In lode di Niccolò (e Giovanni)_di WS

Mi è piaciuto questo articolo .
Non solo perché è raro che i francesi non denigrino qualcosa di italiano , ma anche perché è scritto bene seppure teso a rinforzare il punto di vista dell’autore.
Soprattutto è interessante che nel tracollo della civiltà occidentale si riscopra Machiavelli.
Quindi val la pena evidenziare la complessità di quel suo pensiero che lo rende ancora un maestro della politica , ma anche evidenziarne le peculiarità di uomo del suo tempo e di ciò che di quel pensiero politico allora ne impedì l’applicazione pratica.
Premetto per i pochi interessati che questo commento sarà un po’ più lungo del solito e poco attinente alla geopolitica corrente.
Diciamo subito che la distanza tra teoria e pratica in politica non è una quisquilia perché dipende da una miriade di fattori spesso anche casuali. In politica , per il successo personale la semplice teoria non basta, come dimostrò il più pratico Guicciardini.
Tra il Machiavelli e il Guicciardini il pensiero politico non era molto dissimile, anzi pare che i due furono anche amici; ma il Guicciardini servendo sempre e soltanto “i Grandi” ebbe un enorme successo personale; il Machiavelli, al contrario, servendo solo le sue idee rimase sostanzialmente un “fallito”.
La differenza è che seppur oggi gli aristocratici discendenti del Guicciardini vendono un ottimo vino, nessuno rilegge il Guicciardini mentre si rilegge Machiavelli e non ci sono suoi discendenti che vendono vino con il suo nome.
E io sono sicuro che Machiavelli sarebbe contento così.
Perché innanzitutto diamo giustizia al Machiavelli? In lui non c’era altra motivazione personale che quella degli “eroi”: la gloria conseguita con merito.
E c’era anche una grande tensione morale. Lui non era quel cinico che Federico il grande cercò poi di rivelarsi; lui sì, un cinico “politico di successo”.
Machiavelli invece semplicemente descriveva i meccanismi del potere come essi sono sempre stati e sempre saranno all’ interno dello “Stato” inteso come organizzazione di ogni società umana.
Machiavelli non era nemmeno un antireligioso, ma uno che prende atto che la Religione non basta a moderare il male nella vita umana e che in questo essa deve essere supplita dall’etica di uno Stato dotato della forza necessaria ad imporla ad uomini intrinsecamente cattivi.
E non è quindi un caso che questa conclusione sia stata apprezzata da tanti pensatori marxisti. La differenza, però, è che Machiavelli non si illude che l’ indole umana sia modificabile da uno Stato che si proclama “ etico”, perché sa bene che anche dietro quello Stato ci sarebbero in posizione di potere uomini intrinsecamente cattivi sempre pronti a diventare così dei “Grandi” a spese altrui.
Per Machiavelli quindi l’ unica forma di Stato utile è quella “repubblicana” nella quale un gruppo di uomini liberi gestiscono la “cosa pubblica” con la prima e principale attenzione a che nessun uomo di “virtù” ( “virtù” machiavellica appunto ) possa coartare gli interessi di tutti gli altri , così che a questi uomini, potenzialmente “Grandi”, resti solo il servizio dello Stato come unico campo dove esprimere la propria “virtù”.
Una posizione di potere che però non è una sinecura; la repubblica punisce severamente i dirigenti fedifraghi , incapaci ed inetti ). Né è trasmissibile a membri della propria “familia”, nel senso romano, se non attraverso un nome reso grande da grandi cose fatte ad esclusivo vantaggio della Repubblica.
Ed in questo, sì, la “repubblica” di Machiavelli è la “repubblica romana” descritta nei libri di Tito Livio, cosa che non era certo la “repubblica fiorentina” che Machiavelli servì con impegno venendo poi sempre “sorpassato” da incapaci membri di consorterie , per poi essere alla fine pure punito dai Medici, tornati momentaneamente “signori” a Firenze.
Recuperata comunque la fiducia di costoro, tornando quindi a servire lo Stato fiorentino, ne fu poi espulso alla seconda cacciata dei Medici come “pallesco” .
