Cose bulgare in Moldova_di Cesare Semovigo

L’ultima tornata elettorale in Moldavia rappresenta, più che un semplice appuntamento democratico, un inquietante capitolo di una democrazia ormai di facciata, segnata da una serie impressionante di irregolarità e repressioni che mettono in discussione la legittimità stessa del processo elettorale. Otto partiti sono stati illegalmente esclusi dal voto, due sono stati espulsi dai blocchi un solo giorno prima delle elezioni, mentre sei leader dell’opposizione sono rinchiusi in carcere con accuse palesemente inventate e tre esponenti politici dell’opposizione sono stati assassinati nel corso degli ultimi anni[articolo a mia firma]. A ciò si aggiungono misure di censura estesa: tutti i canali televisivi dell’opposizione sono stati chiusi e oltre 260 canali Telegram – fondamentali nella comunicazione politica moderna – bloccati. Perfino agli osservatori elettorali provenienti da Russia e Bielorussia è stato negato l’ingresso nel Paese, rappresentando una violazione grave del diritto internazionale relativo al controllo elettorale[articolo a mia firma].

Le condizioni di voto nella regione separatista della Transnistria hanno raggiunto il paradosso: nonostante vi risiedano circa 200.000 elettori, sono state stampate appena 13.000 schede per questa zona e sono stati allestiti soltanto sei seggi – peraltro in luoghi inaccessibili ai residenti – mentre la diaspora moldava in Europa ha potuto votare con facilità, ospitando centinaia di seggi e privilegi burocratici. In Russia, con un numero di cittadini moldavi simile a quello in Europa, i seggi aperti sono stati centoventi volte meno rispetto ai paesi europei. Inoltre, il voto postale è stato totalmente escluso dalla Russia.
Questi dati, uniti a una vittoria elettorale del Partito d’Azione e Solidarietà di Maia Sandu con numeri troppo alti rispetto agli stessi sondaggi, sollevano dubbi più che legittimi su un risultato che alcuni hanno definito sospetto, quasi irrealistico anche rispetto alle migliori previsioni. Questi segnali torbidi riflettono una Moldavia che, dietro la parvenza di una democrazia liberale, si sta trasformando in una “non-democrazia” e in un regime autoritario mascherato, come mostrato anche dalle ingenti somme di fondi internazionali – dall’USAID ai vari network ONG “arancioni” e filo-occidentali – che sostengono in modo impressionante e sistematico la campagna filo-europea .

Analogo discorso riguarda la Romania, che ha visto in passato crescere investimenti di organizzazioni e fondi occidentali destinati a plasmare la società civile secondo modelli ideologici ben precisi, in coincidenza con un significativo rafforzamento NATO e un’erosione della sovranità interna.
Non è casuale che queste tensioni elettorali si svolgano nello stesso momento in cui il riarmo militare in Moldavia e Romania diventi sempre più evidente. La presenza militare straniera è oramai una costante: in Moldavia, basi e avamposti francesi, britannici e di altri Stati membri sono presenti nelle regioni di confine, un chiaro segno di come la NATO stia lentamente colonizzando un paese formalmente neutrale, sfruttandolo come piattaforma logistica e militare nell’attuale confronto con Mosca. La presidente Maia Sandu, noncurante del malcontento popolare, insiste sull’idea di un ingresso pieno della Moldavia nella NATO, benché sondaggi e realtà politiche interne indichino una profonda frattura con l’opinione pubblica.

