le vie della promozione sociale ovvero LA REALTÀ È SEMPRE IN AGGUATO, di Antonio de Martini

Le elezioni sono finite e, salvo gravi frodi o errori, Joe Biden sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti. Inizia come un candidato debole. Il paese è diviso praticamente a metà; quasi la metà del paese ha votato contro di lui. L’animosità nei suoi confronti sarà simile a quella affrontata da Donald Trump negli ultimi quattro anni.
Il Congresso è profondamente diviso. Il Senato potrebbe arrivare in parità, con il vicepresidente eletto Kamala Harris che detiene il voto decisivo. Alla Camera dei Rappresentanti, la maggioranza dei Democratici si è ridotta a soli 14 seggi. Durante l’amministrazione Trump, tendevano a votare quasi all’unanimità. Con una maggioranza minore potrebbero non esserlo, data l’emergere di un’ala progressista del partito. Con Trump andato, anche l’unanimità potrebbe essere finita. Passata l’euforia per la vittoria, Biden avrà poco margine di manovra.
Biden deve creare rapidamente una solida base per la sua presidenza. Quando Barack Obama è entrato in carica, la questione dominante era la guerra in Iraq. Si è immediatamente rivolto al mondo islamico per ridisegnare le percezioni lì, e sebbene abbia avuto solo un effetto limitato nel mondo islamico, ha avuto un’influenza sostanziale negli Stati Uniti, che erano stanchi dopo un decennio di guerra nella regione. Rappresentava qualcosa di nuovo in un momento in cui il vecchio era visto da molti come disfunzionale.
Per Biden, non esiste un problema di politica estera imponente . Ci sono, ovviamente, due imponenti questioni interne: la crisi COVID-19 e l’economia. In una certa misura c’è un compromesso qui, in assenza di un vaccino praticabile. Le misure più aggressive vengono utilizzate per combattere il virus, maggiore è lo stress per l’economia. Più si è sensibili all’economia, meno si è ossessionati dalla malattia. Questa è una visione imperfetta della situazione, ma tutt’altro che assurda.
Trump considerava il virus secondario rispetto all’economia. L’approccio ragionevole è prendere entrambi allo stesso modo sul serio e trovare soluzioni per entrambi – ragionevole ma difficile, quando le soluzioni per l’una impongono costi dall’altra parte. (Ovviamente, ogni presidente dovrebbe inventare l’impossibile, e ogni presidente promette di farlo.) Un discorso “sangue, sudore, fatica e lacrime” che galvanizzi il paese al sacrificio su entrambi i fronti non funzionerà. Nella lotta al virus, non chiedi alla nazione di fare qualcosa di straordinariamente difficile; gli stai chiedendo di non fare cose ordinarie. In ogni caso, Biden può avere molte virtù, ma essere Churchillian non sembra essere una di queste.
La promessa di Biden di unire il paese è abbastanza improbabile, perché è intrappolato nel dilemma del suo predecessore. Nelle circostanze attuali, Biden ha opzioni economiche limitate. E ha a che fare con una malattia di cui non ha una vera esperienza ma per la quale dovrebbe implementare soluzioni. Alcune soluzioni arriveranno da medici insensibili alle conseguenze economiche delle loro decisioni. Altri verranno dalla Fed e dalle imprese, che si aspettano che il sistema medico risolva un problema che lo sconcerta. Come Trump, avrà un menu di scelte imperfette. Come Trump, pagherà il prezzo politico per qualunque cosa scelga. Trump ha scelto quello che pensava fosse politicamente opportuno. Si era sbagliato. Ma se avesse scelto diversamente, anche quello sarebbe stato sbagliato.
Ho scritto di come la politica estera di un’epoca tende a seguire da un presidente all’altro . La presidenza di Obama ha coinciso con la fine delle guerre jihadiste. Per Obama c’erano tre principi: ritirare il massimo delle forze dal Medio Oriente, ristrutturare le relazioni USA-Cina e impedire alla Russia di dominare l’Ucraina e altri paesi. La politica estera di Trump era quella di continuare a ridurre la presenza delle forze statunitensi in Medio Oriente, supervisionando un nuovo sistema geopolitico che lega Israele al mondo arabo, aumentando pesantemente la pressione sulla Cina per cambiare le sue politiche economiche e aumentando modestamente la presenza degli Stati Uniti in Polonia e La Romania blocca la Russia.
