PER QUALCHE MIGLIAIO IN PIÚ, di Teodoro Klitsche de la Grange

PER QUALCHE MIGLIAIO IN PIÚ

È degno di nota l’attaccamento delle élite decadenti e dei loro mezzi di comunicazione alle parole d’ordine e agli idola con cui cercano di rappresentare una situazione che non è quella reale e che, in ogni caso, non intendono cambiare, se non in un senso di loro gradimento.

Fino a qualche tempo fa, dopo l’inizio dell’emergenza Covid, si erano accorti, con grande clamore, che in Italia la pubblica amministrazione funziona poco e male. Era ora! Ma tanto ed insistente  lamento non induceva a procedere con qualche misura coerente ed incisiva, come la rimozione di dirigenti inetti (o altro), ovvero la prescrizione di sanzioni serie per inadempimenti, ritardi, ostruzionismi delle P.P.A.A. e così via.

Misure legittimate, anzi prescritte, tra l’altro, dagli artt. 28 e 97 della “costituzione più bella del mondo”, ma di fatto inattuati o meglio sabotati dall’entrata in vigore ad oggi. Fa piacere che Draghi, oltre ad annunciare qualche riforma (vedremo), ha esordito mettendo alla porta alcuni dei responsabili amministrativi della gestione della pandemia. Si resta in attesa per i politici.

La gestione sanitario-amministrativa del Covid riporta alla mente quanto scriveva un economista sulfureo come Milton Friedman, sul controllo (anche) dei farmaci esercitato negli USA della FDA (Food and Drug Administration).

Il pezzo di Friedman, che fa parte di un libro scritto con la moglie Rose, è una succinta ma persuasiva argomentazione di come delle buone intenzioni ed istituzioni finiscono poi per funzionare male, ottenendo, complessivamente, risultati meno positivi delle attese e spesso negativi.

Il controllo della FDA fu esteso ai farmaci nel 1938. Dopo la tragedia del talidomide (1962) furono approvati degli emendamenti i quali “al test di sicurezza previsto nella legge del 1938 aggiungevano un test di efficacia e abolivano i limiti di tempo a disposizione della FDA per decidere sulle richieste di autorizzazione dei nuovi farmaci”. Il risultato fu che i controlli più estesi e volti a tutelare il consumatore/paziente andarono a detrimento dell’interesse “che i nuovi farmaci siano resi disponibili a coloro che possano riceverne un beneficio il più presto possibile. Come spesso avviene, due obiettivi validi si contraddicono a vicenda. Sicurezza e prudenza in una direzione possono significare morte in un’altra”. E Friedman proseguiva “Una mole considerevole di dati accumulati indica che la regolamentazione della FDA è controproducente, cioè che ha fatto più male (perché ha ritardato il progresso nella produzione e nella distribuzione di farmaci validi) che bene (perché ha impedito la distribuzione di farmaci dannosi o inutili)”. E ne spiega la ragione “Provate a mettervi nella posizione di un funzionario della FDA, responsabile dell’approvazione o del rifiuto di un nuovo farmaco. Potreste fare due errori diversi”: approvare un farmaco nocivo alla salute o, al contrario impedire (o dilazionare) la disponibilità di un salva-vita. Ma se commettete il primo errore “il vostro nome sarà sulle prime pagine di tutti i giornali. Sarete coperti di infamia. Se cadete nel secondo errore, chi lo verrà a sapere?”. Non l’industria farmaceutica che voleva produrlo (il solito pescecane!); non i morti non risparmiati, perché non possono manifestare; e neppure le loro famiglie che non hanno “modo di sapere che i loro cari hanno perso la vita per la «prudenza» di uno sconosciuto funzionario della FDA”.

Le considerazioni dell’economista americano sono emblematiche di come l’eterogenesi dei fini sovverte anche le istituzioni e le attività pubbliche non contrassegnate da inutilità evidente e/o da bulimia predatoria. E così la guerra italiana alla pandemia, condivisibile nel fine, nella necessità e nell’urgenza, ma nei modi assai meno.

Parte delle misure prese dai poteri pubblici è stato connotata spesso più dell’esigenza di fare qualcosa, e di evidente, che dalle reali necessità; molti ripetono che sono state bloccate attività non particolarmente pericolose, se esercitate con attenzione e prudenza igienico-sanitaria. Tuttavia il timore per le critiche di non essere stati abbastanza determinati nella guerra al Covid, ha indotto alla soluzione più drastica (e anche contraddittoria, con quelle adottate per situazioni simili, come il trasporto pubblico). Altre sembravano scelte più per beneficiare qualche tax-consommers e qualche green-dipendente (come monopattini, biciclette, banchi a rotelle) che alla volontà di pugnare col virus.

Quanto alla battaglia decisiva – i vaccini – anche qua l’atteggiamento – in genere – delle autorità, nazionali ed europee – è stato spesso connotato più da esigenze d’immagine che da esigenze reali. Il ritardo nella campagna vaccini soprattutto rispetto a quanto fatto in Gran Bretagna, Israele, USA (e anche altrove), soprattutto. L’approvazione dei vaccini da parte di enti di controllo è stata lunga, rispetto a quanto fatto altrove. E non è finito, come dimostra il caso Astrazeneca.

E non è stato messo in conto quante migliaia di morti sia costata l’accuratezza dei controlli. Il numero dei decessi per abitanti in Gran Bretagna, nella settimana corrente, è circa un terzo di quelli in Italia. In Israele ancor meno.

Ma chi chiederà il conto per qualche migliaia di morti?

Teodoro Klitsche de la Grange

 

LE RAGIONI DELLA DISINTEGRAZIONE DELLA LIBIA DA PARTE DEGLI USA. a cura di Luigi Longo

LE RAGIONI DELLA DISINTEGRAZIONE DELLA LIBIA DA PARTE DEGLI USA.

a cura di Luigi Longo

 

Nel decennale della frantumazione della Libia da parte degli USA via NATO propongo la lettura dell’articolo di Manlio Dinucci Perché la NATO dieci anni fa demolì la Libia apparso su il Manifesto del 16/3/2021 e ripropongo un mio scritto del 2015 dal titolo Che ci fa l’Isis in Libia? pubblicato su www.conflittiestrategie.it.

Ritengo che il mio scritto sia ancora valido nella struttura del ragionamento che evidenzia le ragioni della disintegrazione della Libia da parte degli USA; pertanto non lo aggiorno (ad eccezione delle carte di Limes) ma segnalo tre questioni che riprenderò successivamente:

  1. Il ruolo della Turchia (con la sua politica neo-ottomana) nella strategia degli USA per contrastare l’ascesa della Russia sia attraverso il controllo delle risorse energetiche (il gas del mediterraneo orientale), sia attraverso la funzione di testa di ponte (la porta di entrata) nel Medio Oriente per opporsi all’alleanza Cina-Russia-Iran (vedi ruolo in Libia e in Siria).
  2. Il ruolo fondamentale della NATO per contrastare le potenze in ascesa: la Cina (la NATO in Medio Oriente) e la Russia (la NATO in Europa).
  3. La mancanza di una politica estera italiana per difendere i propri interessi. Il governo italiano segue appena le nostre imprese in maniera debole (vedi ENI a Cipro). L’Italia non è credibile nell’area Mediterranea (vedi la Libia) così come non è credibile nel Medio Oriente (vedi l’Iran).

 

 

PERCHÉ LA NATO DIECI ANNI FA DEMOLÌ LA LIBIA

di Manlio Dinucci

 

Dieci anni fa, il 19 marzo 2011, le forze Usa/Nato iniziano il bombardamento aeronavale della Libia. La guerra viene diretta dagli Stati Uniti, prima tramite il Comando Africa, quindi tramite la Nato sotto comando Usa. In sette mesi, l’aviazione Usa/Nato effettua 30 mila missioni, di cui 10 mila di attacco, con oltre 40 mila bombe e missili. L’Italia – con il consenso multipartisan del Parlamento (Pd in prima fila) – partecipa alla guerra con 7 basi aeree (Trapani, Gioia del Colle, Sigonella, Decimomannu, Aviano, Amendola e Pantelleria); con cacciabombardieri Tornado, Eurofighter e altri, con la portaerei Garibaldi e altre navi da guerra. Già prima dell’offensiva aeronavale, erano stati finanziati e armati in Libia settori tribali e gruppi islamici ostili al governo, e infiltrate forze speciali in particolare qatariane, per far divampare gli scontri armati all’interno del Paese.

Limes. Carta di Laura Canali 2020 (mio inserimento cartografico).

Viene demolito in tal modo quello Stato africano che, come documentava nel 2010 la Banca Mondiale, manteneva «alti livelli di crescita economica», con un aumento del pil del 7,5% annuo, e registrava «alti indicatori di sviluppo umano» tra cui l’accesso universale all’istruzione primaria e secondaria e, per oltre il 40%, a quella universitaria. Nonostante le disparità, il tenore medio di vita era in Libia più alto che negli altri paesi africani. Vi trovavano lavoro circa due milioni di immigrati, per lo più africani. Lo Stato libico, che possedeva le maggiori riserve petrolifere dell’Africa più altre di gas naturale, lasciava limitati margini di profitto alle compagnie straniere. Grazie all’export energetico, la bilancia commerciale libica era in attivo di 27 miliardi di dollari annui.

Con tali risorse lo Stato libico aveva investito all’estero circa 150 miliardi di dollari. Gli investimenti libici in Africa erano determinanti per il progetto dell’Unione Africana di creare tre organismi finanziari: il Fondo monetario africano, con sede a Yaoundé (Camerun); la Banca centrale africana, con sede ad Abuja (Nigeria); la Banca africana di investimento, con sede a Tripoli. Tali organismi sarebbero serviti a creare un mercato comune e una moneta unica dell’Africa.

Non è un caso che la guerra Nato per la demolizione dello Stato libico inizi nemmeno due mesi dopo il vertice dell’Unione Africana che, il 31 gennaio 2011, aveva dato il via alla creazione entro l’anno del Fondo monetario africano. Lo provano le email della segretaria di Stato dell’Amministrazione Obama, Hillary Clinton, portate alla luce successivamente da WikiLeaks: Stati uniti e Francia volevano eliminare Gheddafi prima che usasse le riserve auree della Libia per creare una moneta pan-africana alternativa al dollaro e al franco Cfa (moneta imposta dalla Francia a 14 ex colonie). Lo prova il fatto che, prima che nel 2011 entrino in azione i bombardieri, entrano in azione le banche: esse sequestrano i 150 miliardi di dollari investiti all’estero dallo Stato libico, di cui sparisce la maggior parte. Nella grande rapina si distingue la Goldman Sachs, la più potente banca d’affari statunitense, di cui Mario Draghi è stato vicepresidente.

Oggi in Libia gli introiti dell’export energetico vengono accaparrati da gruppi di potere e multinazionali, in una caotica situazione di scontri armati. Il tenore di vita della maggioranza della popolazione è crollato. Gli immigrati africani, accusati di essere «mercenari di Gheddafi», sono stati imprigionati perfino in gabbie di zoo, torturati e assassinati. La Libia è divenuta la principale via di transito, in mano a trafficanti di esseri umani, di un caotico flusso migratorio verso l’Europa che ha provocato molte più vittime della guerra del 2011. A Tawergha le milizie islamiche di Misurata sostenute dalla Nato (quelle che hanno assassinato Gheddafi nell’ottobre 2011) hanno compiuto una vera e propria pulizia etnica, costringendo quasi 50 mila cittadini libici a fuggire senza potervi fare ritorno. Di tutto questo è responsabile anche il Parlamento italiano che, il 18 marzo 2011, impegnava il Governo ad «adottare ogni iniziativa (ossia l’entrata in guerra dell’Italia contro la Libia) per assicurare la protezione delle popolazioni della regione».

 

 

CHE CI FA L’ISLAMIC STATE (IS) IN LIBIA? PERCHÉ NON LO CHIEDIAMO AGLI USA.

di Luigi Longo

 

Se ci minacciate, se ci destabilizzerete, ci sarà                                                                             confusione. […] Questo è ciò che accadrà.                                                                                     Avrete l’immigrazione, migliaia di persone                                                                                     invaderanno l’Europa dalla Libia […] ci sarà                                                                                una jihad di fronte a voi, nel Mediterraneo […] ”.

                                                                                                                      Mu’ammar Gheddafi*

 

 

1.La lotta ai movimenti islamici fondamentalisti (AL Qaida e IS sono tra i più noti e usati) è lo strumento cardine che amalgama la comunità internazionale per combattere chi mette in discussione la sicurezza dei popoli e delle nazioni: è la cosiddetta “Guerra al terrore”, salvo poi verificarne la strumentalità in funzione del conflitto strategico delle potenze mondiali in declino (USA) e in ascesa (soprattutto Russia e Cina).

