missili nord-coreani e per valutare il salto militare americano nel futuro con il sistema THAAD e la sua efficacia in situazioni di scenario reale.

SOTTO LA COPERTURA DELLE TENEBRE, di Gianfranco Campa

Mentre si infiamma la guerra civile, attualmente in atto tra le orde  Sorosiane/Obamiane/Clintoniane/Neoconiane da un lato e la armata Brancaleone/Trump dall’altra, cominciano ad affiorare in superficie le mine disseminate dall’amministrazione Obama con l’obbiettivo di far deragliare parzialmente se non completamente il convoglio della Presidenza di Trump.

Sono tutte trappole piazzate con discernimento, disseminate lungo il percorso intrapreso da Trump, al solo scopo di far saltare e distruggere le buone intenzioni del Presidente.

Arroccato nel castello bianco, stretto sotto assedio, Trump è diventato il Capitano York di Fort Apache. Le orde barbariche girano come avvoltoi senza tregua cercando il momento opportuno per sferrare il colpo mortale, mentre tutto intorno la sua scarna truppa cerca disperatamente di spegnere i fuochi che rischiano di incendiare e far crollare l’intero accampamento.

Siamo forse arrivati al momento più delicato di questo scontro. Trump sta vivendo ore cruciali; tutta la sua amministrazione è messa a dura prova, rischia di saltare in aria. Le mine da disinnescare sono numerose e quasi tutte accuratamente mimetizzate. Non riguardano solo la politica interna ma anche la geopolitica; quella che poi ci coinvolge maggiormente.

Una di queste trappole è stata preparata da Barack Obama nella notte dello scorso capodanno,  approfittando della copertura delle tenebre e del rumore dei botti festosi.  L’Amministrazione Obama prende una decisione apparentemente inspiegabile e allo stesso tempo strana, pericolosa che lascia non solo perplessi , ma soprattutto con pesanti interrogativi circa la sua utilità e le gravi conseguenze che potrà innescare in termini geopolitici. La sera del 31 Dicembre 2016, al tramonto della suo mandato, Obama ha imposto al Pakistan pesanti sanzioni. Queste sanzioni, dato l’orario, il giorno e l’obbiettivo, sono passate quasi del tutto inosservate e tuttora la stragrande maggioranza dei media non pare esserne al corrente. Gli stessi “esperti” di Politica Estera e Strategie Geopoltiche, come i Think Tank di Foreign Policy, del Council on Foreign Relation, del Brookings Institution e via dicendo, non hanno dedicato praticamente nulla del loro tempo ad analizzare la bizzarra decisione presa da Barack e “Barakkini”.

Anche gli esperti sono stati colti di sorpresa? Solo in parte, data la tarda ora; soprattutto, visto che non sono degli sprovveduti, hanno chiuso gli occhi perché hanno volutamente omesso di avvertire il team di transizione di Trump, all’epoca non ancora insediato alla Casa Bianca. Si sono quindi autocensurati per non allertare il nuovo Presidente di questa patata geopolitica molto bollente, diventando quindi complici di Obama nella sua opera di posizionamento delle mine anti-Trump. Di conseguenza, oppressi dal cumulo di impegni assillanti, i nuovi inquilini della Casa Bianca hanno impiegato molte settimane per prendere coscienza prima della esistenza stessa delle sanzioni, poi del loro carattere pesantemente negativo, dall’importanza geopolitica enorme con potenziali nefaste consequenze epocali per l’attuale amministrazione.

Obama, dopo aver proposto nel febbraio dello scorso anno al Senato Americano aiuti finanziari al Pakistan per un totale di 860 milioni di dollari, appena qualche mese dopo ha finito per sanzionarlo. Un atteggiamento in teoria strano e inspiegabile; in realtà una decisione mirata solo ed esclusivamente a porre Trump con le spalle al muro.

Il primo ministro indiano Modi, a Luglio dello scorso anno aveva fatto pressione sugli Stati Uniti per punire il Pakistan per il suo aggressivo programma missilistico e  nucleare. Obama all’epoca non reagì alle richieste dell’India. In effetti Obama non si è mai realmente curato della situazione geopolitica e della tensione che intercorre tra il Pakistan e i paesi limitrofi tra i quali l’India. In aggiunta l’Arabia Saudita ha manifestato insofferenza verso il Pakistan per il rifiuto di quest’ultimo di partecipare o quantomeno sostenere i Sauditi nella guerra in Yemen. Anche su questo aspetto Obama ha sempre ostentato disinteresse, creando disappunto tra le fila del regime saudita.

Sono anni che il Pakistan sostiene un programma missilistico e nucleare. In otto anni di presidenza Obama, il Pakistan non ha modificato di una virgola questo programma, rimasto inalterato per tutto il prosieguo. In altre parole Obama sapeva benissimo quale fossero i progetti e le capacità militari del Pakistan. Anzi, durante il suo mandato, ha manipolato il Pakistan come un burattino violando più volte il suo territorio e la sua sovranità; non dimentichiamoci del raid contro Bin Laden. Addirittura ha usato il Pakistan come leva per arrivare a un accordo con l’Iran.

Quindi una domanda importante da porsi è la seguente: cosa ha fatto cambiare idea al nostro caro Barack? La risposta è semplice; fino a novembre Trump non costituiva una minaccia; alla fine di dicembre Trump era ormai avviato verso la Casa Bianca.

Sono molte le aziende che sono state messe fuorilegge dal Dipartimento del Commercio Americano; tra queste figurano la Ahad International, la Air Weapons Complex, la Engineering Solutions Pvt. Ltd., il Maritime Technology Complex, il National Engineering and Scientific Commission, il  New Auto Engineering e l’Universal Tooling Services. Tutte aziende importanti e vitali per l’economia Pakistana; sanzioni quindi che fanno male e che hanno suscitato in Pakistan un forte malumore verso gli Stati Uniti. I Pakistani hanno  sbagliato su una cosa però; ritengono che la decisione delle sanzioni sia stata presa da Obama sotto suggerimento degli Indiani e dei Sauditi. Solo ora, in pieno caos politico Americano, stanno finalmente mettendo insieme i tasselli e prendendo coscienza che il Pakistan si ritrova vittima sacrificale della guerra civile politica in atto negli States.

Per Trump sarà molto problematico cancellare le sanzioni per due semplici motivi. Prima di tutto perchè i Pakistani hanno ormai aperto la porta ai Cinesi, i quali hanno sostanzialmente aumentato la loro presenza economica nel paese, accrescendo il peso diplomatico al punto tale che sono ora in grado di dettare loro stessi la linea geopolitica al Pakistan. In secondo luogo l’eventuale decisione da parte di Trump di revocare le sanzioni risulterebbe intollerabile sia per gli Indiani che per i Sauditi, in particolare  per Narendra Modi, il piu  ostinato oppositore a qualsiasi rapporto amichevole  tra Pakistan e USA.

In sovrappiù le sanzioni servono a collocare Trump in una situazione difficilissima per quanto riguarda l’Afghanistan. I vertici del Pentagono e gli esperti geopolitici concordano nel considerare l’Afghanistan un paese sull’orlo del collasso. Stiamo parlando non di anni, ma di mesi, forse di settimane. Trump dovrà confrontarsi con un problema serio; salvare il salvabile in Afghanistan.

Due opzioni sono a disposizione dell’amministrazione Trump. Intervenire al più presto oppure abbandonare l’Afghanistan al proprio destino. In ogni caso tutte e due queste soluzioni comportano un problema enorme, un dilemma serio. Se Trump decide di lasciare l’Afghanistan al proprio destino, il mondo intero lo taccerà di quel fallimento e di ingenua approssimazione al cospetto dei piu` “capaci” Obama e Bush. Dovesse decidere il massiccio intervento militare, l’azione sarebbe pesantemente pregiudicata dal mancato supporto logistico del Pakistan. Date le sanzioni, ritengo improbabile una concreta disponibilità dei Pakistani nei confronti degli Americani. In alternativa ci sarebbero i Russi, ma anche qui Obama ha fatto terra bruciata.

Ecco perchè Trump si ritrova con le spalle al muro.

Non ci devono sorprendere le manovre obamiane. Si conosce la sua particolare predisposizione e sensibilità alla pace nel mondo. Il Nobel, Obama se lo è proprio meritato!

L’unica via per Trump sarebbe quella di negoziare una qualche soluzione che smussi le tensioni e il malcontento di Pakistani, Indiani e in alternativa dei  Russi e poter quindi operare liberamente in Afghanistan; sempre che i Cinesi non si mettano di traverso.

Vedo già i titoloni che annunciano il fallimento di Trump in Afghanistan; fallimento di cui dovrà sopportare tutta la colpa, sappiamo già come operano i media.

Non c’è da aggiungere altro; il suo predecessore gli ha lasciato in eredità una situazione geopolitica gravissima. D’altronde c`era da aspettarselo da un uomo come Barack, campione dei diritti civili, sempre attento alle necessità degli ultimi.Un figuro che se può ti dà una mano; controlla però che nel  frattempo non ti abbia tagliato l’altra.

