TikTok “americanizzato”: il primo caso di sovranità forzata_di Tania Orrù

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TikTok “americanizzato”: il primo caso di sovranità forzata
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L’accordo Usa-Cina su TikTok apre un nuovo capitolo nella sovranità digitale, trasformando una questione aziendale in un nodo geopolitico e di sicurezza nazionale. La vicenda stabilisce un precedente per la governance internazionale di dati e algoritmi
Aggiornato il 26 set 2025
Privacy Officer e Consulente Privacy Tuv Italia

Con la firma di un atteso ordine esecutivo, Donald Trump ha imposto la trasformazione di TikTok in un’azienda a maggioranza americana: ByteDance resterà sotto il 20%, consegnando il controllo a un consorzio guidato da Oracle, Silver Lake e dal fondo di Abu Dhabi MGX.
Il valore imposto dall’ordine esecutivo – 14 miliardi di dollari – è ben al di sotto delle stime di mercato, e restano incognite legate all’approvazione di Pechino e alle pressioni bipartisan del Congresso per garantire un reale disimpegno cinese.
Ripercorriamo le tappe e il contesto di questa vicenda, anche per comprenderne l’impatto sull’assetto futuro della governance globale dei dati.
Indice degli argomenti
- L’accordo quadro
- Il quadro normativo: il PAFACA Act e la minaccia del divieto
- La dimensione politica: dall’account della Casa Bianca all’uso elettorale
- La cornice economica: rallentamento industriale cinese e politica dei dazi
- Algoritmo e dati: la posta in gioco strategica
- Le implicazioni internazionali ed europee
- Questioni etiche e governance globale
- I fattori di incertezza dell’accordo
- Oltre l’accordo: TikTok spartiacque della sovranità tecnologica
L’accordo quadro
Partiamo dall’accordo quadro raggiunto il 15 settembre 2025 tra Stati Uniti e Cina sulla proprietà di TikTok: un passaggio cruciale nel dibattito globale sulla sovranità digitale.
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L’intesa, in seguito alla quale ByteDance (società proprietaria della piattaforma) ha accettato di trasferire la titolarità dell’app negli Stati Uniti a soggetti americani, oltre a evitare il rischio di un ban totale sul mercato statunitense, riflette il nuovo paradigma in cui la regolazione delle piattaforme digitali non si limita a profili antitrust o di tutela dei consumatori, ma si colloca in una dimensione geopolitica, di sicurezza nazionale e di controllo sugli algoritmi.
Il quadro normativo: il PAFACA Act e la minaccia del divieto
Il contesto legislativo statunitense è determinato dal Protecting Americans from Foreign Adversary Controlled Applications Act (PAFACA), approvato dal Congresso nel 2024. La norma prevede che applicazioni considerate sotto il controllo di “foreign adversaries” (in particolare, Cina, Russia, Iran e Corea del Nord) debbano essere cedute a entità americane entro termini stabiliti, pena l’esclusione dal mercato statunitense (su TikTok, la comunicazione ufficiale su come l’amministrazione applica la legge alla piattaforma, con definizioni, tempistiche e misure previste).
TikTok è stata l’app maggiormente interessata da questa normativa, sia per la sua popolarità (oltre 170 milioni di utenti negli USA) sia per i sospetti relativi alla raccolta e all’uso dei dati personali. Le autorità di Washington hanno più volte segnalato il rischio che i dati potessero essere accessibili a Pechino, o che l’algoritmo di raccomandazione potesse essere manipolato per finalità di disinformazione o propaganda.
Da quel momento si è aperta una fase di negoziati complessi, che vedeva, da un lato, la pressione del Congresso e delle agenzie di sicurezza americane, dall’altro l’esigenza politica di non alienare milioni di utenti, in gran parte giovani, che usano TikTok quotidianamente. La minaccia di un ban totale, con scadenze ravvicinate, ha costretto ByteDance a valutare l’opzione di un trasferimento di proprietà.
L’intesa, ufficializzata il 25 settembre mediante la firma dell’ordine esecutivo da parte di Trump che formalizza il passaggio di TikTok sotto controllo americano, rappresenta un punto di equilibrio, in quanto consente a TikTok di restare accessibile negli Stati Uniti, con la creazione di una nuova entità statunitense che opererà TikTok sul mercato USA.
Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal e da Reuters, un consorzio di investitori americani guidato da Oracle, insieme a Silver Lake e Andreessen Horowitz, ora affiancati (come socio di minoranza) dal fondo sovrano degli Emirati Arabi Uniti, Mubadala, acquisirebbe circa l’80% della proprietà, mentre i soci cinesi di ByteDance manterrebbero una quota residua inferiore al 20%; tra i soci USA rientrerebbero in realtà anche investitori già presenti in ByteDance (Susquehanna, KKR, General Atlantic). La nuova società avrà un board a maggioranza statunitense, con un seggio designato direttamente dal governo USA, a garanzia del rispetto dei requisiti di sicurezza nazionale. La presenza di Mubadala è interpretata come un elemento strategico, che rafforza i legami tra Washington e Abu Dhabi e aggiunge solidità finanziaria al nuovo assetto proprietario.
In pratica, l’accordo bilaterale consentirebbe di evitare il ban e di aprire a un controllo rafforzato da parte delle autorità statunitensi, configurando un caso di “americanizzazione forzata” di un’infrastruttura digitale di origine cinese.
La dimensione politica: dall’account della Casa Bianca all’uso elettorale
Un elemento di rilievo, che evidenzia l’ambivalenza del dibattito, è rappresentato dall’apertura di un account ufficiale della Casa Bianca su TikTok, avvenuta lo scorso agosto, proprio nel momento in cui il governo stava per decidere se forzare la vendita o applicare il divieto.
La scelta, raccontata da Time Magazine, rivela quanto sia diventato impossibile per la politica americana ignorare il potere di comunicazione del social cinese come canale imprescindibile per raggiungere le fasce di elettorato più giovani. La stessa dinamica è riscontrabile a livello elettorale: candidati di entrambi gli schieramenti, incluso Donald Trump (tra i più attivi, nonostante le sue critiche nei confronti dell’app), hanno utilizzato TikTok per veicolare messaggi politici, con un linguaggio adatto al formato breve e visuale tipico della piattaforma.
Emblematico anche il caso di Xavier Becerra, candidato democratico alla carica di governatore della California, che ha lanciato una campagna su TikTok in lingua spagnola (Spanish-only) per raggiungere direttamente gli elettori ispanici, in quanto il segmento ispanico è molto attivo sulla piattaforma, più di altri gruppi demografici. L’idea di Becerra è comunicare politiche, momenti della campagna e intraprendere collaborazioni con influencer direttamente in spagnolo, abbassando così le barriere linguistiche comunicative.
Anche questo è un esempio concreto di come la politica statunitense stia usando i social come canale di massa e, allo stesso tempo, come strumento segmentato: linguistico, culturale, demografico. I candidati riconoscono che alcuni gruppi (come ad es. gli ispanici) non sono omogenei e rispondono meglio a messaggi culturalmente/linguisticamente aderenti. TikTok è quindi percepito come piattaforma efficace per raggiungere fasce di popolazione probabilmente meno presenti sui media tradizionali o su altri social.
Il pubblico di TikTok è giovane, mobile, disincantato verso i media tradizionali ma estremamente reattivo a contenuti brevi, visivi e “memetici”. Questa piattaforma è oggi parte integrante delle campagne elettorali perché è un canale capace di determinare la percezione di un candidato molto più rapidamente dei tradizionali spot televisivi.
Questa tendenza conferma il duplice status di TikTok che, da un lato viene percepito come minaccia alla sicurezza nazionale e, dall’altro, riconosciuto come strumento essenziale di comunicazione politica. Non si può ignorare che, una parte delle motivazioni dietro la spinta all’accordo, sia infatti la volontà di Trump di guadagnare consenso politico, cioè un vero “showpiece negoziale” per mostrarsi capace di “strappare” un’intesa con la Cina su un tema molto mediatico.
La cornice economica: rallentamento industriale cinese e politica dei dazi
La vicenda deve essere però interpretata anche alla luce della più ampia competizione economica tra Stati Uniti e Cina.
Negli ultimi anni la Repubblica Popolare ha registrato una frenata nella crescita industriale, in parte dovuta ai controlli americani sull’export di semiconduttori e tecnologie avanzate, nonché alla reintroduzione di dazi sulle importazioni cinesi da parte dell’amministrazione Trump, con l’obiettivo dichiarato di riequilibrare la bilancia commerciale e rafforzare la manifattura interna.
In tale contesto, l’accordo su TikTok può essere letto come una concessione tattica di Pechino, volta a preservare la presenza di una app strategica sul mercato statunitense in un momento particolarmente delicato della sua economia.
Algoritmo e dati: la posta in gioco strategica
Il vero nodo critico della vicenda riguarda la titolarità dell’algoritmo e la gestione dei dati. Per gli Stati Uniti, la questione non è soltanto legata a chi possiede la piattaforma, ma soprattutto a chi può esercitare un controllo effettivo sull’infrastruttura tecnologica che ne determina il funzionamento.
