Punti di incontro, Kazan, di scontro, Siria! Con Roberto Iannuzzi, G Germani, C Semovigo

Il vertice conclusivo di quest’anno dei BRICS, a Kazan, è stato certamente un successo dal punto di vista dell’immagine e della narrazione. Dal punto di vista dei contenuti, molto più interlocutorio. Sono numerose le ombre che hanno tratteggiato l’atmosfera e le aspettative; altrettanto gli sprazi di luce che hanno illuminato la scena. Molta sostanza necessaria a trarre un bilancio di quest’anno di gestione russa della presidenza è scritta nei documenti preparatori, piùttosto che in quello finale. Risalta, certamente, la volontà di apparire come una realtà riequilibratrice e pacificatrice, rispetto agli atteggiamenti sempre più divisivi assunti dagli Stati Uniti e dal mondo occidentale. Di sicuro appare un movimento in fase di costruzione che ha un disperato bisogno di tempo per poter realizzare le proprie ambizioni rispetto a un Occidente deciso ad incalzare ossessivamente, anche oltre, probabilmente, i propri mezzi disponibili. Ne parliamo con Roberto Iannuzzi.
Grafica e montaggio curati da Cesare Semovigo. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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IMBOSCATA ALL’ITALIANA Con Gabriele Germani, Cesare Semovigo

Notizie e commenti su Libano, Palestina ed Israele che difficilmente raggiungono il pubblico italiano. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Stati Uniti, elezioni! La nebbia sul voto Con Gianfranco Campa, C. Semovigo, G. Germinario

Due aspetti cominciano ad emergere in questa conversazione: il peso che potrà avere la manipolazione del voto e dello spoglio; l’importanza dell’elezione dei rappresentanti del Congresso, concomitante con quella del presidente. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Due fuochi, un incendio? – con Roberto Buffagni, G Germinario, Cesare Semovigo, Gabriele Germani

Prosegue la collaborazione con il canale di Gabriele Germani @Gabriele.Germani
A che punto delle dinamiche geopolitiche siamo arrivati? Qual’è la natura dei due grandi conflitti in corso in Ucraina e Vicino Oriente? Ci sarà scampo per i perdenti? Sono i quesiti che pian piano affiorano in un confronto apparentemente interminabile. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
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Stati Uniti, elezioni! A poche settimane dal voto 1a p Con Gianfranco Campa, Giuseppe Germinario, Cesare Semovigo

Calma apparente, prima della tempesta. Harris il più in ombra possibile. Più appare, più sono evidenti i limiti di un personaggio artefatto. Trump, inafferrabile ed estemporaneo. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
Per motivi legati alle difficoltà di registrazione e montaggio il filmato appare a due settimane dalla registrazione.

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Osservazioni del Ministro degli Esteri Sergey Lavrov e risposte alle domande dei media dopo il 19° Vertice dell’Asia orientale, Vientiane, 11 ottobre 2024

Qui sotto illustriamo le posizioni sostenute dai tre principali paesi (Russia, Cina, Stati Uniti) al vertice ASEAN tenutosi sino a ieri, 11 ottobre. Al netto delle esigenze di comunicazione, si riescono comunque ad individuare le diversità di impostazione offerte. Sarà interessante riflettere sulle implicazioni e sul reale interesse dei paesi europei e dell’Italia nel presentarsi in un contesto così cruciale al carro e stretti dai vincoli della NATO. Se possibile vedremo di illustrare le posizioni degli altri paesi più importanti che si affacciano in quell’area. Giuseppe Germinario

Osservazioni del Ministro degli Esteri Sergey Lavrov

Buon pomeriggio,

Abbiamo completato i nostri incontri nell’ambito del 19° Vertice dell’Asia orientale. Il Presidente della Russia Vladimir Putin mi ha incaricato di rappresentarlo a questo evento.

Le discussioni hanno dimostrato che i nostri colleghi occidentali, che sono partner dell’ASEAN, proprio come la Russia, la Cina e l’India – questi colleghi occidentali hanno cercato di minare l’architettura economica e di sicurezza multilaterale che si è sviluppata nel corso di decenni con l’ASEAN al centro e che ha dimostrato la sua rilevanza ed efficacia.

Tuttavia, oggi è evidente che gli Stati Uniti e i loro alleati hanno deciso di attirare la regione Asia-Pacifico nella sfera di interessi della NATO creando tutte queste associazioni militari e politiche ristrette ed esclusive a guida statunitense. Tra queste c’è la troika formata da Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud. C’è anche il trio Stati Uniti, Giappone e Filippine. Per l’Indo-Pacifico, hanno creato il Quad, che comprende Australia, Nuova Zelanda, Corea del Sud e Giappone. Tutto ciò non favorisce gli sforzi collettivi, mentre frammenta questo spazio comune dividendolo in amici e nemici.

Abbiamo evidenziato che questa politica occidentale può portare alla militarizzazione della regione, minacciando anche la stabilità e lo sviluppo sostenibile nella parte asiatica del nostro continente condiviso.

La Russia ha ribadito il suo incrollabile sostegno ai Paesi dell’ASEAN nei loro sforzi per preservare la pace e garantire una cooperazione paritaria con tutti i partner dell’ASEAN.

L’Occidente vuole fare dell’ASEAN il suo partner principale. E lo scopo principale di questa partnership sarebbe quello di contrastare gli interessi di Russia e Cina. Per quanto riguarda le relazioni della Russia con l’ASEAN, da oltre tre decenni stiamo costruendo la nostra cooperazione strategica con questa associazione sulla base di un’agenda indipendente e libera da qualsiasi considerazione politica momentanea. L’anno prossimo ricorrerà il 20° anniversario del primo vertice Russia-ASEAN e dell’adozione della Dichiarazione congiunta sul partenariato progressivo e globale.

Invece di utilizzare gli eventi organizzati nell’ambito del Vertice dell’Asia orientale per perseguire interessi politici acquisiti, la Russia ha optato per la promozione di iniziative in diversi ambiti, tra cui la risposta alle pandemie, i contatti interpersonali, compreso il turismo, e il sostegno al volontariato. Offriamo percorsi pratici per lavorare insieme che possono portare benefici a tutti i partecipanti e sosteniamo una cooperazione paritaria e reciprocamente vantaggiosa.

Durante questo incontro, abbiamo presentato una proposta per lavorare insieme sullo sviluppo dei territori remoti. Si tratta di un tema importante per noi, come per molti Paesi dell’ASEAN.

Durante l’incontro odierno, abbiamo esposto e diffuso la nostra prospettiva generale in materia di connettività culturale e sociale, che è diventata particolarmente rilevante considerando la diffusione di ideologie distruttive e i tentativi di offuscare ed eliminare i valori tradizionali.

Alcune idee che abbiamo ascoltato dai nostri colleghi dell’ASEAN sul rafforzamento dell’architettura regionale possono essere considerate complementari alla ben nota iniziativa della Russia di creare un’architettura di sicurezza indivisibile e di sviluppo equo per l’Eurasia.

L’Associazione ha ospitato per la terza volta al Vertice dell’Asia orientale il Segretario generale dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai. Egli ha avanzato una proposta positiva per promuovere contatti più stretti tra la SCO e l’ASEAN in vari ambiti rilevanti per i Paesi coinvolti. Abbiamo potuto constatare che la SCO e l’ASEAN sono partner naturali non solo in termini di geografia, ma anche considerando il fermo impegno dei Paesi membri nei confronti dei principi di cooperazione sovrana e reciprocamente vantaggiosa, tenendo conto degli interessi reciproci.

Abbiamo accolto con favore il fatto che diversi Paesi ASEAN vogliano stringere legami più stretti con i BRICS. Oggi questa struttura è una delle pietre miliari di un ordine mondiale multipolare. Tra pochi giorni, Kazan ospiterà il Vertice dei BRICS, che sarà un grande evento internazionale. Diversi Paesi dell’ASEAN sono stati invitati a parteciparvi e hanno accettato l’invito.

Non abbiamo dubbi che gli approcci che sviluppiamo all’interno dei BRICS per affrontare varie questioni di attualità possano servire anche ai partecipanti ai vertici dell’Asia orientale, in particolare agli Stati membri dell’ASEAN.

Domanda: Cosa o chi ha impedito l’adozione della dichiarazione finale?

Sergey Lavrov: In poche parole, la dichiarazione finale non è stata adottata a causa dei persistenti tentativi di Stati Uniti, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda di trasformarla in una dichiarazione puramente politica, contrariamente alla prassi decennale dei vertici dell’Asia orientale, che si riduce a impedire la saturazione delle dichiarazioni con narrazioni geopolitiche conflittuali. Negli ultimi anni, queste dichiarazioni si sono concentrate sulla cooperazione pratica in ambito economico, commerciale, degli investimenti e umanitario. È evidente a tutti che i tentativi di politicizzare queste sfere di lavoro sono controproducenti.

Lo scorso anno abbiamo adottato il Piano d’azione del Vertice dell’Asia orientale. Quest’anno abbiamo presentato una serie di proposte pratiche volte a realizzare progetti nei settori previsti dal piano.

L’Occidente ha sistematicamente ostacolato queste azioni, pretendendo che ci assumessimo la responsabilità di tutti i peccati capitali in relazione agli sviluppi in Ucraina, dove gli Stati Uniti e i loro alleati hanno provocato un colpo di Stato e da allora sostengono le attività del regime criminale di Kiev. Questo è il motivo principale. Le nazioni dell’ASEAN si rendono perfettamente conto che questo non può promuovere la cooperazione nel formato dei vertici dell’Asia orientale.

Domanda: Quando commentando i risultati della riunione dei ministri degli Esteri Russia-ASEAN tenutasi qui, in Laos, nel luglio 2024, lei ha affermato che l’Associazione ha sostenuto l’idea e apprezzato la promozione da parte della Russia di un’architettura centrata sull’ASEAN nella regione. Quali azioni dell’ASEAN la Russia apprezza nel contesto delle sue preoccupazioni regionali?

Sergey Lavrov: Per il ruolo centrale dell’Associazione. Siamo convinti che il rafforzamento del suo ruolo centrale, che è un compito difficile quando i nostri colleghi occidentali cercano di dividere l’ASEAN, richieda una grande volontà politica. I Paesi dell’ASEAN ce l’hanno di sicuro.

Domanda: Poco prima del vertice, il nuovo primo ministro giapponese ha proposto di creare un analogo asiatico della NATO. Ha affermato che altrimenti sarebbero possibili nuovi conflitti nella regione. Cosa potrebbe minacciare la regione e cosa si può fare per respingere queste minacce?

Sergey Lavrov: Qualsiasi forma di militarizzazione e qualsiasi proposta relativa a nuovi blocchi militari è gravata dal rischio di scontri, che possono evolvere in una “fase calda”.

Per quanto riguarda il Giappone, siamo seriamente preoccupati per la sua ri-militarizzazione. Avendo dimenticato le lezioni della Seconda guerra mondiale, le autorità giapponesi hanno dichiarato di aver aumentato le spese per la difesa e di aver incrementato le proprie dottrine di base con una capacità di attacco preventivo.

Il Giappone sta aumentando il suo coinvolgimento nei piani di difesa balistica globale degli Stati Uniti, con il possibile dispiegamento in Giappone di missili lanciati da terra a raggio intermedio e più corto. In generale, si sta preparando a rafforzare la propria capacità militare sia in ambiti tradizionali che in nuovi ambiti, come il cyberspazio e lo spazio esterno.

Il Giappone sta partecipando a un maggior numero di esercitazioni navali con gli Stati Uniti e altri Paesi della NATO. Si sta lavorando per allineare i formati dei blocchi ristretti. Uno è il partenariato Giappone-Corea del Sud-Stati Uniti e l’altro è la piattaforma Stati Uniti-Giappone-Filippine, in via di costituzione.

Il Giappone ha dichiarato apertamente di essere pronto a partecipare a missioni nucleari congiunte con gli Stati Uniti e di essere interessato ad aderire al progetto AUKUS.  Questo comporta rischi evidenti. Ne discutiamo regolarmente all’AIEA.

Questo chiaro rifiuto di abbandonare la via dello sviluppo pacifico è per noi motivo di preoccupazione. Potrebbe portare al collasso dell’attuale architettura globale e alla sua sostituzione con l'”ordine basato sulle regole”, di cui il Primo Ministro giapponese ha parlato a lungo durante il nostro incontro di oggi. Questa politica è attivamente e apertamente incoraggiata dagli Stati Uniti.

L’ambasciatore statunitense in Giappone ha recentemente dichiarato che gli Stati Uniti stavano pensando di creare una “coalizione di difesa commerciale” di circa 50 Paesi della regione Asia-Pacifico per “isolare Pechino economicamente”. In altre parole, l’aggressività e il confronto non sono incoraggiati solo nella sfera politico-militare, ma anche in quella economica, ostacolando così l’idea universale di promuovere formati inclusivi di cooperazione economica reciprocamente vantaggiosa.

Domanda:

Sergey Lavrov: Questo argomento non è stato sollevato nelle sessioni plenarie.

Come ho detto, alcuni Paesi dell’ASEAN sono stati invitati al Vertice BRICS di Kazan del 22-24 ottobre. Hanno accettato l’invito. Quindi, li vedrete tutti lì.

Domanda: Anche prima di questo vertice, la stampa statunitense scriveva che gli Stati Uniti avrebbero cercato di mettere in primo piano il conflitto nel Mar Cinese Meridionale e quello in Ucraina. Ci sono riusciti?

Sergey Lavrov: Ci hanno provato, ma il tentativo non ha avuto alcuna risposta tra i membri dell’ASEAN. I partecipanti del gruppo filo-occidentale, tra cui Giappone, Nuova Zelanda e Australia, hanno fatto eco alla retorica statunitense, ma ciò non ha avuto alcun effetto effettivo sulla discussione.

Nella vita reale, gli Stati Uniti stanno costruendo alleanze politico-militari di tipo chiuso. Questa politica mira a contenere sia la Cina che la Russia.