REPUBBLICANESIMO GEO-POLITICO, di Massimo Morigi 1a parte

Italia e il mondo pubblicherà una serie di riflessioni e commenti di Massimo Morigi, già apparsi nel 2013, riguardanti la sua particolare interpretazione del “conflitto strategico” tra agenti inteso come peculiare modalità di articolazione della azione politica. L’ambizione è quella di metterla a confronto con analoghe chiavi di lettura dell’azione politica come quella offerta dal professor Gianfranco La Grassa

1a parte ALLA RICERCA DELL’IDENTITÀ ITALIANA

Come in nessun’altra democrazia rappresentativa occidentale, l’Italia, con la sua involuzione verso il dominio delle oligarchie finanziarie, si presta alla più perfetta dimostrazione della “legge ferrea dell’oligarchia” di Robert Michels: se sul piano dell’enunciazione ideologica le élite al potere e i partiti politici dichiarano piena adesione alla democrazia, de facto, costantemente operano per una sempre maggiore restrizione degli spazi di libertà.
Michels vedeva nel parlamento il luogo dove avvenivano queste illiberali transazioni fra partiti e lobby, oggi aggiornando il suo pensiero c’è da osservare che il parlamento è sempre più surclassato come luogo di compensazione fra questi poteri dalla tecnoburocrazia transnazionale collusa con la grande finanza, una tecnoburocrazia che a differenza del partito michelsiano non è nemmeno formalmente responsabile verso il suo elettorato.
Se questo è “lo stato delle cose” è quindi di tutta evidenza che rivolte di piazza non possono che subire “manu militari” una facile repressione, vista la sproporzione delle forze in campo.
E allora quale via d’uscita? La risposta è che se le attuali pseudo-democrazie rappresentative sono immensamente più forti ed imbattibili come forza militare che possono dispiegare sul campo degli ancien régime spazzati via dalla rivoluzione francese (o dell’autocratico regime zarista o, per rimanere in Italia, dell’Italia liberale che non seppe superare la terribile prova del primo dopoguerra), non possono __________
*(Col presente documento si immettono in rete in gli articoli e gli interventi di Massimo Morigi sul repubblicanesimo geopolitico – o repubblicanesimo geostrategico o repubblicanesimo strategico, animati dalla ricerca teorica sui concetti di Lebensraum republicanism e di conflitto repubblicano strategico – e sulle attuali questioni geopolitiche apparsi fino al 3 marzo 2014 sul blog “Il Corriere della Collera”. Sono pure pubblicati alcuni dei commenti del blog a questi articoli ed interventi. Preme per ultimo sottolineare che, per quanto sviluppatosi del tutto autonomamente e con una sua specificità dialettica, il repubblicanesimo geo-politico condivide una profonda affinità colla scuola neomarxista di Gianfranco La Grassa e sul suo euristicamente denso concetto di conflitto strategico. Ravenna-Coimbra, marzo 2014).
nemmeno rinunciare, vista la loro natura poliarchica, a mantenere aperti quegli spazi di libertà di espressione che, se possono risultare molto fastidiosi, costituiscono anche il terreno di manovra sui cui si possono scontrare i vari gruppi di potere (e a dimostrazione di quanto questi spazi di “libera circolazione” siano intesi dai gruppi di potere in maniera strumentale, si considerino in tentativi messi in atto in ogni liberaldemocrazia per comprimere la libertà di espressione dando invece libero sfogo alla anarchica libera circolazione delle merci e dei capitali).
Siamo quindi di fronte ad un problema di “egemonia”, una egemonia come direbbe Gramsci che, invece di lanciare fantomatici e ridicoli appelli per una conquista del Palazzo d’inverno, deve preoccuparsi di conquistare a sé sempre più vasti strati della popolazione, attualmente indifferente o addormentata dall’oppio neoliberale.
Dal punto di vista dell’elaborazione teorica questo è il programma del repubblicanesimo geopolitico. Per quanto riguarda gli strumenti per diffondere una vera consapevolezza democratica, unico in campo nazionale – per non dire internazionale – è il blog, il “Corriere della Collera”, che cortesemente ospita questo ed altri interventi animati tutti dalla medesima consapevolezza della crisi epocale che le democrazie rappresentative stanno attraversando.
Visti gli strumenti materiali messi in campo, sembrerebbe che la sfida per superare il vecchio canone neoliberale sia disperata.
Non dimentichiamo però che l’Italia è sorta su scommesse che parevano già perse in partenza e che i protagonisti di queste scommesse azzardate furono uomini (primo fra tutti Mazzini) che ben lungi dall’essere metafisici sognatori capivano che il dato fondamentale di ogni azione sono le rappresentazioni che gli uomini si fanno della situazione.
Oggi questa impostazione la si chiamerebbe costruttivista. Quello che importa non è tuttavia il nome ma la consapevolezza che è dalla tradizione dell’azione e del pensiero politico italiani che non solo le più profonde correnti del pensiero politico internazionale trovano le sue radici ma che, soprattutto, possiamo trarre forza ed ispirazione per contrastare le forze delle oligarchie.
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M5S, la stampella del potere Scritto il 12 giugno 2015 by Federico Dezzani

Mi pare utile riprendere un articolo di Federico Dezzani, con il quale l’autore ricostruisce la genesi del movimento- Giuseppe Germinario

M5S, la stampella del potere

Scritto il 12 giugno 2015 by Federico Dezzani

Twitter: @FedericoDezzani

link originario dell’articolo:  http://federicodezzani.altervista.org/m5s-la-stampella-del-potere/
Le recenti elezioni regionali certificano l’arretramento del M5S che perde 900.000 voti rispetto alle europee del 2014 e quasi 2 mln di voti rispetto alle politiche del 2013: è il prezzo della defezione di Beppe Grillo, ritiratosi nel novembre 2014 dalla guida del movimento perché “un po’ stanchino”. Perché Grillo abdica quando la situazione economica dell’Italia, sempre più esplosiva, permetterebbe di assestare il colpo definitivo al governo Renzi e realizzare la “rivoluzione araba” promessa nel 2013? La risposta è che M5S è la stampella dell’establishment euro-atlantico. Dall’American Chamber Of Commerce alla Telecom Italia, come è stata assemblata la piattaforma di Gian Roberto Casaleggio: l’arroganza è che tale che è apposta pure la firma “nuovo ordine mondiale”.

Italia: poligono per le sperimentazioni politiche

Quando una nuova arma è perfezionata è abitudine sperimentarla in qualche poligono di tiro lontano dal territorio metropolitano, oppure in qualche teatro bellico: ne sanno qualcosa i cittadini sardi che subiscono gli effetti del poligono sperimentale Salto di Quirra, il più grande della NATO in Europa, oppure i ribelli Houthi dello Yemen, contro cui è stata di recente scagliata una bomba termobarica, immortalata nel video che mostra tutta la potenza devastatrice dell’ordigno1. Le armi convenzionali sono solo uno degli strumenti cui il sistema euro-atlantico ricorre per esercitare il proprio dominio. Esiste poi un vasto arsenale di armi riconducibile alla “guerra psicologica”, combattuta contro nemici esterni o contro le opinioni pubbliche di paesi alleati se non, come sempre più spesso capita, direttamente contro i propri cittadini: rientrano tra le armi psicologiche gli attentati falsa bandiera, la propaganda contro governi ostili, gli omicidi politici e le rivoluzioni colorate.

Anche in questo campo l’Italia, uscita sconfitta dall’ultima guerra, ha il triste primato di essere uno dei poligoni preferiti dalla NATO, dove sono testate le nuove armi psicologiche che, se funzionanti, sono poi applicate all’occorrenza in altri Paesi. È nel Bel Paese ad esempio che è sperimentata la strategia delle tensione, applicata poi negli stessi USA con gli attentati dell’11 settembre e le lettere all’antrace.

Le basi della strategia della tensione sono poste nel settembre 1963, tre mesi prima che nasca il primo governo di centrosinistra (DC,PSI, PSDI, PRI) presieduto da Aldo Moro: è in quei giorni che dall’Ufficio Ricerche Economico Industriali del SIFAR parte una relazione riservata indirizzata al generale Giovanni Allavena, capo del controspionaggio del Servizio Informazione Forze Armate. Qui si contempla, pur di arginare l’avanzata comunista, la possibilità di2:

“creare gruppi di attivisti, di giovani, di squadre che possano usare tutti i sistemi, anche quelli non ortodossi, dell’intimidazione, della minaccia, del ricatto, della lotta di piazza, dell’assalto, del sabotaggio, del terrorismo”.

Ad attuare questo innovativo, eversivo, disegno (che metabolizza molti concetti della guerra rivoluzionaria marxista-leninista) è chiamato il maggiore Adriano Magi Braschi, tra i massimi esperti della NATO in guerra psicologica e futuro ponte tra servizi segreti e terrorismo nero, anche internazionale (è infatti in stretto contatto con l’Organisation armée secrète francese).

Due anni dopo, nel maggio del 1965, si svolge presso l’hotel romano Parco dei Principi, il convegno organizzato dall’Istituto di studi militari Alberto Pollio che posa il primo mattone della futura strategia della tensione: intervengono alla conferenza il suddetto maggiore Magi Braschi, alti esponenti delle forze armate e dei servizi, accademici e figure di spicco dell’estremismo di destra (tra cui Pino Rauti e Guido Giannettini).

La fine del mondo bipolare e la volontà di procedere a tappe forzate verso il “nuovo ordine mondiale” (Stati Uniti d’Europa, allargamento della NATO a est, neoliberismo e finanza selvaggia) comporta per l’establishment euro-atlantico la necessità di sbarazzarsi della vecchia classe politica dei “paesi alleati”, con sui si è vinta la guerra fredda: abituati a ritagliarsi una certa libertà di manovra entro i paletti della NATO e propugnatori dell’intervento dello Stato nell’economia, questi politici sono infatti obsoleti nel nuovo assetto unipolare.