Biden si aprirà con alcune semplici mosse, come rientrare nell’accordo di Parigi. Ciò richiede che un paese crei piani per raggiungere gli obiettivi del trattato, crei piani per l’attuazione e li attui. Per Biden, creare un piano che possa far passare il Congresso è difficile; implementarlo è ancora più difficile. Molte nazioni che hanno firmato l’accordo non hanno attuato piani rispettando i propri obblighi. Ma unirsi è facile e starà bene al partito litigioso di Biden.
Rianimerà anche le relazioni atlantiche sembrando ragionevole agli interminabili incontri che non portano a nulla. A parte la Polonia e la Romania – esse stesse un’estensione della questione russa – e la questione perenne della spesa per la difesa, Washington ha pochi problemi reali con l’Europa.
Ciò che importa a Biden sarà ciò che importa a Obama e Trump: la Cina e le sue relazioni economiche con gli Stati Uniti, oltre a proteggere il Pacifico occidentale da un’improbabile incursione cinese; il continuo ritiro delle truppe dal Medio Oriente e il sostegno all’intesa arabo-israeliana; ei continui tentativi di limitare gli sforzi russi di espansione attraverso il dispiegamento di truppe e sanzioni.
Questi sono problemi che rappresentano la continuità e, cosa importante, non sminuiranno le principali sfide interne con cui Biden dovrà confrontarsi. Ci sono altre questioni, ma cambiarle richiede di trattare con gli alleati che sono profondamente coinvolti in esse. Ad esempio, è possibile cambiare la politica sull’Iran, ma creerebbe enormi tensioni con Israele e il mondo arabo sunnita. Allo stesso modo, un cambiamento nella politica della Corea creerebbe problemi con il Giappone e la Corea del Sud.
Quindi l’obiettivo dell’amministrazione Biden entrante sarà quello di concentrarsi sulla questione che ha distrutto Trump: COVID-19 e l’economia. Per fare ciò, è necessario limitare o evitare iniziative di politica estera che potrebbero indebolire la posizione di Biden al Congresso e nel Paese. Ciò non significa che la diplomazia statunitense non cambierà. Alla miriade di riunioni parteciperanno e verrà emesso un nuovo tono, uguale al vecchio tono .
Questo modello, ovviamente, dipende dalle azioni degli altri. Jimmy Carter non si aspettava una rivolta in Iran, e George HW Bush non era chiaro sulla caduta dell’Unione Sovietica. Suo figlio non si aspettava che la sua amministrazione fosse incentrata su al-Qaeda. Il resto del mondo può ridefinire ciò che è importante e ciò che non lo è. Data l’attenzione degli Stati Uniti sulla politica interna, l’opportunità per altri paesi di trarre vantaggio da questa preoccupazione è potenzialmente significativa. Quindi la realtà è che per il momento l’iniziativa si sposta dagli Stati Uniti.
L’iter che porterà, dovrebbe portare, all’insediamento del Presidente degli Stati Uniti a gennaio 2021 sta assumendo dinamiche sempre più convulse e contraddittorie. Lo staff di Joe Biden sta procedendo come se fosse già investito di una carica per le quali mancano ancora responsi elettorali definitivi e sanzione giuridica. Lo scontro non è più tra Trump e Biden, ma anche all’interno del partito democratico. La stessa Corte Suprema rischia di essere delegittimata. Non c’è niente di più pericoloso di un ceto politico e di una classe dirigente con le spalle al muro!. I meno saggi e i più imprudenti sono come al solito gli adulatori e i servi; come sempre l’Europa si sta distinguendo. Buon ascolto_Giuseppe Germinario
Le virtù del modello democratico proposto all’universo-mondo sono ormai di pubblico dominio; come del resto i suoi panni sporchi. La farsa sta raggiungendo il culmine. Al proprio apogeo potrà trasformarsi in tragedia per ogni piccola scintilla. Una guerra che non prevede prigionieri. Buon ascolto_Giuseppe Germinario
Mi pare una buona intervista con un paio di argomenti affrontati un po’ con l’accetta. Lo impongono ovviamente i tempi di una intervista.