La questione del Mar Cinese Meridionale è stata sollevata molto spesso nelle dichiarazioni dei partecipanti. Il premier cinese Li Qiang, che ha rappresentato Pechino all’evento, ha ribadito il suo interesse a che tutte le questioni relative alle dispute territoriali nel Mar Cinese Meridionale siano risolte sulla base del diritto internazionale – in particolare, la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 – e nel quadro dei negoziati in corso tra Cina e ASEAN. Le parti hanno già adottato due dichiarazioni sui principi che dovrebbero guidare il loro ulteriore lavoro. Ora sono vicine a un accordo su un Codice di condotta nel Mar Cinese Meridionale.

Domanda: Lei ha già detto che Washington ha bloccato l’adozione della dichiarazione finale dell’EAS. Tuttavia, gli Stati Uniti continuano davvero a usare la piattaforma del Vertice dell’Asia orientale per combattere Russia e Cina?

Sergey Lavrov: Esatto. Questi sono gli obiettivi della loro attuale politica di promozione di un “Indo-Pacifico libero e aperto”. Si tratta di uno slogan paradossale, dato che tutte le misure pratiche adottate dagli Stati Uniti e dai loro alleati mirano a escludere Russia e Cina e a conquistare il maggior numero possibile di membri dell’ASEAN dalla loro parte. Washington sta corteggiando attivamente le Filippine. Il concetto da cui gli Stati Uniti sono attualmente guidati non fa alcun riferimento a una regione indo-pacifica “libera e aperta”.

Quando oggi gli Stati Uniti e i loro alleati hanno ribadito all’unanimità il loro impegno a favore del ruolo centrale dell’ASEAN nel facilitare la cooperazione nella regione, sono stati disonesti, per usare un eufemismo. In realtà, tutto ciò che fanno è finalizzato a contenere la Russia e la Cina. Tutto ciò che è stato realizzato nel formato centrato sull’ASEAN per decenni viene ora sacrificato a questo obiettivo. Quel formato era conveniente per tutti e incorporava gli interessi di ogni singola parte interessata. La natura distruttiva delle azioni di Washington nella regione è quindi evidente.

Domanda: Due giorni fa, l’ambasciatore ucraino in Turchia ha detto che, secondo le sue informazioni, una conferenza di pace sull’Ucraina potrebbe tenersi a dicembre. Ritiene che la Russia debba reagire a questo tipo di allusioni, visto che i risultati delle elezioni presidenziali statunitensi saranno annunciati a novembre?

Sergey Lavrov: Non seguo le dichiarazioni rilasciate di tanto in tanto dai rappresentanti ucraini a vari livelli. Non siamo interessati.

Il Presidente della Russia Vladimir Putin ha esposto molto chiaramente la nostra posizione quando ha parlato al Ministero degli Esteri il 14 giugno. Questa politica viene attuata in modo coerente.

Domanda: I media europei continuano a commentare l’Ucraina. In particolare, l’italiano Corriere della Sera ha scritto che Vladimir Zelensky potrebbe accettare un cessate il fuoco sugli attuali fronti se gli venissero date garanzie di sicurezza dagli Stati Uniti e un’adesione accelerata all’Unione Europea. Come commenterebbe il fatto che tali dichiarazioni vengano diffuse dai media, nonché il tono e il contenuto di queste pubblicazioni?

Sergey Lavrov: Ad essere sincero, non ho commenti in merito. Ogni giorno spuntano fuori alcune notizie come una scatola da gioco. Vladimir Zelensky dice una cosa oggi e un’altra domani, quando la sua amministrazione – o come la chiamano, l’ufficio del Presidente dell’Ucraina – lo corregge.

Non vedo perché seguirlo. Quando i politici sono seri, lo si vede nei fatti reali, sul campo. Fanno passi concreti. In questo momento, quello che vediamo sul campo è che le nostre forze armate raggiungono coerentemente gli obiettivi previsti. Finora non abbiamo sentito nulla di grave nelle dichiarazioni dei politici.

Domanda: Secondo le dichiarazioni ufficiali, il parlamento iraniano sta prendendo seriamente in considerazione la possibilità di un ritiro del Paese dal TNP in previsione di un possibile attacco missilistico di rappresaglia da parte di Israele. Pensa che se l’Iran si ritirasse da questo trattato, il suo prossimo passo potrebbe essere quello di creare armi nucleari? Quante possibilità ci sono che gli attori internazionali riescano a convincere Israele ad astenersi da un nuovo attacco missilistico contro l’Iran?

Sergey Lavrov: Penso che qui ci siano quattro what-if. Se succede qualcosa, e se qualcuno reagisce in un certo modo…

Preferiamo basarci sui fatti, come ho detto rispondendo alla domanda precedente.

In ogni Paese ci sono politici o parlamentari che fanno dichiarazioni che non riflettono la strategia pratica o la politica ufficiale del loro governo. Ne abbiamo visto molti esempi.

Per quanto riguarda lo stato attuale delle cose, l’AIEA, che monitora da vicino il programma nucleare iraniano, non vede alcuna indicazione che l’Iran stia iniziando a spostarlo verso una dimensione militare. Queste valutazioni vengono regolarmente presentate al Consiglio dei governatori. Ci affidiamo a queste valutazioni professionali.

Ma se dovessero essere messi in atto piani o minacce per attaccare le strutture nucleari pacifiche della Repubblica Islamica dell’Iran, ciò equivarrebbe a una grave provocazione.

Il Segretario Antony J. Blinken Al vertice ASEAN con gli Stati Uniti

SECRETARIO BLINKEN:  Primo Ministro, grazie mille.  Grazie per averci accolto di nuovo in Laos.  E grazie per la sua leadership come presidente dell’ASEAN quest’anno.

Desidero inoltre ringraziare il Dr. Kao per la sua gestione dell’ASEAN e anche la Cambogia – e il Primo Ministro Hun Manet – per aver ricoperto il ruolo di coordinatore del Paese americano, cosa che apprezziamo molto.

Primo Ministro Ibrahim, vorrei anche dirle che non vediamo l’ora che la Malesia assuma la presidenza il prossimo anno.

Sono molto onorato di essere qui a nome del Presidente Biden.  Porto anche i calorosi saluti del Vicepresidente Harris, che ha rappresentato gli Stati Uniti all’evento dei leader dello scorso anno.

Negli ultimi quattro anni, gli Stati Uniti e l’ASEAN hanno reso la nostra partnership più forte e più ampia di quanto non sia mai stata prima.  Il Presidente Biden è stato onorato di ospitare per la prima volta i leader dell’ASEAN per un vertice speciale a Washington – e di elevare le relazioni tra Stati Uniti e ASEAN a una partnership strategica globale.

Ogni giorno, la nostra cooperazione contribuisce a migliorare la vita di un miliardo di persone, creando opportunità economiche, promuovendo l’innovazione tecnologica e portando avanti una visione condivisa di un Indo-Pacifico aperto, prospero e sicuro, con l’ASEAN al centro.

Stiamo rafforzando i legami economici che da tempo uniscono i nostri Paesi: gli Stati Uniti restano la prima fonte di investimenti diretti esteri nei Paesi ASEAN, una misura significativa di fiducia nel futuro e un potente generatore di posti di lavoro e opportunità.

Insieme, stiamo migliorando il monitoraggio delle epidemie di malattie infettive; stiamo potenziando le reti elettriche della regione; stiamo combattendo il crimine informatico e le truffe online; stiamo promuovendo un’intelligenza artificiale sicura e affidabile.

Tutta questa cooperazione è radicata nei legami duraturi tra i nostri popoli, che da decenni imparano l’uno dall’altro, fanno affari insieme e sono arricchiti dalle rispettive culture.

Siamo stati orgogliosi di celebrare il 10° anniversario della Young Southeast Asian Leaders Initiative, un’iniziativa che conta più di 160.000 membri online e continua a crescere.

Far progredire la nostra visione comune significa anche unirsi per affrontare le sfide comuni a tale visione – dall’aggravarsi della crisi in Myanmar, al comportamento destabilizzante della Repubblica Democratica Popolare di Corea, alla guerra di aggressione della Russia in Ucraina, che continua a violare i principi al centro della Carta delle Nazioni Unite e al centro del Trattato di amicizia e cooperazione dell’ASEAN.

Restiamo preoccupati per le azioni sempre più pericolose e illegali della Cina nel Mar Cinese Meridionale e Orientale, che hanno ferito persone e danneggiato imbarcazioni di Paesi dell’ASEAN e contraddicono gli impegni assunti per la risoluzione pacifica delle controversie.  Gli Stati Uniti continueranno a sostenere la libertà di navigazione e di sorvolo nell’Indo-Pacifico.

Crediamo anche che sia importante mantenere il nostro impegno condiviso per proteggere la stabilità attraverso lo Stretto di Taiwan.

Ma sia che si tratti di rispondere a sfide globali urgenti o di far progredire le speranze comuni dei nostri popoli, il rapporto tra gli Stati Uniti e l’ASEAN continuerà a essere essenziale.

Vi ringrazio ancora per la vostra ospitalità e per la giornata di oggi.

Secretary Blinken press availability in Vientiane, Laos.
Secretary of State Antony J. Blinken press availability in Vientiane, Laos

SECRETARIO BLINKEN: Buon pomeriggio a tutti.  Permettetemi di iniziare ringraziando il Primo Ministro Sonexay, il Ministro degli Esteri Saleumxay per la loro calorosa ospitalità e anche per la loro straordinaria organizzazione dell’ASEAN, con il Laos in testa nell’ultimo anno.

Ma permettetemi anche di iniziare, in modo più appropriato, dicendo che, naturalmente, la nostra attenzione, la nostra concentrazione e i nostri cuori sono anche con i molti americani nel sud-est degli Stati Uniti che sono stati colpiti, in primo luogo, dall’uragano Helene e dall’uragano Milton; molte persone nella regione si stanno ancora riprendendo dal tifone del mese scorso, e stiamo pensando anche a loro.Ma credo che questo non faccia altro che sottolineare la nostra comune umanità. Abbiamo così tante persone in questa regione che sono state colpite dal tifone, e così tante persone in patria che sono state colpite dagli uragani.

Con questo incarico ho compiuto 20 viaggi nell’Indo-Pacifico e sono stato in 8 dei 10 Paesi dell’ASEAN. Sono qui in Laos perché – come dice spesso il Presidente Biden – gran parte del nostro futuro sarà scritto nell’Indo-Pacifico.

Riconoscendo questa realtà, quasi tre anni fa gli Stati Uniti hanno definito una strategia ambiziosa per portare avanti una visione condivisa per una regione indo-pacifica libera, aperta, prospera, connessa, sicura e resiliente. Oggi, grazie alla diplomazia di questi ultimi tre anni e mezzo, gli Stati Uniti e i nostri partner indo-pacifici sono più vicini e più allineati che mai, e questo è certamente il caso dell’ASEAN.

Nel 2022, il Presidente Biden ha promesso quella che ha definito una “nuova era” nelle relazioni tra Stati Uniti e ASEAN. Insieme, abbiamo elevato le nostre relazioni a un Partenariato strategico globale. Abbiamo ampliato la nostra collaborazione su priorità di lunga data, come le questioni economiche e la difesa, ma anche lanciato molte nuove iniziative in molti nuovi settori – dalla salute pubblica all’energia pulita, all’uguaglianza delle donne – riaffermando a ogni passo il ruolo centrale che l’ASEAN deve svolgere.

Qui in Laos, il nostro Partenariato globale continua a dare risultati per la nostra gente: migliorando la salute materna e infantile, sostenendo lo sviluppo sostenibile, curando le ferite della guerra, investendo nel potenziale dei nostri popoli e nei legami tra di essi.  Questa attenzione ai bisogni e alle aspirazioni del nostro miliardo di persone è ciò che anima il nostro lavoro di oggi con gli Stati Uniti e l’ASEAN e al Vertice dell’Asia orientale.

I legami economici straordinariamente solidi tra gli Stati Uniti e l’ASEAN sono da tempo al centro delle nostre relazioni. Gli Stati Uniti sono il primo fornitore di investimenti diretti esteri dell’ASEAN e questo è molto significativo, perché indica che c’è un’enorme fiducia e un’enorme fiducia nel futuro.Le persone non fanno investimenti se non hanno questa fiducia nel futuro.  Ed è anche, naturalmente, un enorme generatore di posti di lavoro e di opportunità.  Abbiamo più di 62 – scusate, 6.200 aziende americane che operano nella regione, sostenendo centinaia di migliaia di posti di lavoro a livello locale, ma anche in tutti i 50 stati degli Stati Uniti.

Nei nostri incontri di oggi, ci siamo impegnati non solo a far crescere questa partnership, ma anche a continuare a modernizzarla. Per esempio, stiamo lavorando per implementare l’ASEAN Single Window, un portale unico che renderà il commercio regionale più veloce, più economico e più affidabile. Abbiamo già delle innovazioni, per esempio quelle che rendono più facile lo scambio di moduli doganali e altri documenti per via elettronica; questa iniziativa da sola ha ridotto i tempi delle transazioni di quattro giorni e ha fatto risparmiare più di 6,5[1] miliardi di dollari.

Con l’economia digitale dell’ASEAN che si prevede raggiungerà i 2.000 miliardi di dollari entro il 2030, stiamo dotando i professionisti e gli studenti della regione delle competenze necessarie per avere successo in questa economia del 21° secolo.

Riconoscendo il potere dell’intelligenza artificiale di accelerare i progressi verso gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile – porre fine alla povertà, sradicare la fame, portare l’assistenza sanitaria a un maggior numero di persone – abbiamo adottato oggi una dichiarazione dei leader USA-ASEAN sull’intelligenza artificiale, in modo che i nostri Paesi possano contribuire insieme allo sviluppo, all’uso e alla governance di un’intelligenza artificiale sicura, protetta e affidabile.

Inoltre, grazie a un nuovo compact quinquennale, una partnership tra l’ASEAN e l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale, stiamo aiutando l’ASEAN a identificare le aree in cui la regione potrebbe avere bisogno di maggiori capacità – ad esempio, la pianificazione di progetti infrastrutturali – in modo da poter garantire che stiamo soddisfacendo i bisogni più urgenti della regione. Una delle cose che ho sentito dai nostri colleghi è l’importanza di concentrarsi sulle competenze – sulla riqualificazione, sull’aggiornamento, sull’aiuto a costruire capacità umane oltre che pratiche – infrastrutture e capacità tecnologiche.