In Italia è quindi testata una nuova arma psicologica che negli anni a venire sarà largamente impiegata in tutto l’Occidente: gli scandali mediatici-giudiziari, con cui si discreditano e/o eliminano politicamente singole figure o intere classi dirigenti. Quest’arma psicologica, recentemente impiegata contro i vertici della FIFA rei di non aver cancellato i mondiali in Russia del 2018, si avvale di illeciti o di ipotesi di reato, portati alla luce se e quando la vittima disobbedisce alle direttive o occorre sostituirla con uomini più freschi e fidati.

La prima e, la più potente in Europa Occidentale, bomba mediatica-giudiziaria è sganciata su Milano nel 1992, facendo leva sul finanziamento illecito dei partiti che, fino a quel momento, era stato il segreto di Pulcinella della politica italiana: è l’inchiesta Mani pulite condotta, come ha ammesso l’ex-ambasciatore americano Reginald Bartholomew prima di morire per un tumore3, dal pool milanese di Francesco Saverio Borrelli in stretto contatto con il consolato americano di Milano. Il console generale americano a Milano, Peter Semler, riceve nei suoi uffici il futuro uomo simbolo di Mani Pulite, il magistrato Antonio Di Pietro, quattro mesi prima dello scoppio dell’inchiesta: scopo dell’incontro è essere “informato” sulle implicazioni politiche delle indagini.

Antonio Di Pietro (che attira l’ammirazione del console Semler perché sa usare il computer “a differenza di gran parte degli italiani”) entra alla procura di Milano nel 1985 e la sua padronanza degli strumenti informatici (poi persa nel tempo se, come vedremo in seguito, per aprire il suo blog deve avvalersi di Gianroberto Casaleggio) gli consente di essere cooptato nel 1989 dal Ministero della Giustizia come consulente per l’informatizzazione.

Di Pietro, il cui italiano incerto corrobora le voci di una laurea in giurisprudenza parecchio opaca, ha un trascorso nel SISDE: negli anni ’80 figura tra i poliziotti di scorta al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa4 ed un appunto del centro Sisde di Milano afferma che in quegli stessi anni Di Pietro è in contatto con un diplomatico USA attivo nel nord Italia e con una società vicina alla CIA5. Perché gli americani inseriscono Di Pietro nel pool di Mani pulite, quando la squadra di Borelli sarebbe capace di condurre l’inchiesta contro i vertici della Prima Repubblica anche senza il suo apporto? La spiegazione è duplice: la volontà di avere un proprio referente fidato dentro la squadra di Mani Pulite e, non meno importante, il piano di lanciare Di Pietro, l’eroe nazionale che libera l’Italia dal marciume del DC ed il PSI, come nuovo astro nascente della politica italiana.

Tutti i media del periodo infatti, dal Corriere a Repubblica, preparano il terreno in questo senso6 e, non appena Di Pietro lascia la toga nel dicembre del 1994, gira l’ipotesi che l’ex-magistrato si schieri a destra dell’arena politica, usando come base di partenza il Movimento Mani pulite.

Nel luglio del 1995 Antonino Di Pietro compie il terzo misterioso viaggio negli USA dalla scoppio di Mani Pulite (un primo nell’ottobre del 1992 finanziato dalla United States Information Agency ed il secondo nel 1994 prima di lasciare la magistratura): là è ricevuto dall’American Enterprise Institute7 (lo stesso pensatoio che 15 anni dopo sforna Matteo Renzi) e dal politologo Edward Luttwak.

Al suo ritorno in Italia, stupendo tutti i collaboratori, Di Pietro decide di non entrare in politica con un soggetto autonomo bensì appoggiandosi al centro-sinistra. A Washington devono avergli spiegato che saranno infatti i governi di sinistra a spadroneggiare negli anni successivi, dopo l’effimera esperienza del governo Berlusconi I: il loro compito sarà smantellare l’industria di Statoagganciare l’Italia all’euro a qualsiasi costo e piegarsi alla politica angloamericana nei Balcani.

Tonino è ministro dei lavori pubblici del governo Prodi I (1996) e poi nuovamente ministro delle infrastrutture del governo Prodi II (2006-2008): è nella veste di responsabile di questo dicastero che l’ex-pm, in ottimi rapporti con gli USA, nomina nel febbraio 2007 Gianroberto Casaleggio ed i fondatori della Casaleggio associati (Mario Bucchich e Luca Eleuteri) come esperti del ministero per le strategie comunicative ed i nuovi media8.

Siamo entrati nella sperimentazione dell’ultima arma psicologica, concepita ed applicata con discreto successo già in Ucraina con la rivoluzione arancione del 2004: l’impiego della rete per influenzare l’opinione pubblica, screditare i governi ostili e, all’occorrenza, organizzare manifestazioni di piazza o moti contro le istituzioni.

È nel 2004 che Casaleggio allestisce il sito Beppegrillo.it e, a distanza di tre anni, replica l’operazione con il sito di Antonio Di Pietro: è singolare che tra le centinaia di esperti di comunicazione operanti in Italia, un ministro della Repubblica italiana si affidi “per imparare a schiacciare i bottoncini di Twitter e di Facebook”9allo stesso guru informatico che sta preparando il primo Vaffanculo-day contro il governo Prodi.

La collaborazione tra l’ex-pm di Mani Pulite e Casaleggio prosegue per tre anni, finché Di Pietro si accorge che non è più lui a dettare la linea politica del proprio sito, bensì a subirla, talvolta anche con imbarazzo a causa del toni sempre più aggressivi e denigratori dei contenuti: nel settembre del 2009 si consuma il divorzio tra il segretario dell’Idv e l’esperto informatico.

Da quel momento Di Pietro non è più un socio, seppur di minoranza, della corazzata Casaleggio bensì un rivale politico con cui spartirsi il voto di protesta: a due riprese, man mano che il governo Berlusconi IV affonda sotto il peso degli scandali-mediatici giudiziari e si avvicinano le elezioni, Tonino è liquidato. Nel febbraio del 2010 è pubblicata sul Corriere delle Sera un foto di 18 anni prima che immortala Di Pietro a cena con l’allora capo del Sisde del Lazio, Bruno Contrada, ed uno 007 in servizio all’ambasciata americana. Poi, nel novembre del 2012, la conduttrice di Report Milena Gabanelli assesta il colpo letale all’Italia dei Valori con un’inchiesta sui rimborsi elettorali.

Addio Di Pietro!

Il sol dell’avvenire è ora il Movimento 5 Stelle, nato e cresciuto attorno al blog beppegrillo.it messo a punto dalla Casaleggio Associati. È quindi tempo di indagare sul passato del guru informatico, diviso tra Olivetti, esoterismo e finanza anglosassone.

 

Casaleggio: tra Olivetti, Telecom, Goldman Sachs e nuovo ordine mondiale

Telecomunicazioni e servizi segreti sono pressoché diventati sinonimo dopo le rivelazioni dell’ex-tecnico informatico della CIA Edward Snowden, che nel 2013 dimostra come l’NSA intercetti e sorvegli illegalmente americani e stranieri, semplici cittadini o capi di Stato, appoggiandosi anche a servizi segreti alleati per coprire i rispettivi territori nazionali. Al vertice della piramide che vaglia centinaia di petabite al giorno è il Five Eyes, l’alleanza spionistica tra le potenze anglosassoni (USA, Regno Unito, Australia, Nuova Zelanda e Canada). Sotto, in base ad affinità politiche e peso internazionale, scendono a cascata gli altri Paesi della NATO.

È superfluo dire che l’Italia, dove il governo Letta neppure fiata quando esplode lo scandalo NSA, è considerata un’espressione geografica, preziosa solo perché dalla Sicilia transitano i fondamentali cavi sottomarini che connettono l’Europa con tutto l’Oriente ed il Sud America: il controllo di Telecom Italia cui fa capo la rete fissa e le linee transoceaniche (Telecom Sparkle) è quindi fondamentale per Washington, tanto che ciclicamente ricorre l’ipotesi di una fusione con la texana AT&T. La penetrazione dei servizi angloamericani nell’ex-monopolio dei telefoni affonda le radici già nel dopoguerra e, dal confezionamento di dossier alle intercettazioni diffamatorie, è sempre stata usata per esercitare il ferreo controllo sul Paese.

È nella cornice Telecom/servizi segreti che deve essere inquadrata la figura di Gianroberto Casaleggio. Perito informatico, mai laureato, entra nel 1975 alla Olivetti dove incontra la prima moglie, la britannica Elizabeth Clare Birks da cui ha un figlio. Il padre di Gianroberto è interprete di lingua russa e questo è un dato interessante perché Adriano Olivetti (1901-1960), l’imprenditore visionario che lascia un’impronta indelebile all’azienda, è appassionato di letteratura russa. In particolare Adriano Olivetti, che con il nome in codice “Brown” è in stretto contatto con i servizi segreti inglesi sin dalla primavera del 194310, è un fervido appassionato di occultismo russo11Helena Blavatsky, fondatrice della Società Teosofica ed autrice del libro Iside Svelata, ed il teosofo russo Vladimir Sergeevič Solov’ëv.

