StElly nel paese dei balocchi, di Giuseppe Germinario

Così Elly Schlein, a sorpresa, almeno per chi ama farsi sorprendere, è la nuova segretaria del Partito Democratico.

Niente di originale. Una clonazione, un pollo da batteria come tanti altri, tutti identici, che avrebbero potuto emergere dal brodo di coltura sorosiano ormai coltivato da anni in quegli ambienti progressisti e nella sua città di adozione. Elly avrebbe potuto assurgere indifferentemente a Primo Ministro in Finlandia e Moldova, Ministro degli Esteri in Germania; le è capitato invece di conquistare il posto di segretario di partito in una fase a dir poco avventurosa di quella realtà politica.

Un possibile trampolino di lancio per lei a futura gloria e soddisfazione; molto probabilmente, il contestuale de profundis di un partito dalle lontane radici gloriose ormai disperse.

Una nemesi amara per il vecchio gruppo dirigente dalle lontane origini approssimativamente comuniste, in realtà in buona parte socialdemocratiche, impersonate per ultimo dal buon Stefano Bonaccini.

Agli “illuminati sulla via di Damasco” l’elettorato più o meno interessato, non si sa bene se alla resurrezione o alla dipartita, delle primarie ha preferito le certezze dell’originale, mi si perdoni l’ossimoro, clonato nel laboratorio filantropico di grandi propositi e inconfessabili misfatti.

In tempi così incerti e smarriti, l’alea del buon governo non è evidentemente più sufficiente a conservare e nemmeno a rimanere aggrappati alle leve.

Ad una lettura anche superficiale delle mozioni congressuali, gli argomenti del documento del neosegretario sono i più conformi allo spirito della carta dei valori del partito da poco resa pubblica. Ne pare di fatto una scopiazzatura più estesa della quale si tratterà a margine a parte una anticipazione irrefrenabile di tre amenità difficili da concettualizzare pur con ogni buona volontà:

  • la nozione di “giustizia climatica” se non associandola a quella biblica di “diluvio universale”

  • l’asserzione del nesso causale diretto e univoco tra la crisi climatica e la disuguaglianza sociale, quando in realtà, se proprio si vuol sottilizzare, è da una concezione elitaria e di ceto della crisi climatica, confusa per altro con quella ambientale, che si dipana il nesso causale diretto con le disuguaglianze

  • l’asserzione della formazione sociale italiana retta da un regime patriarcale.

L’aspetto dirimente di questa fase politica di quel partito è un altro.

Elly Schlein è stata eletta segretario in piena fase costituente del partito.

L’avvio di una fase “costituente” o “ricostituente” dovrebbe quantomeno prevedere una analisi rigorosa, se non proprio una revisione impietosa dell’approccio culturale, delle scelte politiche fondamentali adottate a partire almeno dagli anni ‘90 e delle ragioni della attuale condizione del paese e della nazione.

Nella carta e nelle mozioni congressuali non c’è niente di tutto questo se non qualche rara riga di adesione fideistica alla Unione Europea, di sostegno a scatola chiusa alla resistenza ucraina, di rappresentazione dello scontro geopolitico tra una democrazia assediata e un autoritarismo prevalente, di auspicio di un ritorno ad un multilateralismo a trazione statunitense.

Una rigidità dogmatica e una superficialità che fa apparire le prese di posizione dell’attuale leadership statunitense un esempio di flessibilità.

Sarebbe improprio pretendere dal Partito Democratico un ripensamento radicale o un ribaltamento delle sue ragioni costitutive. Trasformerebbe la lenta e soporifera agonia che sta percorrendo in un trauma esistenziale esiziale.

Un atto di lucidità ed onestà compatibile con le ragioni fondative del partito sarebbe però una carta dei valori che tracciasse degli orientamenti di fondo e ponesse degli interrogativi da offrire alle mozioni come traccia per risposte che giustificassero le diverse candidature.