L’ONU si mobilita con il suo Consiglio di Sicurezza per affrontare questo grave pericolo per la sicurezza, la pace e la democrazia mondiale. << La forza militare non è sufficiente– Si parla della sfida lanciata dall’Isis e da Al Qaida, che, ha detto Obama, “è una sfida per il mondo intero, non solo per l’America”. La forza militare non è però sufficiente, ha affermato il presidente americano. E’ necessario sconfiggere anche la propaganda, contrastare i terroristi che online “fanno il lavaggio del cervello” ai giovani musulmani. E il mondo islamico si deve mobilitare: “Schieratevi nella lotta contro gli estremisti”, ha detto il presidente rivolgendosi ai leader musulmani […] Mosca non si chiama fuori – L’azione contro l’Isis sotto la guida Onu potrebbe avvalersi anche della partecipazione della Russia. Il rappresentante permanente all’Onu, Vitali Ciurkin, non ha escluso la partecipazione di Mosca a un eventuale coalizione internazionale contro lo Stato islamico, in particolare garantendo un blocco navale per impedire l’arrivo di forniture di armi ai terroristi. Lo riferisce la Tass, dopo la riunione straordinaria di ieri sera del Consiglio di sicurezza Onu sull’emergenza libica >> (1).

Voglio solo ricordare, en passant, che le forniture di armi ai terroristi sono effettuate dalle stesse nazioni che formeranno il suddetto blocco navale: è il teatro dell’assurdo!

I miliziani del fondamentalismo islamico (soprattutto l’IS) vogliono addirittura creare uno Stato Islamico che confligge con l’Occidente nella stupida logica di contrapposizione tra la cultura Occidentale (la Civiltà) e la cultura Orientale (la Barbarie) così come viene rappresentata, in maniera pseudoscientifica, da Samuel P. Huntington e da studiosi arabi e dell’islam (2). Ovviamente la logica di contrapposizione Occidente/Oriente è antitetica polare (per usare una categoria lucacciana) per mantenere gli assetti di dominio degli agenti strategici dominanti delle varie potenze egemoni nelle diverse fasi storiche mondiali.

Si parla dell’ instaurazione di un nuovo califfato << da parte dei cosiddetti mujahidin – vale a dire “impegnati in uno sforzo gradito a Dio” – dell’area di confine tra Siria e Iraq, quelli che di solito i media definiscono i “jihadisti” di un autoproclamato Islamic State in Iraq and Levant (ISIL), pubblicata il 30 giugno scorso, è stata rapidamente diffusa provocando commenti di ogni genere: nella stragrande maggioranza dei casi, ahimè, del tutto fuori luogo.[ corsivo mio] L’ISIL, che a sottolineare il carattere universalistico della sua scelta ha contestualmente espunto dalla sua sigla statale le lettere I ed L che indicavano rispettivamente l’Iraq e il non troppo ben definito “Levante”, è da oggi in poi nelle intenzioni dei suoi promotori e sostenitori soltanto IS, Islamic State: esso dovrebbe pertanto raccogliere tutti i fedeli musulmani del mondo e ricostituire l’umma, la comunità musulmana nel suo complesso …>> (3).

Il fondamentalismo islamico non è più concepito come “frangia impazzita” di un vasto movimento << che costituisce la moderna militanza islamica. Le loro rivendicazioni sono politiche ma articolate in termini religiosi e fanno riferimento a una visione del mondo religiosa. Il movimento affonda le proprie radici in contingenze sociali, economiche e politiche >>, ma è visto come il portabandiera e << […] il loro linguaggio è oggi l’idioma dominante nel moderno attivismo politico islamico. Il loro svilito, violento, nichilistico millenarismo antirazionale è diventato l’ideologia standard cui aspirano i giovani musulmani arrabbiati. Questa è una tragedia. >> (4). La citata tragedia è un capolavoro degli agenti strategici pre-dominanti del conflitto mondiale (in primis degli USA in quanto potenza mondiale egemone che si vede minacciata dal formarsi di nuove potenze mondiali), ma anche degli agenti strategici sub-dominanti delle diverse aree occidentali e orientali ( per esempio l’Europa, il Vicino e Medio Oriente, l’Africa) che configureranno nella fase policentrica, tramite le zone di influenza, i poli delle potenze mondiali in lotta per la supremazia mondiale, quegli stessi agenti strategici che hanno agevolato e avallato ( se non creato in alcuni casi) il costituirsi delle frange “impazzite” del fondamentalismo islamico per le proprie strategie di conflitto per l’egemonia mondiale (5). La “Guerra al terrore” è il velo che serve per nascondere le strategie di conflitto che la fase multipolare, ormai lentamente ma decisamente avviatasi, impone. << “È un dato di fatto – scrive un ex ambasciatore arabo accreditato negli Stati Uniti e in Gran Bretagna – che gli Stati Uniti abbiano stipulato delle alleanze coi Fratelli Musulmani per buttar fuori i Sovietici dall’Afghanistan; e che, da allora, non abbiano cessato di far la corte alla corrente islamista, favorendone la propagazione nei paesi d’obbedienza islamica. Seguendo le orme del loro grande alleato americano, la maggior parte degli Stati occidentali ha adottato, nei confronti della nebulosa integralista, un atteggiamento che va dalla benevola neutralità alla deliberata connivenza”. L’uso tattico del cosiddetto integralismo o fondamentalismo islamico da parte occidentale non ebbe inizio però nell’Afghanistan del 1979, quando – come ricorda in From the Shadows l’ex direttore della CIA Robert Gates – già sei mesi prima dell’intervento sovietico i servizi speciali statunitensi cominciarono ad aiutare i guerriglieri afghani.

Esso risale agli anni Cinquanta e Sessanta, allorché Gran Bretagna e Stati Uniti, individuato nell’Egitto nasseriano il principale ostacolo all’egemonia occidentale nel Mediterraneo, fornirono ai Fratelli Musulmani un sostegno discreto ma accertato. È emblematico il caso di un genero del fondatore del movimento, Sa’id Ramadan, che “prese parte alla creazione di un importante centro islamico a Monaco in Germania, intorno al quale si costituì una federazione ad ampio raggio”. Sa’id Ramadan, che ricevette finanziamenti e istruzioni dall’agente della CIA Bob Dreher, nel 1961 espose il proprio progetto d’azione ad Arthur Schlesinger Jr., consigliere del neoeletto presidente John F. Kennedy. “Quando il nemico è armato di un’ideologia totalitaria e dispone di reggimenti di fedeli devoti, – scriveva Ramadan – coloro che sono schierati su posizioni politiche opposte devono contrastarlo sul piano dell’azione popolare e l’essenza della loro tattica deve consistere in una fede contraria e in una devozione contraria. Solo delle forze popolari, genuinamente coinvolte e genuinamente reagenti per conto proprio, possono far fronte alla minaccia d’infiltrazione del comunismo”. [corsivo mio].

L’uso strumentale dei movimenti islamisti funzionali alla strategia atlantica non terminò con il ritiro dell’Armata Rossa dall’Afghanistan. Il patrocinio fornito dall’Amministrazione Clinton al separatismo bosniaco ed a quello kosovaro, l’appoggio statunitense e britannico al terrorismo wahhabita nel Caucaso, il sostegno ufficiale di Brzezinski ai movimenti fondamentalisti armati in Asia centrale, gli interventi a favore delle bande sovversive in Libia ed in Siria sono gli episodi successivi di una guerra contro l’Eurasia in cui gli USA e i loro alleati si avvalgono della collaborazione islamista.>> (6).

Si sa che gli USA non amano un ordine mondiale multipolare, ma amano un mondo a loro immagine e somiglianza, democraticamente e civilmente costruito, e che, a tal fine scatenano guerre e usano tutti i mezzi per difendere e ri-creare su basi storicamente date un nuovo ordine mondiale. La guerra è un prolungamento della politica con altri mezzi, << La guerra non è dunque solamente un atto politico, ma un vero strumento della politica, un seguito del procedimento politico, una sua continuazione con altri mezzi. >> (7), può cambiare modalità, strumenti, strategie, eserciti, tecniche, eccetera, ma resta l’ultima istanza nel definire la potenza mondiale egemone, la storia questo insegna.

 

2.Lo storico del colonialismo italiano, Angelo Del Boca, in una intervista ( Il governo irresponsabile in “Il Manifesto del 17/2/2015), alla domanda << Come mai tanta arroganza e miopia del governo italiano in questa fase della crisi mondiale? >>, così risponde:<< È perché, in modo scellerato, manca una politica estera, una vera diplomazia italiana. Renzi dice che la Libia è uno «Stato fallito». E chi l’ha fatto fallire se non la guerra del 2011 voluta a tutti i costi dalla Francia di Sarkozy? [ corsivo mio] Dimenticano che con quella guerra fuggirono milioni di lavoratori migranti e di libici, dei quali ora un milione è in Egitto e 600mila in Tunisia. Voglio ricordare che quando gli aerei della Nato bombardavano la Libia nel marzo del 2011, io ammonivo<< la Libia diventerà una nuova Somalia >>. È quello che è accaduto.>>.

La leader del Front National francese, Marine Le Pen, in una intervista (Nessuna guerra, l’Europa chiuda le frontiere in “la Repubblica” del 19/2/2015), alla domanda << Nel 2011 la Francia ha guidato l’intervento contro il regime di Tripoli. È stato un errore? >>, così risponde:<< Non è stata la Francia ma il presidente di allora, Sarkozy, consigliato da Bernard-Henri Levy, e con il sostegno del partito socialista.[ corsivo mio] L’intervento di quattro anni fa ha provocato degli squilibri geopolitici di cui vediamo oggi le conseguenze. È stato un gigantesco errore strategico da parte di Sarkozy, e di chi l’ha appoggiato >>.

Ma davvero la Francia, insieme all’Inghilterra (lasciamo perdere il ruolo infame dell’Italia sotto la regia di Giorgio Napolitano), nel 2011 ha deciso di eliminare Mu’ammar Gheddafi e buttare nel caos una nazione come la Libia? Ma davvero Mu’ammar Gheddafi è stato assassinato perché era un feroce dittatore che appoggiava il terrorismo internazionale e che era in conflitto con un nano politico come Nicolas Sarkozy?

E’ fuorviante pensare ad un ruolo decisivo della Francia nella drammatica vicenda della Libia e nella barbara uccisione di Mu’ammar Gheddafi, un uomo capace di grande leadership.

Angelo Del Boca e Marine Le Pen non colgono l’aspetto fondamentale e decisivo dei fatti libici del 2011. Essi vedono i processi economicistici della Francia (interessi di imprese, risorse energetiche, finanziamenti occulti, eccetera) ma non vedono i processi strategici della potenza imperiale USA che impongono una fase del caos mirata ad un attacco deciso alla Russia (primavera araba, Siria, Ucraina, Iran, accordo Russia-Cina-Iran, eccetera) e alla Cina (ridimensionamento della politica di penetrazione e di espansione in Africa). Insomma un attacco duro e pericoloso per indebolire quelli che potrebbero essere i punti di forza delle nuove potenze che aspirano a competere con l’egemonia USA non solo a livello di specifiche aree geografiche ma sopratutto a livello mondiale.

Limes. Carta di Laura Canali 2018.

Gli USA nel 2011, tramite la Francia e l’Inghilterra (che avevano ed hanno interessi economici e di accaparramento di risorse energetiche), l’Italia (che oltre a perdere i suoi interessi economici ed energetici (8) doveva e deve svolgere il ruolo di nazione-spazio di infrastruttura militare a disposizione dei comandi USA e USA-NATO) e i miliziani dell’IS (9), hanno dato la stura alla disintegrazione di una nazione e di un popolo come la Libia.

Mu’ammar Gheddafi è stato eliminato per ragioni evidenti e precise: per aver portato la Libia ad essere una nazione superando le divisioni tribali; per averla fatta diventare la nazione sovrana più importante dell’Africa; per aver costruito una strategia di sviluppo non dipendente soltanto dalle risorse energetiche; per le sue azioni politiche ed economiche intraprese in Medio Oriente; per il ruolo svolto nella costruzione dell’Unione Africana ( gli stati uniti d’Africa) con obiettivi strategici di autodeterminazione e di costruzione di un polo geopolitico sovrano come il continente africano, con una sua moneta, un fondo monetario africano, una banca centrale africana; per il suo anticolonialismo. (10)

 

3.Perchè l’IS, in questa fase storica sta scorazzando, creando disordine, drammi umani e distruzioni territoriali attaccando tutte le aree e i Paesi del Vicino e Medio Oriente che hanno relazioni sociali con la Russia e la Cina? Qual è il ruolo che l’IS sta svolgendo per ora in Libia? E’ uno strumento per risolvere la divisione interna di quello che resta della Libia (il fronte laico del nasseriano Generale Haftar e del governo di Tobrouk e quello islamista del governo di Tripoli) (11)? E’ una minaccia terroristica (attraverso il controllo dei flussi migratori e la gestione delle risorse energetiche) all’Europa, meglio, agli Stati europei, per orientarli sempre di più verso l’Occidente e rallentare le relazioni con l’Oriente? E’ un vettore per affermare la potenza regionale (la Turchia?) più utile e flessibile in questa area diventata centrale per le strategie USA?