Ad un occultista russo, George Gurdjieff (1877-1949), Gianroberto Casaleggio si richiama espressamente, definendosi suo discepolo12. Il profilo esoterico di Gianroberto Casaleggio si arricchisce poi di nuovi importanti particolari nel marzo del 2013, quando sul settimanale Panorama compare l’intervista al massone Giuliano Di Bernardo, ex-Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, dove, commentando la visione del guru di M5S, sono evidenziate le forti analogie tra il Casaleggio-pensiero e l’esoterismo della massoneria speculativa. Sia per Casaleggio che per l’ex- Gran Maestro del GOI, in un futuro non troppo lontano scompariranno le differenze ideologiche, politiche e religiose, ma secondo Di Bernardo13:

Per me a governare sarà una comunione di illuminati, presieduta dal “tiranno illuminato”, per Casaleggio a condurre l’umanità sarà la rete.

Nel 1999, con un’azzardata scalata a debito che lascerà un segno indelebile, la Olivetti di Roberto Colaninno, attiva nella telefonia con Omnitel ed Infostrada, lancia un’offerta pubblica d’acquisto su Telecom Italia, arrivando a detenerne il 51%. Da circa un anno l’ex-monopolio dei telefoni è guidato da Franco Bernabé che, legato a doppio filo con l’establishment euro-atlantico (è uno dei massimi referenti italiani del Round Table, nella veste di membro del Council on Foreign Relations, gruppo Bilderberg, International Council di JP Morgan e vice presidente di Rothschild Europe14), è reduce dell’esperienza in ENI, dove da amministratore delegato ha curato la privatizzazione del gigante petrolifero italiano al motto di “vendere, vendere, vendere”15.

Il 22 febbraio del 2000 l’Olivetti acquista, per 52 mld di lire, dalla britannica Logica Plc il 45% della società Logicasiel, di cui Finsiel (controllata da Telecom Italia) detiene il restante 55%: la società, che cambia il nome in Webegg Spa, è quindi ora in mano al 100% al gruppo Telecom Italia/Olivetti16.

La britannica Logica plc non è un’azienda qualsiasi, bensì il colosso inglese delle nuove tecnologie: nel 1974 è la prima azienda europea ad importare sul Vecchio Continente il papà di internet (Arpanet) quando è ancora un tecnologia militare statunitense e, in quegli stessi anni, disegna la rete elettronica per lo scambio di dati tra banche (il celebre SWIFT, Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication).

La neonata Webegg Spa che, si legge nel comunicato aziendale,“offre consulenza e soluzioni informatiche alle aziende che si organizzano in rete su modello delle web company17 è davvero ben inserita nel comunità economica anglofona, se si considera che appena un anno prima, nel 1999, ha siglato un accordo di collaborazione con la società di nuove tecnologie Neon (New Era Of Networks, con sede in Colorado), fondata nel 1995 dal responsabile informatico di Goldman Sachs, Rick Adam18 (laurea a West Point, già ufficiale della US Air Force ed ex-esperto informatico presso il colosso degli armamenti Litton Industries19, poi Northrop Grumman. Un personaggio decisamente in odore di servizi).

Amministratore delegato delle ex-Logicasiel, ora Webegg spa, è nientemeno che Gianroberto Casaleggio, affiancato dai fidi collaboratori che il guru porterà poi con sé nelle future esperienze aziendali e politiche: Luca Eleuteri (direttore generale tra il 2000 ed il 2003), Mario Bucchich (responsabile della comunicazione tra 2000 e 2003) e Enrico Sassoon (membro del cda dal 2001 al 200320). Merita qualche approfondimento quest’ultimo: Sassoon, membro del consiglio della camera di commercio americana in Italia sin dal 1998 e direttore responsabile della Harvard Business Review dal 2006, ha le sembianze del classico “agente di collegamento” tra l’ambasciata americana di Via Vittorio Veneto e gli uffici della Webegg Spa.

Come sono le prestazioni economiche del gruppo Webegg? Nel 2011 il bilancio si chiude con 91 mln di fatturato ed un utile di 6 mln 21; nel 2002 la società è consolidata da Telecom, gli utili crollano a 45 mln e l’utile a 2,8 mln; nel 2003 continua la caduta dei ricavi che si attestano per la Webegg Spa a soli più 19 mln22. Nonostante i non eclatanti risultati, la Webegg di Casaleggio non bada a spese per i propri dipendenti, come se la società godesse di qualche connaturato privilegio: tre sedi con uffici avveniristici, feste di fine anno con celebri personaggi delle tv, trasferte internazionali per partecipare a tornei di calcio aziendali, etc. etc.

L’enigmatica attività di Casaleggio in Webegg, tale da richiedere la collaborazione del responsabile informatico di Goldman Sach e la consulenza della camera di commercio americana, si interrompe bruscamente sotto il governo Berlusconi II: nel giugno del 2001 il Cavaliere vince le elezioni, il presidente di Pirelli Marco Tronchetti Provera acquista nel luglio successivo, grazie al placet del governo, il controllo di Telecom Italia e, a distanza di due anni, Gianroberto Casaleggio è costretto a lasciare la Webegg Spa. Poi, nel giugno del 2004, la controllata della Telecom è venduta alla società Value Partners.

Con l’avvento del governo Prodi II (2006-2008), Tronchetti Provera perde la sponda con l’esecutivo: prima si dimette dalla presidenza e poi accetta un nuovo patto di controllo che diluisce progressivamente la percentuale di Pirelli fino all’uscita definitiva. È facile scorgere nella salace satira23 di Beppe Grillo contro Tronchetti Provera, eletto a suo bersaglio preferito finché questi non cede Telecom, una vendetta di Casaleggio per la chiusura del “laboratorio Webegg”.

L’ex-perito informatico dell’Olivetti non si perde d’animo: traghetta i suoi uomini più fidati e soprattutto il consigliere della American Chamber of Commerce in Italy, Enrico Sassoon, verso nuovi lidi e nel gennaio del 2004 nasce la Casaleggio Associati. È molto significativo che il blasonato Sassoon (è corrispondente de il Sole 24 Ore e consulente per le maggiori multinazionali americani operanti in Italia), anziché permanere nel cda di Webegg, decida di seguire Casaleggio nella neonata impresa. Corrobora il sospetto che Sassoon, più che alle nuove tecnologie, sia interessato alla specifica attività cui sta lavorando l’enigmatico perito.

Siamo nel 2004 ed internet è parte integrante dell’allora innovativa strategia angloamericana per rovesciare i governi ostili: l’Ucraina è teatro di un primo tentativo di cambio di regime, la rivoluzione arancione finanziata da George Soros e dal Dipartimento di Stato americano24, dove sono massicciamente impiegati blog e siti d’informazione, ampiamente pubblicizzati dai media anglofoni.

Proprio in quell’anno, stando alla ricostruzione ufficiale, Beppe Grillo legge un libro di Casaleggio, ne rimane affascinato e gli telefona25. I due si incontrano al termine di uno spettacolo a Livorno e stordendolo con racconti sull’esoterista Gurdjieff e sul celebre scrittore dell’imperialismo inglese, il massone Rudyard Kipling, Casaleggio convince il comico genovese (fino ad allora un fervente luddista26) ad affidarsi alle sue mani per la creazione del blog Beppegrillo.it.

La verità deve essere probabilmente un’altra: il comico genovese (che con l’ex agente del Sisde Antonio di Pietro condivide il profilo giustizialista, anti-casta e demolitore) deve essere stato segnalato da qualcuno come idoneo al progetto che Casaleggio sta sviluppando. Chi è questo qualcuno? Gli indizi portano all’ex-colonnello della Guardia di Finanza Umberto Rapetto: amico di Grillo sin dagli anni ’9027, in contatto sin dal 2000 con Franco Bernabé che lo nomina 12 anni dopo consulente strategico in Telecom, Rapetto è docente alla NATO School di Oberammergau e consulente del Pentagono in materia di sicurezza28.

Una peculiarità che Casaleggio conserva dalla precedente esperienze in Webegg è la prodigalità negli investimenti: nell’autunno del 2004 la neonata società di Casaleggio sigla infatti un accordo di collaborazione con Enamics, società di Stanford fondata “dall’esperto mondiale di IT ed autore di best seller internazionali”29 Faisal Hoque, che costruisce le architetture informative per giganti come GE, MasterCard, American Express, Northrop Grumman, PepsiCo, IBM, Netscape, Infosys, JP Morgan Chase, etc. etc.

Come è possibile che un divo dell’informatica che lavora per i colossi delle finanza e degli armamenti americani si lasci coinvolgere nei progetti di una neo-costituita ed anonima azienda italiana? Bisogna forse porre la domanda ad Enrico Sassoon ed ai suoi amici dell’American Chamber of Commerce in Italy, perché difficilmente la Casaleggio Associati avrebbe le risorse finanziarie per pagare la parcella di Faisal Hoque.

Arriviamo ad un punto fondamentale: se in Telecom Italia i progetti del guru di Beppe Grillo erano finanziati direttamente dall’ex-monopolio dei telefoni, dove trae ora sostentamento la Casaleggio Associati? In rete sono disponibili i bilanci per il triennio 2009-201230 che mostrano ricavi ed utili in costanti calo, passando da un 1,6 mln a 1,4 e da un attivo di 118.000 € ad un perdita di 57.000 €. Nulla si sa circa i clienti, ma se si considera che nel 2012 il sito beppegrillo.it è già nato da otto anni, M5S da tre, e che circa un milione di ricavi proviene dai servizi venduti dall’ex-Sisde Antonio Di Pietro31, sorgono spontanei i dubbi sulla capacità della Casaleggio Associati di stare sul mercato senza qualche aiuto interessato.