Fondamentalmente, questo sottolinea il fatto che il fondamento della partnership tra gli Stati Uniti e l’ASEAN è la nostra gente. Quest’anno segna un decennio dell’Iniziativa dei Giovani Leader del Sud-Est Asiatico; ricordo di aver partecipato alla sua fondazione durante l’amministrazione del Presidente Obama; ora abbiamo una partnership straordinaria che coinvolge oltre 160.000 giovani.

Per sostenere questo slancio, stiamo raddoppiando il programma YSEALI e il numero di studenti Fulbright dell’ASEAN che studieranno negli Stati Uniti.  Abbiamo già istituito un Centro ASEAN a Washington per contribuire a promuovere maggiori legami economici e culturali tra le nostre nazioni.

Stiamo anche lavorando per liberare il potenziale di tutte le nostre persone.  Sulla base del primo dialogo ad alto livello dell’ASEAN sui diritti dei disabili, svoltosi lo scorso anno, stiamo lavorando per rendere l’economia e le infrastrutture dell’ASEAN più accessibili e più inclusive per le persone con disabilità.

Tutti questi investimenti – nelle nostre economie, nei nostri sistemi sanitari, nelle nostre infrastrutture, nel clima, nelle persone – sono positivi per le persone nei Paesi dell’ASEAN e per gli americani in patria: creano posti di lavoro, alimentano l’innovazione, affrontano le sfide che possiamo affrontare efficacemente solo quando lavoriamo insieme.

Questo vale anche per le questioni regionali e globali di interesse comune. Continuiamo a sottolineare l’importanza di sostenere la libertà di navigazione e di sorvolo nel Mar Cinese Meridionale e Orientale, nonché la necessità di mantenere la pace e la stabilità attraverso lo Stretto di Taiwan.

Stiamo intensificando i nostri sforzi per tracciare un futuro più pacifico, inclusivo e democratico per il Myanmar e per affrontare il comportamento pericoloso e destabilizzante della Repubblica Democratica Popolare di Corea.  Stiamo difendendo la sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale dell’Ucraina e la capacità dei popoli ovunque di tracciare la propria rotta, di scegliere il proprio futuro liberi dalla forza, dalla coercizione e dall’aggressione.

Abbiamo anche discusso del conflitto in Medio Oriente. Questa settimana è trascorso un anno dal terribile attacco del 7 ottobre contro Israele, in cui, tra l’altro, i cittadini dei Paesi ASEAN sono stati tra le centinaia di persone brutalmente uccise o catturate da Hamas, tra cui sei cittadini thailandesi che ancora oggi rimangono in ostaggio. Continuiamo a impegnarci intensamente per prevenire un conflitto più ampio nella regione, per riportare a casa tutti gli ostaggi, per fornire assistenza ai gazesi che ne hanno disperatamente bisogno e porre fine al conflitto, per raggiungere una soluzione diplomatica in Libano, per sostenere il diritto di Israele a difendersi dall’Iran e dai suoi proxy terroristici, per trovare un percorso che consenta di arrestare il ciclo di violenza e di procedere verso un Medio Oriente più integrato e prospero.

Vorrei anche notare che, mentre gli Stati Uniti e i nostri partner dell’Indo-Pacifico si sono avvicinati in questi ultimi tre anni e mezzo, abbiamo anche lavorato per approfondire i legami tra i partner di questa regione e quelli di tutto il mondo, in particolare in Europa; l’ASEAN e l’UE hanno tenuto il loro primo vertice in assoluto nel 2022 e hanno ampliato la cooperazione su tutto, dalla sicurezza informatica all’antiterrorismo al cambiamento climatico, rafforzando i nostri sforzi in queste aree.

Questa crescente collaborazione tra le regioni riflette il fatto che i nostri destini sono intrecciati.  Per migliorare la vita dei nostri popoli è necessario coordinarsi in modi nuovi, costruire nuove coalizioni, rinvigorire e reimmaginare i partenariati esistenti.  L’incontro di oggi ha dimostrato ancora una volta la potenza e la possibilità di questi partenariati, e sono grato a tutti i nostri amici dell’ASEAN per i loro continui sforzi per portare avanti una visione comune per la regione e per il nostro futuro condiviso.  Grazie.

MR PATEL:  Prenderemo quattro domande.  Inizieremo con Alex Aliyev di Turan News.

DOMANDA: Grazie mille. Signor Segretario, è un piacere vederla.  Ho una domanda multipla, se non le dispiace. Vorrei iniziare con la Russia –

SEGRETARIO BLINKEN:  (Impercettibile.)

QUESTIONE:  Per favore – (risate) – vorrei iniziare con il russo Lavrov, perché l’abbiamo vista nella stessa stanza allo stesso evento questa mattina.  Eravamo curiosi di sapere se avesse avuto qualche interazione diretta con lui durante i suoi impegni qui.  E se posso, Signor Segretario, gradirei anche il suo pensiero sull’ultimo rapporto in patria. Segretario, apprezzerei anche il suo pensiero sull’ultima notizia proveniente da casa che suggerisce che l’ex Presidente Trump ha avuto ben sette telefonate private con Putin da quando ha lasciato l’incarico.  E so che lei ha chiarito che si occupa di politica, non di politica.  Tenendo presente questo, signor Segretario, mi chiedevo se il fatto che Putin riceva telefonate dall’ex Presidente degli Stati Uniti mina la sua politica di isolamento di Putin a causa della sua brutale guerra in Ucraina.

E ora, a nome dei miei colleghi, vorrei parlare di Taiwan, perché, come sapete, la Cina ha intensificato la sua minaccia militare su Taiwan durante la celebrazione della sua festa nazionale.  Qual è il messaggio degli Stati Uniti, signor Segretario, alla Cina in vista dei previsti colloqui tra i leader dei due paesi?Secondo lei, l’evento politico di routine dovrebbe essere un pretesto per l’aumento delle attività militari della Cina vicino a Taiwan? E quanto è importante, secondo lei, che la Cina mantenga lo status quo di Taiwan, lo Stretto di Taiwan, come via d’acqua internazionale? Grazie mille, signor Segretario.

SECRETARIO BLINKEN: Grazie. Per quanto riguarda il Ministro Lavrov, no, non abbiamo parlato direttamente, ma ero nella stanza quando ha fatto il suo intervento a nome della Russia.Lui era in sala quando io ho fatto il mio intervento a nome degli Stati Uniti.  Quindi credo si possa dire che ci siamo sentiti.  Purtroppo non ho sentito nulla di nuovo sull’aggressione russa in corso contro l’Ucraina.

Penso che paese dopo paese in sala, senza parlare a nome loro, abbiano detto chiaramente che questa aggressione deve finire, e deve finire non solo perché è un’aggressione contro il popolo ucraino – è un’aggressione contro i principi che sono al centro del sistema internazionale e che sono così necessari per cercare di aiutarci a preservare la pace e la stabilità, compreso il rispetto per la sovranità, l’integrità territoriale, l’indipendenza.

È sorprendente che così tanti Paesi che si trovano a mezzo mondo di distanza, nell’Indo-Pacifico, si preoccupino profondamente di ciò che sta accadendo in Ucraina e il motivo, ancora una volta, è che sanno che se a un Paese viene permesso di agire impunemente e di commettere atti di aggressione, questo è un segnale per gli aspiranti aggressori di tutto il mondo: la stagione è aperta.E questo sarà negativo per tutti.  Quindi, ancora una volta, l’ho ascoltato.  Non posso dire se mi abbia ascoltato, ma non ho sentito nulla di nuovo.

Per quanto riguarda le telefonate di cui ha parlato, tutto ciò che posso dirle è questo: l’amministrazione non era a conoscenza di alcuna telefonata, e quindi non posso né confermare né commentare.

Per quanto riguarda Taiwan, ciò che ha colpito, ancora una volta, è il forte desiderio di tutti i Paesi dell’ASEAN – e questo si estende ben oltre l’ASEAN, ma anche i Paesi presenti in sala – di vedere che la pace e la stabilità siano mantenute attraverso lo Stretto di Taiwan. E posso dirvi che per quanto riguarda il cosiddetto discorso del 10/10, che è un esercizio regolare, la Cina non dovrebbe usarlo in alcun modo come pretesto per azioni provocatorie.  Al contrario, vogliamo rafforzare – e molti altri Paesi vogliono rafforzare – l’imperativo di preservare lo status quo e di non intraprendere alcuna azione che possa minarlo.

Si tratta di una questione molto sentita in tutta la regione: l’importanza di preservare la pace e la stabilità in generale, ma anche un aspetto che, a mio avviso, riguarda la vita, il sostentamento e il futuro di tutti i Paesi della regione e, probabilmente, di tutti i Paesi del mondo. Il 50% del traffico commerciale di container passa ogni giorno attraverso lo Stretto di Taiwan. Più del 70% dei semiconduttori di alta gamma di cui il mondo ha bisogno sono prodotti a Taiwan.

MR PATEL:  Andremo ora a Souksakhone da – Vientiane Times.

QUESTIONE:  Benvenuto in Laos, signor Segretario.  Spero che abbia apprezzato il suo soggiorno (inudibile).

SEGRETARIO BLINKEN:  Grazie.

QUESTIONE:  Sono Souksakhone del Vientiane Times, rappresentando il nostro team di media laotiani.  Lei ha accennato brevemente alle crescenti relazioni tra attori laotiani e statunitensi.  Il Partenariato globale è stato istituito da quasi 10 anni. E sono curioso di sapere, per favore, quale impatto significativo ha prodotto finora questo partenariato globale potenziato? E come vede che andrà avanti nel prossimo decennio? E poi ha anche accennato brevemente agli UXO.  Gli UXO (inudibile) sono un grosso problema in Laos, mentre i leader riuniscono i loro vertici qui a Vientiane.  Una persona è stata ferita proprio questa settimana dall’esplosione di UXO – i campi da gioco degli studenti rimangono insicuri.Il Presidente Obama si è impegnato a fare di più e a stanziare fondi per risolvere il problema degli UXO. Cosa è stato fatto per mantenere questa promessa? È in grado di rassicurare l’impegno degli Stati Uniti per aiutare il Laos ad affrontare il problema degli UXO (priorità costante del partenariato tra Stati Uniti e Laos)?Laos? Grazie.

SECRETARIO BLINKEN:  Grazie mille.  I nostri Paesi sono partner da tempo, ma credo che, per quanto riguarda il suo punto di vista, il Partenariato globale che abbiamo stabilito nel 2016, guidi le relazioni.  E quello che stiamo facendo è lavorare costantemente per aggiornarlo e rafforzarlo e assicurarci che risponda ai bisogni delle persone.  Questa è la nostra responsabilità. Per esempio, una delle cose di cui abbiamo parlato è di lavorare ancora di più insieme per aiutare a costruire la capacità umana qui in Laos, aiutando soprattutto i giovani ad avere le competenze necessarie per avere successo nell’economia e in un’economia sempre più globale. Pertanto, il lavoro che svolgeremo attraverso il partenariato su aspetti quali l’aggiornamento e la riqualificazione, se necessario, è un aspetto che sarà sempre più centrale.

Dobbiamo sempre tornare a chiederci in che modo ciò che stiamo facendo insieme stia giovando alla nostra gente; in che modo stia producendo risultati tangibili? E naturalmente lo sta facendo in una serie di aree, e ne ho descritte alcune pochi minuti fa; ma questo focus sullo sviluppo reale delle capacità è, credo, qualcosa che vedrete sempre più spesso.

Per quanto riguarda gli ordigni inesplosi, si tratta di un imperativo continuo e di un impegno profondo.  Abbiamo stanziato quasi 400 milioni di dollari nel corso degli anni per aiutare a gestire gli ordigni inesplosi.  Questo ci ha permesso di rimuoverne di più e certamente in questo periodo di tempo ha fatto sì che meno persone siano rimaste ferite.  Ma si tratta di una necessità continua e di una responsabilità continua che prendiamo molto sul serio.  Grazie.

MR PATEL:  Passa a Julia Jester di NBC News.

QUESTIONE:  Grazie, signor Segretario.  Nel suo discorso di apertura ha accennato al fatto che il conflitto in Medio Oriente è stato affrontato qui all’ASEAN.  Alcuni leader hanno criticato la posizione degli Stati Uniti nei confronti di Israele e di Gaza.  Quali sono state le critiche che ha sentito dai leader e cosa ha detto loro per rassicurarli sui progressi compiuti per un cessate il fuoco?E per quanto riguarda il Libano, l’ultima novità è che Netanyahu sta facendo pressioni sui cittadini libanesi affinché scelgano un nuovo leader, minacciandoli di subire una “distruzione e sofferenza” simile a quella di Gaza, se non toglieranno Hizballah dal potere. Crede che spetti al popolo libanese l’onere di rovesciare il gruppo terroristico? E se così non fosse, gli Stati Uniti sosterrebbero Israele nell’intraprendere azioni parallele a quanto fatto a Gaza?

E se posso, a proposito di Gaza, l’amministrazione Biden ha detto che gli Stati Uniti stanno avendo, tra virgolette, conversazioni “urgenti” con Israele per garantire che gli aiuti umanitari raggiungano Gaza, in particolare la parte settentrionale di Gaza.  Gli Stati Uniti sono disposti, in conformità con la legge Leahy, a porre restrizioni agli aiuti militari statunitensi a Israele se gli Stati Uniti determinano che Israele sta effettivamente bloccando la consegna di aiuti umanitari?

SECRETARIO BLINKEN:  Grazie.  Non voglio parlare a nome di altri Paesi, se non per dire che, sì, noi – e come ho detto, la situazione generale in Medio Oriente, così come pezzi specifici di essa, è emersa in molte delle conversazioni che abbiamo avuto.E credo che ci sia una profonda preoccupazione in tutta la regione su diversi fronti, ma soprattutto su un aspetto che ci sta molto a cuore: cercare di evitare che il conflitto a Gaza, iniziato con i terribili attacchi del 7 ottobre, si diffonda, si estenda ad altri luoghi e ad altri fronti.

E una delle cose su cui ho rassicurato molti dei nostri colleghi è stata l’intensa attenzione degli Stati Uniti, che si è protratta per un anno, nel fare proprio questo: evitare che questi conflitti si diffondano.

Purtroppo, abbiamo, tra le altre cose, un cosiddetto asse di resistenza guidato dall’Iran che cerca di creare altri fronti in diversi luoghi; stiamo lavorando duramente attraverso la deterrenza e la diplomazia per evitare che ciò accada.