E’ tempo di uscire dall’egemonia degli USA, ad iniziare dalle istituzioni internazionali come l’ONU, perché gli USA, non accettando né il loro declino né un mondo multipolare, sono la potenza più pericolosa per la stabilità mondiale.

Limes. Carta di Laura Canali 2020.

 

 

*La citazione scelta come epigrafe è tratta da:

Intervista a Mu’ammar Gheddafi apparsa su “Le Journal du Dimanche” del 5 marzo 2011 e ripresa da diversi quotidiani italiani.

 

NOTE

 

1.Redazione Tiscali, Libia, per il Consiglio di Sicurezza la soluzione è politica, www.tiscali.it, 19 febbraio 2015;

2.Samuel P. Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti, Milano, 2000;

3.Sulla aleatorietà e sulla difficoltà della costruzione di uno stato islamico, Franco Cardini, Una restaurazione del Califfato?, 6 luglio 2014 e Idem, l’Islam nel XXI secolo, 27 luglio 2014, www.francocardini.net ;

4.Jason Burke, Al Qaeda. La vera storia, Feltrinelli, Milano, pp.17-18;

5.Sono arrivato a questa convinzione dopo la ri-lettura di Edward W. Said, Orientalismo. L’immagine europea dell’Oriente, Feltrinelli, Milano, 1999;

6.Claudio Mutti, Islamismo contro Islam? www.eurasia-rivista.org, 20 novembre 2012;

7.Clausewitz, Della guerra, Mondadori, Milano, 2011, pag.38;

  1. Interessi pesanti per la disastrata economia italiana: il gas e il petrolio (l’ENI ha avuto una diminuzione da un milione e mezzo di barili prodotti in Libia ogni giorno a 150 mila), le commesse per le nostre imprese e gli investimenti nel nostro sistema economico. Per esempio, in Puglia, il Centro Studi regionale della Confartigianato afferma che << […] le aziende della provincia di Bari esportano verso il Paese nordafricano beni per 8,7 milioni di euro. Pari al 48,3 per cento del totale delle esportazioni pugliesi verso la Libia. Seguono le province di Lecce con 5,4 milioni, pari al 30 per cento dei 18 milioni complessivi; Brindisi con un milione 400mila euro, pari al 7,8 per cento; Barletta-Andria-Trani con un milione 100mila euro (6,1 per cento); Foggia con 800mila euro (4,4 per cento). Chiude Taranto, già parecchio ridimensionata a causa dell’involuzione dell’Ilva, con 600 mila euro (3,3 per cento) […] I dati elaborati […] consentono di comprendere come la situazione generatasi nel Nordafrica abbia ripercussioni dirette anche sulla nostra economia regionale. Quest’ulteriore fronte si apre in un momento in cui le imprese pugliesi sono già duramente provate dalla restrizione ai commerci con la Russia, in forza delle sanzioni applicate a seguito della crisi ucraina. La situazione internazionale – osserva – è tale da causare una battuta d’arresto proprio per alcuni tra i flussi più corposi dell’export pugliese. Con i consumi interni ormai al lumicino, questa congiuntura rappresenta un pericolo concreto anche dal punto di vista economico >>, www.confartigianatopuglia.com;
  2. 9. << Sono gli stessi che nel 2011 – spalleggiati in tutto e per tutto da Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e poi anche dall’Italia – hanno compiuto la cosiddetta “primavera araba”. Queste persone che oggi rappresentano uno “spauracchio” venivano descritti nel 2011 come coloro che stavano portando in Libia la democrazia. Costoro, più o meno nell’ordine di un milione di persone armate fino ai denti, si stanno ora contrapponendo gli uni agli altri per guadagnare quanto più potere possibile. Oggi si parla tanto di Isis, ma in Libia esiste da tempo una miriade di sigle riconducibili tutte all’islamismo fondamentalista. La bandiera nera di al Qaeda è stata issata nei giorni in cui veniva ucciso Gheddafi: durante la rivolta sventolava sul Palazzo di Giustizia di Bengasi e sulla città di Derna, dove era stato istituito un Califfato. Nel tempo queste forze non hanno fatto altro che radicalizzarsi >> in Paolo Sensini-Federico Cenci, “La primavera araba” ha portato l’Isis in Libia, zenit.org, 17 febbraio 2015;

10.Oltre ai lavori dello storico Angelo Del Boca, si veda la buona sintesi di Arturo Varvelli, Gheddafi e l’Unione Africana: legittimità internazionale, influenza regionale e sviluppo interno, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, www.ispionline.it, luglio 2009;

11.Per una sintesi della frammentazione sociale della Libia si veda Marco Di Liddo-Gabriele Iacovino, Analisi delle possibili soluzioni alla crisi in Libia, Centro Studi Internazionali, www.cesi-italia.org, febbraio 2015.

 

 

 

 

 

Stati Uniti tra il dire e il fare_ ne parliamo con Gianfranco Campa

Non è una novità che tra le dichiarazioni elettorali, le intenzioni e i comportamenti politici reali non ci sia, per usare un eufemismo, esatta corrispondenza. Con l’amministrazione Biden l’incertezza e la contraddittorietà stanno assumendo una caratteristica più inquietante. Non è ormai solo mera tattica elettorale. Sempre meno uno scontro politico aspro ma aperto, caratteristico della presidenza Trump, sempre più un confronto sordo tra centri di potere poco coordinati e scarsamente concordi. Frutto di una situazione geopolitica complessa che vede la partecipazione di un numero sempre più folto di protagonisti e di uno squilibrio della formazione sociale statunitense difficilmente ricomponibile. Un disorientamento che rischierà di accentuare ulteriormente le tendenze centrifughe dal centro egemonico e la formazione di più poli geopolitici attrattivi in competizione sempre più evidente. Buon ascolto, Giuseppe Germinario

https://rumble.com/vevxh3-stati-uniti-tra-il-dire-e-il-fare-ne-parliamo-con-gianfranco-campa.html

 

SOLDI BEN INVESTITI, di Antonio de Martini

SOLDI BEN INVESTITI
il 25 marzo, la Grecia celebrerà con sfarzo i due secoli dall’inizio della guerra di indipendenza dall’impero ottomano : una imponente parata militare in onore dei tradizionali alleati, il premier russo Mishustin e il principe di Galles, Carlo, con la consorte.
Era stato invitato anche il presidente Francese Macron per completare il terzetto dei paesi che avevano appoggiato la Grecia, ma a causa dell’incrudelirsi dell’epidemia in Francia – da Venerdi ha decretato la quarantena per 21 milioni di francesi- questi ha disdetto ritenendo di condividere la sorte dei compatrioti restando a Parigi.
Si rifarà il 20 ottobre prossimo anniversario della battaglia navale di Navarino in cui gli anglofrancesi inflissero una severa lezione alla squadra ottomana che determinò la rinunzia turca a proseguire il conflitto e riconoscere l’indipendenza.
E pensare che lo scontro avvenne “ per caso” : mentre le due squadre navali si fronteggiavano senza affrontarsi ( erano ufficialmente neutrali) , da parte turca, i marinai iniziarono a provocsre con fucilate gli jnglesi che risposero e lo scontro degenerò in battaglia generale.
Il ricevimento, il veleno è in coda, lo faranno al Museo Nazionale per far notare al principe Carlo la mancanza dei fregi del Partenone – che sono a Londra- la cui evidente mancanza è un vero e proprio un pugno nell’occhio per i visitatori.
Il premier britannico Johnson si è recentemente rifiutato di restituire quanto rubato da Lord Elgin, ma la Presidente della Repubblica, Katerina Sakellaropoulou, punta sul fatto che Carlo ha nelle vene il sangue greco di suo padre Filippo di Edinburgo e l’Inghilterra – dopo il Brexit- ha bisogno di amici.
Ai festeggiamenti, come ulteriore pressione indiretta, è invitato e partecipa anche il presidente di Cipro Anastasiades, che ospita le due più importanti basi militari inglesi del Mediterraneo.
La presenza di tutti i vecchi alleati della Grecia, fungerà da monito ai turchi con i quali la Grecia sta attraversando un periodaccio per via del contenzioso per i giacimenti dell’Egeo.

Punto di vista strategico della Cina, di George Friedman

La realtà è cosa diversa dalla sua percezione, ma quest’ultima può determinare la realtà. In Alaska, nel summit in corso, gli Stati Uniti hanno definito i rapporti con la Cina come accesamente competitivi, ma non ostili. Realtà o percezione ingannevole?_Giuseppe Germinario

Punto di vista strategico della Cina

Di: George Friedman

Uno dei problemi più difficili della politica estera è lo sviluppo di una valutazione accurata delle intenzioni e delle capacità di un potenziale avversario, che spesso sono realtà separate. Ne ho discusso di recente in un articolo che metteva in evidenza il grado in cui gli Stati Uniti avevano interpretato male le intenzioni e le capacità dell’Unione Sovietica. I sovietici si sono concentrati sulla ricostruzione dopo la seconda guerra mondiale, cosa che ha richiesto decenni di lavoro. Una guerra che avrebbe devastato l’Europa occidentale non ha dato loro alcun incentivo a iniziare una guerra. Gli Stati Uniti, nel frattempo, erano ossessionati dal conteggio delle attrezzature, non valutando la capacità del sistema logistico sovietico di supportare una massiccia offensiva. Gli Stati Uniti si sono concentrati sulle intenzioni e sulle capacità del caso peggiore. Quelli veri erano molto diversi.

Ciò era in parte dovuto a un altro errore di calcolo: la sottovalutazione delle capacità giapponesi nella seconda guerra mondiale. Washington sapeva che la guerra era probabile e quindi aveva un piano progettato per contrastarla. Ma i pianificatori sottovalutarono il grado di comprensione dei giapponesi dei piani di guerra e la flessibilità dei pianificatori navali nel declinare il combattimento in termini americani. Hanno anche sottovalutato il comando navale giapponese e non sono riusciti a capire le azioni rese possibili dalle portaerei. Capivano l’intento di combattere ma non l’intento di definire la battaglia e l’hardware necessario per farlo.

Durante la Guerra Fredda, gli Stati Uniti erano sulla difensiva in attesa di un attacco russo che non è mai arrivato. Allo stesso modo, durante la seconda guerra mondiale, Washington ha visto il Giappone come totalmente dipendente dalle materie prime del sud e ha assunto una spinta diretta verso sud. Non poteva concepire che il Giappone avrebbe lanciato un attacco indiretto. In entrambi i casi, gli Stati Uniti hanno ignorato la realtà. I vincoli russi militarono contro la guerra offensiva. I vincoli giapponesi militarono contro gli attacchi diretti. Gli Stati Uniti avevano vaste risorse e potevano sopravvivere alle incomprensioni, ma la costanza degli errori di calcolo in altre guerre come il Vietnam e l’Iraq indica un problema centrale della pianificazione militare. Se gli Stati Uniti dovessero mai affrontare la Cina, niente è più importante che capire come la Cina vede la sua posizione strategica o esattamente come la posizione strategica della Cina la costringerà ad agire.

La Cina ha due problemi fondamentali: mantenere l’unità e prevenire l’instabilità sociale. Gli eventi lungo il confine con il Tibet e nello Xinjiang e gli eventi minori nella Mongolia interna devono essere contenuti. Allo stesso tempo, il divario economico tra la Cina costiera e quella occidentale che ha alimentato la rivoluzione di Mao e non è stato ancora risolto deve essere gestito. Un elemento di questa gestione è la crescita economica. I primi anni furono esplosivi poiché lo sviluppo fu misurato dal disastro economico di Mao. Dalla metà degli anni 2000 circa, la crescita è aumentata, ma ha portato a tensioni nell’élite economica cinese. Il principale obiettivo strategico della Cina è interno.


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La Cina ha quindi avuto la tendenza a concentrarsi verso l’interno, ma ciò che complica tutto ciò è che il consumo interno non può ancora mantenere la crescita economica e che l’accesso ai mercati globali è un imperativo strategico. La Cina dipende dall’accesso alle rotte marittime collegate ai suoi porti orientali. Le idee sul trasporto terrestre verso l’Europa, la tanto annunciata Belt and Road Initiative, non sono ancora maturate come alternativa.

L’accesso agli oceani globali è ancora il fondamento della strategia di Pechino, così come lo era l’accesso del Giappone alle materie prime. I due problemi strategici hanno cose importanti in comune. La Cina deve aumentare la sua potenza navale, il che, qualunque sia l’intenzione di Pechino, rende le altre potenze del Pacifico come gli Stati Uniti estremamente ansiose. L’elemento più importante di questo è il vasto sistema americano di alleanze di paesi formalmente e informalmente ostili alla Cina: Giappone, Corea del Sud, Taiwan, Filippine, Indonesia, Vietnam, Singapore, Australia e India. Costituisce una massiccia alleanza strategica ma anche un’alleanza economica molto significativa che coinvolge i principali partner commerciali cinesi.