Il primo riguarda il tema del razzismo. E’ vero che la componente apertamente razzista strutturata politicamente attualmente è certamente marginale; l’accentuazione del carattere identitario delle dinamiche e degli argomenti potrebbe aumentarne l’influenza.
Il secondo riguarda la crisi pandemica. E’ vero che la gran parte delle competenze nella sanità sono appannaggio degli stati federali. La narrazione offerta da Trump, che punta soprattutto allo sviluppo delle terapie, per come è stata sostenuta, ha concesso troppo spazio a teorie complottiste o negazioniste.
E’ mancata da parte mia una sottolineatura essenziale. L’aperto sostegno dei democratici alle manifestazioni dei BLM (Black Live Matter), con annessi i saccheggi e i linciaggi da una parte e l’accusa di razzismo istituzionale ha messo a nudo il loro carattere larvatamente eversivo e offerto a Trump l’occasione ulteriore di presentarsi come l’uomo delle istituzioni.
Un vero e proprio paradosso rispetto alla narrazione di questi ultimi quattro anni. Buon ascolto_Giuseppe Germinario
L’intervista è edita da “reopen Roma”
https://www.facebook.com/MagnitudoItalia/videos/390676642119865
SECONDA INTERVISTA A MACHIAVELLI
La crisi pandemica ha prodotto un ampio dibattito sull’uso (e, secondo molti, l’abuso) dei DPCM da parte del governo Conte, che hanno limitato alcuni diritti garantiti dalla Costituzione, in particolare il diritto di locomozione di cui all’art. 16 della Carta. Virologi, maghi, giornalisti, soubrette, costituzionalisti, nani, politologi, ballerine, ecc. ecc. si sono accapigliati sull’emergenza, sullo stato d’eccezione, sulla compressione dei diritti, sfornando pareri ed opinioni contrastanti. Schmitt e Kelsen sono stati fatti uscire dall’armadio filosofico-giuridico-politico in cui riposavano da decenni, disturbati solo da qualche specialista, per corroborare le diverse tesi.
A me sembra utile, giacché lo avevo già fatto un paio di anni fa, andare nuovamente ad intervistare Machiavelli, che mi aveva cortesemente detto, al momento di concludere il precedente colloquio, di tornare a visitarlo.
Cosa pensa dell’eccezione sanitaria e della conseguente decretazione del Presidente Conte?
Come scrissi, tutte le repubbliche hanno necessità di prescrizioni ed organi per gestire le emergenze “perché senza uno simile ordine le cittadi con difficultà usciranno degli accidenti istraordinari. Perché gli ordini consueti nelle republiche hanno il moto tardo” dato che le norme ordinarie diventano pericolosissime “quando egli hanno a rimediare a una cosa che non aspetti tempo. E però le republiche debbano intra loro ordini avere uno simile modo… Perché quando in una republica manca uno simile modo, è necessario, o servando gli ordini rovinare, o per non rovinare rompergli”. Come ha ripetuto, pochi giorni orsono, un vostro grand commis. Se il vostro governo seguiva le procedure ordinarie contereste tanti morti in più.
Ma noi italiani non avevamo in Costituzione la previsione e la disciplina dello Stato di eccezione?
E avete fatto male a non prevederla; e vi credevate perfino d’avere la “costituzione più bella del mondo”; come se le costituzioni e gli Stati debbano essere belli, piuttosto che utili. Giudicavo: “Talché mai sia perfetta una republica se con le leggi sue non ha provisto a tutto, e ad ogni accidente posto il rimedio e dato il modo a governarlo”. Perciò hanno fatto bene gli altri Stati, come Francia, Germania e Spagna, tra quelli più vicini a voi che hanno previsto gli ordini straordinari. Cosa pensavate? Che per non aver legiferato sulle situazioni eccezionali, queste vi avrebbero risparmiato?
Guerre, carestie, terremoti, pestilenze non hanno bisogno del permesso del costituente né dei pomposi giuristi di regime per colpire. Tanto meno poi le calamità sono allontanate dal progresso. Questo può servire – spesso – a limitare le conseguenze, ma poco o punto ad evitarle.