Ovviamente condividiamo anche la profonda preoccupazione per la situazione dei bambini, delle donne e degli uomini di Gaza, che da un anno a questa parte si trovano sotto il terribile fuoco incrociato dell’istigazione di Hamas.E sono davvero preoccupato per l’inadeguatezza dell’assistenza che sta arrivando loro. Questo è particolarmente vero nel nord, ma non esclusivamente nel nord.

Per quanto riguarda la legge, ripeterò semplicemente ciò che ho sempre detto: “Applicheremo la legge”. Ho l’obbligo costante di garantire che l’assistenza che forniamo sia conforme alla legge, sia che si tratti della legge Leahy, sia che si tratti del diritto umanitario internazionale, sia che si tratti di altri aspetti di nostra competenza.

Infine, per quanto riguarda il Libano, una delle sfide principali che abbiamo visto in Libano è il fatto che Hizballah ha effettivamente assunto molte funzioni statali, in particolare per quanto riguarda il mantenimento delle armi, cosa che non dovrebbe accadere.E parte dell’uscita di Israele dal Libano erano importanti intese contenute nelle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU – 1701, 1559 – che, tra le altre cose, assicuravano che le forze non presenti al confine tra il Paese – certamente non forze irregolari come Hizballah – e gli attori non statali dovessero essere disarmati.  Ebbene, questo non è accaduto, e Hizballah ha rappresentato una minaccia continua per Israele da allora.

Quando è successo l’orrore del 7 ottobre, il giorno dopo Hizballah si è unito a loro, cercando di creare un altro fronte; nel processo, i razzi e le altre munizioni che stavano lanciando verso il nord di Israele hanno costretto la gente a fuggire dalle loro case, e circa 70.000 israeliani hanno dovuto lasciare le loro case.

Allo stesso modo, nel Libano meridionale – perché Israele ha risposto agli attacchi di Hizballah – molte persone hanno dovuto abbandonare le loro case; questo è ben prima delle ultime settimane; questo è ciò che è accaduto nel corso dell’ultimo anno.  E tutti noi abbiamo un forte interesse nel cercare di contribuire a creare un ambiente in cui le persone possano tornare alle loro case e viverci in modo sicuro e protetto, e i bambini possano tornare a scuola.

Israele ha quindi un chiaro e legittimo interesse a farlo; il popolo libanese vuole la stessa cosa; crediamo che il modo migliore per arrivarci sia un’intesa diplomatica, su cui stiamo lavorando da tempo e su cui siamo estremamente concentrati in questo momento.

Ora, Israele ha il diritto di difendersi dagli attacchi terroristici provenienti da Hizballah, da Hamas o da chiunque altro, ma è anche di vitale importanza che, nel farlo, si concentri sull’assicurare che i civili siano protetti e, ancora una volta, non vengano presi in un terribile fuoco incrociato.

Per quanto riguarda il futuro del Libano, la decisione spetta al popolo libanese, non a nessun altro, a nessun attore esterno, che si tratti degli Stati Uniti, di Israele o di altri attori della regione.Ma è chiaro che il popolo libanese ha un interesse, un forte interesse, a che lo Stato si affermi e si assuma la responsabilità del Paese e del suo futuro.  La presidenza è vacante da due anni e per il popolo libanese avere un capo di Stato sarebbe molto importante.  Ma questo spetta ai libanesi e a nessun altro.

Abbiamo avuto colloqui, ho avuto colloqui con i Paesi di tutta la regione e con gli stessi libanesi, e ciò che ne ho ricavato è un forte desiderio non solo da parte dei molti Paesi che sono preoccupati per il Libano, ma soprattutto da parte degli stessi libanesi di vedere lo Stato alzarsi, affermarsi, assumersi la responsabilità per la vita dei suoi cittadini.E ancora, un modo per farlo sarebbe risolvere la questione della presidenza vacante, ma ci sono una serie di altre cose su cui so che i libanesi sono concentrati e che possono fare la differenza.

Gli Stati Uniti e molti altri Paesi vogliono aiutare; abbiamo fornito quasi 160 milioni di dollari di assistenza umanitaria supplementare per cercare di aiutare i numerosi sfollati, molti dei quali appartengono alla comunità sciita.Allo stesso modo, da tempo sosteniamo l’unica istituzione che unisce praticamente tutti i libanesi, le Forze armate libanesi, e anche molti altri Paesi.

Penso quindi che ci siano diverse cose che gli altri possono fare per sostenere lo Stato libanese che si alza e si assume la responsabilità per il popolo e per il futuro del Paese, ma le decisioni fondamentali su come farlo appartengono al popolo libanese.

QUESTIONE:  Gli Stati Uniti sosterrebbero Israele?

MR PATEL:  Domanda finale.

SECRETARIO BLINKEN:  Chiedo scusa, qual era la –

QUESTIONE:  Gli Stati Uniti sosterrebbero Israele se Netanyahu desse seguito alla minaccia che il popolo libanese andrebbe incontro alla morte e alla distruzione, una distruzione come…

SECRETARIO BLINKEN:  Non ho intenzione di entrare nel merito delle ipotesi; posso solo dire che siamo concentrati sulla risoluzione diplomatica della situazione dei confini e sul sostegno a qualsiasi cosa i libanesi decidano di fare in termini di affermazione delle proprie responsabilità.

MR PATEL:  Ultima domanda, Tan Tam Mei del The Straits Times.

QUESTIONE:  Quale sarà la futura – quindi ok, scusate.  La politica futura per l’ASEAN sotto i possibili candidati presidenziali in arrivo è ancora un po’ confusa e confusa.  Quindi mi chiedevo per l’ASEAN, cosa possiamo aspettarci per le relazioni tra Stati Uniti e ASEAN a gennaio?  E anche, quali preoccupazioni hanno condiviso con voi i leader dell’ASEAN su eventuali nuovi cambiamenti?

SECRETARIO BLINKEN:  Sentite, non posso – come molti di voi sanno, come mi piace dire, non mi occupo di politica, mi occupo di politica.  Quindi tutto ciò di cui posso parlare è la politica degli Stati Uniti e il modo in cui la stiamo perseguendo ora.Ogni speculazione sul futuro è solo una speculazione, tranne che per questo: credo che negli Stati Uniti ci sia una profonda consapevolezza che, come ho detto e come ha detto il Presidente Biden, il nostro futuro è nell’Indo-Pacifico.Noi stessi siamo una potenza del Pacifico, ma se guardiamo alla parte del mondo in cui c’è una crescita straordinaria, un’energia straordinaria, un’innovazione straordinaria, è proprio l’Indo-Pacifico.  E tutto ciò che abbiamo fatto negli ultimi tre anni e mezzo è stato rafforzare i nostri legami, approfondire il nostro impegno, costruire nuovi partenariati in un’ampia varietà di modi – sia con i singoli Paesi che con istituzioni fondamentali come l’ASEAN.

Ho ricordato che questo è il mio 20° viaggio nell’Indo-Pacifico in qualità di Segretario di Stato.  Quindi sì, ci sono molte altre cose in ballo – in Medio Oriente, in Russia e in Ucraina – ma questa è solo una piccola prova del fatto che, anche con tutto il resto, la nostra attenzione è rimasta intensamente su questa regione.  E ancora una volta, è perché è così critica per il nostro futuro – per le vite e i mezzi di sussistenza degli americani.

Quindi, alla luce di ciò, sono convinto che questo approccio di base continuerà a prescindere da chi sarà il presidente, perché è così palesemente nel nostro interesse.

Quindi, finché resteremo risolutamente concentrati sugli interessi del nostro popolo, questi interessi ci porteranno, ci inviteranno, a continuare a fare ancora di più non solo con l’ASEAN e i Paesi che la compongono, ma in tutto l’Indo-Pacifico.  E credo davvero fortemente che questa sia una questione di consenso bipartisan e qualcosa che non cambierà.

Grazie.

MR PATEL: Grazie a tutti.

Il premier cinese Li Qiang partecipa al 19° vertice dell’Asia orientale a Vientiane, Laos, 11 ottobre 2024. [Foto/Xinhua]

VIENTIANE, 11 ottobre – Il premier cinese Li Qiang ha invitato venerdì tutte le parti a mantenere la pace e la tranquillità, a perseguire il mutuo beneficio e i risultati vantaggiosi per tutti e a promuovere con decisione l’apertura e la cooperazione, per creare un futuro più luminoso per l’Asia orientale e per il mondo.

Li ha formulato questa proposta in tre punti intervenendo al 19° Vertice dell’Asia orientale a Vientiane.

Attualmente il mondo è entrato in un nuovo periodo di turbolenze e cambiamenti e la ripresa economica globale manca di slancio, ha affermato Li.

Ricordando che quest’anno ricorre il 70° anniversario dei Cinque principi della coesistenza pacifica, Li ha affermato che in un mondo di cambiamenti e caos, la coesistenza pacifica è ancora più preziosa, e l’uguaglianza, il rispetto e il beneficio reciproci, così come il perseguimento comune della stabilità, sono di grande importanza per il rapido sviluppo dell’Asia.

Per sostenere l’equità e la giustizia internazionali, il mondo dovrebbe continuare a trarre saggezza dai cinque principi, ha aggiunto Li.

Oggi i cinque principi non sono superati, ma duraturi, il che evidenzia ulteriormente il loro valore nel tempo e la loro importanza a livello mondiale, ha affermato Li.

La Cina è disposta a lavorare con tutte le parti per promuovere ulteriormente i Cinque principi della coesistenza pacifica, concentrarsi sulla costruzione di una comunità con un futuro condiviso per l’umanità, costruire meglio il consenso, approfondire la fiducia reciproca, rafforzare la cooperazione e creare un futuro più luminoso per la regione e il mondo, ha detto Li.

Li ha invitato tutte le parti a mantenere la pace e la tranquillità, a continuare a sostenere un’architettura regionale aperta, inclusiva e incentrata sull’ASEAN e a seguire la strada della governance della sicurezza regionale basata su un’ampia consultazione, un contributo comune e benefici condivisi.

Per quanto riguarda il perseguimento di vantaggi reciproci e risultati vantaggiosi per tutti, Li ha dichiarato che la Cina è disposta a collaborare con tutte le parti per attuare attivamente l’Iniziativa di sviluppo globale proposta dal Presidente cinese Xi Jinping, sfruttare appieno i rispettivi vantaggi complementari, aumentare gli investimenti nella trasformazione verde, nell’economia digitale e in altre aree necessarie ai Paesi regionali, e raggiungere meglio uno sviluppo inclusivo e universalmente vantaggioso.

Ha invitato i Paesi della regione a essere estremamente vigili e a frenare con decisione le azioni che mettono in pericolo la stabilità regionale e aumentano il rischio di conflitti.

Per quanto riguarda la promozione dell’apertura e della cooperazione, Li ha chiesto di attuare in modo completo e di alta qualità il Partenariato economico globale regionale, di accelerare la costruzione dell’area di libero scambio Asia-Pacifico, di far progredire l’integrazione economica regionale e di evitare di trasformare le questioni economiche e commerciali in questioni politiche e di sicurezza.

Li ha affermato che lo sviluppo regionale e la prosperità non possono essere raggiunti senza la pace e la stabilità nel Mar Cinese Meridionale, aggiungendo che la Cina si è sempre impegnata a rispettare il diritto internazionale, compresa la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, e a seguire la Dichiarazione sulla condotta delle parti nel Mar Cinese Meridionale.

La Cina ha sempre insistito nel risolvere le differenze con i Paesi interessati attraverso il dialogo e la consultazione e nel portare avanti attivamente la cooperazione pratica in mare, ha dichiarato Li.

Attualmente, la Cina e i Paesi dell’ASEAN stanno promuovendo attivamente la consultazione sul Codice di condotta nel Mar Cinese Meridionale e si stanno impegnando per una sua rapida conclusione, ha aggiunto.

I Paesi interessati al di fuori della regione dovrebbero rispettare e sostenere gli sforzi congiunti della Cina con i Paesi regionali per mantenere la pace e la stabilità nel Mar Cinese Meridionale e svolgere un ruolo costruttivo nella pace e nella stabilità regionale, ha dichiarato Li.

Aggiornato: 11 ottobre 2024 15:56 Xinhua 

VIENTIANE, 10 ottobre – I leader della Cina e dei Paesi dell’ASEAN hanno annunciato giovedì la sostanziale conclusione dei negoziati per l’aggiornamento della versione 3.0 dell’Area di Libero Scambio (ALS) Cina-ASEAN, aprendo la strada a uno degli ALS più popolosi e solidi del mondo, che potrà svolgere un ruolo più importante nel promuovere lo sviluppo regionale in un contesto di crescente protezionismo globale.

L’annuncio è stato fatto in occasione del 27° vertice Cina-ASEAN, che fa parte di una serie di incontri dei leader sulla cooperazione in Asia orientale che iniziano mercoledì, tra cui il 27° vertice ASEAN Plus Three (APT) e il 19° vertice dell’Asia orientale.

L’importante risultato fornisce garanzie istituzionali alla Cina e all’ASEAN per costruire insieme i super mercati, ha dichiarato il premier cinese Li Qiang intervenendo all’incontro, salutandolo come un passo significativo nel portare avanti l’integrazione economica dell’Asia orientale e nel dimostrare il loro inequivocabile sostegno al multilateralismo e al libero scambio.

Sia la Cina che l’ASEAN hanno confermato che accelereranno il lavoro di revisione legale e le procedure interne per promuovere la firma del protocollo di aggiornamento 3.0 nel 2025, ha dichiarato giovedì il Ministero del Commercio cinese in un comunicato.

La costruzione dell’area di libero scambio Cina-ASEAN è stata completata nel 2010 e i negoziati per la versione 3.0 dell’FTA sono iniziati nel novembre 2022.

“L’accordo di libero scambio Cina-ASEAN 3.0, migliorato e più aperto, promuoverà i vantaggi reciproci e i risultati vantaggiosi per tutti”, ha dichiarato Yong Chanthalangsy, rappresentante del Laos presso la Commissione intergovernativa per i diritti umani dell’ASEAN. “La Cina e l’ASEAN sono una comunità dal futuro condiviso. Gli sforzi congiunti di entrambe le parti per costruire un FTA Cina-ASEAN 3.0 più aperto sono anche l’incarnazione dello spirito di una comunità con un futuro condiviso per l’umanità.”