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Ciò crea una lunga serie di strozzature che potrebbero bloccare l’accesso della Cina agli oceani e quindi danneggiare lo sviluppo economico interno e potenzialmente generare disordini sociali. Gli Stati Uniti non hanno bloccato l’accesso alla Cina, né lo hanno minacciato. Ma la Cina deve considerare ciò che è possibile e la capacità degli Stati Uniti è una profonda minaccia per la Cina. Dal punto di vista degli Stati Uniti, spostarsi verso est dalla linea Aleutian-Malacca concederebbe alla Cina l’ingresso nel Pacifico, il che minaccerebbe gli interessi fondamentali degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti non possono abbandonare l’alleanza. La Cina non può accettare la minaccia.

La Cina non può permettersi di ingaggiare direttamente le forze statunitensi. La sua stessa marina non è stata testata in guerra e ha condotto solo operazioni di controflotta della flotta. La Cina potrebbe benissimo sconfiggere la flotta americana, ma non può essere certa dell’esito; la sconfitta sarebbe catastrofica per il regime. Inoltre, gli Stati Uniti dispongono di vaste risorse e capacità. Guardando alla strategia di guerra degli Stati Uniti in passato, la sconfitta iniziale può generare un massiccio contrattacco. Quindi, a meno che gli Stati Uniti non sembrino intenzionati a bloccare i porti cinesi, il rischio implicito di una guerra è troppo grande.

Ma la Cina deve anche vedere gli Stati Uniti come contrari alla guerra e la percezione dei cinesi potrebbe essere sufficiente perché gli Stati Uniti rifiutino un conflitto più ampio e ritirino le forze sul blocco. Una strategia cinese secondaria, quindi, potrebbe essere quella di dimostrare una bramosia per il combattimento in un’area che non è critica per gli Stati Uniti tale che potrebbe non innescare una risposta. È stata lanciata l’idea che la Cina possa invadere Taiwan. Questo sarebbe militarmente e politicamente poco saggio. Le operazioni anfibie sono complesse e vengono vinte o perse grazie a vasti sforzi logistici. Il rinforzo e il rifornimento sarebbero vulnerabili ai missili anti-nave, ai sottomarini e alla potenza aerea statunitensi. I cinesi devono presumere che qualsiasi invasione verrebbe probabilmente sconfitta.

Anche così, la Cina deve dimostrare la sua volontà e capacità militare senza rischiare la sconfitta. In altre parole, deve attaccare un obiettivo di scarso valore e presumere che gli Stati Uniti non rischierebbero di combattere in un luogo in cui si sono concentrate le forze cinesi. Ma anche questa strategia comporta due problemi. In primo luogo, gli Stati Uniti riconoscerebbero lo stratagemma e potrebbero scegliere di impegnarsi per scoraggiare un combattimento maggiore. Anche se Washington volesse declinare, i suoi alleati potrebbero scatenare un inferno tale da non essere in grado di farlo. Questo coincide con il secondo problema: i membri dell’alleanza sono anche poteri commerciali vitali. Uno dei paradossi della posizione cinese è che quelli che rappresentano il maggior rischio strategico sono anche elementi essenziali dell’economia cinese. Il sequestro di un’isola al largo di Taiwan potrebbe innescare una risposta statunitense, ma convincerebbe i membri dell’alleanza del pericolo cinese e li costringerebbe, con il sostegno degli Stati Uniti, a intraprendere un’azione economica.

La Cina deve mantenere la crescita economica per mantenere la stabilità. Non può intraprendere azioni che lo renderebbero difficile. Né può tollerare la possibilità di un’azione navale statunitense che paralizzerebbe l’economia cinese. L’attuale situazione economica della Cina è soddisfacente. Certamente, una guerra non lo migliorerebbe. Sta correndo il rischio di un’azione degli Stati Uniti che lo paralizzerebbe. La soluzione chiave cinese è cercare un accordo con gli Stati Uniti su questioni economiche in sospeso, essendo consapevoli del fatto che gli Stati Uniti non hanno impulso per la guerra e inizieranno solo sotto una pressione significativa della Cina. La Cina deve indebolire l’alleanza anti-cinese chiarendo che non ha intenzione di fare la guerra e che allineerà la sua economia con le altre. In altre parole, la Cina deve rifiutare il combattimento e realizzare la pace economica e politica, senza dare l’impressione che lo faccia sotto costrizione.

La Cina è una grande potenza. Ma tutti i grandi poteri hanno dei punti deboli, quindi i loro concorrenti devono cogliere questi punti deboli. La paura e la prudenza fanno sì che i poteri si concentrino sulla forza e trascurino i punti deboli, e così facendo tendono a ingrandire il potere di un concorrente. È necessaria un’analisi accurata e spassionata per evitare sopravvalutazioni e sottovalutazioni e quindi errori di calcolo.

INSEGNA CREONTE?, a cura di Teodoro Klitsche de la Grange

INSEGNA CREONTE?

Luciano Violante, Insegna Creonte, Il Mulino, Bologna 2021, pp. 158, € 12,00.

Nell’Antigone i due protagonisti Antigone e Creonte sono da millenni simboli di polarità contrapposte: tra diritto naturale e positivo; tra legge divina ed umana; tra principio femminile e maschile (Hegel); tra diritto tradizionale e diritto “moderno”, razionale-legale e statuito dall’autorità politica (Von Seydel). Nel secolo scorso era Antigone a suscitare più consenso ed interesse: Creonte era considerato l’archetipo del tiranno.

Nel XXI, almeno tra i giuristi italiani, è stato (in parte) rivalutato. Probabilmente ha contribuito a ciò quanto notato (nel XX) da Max von Seydel: che Creonte impersona il diritto (e lo Stato) moderno, weberianamente “razionale-legale”.

Violante che nel libro Giustizia e mito aveva notato la “modernità” di Creonte, in questo ne sottolinea gli errori (politici) che lo portano all’autodistruzione. In ogni capitolo il comportamento di Creonte è considerato esempio di quanto un leader non debba fare: essere arrogante, non saper gestire i conflitti, sopravvalutare se stessi. E porta esempi di errori (analoghi a quelli del Re di Tebe) fatti da uomini di Stato contemporanei: da De Gasperi a Renzi, da Craxi a Cossiga.

Ne consegue che già la tragedia greca indicava 25 secoli fa delle regolarità e delle regole della politica (e dell’esistenza umana) le quali anche a distanza di millenni sono confermate.

E quanto alle “costanti” è anche un terzo personaggio della tragedia, Emone, figlio di Creonte e fidanzato di Antigone ad esprimerne, e forse quella decisiva. Emone, parlando col padre, lo invita a tener conto dell’opinione del popolo che non considera meritevole Antigone della condanna; onde prega il padre di “non portare in te soltanto questa idea, che è giusto quello, che dici tu, e nient’altro… Non così dice concordemente il popolo, qui in Tebe… Non esiste la città di un solo uomo… Certo tu regneresti bene da solo su una terra deserta”. Ma Creonte non è scosso: convinto di essere dalla parte della ragione, non tiene conto della diffusa (e opposta) opinione del popolo. Non comprende che comanda con successo il governante che può contare sull’obbedienza dei governati. Per aversi la quale occorre che le opinioni di governanti e governati non siano in contrasto: anzi si fondino su un idem sentire de re publica. È (o è anche) il principio d’integrazione (del tipo “materiale”) che Smend pone a fondamento della costituzione “come principio del divenire dinamico dell’unità politica” (Schmitt). E il contrasto tra ritenere che il legislatore sia divino o umano è ovviamente tra i più acuti e non mediabili.

L’autore, come detto, ricorda fatti contemporanei di governanti che hanno ripetuto gli errori di Creonte: vuoi per arroganza, vuoi per disprezzo del popolo, vuoi per convinzioni radicate.

Viene così ridimensionato l’errore più diffuso nell’ultimo trentennio e in particolare (ma non solo) in Italia: la mancanza di sintonia con la volontà popolare, anche attraverso la prassi di scegliere governanti mai eletti neppure in un condominio, e la cui rispondenza alla scelta democratica è inesistente.

Giustificata con concezioni diverse (tecnocrazia, aristocrazia, moralbuonismo), ma aventi in comune il considerare i governanti capaci di giudizi migliori dei governati, e quindi in espresso contrasto con il principio democratico o con quello, più limitato, dell’idem sentire; lo stesso che porta il re di Tebe alla rovina.

Dato che tale errore è tra i più frequenti e ripetuti, in particolare dalla parte politica cui l’autore apparteneva, se ne consiglia (loro) la meditazione. E la lettura a tutti.

Teodoro Klitsche de la Grange

Draghi e ologrammi, di Giuseppe Germinario

Il 10 marzo scorso Mario Draghi ha compiuto il secondo atto significativo del suo ministero, seguito alla sostituzione del vertice della Protezione Civile e del Commissario all’Emergenza Sanitaria: il patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale, sottoscritto con i sindacati confederali “http://www.governo.it/sites/governo.it/files/PATTO_INNOVAZIONE_LAVORO_PUBBLICO_COESIONE_SOCIALE.pdf “.

Di fatto una discontinuità rispetto agli ultimi governi in materia di relazioni sindacali; apparentemente una riedizione di quella concertazione che ha conosciuto il proprio sussulto crepuscolare con il Governo Ciampi, a metà anni ‘90.

I motivi pesanti che hanno spinto e reso necessario questa inversione sono diversi:

  • l’iniziativa fa da necessario corollario al sostegno quasi ecumenico offerto dai partiti al Governo Draghi in un contesto di paralisi e di grande disgregazione e debolezza di questi ultimi. Se il Governo Ciampi si era assunto il compito di preparare l’investitura del PDS/DS, della sinistra in pratica, di un partito graziato da “tangentopoli”, l’unico sufficientemente strutturato, radicato ed autorevole, a direttore di orchestra delle future compagini governative, il Governo Draghi a sua volta dovrà creare le condizioni per una ricostruzione e riconfigurazione di quasi tutti i partiti, alcuni dei quali in fase di evidente disgregazione ed assecondare il riallineamento nello schieramento europeista di quelli riottosi. Non che la condizione dei sindacati confederali sia molto migliore, tanto più che la caratteristica di confederalità, di progettualità e costruzione politica unitaria delle associazioni quindi, si sta ormai affievolendo vistosamente nel corso degli anni; rimangono comunque la sola significativa forza intermedia in grado di assecondare in qualche maniera ordinata i pesanti processi di riorganizzazione in corso e che soprattutto si annunciano nel prossimo futuro

  • la gestione della crisi pandemica, tra i tanti aspetti anche oggettivi dai quali si potrà valutare, si sta rivelando un test attendibile della capacità di affabulazione e di manipolazione della classe dirigente dominante e della reattività e della lucidità di azione di centri alternativi ben lungi ancora da sedimentarsi, ammesso che esistano attualmente. L’enormità dei problemi da affrontare in un contesto drammatico di recessione e ridimensionamento delle basi sociali e produttive è probabilmente la molla principale che sta spingendo questo governo a riproporre un coinvolgimento più stretto delle parti sindacali. Sta accelerando inesorabilmente la dinamica di un gigantesco processo di riorganizzazione, legato alla digitalizzazione e alla ridefinizione delle catene e delle gerarchie di produzione, che riguarderà all’interno i processi produttivi e la qualità dell’organizzazione e delle gerarchie delle varie attività economiche, istituzionali e di comando. Sono la nervatura e la base le quali definiscono le stratificazioni sociali, la conformazione dei ceti e la formazione dei blocchi sociali di una particolare formazione. In Italia assumerà connotazioni ancora più radicali per le caratteristiche proprie della formazione sociale costituita da industria ed attività più polverizzate e mediamente più arretrate tecnologicamente ed organizzativamente e da una pletora di piccola borghesia legata a rendite ed attività interstiziali, ma fondamentale nel garantire la coesione sociale e la stabilità politica.

Mario Draghi è arrivato per gestire al meglio alcune di queste dinamiche senza mettere in discussione la collocazione geopolitica e senza compromettere la collocazione geoeconomica del paese in maniera talmente grave e distruttiva da rischiarne la dissoluzione.

L’accordo quadro affronta un aspetto particolare e fondamentale di questa riorganizzazione; quello del funzionamento e della operatività degli apparati amministrativi fondamentali per il governo di questa riorganizzazione in vista in particolare dell’arrivo dei fondi europei.

Una missione che rende alquanto improbabili le analogie di questo patto con quello sottoscritto a suo tempo con Ciampi: quello intendeva regolare le cadenze contrattuali e la componente salariale della contrattazione interconfederale e di categoria; questo propone uno scambio tra i rinnovi contrattuali, il riconoscimento di aumenti stipendiali contrattuali, al momento per il solo pubblico impiego, in cambio della disponibilità ad affrontare e cogestire i processi di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche. Quello era un accordo che riguardava tutte le categorie di dipendenti, questo riguarda il pubblico impiego allargato, anche se probabilmente, in caso di successo, fungerà da apripista per un sistema di relazioni paragonabile per le altre categorie, ma da gestire più in autonomia con le associazioni datoriali.

Le ambizioni dichiarate in questo accordo sono grandi.