  • La Carta avrebbe dovuto quindi contenere una riflessione critica sulla narrazione agiografica del processo di globalizzazione, sull’interpretazione del ruolo degli stati nazionali in esso, sulla funzione di collante delle dinamiche esercitata dalla condizione egemonica emersa con l’implosione del blocco sovietico e indurre quindi i candidati, con le rispettive mozioni di tentare almeno di tracciare quantomeno obbiettivi e comportamenti autonomi ed attivi, sia pure in una logica “entrista” propria della natura di quel partito. Del resto l’azione di classi dirigenti di un numero sempre maggiore di paesi, a cominciare dalla Turchia e dall’Ungheria, ma anche a modo loro della Polonia, ha evidenziato l’agibilità all’interno delle logiche di schieramento. Cosa è, del resto, alla fine, il perseguimento di obbiettivi politici interni alla Unione Europea, più ancora che nella NATO, se non una continua contrattazione e un continuo aspro confronto e conflitto tra centri decisori nazionali e statuali in una dinamica di asservimento alla forza egemone! Se sono reali l’intenzione e l’obbiettivo politico, ammesso e non concesso che sia realizzabile, di una politica estera e di difesa europea autonome, le mozioni dovrebbero essere indotte a delimitare quantomeno i livelli massimi compatibili di integrazione degli eserciti della NATO e dei complessi militari-industriali.

  • A scalare la Carta avrebbe dovuto spingere a riflettere sul trentennio di politica interna a cominciare dalle privatizzazioni e dismissioni o quantomeno nelle loro modalità di esecuzione, per poi risalire alla atavica incapacità del capitale privato di sostenere il peso politico ed organizzativo di una grande industria ed impresa strategica e sul ruolo conseguente del capitale pubblico, magari a gestione privatistica nelle sue varie modalità e possibilità; come pure a giustificare e, quindi, porre rimedio al fatto che l’ancora importante saldo attivo del risparmio nazionale non riesca ad essere reinvestito in gran parte nel territorio e a tutela e sviluppo dell’industria e delle attività nazionali. Potrebbe finalmente emergere qualche seria considerazione sulla necessità di ripristino di una serie di agenzie di supporto tecnico allo sviluppo di attività di produzione ed infrastrutturali completamente distrutto in quei decenni fatali e della cui mancanza si sente persino nella attuazione del cavallo di battaglia, di nome PNRR, del fronte più ottusamente europeista. In pratica la Carta dei Valori avrebbe dovuto porre il quesito fondamentale sui motivi del progressivo stallo e degrado del paese e della nazione negli ultimi quarant’anni, coincisi con la trasformazione del PCI e della DC e la fondazione del PD.

  • Ci sarebbe da sindacare sulla adeguatezza della Carta ad avviare una seria fase costituente su altri temi: la gestione manipolatoria ed arru(a)ffona della crisi pandemica come pure la tematica fondativa legata al cosiddetto transumanesimo. Quest’ultima introdotta in ritardo ed in forma puramente imitativa e parodistica, ma con la possibilità di arrecare altrettanti, se non peggio, danni di quanto indotti negli Stati Uniti. Un culto della singolarità, del determinismo culturale rispetto alle leggi della natura, della tecnocrazia scientifica che meriterebbero assoluta attenzione e precauzione, ma che si vedono introdotte di soppiatto nella Carta e nelle mozioni, probabilmente anche in maniera scontata ed inconsapevole. Sarebbe, forse, pretendere troppo ad una classe dirigente di questo livello.

La sorprendente incapacità di impostare correttamente, quantomeno, un percorso congressuale non è, quindi, un mero incidente in un partito dalle gloriose tradizioni organizzative.

È la conseguenza della cieca miseria intellettuale di una intera classe dirigente; della sua autoreferenzialità e della sua incapacità a porsi a rappresentare un qualsiasi modello di blocco sociale in grado di garantira una minima coesione ed una minima capacità di pesare nelle dinamiche geopolitiche per quanto deleterie e limitative.