Il premier cinese ha espresso la speranza di esplorare con l’ASEAN più modi e mezzi per connettersi e condividere i mercati, in modo da generare un impulso allo sviluppo più forte e duraturo per entrambe le parti e fornire un sostegno più solido alla prosperità condivisa della regione e del mondo in generale.

La Cina è rimasta il primo partner commerciale dell’ASEAN per 15 anni consecutivi, mentre l’ASEAN è stato il primo partner commerciale della Cina per quattro anni consecutivi.

I dati ufficiali mostrano che nei primi sette mesi di quest’anno, il loro commercio ha raggiunto i 552 miliardi di dollari, con un aumento del 7,7% rispetto all’anno precedente, rappresentando circa un sesto del volume totale del commercio estero cinese nello stesso periodo.

“Con una popolazione combinata di oltre 2 miliardi di persone, il mercato di Cina e ASEAN è enorme”, ha osservato Chanthalangsy. “La Cina e l’ASEAN, geograficamente vicine, con i rispettivi vantaggi e una forte complementarietà economica, possono sostenersi a vicenda e allo stesso tempo avere bisogno l’una dell’altra. L’accordo di libero scambio Cina-ASEAN 3.0 renderà più conveniente la circolazione delle merci e il commercio tra le due parti e darà nuovo slancio al rispettivo sviluppo economico”.

Gli sforzi della Cina e dell’ASEAN sono in sintonia con il tema del 44° e 45° vertice dell’ASEAN, “ASEAN: Enhancing Connectivity and Resilience” (ASEAN: migliorare la connettività e la resilienza), che sottolinea l’ambizione del blocco di rispondere a varie sfide pressanti e cogliere le opportunità per costruire una comunità regionale più integrata, connessa e resiliente.

La Cina sosterrà sempre fermamente l’integrazione dell’ASEAN, la costruzione della comunità e la sua indipendenza strategica ed è pronta a collaborare con i Paesi dell’ASEAN per elevare il partenariato strategico globale Cina-ASEAN a un livello superiore, ha dichiarato Li.

Come ha sottolineato il presidente cinese Xi Jinping, la Cina continuerà a seguire il principio dell’amicizia, della sincerità, del mutuo vantaggio e dell’inclusione e a collaborare con gli altri Paesi della regione per costruire una migliore comunità asiatica.

A tal fine, ha affermato il premier, la Cina e l’ASEAN devono creare una rete di connettività multidimensionale per consentire uno sviluppo senza ostacoli dell’Asia in futuro, espandere la cooperazione nei settori emergenti per migliorare la sostenibilità della crescita dell’Asia in futuro e approfondire gli scambi culturali e interpersonali per consolidare le fondamenta dell’amicizia dell’Asia in futuro.

I leader dell’ASEAN presenti al vertice hanno applaudito il forte slancio di crescita del partenariato strategico globale ASEAN-Cina, osservando che la cooperazione tra ASEAN e Cina in vari campi ha dato risultati fruttuosi, migliorando notevolmente il benessere delle persone nella regione.

“Questo aggiornamento dell’accordo di libero scambio è una mossa importante, soprattutto in questo periodo di crescente protezionismo nel mondo”, ha dichiarato il primo ministro di Singapore Lawrence Wong durante il vertice ASEAN-Cina.

I risultati di questo vertice “non solo andranno a beneficio della Cina e dei Paesi ASEAN, ma contribuiranno anche a rafforzare la stabilità e la prosperità della regione Asia-Pacifico”, ha dichiarato Seun Sam, analista politico presso la Royal Academy of Cambodia.

Sempre giovedì, Li ha partecipato al 27° vertice dell’APT, dove ha sottolineato la disponibilità della Cina ad avere uno scambio di opinioni approfondito con tutte le parti sulle principali questioni di cooperazione regionale e a contribuire a rendere la regione un importante motore per lo sviluppo globale.

Li ha dichiarato che la Cina continuerà a collaborare con tutte le parti per dare piena attuazione al meccanismo di cooperazione dell’APT, sostenere la centralità dell’ASEAN nell’architettura regionale, promuovere lo sviluppo a lungo termine, solido e stabile della regione e infondere maggiore certezza ed energia positiva all’Asia e al mondo.

Il premier ha invitato a compiere sforzi costanti per aumentare la resilienza dello sviluppo regionale, migliorare la stabilità e la competitività dei sistemi industriali regionali e attuare l’accordo di partenariato economico globale regionale (RCEP) con un’elevata qualità.

“La Cina auspica di accelerare il riavvio dei negoziati per l’area di libero scambio tra Cina, Giappone e Regno Unito”, ha aggiunto.

I leader presenti all’incontro hanno affermato che il mondo è testimone di una crescente complessità e incertezza e che la cooperazione APT, che ha dato un importante contributo al mantenimento della stabilità regionale e alla promozione dello sviluppo regionale, si trova di fronte a un’opportunità di ulteriore sviluppo.

Russia, Ucraina-67a puntata! Avanzata russa, ma con giudizio Con Gabriele Germani, Max Bonelli

Altra puntata in collaborazione con il canale di Gabriele Germani. L’avanzata russa procede, accelera, ma sempre con giudizio. Alle scelte sul campo di battaglia si aggiungono il contesto geopolitico e le necessità di coesione delle formazioni sociali e politiche coinvolte nel conflitto Sono tanti i fattori, strutturali e contingenti, oggettivi e soggettivi, che determinano la conduzione e l’esito di un conflitto, compreso il fato, l’imprevedibile. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Dalle primavere arabe all’inferno di Gaza e Libano! Con G Germani, C Semovigo, Roberto Iannuzzi

Prosegue la collaborazione con il canale di Gabriele Germani @Gabriele.GermaniOspite della puntata:Roberto Iannuzzi Argomento: il risveglio tumultuoso del mondo arabo, la condizione sociale, le ambizioni dei protagonisti regionali, le interferenze dei grandi attori geopolitici, la parabola statunitense a partire dal discorso di Obama a il Cairo nel 2008 https://www.peacelink.it/gdp/a/29630.html Buon ascolto, Germinario Giuseppe

NB_ Sotto l’icona del filmato il testo del discorso di Obama del 2008 a il Cairo

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Discorso integrale di Obama al Cairo

Ecco la traduzione integrale del discorso del presidente americano Barack Obama all’Università del Cairo.

6 giugno 2009

Barack Obama (Presidente degli Stati Uniti d’America)

SONO onorato di trovarmi qui al Cairo, in questa città eterna, e di essere ospite di due importantissime istituzioni. Da oltre mille anni Al-Azhar rappresenta il faro della cultura islamica e da oltre un secolo l’Università del Cairo è la culla del progresso dell’Egitto. Insieme, queste due istituzioni rappresentano il connubio di tradizione e progresso. 

Sono grato di questa ospitalità e dell’accoglienza che il popolo egiziano mi ha riservato. Sono altresì orgoglioso di portare con me in questo viaggio le buone intenzioni del popolo americano, e di portarvi il saluto di pace delle comunità musulmane del mio Paese: assalaamu alaykum.

Ci incontriamo qui in un periodo di forte tensione tra gli Stati Uniti e i musulmani in tutto il mondo, tensione che ha le sue radici nelle forze storiche che prescindono da qualsiasi attuale dibattito politico. Il rapporto tra Islam e Occidente ha alle spalle secoli di coesistenza e cooperazione, ma anche di conflitto e di guerre di religione. In tempi più recenti, questa tensione è stata alimentata dal colonialismo, che ha negato diritti e opportunità a molti musulmani, e da una Guerra Fredda nella quale i Paesi a maggioranza musulmana troppo spesso sono stati trattati come Paesi che agivano per procura, senza tener conto delle loro legittime aspirazioni. Oltretutto, i cambiamenti radicali prodotti dal processo di modernizzazione e dalla globalizzazione hanno indotto molti musulmani a considerare l’Occidente ostile nei confronti delle tradizioni dell’Islam.

Violenti estremisti hanno saputo sfruttare queste tensioni in una minoranza, esigua ma forte, di musulmani. Gli attentati dell’11 settembre 2001 e gli sforzi continui di questi estremisti volti a perpetrare atti di violenza contro civili inermi ha di conseguenza indotto alcune persone nel mio Paese a considerare l’Islam come inevitabilmente ostile non soltanto nei confronti dell’America e dei Paesi occidentali in genere, ma anche dei diritti umani. Tutto ciò ha comportato maggiori paure, maggiori diffidenze. 

Fino a quando i nostri rapporti saranno definiti dalle nostre differenze, daremo maggior potere a coloro che perseguono l’odio invece della pace, coloro che si adoperano per lo scontro invece che per la collaborazione che potrebbe aiutare tutti i nostri popoli a ottenere giustizia e a raggiungere il benessere. Adesso occorre porre fine a questo circolo vizioso di sospetti e discordia.

Io sono qui oggi per cercare di dare il via a un nuovo inizio tra gli Stati Uniti e i musulmani di tutto il mondo; l’inizio di un rapporto che si basi sull’interesse reciproco e sul mutuo rispetto; un rapporto che si basi su una verità precisa, ovvero che America e Islam non si escludono a vicenda, non devono necessariamente essere in competizione tra loro. Al contrario, America e Islam si sovrappongono, condividono medesimi principi e ideali, il senso di giustizia e di progresso, la tolleranza e la dignità dell’uomo.

Sono qui consapevole che questo cambiamento non potrà avvenire nell’arco di una sola notte. Nessun discorso o proclama potrà mai sradicare completamente una diffidenza pluriennale. Né io sarò in grado, nel tempo che ho a disposizione, di porre rimedio e dare soluzione a tutte le complesse questioni che ci hanno condotti a questo punto. Sono però convinto che per poter andare avanti dobbiamo dire apertamente ciò che abbiamo nel cuore, e che troppo spesso viene detto soltanto a porte chiuse. Dobbiamo promuovere uno sforzo sostenuto nel tempo per ascoltarci, per imparare l’uno dall’altro, per rispettarci, per cercare un terreno comune di intesa. Il Sacro Corano dice: “Siate consapevoli di Dio e dite sempre la verità”. Questo è quanto cercherò di fare: dire la verità nel miglior modo possibile, con un atteggiamento umile per l’importante compito che devo affrontare, fermamente convinto che gli interessi che condividiamo in quanto appartenenti a un unico genere umano siano molto più potenti ed efficaci delle forze che ci allontanano in direzioni opposte.

In parte le mie convinzioni si basano sulla mia stessa esperienza: sono cristiano, ma mio padre era originario di una famiglia del Kenya della quale hanno fatto parte generazioni intere di musulmani. Da bambino ho trascorso svariati anni in Indonesia, e ascoltavo al sorgere del Sole e al calare delle tenebre la chiamata dell’azaan. Quando ero ragazzo, ho prestato servizio nelle comunità di Chicago presso le quali molti trovavano dignità e pace nella loro fede musulmana.

Ho studiato Storia e ho imparato quanto la civiltà sia debitrice nei confronti dell’Islam. Fu l’Islam infatti – in istituzioni come l’Università Al-Azhar – a tenere alta la fiaccola del sapere per molti secoli, preparando la strada al Rinascimento europeo e all’Illuminismo. Fu l’innovazione presso le comunità musulmane a sviluppare scienze come l’algebra, a inventare la bussola magnetica, vari strumenti per la navigazione; a far progredire la maestria nello scrivere e nella stampa; la nostra comprensione di come si diffondono le malattie e come è possibile curarle. La cultura islamica ci ha regalato maestosi archi e cuspidi elevate; poesia immortale e musica eccelsa; calligrafia elegante e luoghi di meditazione pacifica. Per tutto il corso della sua Storia, l’Islam ha dimostrato con le parole e le azioni la possibilità di praticare la tolleranza religiosa e l’eguaglianza tra le razze.

So anche che l’Islam ha avuto una parte importante nella Storia americana. La prima nazione a riconoscere il mio Paese è stato il Marocco. Firmando il Trattato di Tripoli nel 1796, il nostro secondo presidente, John Adams, scrisse: “Gli Stati Uniti non hanno a priori alcun motivo di inimicizia nei confronti delle leggi, della religione o dell’ordine dei musulmani”. Sin dalla fondazione degli Stati Uniti, i musulmani americani hanno arricchito il mio Paese: hanno combattuto nelle nostre guerre, hanno prestato servizio al governo, si sono battuti per i diritti civili, hanno avviato aziende e attività, hanno insegnato nelle nostre università, hanno eccelso in molteplici sport, hanno vinto premi Nobel, hanno costruito i nostri edifici più alti e acceso la Torcia Olimpica. E quando di recente il primo musulmano americano è stato eletto come rappresentante al Congresso degli Stati Uniti, egli ha giurato di difendere la nostra Costituzione utilizzando lo stesso Sacro Corano che uno dei nostri Padri Fondatori – Thomas Jefferson – custodiva nella sua biblioteca personale.

Ho pertanto conosciuto l’Islam in tre continenti, prima di venire in questa regione nella quale esso fu rivelato agli uomini per la prima volta. Questa esperienza illumina e guida la mia convinzione che una partnership tra America e Islam debba basarsi su ciò che l’Islam è, non su ciò che non è. Ritengo che rientri negli obblighi e nelle mie responsabilità di presidente degli Stati Uniti lottare contro qualsiasi stereotipo negativo dell’Islam, ovunque esso possa affiorare.

Ma questo medesimo principio deve applicarsi alla percezione dell’America da parte dei musulmani. Proprio come i musulmani non ricadono in un approssimativo e grossolano stereotipo, così l’America non corrisponde a quell’approssimativo e grossolano stereotipo di un impero interessato al suo solo tornaconto. Gli Stati Uniti sono stati una delle più importanti culle del progresso che il mondo abbia mai conosciuto. Sono nati dalla rivoluzione contro un impero. Sono stati fondati sull’ideale che tutti gli esseri umani nascono uguali e per dare significato a queste parole essi hanno versato sangue e lottato per secoli, fuori dai loro confini, in ogni parte del mondo. Sono stati plasmati da ogni cultura, proveniente da ogni remoto angolo della Terra, e si ispirano a un unico ideale: E pluribus unum. “Da molti, uno solo”. 