Di certo, come nel caso di Antonio Di Pietro, è la Casaleggio Associati che produce i contenuti del blog di Grillo, stabilisce la linea politica, decide quando e contro chi alzare i toni.

Direttamente prodotti dalla Casaleggio Associati e diffusi in rete dalla società milanese sono i celebri video Prometheus – la Rivoluzione dei media32 (2007) e Gaia – The future of politics (2008): prescindendo dagli scenari ivi contenuti (terza guerra mondiale, pace perpetua, fusioni tra colossi della rete, trionfo dell’informazione angloamericana), è interessante soffermarsi sui richiami esoterici che, come abbiamo precedentemente visto, sono parte integrante del profilo di Casaleggio. Si cita espressamente il “nuovo ordine mondiale” che, da George Bush senior a Giorgio Napolitano passando per Jacques Delors è sulla bocca di tutti i membri dell’élite euro-atlantica. Inoltre, al termine di “Prometheus” (personaggio chiave della dottrina massonica/teosofica), compare il celebre occhio divino nel triangolo raggiante.

Siamo nel 2008: sfruttando il sito Meetup per l’organizzazione di incontri e manifestazione, Grillo ha iniziato da tre anni a radicarsi sul territorio e, l’8 settembre dell’anno precedente, si è tenuto in diverse piazze italiane il Vaffanculo-Day con cui il comico genovese (condannato nel 1985 a 14 mesi di reclusione per omicidio colposo) pubblicizza l’iniziativa “Parlamento pulito” contro la casta, la corruzione, i segretari di partito, i politici condannati in appello, etc. etc.

Già in quell’occasione a dare un particolare rilievo mediatico al Vaffanculo-day di Grillo sono, ça va sans rien dire, i media anglofoni: in particolare la BBC inglese (che fomenta disordini a casa altrui dai tempi della rivoluzione iraniana del 1979) non perde mai di vista il comico giustizialista, diffondendo su radio34, televisione e internet, gli spettacoli con cui, come ai tempi di Mani Pulite, si demolisce la classe politica italiana.

I tempi sono quindi maturi per il primo incontro ufficiale tra l’astro nascente della politica italiana ed il corpo diplomatico americano in Italia: nell’aprile del 2008, George Bush junior imperante, si consuma il pranzo/esame tra Beppe Grillo e l’ambasciatore americano Ronald Spogli (lo stesso che di lì a poco ammonirà Silvio Berlusconi per i suoi pericolosi legami con la Russia).

Al termine dell’incontro, l’intimo amico di Bush, consigliere tra l’altro della J. William Fulbright Foreign Scholarship (emanazione del Round Table), scrive soddisfatto un cablo al segretario di Stato Condoleeza Rice dal titolo “Lunch with italian activist Beppe Grillo: No hope for Italy. Un obsession with corruption35. Grillo, dice Spogli, è un tipo berbero ma capisce di tecnologie ed è all’avanguardia nella lotta contro la corruzione che mina l’economia italiana (insomma, il Di Pietro degli anni 2000).

L’esame è superato e dalla politica arriva il via libera al progetto sui cui i servizi d’informazione britannici e statunitensi lavorano dai tempi della Logicasiel/Webegg: il 4 ottobre 2009, al Teatro Smeraldo di Milano, nasce il Movimento 5 Stelle come filiazione del blog di Beppe Grillo, appena eletto dalla rivista americana Forbes a settima celebrità mondiale della rete36.

Dalla “rivoluzione araba” allo “sono un po’ stanchino”

Arriviamo all’interrogativo decisivo: a cosa serve il Movimento 5 Stelle?

In base alla storia recente, i movimenti politici finanziati dagli angloamericani e costruiti attorno alla rete, sono riconducibili a tre tipologie: movimenti per rovesciare governi ostili, per rovesciare governi amici e, infine, per mantenere lo status quo, fornendo una valvola di sfogo al malcontento.

Alla prima categoria è riconducibile il golpe ucraino del 2014 o l’attuale tentativo angloamericano di rovesciare il governo macedone di Nikola Gruevski: tramite siti d’informazione, blog e microblog si organizzano manifestazioni e proteste contro l’esecutivo in carica, accusandolo normalmente di corruzione, brogli elettorali e repressione dei dissidenti (stranamente nessuna protesta è mai scoppiata nel Regno Unito contro l’infamante piaga delle pedofilia che da sempre affligge la BBC e Westminister37). La protesta ha la tendenza a fallire perché l’apparato di sicurezza, fedele al governo, reprime i disordini: occorrono quindi attentati falsa bandiera di grande impatto mediatico, come l’impiego di cecchini o attentati dinamitardi, per conseguire il risultato.

Il secondo caso è quello della Tunisia o dell’Egitto del 2011: fantomatici blogger incitano alla rivolta con l’ausilio della rete Otpor!/CANVAS, il movimento di protesta si evolve in un’aperta disobbedienza alle istituzioni, le forze di sicurezza fedeli agli USA non reprimono i disordini, ed il cambio di regime si conclude con un limitato spargimento di sangue e la fuga del premier.

Il terzo caso è invece quello del Movimento 5 Stelle che, dopo aver dato ottimi risultati Italia, è riprodotto perfino negli Stati Uniti attraverso il movimento Occupy Wall Street, finanziato dal miliardario George Soros, come ammesso dall’agenzia Reuters nell’ottobre del 2011 prima di ritrattare rapidamente38.

Scrive infatti il fondatore di Occupy Wall Street, il trentenne Micah White, sul blog di Grillo39:

Al momento il M5S è il più importante movimento sociale al mondoSiete voi che ci state mostrando la strade dove andare, la direzione. E adesso vi voglio spiegare perché il vostro movimento è così importante. Noi siamo come il popolo eletto, siamo i prescelti, i prescelti per creare una nuova realtà. Ci troviamo davanti a tre grosse sfide, che hanno bisogno di soluzioni urgenti.

Sia in Italia, colonia americana sin dal 1945, che, a maggior ragione negli USA, non c’è nessuna volontà di rovesciare l’establishment né di metterlo in discussione: come le rivoluzioni colorate di Ucraina, Georgia o Libia, si agisce sì sul malcontento e sulla frustrazione della popolazione per organizzare manifestazioni e occupazioni di luoghi pubblici, ma lo scopo è offrire una valvola di sfogo, impedendo che l’accumularsi della tensione esploda in autentici disordini o moti di piazza contro la classe dirigente.

Da quando l’Italia è precipitata nella depressione economica, l’unica genuina ed autentica protesta è stata quella dei Forconi, commercianti e piccoli imprenditori piegati dalla crisi, non a caso ignorati o disprezzati dai media, messi in quarantena dal M5S40 e duramente repressi dalle autorità giudiziarie41.

Il Movimento 5 Stelle ha quindi il compito, in una prima fase, di catalizzare la protesta esacerbando i toni, e poi, superate le scadenze elettorali decisive, sterilizzare i voti raccolti, lasciando ai partiti d’establishment la possibilità di governare indisturbati, autonomamente o in coalizione se necessario.

Il sito Beppegrillo.it e M5S fa proprie le tematiche più impellenti per l’elettorato e più scottanti per la UE/NATO (l’ostilità verso la moneta unica, il rifiuto alle installazioni militari americani, l’impopolarità delle sanzioni alla Russia, lo sdegno per la responsabilità degli angloamericani nel golpe ucraino, etc.) ma poi le castra, proponendo soluzioni irrealistiche o limitandosi a qualche innocua invettiva (il referendum sull’euro cui la nostra Costituzione non riconoscerebbe nessun valore, l’esultanza per la sentenza per il provvedimento della procura di Caltagirone con cui è stato sospeso il MOUS, generiche indignazioni contro la rivoluzione colorata ucraina, etc. etc.).

Ripercorriamo la breve parabola del M5S per dimostrare la nostra tesi.

Nell’autunno del 2012 imperversa la campagna elettorale per le imminenti politiche, dove, tra l’altro, l’apparato del PD è riuscito a bloccare l’Opa ostile di Matteo Renzi, cavallo di Troia degli americani, presentando Pierluigi Bersani come candidato premier.

Il duo Casaleggio-Grillo alza al massimo i toni dello scontro, non perché voglia espugnare i palazzi romani con la forza e mettere in discussione il sistema, ma perché deve risucchiare tutto il voto di protesta: è la fase dei “giornalisti carogne”, “se va avanti così ci sarà una rivoluzione violenta”, “il sistema sta collassando”, “la rivoluzione è iniziata” etc. etc..

L’imponente tsunami tour che porta Grillo in 87 città, e di cui manca qualsiasi rendicontazione sui costi e sulle fonti di finanziamento42, è un grande successo di piazza. Il 25 febbraio 2013, prima ancora che le urne siano chiuse, sul sito OpenDemocracy finanziato da George Soros si può leggere43:

There is no telling what the outcome of today’s remarkably uncertain Italian elections will be. But the real story might just be Beppe Grillo’s Movimento 5 Stelle, which could become the third political force in the country, and set a model for others in Europe to follow.

La profezia di Soros è corretta, perché M5S, raccogliendo il 25% delle preferenze, si afferma come la terza forza del Paese, dietro alle coalizioni guidate da Pierluigi Bersani e Silvio Berlusconi.

A questo punto scatta la seconda fase della strategia per cui M5S è stato studiato, ovvero la sterilizzazione del voto di protesta: entrati in Parlamento, i grillini bocciano qualsiasi tipo di alleanza in Parlamento, bollato come “inciucio”, condannando così all’irrilevanza gli 8 mln di voti raccolti.