Più che una fase costituente, si sta rivelando sempre più una sua parodia, destinata rapidamente a spegnersi nella continuità e nell’esaurimento di un processo iniziato almeno quaranta anni fa, ma dall’esito allora non interamente segnato.

Non è un caso che gli aneliti di rinnovamento e di allargamento della platea dai quali attingere i futuri gruppi dirigenti si riducano alla fine, leggendo attentamente le mozioni, ad attingere al serbatoio degli amministratori locali.

Una parodia dall’esito scontato ma attraverso un processo che richiederà, paradossalmente, il sacrificio della componente più pragmatica, ma culturalmente del tutto omologata o passiva, la quale ha saputo, nelle proprie esperienze di gestione amministrativa, almeno approfittare di qualche margine di azione consentito da questo appiattimento ed allineamento.

La sconfitta di Bonaccini rappresenta esattamente questo.

Non sarà l’unico fìo da pagare e nemmeno il più pesante.

La mozione di Elly, più delle altre, è soprattutto l’appello che con più fervore urla alla riduzione e al superamento delle disuguaglianze, al raggiungimento dell’equità fiscale, alla rivendicazione dei diritti.

Una enfasi che ha indotto gran parte dei commentatori ad attribuirle audacemente una impronta “socialdemocratica” più che “radical chic”.

Nell’economia di questo scritto si deve purtroppo glissare sull’approfondimento sulle varie accezioni attribuibili al termine di lotta alle disuguaglianze e al conseguimento dei diritti; come pur sulla mancata associazione del termine di equità fiscale a quello di vessazione, attraverso il quale il sistema fiscale colpisce indistintamente dipendenti ed autonomi e sulla mancata associazione al problema della tutela dei salari più bassi di quello dell’appiattimento dei livelli salariali normati e del basso livello di quasi tutte le retribuzioni.

Una connotazione socialdemocratica storicamente più attendibile ad un documento e ad una formazione politica dovrebbe avere il carattere specifico di un nesso stretto e inscindibile tra una politica di normazione dei diritti sociali ed il sostegno ad una politica economica in generale, industriale in particolare, fondata sulla impresa, in particolare la grande impresa e sul ruolo pubblico diretto in economia sul quale plasmare la coesione e il dinamismo di una formazione sociale. Un indirizzo, ma con modalità diverse, riconducibile anche alla connotazione comunista di un movimento.

Nelle mozioni congressuali, in particolare in quello della Schlein, non c’è niente di tutto questo, non ostante le crepe all’ortodossia liberista aperti nella fase trumpiana ed anche nel recente documento sulla sicurezza strategica (NSS) varato da Biden e trattato recentemente su questo blog.

Niente se non la caricatura dell’aperto ed acritico sostegno al piano di riconversione ecologica ed energetica e digitale che si risolve in realtà, nel suo dogmatismo e catastrofismo, in un vero e proprio programma di destrutturazione ed indebolimento non solo del residuo apparato industriale e tecnologico avanzato europeo, ma anche di altri ambiti strategici come l’agricoltura.

Tutta l’enfasi che ammanta le parole d’ordine della redistribuzione, del lavoro sicuro, dell’equità fiscale non porteranno a niente di buono; nel migliore e improbabile dei casi a qualche successo temporaneo, tipico del rivendicazionismo sindacale radicale o sedicente tale.

Si potranno regolare più rigidamente i contratti individuali di lavoro, stabilire per legge i livelli minimi salariali e magari gli standard sanitari, rendere ancora più draconiane, sulla lettera, le normative e le sanzioni fiscali, ma le dinamiche socio-economiche, la struttura economico-industriale e dei servizi, il sistema politico-amministrativo troveranno innumerevoli e fantasiose nuove vie per perpetuare una condizione di sottosalario, di basso reddito e di mercato nero, magari in una condizione di apparente legalità. Potrei citarne io stesso decine di modalità.