Si sono dette molte cose e si è speculato alquanto sul fatto che un afro-americano di nome Barack Hussein Obama potesse essere eletto presidente, ma la mia storia personale non è così unica come sembra. Il sogno della realizzazione personale non si è concretizzato per tutti in America, ma quel sogno, quella promessa, è tuttora valido per chiunque approdi alle nostre sponde, e ciò vale anche per quasi sette milioni di musulmani americani che oggi nel nostro Paese godono di istruzione e stipendi più alti della media.

E ancora: la libertà in America è tutt’uno con la libertà di professare la propria religione. Ecco perché in ogni Stato americano c’è almeno una moschea, e complessivamente se ne contano oltre 1.200 all’interno dei nostri confini. Ecco perché il governo degli Stati Uniti si è rivolto ai tribunali per tutelare il diritto delle donne e delle giovani ragazze a indossare l’hijab e a punire coloro che vorrebbero impedirglielo. 

Non c’è dubbio alcuno, pertanto: l’Islam è parte integrante dell’America. E io credo che l’America custodisca al proprio interno la verità che, indipendentemente da razza, religione, posizione sociale nella propria vita, tutti noi condividiamo aspirazioni comuni, come quella di vivere in pace e sicurezza, quella di volerci istruire e avere un lavoro dignitoso, quella di amare le nostre famiglie, le nostre comunità e il nostro Dio. Queste sono le cose che abbiamo in comune. Queste sono le speranze e le ambizioni di tutto il genere umano.

Naturalmente, riconoscere la nostra comune appartenenza a un unico genere umano è soltanto l’inizio del nostro compito: le parole da sole non possono dare risposte concrete ai bisogni dei nostri popoli. Questi bisogni potranno essere soddisfatti soltanto se negli anni a venire sapremo agire con audacia, se capiremo che le sfide che dovremo affrontare sono le medesime e che se falliremo e non riusciremo ad avere la meglio su di esse ne subiremo tutti le conseguenze.

Abbiamo infatti appreso di recente che quando un sistema finanziario si indebolisce in un Paese, è la prosperità di tutti a patirne. Quando una nuova malattia infetta un essere umano, tutti sono a rischio. Quando una nazione vuole dotarsi di un’arma nucleare, il rischio di attacchi nucleari aumenta per tutte le nazioni. Quando violenti estremisti operano in una remota zona di montagna, i popoli sono a rischio anche al di là degli oceani. E quando innocenti inermi sono massacrati in Bosnia e in Darfur, è la coscienza di tutti a uscirne macchiata e infangata. Ecco che cosa significa nel XXI secolo abitare uno stesso pianeta: questa è la responsabilità che ciascuno di noi ha in quanto essere umano. 

Si tratta sicuramente di una responsabilità ardua di cui farsi carico. La Storia umana è spesso stata un susseguirsi di nazioni e di tribù che si assoggettavano l’una all’altra per servire i loro interessi. Nondimeno, in questa nuova epoca, un simile atteggiamento sarebbe autodistruttivo. Considerato quanto siamo interdipendenti gli uni dagli altri, qualsiasi ordine mondiale che dovesse elevare una nazione o un gruppo di individui al di sopra degli altri sarebbe inevitabilmente destinato all’insuccesso.

Indipendentemente da tutto ciò che pensiamo del passato, non dobbiamo esserne prigionieri. I nostri problemi devono essere affrontati collaborando, diventando partner, condividendo tutti insieme il progresso. 

Ciò non significa che dovremmo ignorare i motivi di tensione. Significa anzi esattamente il contrario: dobbiamo far fronte a queste tensioni senza indugio e con determinazione. Ed è quindi con questo spirito che vi chiedo di potervi parlare quanto più chiaramente e semplicemente mi sarà possibile di alcune questioni particolari che credo fermamente che dovremo in definitiva affrontare insieme. 

Il primo problema che dobbiamo affrontare insieme è la violenza estremista in tutte le sue forme. Ad Ankara ho detto chiaramente che l’America non è – e non sarà mai – in guerra con l’Islam. In ogni caso, però, noi non daremo mai tregua agli estremisti violenti che costituiscono una grave minaccia per la nostra sicurezza. E questo perché anche noi disapproviamo ciò che le persone di tutte le confessioni religiose disapprovano: l’uccisione di uomini, donne e bambini innocenti. Il mio primo dovere in quanto presidente è quello di proteggere il popolo americano.

La situazione in Afghanistan dimostra quali siano gli obiettivi dell’America, e la nostra necessità di lavorare insieme. Oltre sette anni fa gli Stati Uniti dettero la caccia ad Al Qaeda e ai Taliban con un vasto sostegno internazionale. Non andammo per scelta, ma per necessità. Sono consapevole che alcuni mettono in dubbio o giustificano gli eventi dell’11 settembre. Cerchiamo però di essere chiari: quel giorno Al Qaeda uccise circa 3.000 persone. Le vittime furono uomini, donne, bambini innocenti, americani e di molte altre nazioni, che non avevano commesso nulla di male nei confronti di nessuno. Eppure Al Qaeda scelse deliberatamente di massacrare quelle persone, rivendicando gli attentati, e ancora adesso proclama la propria intenzione di continuare a perpetrare stragi di massa. Al Qaeda ha affiliati in molti Paesi e sta cercando di espandere il proprio raggio di azione. Queste non sono opinioni sulle quali polemizzare: sono dati di fatto da affrontare concretamente.

Non lasciatevi trarre in errore: noi non vogliamo che le nostre truppe restino in Afghanistan. Non abbiamo intenzione di impiantarvi basi militari stabili. È lacerante per l’America continuare a perdere giovani uomini e giovani donne. Portare avanti quel conflitto è difficile, oneroso e politicamente arduo. Saremmo ben lieti di riportare a casa anche l’ultimo dei nostri soldati se solo potessimo essere fiduciosi che in Afghanistan e in Pakistan non ci sono estremisti violenti che si prefiggono di massacrare quanti più americani possibile. Ma non è ancora così.

Questo è il motivo per cui siamo parte di una coalizione di 46 Paesi. Malgrado le spese e gli oneri che ciò comporta, l’impegno dell’America non è mai venuto e mai verrà meno. In realtà, nessuno di noi dovrebbe tollerare questi estremisti: essi hanno colpito e ucciso in molti Paesi. Hanno assassinato persone di ogni fede religiosa. Più di altri, hanno massacrato musulmani. Le loro azioni sono inconciliabili con i diritti umani, il progresso delle nazioni, l’Islam stesso.

Il Sacro Corano predica che chiunque uccida un innocente è come se uccidesse tutto il genere umano. E chiunque salva un solo individuo, in realtà salva tutto il genere umano. La fede profonda di oltre un miliardo di persone è infinitamente più forte del miserabile odio che nutrono alcuni. L’Islam non è parte del problema nella lotta all’estremismo violento: è anzi una parte importante nella promozione della pace.

Sappiamo anche che la sola potenza militare non risolverà i problemi in Afghanistan e in Pakistan: per questo motivo stiamo pianificando di investire fino a 1,5 miliardi di dollari l’anno per i prossimi cinque anni per aiutare i pachistani a costruire scuole e ospedali, strade e aziende, e centinaia di milioni di dollari per aiutare gli sfollati. Per questo stesso motivo stiamo per offrire 2,8 miliardi di dollari agli afgani per fare altrettanto, affinché sviluppino la loro economia e assicurino i servizi di base dai quali dipende la popolazione.

Permettetemi ora di affrontare la questione dell’Iraq: a differenza di quella in Afghanistan, la guerra in Iraq è stata voluta, ed è una scelta che ha provocato molti forti dissidi nel mio Paese e in tutto il mondo. Anche se sono convinto che in definitiva il popolo iracheno oggi viva molto meglio senza la tirannia di Saddam Hussein, credo anche che quanto accaduto in Iraq sia servito all’America per comprendere meglio l’uso delle risorse diplomatiche e l’utilità di un consenso internazionale per risolvere, ogniqualvolta ciò sia possibile, i nostri problemi. A questo proposito potrei citare le parole di Thomas Jefferson che disse: “Io auspico che la nostra saggezza cresca in misura proporzionale alla nostra potenza e ci insegni che quanto meno faremo ricorso alla potenza tanto più saggi saremo”.

Oggi l’America ha una duplice responsabilità: aiutare l’Iraq a plasmare un miglior futuro per se stesso e lasciare l’Iraq agli iracheni. Ho già detto chiaramente al popolo iracheno che l’America non intende avere alcuna base sul territorio iracheno, e non ha alcuna pretesa o rivendicazione sul suo territorio o sulle sue risorse. La sovranità dell’Iraq è esclusivamente sua. Per questo ho dato ordine alle nostre brigate combattenti di ritirarsi entro il prossimo mese di agosto. Noi onoreremo la nostra promessa e l’accordo preso con il governo iracheno democraticamente eletto di ritirare il contingente combattente dalle città irachene entro luglio e tutti i nostri uomini dall’Iraq entro il 2012. Aiuteremo l’Iraq ad addestrare gli uomini delle sue Forze di Sicurezza, e a sviluppare la sua economia. Ma daremo sostegno a un Iraq sicuro e unito da partner, non da dominatori.

E infine, proprio come l’America non può tollerare in alcun modo la violenza perpetrata dagli estremisti, essa non può in alcun modo abiurare ai propri principi. L’11 settembre è stato un trauma immenso per il nostro Paese. La paura e la rabbia che quegli attentati hanno scatenato sono state comprensibili, ma in alcuni casi ci hanno spinto ad agire in modo contrario ai nostri stessi ideali. Ci stiamo adoperando concretamente per cambiare linea d’azione. Ho personalmente proibito in modo inequivocabile il ricorso alla tortura da parte degli Stati Uniti, e ho dato l’ordine che il carcere di Guantánamo Bay sia chiuso entro i primi mesi dell’anno venturo.

L’America, in definitiva, si difenderà rispettando la sovranità altrui e la legalità delle altre nazioni. Lo farà in partenariato con le comunità musulmane, anch’esse minacciate. Quanto prima gli estremisti saranno isolati e si sentiranno respinti dalle comunità musulmane, tanto prima saremo tutti più al sicuro. 

La seconda più importante causa di tensione della quale dobbiamo discutere è la situazione tra israeliani, palestinesi e mondo arabo. Sono ben noti i solidi rapporti che legano Israele e Stati Uniti. Si tratta di un vincolo infrangibile, che ha radici in legami culturali che risalgono indietro nel tempo, nel riconoscimento che l’aspirazione a una patria ebraica è legittimo e ha anch’esso radici in una storia tragica, innegabile.

Nel mondo il popolo ebraico è stato perseguitato per secoli e l’antisemitismo in Europa è culminato nell’Olocausto, uno sterminio senza precedenti. Domani mi recherò a Buchenwald, uno dei molti campi nei quali gli ebrei furono resi schiavi, torturati, uccisi a colpi di arma da fuoco o con il gas dal Terzo Reich. Sei milioni di ebrei furono così massacrati, un numero superiore all’intera popolazione odierna di Israele.

Confutare questa realtà è immotivato, da ignoranti, alimenta l’odio. Minacciare Israele di distruzione – o ripetere vili stereotipi sugli ebrei – è profondamente sbagliato, e serve soltanto a evocare nella mente degli israeliani il ricordo più doloroso della loro Storia, precludendo la pace che il popolo di quella regione merita. 

D’altra parte è innegabile che il popolo palestinese – formato da cristiani e musulmani – ha sofferto anch’esso nel tentativo di avere una propria patria. Da oltre 60 anni affronta tutto ciò che di doloroso è connesso all’essere sfollati. Molti vivono nell’attesa, nei campi profughi della Cisgiordania, di Gaza, dei Paesi vicini, aspettando una vita fatta di pace e sicurezza che non hanno mai potuto assaporare finora. Giorno dopo giorno i palestinesi affrontano umiliazioni piccole e grandi che sempre si accompagnano all’occupazione di un territorio. Sia dunque chiara una cosa: la situazione per il popolo palestinese è insostenibile. L’America non volterà le spalle alla legittima aspirazione del popolo palestinese alla dignità, alle pari opportunità, a uno Stato proprio.

Da decenni tutto è fermo, in uno stallo senza soluzione: due popoli con legittime aspirazioni, ciascuno con una storia dolorosa alle spalle che rende il compromesso quanto mai difficile da raggiungere. È facile puntare il dito: è facile per i palestinesi addossare alla fondazione di Israele la colpa del loro essere profughi. È facile per gli israeliani addossare la colpa alla costante ostilità e agli attentati che hanno costellato tutta la loro storia all’interno dei confini e oltre. Ma se noi insisteremo a voler considerare questo conflitto da una parte piuttosto che dall’altra, rimarremo ciechi e non riusciremo a vedere la verità: l’unica soluzione possibile per le aspirazioni di entrambe le parti è quella dei due Stati, dove israeliani e palestinesi possano vivere in pace e in sicurezza.

Questa soluzione è nell’interesse di Israele, nell’interesse della Palestina, nell’interesse dell’America e nell’interesse del mondo intero. È a ciò che io alludo espressamente quando dico di voler perseguire personalmente questo risultato con tutta la pazienza e l’impegno che questo importante obiettivo richiede. Gli obblighi per le parti che hanno sottoscritto la Road Map sono chiari e inequivocabili. Per arrivare alla pace, è necessario ed è ora che loro – e noi tutti con loro – facciamo finalmente fronte alle rispettive responsabilità.

I palestinesi devono abbandonare la violenza. Resistere con la violenza e le stragi è sbagliato e non porta ad alcun risultato. Per secoli i neri in America hanno subito i colpi di frusta, quando erano schiavi, e hanno patito l’umiliazione della segregazione. Ma non è stata certo la violenza a far loro ottenere pieni ed eguali diritti come il resto della popolazione: è stata la pacifica e determinata insistenza sugli ideali al cuore della fondazione dell’America. La stessa cosa vale per altri popoli, dal Sudafrica all’Asia meridionale, dall’Europa dell’Est all’Indonesia. Questa storia ha un’unica semplice verità di fondo: la violenza è una strada senza vie di uscita. Tirare razzi a bambini addormentati o far saltare in aria anziane donne a bordo di un autobus non è segno di coraggio né di forza. Non è in questo modo che si afferma l’autorità morale: questo è il modo col quale l’autorità morale al contrario cede e capitola definitivamente.