Il problema che si pone per gli angloamericani è ora quello di sbarazzarsi di Pierluigi Bersani, portando Matteo Renzi prima alla segretaria del PD e poi a Palazzo Chigi.

A inizio di aprile 2013, in vista delle elezioni del nuovo presidente della repubblica, Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo si recano in pellegrinaggio all’ambasciata inglese per discutere sulle votazioni del nuovo presidente della Repubblica44.

È significativo che gli inglesi propongano loro la riconferma di Giorgio Napolitano: il loro obbiettivo è infatti bloccare ad ogni costo l’elezione di Romano Prodi, considerato anti-americano e filo-russo, assestando così un colpo definitivo anche a Pierluigi Bersani. Grillo si adegua, dichiarando che i suoi parlamentari non voteranno mai il professore bolognese45, mentre Matteo Renzi coalizza i famosi 101 parlamentari che affossano Prodi46: l’effetto domino non riserva sorprese e cadono prima Bersani e poi il premier Letta. L’americano Matteo Renzi è finalmente a Palazzo Chigi e può recitare un simpatico teatrino con il sodale Beppe Grillo, quando si incontrano tête-à-tête nel febbraio del 2014.

Siamo nella primavera del 2014 e si avvicinano le fondamentali elezioni europee di maggio, importanti non perché si decide la composizione dell’inutile Parlamento europeo, ma perché servono a dare un’investitura pseudo-democratica a Matteo Renzi, il cui ultimo vaglio elettorale risale alle comunali di Firenze del 2009.

Grillo riveste i panni dell’agitatore blanquista, coadiuvato dai sondaggi falsati e dai media che danno il M5S ad un soffio dal PD o addirittura in testa47: urlando come un ossesso “Siamo il primo partito! Siamo al 60%! Chiederemo le dimissioni di Napolitano e vinceremo le politiche!”, Grillo spinge il voto moderato, allarmato da una vittoria del M5S, verso il PD di Renzi. È la celebre vittoria del 40%, stranamente sfuggita a qualsiasi sondaggista, che consente a Renzi di presentarsi come il trionfatore delle europee, celebrato da tutti i media di regime (“Si legge PD, si scrive DC”48, “Con Renzi ha vinto il partito della Nazione”49).

Arriviamo all’autunno del 2014: malauguratamente per Renzi, ma soprattutto per 60 mln di italiani, le ricette della Troika si confermano fallimentari, il terzo trimestre del 2014 si chiude con un PIL a -0,1% rispetto all’anno precedente e ci si avvia verso l’ennesima stagione di recessione, con un PIL a -0,4% su base annua50.

La congiuntura economica dovrebbe fornire l’assist decisivo a Beppe Grillo: la cura della BCE-UE-FMI ha precipitato l’Italia nella depressione economica, Renzi ha fallito nell’impresa di rivitalizzare l’economia, la disoccupazione continua a crescere e il malcontento pure… È tempo di assestare il colpo decisivo al governo e scatenare quella “rivoluzione araba” promessa nel 201351.

Invece Giuseppe Piero Grillo che fa?

Sostiene di essere “un po’ stanchino, come direbbe Forrest Gump”52 e, tra lo sconcerto della base, passa la palla ad un direttorio di cinque parlamentari del M5S, sotto l’occhio vigile della Casaleggio Associati. Adieu, révolution!

Da allora, ghiottissime occasioni per mandare al tappeto le fatiscenti istituzioni della Repubblica italiana scorrono placidamente sotto i ponti (perché M5S non organizza un oceanico Vaffanculo-day in Piazza del Popolo contro Mafia Capitale? Misteri d’Italia).

In cambio, l’establishment euro-atlantico, lo stesso che marchia i video della Casaleggio Associati coll’occhio divino nel triangolo irradiato, prepara l’ennesima mostruosa trasformazione del M5S, questa volta in partito di governo da sostituire/affiancare al già fuso PD di Matteo Renzi.

Sull’americana La Stampa del 3 giugno si legge l’articolo53 “D’Alimonte: l’anti Renzi non può essere Salvini. Il politologo: con l’Italicum sarebbe più favorito Di Maio”.

Stanno apparecchiando un governo Renzi-Di Maio per tenerci agganciati alla UE?

P.S.: non ce ne vogliano i grillini per il nostro articolo. A noi interessa solo la verità. Per il resto, chioserebbe Gianroberto Casaleggio con un equivocabile motto massonico54, “honi soit qui mal y pense”.

 

 

1https://www.youtube.com/watch?v=OTE_Eshm2xw

2La altre Gladio, Giacomo Pacini, Einaudi Storia, 2014, pag. 275

3http://www.lastampa.it/2012/08/29/italia/cronache/cosi-intervenni-per-spezzare-il-legame-tra-usa-e-mani-pulite-tTSX3uC51vAtqfACDDKGUI/pagina.html

4http://www.italiaoggi.it/giornali/dettaglio_giornali.asp?preview=false&accessMode=FA&id=1617080&codiciTestate=1

5http://www.ilgiornale.it/news/usa-007-e-seychelles-lato-oscuro-pietro.html

6http://www.liberoquotidiano.it/news/libero-pensiero/936673/Facci-racconta-Mani-Pulite–cosi.html

7http://www.ilgiornale.it/news/interni/tonino-pendolare-stati-uniti-quattro-viaggi-avvolti-nel-833406.html

8http://www.liberoquotidiano.it/news/politica/11619935/Quando-Casaleggio-lavorava-al-ministero-con.html

9http://www.liberoquotidiano.it/news/politica/11619935/Quando-Casaleggio-lavorava-al-ministero-con.html

10Il Golpe Inglese, Mario José Cereghino e Giovanni Fasanella, Chiare Lettere, 2011, pag. 58

11http://spazioinwind.libero.it/gburrini/arch2002/olivetti.html

12http://archivio.panorama.it/news/politica/Gianroberto-Casaleggio-l-uomo-che-ha-inventato-Grillo

13http://www.panorama.it/news/politica/gianroberto-casaleggio-massoneria/

14http://www.auditorium.com/download/download/?file_id=5767123

15http://archiviostorico.corriere.it/1993/giugno/09/NUOVO_PIGNONE_ceduta_entro_anno_co_0_93060910298.shtml

16http://www.01net.it/il-45-di-logicasiel-a-olivetti-che-lancia-webegg/

17http://www.marketpress.info/notiziario.php?g=20000223

18http://www.01net.it/logicasiel-neon-alleanza-per-il-middleware/

19http://www.avweb.com/news/profiles/182463-1.html

20http://www.affaritaliani.it/politica/casaleggio-ecco-il-guru-che-ha-creato250512.html

21https://www.telecomitalia.com/content/dam/telecomitalia/it/archivio/documenti/Investitori/AGM_e_assemblee/2005/Olivetti-2001-bilancio.pdf

22http://www.valuepartners.com/downloads/PDF_Comunicati/scrivono%20di%20noi/2004/rep_040615_computerworld_acquisizione.pdf

23https://www.youtube.com/watch?v=_KOR4EmTouU

24http://www.theguardian.com/world/2004/nov/26/ukraine.usa

25http://www.blitzquotidiano.it/politica-italiana/chi-e-gianroberto-casaleggio-influencer-beppe-grillo-1339710/

26https://www.youtube.com/watch?v=mRhqllCLjss

27http://mag.corriereal.info/wordpress/?p=20432

28https://it.linkedin.com/in/rapetto

29http://www.faisalhoque.com/pdf/NetForum1104.pdf

30http://www.ilfattoquotidiano.it/wp-content/uploads/2013/05/AA-CASALEGGIO-ASSOCIATI-6626519-Bilancio-Ottico.pdf

31http://www.unita.it/italia/m5s-di-pietro-casaleggio-grillo-web-grillini-guru-movimento-cinquestelle-italia-valori-idv-pm-blog–1.506600

32https://www.youtube.com/watch?v=HsJLRX-nK4w

34http://www.beppegrillo.it/2005/12/radio_londra.html

35http://www.lastampa.it/rw/Pub/Prod/PDF/4aprile2008.pdf

36http://www.forbes.com/2009/01/29/web-celebrities-internet-technology-webceleb09_0129_land.html

37http://www.corriere.it/esteri/14_luglio_05/scandalo-pedofilia-westminster-mistero-dossier-scomparso-10033346-042a-11e4-80b4-bb0447b18f3b.shtml

38http://www.corriere.it/esteri/14_luglio_05/scandalo-pedofilia-westminster-mistero-dossier-scomparso-10033346-042a-11e4-80b4-bb0447b18f3b.shtml

39http://www.beppegrillo.it/2013/12/oltre_-_v3day_micah_white_e_la_solidarieta_globale.html

40http://www.ilpost.it/2013/12/11/morra-m5s-forconi/

41http://www.adnkronos.com/fatti/cronaca/2015/01/13/forconi-blocchi-nel-torinese-processo-nel_4M2G8WINwgJAiHoP6K1OtN.html

42http://www.panorama.it/news/politica/grillo-il-rendiconto-dello-tsunami-tour-e-falso/

43https://www.opendemocracy.net/jamie-bartlett/beppe-grillos-five-star-revolution

44http://www.secoloditalia.it/2014/05/gli-strani-incontri-di-casaleggio-e-grillo-allambasciata-inglese-con-letta-che-pranzava-al-piano-di-sotto/