Machiavelli allora opportunista e banderuola come milioni di “ordinari” italiani ? No, solo la coerente ambizione a servire il SUO “ Stato” sapendo di poter svolgervi un grande servizio, sempre comunque malpagato per altro.
Ma è proprio nella sua attività di uomo di Stato e di pianificatore militare che si evidenziano i limiti di Machiavelli, grande analista e teorico politico, a disbrigarsi nella gestione pratica della politica.
Sia chiaro, niente di male in questo; piuttosto l’ evidenza che teoria e pratica in politica sono cose estremamente diverse perché “la politica è l’ arte del possibile”. In politica si può definire una teoria , ma nella pratica si deve operare solo nel campo del possibile
Perché, oltre che una grande tensione morale, Machiavelli aveva anche una coscienza “nazionale” che però non andava molto oltre la sua Firenze. Se infatti Machiavelli vedeva il disastro che si stava appressando su una Italia divisa ed imbelle, di fatto si preoccupava soprattutto dello “Stato” che conosceva. Se certamente capiva il limite di una Italia che non aveva mai superato la dimensione degli “ Stati regionali”, non sognava certo “l’ Italia “ di Dante.
Machiavelli studiava i meccanismi della politica e poteva anche simpatizzare per il “Valentino” che si stava costruendo un suo stato personale a spese di tanti “signorotti” e in prospettiva anche di Firenze; ma serviva solo lo Stato fiorentino.
Il quale era allora giustappunto l’ unica “repubblica” italiana di un peso “passabile” sebbene il cui “populus” e il suo “senatus” erano però con caratteristiche ben diverse dal modello romano. E soprattutto era diverso il tipo di guerra combattuta nel 1500 da quella di 1800 anni prima. Fallì così ovviamente il Machiavelli nella sua costruzione pratica della milizia fiorentina.
E qui si apre un interessante capitolo sulla interazione intervenuta tra lui e Giovanni delle Bande Nere .
Narrano infatti le cronache che, essendo venuto a passare in Firenze Giovanni con le sue “bande” e avendo il Medici e il Machiavelli discusso di tattica militare e di ordini di battaglia, Giovanni dimostrò al Campo di Marte come le sue “bande” superassero agilmente le milizie fiorentine schierate “alla romana” e come invece quest’ultime , scegliendovi un gruppo più piccolo meglio selezionato e molto più mobile si comportassero molto meglio quando gestite dallo stesso Giovanni.
Perché in politica anche la migliore teoria si scontra sempre con la realtà e i cittadini fiorentini del 1500 non potevano essere organizzati in una “formazione quadrata” come ancora potevano esserlo i montanari svizzeri e , seppur in misura minore, anche i contadini spagnoli.
Quella lezione, poco dopo, Giovanni la stava appunto impartendo ai lanzichecchi che calavano in Italia se non vi fosse morto per il tradimento dei principotti padani.
La grandezza così inespressa di Giovanni che forse, se non fosse morto così giovane, avrebbe fatto un’ ALTRA Italia, fu dimostrata dalle sue “bande”, che seppur “ decapitate” continuarono la loro guerra di decimazione della soldataglia imperiale finché lo stesso papa Medici gli ordinò il “ disbando” dopo la sua resa a Carlo V.
E in quelle “bande nere” si era distinto anche quel Ferrucci che fu chiamato dalla seconda repubblica fiorentina a difendere Firenze dall’ attacco degli imperiali cosa che fece egregiamente finché non cadde, per il solito tradimento, nell’ imboscata di Gavinana.
Quale è quindi la lezione che portava Giovanni ?
Che gli italiani non sono un “popolo”. Noi siamo una variegata accozzaglia di “miseria e nobiltà”, ragion per cui non siamo nemmeno un “gregge”.
Si, ci sono tantissime “ pecore” e tantissimi aspiranti “cani pastore”, ma ci sarebbero anche tanti “lupi” che però non possono essere schierati sparsi in mezzo a “ pecore e traditori “.
Ma se fosse stato possibile schierare tutti insieme un numero sufficiente di “lupi” , forse avremmo potuto costruire 500 anni fa uno stato , “etico” nel senso del Machiavelli , per cui oggi potremmo anche essere quei “romani“ che lui sognava.
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