È giunto il momento per i palestinesi di concentrarsi su quello che possono costruire. L’Autorità Palestinese deve sviluppare la capacità di governare, con istituzioni che siano effettivamente al servizio delle necessità della sua gente. Hamas gode di sostegno tra alcuni palestinesi, ma ha anche delle responsabilità. Per rivestire un ruolo determinante nelle aspirazioni dei palestinesi, per unire il popolo palestinese, Hamas deve porre fine alla violenza, deve riconoscere gli accordi intercorsi, deve riconoscere il diritto di Israele a esistere.

Allo stesso tempo, gli israeliani devono riconoscere che proprio come il diritto a esistere di Israele non può essere in alcun modo messo in discussione, così è per la Palestina. Gli Stati Uniti non ammettono la legittimità dei continui insediamenti israeliani, che violano i precedenti accordi e minano gli sforzi volti a perseguire la pace. È ora che questi insediamenti si fermino.

Israele deve dimostrare di mantenere le proprie promesse e assicurare che i palestinesi possano effettivamente vivere, lavorare, sviluppare la loro società. Proprio come devasta le famiglie palestinesi, l’incessante crisi umanitaria a Gaza non è di giovamento alcuno alla sicurezza di Israele. Né è di giovamento per alcuno la costante mancanza di opportunità di qualsiasi genere in Cisgiordania. Il progresso nella vita quotidiana del popolo palestinese deve essere parte integrante della strada verso la pace e Israele deve intraprendere i passi necessari a rendere possibile questo progresso.

Infine, gli Stati Arabi devono riconoscere che l’Arab Peace Initiative è stato sì un inizio importante, ma che non pone fine alle loro responsabilità individuali. Il conflitto israelo-palestinese non dovrebbe più essere sfruttato per distogliere l’attenzione dei popoli delle nazioni arabe da altri problemi. Esso, al contrario, deve essere di incitamento ad agire per aiutare il popolo palestinese a sviluppare le istituzioni che costituiranno il sostegno e la premessa del loro Stato; per riconoscere la legittimità di Israele; per scegliere il progresso invece che l’incessante e autodistruttiva attenzione per il passato.

L’America allineerà le proprie politiche mettendole in sintonia con coloro che vogliono la pace e per essa si adoperano, e dirà ufficialmente ciò che dirà in privato agli israeliani, ai palestinesi e agli arabi. Noi non possiamo imporre la pace. In forma riservata, tuttavia, molti musulmani riconoscono che Israele non potrà scomparire. Allo stesso modo, molti israeliani ammettono che uno Stato palestinese è necessario. È dunque giunto il momento di agire in direzione di ciò che tutti sanno essere vero e inconfutabile.

Troppe sono le lacrime versate; troppo è il sangue sparso inutilmente. Noi tutti condividiamo la responsabilità di dover lavorare per il giorno in cui le madri israeliane e palestinesi potranno vedere i loro figli crescere insieme senza paura; in cui la Terra Santa delle tre grandi religioni diverrà quel luogo di pace che Dio voleva che fosse; in cui Gerusalemme sarà la casa sicura ed eterna di ebrei, cristiani e musulmani insieme, la città di pace nella quale tutti i figli di Abramo vivranno insieme in modo pacifico come nella storia di Isra, allorché Mosé, Gesù e Maometto (la pace sia con loro) si unirono in preghiera.

Terza causa di tensione è il nostro comune interesse nei diritti e nelle responsabilità delle nazioni nei confronti delle armi nucleari. Questo argomento è stato fonte di grande preoccupazione tra gli Stati Uniti e la Repubblica islamica iraniana. Da molti anni l’Iran si distingue per la propria ostilità nei confronti del mio Paese e in effetti tra i nostri popoli ci sono stati episodi storici violenti. Nel bel mezzo della Guerra Fredda, gli Stati Uniti hanno avuto parte nel rovesciamento di un governo iraniano democraticamente eletto. Dalla Rivoluzione Islamica, l’Iran ha rivestito un ruolo preciso nella cattura di ostaggi e in episodi di violenza contro i soldati e i civili statunitensi. Tutto ciò è ben noto. Invece di rimanere intrappolati nel passato, ho detto chiaramente alla leadership iraniana e al popolo iraniano che il mio Paese è pronto ad andare avanti. La questione, adesso, non è capire contro cosa sia l’Iran, ma piuttosto quale futuro intenda costruire.

Sarà sicuramente difficile superare decenni di diffidenza, ma procederemo ugualmente, con coraggio, con onestà e con determinazione. Ci saranno molti argomenti dei quali discutere tra i nostri due Paesi, ma noi siamo disposti ad andare avanti in ogni caso, senza preconcetti, sulla base del rispetto reciproco. È chiaro tuttavia a tutte le persone coinvolte che riguardo alle armi nucleari abbiamo raggiunto un momento decisivo. Non è unicamente nell’interesse dell’America affrontare il tema: si tratta qui di evitare una corsa agli armamenti nucleari in Medio Oriente, che potrebbe portare questa regione e il mondo intero verso una china molto pericolosa.

Capisco le ragioni di chi protesta perché alcuni Paesi hanno armi che altri non hanno. Nessuna nazione dovrebbe scegliere e decidere quali nazioni debbano avere armi nucleari. È per questo motivo che io ho ribadito con forza l’impegno americano a puntare verso un futuro nel quale nessuna nazione abbia armi nucleari. Tutte le nazioni – Iran incluso – dovrebbero avere accesso all’energia nucleare a scopi pacifici se rispettano i loro obblighi e le loro responsabilità previste dal Trattato di Non Proliferazione. Questo è il nocciolo, il cuore stesso del Trattato e deve essere rispettato da tutti coloro che lo hanno sottoscritto. Spero pertanto che tutti i Paesi nella regione possano condividere questo obiettivo. 

Il quarto argomento di cui intendo parlarvi è la democrazia. Sono consapevole che negli ultimi anni ci sono state controversie su come vada incentivata la democrazia e molte di queste discussioni sono riconducibili alla guerra in Iraq. Permettetemi di essere chiaro: nessun sistema di governo può o deve essere imposto da una nazione a un’altra.

Questo non significa, naturalmente, che il mio impegno in favore di governi che riflettono il volere dei loro popoli, ne esce diminuito. Ciascuna nazione dà vita e concretizza questo principio a modo suo, sulla base delle tradizioni della sua gente. L’America non ha la pretesa di conoscere che cosa sia meglio per ciascuna nazione, così come noi non presumeremmo mai di scegliere il risultato in pacifiche consultazioni elettorali. Ma io sono profondamente e irremovibilmente convinto che tutti i popoli aspirano a determinate cose: la possibilità di esprimersi liberamente e decidere in che modo vogliono essere governati; la fiducia nella legalità e in un’equa amministrazione della giustizia; un governo che sia trasparente e non si approfitti del popolo; la libertà di vivere come si sceglie di voler vivere. Questi non sono ideali solo americani: sono diritti umani, ed è per questo che noi li sosterremo ovunque.

La strada per realizzare questa promessa non è rettilinea. Ma una cosa è chiara e palese: i governi che proteggono e tutelano i diritti sono in definitiva i più stabili, quelli di maggior successo, i più sicuri. Soffocare gli ideali non è mai servito a farli sparire per sempre. L’America rispetta il diritto di tutte le voci pacifiche e rispettose della legalità a farsi sentire nel mondo, anche qualora fosse in disaccordo con esse. E noi accetteremo tutti i governi pacificamente eletti, purché governino rispettando i loro stessi popoli.

Quest’ultimo punto è estremamente importante, perché ci sono persone che auspicano la democrazia soltanto quando non sono al potere: poi, una volta al potere, sono spietati nel sopprimere i diritti altrui. Non importa chi è al potere: è il governo del popolo ed eletto dal popolo a fissare l’unico parametro per tutti coloro che sono al potere. Occorre restare al potere solo col consenso, non con la coercizione; occorre rispettare i diritti delle minoranze e partecipare con uno spirito di tolleranza e di compromesso; occorre mettere gli interessi del popolo e il legittimo sviluppo del processo politico al di sopra dei propri interessi e del proprio partito. Senza questi elementi fondamentali, le elezioni da sole non creano una vera democrazia.

Il quinto argomento del quale dobbiamo occuparci tutti insieme è la libertà religiosa. L’Islam ha una fiera tradizione di tolleranza: lo vediamo nella storia dell’Andalusia e di Cordoba durante l’Inquisizione. Con i miei stessi occhi da bambino in Indonesia ho visto che i cristiani erano liberi di professare la loro fede in un Paese a stragrande maggioranza musulmana. Questo è lo spirito che ci serve oggi. I popoli di ogni Paese devono essere liberi di scegliere e praticare la loro fede sulla sola base delle loro convinzioni personali, la loro predisposizione mentale, la loro anima, il loro cuore. Questa tolleranza è essenziale perché la religione possa prosperare, ma purtroppo essa è minacciata in molteplici modi.

Tra alcuni musulmani predomina un’inquietante tendenza a misurare la propria fede in misura proporzionale al rigetto delle altre. La ricchezza della diversità religiosa deve essere sostenuta, invece, che si tratti dei maroniti in Libano o dei copti in Egitto. E anche le linee di demarcazione tra le varie confessioni devono essere annullate tra gli stessi musulmani, considerato che le divisioni di sunniti e sciiti hanno portato a episodi di particolare violenza, specialmente in Iraq. 

La libertà di religione è fondamentale per la capacità dei popoli di convivere. Dobbiamo sempre esaminare le modalità con le quali la proteggiamo. Per esempio, negli Stati Uniti le norme previste per le donazioni agli enti di beneficienza hanno reso più difficile per i musulmani ottemperare ai loro obblighi religiosi. Per questo motivo mi sono impegnato a lavorare con i musulmani americani per far sì che possano obbedire al loro precetto dello zakat.

Analogamente, è importante che i Paesi occidentali evitino di impedire ai cittadini musulmani di praticare la religione come loro ritengono più opportuno, per esempio legiferando quali indumenti debba o non debba indossare una donna musulmana. Noi non possiamo camuffare l’ostilità nei confronti di una religione qualsiasi con la pretesa del liberalismo. 

È vero il contrario: la fede dovrebbe avvicinarci. Ecco perché stiamo mettendo a punto dei progetti di servizio in America che vedano coinvolti insieme cristiani, musulmani ed ebrei. Ecco perché accogliamo positivamente gli sforzi come il dialogo interreligioso del re Abdullah dell’Arabia Saudita e la leadership turca nell’Alliance of Civilizations. In tutto il mondo, possiamo trasformare il dialogo in un servizio interreligioso, così che i ponti tra i popoli portino all’azione e a interventi concreti, come combattere la malaria in Africa o portare aiuto e conforto dopo un disastro naturale.

Il sesto problema di cui vorrei che ci occupassimo insieme sono i diritti delle donne. So che si discute molto di questo e respingo l’opinione di chi in Occidente crede che se una donna sceglie di coprirsi la testa e i capelli è in qualche modo “meno uguale”. So però che negare l’istruzione alle donne equivale sicuramente a privare le donne di uguaglianza. E non è certo una coincidenza che i Paesi nei quali le donne possono studiare e sono istruite hanno maggiori probabilità di essere prosperi.

Vorrei essere chiaro su questo punto: la questione dell’eguaglianza delle donne non riguarda in alcun modo l’Islam. In Turchia, in Pakistan, in Bangladesh e in Indonesia, abbiamo visto Paesi a maggioranza musulmana eleggere al governo una donna. Nel frattempo la battaglia per la parità dei diritti per le donne continua in molti aspetti della vita americana e anche in altri Paesi di tutto il mondo.

Le nostre figlie possono dare un contributo alle nostre società pari a quello dei nostri figli, e la nostra comune prosperità trarrà vantaggio e beneficio consentendo a tutti gli esseri umani – uomini e donne – di realizzare a pieno il loro potenziale umano. Non credo che una donna debba prendere le medesime decisioni di un uomo, per essere considerata uguale a lui, e rispetto le donne che scelgono di vivere le loro vite assolvendo ai loro ruoli tradizionali. Ma questa dovrebbe essere in ogni caso una loro scelta. Ecco perché gli Stati Uniti saranno partner di qualsiasi Paese a maggioranza musulmana che voglia sostenere il diritto delle bambine ad accedere all’istruzione, e voglia aiutare le giovani donne a cercare un’occupazione tramite il microcredito che aiuta tutti a concretizzare i propri sogni.

Infine, vorrei parlare con voi di sviluppo economico e di opportunità. So che agli occhi di molti il volto della globalizzazione è contraddittorio. Internet e la televisione possono portare conoscenza e informazione, ma anche forme offensive di sessualità e di violenza fine a se stessa. I commerci possono portare ricchezza e opportunità, ma anche grossi problemi e cambiamenti per le comunità località. In tutte le nazioni – compresa la mia – questo cambiamento implica paura. Paura che a causa della modernità noi si possa perdere il controllo sulle nostre scelte economiche, le nostre politiche, e cosa ancora più importante, le nostre identità, ovvero le cose che ci sono più care per ciò che concerne le nostre comunità, le nostre famiglie, le nostre tradizioni e la nostra religione.

So anche, però, che il progresso umano non si può fermare. Non ci deve essere contraddizione tra sviluppo e tradizione. In Paesi come Giappone e Corea del Sud l’economia cresce mentre le tradizioni culturali sono invariate. Lo stesso vale per lo straordinario progresso di Paesi a maggioranza musulmana come Kuala Lumpur e Dubai. Nei tempi antichi come ai nostri giorni, le comunità musulmane sono sempre state all’avanguardia nell’innovazione e nell’istruzione.

Quanto ho detto è importante perché nessuna strategia di sviluppo può basarsi soltanto su ciò che nasce dalla terra, né può essere sostenibile se molti giovani sono disoccupati. Molti Stati del Golfo Persico hanno conosciuto un’enorme ricchezza dovuta al petrolio, e alcuni stanno iniziando a programmare seriamente uno sviluppo a più ampio raggio. Ma dobbiamo tutti riconoscere che l’istruzione e l’innovazione saranno la valuta del XXI secolo, e in troppe comunità musulmane continuano a esserci investimenti insufficienti in questi settori. Sto dando grande rilievo a investimenti di questo tipo nel mio Paese. Mentre l’America in passato si è concentrata sul petrolio e sul gas di questa regione del mondo, adesso intende perseguire qualcosa di completamente diverso.