45http://www.lastampa.it/2013/04/19/italia/speciali/elezione-presidente-repubblica-2013/grillo-votare-prodi-non-esiste-DWxYl9vvEDtafqaw205gaP/pagina.html

46http://www.ilgiornale.it/news/politica/fassina-accusa-renzi-era-capo-dei-101-che-fecero-fuori-prodi-1085115.html

47http://www.repubblica.it/speciali/politica/elezioni-europee2014/2014/05/26/news/sondaggi_flop_europee-87221057/

48http://espresso.repubblica.it/palazzo/2014/05/26/news/si-scrive-pd-si-legge-dc-1.166704

49http://www.unita.it/politica/elezioni-2014/voto-renzi-vinto-partito-nazione-evento-italia-europa-argine-garanzia-sinistra-grillo-protesta-stato-1.572042

50http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-11-14/istat-pil-01percento-iii-trimestre-04percento-2013-economia-italiana-ai-livelli-2000-100100.shtml?uuid=AB5wcqDC

51http://www.giornalettismo.com/archives/869691/la-primavera-araba-di-beppe-grillo/

52http://www.corriere.it/politica/14_novembre_28/grillo-io-blog-non-bastiamo-piu-nomina-cinque-vice-voto-rete-f65f46e8-76e6-11e4-90d4-0eff89180b47.shtml

53http://www.lastampa.it/2015/06/03/italia/politica/dalimonte-salvini-non-pu-essere-lanti-renzi-e73xzRtvBnEkSZwO11X0jN/pagina.html

54http://www.beppegrillo.it/2012/05/honi_soit_qui_mal_y_pense.html

 

ΣΥΡΊΑ 10.06.2012, di Giuseppe Germinario

ΣΥΡΊΑ

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Non tutti hanno la fortuna di godere delle eteree certezze sull’universo mondo di cui dispone Bernard-Henry Levy, in arte BHL. Le nouveau philosophe, discepolo, ahimè, anche se dozzinale, di Althusser, ha iniziato la sua folgorante carriera nei migliori salotti strappando quella maschera umanistica al marxismo che altrettanti marxisti decadenti, dal cuore cedevole al pari del rigore analitico, hanno appiccicato allo scienziato di Treviri; lo ha fatto, però, per riproporre un suo umanesimo a “la carte”, in barba agli insegnamenti del suo maestro all’Ecole Normale.

La apparente linearità del pensiero “debole” trova spazi accoglienti in quegli ambienti ben disposti a farsi dettare le ultime verità, specie in periodi di facile smarrimento.

BHL, infatti, ormai al crepuscolo in Francia, trova sempre più frequente ospitalità nientedimeno che sul Corriere nostrano, un tempo acerrimo nemico.

Dopo la sua marcia trionfale a Bengasi a sostegno della primavera libica, omaggiata con sguardo ammirato dal “Corrierone” pur con qualche stonatura, eccolo di nuovo a perorare con toni melensi e indignati, sulla stessa testata, il sostegno diretto alla “primavera siriana” sino a rammentare pubblicamente ad Holland il significato della gentile concessione del suo voto e favore all’allora candidato ed attuale presidente di Francia.

Si sa che gli umanisti quanto più si accaniscono con veemenza nel difendere l’ UOMO, tanto più infieriscono e abusano degli uomini in carne ed ossa, per lo più indegni di incarnare il loro idealtipo; poco propensi a mettere a repentaglio la propria vita, bene troppo prezioso per l’umanità e meritevole, per questo, di sicurezza e benevole licenze, quanto più riescono a inveire contro il dittatore reo delle peggiori nefandezze verso la propria gente, tanto più rimangono abbagliati dai proclami di un qualsiasi assembramento di persone le quali il più delle volte proiettano le proprie esigenze di emancipazione su quelle di una massa con ben altri orientamenti e propositi. Rendendosi conto, in corso d’opera, che per fare una rivoluzione non bastano i messaggini di Twitter e Facebook, agli umanisti illuminati non resta altro che fare appello, per il buon esito della causa, all’arrivo poco sportivo ma rassicurante dei “nostri” in groppa a cavalli e draghi d’acciaio e all’azione sul terreno dei peggiori tagliagole per l’occasione investiti alla bell’e meglio di doti e sembianze “umanistiche” e “democratiche”.

Pensavo che la fine tragica di Gheddafi e di suo figlio, l’intera vicenda libica rappresentassero lo zenit di questa rappresentazione e di questi istrioni.

Si è trattato invece di un primo rudimentale esperimento, alla fine riuscito con qualche difficoltà di troppo, ma ancora con tanti aspetti dilettanteschi da regolare, legati alla balordaggine di alcuni protagonisti e gran parte delle comparse, all’improvvisazione di alcune costruzioni mediatiche (vedasi il cimitero di Tripoli spacciato per fossa comune) e alla stonatura  reiterata di alcuni compartecipi dello scenario libico; vedasi la Chiesa Cattolica impersonata dal vescovo Martinelli. La grottesca ritrattazione di quest’ultimo, dopo una lunga catechizzazione in Vaticano, non ha fatto altro che aggiungere la beffa al grottesco e far crollare la credibilità del pastore di anime romano sino alla sua degradazione a cane da guardia del gregge per conto terzi.

La Siria, purtroppo per quel paese e per quel popolo, rischia al contrario di diventare un campo di azione e di battaglia dalle regie meno improvvisate.

Lo scenario si presenta decisamente più complesso e incerto di quello libico, ma con gli schieramenti più definiti.

Gli strateghi del pantano e della destabilizzazione non possono rischiare uno stallo di tipo afghano a pochi mesi dalla probabile rielezione della loro maschera alla Casa Bianca. Non solo; qualcuno tra di essi, all’interno dei servizi e dell’apparato militare statunitense, vorrebbe indurre ad una maggiore cautela nella manipolazione e nella istigazione di forze che potrebbero rivoltarsi in un breve volger di tempo.

Così, anche se in maniera ancora latente, cominciano ad apparire le prime discrepanze con gli oltranzisti dei diritti umani e degli interventi umanitari pronti sempre e comunque a strepitare. Questi ultimi capeggiati dalla Hillary Rodham in Clinton al centro dello schieramento; con i satelliti occidentali, in particolare Francia e Gran Bretagna, ad incitare e fomentare, consapevoli che solo da una acutizzazione progressiva dello scontro con Russia e Cina possono sperare di alzare il prezzo della loro collaborazione e ritagliarsi qualche lembo periferico dell’impero; con le forze ed i paesi presenti nella regione impegnati a ritagliarsi, in competizione tra loro, sfere di influenza locali a spese delle vittime via via designate.

In quest’ultimo anno e mezzo la Libia è stato il bacino di decantazione di queste forze: la Turchia ha sciolto ogni originaria incertezza manifestata all’inizio del conflitto e rivelato il patto di ferro sottoscritto, dopo anni di attriti, tra Erdogan e i militari turchi, sul cui altare sono stati sacrificati i rapporti con la Russia e le buone relazioni con il vicinato, in particolare Siria e Iran e consolidati i rapporti con gli Stati Uniti; la Francia ha cercato, con il suo interventismo eterodiretto e ostentato, di interrompere la continua erosione anche violenta delle sue aree di influenza ad opera soprattutto del suo ingombrante alleato americano, ma anche di Cina e Russia.

Quali siano i risultati di tanto attivismo servile transalpino, li abbiamo visti dalle turlupinature subitanee ricevute in Libia e da quelle che arriveranno dalla destabilizzazione dell’intera Africa Subsahariana a seguito della dissoluzione dello stato libico; i sauditi sono entrati in aperta competizione regionale oltre che con l’avversario storico iraniano, anche con la Turchia islamizzata.

La Siria rischia di diventare il terreno di confronto e di scontro di queste forze, in parte ormai sedimentate le quali hanno comunque trovato nella distruzione degli stati laici e nazionalisti residui il campo di azione comune da occupare per contendersi e accaparrarsi le spoglie.

Si tratta comunque di forze, queste ultime, ancora fragili e precarie all’interno delle loro stesse basi di partenza, che poggiano spesso e volentieri ancora su clan e tribù e con una forza integralista tanto radicale quanto pronta a frantumarsi a contatto con le realtà locali; suscettibili, quindi, di diventare repentinamente, a loro volta, vittime.

Il terreno ideale per i giochi geopolitici spregiudicati delle potenze dominanti. Il discorso di Obama al Cairo, tre anni or sono, con le sue profferte di “dialogo” al mondo islamico, ufficializzò questa strategia, per altro già in corso;  oggi prosegue con qualche cautela da parte di taluni e con spregiudicatezza distruttiva da parte di altri.

Non più tardi di alcuni giorni fa, ancora la Hillary Clinton ha denunciato con veemenza e faccia tosta l’espansione di Al Qaeda nel mondo, dopo aver incoraggiato ed alimentato ancora una volta generosamente le attività dei suoi scherani e tagliagole in Libia e Siria, rilasciando loro entusiasti attestati di democraticità.

Non è certamente l’unica; gli stessi nazionalisti, oggi vittime in Libia, Siria e Algeria, in passato ed alcuni ancora oggi, hanno alimentato e foraggiato le fila di questi militanti apolidi per i più svariati motivi. Ma è certamente la più disinvolta, grazie forse allo sguardo panoramico consentito dal suo punto di vista centrale.