Gli organi di stampa hanno sottolineato soprattutto nell’avvicendamento legato ai prepensionamenti, nella formazione continua, tra i più avveduti nella assunzione di personale e quadri tecnici gli aspetti salienti dell’accordo. I punti essenziali in realtà riguardano ben altro: la possibilità di creare collaborazioni, comitati ed agenzie a conduzione privatistica o mista che gestiscano gli aspetti cruciali dei progetti, che fungano da supporto e da modello da implementare nelle amministrazioni attualmente incapaci di progettare e gestire interventi rilevanti; il cambiamento dello stato giuridico del pubblico impiego e l’intercambiabilità dei quadri dirigenti con il settore privato; una verifica operazionale legata al rispetto della tempistica e al raggiungimento dei risultati piuttosto che al rispetto formale delle procedure. Orientamenti che prendono ad esempio i modelli operativi della burocrazia europea legata per lo più all’utilizzo dei fondi strutturali e in maniera più approssimativa quelli della amministrazione inglese e statunitense.

Non è la prima volta però che si sono manifestate queste ambizioni.

La legge quadro sul pubblico impiego del 1983 è stato sino ad ora il tentativo più organico di riorganizzazione del personale pubblico ad eccezione parziale delle carriere direttive. Quell’articolato non intendeva agire direttamente sulla organizzazione delle amministrazioni pubbliche e sulle fonti che ne determinavano le modalità di funzionamento; definiva la contrattualizzazione collettiva del rapporto di lavoro, i soggetti abilitati a trattare e i criteri di inquadramento professionale; l’obbiettivo era di liberare il rapporto di lavoro pubblico dal legame diretto e dal clientelismo dei politici e dai provvedimenti legislativi dedicati a gruppi specifici, di trasformare il rapporto di lavoro secondo criteri civilistici e attribuire al sindacato del pubblico impiego un ruolo autonomo piuttosto che di mera appendice dei voleri delle fazioni politiche. Obbiettivo raggiunto, ma solo in parte e con qualche implicazione negativa, piuttosto pesante. La principale, che il sindacato oltre ad aver acquisito una propria autonomia operativa e una ragione d’essere costitutiva ha accentuato la sua pervasività nei meccanismi decisionali e operativi sino ad entrare a pieno titolo nelle pratiche di selezione delle promozioni e di occupazione dei centri decisionali diventando di fatto, in particolare la CISL, anche un’associazione lobbistica imprescindibile per il funzionamento. Una prerogativa rimasta anche in quegli ambiti, come quello di Poste Italiane, trasformatisi in aziende a gestione privatistica con tutte le distorsioni e i soffocamenti che ne sono conseguiti.

Il patto proposto e sottoscritto da Draghi è qualcosa di più profondo e strutturale, di più complesso.

Non può prescindere assolutamente da questa realtà informale che sino ad ora è sempre riuscita a neutralizzare i propositi di ridefinizione delle gerarchie sul campo.

L’altra cartina di tornasole in grado di svelare la reale credibilità e positività di quanto sottoscritto è la riorganizzazione istituzionale che definisca chiaramente le gerarchie e le competenze dello Stato centrale e delle amministrazioni periferiche nonché due o tre modelli organizzativi, non di più, ai quali attenersi secondo la missione dei vari ambiti operativi, siano essi aziende di servizio o ordinamenti funzionali. È la via attraverso la quale lo Stato ed il Governo centrali possono assumere il pieno controllo interno della situazione e possono porsi come interlocutori autorevoli e meno permeabili all’esterno, soprattutto in sede di Unione Europea (UE). Una riforma, mancando la quale, rischia in partenza di annacquare le potenzialità del patto o di ricondurlo lungo le dinamiche di disarticolazione ulteriore del controllo centrale e di ulteriore connessione diretta con la burocrazia della UE

Questo non pare rientrare nel programma di governo per due motivi, uno di orientamento strategico, l’altro tattico.

Il primo è che il nostro, essendo paladino di questo europeismo, non ha nessuna intenzione di accettare il fatto che quello della UE è, pur con regole particolari, un campo di azione di stati nazionali sul quale vince chi riesce a preservare meglio le proprie prerogative piuttosto che uno spazio di liquefazione concordata della propria realtà istituzionale; il secondo è che porre sul piatto la questione metterebbe prematuramente in crisi la Lega, soprattutto la componente più convinta nel sostegno a Draghi, ma comunque l’unico partito al momento non in crisi convulsiva, sostenitore del governo almeno sino a quando non si risolverà, se si risolverà, in qualche maniera lo stato confusionale del PD.

Una riorganizzazione istituzionale potrà aver luogo, comunque non in maniera risolutiva, solo nel momento in cui la componente europeista tradizionale dovesse assumere il pieno controllo non solo dei centri decisionali ma anche dell’opinione pubblica.

C’è un altro fattore che impedisce di porre correttamente sia la questione istituzionale che l’impostazione e l’applicazione del Patto. L’atteggiamento gretto e settario della destra radicale che contrappone visceralmente gli interessi e la condizione privilegiata dei ceti “garantiti” a quelli più minacciati dalla crisi pandemica e socioeconomica. Una postura che le impedisce di cogliere la effettiva posta in palio e l’opportunità di entrare nel merito delle questioni. Una ottusità ricorrente che le ha impedito di cogliere gli spazi che le si erano aperti nel mondo del lavoro e negli stessi ambienti sindacali. Una miopia che ad esempio non ha colto, almeno non nella stessa entità, Donald Trump negli Stati Uniti.

Un complesso di fattori ed orientamenti che nell’ipotesi riduttiva di attuazione del Patto rischiano di annichilire le migliori intenzioni riformatrici e di ridurre quel documento ad un mero pretesto per giustificare gli aumenti contrattuali, in quella più estensiva porterà a rendere più efficienti le amministrazioni soprattutto per rendere più fluido e subordinato il rapporto con la burocrazia della UE. Mario Draghi sarà il pendolo che oscillerà tra questi due estremi; se non sarà calamitato su uno dei due versanti, potrà conseguire qualche successo nel breve termine, portare a termine quindi quanto meno il Recovery Plan e la campagna di vaccinazione, ma cadrà ancora una volta nella trappola delle ulteriori duplicazioni di apparati ed amministrazioni che renderanno ancora più inestricabile la matassa istituzionale. La speranza di un afflato nazionale che dia senso e sentimento alla riorganizzazione dipenderà purtroppo da un contesto internazionale che deciderà dei destini della UE e del ruolo egemonico, quantomeno delle sue modalità di esercizio, degli Stati Uniti in questa area, piuttosto che da un irrefrenabile impulso interno al paese; con tutti i costi e i condizionamenti che si dovranno pagare. La stessa unità di Italia del resto è scaturita da un contesto simile; stiamo proseguendo su quella falsariga, ma senza grandi diplomatici, senza politici accettabili e con impulsi sempre più flebili. Le stesse organizzazioni sindacali, uno dei “corpi intermedi” con i quali Draghi cerca di puntellare la propria collocazione, stanno rivelando una tale povertà culturale da rendere impossibile la creazione di un sostrato “propositivo” nei settori che ancora rappresentano. È sufficiente tenere conto della condizione inerme di fronte alle innumerevoli crisi aziendali aperte, della posizione piattamente acritica sulle dinamiche di fondo del Recovery Fund e sulla natura della UE, della incapacità di coniugare il conflitto sociale con una ipotesi di difesa dell’interesse nazionale per comprendere come il carattere interconfederale tenderà sempre più ad affievolirsi in una frammentazione di iniziative giustapposte. La carrellata recente di interviste è alquanto illuminante. L’unica predominante preoccupazione riguarda l’estensione e la regolazione degli ammortizzatori sociali. Per condurre dove, non si sa.

PS_non ho trattato gli argomenti dell’articolo nell’ottica delle relazioni transatlantiche e dell’egemonia USA almeno in Europa, semplicemente perché in Italia il problema non si pone in nessuna delle forze politiche significative