Dal punto di vista dell’istruzione, allargheremo i nostri programmi di scambi culturali, aumenteremo le borse di studio, come quella che consentì a mio padre di andare a studiare in America, incoraggiando un numero maggiore di americani a studiare nelle comunità musulmane. Procureremo agli studenti musulmani più promettenti programmi di internship in America; investiremo sull’insegnamento a distanza per insegnanti e studenti di tutto il mondo; creeremo un nuovo network online, così che un adolescente in Kansas possa scambiare istantaneamente informazioni con un adolescente al Cairo.

Per quanto concerne lo sviluppo economico, creeremo un nuovo corpo di volontari aziendali che lavori con le controparti in Paesi a maggioranza musulmana. Organizzerò quest’anno un summit sull’imprenditoria per identificare in che modo stringere più stretti rapporti di collaborazione con i leader aziendali, le fondazioni, le grandi società, gli imprenditori degli Stati Uniti e delle comunità musulmane sparse nel mondo. 

Dal punto di vista della scienza e della tecnologia, lanceremo un nuovo fondo per sostenere lo sviluppo tecnologico nei Paesi a maggioranza musulmana, e per aiutare a tradurre in realtà di mercato le idee, così da creare nuovi posti di lavoro. Apriremo centri di eccellenza scientifica in Africa, in Medio Oriente e nel Sudest asiatico; nomineremo nuovi inviati per la scienza per collaborare a programmi che sviluppino nuove fonti di energia, per creare posti di lavoro “verdi”, monitorare i successi, l’acqua pulita e coltivare nuove specie. Oggi annuncio anche un nuovo sforzo globale con l’Organizzazione della Conferenza Islamica mirante a sradicare la poliomielite. Espanderemo inoltre le forme di collaborazione con le comunità musulmane per favorire e promuovere la salute infantile e delle puerpere.

Tutte queste cose devono essere fatte insieme. Gli americani sono pronti a unirsi ai governi e ai cittadini di tutto il mondo, le organizzazioni comunitarie, gli esponenti religiosi, le aziende delle comunità musulmane di tutto il mondo per permettere ai nostri popoli di vivere una vita migliore.

I problemi che vi ho illustrato non sono facilmente risolvibili, ma abbiamo tutti la responsabilità di unirci per il bene e il futuro del mondo che vogliamo, un mondo nel quale gli estremisti non possano più minacciare i nostri popoli e nel quale i soldati americani possano tornare alle loro case; un mondo nel quale gli israeliani e i palestinesi siano sicuri nei loro rispettivi Stati e l’energia nucleare sia utilizzata soltanto a fini pacifici; un mondo nel quale i governi siano al servizio dei loro cittadini e i diritti di tutti i figli di Dio siano rispettati. Questi sono interessi reciproci e condivisi. Questo è il mondo che vogliamo. Ma potremo arrivarci soltanto insieme.

So che molte persone – musulmane e non musulmane – mettono in dubbio la possibilità di dar vita a questo nuovo inizio. Alcuni sono impazienti di alimentare la fiamma delle divisioni, e di intralciare in ogni modo il progresso. Alcuni lasciano intendere che il gioco non valga la candela, che siamo predestinati a non andare d’accordo, e che le civiltà siano avviate a scontrarsi. Molti altri sono semplicemente scettici e dubitano fortemente che un cambiamento possa esserci. E poi ci sono la paura e la diffidenza. Se sceglieremo di rimanere ancorati al passato, non faremo mai passi avanti. E vorrei dirlo con particolare chiarezza ai giovani di ogni fede e di ogni Paese: “Voi, più di chiunque altro, avete la possibilità di cambiare questo mondo”.

Tutti noi condividiamo questo pianeta per un brevissimo istante nel tempo. La domanda che dobbiamo porci è se intendiamo trascorrere questo brevissimo momento a concentrarci su ciò che ci divide o se vogliamo impegnarci insieme per uno sforzo – un lungo e impegnativo sforzo – per trovare un comune terreno di intesa, per puntare tutti insieme sul futuro che vogliamo dare ai nostri figli, e per rispettare la dignità di tutti gli esseri umani.

È più facile dare inizio a una guerra che porle fine. È più facile accusare gli altri invece che guardarsi dentro. È più facile tener conto delle differenze di ciascuno di noi che delle cose che abbiamo in comune. Ma nostro dovere è scegliere il cammino giusto, non quello più facile. C’è un unico vero comandamento al fondo di ogni religione: fare agli altri quello che si vorrebbe che gli altri facessero a noi. Questa verità trascende nazioni e popoli, è un principio, un valore non certo nuovo. Non è nero, non è bianco, non è marrone. Non è cristiano, musulmano, ebreo. É un principio che si è andato affermando nella culla della civiltà, e che tuttora pulsa nel cuore di miliardi di persone. È la fiducia nel prossimo, è la fiducia negli altri, ed è ciò che mi ha condotto qui oggi. 

Noi abbiamo la possibilità di creare il mondo che vogliamo, ma soltanto se avremo il coraggio di dare il via a un nuovo inizio, tenendo in mente ciò che è stato scritto. Il Sacro Corano dice: “Oh umanità! Sei stata creata maschio e femmina. E ti abbiamo fatta in nazioni e tribù, così che voi poteste conoscervi meglio gli uni gli altri”. Nel Talmud si legge: “La Torah nel suo insieme ha per scopo la promozione della pace”. E la Sacra Bibbia dice: “Beati siano coloro che portano la pace, perché saranno chiamati figli di Dio”.

Sì, i popoli della Terra possono convivere in pace. Noi sappiamo che questo è il volere di Dio. E questo è il nostro dovere su questa Terra. Grazie, e che la pace di Dio sia con voi.

(Traduzione di Anna Bissanti)

(4 giugno 2009)

La (sconcertante) versione del Generale Ben Hodges_con Giacomo Gabellini, Roberto Buffagni, Giuseppe Germinario

Una registrazione tratta dal canale “il contesto” https://www.youtube.com/watch?v=8AMImDiaU4Y&t=117s. Il sito Italia e il mondo ha pubblicato, giorni fa, una intervista con sottotitoli in italiano al Generale Ben Hodges https://www.youtube.com/watch?v=cqvETNAfltA&t=1112s Nel suo candore, la rappresentazione disarmante delle convinzioni che guidano le scelte dell’attuale leadership statunitense. Ne parliamo con Giacomo Gabellini e Roberto Buffagni. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Intervista del Ministro degli Esteri Sergey Lavrov alla rivista americana Newsweek, 7 ottobre 2024

Intervista del Ministro degli Esteri Sergey Lavrov alla rivista americana Newsweek, 7 ottobre 2024

Domanda: Con il protrarsi del conflitto in Ucraina, quanto è diversa la posizione della Russia rispetto al 2022 e come vengono soppesati i costi del conflitto rispetto ai progressi compiuti verso gli obiettivi strategici?

Risposta: La nostra posizione è ampiamente nota e rimane invariata. La Russia è aperta a una soluzione politico-diplomatica che dovrebbe rimuovere le cause alla radice della crisi. Dovrebbe mirare a porre fine al conflitto piuttosto che a raggiungere un cessate il fuoco. L’Occidente dovrebbe smettere di fornire armi e Kiev dovrebbe porre fine alle ostilità. L’Ucraina dovrebbe tornare al suo status di neutralità, non di blocco e non nucleare, proteggere la lingua russa e rispettare i diritti e le libertà dei suoi cittadini.

Il 14 giugno, il Presidente russo Vladimir Putin ha elencato i seguenti prerequisiti per l’accordo: ritiro completo dell’AFU dalla RPD, dalla RPD, dalle Oblast’ di Zaporozhye e di Kherson; riconoscimento delle realtà territoriali come sancito dalla Costituzione russa; status neutrale, non di blocco e non nucleare per l’Ucraina; sua smilitarizzazione e denazificazione; garanzia dei diritti, delle libertà e degli interessi dei cittadini di lingua russa; rimozione di tutte le sanzioni contro la Russia.

Kiev ha risposto a questa dichiarazione con un’incursione armata nell’Oblast’ di Kursk il 6 agosto. I suoi patroni – gli Stati Uniti e altri Paesi della NATO – cercano di infliggere alla Russia una “sconfitta strategica”. Date le circostanze, non abbiamo altra scelta che continuare la nostra operazione militare speciale fino a quando le minacce poste dall’Ucraina non saranno eliminate.

I costi del conflitto sono maggiori per gli ucraini, che vengono spietatamente spinti dalle loro stesse autorità verso la guerra per essere massacrati lì. Per la Russia, si tratta di difendere il proprio popolo e gli interessi vitali della sicurezza. A differenza della Russia, gli Stati Uniti continuano a farneticare su una sorta di “regole”, “stile di vita” e simili, apparentemente non capendo dove si trovi l’Ucraina e quale sia la posta in gioco in questa guerra.

Domanda: Quanto ritiene probabile che si possa raggiungere una soluzione militare o diplomatica, o vede un rischio maggiore che il conflitto si trasformi in qualcosa di ancora più grande, con le forze ucraine che ricevono armamenti NATO più avanzati ed entrano in territorio russo?

Risposta: Fare ipotesi non è il mio lavoro. Quello che voglio dire è che stiamo cercando di spegnere questa crisi da più di un decennio, ma ogni volta che mettiamo nero su bianco accordi che soddisfano tutti, Kiev e i suoi padroni fanno marcia indietro. È successo esattamente questo all’accordo raggiunto nel febbraio 2014: è stato calpestato dall’opposizione che ha compiuto un colpo di Stato con il sostegno degli Stati Uniti. Un anno dopo sono stati conclusi gli accordi di Minsk approvati dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite; anche questi sono stati sabotati per sette anni e i leader di Ucraina, Germania e Francia, che avevano firmato il documento, si sono vantati in seguito di non aver mai avuto intenzione di rispettarlo. Il documento siglato a Istanbul alla fine del marzo 2022 non è mai stato firmato da Zelensky su insistenza dei suoi supervisori occidentali, in particolare dell’allora primo ministro britannico.

Al momento, per quanto possiamo vedere, il ripristino della pace non fa parte del piano del nostro avversario. Zelensky non ha revocato il suo decreto che vieta i negoziati con Mosca. Washington e i suoi alleati della NATO forniscono sostegno politico, militare e finanziario a Kiev affinché la guerra continui. Stanno discutendo di autorizzare l’AFU a utilizzare i missili occidentali a lungo raggio per colpire in profondità il territorio russo. “Giocare con il fuoco” in questo modo può portare a conseguenze pericolose. Come ha dichiarato il Presidente Putin, prenderemo decisioni adeguate in base alla nostra comprensione delle minacce poste dall’Occidente. Spetta a voi trarre conclusioni.

Domanda: Quali piani concreti ha la Russia, in linea con i suoi partenariati strategici con la Cina e altre potenze, per ottenere cambiamenti nell’attuale ordine mondiale e come si aspetta che queste ambizioni si giochino in aree di intensa competizione e conflitto, incluso il Medio Oriente?

Risposta: Quello che abbiamo in mente è che l’ordine mondiale deve essere adattato alle realtà attuali. Oggi il mondo sta vivendo il “momento multipolare”. Lo spostamento verso l’ordine mondiale multipolare è una parte naturale del ribilanciamento del potere, che riflette cambiamenti oggettivi nell’economia, nella finanza e nella geopolitica mondiali. L’Occidente ha aspettato più a lungo degli altri, ma ha anche iniziato a rendersi conto che questo processo è irreversibile.

Stiamo parlando di rafforzare nuovi centri di potere e di decisione nel Sud e nell’Est del mondo. Invece di cercare l’egemonia, questi centri riconoscono l’importanza dell’uguaglianza sovrana e della diversità di civiltà e sostengono la cooperazione reciprocamente vantaggiosa e il rispetto degli interessi degli altri.

La multipolarità si manifesta nel ruolo crescente delle associazioni regionali, come l’UEEA, la SCO, l’ASEAN, l’Unione Africana, la CELAC e altre. Il BRICS è diventato un modello di diplomazia multilaterale. L’ONU dovrebbe rimanere un forum per allineare gli interessi di tutti i Paesi.

Crediamo che tutti gli Stati, compresi gli Stati Uniti, debbano rispettare i loro obblighi su base paritaria con gli altri, piuttosto che mascherare il loro nichilismo giuridico con il mantra della loro eccezionalità. In questo siamo sostenuti dalla maggioranza dei Paesi, che vedono come il diritto internazionale venga violato impunemente nella Striscia di Gaza e in Libano, proprio come era stato violato in Kosovo, Iraq, Libia e in molti altri luoghi.

I nostri partner cinesi possono rispondere da soli, ma penso e so che condividono il nostro punto principale, la comprensione che la sicurezza e lo sviluppo sono inseparabili e indivisibili, e che finché l’Occidente continuerà a cercare il dominio, gli ideali di pace enunciati nella Carta delle Nazioni Unite rimarranno lettera morta.

Domanda: Quale impatto prevede che le elezioni presidenziali statunitensi avranno sulle relazioni tra Russia e Stati Uniti in caso di vittoria di Donald Trump o di Kamala Harris e come si sta preparando la Russia per entrambi gli scenari?

Risposta: In generale, l’esito di queste elezioni non fa alcuna differenza per noi, in quanto i due partiti hanno raggiunto un consenso sul contrasto alla Russia. Nel caso in cui ci siano cambiamenti politici negli Stati Uniti e nuove proposte per noi, saremo pronti a considerarle e a decidere se rispondono ai nostri interessi. In ogni caso, promuoveremo con decisione gli interessi della Russia, soprattutto per quanto riguarda la sua sicurezza nazionale.

Nel complesso, sarebbe naturale che gli abitanti della Casa Bianca, a prescindere da chi siano, si occupassero dei loro affari interni, piuttosto che cercare avventure a decine di migliaia di chilometri di distanza dalle coste americane. Sono certo che gli elettori statunitensi la pensano allo stesso modo.

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