Rimarrà l’enorme implicazione politica di una simile impostazione. In mancanza di una questione nazionale e, soprattutto, di una politica di difesa di interesse nazionale unificante, nel migliore dei casi non farà che spingere singoli settori alla autotutela in una visione potenzialmente corporativa e intaccare ulteriormente il già precario tasso di interconfederalità delle politiche sindacali magari sotto la nobile veste di un radicalismo del quale abbiamo conosciuto già, assieme al collaborazionismo, gli esisti sterili e nefasti.

La dirigenza sindacale, con tutto il peggio di cui è capace, navigata com’è e desiderosa di non disperdere l’attuale principale legittimazione legata al riconoscimento reciproco con Confindustria, è in grado di cogliere il pericolo, ma non di contrastare efficacemente l’inerzia innescata da questi indirizzi; un ulteriore passo verso un sindacato compassionevole è ormai maturo.

L’unico aspetto positivo è che la gestione piddina della Schlein, dovesse durare, metterà a nudo l’imbroglio politico che è stato e si è rivelato il M5S (Movimento Cinque Stelle); al prezzo di portarsi, però, la serpe in casa, ma con minori infingimenti.

L’unico fattore che potrebbe prolungarne indefinitamente l’agonia, è il processo accellerato di omologazione del centrodestra ed il suo pericolosissimo avvicinamento politico e diplomatico all’ordine statunitense e all’avventurismo ottuso delle classi dirigenti polacche e baltiche.

Peggio dell’azzardo cialtrone della “buonanima”, ottanta anni fa.

https://www.partitodemocratico.it/wp-content/uploads/Bonaccini_Mozione_A4-1.pdf

https://www.partitodemocratico.it/wp-content/uploads/mozione_schlein_def.pdf

https://www.partitodemocratico.it/wp-content/uploads/PromessaDemocratica-GIANNI-CUPERLO-2023-v8_WEB_paginedoppie.pdf

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Ucraina, il conflitto 29a puntata. Guerra e terrorismo_ con Stefano Orsi e Max Bonelli

Il regime di Kiev, per la verità i suoi mentori, si sta rivelando un vero maestro nella narrazione mediatica e nella coltivazione degli strumenti, anche i più ibridi, di guerra. Gli episodi di arbitrio verso i prigionieri, l’utilizzo di armi proibite, l’indifferenza e l’utilizzo della popolazione civile come strumento di guerra fanno ormai parte dell’armamentario utilizzato. Questa volta, però, la soglia dell’esplicito attacco terroristico è stata oltrepassata ampiamente con l’incursione in due villaggi russi al confine e la deliberata uccisione di civili. Elementi idonei a trascinare la giunta e i comandi ucraino verso quel tribunale di guerra che gli occidentali vorrebbero costruire su misura su Putin. Il regime di Kiev è ormai alle strette e solo l’incapacità e l’impossibilità statunitense di poter uscire dal vicolo cieco in cui l’amministrazione di Biden si è cacciata, se non a rischio di un confronto diretto su larga scala, sta impedendo la mala sorte per personaggi tragicomici ed aguzzini senza scrupoli. La novità è che piuttosto che scompaginare l’area dissidente o indifferente all’esorcismo russofobo, l’oltranzismo atlantista sta polarizzando sempre più le dinamiche geopolitiche in schieramenti sempre più delineati. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Proposte di pace, propositi di guerra_con Antonio de Martini

Il mondo occidentale, patrocinato dagli Stati Uniti, continua a offrire la propria rappresentazione come quella del mondo intero. Il conflitto in Ucraina non fa eccezione. La novità consiste proprio nel fatto che la verità che ci viene offerta in Europa e negli Stati Uniti questa volta è radicalmente diversa da quella accettata nel resto del mondo. L’amministrazione statunitense rivendica a buon diritto la compatezza conseguita, al momento, nel blocco di alleanze costruito nei decenni pur con qualche crepa; glissa nervosamente sulla neutralità e sulla aperta opposizione di un gran numero di stati nazionali e della gran parte della popolazione nel mondo al suo avventurismo. Dopo la Turchia, iniziano ad emergere nuovi attori di primo piano pronti ad esercitare una azione di mediazione. Lo stesso conflitto ucraino da essere l’oggetto univoco delle attenzioni si sta trasformando con il tempo nella leva per ridefinire le relazioni geopolitiche. La proposta impropria di mediazione della Cina assume questo significato. Nelle more, ancora una volta, i soggetti che vedranno restringere il proprio campo di azione saranno i centri politici europei. La direzione obbligata sarà quella dell’Africa. Ma in una condizione di estrema debolezza e con un retaggio coloniale e neocoloniale pesante come un fardello. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Stati Uniti! Volontari di pace….eterna_con Gianfranco Campa