UNA MERITATA SCONFITTA, di Antonio de Martini

UNA MERITATA SCONFITTA
La domenica compio il rito religioso dell’uomo moderno: compro il giornale.
Leggo “ Le Monde” benché non condivida buona parte delle sue idee.
E’ scritto in una lingua impeccabile, i suoi giornalisti sono istruiti e tradizionalmente rispettano il lettore, mentre da noi sono in prevalenza degli ignoranti convinti di avere a che fare con dei cretini.
Questa domenica ho avuto una sorpresa che mostra che la crisi ha morso dovunque: dodici-pagine-dodici di “Le Monde” sulla “crisi siriana” pensavo fossero meglio.
Non meditano sul decennio di lotta all’ultimo sangue affrontato con stoicismo da un intero popolo e non si chiedono come sia stato possibile che un dittatore abbia suscitato tanta fedeltà, ma ironizzano su “ Assad re delle macerie” indulgono su “ disegni e testimonianze di bambini traumatizzati”, e naturalmente “ un decennio di caos”.
Non c’é guerra che non abbia prodotto macerie, morti e bambini traumatizzati.
La novità giornalistica , casomai, sarebbe stata la vittoria di un Davide contro sette Golia.
Mi rimangio dunque la promessa fatta a me stesso di meditare in pace sul nostro futuro e mi dedico all’evento che non celebra i dieci anni di guerra persa da Arabia Saudita, Turchia, Stati Uniti, Kataweb, UAE, Francia e Inghilterra coalizzati contro un paesino piccolo piccolo, ma che apre di fatto la campagna elettorale presidenziale siriana che si terrà a primavera.
Dopo aver deciso che volevano un “regime change” con le buone, poi un cambiamento forzato a costo di qualche morto e infine una guerra di sette contro uno, gli alleati si sono trovati impantanati in una guerra senza fine in cui hanno perso tutto. Anche il rispetto di molti alleati.
E’ la prima volta nella storia che un dittatore suscita tanta fedeltà dai suoi sudditi, ottiene tanti sacrifici volontari e trionfa su una coalizione tanto vasta e forte, difeso anche da tutte le religioni esistenti ( sedici) sul territorio, e da paesi che avevano tutto l’interesse a non irritare gli Stati Uniti, nonché da tutte le classi sociali.
Credo che senza riempire dodici pagine, una indagine valga la pena di farla.
I DISSIDENTI
Comincerei con i “dissidenti”, poi rivoltosi ed infine “ insurgents”: essenzialmente si é trattato dei fratelli mussulmani ( una setta assistita alla nascita dalla compagnia del canale di Suez ed ora dagli angloamericani), assieme a una fascia di contadini illusi dalla bonifica dell’Eufrate realizzata negli anni ottanta e disillusi dalla siccità provocata dalle dighe costruite a monte dalla Turchia che hanno ridotto del 40% il flusso delle acque dell’Eufrate.
Essendo il malcontento insufficiente a uno scontro armato, la scintilla fu provocata dalla importazione di seicento mercenari reduci dalla Libia a cura della segretaria di Stato Clinton, con trasporto ed equipaggiamento a carico della Turchia.
Altri furono infiltrati dal Jabal Druso a cura dei vicini israeliani, benché nei precedenti venti anni, Siria e Israele non si fossero scambiati un solo colpo di fucile.
Lo slogan , tracotante e infelice, fu “ I cristiani a Beirut e gli Alauiti nella tomba” fu un monito stupido quasi quanto il “niente prigionieri” dell’avvocato Previti alle elezioni italiane che iniziarono a intaccare il successo berlusconiano.
Fu la minaccia che iniziò a coalizzare la nascente borghesia attorno al regime. Tutti amano fare turismo, ma non da esuli. Tutti devono morire, ma non con una tutina arancione.
I FILO REGIME
GLI ALAUITI
Lo zoccolo duro era inizialmente costituito dagli alauiti, una delle religioni-etnie che popolano il Vicino Oriente e a cui appartiene la famiglia Assad.
Essi rappresentano la fascia più povera della popolazione. Ogni famiglia-bene siriana ha tradizionalmente una colf alauita. I matrimoni sempre interni al gruppo hanno prodotto fisionomie caratteristiche simili come negli ebrei e nei drusi.
Gli alauiti hanno- dal 1967 in poi anno della presa di potere di Hafez el Assad , il padre, – fornito allo Stato tutto l’apparato di sicurezza e gran parte dei quadri delle Forze Armate.
In questa guerra, hanno fornito anche la maggioranza dei caduti ( stimo 180.000 su 380.000). L’ex ambasciatore francese Duclos dice a “Le Monde” che “in una famiglia di quattro figli, due sono morti o tornati storpi”.
Ma sapendo che avevano promesso la morte a tutti, pensano di aver fatto un affare.
I CRISTIANI
Divisi in innumerevoli sette e confessioni, hanno tutti abbracciato il principio del male minore. Nel prosieguo della guerra si schierarono sempre più convintamente con la legalità e l’ordine offerto da Assad.
I dittatori in Siria , di fatto ci sono sempre stati:
Le brevi parentesi democratiche erano di facciata.
Ma Bashar el Assad – il figlio di Hafez – non destinato a succedergli, ma subentrato al fratello deceduto, era considerato un “molle” dall’apparato del partito dominante e addirittura un angelo rispetto a RIFAI, lo zio, che fu tanto crudele nella gestione della sicurezza, da dover essere esiliato in Svizzera e poi in Francia, dallo stesso presidente che pure con mano di ferro aveva represso la città di Hama – insorta nel 1982- facendo dodicimila morti.
Il regime, sapendosi minoritario aveva sempre privilegiato le altre minoranze formando una maggioranza grazie a un cartello di gruppi minoritari e ostentando un grande rispetto per il cristianesimo, al punto di ottenere la visita papale ( G P II) di cui si ricorda il discorso di Bashar che sottolineò tra l’imbarazzo dei presenti che a uccidere Gesù Cristo erano stati gli ebrei e che i primi cristiani trovarono asilo in Siria.
I DRUSI
Più complessa la situazione dei Drusi essendo la loro tradizionale zona di insediamento ripartita tra il Libano, Israele e la Siria.
DERAA – dove nacque mio zio Umberto, fu luogo di prima insurrezione- i combattenti drusi sono temibili guerrieri e Israele ha riconosciuto loro il diritto a fare il servizio militare.
Ma la legislazione, recentemente introdotta da Netanyahu per ragioni di politica interna, ha stabilito lo Stato di Israele come “stato degli ebrei” ha fatto dei Drusi cittadini di seconda classe, provocando le dimissioni per protesta dell’ufficiale druso di grado più elevato di Tsahal e i drusi gradatamente si sono schierati coi siriani che – tratto ammaestramento dagli eventi- hanno anche riconosciuto i loro errori e armato un battaglione di ex nemici per il mantenimento dell’ordine pubblico in zona.
I CURDI
Sono prevalentemente sistemati nella zona di Hassake sulla riva sinistra dell’Eufrate ed erano stati tranquilli in comparazione coi curdi di Turchia.
Et pour cause!
Gli agenti turchi incaricati della sovversione non riuscivano a penetrare per atavica incompatibilità e quelli israeliani erano impegnati coi curdi iracheni.
Anche qui, il regime é stato più svelto: evacuando l’area e lasciando in loco alcuni depositi di armi.
Si sono così create milizie volontarie incaricate di difendere persone e beni e – quando giunsero i “liberatori” furono accolti a fucilate.
Un accordo federativo e l’elezione del deputato cristiano di Hassaké a presidente del Parlamento, ha suggellato un accordo federativo che regge agli urti.
Le milizie locali pattugliano ora con i governativi siriani, ora con gli americani, ma niente estranei. Nemmeno i curdi iracheni.
I MUSSULMANI SCIITI
Minoritari e proletari in genere hanno fatto parte del cartello delle minoranze etniche e religiose che si sono schierate con Assad e sono risultate utili nel tessere l’alleanza con l’Iran.
Inoltre avevano un debito col regime che aveva accolto ottocentomila profughi – causa guerra- dal vicino Irak in gran parte sciiti. Sono rimasti fedeli anche loro.
I MUSSULMANI SUNNITI
Si tratta del nerbo della borghesia ricca della Siria che ha sempre privilegiato la tranquillità che propizia gli affari e il non essere riusciti a accattivarsi questo strato degli abitanti rappresenta la maggiore sconfitta politica dei fratelli mussulmani.
Un pò come le brigate rosse non riuscirono che a conquistare esigue simpatie nel P.C.I. e fu isolamento.
Attratti da “legge e ordine” in un paese che non conosceva criminalità comune e che vedeva ogni anno progredire le giovani generazioni che da esclusivamente arabofone avevano ottenuto l’istruzione gratuita, anche universitaria, e facilitazioni per l’apprendimento delle lingue, preferirono restare fedeli al regime, tanto più che col progredire del conflitto si rivelava la trama estera dei finanziamenti e la povertà delle adesioni locali. Assad era visto vincente.
Socialmente parlando, col regime erano schierati i militari, i proletari,i borghesi e tutti i gruppi religiosi, mentre con gli “insorti” i fratelli mussulmani ( che Nasser definì “ chi , quelli che si inc. tra loro?”) e numerosi jihadisti e criminali comuni che con mossa machiavellica il regime ha liberato con una amnistia, contribuendo così a estremizzare gli avversari agli occhi dei moderati.
LA PROPAGANDA DEL REGIME
Il regime ha utilizzato anzitutto la paura dell’esempio libico, poi il terrore dei minacciosi comportamenti jihadisti e la certezza di tutti di un ritorno al passato di qualche secolo.
L’esercito é rimasto fedele con l’eccezione del figlio di un ex ministro della Difesa: Mustafa Tlass) che ancora pascola nei night club di Parigi a spese dello SDECE e della CIA.
La truppa si é rivelata – come i contadini polacchi e quelli spagnoli – tra le migliori fanterie del mondo e gli aiuti esteri ( Russia e Iran e libanesi ) sono stati utilizzati con attenzione: i russi con l’appoggio aereo, i libanesi ( Hezbollah e cristiani) per liberare le alture del kalamun , ossia la comunicazione via terra tra Damasco e Beirut e gli iraniani per i rifornimenti di armi e la finanza di guerra.
Milioni di esuli si accalcano oltre frontiera dimostrando a tutti che é meglio restare a combattere in Patria che vivere mendicando in esilio.
LA PROPAGANDA OCCIDENTALE
Da parte occidentale, accuse di uso dei gas confuse e contraddittorie: la smentita del magistrato incaricato della inchiesta – la svizzera Carla Del Ponte – che diede la colpa ai ribelli e la promozione e decorazione dell’ufficialessa americana che gestì l’eliminazione dei depositi di Sarin e Cloro siriani nel mare di Creta, ha demolito questa accusa.
La sostituzione delle bombe con barili di polvere fu inaugurata dagli israeliani nella battaglia per Gerusalemme nel 1948.
Facevano rotolare nei vicoli in discesa dei barili mancando di aerei.
Le notizie esagerate del numero dei morti hanno mano a mano fatto perdere credibilità, come la storia dei “caschi bianchi” portatori di soccorsi… tanti dejà vus con foto spesso taroccate male.
Belle modelle israeliane presentate come combattenti curde…
Pii mussulmani accreditati con foto di preghiera, ma rivolti in direzioni opposte mentre anche i concorrenti dei nostri quiz TV sanno che si prostrano solo in direzione della Mecca.
L’ultima storiella é l’apertura di una inchiesta preliminare della magistratura inglese a carico della moglie di Assad che é cittadina inglese.
E’ sospettata di aver incitato il marito a compiere crimini di guerra.
O hanno messo un microfono sotto il letto degli Assad o mi sembra una accusa difficile da sostenere contro una donna mite che ha avuto un tumore e una laurea homoris causa all’Università di Roma.
La pessima gestione del contenzioso sorto a latere con la Turchia, la lite e sostituzione dello sceicco del Katar col più docile figlio mi sembra la degna conclusione di tanta incapacità comunicazionale, culturale, militare e politica.
SIRIA, LIBANO E DINTORNI
Due parole a commento del mio post di ieri ( una “sconfitta meritata”, sulla guerra di Siria) che ha avuto 50 “mi piace” e 38 condivisioni.
Spesso sono tentato di non scrivere di “sceicchi e dittatori” pensando di predicare nel deserto, ma poi, quando vedo che un post viene capito da trentotto persone al punto che che si prendono la briga di ripubblicare lo scritto nei loro diari, prendendosene la responsabilità, e diffondendolo ai loro contatti, mi torna la voglia di spiegare, raccontare, decifrare.
Facebook dice che con tre condivisioni si toccano virtualmente tredicimila persone.
Esagerano di certo, ma con trentotto condivisioni – anche calcolando un terzo di quanto asserito da fb- siamo a oltre quattrocentomila persone messe al corrente di una verità che potrebbe salvare delle vite.
La campagna stampa concertata dei media degli stessi paesi che hanno usato le armi fino a che hanno trovato solidali le loro pubbliche opinioni, non é fatta per il piacere di fare i democratici.
Strano per sferrare un altro colpo., ma adesso so che non potranno contare sulla solidarietà ignorante di noi italiani.
Grazie. Di cuore.

Stati Uniti, una transizione prematura_con Gianfranco Campa

Biden, appena insediato, ha già intrapreso la via del declino e dell’abbandono. Un itinerario probabilmente previsto dall’establishment che lo ha proposto e sostenuto con tutti i mezzi, leciti e opachi; previsto, ma non con l’accelerazione che sta prendendo. Man mano che si profila il cambio della guardia viene sempre più alla luce il vero detentore delle redini del Partito Democratico e il tramite dei centri di potere impegnati a gestire questa fase storica così critica per gli Stati Uniti, Barak Obama. Un vincitore sì, ma sulle ceneri di una battaglia politica rovinosa e delegittimante e con un avversario tutt’altro che debellato. La situazione ideale per iniziative e colpi di mano fuori controllo_Giuseppe Germinario

https://rumble.com/vene61-stati-uniti-la-transizione-prematura-con-gianfranco-campa.html

IL COVID-19 È UNO STRUMENTO DEL POTERE NEL CONFLITTO STRATEGICO, a cura di Luigi Longo

IL COVID-19 È UNO STRUMENTO DEL POTERE NEL CONFLITTO STRATEGICO

a cura di Luigi Longo

 

 

Invito alla lettura della interessante intervista di Valentina Bennati ad Andrea Bolognesi, medico omeopata e specialista in psichiatria, La pandemia che ha deformato la mentalità del genere umano, pubblicato sul sito www.comedonchisciotte.org, del 12/3/2021.

E’ un’ottima sintesi, chiara su tutte le questioni riguardanti la gestione del covid-19, a partire dalla incapacità di affrontare una malattia curabile ai domiciliari (il 95% dei casi) o in strutture ospedaliere (il 5% dei casi con una minima percentuale di morti).

Qui si pongono due domande: perché una vaccinazione di massa apparentemente libera? Perchè non trattare la malattia come una influenza normale-particolare facendo attenzione agli anziani e ai portatori di patologie? Le risposte presuppongono una trattazione a parte.

Questa incapacità è stata chiaramente dimostrata dall’operato dei medici di base (rete dei medici per la cura domiciliare a livello nazionale) che sono andati contro la legge (cioè, oltre la legge, come insegna il pensiero femminile) e hanno curato e guarito i malati da covid-19. Hanno nei fatti smentito tutte le misure assurde e illogiche deliberate dai governi (Giuseppe Conte e Mario Draghi) supportati dalle istituzioni sanitarie, dagli scienziati, dagli esperti, dai mass-media e da “intellettuali”, tutti a servizio del potere dominante del Paese, servo, a sua volta, a livello internazionale (USA).

A monte c’è il fatto (il tempo si incaricherà di dimostrarlo), che si tratta di una pandemia causata da un virus (covid-19) particolare (troppo veloce nella diffusione) che ha origine artificiale e non naturale. Il covid-19 è uno strumento del conflitto strategico tra le potenze per l’egemonia mondiale: gli USA in relativo declino e la Cina e la Russia in ascesa.

La potenza più aggressiva e spregiudicata è quella degli Stati Uniti d’America: perché è nella loro storia, perché sono per un dominio unilaterale, perché sono in chiara fase di inizio declino insieme a tutto l’Occidente (che si butta sul postumano in nome delle magnifiche sorti e progressive dell’umanità invece di dare senso alla vita individuale e sociale), perché hanno un conflitto interno tra gli agenti strategici irreversibile, perché non riescono a fare sintesi nazionale capace di rilanciarsi come grande potenza, perché sono leader mondiali della ricerca, produzione e uso di armi batteriologiche.

Vediamo, in estrema sintesi, l’utilizzo dello strumento covid-19 in Italia ricordando che l’OMS non ha mai dichiarato la pandemia e che già nel 2017-2018 si era verificato negli USA uno dei più gravi focolai di influenza della storia recente. Fu una catastrofica influenza almeno tre volte più letale dell’attuale crisi sanitaria legata al coronavirus (covid-19). Allora l’OMS ritenne non necessario (sic) allertare il mondo o arrestare tutte le attività commerciali planetarie come ha fatto con il covid-19. Stranamente l’OMS non si era nemmeno preoccupato di etichettare l’epidemia americana come un’epidemia o una pandemia. Si era trattato solo di una “normale influenza” nonostante l’entità dei decessi, l’enorme numero di ricoveri e l’alto tasso di infezione (Gilad Atzmon, L’amnesia è un sintomo del Covid-19?, in www.comedonchisciotte.com, 21/4/2020).