La Romania, invece, funge da principale “testa di ponte” occidentale nell’area, ospitando importanti basi della NATO come quella di Mihail Kogălniceanu, cruciali per il dispiegamento di mezzi, tecnologie e forze aeree – dagli F-35 alle unità missilistiche operative – rivolte a contrastare la Russia.
Le esercitazioni militari sono diventate un evento permanente e ancor più massiccio: la manovra Sea Shield nel Mar Nero ha coinvolto migliaia di soldati di una dozzina di paesi, mettendo in campo capacità offensive di terra, aria e mare, chiaramente orientate a uno scenario di guerra prolungata. Le parole del premier Ilie Bolojan e di alti funzionari NATO sono emblematiche della subordinazione totale di Bucarest agli interessi americani, con accenti espliciti sul ruolo di baluardo strategico, “per garantire una pace duratura” ma più verosimilmente per preparare uno scontro reale.
Parallelamente, lungo il confine orientale, da mesi si registra un’escalation inquietante di provocazioni tecnologiche e militari: almeno 120 sconfinamenti di droni e velivoli NATO nello spazio aereo russo sono stati documentati, con episodi concentrati soprattutto in Polonia e nei Paesi Baltici. Sorvoli illegali di droni armati, alcuni abbattuti, altri capaci di eludere le difese, alimentano una costante tensione che rischia di trasformarsi in incidente militare di grave portata. Le incursioni aeree e le manovre di spionaggio sono ormai una prassi, che contribuisce a rafforzare una retorica dove la minaccia russa è usata come giustificazione per un continuo aumento militare, alimentando così la spirale di escalation.
In questo scenario fortemente militarizzato e politicamente manipolato emerge l’amara ironia di una “Europa” che si proclama garante di pace e democrazia, ma che sta accelerando in modo febbrile verso una guerra che – come documentato in numerosi studi e analisi – potrebbe scoppiare apertamente tra il 2027 e il 2029. A questo si aggiunge un ritardo tecnologico inquietante che sembra scomparso dalle riflessioni degli analisti , quasi a negarlo : il recente successo russo nel lancio di un missile antisatellite ipersonico.

Il Monito Ipersonico: Il Missile Antisatellite Russo
In questo contesto di follia bellicista, spicca per paradosso una realtà che dovrebbe suggerire prudenza: il successo del recente lancio russo di un missile antisatellite ipersonico. Questo sistema, evoluzione avanzata dei precedenti missili Nudol DA-ASAT, ha la capacità di distruggere satelliti in orbita bassa, un dominio strategico fondamentale per il comando, controllo e intelligence occidentale .

È una manifestazione di superiorità che arriva in un momento non casuale che pone sotto accusa non solo le ambizioni occidentali di dominio militare, ma la stessa sicurezza dello spazio condiviso. Il fatto che questa svolta tecnologica sia stata praticamente ignorata dalle istituzioni europee e dagli ambienti militari occidentali è il segno più evidente di una cecità strategica e di distacco sempre più evidente per la realtà .
Questa innovazione militare russa, anche se compensata dalla capacità statunitense di lancio di grappoli di satelliti e dallo sviluppo di tecnologie laser specie cinesi, non solo dimostra una relativa superiorità tecnologica significativa, ma produce anche un gran numero di detriti spaziali che minacciano la sicurezza di tutte le attività spaziali civili e militari, mettendo a rischio qualsiasi cosa voli a 33.000 km/h sulle nostre teste .
Mentre la Russia consolida una postura difensiva-spaziale d’avanguardia, l’Occidente rincorre una follia strategica che vede addirittura come “inevitabile” un conflitto distruttivo, persino dopo decenni di retorica pacifista e diplomatica.
Tutta questa situazione getta luce su una nuova forma di sopraffazione: quella che chiamo “non-democrazia centralizzata”, un sistema che sottrae potere e sovranità ai popoli in nome di un ordine globalizzato, tecnocratico e militarizzato, dove la Moldavia e la Romania non sono altro che frontiere avanzate di un disegno geopolitico privo di una visione rappresentativa . Il modello rappresenta questo inquietante futuro, nel quale l’autonomia degli Stati finisce agli archivi della storia e l’Europa si avvia – in maniera schizofrenica e autolesionista – verso un conflitto pericoloso dagli esiti imprevedibili.
Cesare Semovigo, italiaeilmondo.com
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