Definitisi in qualche maniera gli schieramenti attorno al gioco ucraino ed europeo i centri decisori prevalenti negli Stati Uniti volgono la loro attenzione verso quelle crepe che potrebbero far vacillare il muro costruito intorno alla Russia e, soprattutto, la suicida accondiscendenza delle leadership europee. Tornano alla ribalta i soliti arnesi, nella fattispecie Soros, in qualità di imbonitore impegnato a prefigurare gli scenari, e Samantha Power nella veste di braccio armato. Personaggi già visti all’opera negli Stati Uniti, in Europa, in Libia, in Siria, in ogni angolo dove occorre sostenere finti avversari e destabilizzare nemici dichiarati, amici superflui e figure che semplicemente vogliono tenersi lontano dalle cattive compagnie. La loro attenzione condita di perfidia, questa volta e non a caso, si è concentrata sull’Ungheria e l’India. Gli ossi da rosicare si stanno rivelando sempre più duri e meno digeribili. Nel frattempo i colorati e spensierati palloncini che solcano pazientemente il cielo si stanno rivelando un ostacolo imprevisto ai piani diplomatici tesi ad uscire dal cul de sac nel quale si è al momento cacciata la diplomazia statunitense. Buon ascolto, Giuseppe Germinario
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Ucraina, il conflitto 28 puntata. Il bianco, il nero….il grigio_con Max Bonelli e Stefano Orsi

Il regime ucraino ha deciso di mantenere il paese che pretende di rappresentare nella trappola in cui si è cacciato e nel quale lo hanno ingabbiato gli istigatori all’opera negli Stati Uniti e a vari livelli della NATO. La guerra è la sua ragione d’essere e la sua condizione di esistenza. Ma la guerra potrà durare solo a condizione che la NATO continui a fornire i mezzi alla carne da cannone, ormai decimata, destinata al sacrificio. Ancora una volta, come più volte ripetuto, sarà l’esito sul campo a dettare i termini di una trattativa. Il solco profondo, scavato dai centri decisori statunitensi, ha segnato direzioni diverse e di fatto contrapposte tra la Russia e l’altra metà dell’Europa. Solo la fine della guerra con una chiara vittoria della Russia potrà insinuare anche in Europa quel tarlo della mancanza di autorevolezza e credibilità della potenza americana ormai all’opera nel resto del mondo. Tante cose, però, dovranno ancora succedere per arrivarci. Siamo ancora ai primi giri di poker. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Stati Uniti! Politica nel pallone_con Gianfranco Campa