TikTok ha costruito il proprio vantaggio competitivo su un sistema di raccomandazione basato su machine learning avanzato, capace di analizzare in tempo reale i comportamenti degli utenti (tempo di visualizzazione, interazioni, preferenze implicite) per proporre contenuti altamente personalizzati. A differenza dei social tradizionali, incentrati sulle reti di contatti (il “social graph”), TikTok ha innovato attraverso il cosiddetto content graph, dove l’elemento centrale non è la connessione sociale, ma la capacità di anticipare gusti e interessi tramite dati e predizioni algoritmiche.
Questa architettura ha generato preoccupazioni negli Stati Uniti, in quanto il controllo dell’algoritmo implica due dimensioni di potere:
- economica, poiché l’algoritmo è il principale asset di valore della piattaforma e determina la fidelizzazione degli utenti e l’efficacia pubblicitaria;
- politica e strategica, perché la selezione dei contenuti veicolati può influenzare opinioni pubbliche, narrazioni politiche e processi democratici.
Resta da chiarire quale sarà l’effettivo destino dell’algoritmo a seguito dell’accordo. Tre, in astratto, le ipotesi principali e cioè (i) cessione integrale con trasferimento da parte di ByteDance potrebbe della titolarità e del controllo dell’algoritmo a una nuova entità americana; (ii) replica locale, ovvero sviluppo di una versione “americana” dell’algoritmo, con possibile separazione del codice sorgente e dei dataset di addestramento, così da mantenere la proprietà intellettuale in Cina ma garantire agli USA autonomia operativa; (iii)auditing indipendente con mantenimento dell’algoritmo originale con meccanismi di trasparenza e controllo da parte di terze parti o agenzie federali, che ne certifichino il funzionamento e impediscano interferenze.
Secondo le ultime informazioni, gli ingegneri di TikTok starebbero già sviluppando l’ipotesi della replica locale, ovverossia la creazione di una versione americana dell’app, con un sistema di raccomandazione ricreato sotto licenza di ByteDance. In questo scenario, l’algoritmo non verrebbe quindi ceduto integralmente, ma replicato e mantenuto da un team statunitense per ridurre l’influenza cinese, con la migrazione degli utenti USA verso la nuova app (cioè, non TikTok originale ma l’istanza americana con algoritmi replicati). L’algoritmo sarà quindi “in parte” quello originario, ma rieducato con dati statunitensi (si parla infatti di “addestramento su dati USA”). La gestione dei dati degli utenti americani sarebbe affidata a Oracle, che li conserverà nei propri data center in Texas, rafforzando il principio di “data localization” a garanzia di trasparenza e sicurezza.
Dalla governance dell’algoritmo dipende tanto il valore economico della piattaforma quanto la possibilità di garantire che i flussi informativi non siano manipolati da interessi geopolitici esterni. In un’epoca in cui i dati rappresentano una risorsa strategica comparabile alle materie prime del Novecento, il controllo sugli algoritmi equivale a detenere una leva di influenza globale.
Le implicazioni internazionali ed europee
Il caso TikTok non ha effetti limitati agli Stati Uniti: anche l’Unione Europea, già attiva con il Digital Services Act (DSA) e il Digital Markets Act (DMA), si trova infatti di fronte alla necessità di valutare misure analoghe.
Il tema della sovranità digitale europea si intreccia con le dinamiche globali: la capacità di esercitare auditing sugli algoritmi, la tutela della privacy, la resilienza delle infrastrutture critiche. In questo senso, l’accordo USA-Cina su TikTok potrebbe costituire un precedente per ulteriori interventi normativi in ambito UE, soprattutto in relazione alle piattaforme extraeuropee.
Per l’Italia e per il sistema industriale europeo, ciò implica la necessità di una strategia più organica, che consideri le piattaforme sia come operatori economici, che come attori geopolitici.
Questioni etiche e governance globale
La vicenda non è scevra da interrogativi di ordine etico e giuridico, dal momento che l’intervento diretto dello Stato sulla proprietà di un’applicazione digitale segna un superamento della tradizionale distinzione tra regolazione dei contenuti e assetto societario, sollevando il tema del bilanciamento delle esigenze di sicurezza nazionale con i principi di libertà di espressione e neutralità tecnologica.
A livello globale, emerge l’urgenza di una governance condivisa degli algoritmi, basata su standard comuni di trasparenza, auditing e responsabilità. Senza tali strumenti, il rischio è la frammentazione del cyberspazio in blocchi geopolitici, con regole divergenti e incertezza per cittadini e imprese.