Ma se non c’era la disciplina normativa, cosa potevano fare?
Tutto il necessario. Nessuno può dire cosa con certezza. Ma, come hanno ritenuto tanti giuristi dopo di me, la necessità è fonte di diritto superiore alla legge (Santi Romano) e in questi casi, la forza sacrifica il diritto per salvare la vita (Jhering). E proprio della vita dei sudditi stiamo discutendo. Quanto al cosa e se sia opportuno o meno, è solo il risultato a poterlo dire. Se la tua azione è stata opportuna sarà il popolo a giudicarlo: non c’è norma che possa assolverti o condannarti, così come non c’è che possa vietarlo. O se c’è, è dovere derogarla o sospenderla.
E sulla “seconda ondata” che cosa dice?
Ho scritto che l’opinione che le cose del mondo siano governate dalla fortuna e da Dio è vera in parte: infatti la fortuna è arbitra della metà delle azioni nostre, ma dato che abbiamo il libero arbitrio ne lascia a noi il resto. La fortuna “assomiglia a uno di questi fiumi rovinosi, che, quando s’adirano, allagano e’ piani, ruinano li arberi e li edifizii… ciascuno fugge loro dinanzi, ognuno cede a lo impeto loro, senza potervi in alcuna parte obstare”. Ciò nonostante, nei tempi quieti gli uomini possono provvedere con ripari di guisa che se straripano non rechino danni: “Similmente interviene della fortuna. La quale dimostra la sua potenzia dove non è ordinata virtù a resisterle, e quindi volta li sua impeti, dove lo sa che non sono fatti li argini e li ripari a tenerla. E se voi considerrete l’Italia…, vedrete essere una campagna senza argini e senza alcun riparo: ché, s’ella fussi reparata da conveniente virtù, come la Magna, la Spagna e la Francia, o questa piena non avrebbe fatto le variazioni grande che ha, o la non ci sarebbe venuta”. Ma come diceva don Abbondio la virtù è come il coraggio: se uno non ce l’ha non se lo può dare.
Da mesi i telegiornali ci hanno raccontato che la seconda ondata era in arrivo.
Peggio: non aver previsto quello che sapevano anche i telespettatori – non molto più preparati dei villici con i quali giocavo a briscola – dimostra che i governanti hanno poca virtù. E dato che vale la regola di don Abbondio è meglio che se ne vadano a casa.
Ma potrebbero cambiare, forse?
Mi pare difficile, dato che finora hanno dimostrato di conservare gli stessi modi, anche se i tempi sono mutati. Parlano ancora di osservare le leggi, quando hanno il dovere – se necessario – di cambiarle. E poi hanno sempre la tendenza ad abusare della roba degli altri.
Pensa che generino così disordini?
Sicuramente e si vedono: se comandi a qualcuno di non lavorare, devi provvedere a sostentarlo, prima che ad infliggergli pene se lavora. Ho scritto che per un principe è meglio essere temuto che amato: ma ho aggiunto che quel timore non deve tramutarsi in odio. Per evitarlo il governante ha come regola di astenersi dalla roba dei sudditi. Cosa che i nostri non fanno: o gliene prendono troppa o non gliela lasciano fare, e poi non provvedono a fornirne, almeno quanto basta per sopravvivere.
Lei è pessimista, e cosa si può dire di confortante in una situazione così difficile?
Che è la più favorevole al cambiamento. Non potete ristagnare ancora come negli ultimi trent’anni. Come scrissi “era necessario che la Italia si riducessi nel termine che ell’è di presente, e che la fussi più stiava che li Ebrei, più serva ch’è Persi, più dispersa che li Ateniesi senza capo, senza ordine, battuta, spogliata, lacera corsa…”. Dopo essere arrivati così’ in fondo, non si può che risalire.
Teodoro Klitsche de la Grange
Grande confusione sotto il cielo. Il segno di una classe dirigente decadente, di un paese diviso, di una nazione a rischio implosione. Lo abbiamo descritto ripetutamente su questo sito. La strada sembra sempre più in discesa_Giuseppe Germinario