Improvvisamente, consuetudini tollerate diventano l’occasione e il pretesto per creare non ancora il casus belli, certamente l’ostacolo alla realizzazione di trame ed obbiettivi politici degli avversari. Negli Stati Uniti il caso dell’aerostato vagante è stato lo strumento e l’occasione sollevata ad arte per rimescolare le carte secondo tre linee di riferimento. Ad una componente decisa a condurre il confronto geopolitico ostile contestualmente con la Russia e la Cina si giustappone una componente russofoba ed una sinofoba. Tutte e tre imbevute di un trasporto ideologico che porta spesso a forzare l’interpretazione politica degli atti e conseguentemente il merito degli atti politici. Il tutto in un contesto di opinione pubblica sempre più ostile nei confronti della leadership cinese, ritenuta responsabile del processo di degrado economico e sociale negli Stati Uniti. Una partita a tre che espone sempre più le scelte politiche statunitensi ad una schizofrenia incapace di definire chiaramente le priorità. Una situazione che rischia di trascinare una parte significativa del movimento MAGA verso una deriva neocon suscettibile di ricreare su nuove basi avventuriste i vecchi equilibri interni. Un contesto nel quale sono fondamentali gli intrecci e le interrelazioni esterne di queste fazioni con parte dei centri decisori stranieri. Sempre più labili questi ultimi con quelli russi, ancora significativi e determinanti con quelli cinesi. Il contrasto sul “palloncino” ha per oggetto una contesa su scelte ben più impegnative: il raddoppio delle basi statunitensi nel Pacifico ed una separazione dei legami economici sino-statunitensi il più graduale e meno dirompente possibile per i due paesi. Un intrico della cui complessità rischia di sfuggire il bandolo a qualcuno dei tanti attori protagonisti nello scenario politico interno e geopolitico. Buon e attento ascolto, Giuseppe Germinario

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Unione Europea e Germania! Controfigure e protagonisti_con Antonio de Martini

Da quaranta anni la costruzione e la designazione del nemico seguono lo stesso canovaccio. Dalle stelle alle stalle, personaggi come Saddam Husseyn, Milosevic, Gheddafi, per un pelo anche Assad, forse in un prossimo futuro Zelenski, hanno conosciuto una fine tragica, illudendosi per un attimo della benevolenza e delle grazie concesse dalla potenza aggrappata alle sue ambizioni egemoniche. Non sono altro che singoli punti di un cerchio che sta stringendo in una morsa ferrea ancora una volta l’Europa ed in particolare la Germania. Piuttosto che reagire, le vittime designate hanno scelto di divincolarsi il meno possibile. Così facendo pensano di guadagnare tempo; i più illusi ritengono di potersi ritagliare i resti di qualche pietanza. Saranno essi stessi la pietanza; il tacchino farcito da spolpare, senza nemmeno il ringraziamento. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Stati Uniti, c’è poco da ridere_con Gianfranco Campa

Frenare l’ilarità di una vicepresidente, profusa irrefrenabilmente anche nei momenti meno opportuni ed imbarazzanti, è una missione impossibile. Non è l’unico personaggio da operetta che ha trovato posto nel caleidoscopio dei posti chiave dell’amministrazione statunitense. Un problema già serio in tempi ordinari dalle gerarchie politiche ben definite e dalle decisioni poco impegnative; drammatico in una fase di sconvolgimenti politici accompagnati da una disarticolazione dei centri di potere, laddove la riuscita dei colpi di mano dipendono dalle capacità proprie di controllo di parte delle leve di potere. Non è l’azzardo di pokeristi della domenica a guidare le scelte; è l’opera inquietante e gelida di troppi dottor stranamore in azione nell’ombra o appena dietro le quinte. Ancora una volta si deve partire dal battito d’ali a Washington per comprendere la tempesta attuale in Ucraina e le prossime annunciate qua e là per il mondo. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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Massimo Morigi, Lo Stato delle Cose dell’ultima religione politica italiana: il Mazzinianesimo 2a parte

Massimo Morigi (per chi non volesse rileggere l’introduzione passare direttamente al link da pag 73)

LO STATO DELLE COSE DELL’ULTIMA RELIGIONE POLITICA ITALIANA: IL MAZZINIANESIMO

UNA RIFLESSIONE TRANSPOLITICA PER IL SUO LEGITTIMO EREDE: IL REPUBBLICANESIMO GEOPOLITICO. PRESENTAZIONE DI TRENT’ANNI DOPO ALLA DIALETTICA OLISTICO-ESPRESSIVA-STRATEGICA-CONFLITTUALE DE ARNALDO GUERRINI. NOTE BIOGRAFICHE, DOCUMENTI E TESTIMONIANZE PER UNA STORIA DELL’ ANTIFASCISMO DEMOCRATICO ROMAGNOLO