I fattori di incertezza dell’accordo
Ci sono vari elementi che suggeriscono che l’accordo, pur probabile, potrebbe slittare o subire modifiche. Ecco i principali:
Le pressioni tariffarie e le condizioni di Pechino
La Cina ha già mostrato in passato disponibilità limitata a concedere condizioni che compromettano il suo potere di influenza, specie se collegati a dazi e misure commerciali imposte unilateralmente dagli USA. In alcuni momenti, questo ha portato a stalli nei negoziati.
Il ruolo instabile di Trump e il carattere politicizzato
Il Presidente Trump ha già prorogato il termine ultimo per il ban di TikTok dal 16 dicembre 2025 a gennaio 2026, concedendo margini di manovra più ampi per la formalizzazione dell’intesa (si tratta della quinta proroga). L’accordo può comunque dipendere da dinamiche interne di Congresso, opposizione, opinione pubblica su algoritmo o controllo dei dati potrebbe.
Approvazione cinese
Qualsiasi accordo che comporti cambi di proprietà o controllo richiede approvazione da parte delle autorità cinesi, che devono considerare non solo l’aspetto commerciale, ma anche la sicurezza nazionale, la politica interna, l’orgoglio nazionale. Le autorità cinesi hanno tuttavia espresso apertura al licensing dell’algoritmo, ma potrebbero imporre condizioni stringenti.
Ci sono comunque buone ragioni per credere che, al netto di ostacoli, qualcosa verrà formalizzato venerdì (o nei giorni immediatamente successivi). I fattori che lo rendono plausibile:
- L’urgenza: gli Stati Uniti hanno forte incentivo a evitare il blocco totale di TikTok.
- L’interesse reciproco a trovare un compromesso: gli USA intendono dimostrare coerenza con la legge (PAFACA) e la Cina preferirebbe senz’altro evitare l’isolamento economico e diplomatico.
- L’esistenza già di un framework e di discussioni avanzate che coinvolgono investitori americani (i.e. Oracle).
Oltre l’accordo: TikTok spartiacque della sovranità tecnologica
L’accordo USA-Cina su TikTok rappresenta un punto di non ritorno nella geopolitica digitale: per Washington, costituisce un passo avanti verso la sovranità tecnologica e la tutela dei dati personali; per Pechino, una concessione in un momento di debolezza industriale; per la comunità internazionale, è un precedente che ridisegna i confini tra mercato, tecnologia e politica.
Pur presentato da Trump come un “accordo fatto”, il framework è ancora in fase di negoziazione e richiederà ulteriori accordi bilaterali per essere formalizzato, incluso il possibile incontro con Xi Jinping al vertice APEC (Asia-Pacific Economic Cooperation, che si terrà nelle prossime settimane). Da parte cinese, ancora oggi, le dichiarazioni sono rimaste caute e parlano di semplice consenso di principio e di accordo ancora in fase di negoziazione. Come osservato anche dal New Yorker, la vicenda mostra come l’accordo su TikTok sia non solo una questione di sicurezza nazionale e sovranità digitale, ma anche uno strumento politico utilizzato dal presidente americano per rafforzare la propria immagine di negoziatore. TikTok diventa un precedente strategico che potrà orientare le scelte future in tema di piattaforme digitali straniere nei mercati occidentali.
Nonostante l’ordine esecutivo del 25 settembre 2025 abbia dato veste ufficiale al framework, lo stesso resta da implementare nelle sue parti più delicate: la gestione dell’algoritmo, il licensing tecnologico e le autorizzazioni da parte delle autorità cinesi. Da Pechino, infatti, continuano a giungere dichiarazioni caute che parlano di consenso di principio ma condizionato a precise garanzie. Come osservato anche dal New Yorker, la vicenda mostra come l’accordo su TikTok sia non solo una questione di sicurezza nazionale e sovranità digitale, ma anche uno strumento politico utilizzato dal presidente americano per rafforzare la propria immagine di negoziatore. TikTok diventa un precedente strategico che potrà orientare le scelte future in tema di piattaforme digitali straniere nei mercati occidentali.
L’Europa, da parte sua, dovrà comunque decidere se limitarsi a recepire logiche statunitensi o proporre un modello alternativo di sovranità digitale fondato su diritti fondamentali e regole comuni.
Il caso TikTok, in ultima analisi è un contenzioso societario, ma soprattutto il simbolo della transizione verso un ordine digitale multipolare, in cui i dati sono sempre di più risorsa strategica e gli algoritmi strumenti di potere geopolitico.