Oltre alle contingenze politiche interne al paese dominante, la situazione di stallo apparente in Siria è determinata da altri tre fattori altrettanto importanti in relazione tra loro e assenti nell’intervento in Libia:

ñ  la resistenza di Cina e Russia all’intervento occidentale e il sostegno diretto dell’Iran al Governo Siriano. Per l’Iran è evidente il rischio diretto che correrebbe con la sconfitta di Assad. Per la Russia il valore simbolico di un cedimento sarebbe enorme, oltre alla perdita della presenza militare residua nel Mediterraneo. Perderebbe ogni residua capacità di conflitto regolato e contrattazione con gli americani e le rimarrebbero le sole carte della remissione e della disperazione

ñ  la relativa solidità e capacità di resistenza del regime di Assad

ñ  la presenza di una parte importante dell’opposizione che, di fronte al rischio di una dissoluzione e una occupazione del paese, ha preferito interrompere le ostilità e tentare un accordo diretto con il regime di Assad piuttosto che diventare uno strumento e la maschera presentabile di forze forcaiole esterne. Una scelta affatto gradita dallo schieramento occidentale non a caso impegnato a coprire le provocazioni terroriste tese a innescare la dinamica repressione indiscriminata, proteste, intervento straniero. Le conseguenze evidenti sono l’incapacità di una opposizione oltranzista più agguerrita ma meno radicata di quella libica di costituire quella testa di ponte necessaria a consentire l’intervento diretto esterno e la creazione di aree franche.

A rendere più trasparente e delineata la situazione in campo in Siria, rispetto alla Libia, è, inoltre, il silenzio assordante della Chiesa Cattolica, conferma evidente di una scelta di campo magari estorta, non ostante la presenza nel paese di una comunità cristiana di oltre due milioni di persone (10% della popolazione) schierata per lo più contro l’interventismo esterno. Del resto, quella comunità, nel corso dei secoli, ha dovuto spesso difendersi più dalle persecuzioni dei correligionari, compresi i crociati, che da quelle dei mussulmani; nelle comunità ristrette la memoria, spesso, rimane più viva che in quelle allargate.

In questo contesto, l’attivismo frenetico dei ribelli sul posto e delle potenze satelliti nel supporto militare e nella propaganda sembrano colpi di mano tesi a forzare una situazione che, dopo la eventuale rielezione di Obama, potrebbe sfuggire di mano agli oltranzisti della strategia del pantano.

L’invito recente di Obama rivolto a Putin, per il tramite di Medvedev, a pazientare, probabilmente non riguardava solo l’ambito del confronto militare strategico, ma anche e soprattutto il contenzioso geopolitico di alcune zone, tra cui la Siria e la definizione dei rapporti economici; uno spiraglio che consentirebbe a Putin di definire, al proprio interno, un compromesso più solido con le forze “sensibili” ai richiami del mondo occidentale.

È probabile che l’epilogo della vicenda comporterà comunque la defenestrazione di Assad, ma lo scenario è tutto da costruire, tanto più che le forze lealiste risultano ancora in grado di ritorcere le intromissioni, fomentando a loro volta le divisioni in Turchia e Libano.

La Siria sta diventando un caso esemplare che consente di intuire e individuare le dinamiche di conflitti, alleanze e influenze tra i vari gruppi strategici in competizione, così come teorizzate dal nostro blog.

Sta rivelando, inoltre, un affinamento significativo della macchina propagandistica.

All’adulazione dozzinale dei rivoltosi libici e all’utilizzo rozzo e sfrontato delle costruzioni mediatiche si sovrappongono un uso più sapiente delle immagini e reportage sulla condizione del paese, sulla modernità delle relazioni sociali cui non corrisponderebbe l’organizzazione clanica del sistema di potere degli Assad; si prefigura una svolta che nel lungo periodo (sic!) porterebbe all’affermazione di una società dei diritti e della cittadinanza; nel lungo periodo, appunto, quasi a premunirsi sulla possibilità di svolte di breve periodo in tutt’altra direzione.

Qualche sforzo cerebrale più significativo rispetto alla macelleria di ogni raziocinio perpetrata durante la guerra a Gheddafi.

Segno che anche l’opinione pubblica è diventata un po’ più esigente e diffidente.

http://www.marianne2.fr/Syrie-pourquoi-la-revolution-n-est-pas-pres-de-s-arreter_a219385.html

http://inshallah.comunita.unita.it/2012/06/05/siria-un-appello-ai-media-italiani/

SIRIAN CONNECTIONS : LA PACE AVANZA IN SEGRETO: ISRAELE TEME I RUSSI E GLI USA LA TURCHIA. di Antonio de Martini

un articolo di Antonio de Martini, uno dei maggiori esperti italiani del mondo arabo e di questioni mediorientali, tratto da il corrieredellacollera.com

Con la ripresa del controllo di Palmira da parte delle truppe lealiste, la situazione, se non fosse tragicamente sanguinosa, giunge al culmine della comicità. L’ennesimo comandante americano in tour assieme ai giornalisti  – Joseph L.Votel,  sembra un sosia del comico Jerry Lewis ed è il capo dell’US central Command – aveva appena dichiarato ai reporter del suo seguito di voler aumentare i mezzi USA in zona per liberare Palmira con una frase cui siamo ormai abituati: ” that’s an option”.L’ha pronunziata con tanta convinzione da indurre l’inviato del New York Times, Michel L. Gordon,  a riferirla virgolettata.

La settimana dopo, le truppe siriane riprendevano Palmira ( Tadmor in arabo) e iniziavano i lavori di sminamento come annunziato dal portavoce del Cremlino Dimitri Peskov.

Nel frattempo, Tom Perry della Reuters da Amman rivelava che sul fronte occidentale ( l’area che va dal confine giordano al Giabal Druso e confina con Israele) la CIA aveva sospeso addestramento , salari ai combattenti e rifornimento di munizioni anche ai ribelli del FSA ( Free Sirian Army), ossia alla fazione più vicina agli USA ed ai suoi interessi.

Sul fronte orientale ( confine Siria-Turchia e costa attorno ad Aleppo) la situazione è al calor bianco.

Dopo la conquista della cittadina di Al Bab, strappata al Daesch grazie a una azione congiunta ribelli del FSA, truppe turche e osservatori USA che hanno fornito appoggio aereo, il fronte unitario si è sfilacciato di fronte al rifiuto turco di accettare che l’YPG ( milizie curde appoggiate da Israele) vengano riforniti ad integrazione degli evidentemente sparuti ribelli del FSA.

Non solo, approfittando della loro presenza  in territorio siriano, i turchi, per bocca del ministro degli esteri  Mevlut Cavusoglu hanno inviato un ultimatum : se entro 48 ore l’YPG non avesse evacuato la città di frontiera di Minbej, avrebbero provveduto le truppe turche.

A questa dichiarazione, ha replicato il Consiglio Militare di Minbej ( che fa parte del FDS, Fronte Democratico Siriano) di aver raggiunto un accordo, mediato dai russi, che le truppe regolari siriane verranno accettate e si interporranno lungo l’intera frontiera vanificando così l’operazione ” Scudo sull’Eufrate” ideata dai turchi e mostrando chiaramente di preferire il regime di Assad piuttosto che una occupazione turco-americana.

La sorpresa è stata totale: che Assad si fidasse dei russi si sapeva da un pezzo. Che i ribelli del FSA ed il loro organo politico FDS preferissero la mediazione russa e la protezione delle truppe siriane a quella NATO rappresentata dai turco-americani, è veramente dura da digerire.

Naturalmente, anche nelle cose illogiche la logica c’é.

La Siria continua a disporre con intelligente parsimonia delle proprie truppe. Ha ripreso Palmira infliggendo un duro colpo ai banditi del Daesch che avevano abbandonato il campo dopo aver minato fino all’inverosimile la zona archeologica. Lo aveva saputo anche il generale americano e voleva fare una bella rentrée in territorio siriano, ma è stato preceduto da Assad.

La interruzione dei rifornimenti ( e degli stipendi) sul fronte nord, è stata ufficialmente attribuita al rifiuto delle varie milizie all’unificazione, ma non è vero. Il fronte nord, come abbiamo visto, è ben più frazionato e addirittura in lotta con le altre milizie che si dicono alternative a Assad.

La realtà è ben più consolante:in tutta la zona frontaliera con Israele le armi devono tacere. La Siria ha annunziato ufficialmente che vuole riconquistare quel territorio ed ha ammonito ( dopo cinque anni di incursioni subite in silenzio) Israele a non interferire.  Ora la Siria ha ripreso Aleppo, svincolando altre truppe ed ha al suo fianco un alleato impegnato militarmente. Ecco un altra area in cui si apre uno spazio di mediazione per la Russia e questa scelta è stata certamente negoziata in segreto.

La chiave per giungere alla pace, per ora,  è a Ginevra , dove l’ HCN ( alto comitato negoziale, legato agli USA) sta sabotando i negoziati di pace con i gruppi di lavoro di Mosca e del Cairo  dove stanno negoziando le sigle della rivolta che sono più in contatto con la Russia.

Resta l’ostacolo reale del fronte nord dove la Turchia non vuole rinunziare a schiacciare i curdi e gli USA che li hanno già abbandonati due volte in Irak, non se la sentono di farlo per la terza volta. Ma è una brutta figura che vale l’alleanza della Turchia.

Altro indizio che la pace sia segretamente in cammino è dato dall OSCH, la strana organizzazione del signor Abdelrahman ( marito della prof del caso Regeni?)che , giunto a cinquecentomila vittime della guerra, ha iniziato a scendere. Ieri era tornato a quattrocentomila. Buon segno.

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