INTRODUZIONE

Se accostiamo «Io sono una forza del Passato./Solo nella tradizione è il mio amore./Vengo dai ruderi, dalle chiese,/dalle pale d’altare, dai borghi/abbandonati sugli Appennini o le Prealpi,/dove sono vissuti i fratelli.» che è la definizione della poetica e della Weltanschauung di Pier Paolo Pasolini con «Mi fanno male i capelli, gli occhi, la gola, la bocca… Dimmi se sto tremando!» criptica, surreale ma al tempo stesso lancinante e terribilmente espressiva dichiarazione del disagio del personaggio di Giuliana, interpretata da Monica Vitti, nel film Il deserto rosso di Michelangelo Antonioni e citazioni entrambe impiegate in questo Lo Stato delle Cose dell’ultima religione politica italiana: il Mazzinianesimo. Una riflessione transpolitica per il suo legittimo erede: il Repubblicanesimo Geopolitico. Presentazione di trent’anni dopo alla dialettica olistico-espressiva-strategica-conflittuale de Arnaldo Guerrini. Note biografiche, documenti e testimonianze per una storia dell’antifascismo democratico romagnolo, abbiamo immediatamente l’immagine del particolare metodo dialettico impiegato da Massimo Morigi e di cui si aveva avuto una prova anche nello Stato delle Cose della Geopolitica. Presentazione di Quaranta, Trenta, Vent’anni dopo a le Relazioni fra l’Italia e il Portogallo durante il periodo fascista. Nascita estetico-emotiva del paradigma olistico-dialettico-espressivo-strategico-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico originando dall’eterotopia poetica, culturale e politica del Portogallo, anche questo pubblicato a puntate sull’ “Italia e il Mondo”, che è, oltre ad essere un metodo dialettico che, come più occasioni ribadito da Morigi, oltre a non riconoscere alcuna validità gnoseologico-epistemologica alla suddivisione fra c.d. scienze della natura e scienze umane storico-sociali, entrambe unificate, secondo Morigi, nel paradigma olistico-dialettico-espressivo-strategico-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico, proprio in ragione del suo approccio olistico, non distingue nemmeno fra dato storico-sociale e fra il suo stesso dato biografico e cercando di capire, assieme ai destinatari dei suoi messaggi, come questo dato biografico lo abbia portato alle sue odierne elaborazioni teoriche. A questo punto si potrebbe obiettare che in Morigi prevale sull’analisi teorica una sorta di deteriore biografismo, dove il momento dell’analisi viene travolto da una non richiesto lirismo. Niente di più errato. Comunque si voglia giudicare il del tutto inedito paradigma dialettico del Nostro, e noi comunque lo giudichiamo come l’unico tentativo veramente serio compiuto dalla fine del grande idealismo italiano di Gentile e Croce di far rivivere in Italia e nel resto del mondo il metodo dialettico, la manifestazione lirica cui Morigi rende conto a sé stesso prima ancora che ai lettori non sono assolutamente le sue interiori ed intime inclinazioni che giustamente egli ritiene non debbano interessare a nessuno ma si tratta del rendere conto, anche pubblicamente, del suo culturale Bildungsroman, dove nello Stato delle Cose della Geopolitica veniva focalizzato nella cultura portoghese, nella saudade di questo paese e, infine nella filmografia di Wim Wenders, in specie in quella che aveva come sfondo il Portogallo, Lo Stato delle Cose e Lisbon Story, mentre ora, Nello Stato delle Cose dell’ultima religione politica: il Mazzinianesimo si tratta della filmografia d’autore degli anni Sessanta del secolo che ci ha lasciato, cioè di quella di Federico Fellini, di Michelangelo Antonioni e di Pier Paolo Pasolini. E se è vero, come è vero, che il ricorso a questo strumento per l’interpretazione della crisi politica non solo del movimento mazziniano e del partito che tuttora vuole presentarsi come la sua attuazione politica è stata anche indotta dal fatto che sulla crisi della religione politica del mazzinianesimo e del partito che ancora vuole esprimere ed intestarsi questa ideologia non è stato, in fondo, scritto praticamente alcunché di veramente interessante e significativo (e non è questa la sede per contestare questa definizione di identità politica del PRI ed anche Morigi, anche per una sorta di rispetto verso un partito politico in cui militò in un lontano passato – e di cui, fra l’altro, dimostra in questo saggio introduttivo di essere un profondissimo conoscitore e, quindi, inevitabilmente quasi un “appassionato”–, è tutt’altro che acido rispetto a questa autodefinizione identitaria) ma anche della crisi politico-sistemica più generale che ha investito il nostro paese è, sulla scorta della sua dialettica totalizzante del tutto giustificata e conseguente, a noi lettori appare chiaro – ma anche Morigi, ne siamo sicuri ne è pienamente consapevole – che la filmografia espressamente citata in questo scritto di Morigi è anch’essa una parte importante del romanzo di formazione culturale di Morigi che, proprio in virtù della particolare dialettica totalizzante da lui elaborata può essere impiegata per dare conto sia del suo metodo dialettico che della crisi politica del sistema politico Italia, filmografia italiana che, sottintende sempre è stato quindi anche decisiva, insieme alle suggestioni portoghesi e wendersiane, per la definizione del paradigma olistico-dialettico-espressivo-strategico-conflittuale del Repubblicanesimo Geopolitico.