  1. 1. Il progetto di Mario Draghi (un agente strategico esecutivo), a grandi linee, è abbastanza chiaro e sarà realizzato attraverso lo strumento pandemico del Covid-19. L’emergenza economica, sociale, sanitaria permette di dichiarare (come se ce ne fosse stato bisogno) che l’Italia non si schioda dalla Nato e dalla UE, istituzioni ad egemonia (nell’accezione gramsciana) statunitense. Per queste ragioni il governo appronta e realizzerà le infrastrutture (Tav, Ponte sullo stretto di Messina, eccetera) per le strategie Usa-Nato che solo applicando la logica del conflitto strategico si possono comprendere, altrimenti si rimane nella logica dello sviluppo (liberista, keynesiano e marxista) dei pre e sub-dominanti che vela molto bene il conflitto tra le potenze mondiali. La nostra presenza incondizionata nella UE (che è un progetto USA, non dimentichiamolo) serve per tenere unita la UE per le strategie Usa contro la Russia; questo è ciò che appare in superficie; in realtà gli Stati Uniti temono fortemente l’alleanza tra Cina e Russia (le forme di collaborazione tra le due potenze in ascesa sono sempre più consistenti, non fosse altro per battere un nemico comune). E’ mia convinzione che la UE è finita ed è tenuta in piedi dagli Usa attraverso Nato, che si è terribilmente trasformata (si interessa di quasi tutte le sfere sociali) e fa da collante e da coordinamento (via Germania e Francia) dell’Europa; per non parlare del ruolo che svolge nei Balcani con il coordinamento della Polonia e in Medio Oriente con il coordinamento di Israele.

L’Italia resta una nazione geograficamente importante per le strategie USA (in Europa, nel Mediterraneo, nel Medio Oriente): è dal Risorgimento che l’Italia è una espressione geografica per i conflitti tra le potenze, allora per l’Inghilterra, oggi, per gli USA.

2.Il covid-19 permette il passaggio ad una forma di “democrazia” autoritaria che nella fase multicentrica è necessaria per accorciare la filiera del comando per la strategia, per la gestione e per la esecuzione del potere, non dominio perché parliamo di sub-dominanti (il governo sta preparando le riforme delle regioni in macro aree e lavora a nuovi strumenti giuridici: altro che difesa della Costituzione avanzata da ritardati giuristi e costituzionalisti).

La decisione di affidare all’Esercito l’emergenza Covid-19 (cosa che andava fatta dal primo momento non fosse altro per la prontezza della macchina organizzativa) è simbolico di un ruolo sempre più presente della sfera militare nel blocco degli agenti sub-dominanti. Mentre è preoccupante la militarizzazione delle città (per ora solo polizia e carabinieri, in attesa, come scrissi nel mio Americanizzazione del territorio, della «… forza di polizia multinazionale a statuto militare composta dal Quartier Generale permanente multinazionale, modulare e proiettabile con sede a Vicenza (Italia). Il ruolo e la struttura del QG permanente, nonché il suo coinvolgimento nelle operazioni saranno approvati dal CIMIN – ovvero – l’Alto Comitato Interministeriale. Costituisce l’organo decisionale che governa EUROGENDFOR». Questa nuova “super-polizia” è, recita l’art. 1 del Trattato, «una Forza di Gendarmeria Europea operativa, pre-organizzata, forte e spiegabile in tempi rapidi al fine di eseguire tutti i compiti di polizia nell’ambito delle operazioni di gestione delle crisi», al servizio, non tanto dei cittadini dell’Ue o degli Stati firmatari del Trattato (le “Parti”), ma, sostiene l’art. 5, sarà «messa a disposizione dell’Unione Europea (UE), delle Nazioni Unite (ONU), dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) e di altre organizzazioni internazionali o coalizioni specifiche».

Intanto, in questa fase, è sospesa la “democrazia” con tutte le violazioni che gli amanti dello stato di diritto non vedono.

3.L’economia è a pezzi, è stato dichiarato lo sterminio delle PMI (di tutti i settori), così come delle imprese che gli algoritmi decideranno che non vanno salvate (sic): il governo prevede la loro distruzione creatrice che nulla ha a che fare con quella pensata da Joseph A. Schumpeter. << […] la grande struttura delle multinazionali americane entrerà nel mercato italiano, gli interi settori che spariranno verranno comprati dalle multinazionali […] >> (Valerio Malvezzi, E’ drammatico le piccole imprese italiane spariranno, www.radioradio.it, 13/3/2021). Per i dominanti nostrani che vogliono farci credere di risollevare la crisi profonda dell’economia italiana con il Recovery Fund, riporto quanto dichiarato da Emiliano Brancaccio e Riccardo Realfonso in una intervista al Financial Times del 12/2/2021:<< Se esaminiamo i 209 miliardi che il Recovery Plan stanzierà per l’Italia per i prossimi sei anni, 127 sono prestiti che prevedono solo un risparmio sullo spread tra tassi di interesse nazionali ed europei: anche con previsioni pessimistiche sui tassi italiani, non più di 4 miliardi all’anno. Per quanto riguarda i restanti 82 miliardi di risorse a fondo perduto, l’importo netto dipenderà dal contributo dell’Italia al bilancio europeo. Considerato che un accordo su rilevanti imposte pan-europee appare improbabile, i paesi membri dovranno contribuire come di consueto in relazione al pil annuale. Il che implica che l’Italia dovrebbe pagare non meno di 40 miliardi. La sovvenzione netta europea è quindi di soli 42 miliardi, ovvero 7 miliardi l’anno. Infine, se si considera che nella prossima sessione l’Italia contribuirà alla parte restante del bilancio Ue per circa 20 miliardi, il trasferimento netto totale scende a meno di 4 miliardi l’anno [corsivo mio] >>.

4.Il territorio è sempre più venduto, vulnerabile e fragile: il locale viene annientato dal globale senza una minima strategia nazionale. << L’Italia […] il campo di battaglia delle guerre che i principi stranieri conducevano per impadronirsi dei suoi territori […]>> (Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Scritti politici, a cura di Claudio Cesa, Einaudi, Torino, 1972, pag.102). Così come sono in crisi sia la relazione tra città e campagna sia la relazione tra ruralità e l’approvvigionamento alimentare (altro che green economy; per dirla con Niccolò Macchiavelli i nostri dominanti sono dei porci!).

5.Le industrie strategiche neanche a parlarne (Eni, Leonardo se non hanno una nazione forte alle spalle faranno ben altri interessi e seguiranno ben altre alleanze), tant’è che, per scelte strategiche USA, l’Ilva di Taranto è stata ceduta ad una multinazionale straniera (e meno male che era strategica per il Paese! Ma in mano a chi siamo?) che è l’anticamera della chiusura della fabbrica con gestione sociale a carico dello Stato, un film già visto a Bagnoli.

6.La sanità sta subendo una grande ristrutturazione (se ci fosse un po’ di serietà si evidenzierebbero i morti che l’emergenza covid-19 ha prodotto a causa della riduzione degli interventi e delle cure in tutti i reparti ospedalieri; le modalità con cui ci vengono dati i numeri relativi alle malattie, ai decessi e alla diffusione del virus è una vera disinformazione statistica. E’ una vergogna istituzionale!) nella quale le garanzie della tutela della salute per tutti sono quasi ridotte all’osso (con l’aggravante che accogliamo migranti in maniera delinquenziale a cui va garantita l’assistenza sanitaria con l’innesco di una guerra tra poveri).

Il covid-19 è il cavallo di Troia per riorganizzare la sanità con una lotta senza quartiere, nei vari dipartimenti, per accaparrarsi risorse, tecnologie, nuovi settori di ricerca, sulla pelle della maggioranza della popolazione.

7.Mancano in generale sia le condizioni oggettive: una fase di trapasso d’epoca con crisi irreversibile dell’Occidente con un cambiamento antropologico delle relazioni umane (le relazioni digitali imposte via covid-19 sono un ottimo allenamento per snaturare l’essenza umana fatta di relazioni, di contatti, di corpi, di presenze); sia le condizioni soggettive: mancano i soggetti ed è assente, per dirla con Costanzo Preve, la tensione da passione durevole; rischiamo, cioè, di creare soggetti virtuali e non materiali.

 

 

 

LA PANDEMIA CHE HA DEFORMATO LA MENTALITÀ DEL GENERE UMANO

 

di Valentina Benna

Un anno che ha sconvolto le nostre vite e messo a dura prova la nostra psiche. Prima la paura di un virus nuovo, poi il distanziamento sociale, le limitazioni alle libertà, la mancanza di lavoro, la didattica a distanza, le difficoltà di assistenza sanitaria per altre patologie, il blocco delle attività ricreative, culturali e religiose. Si è alzata un’onda di malessere mentale dall’impatto devastante perché interessa e interesserà moltissime persone.

Se intendiamo la salute come equilibrio di corpo-mente-spirito, davvero siamo in grave pericolo perché tutto ciò che è accaduto e sta accadendo sta cambiando in modo drammatico, e forse definitivo, i rapporti umani e sta minando la nostra stabilità e vitalità.

E’ un problema grave che, però, non trova abbastanza spazio sui media. Anzi, proprio Tv e giornali sono intenti a diffondere e amplificare dati allarmanti e sensazioni di pericolo.

Quali sono i rischi di questa comunicazione ‘ammalata’? Quanta parte della popolazione sa verificare la fonte e la veridicità delle notizie? Quanti possiedono gli strumenti psicologici ed emotivi per gestire la narrativa catastrofista e unidirezionale che da mesi viene fatta di questo virus? Penso soprattutto alle persone più vulnerabili (gli anziani e i giovani) e a chi è solo e in difficoltà e non può far conto su nessuno.

Sfiducia, sconforto, paura, senso di frustrazione, sono emozioni sempre più evidenti, basta guardarsi un po’ intorno o parlare con la gente. E non può passare inosservato l’aumento dei disturbi psichici che sono sempre di più in rapida crescita, soprattutto nelle città. E’ utile approfondire l’argomento con il Dottor Andrea Bolognesi, medico omeopata e specialista in psichiatria. Bolognesi è anche consulente presso la Fondazione Internazionale Valsé Pantellini per lo studio e la ricerca nell’ambito delle malattie degenerative e tumorali e, di recente, è entrato a far parte della rete di medici attivi in tutta Italia per la cura tempestiva domiciliare covid in ogni regione, iniziativa partita dall’Avvocato Erich Grimaldi che si batte da mesi per la modifica dei protocolli ministeriali che non tengono conto delle esperienze ed evidenze dei territori.

Dottor Bolognesi sono ormai passati molti mesi dall’inizio della ‘pandemia’, alla paura iniziale è subentrata la crisi economica con il senso di incertezza per il futuro, poi la stanchezza e infine anche la rabbia. Sono insorte, e nel tempo si sono aggravate, varie forme di disagio psicologico e molte persone hanno cominciato a fare uso di ansiolitici, antidepressivi, sonniferi e tranquillanti. Quali sono i disturbi principali rilevati? Ci sono già dei dati nazionali ufficiali?

“È giusta la distinzione in due fasi: la prima caratterizzata dalla reazione euforico/patriottica dell’andrà tutto bene e dei canti sul balcone, la seconda invece dal graduale scoramento, al limite della rassegnazione, sia perché dopo un anno esatto siamo tornati al punto di partenza, sia perché l’emergenza socio-economica si è sommata in modo drammatico a quella sanitaria.

Non sono a conoscenza di dati ufficiali, ma l’evidenza di un aumento del consumo di ansiolitici, antidepressivi e ipnoinducenti è nota a tutti così come, in parallelo, l’aumento dei disturbi connessi.

A causa del lockdown sicuramente abbiamo assistito ad un aumento degli episodi di violenza domestica, dovuti a convivenze forzate di coppie già in crisi o di nuclei familiari confinati in spazi angusti e non abituati a vivere insieme per tante ore. Attingendo alla mia personale esperienza di psichiatra posso dire che durante il lockdown dell’anno scorso son dovuto intervenire d’urgenza per episodi di aggressività e violenza ad opera di soggetti con crisi psicotica scatenata dalla chiusura forzata. Molto frequenti anche le crisi depressive aggravate dall’isolamento e con necessità di aumentare il dosaggio dei farmaci già in uso.”

La gestione del nuovo coronavirus ha cambiato in modo drammatico i rapporti umani. Mascherine, distanziamento, smart working, didattica a distanza, divieto di riunirsi e stare vicini, disinfezione continua di mani e locali, misurazione della temperatura: tutto necessario, ci è stato detto, ma è aumentata inesorabilmente la distanza tra le persone ed è diminuita la capacità di empatia. E’ qualcosa di profondo e dirompente, eppure è una questione sottovalutata che non trova adeguata analisi da parte dei media così intenti a comunicarci solo numeri di contagi e notizie relative al vaccino. Quanto tutto questo sta incidendo sulla nostra psiche e che peso avrà sulle nuove generazioni?

“L’opportunità delle misure adottate, fatta eccezione per un ragionevole distanziamento nei luoghi chiusi, è tutta da dimostrare e siamo ancora in attesa della pubblicazione dei verbali del Comitato Tecnico Scientifico che ci spieghino PER OGNI SINGOLO PROVVEDIMENTO il razionale e quindi, in virtù di questo, la reale efficacia. Riguardo ai cambiamenti nei rapporti umani si è consumata di fatto la morte della prossemica e sappiamo quanto l’essere umano, per sua natura sociale, si giovi del linguaggio non verbale, della gestualità, del contatto, della vicinanza, specialmente nei paesi dell’area mediterranea, per stabilire e mantenere rapporti. Tutto ciò è stato inibito e/o negato e inevitabilmente modificherà gli stili e gli assetti comportamentali soprattutto nelle fasce d’età in formazione, private sul nascere della naturale propensione all’incontro.