Un’ultima notazione. Come da sottotitolo Lo Stato delle Cose dell’ultima religione politica italiana: il Mazzinianesimo è l’introduzione del saggio di Massimo Morigi, Arnaldo Guerrini. Note biografiche, documenti e testimonianze per una storia dell’antifascismo democratico romagnolo, edito nel 1989 e che oltre ad essere la biografia dell’antifascista repubblicano e mazziniano Arnaldo Guerrini, già più di trent’anni fa esprimeva, come ci dice il suo autore e come potranno vedere i lettori dell’ “Italia e il Mondo” la consapevolezza della crisi del sistema politico italiano che sarebbe esplosa con Mani pulite. Questa biografia, assieme ovviamente al suo scritto introduttivo sullo Stato delle cose dell’ultima religione politica italiana: il Mazzinianesimo, su espresso desiderio dell’autore viene pubblicata in quattro puntate a partire da questo mese di gennaio del 2023, in una sorta di augurio di buon anno nuovo per l’acquisizione di una rinnovata consapevolezza politica per terminare con l’ultima puntata da pubblicarsi in occasione del IX Febbraio, data dell’anniversario della nascita della Repubblica Romana del 1849 e che per tutti i mazziniani, siano o no ancora facenti parte del Partito Repubblicano Italiano, è la ricorrenza più importante di tutto il calendario, ancora più importante, siano o no questi repubblicani credenti nelle varie denominazioni del cristianesimo, del Natale cristiano. Ci sarebbe così allora ancora molto da dire sulle religioni politiche e su come il Repubblicanesimo Geopolitico nel suo olismo dialettico, voglia essere, come dice espressamente Morigi, una prosecuzione ed evoluzione per i nostri tempi dei principi repubblicani di Giuseppe Mazzini…

Buona lettura

Giuseppe Germinario

Segue sul link sottostante a partire da pag 73 (per chi ha già letto la prima parte)

SECONDA PARTE DELLO STATO DELLE COSE ULTIMA RELIGIONE POLITICA

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Guardare e comprendere il multipolarismo_con Gianfranco La Grassa

Costruire uno strumento interpretativo adeguato a comprendere il contesto politico e geopolitico. Un impegno che non può prescindere dai tempi dettati dalla contingenza storica. Attardarsi, però, nella riproposizione pedissequa degli schemi interpretativi che hanno orientato le vicende politiche del secolo scorso porta sicuramente a posizioni fuorvianti e conclusioni sempre più paradossali. Ne parlo con Gianfranco La Grassa. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

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