Visi che fino a ieri ci erano familiari all’improvviso siamo stati costretti a percepire come minacciosi tanto da scendere istintivamente dal marciapiede se li vediamo dirigersi verso di noi, amici che salutavamo con una stretta di mano o con un abbraccio che temiamo di incontrare perché non sappiamo se lo accetterebbero, e così via con esempi infiniti.

L’enfasi sulla malattia, i toni catastrofisti dei mass media non lasciano spazio per riflessioni su questo tema”.

All’inizio l’emergenza sanitaria c’è sicuramente stata e ha mandato in tilt il nostro ‘depotenziato’ sistema sanitario, poi le terapie sono stata individuate e i tanti medici che già hanno curato a domicilio con successo hanno dimostrato che di covid si guarisce, basta intervenire subito adeguatamente in modo da evitare ricoveri ospedalieri. C’è stato però il problema dei protocolli ministeriali a base di solo paracetamolo ‘nei primi giorni di vigile attesa’, proprio quelli che invece dovrebbero essere decisivi per aggredire il virus …

“Ho avuto modo di esprimere in più occasioni e in maniera netta il mio pensiero su questo argomento attraverso i social nel corso di tutto l’anno e approfitto di questa preziosa occasione per ribadirlo con forza. L’emergenza nella quale ci troviamo è SANITARIA e NON medica in quanto riguarda essenzialmente l’assenza di terapie domiciliari corrette e tempestive e la carenza – grave prima, ma imperdonabile dopo la pausa estiva – delle strutture ospedaliere e in particolare dei posti letto in terapia intensiva. È insopportabile che l’AIFA solo in questi giorni, e grazie a una sentenza del TAR, sia stata costretta ad abbandonare le linee guida, reiterate fino al 20/11/2020, dove si indicava l’uso della ‘tachipirina e vigile attesa’ nelle fasi iniziali della malattia. Da mesi era noto ai medici che lavorano sul campo, curando e guarendo malati in carne ed ossa, che tali indicazioni erano addirittura controindicate e responsabili dell’aggravarsi del quadro clinico, spesso con esiti nefasti. Tali linee guida vengono partorite dalle menti geniali di ‘esperti’ che, chiusi nei loro uffici, non hanno visto un malato da anni e che attendono gli studi clinici pubblicati, magari come quello pubblicato sul Lancet e poi ritirato che screditava l’uso dell’idrossiclorochina, prima di dare via libera all’uso di un protocollo.

Ma io domando: è più importante basarsi sui risultati ottenuti da medici che hanno curato malati guarendoli, e quindi evitandone il ricovero, oppure attendere mesi o anni che gli studi clinici vengano pubblicati? La Medicina non è una scienza esatta, è al massimo una pratica empirica e in caso di emergenza come questo non ci si dovrebbe soffermare su tali sottigliezze.

Un’altra domanda mi sorge spontanea: come mai tutti gli organismi di controllo dei farmaci, AIFA compresa, non hanno preteso lo stesso rigore metodologico prima di approvare l’uso dei vaccini?”

Le persone mal curate a casa fanno inevitabilmente risalire i ricoveri, di conseguenza si rimette in moto la macchina dei lockdown (che per la verità non si è mai arrestata) con i relativi danni economici, sociali e psicologici causati dalle chiusure. Aumenta, dunque, l’angoscia nelle persone. Del resto i media stessi, con i dati che danno, enfatizzano continuamente l’impressione che siamo ancora in pericolo e non informano, invece, dell’opportunità delle cure domiciliari e della necessità di potenziarle. Non c’è il rischio, in questo modo, di incidere i modo serio sulla stabilità mentale delle persone?

“La paura nasce in genere dall’ignoto, dall’imprevisto, dall’imponderabile e la comparsa di un virus sconosciuto che si diffonde rapidamente nel mondo intero racchiude in sé tutte queste caratteristiche ma questa è, si può dire, la paura come espressione naturale, direi ancestrale dell’essere umano. Altra cosa è la paura, in certi casi il terrore, veicolata da una martellante, asfissiante comunicazione monotematica, unilaterale, ubiquitaria quale è stata ed è tuttora quella proposta da TUTTI i mass media. Tale assedio quotidiano fatto di bollettini di contagi, di morti e, ultimamente, di vaccini offusca la capacità di discernere e induce, specie i soggetti più fragili e meno dotati di capacità critica, a una sorta di ‘trance cognitiva’.

Soltanto chi riesce a sottrarsi a questa dittatura mediatica può distinguere il vero dal falso o quantomeno riportare i fatti nelle giuste proporzioni. Auspico che col tempo il numero di queste persone ‘mainstream free’ siano sempre di più e possano creare una massa critica tale da arginare il pensiero unico dominante della ‘scienza non è democratica’ di buroniana memoria”.

Ci sono famiglie angosciate perché impossibilitate a vedere i figli o i parenti che soggiornano in strutture che forniscono cure difficilmente garantibili a domicilio e anche disabili abbandonati dall’assistenza domiciliare o scolastica che sono totalmente a carico delle famiglie in seguito al lockdown. E’ pesante anche la situazione di molti anziani residenti nelle case di riposo privati delle visite di famigliari e amici. Quanto la solitudine e l’isolamento incidono sulla salute?

“Uno dei fatti più disumani che hanno caratterizzato questo anno di pandemia è stata la negazione della sepoltura dei morti, un atto vile e inspiegabile che grida vendetta alla dignità e stravolge le basi della convivenza tra esseri umani, un VULNUS ANTROPOLOGICO incancellabile. Altre gravi criticità sono state e sono, indubbiamente, la solitudine e l’isolamento dei malati, la trascuratezza nei confronti dei malati cronici, in primis oncologici, con un conseguente aumento dei decessi e un ritardo nelle diagnosi e nelle cure. Per non parlare dell’isolamento degli anziani, rinchiusi per interminabili settimane nelle RSA o nei reparti di lunga degenza, proprio nei momenti in cui la presenza di una persona cara o di un familiare era necessaria come l’aria per respirare.

Ho una certa esperienza sia come psichiatra che come medico della Fondazione Pantellini e ho spesso a che fare con pazienti terminali o con i loro familiari, posso dire con certezza che l’isolamento forzato può far precipitare un quadro clinico di per sé precario”.

E poi ci sono le nuove generazioni: preoccupa molto l’aumento dei disturbi psichici, in particolare presso le fasce giovanili. Ci sono sintomi che per primi hanno esordio e che possono denunciare, con un minimo di anticipo, una condizione destinata ad aggravarsi e ai quali i genitori devono stare attenti? Con quali mezzi è possibile arginare la situazione?

“Ritengo che il danno maggiore sarà quello a carico dei bambini in età scolare che, costretti a folli rituali privi di ogni fondamento scientifico, introietteranno convinzioni e comportamenti dettati dalla paura e pian piano li crederanno ‘normali’. Si stanno verificando perfino casi di bambini che rifiutano di togliere la mascherina una volta rientrati a casa da scuola o che rimproverano un genitore se non la indossa correttamente. Non voglio poi entrare nel dibattito sui danni enormi creati dalla cosiddetta DAD, danni dal punto di vista formativo, cognitivo e psicologico.

Dalla permanenza forzata in casa un altro grave fenomeno tipico dell’età giovanile è l’accentuarsi della dipendenza dal cellulare, fino alla perdita di contatto con la realtà, assorbiti totalmente da dimensioni virtuali. Conseguenze di ciò, e anche del danno intrinseco da esposizione a inquinamento elettromagnetico, possono essere un aumento dell’irritabilità, dell’aggressività, una flessione nel rendimento scolastico per disturbo dell’attenzione, della concentrazione e, nei casi più gravi, apatia e anedonia fino agli estremi della sindrome Hikikomori.

Infine in età adolescenziale o giovanile uno stato di allarme e di ipervigilanza costante può slatentizzare, in soggetti predisposti, gravi patologie psichiatriche quali disturbo ossessivo compulsivo, paranoia, angoscia ipocondriaca, fobie, in particolare rupiofobia, e di ciò sono stato testimone nella mia attività professionale.

Suggerisco quindi ai genitori di essere molto attenti e alla comparsa delle prime anomalie di comportamento quali, ad esempio, una eccessiva ritualità nell’igiene, una improvvisa chiusura in sé con ritiro e apatia, una attenzione eccessiva allo stato di salute, di non sottovalutare questi sintomi onde evitare lo strutturarsi degli stessi in patologie”.

Infine c’è l’odio per chi è diverso, per chi si pone domande, per chi dissente, chi chiede chiarezza, chi ricorre alla legge per vedere tutelati i propri diritti. Quanto ciò è frutto della propria bolla di ansia, paura e psicosi e quanto invece è conseguenza della narrativa catastrofista alimentata da media, politici ed esperti di turno?

“Abbiamo già accennato all’ostracismo, ai limiti della dittatura, cui vengono sottoposte tutte le voci fuori dal coro, emarginate o nella migliore delle ipotesi dileggiate dai mass media, acritici megafoni del pensiero unico dominante. Medici radiati o censurati solo per aver espresso opinioni in piena libertà di coscienza e pronti al dibattito, ma sistematicamente inascoltati e sanzionati da un Ordine professionale che invece dovrebbe tutelarli.

Purtroppo ho dovuto constatare che la ‘costruzione della paura’, così pervicacemente alimentata dai mass media, ha inciso negativamente anche su menti o coscienze che reputavo refrattarie e ho visto sfumare amicizie storiche perché l’incomprensione, la radicale opposizione si erano frapposte tra di noi”.

E’ scientificamente provato che la paura, protratta nel tempo, può alterare il buon funzionamento del sistema immunitario che, invece, è proprio il nostro principale alleato contro le infezioni virali. Come vincere questa emozione se diventa tanto forte e distruttiva?

“Poco fa parlavo di ‘vulnus antropologico’, ebbene credo che questa pandemia prolungata abbia a tale punto deformato la mentalità del genere umano da trasformare la Paura in un valore intellettuale e il Panico come scelta intelligente, ‘vincente’ nei confronti di chi rifiuta questo ed è etichettato come complottista , negazionista, soggetto pericoloso. Si è ribaltato il cardine assiologico della nostra cultura occidentale: l’eroe di oggi non è più quello del Mito a noi noto, ma è chi abbraccia il panico, chi considera la paura come segno distintivo di superiorità e chi vi si oppone è un pericoloso incivile.

Sappiamo che il sistema immunitario, UNICA arma sicura contro qualsiasi infezione, oltre a necessitare di un microbiota intestinale in sufficiente equilibrio, risente anche di influenze dal sistema nervoso centrale, attraverso i meccanismi ben descritti dalla PNEI, psico-neuro-endocrino-immunologia. È evidente che uno stato di paura persistente, di ipervigilanza costante alteri questo delicato meccanismo con ricadute sul sistema immunitario.

Per concludere, però, vorrei tranquillizzare ricordando che la malattia da SARS-Cov19 è nel 95% dei casi ad andamento benigno e curabile a domicilio, nel 5% dei casi può dar luogo a complicazioni e necessità di cure ospedaliere e in una minima percentuale di casi ha esito infausto, in genere in pazienti molto anziani con grave comorbilità. Riguardo alle terapie domiciliari, invece, posso assicurare che esistono dei protocolli ormai consolidati e praticati da una rete di medici che fa capo a diversi comitati di cui io stesso faccio parte che naturalmente si affiancano o sopperiscono al lavoro dei medici di base: ippocrateorg.org e terapiadomiciliarecovid19.org sono i più attivi.

Esiste anche un protocollo di prevenzione che io suggerisco da tempo ai miei pazienti che consiste nell’uso delle Vitamine D, C, K2MK7, quercetina, lattoferrina, zinco e, più specificamente, anti-CD26 (prodotto omeopatico specifico in fiale). Per i dettagli sono disponibile ad essere contattato in privato (abolognesi9@gmail.com).

Infine, per vincere la paura, un semplice consiglio che già un anno fa avevo suggerito ai miei pazienti e che ribadisco volentieri è di NON guardare la televisione o meglio, se volete guardarla, dedicatevi a canali culturali, musicali, storici, film. Cercate di ascoltare musica, leggere più libri e state all’aria aperta rispettando le regole in modo da non creare conflitti con i vostri simili.

Infine vorrei dire che, a mio parere, questa pandemia finirà, come è sempre accaduto, quando il virus diventerà endemico e stagionale come tutti i virus con i quali, nel corso dei secoli e dei millenni, l’uomo ha sempre convissuto. Così avverrà anche per questo, e ancora più facilmente se non ci saranno troppe forzature. La fine della paura sarà invece legata a quando gli artefici di essa smetteranno di propinarla senza ritegno e ciò potrebbe essere legato, ad esempio, a praticare i tamponi diminuendo i cicli di amplificazione onde evitare i falsi positivi e al fatto che si curino tempestivamente i malati a domicilio liberando così gli ospedali e i reparti di terapia intensiva.

Non faccio alcun appello alla classe politica, vista la assoluta inettitudine dimostrata in questo anno”.

 

 

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