La vecchia Europa si riscopre Bambina_di Cesare Semovigo

La vecchia Europa si riscopre Bambina
Dai dazi al D.S.A : Chiagni e Fotti
Nel momento di massima frizione tra Stati Uniti ed Europa la narrazione pubblica, oggi dominata da commentatori impulsivi e scarso rigore tecnico, rischia di perdere di vista le vere linee di tensione sistemica che plasmano il continente.
L’accordo commerciale, letto fuori dalle distorsioni emotive e identitarie, mostra una Vecchia Europa che, sotto pressione, riscopre la propria vulnerabilità: non più matrona autorevole ma, complice la miopia gestionale degli ultimi anni, quasi “bambina”, costretta a trattare da posizione di scarsa forza negoziale.
In questo quadro, la strutturazione di dazi reali e nominali segnala il ritorno della politica industriale e della sicurezza strategica: tariffe apparentemente alte mascherano un riequilibrio spesso già consolidato sui settori “golden power”, e il vero tema non è la capitolazione ma la maturazione, la necessità di un’Europa finalmente adulta e responsabile verso i propri cittadini invece che verso le suggestioni del momento.
Questa crisi di consapevolezza si amplifica nel digitale. L’introduzione e la rapida enforcement del Digital Services Act, presentato come scudo democratico dall’Unione ma aspramente criticato dagli USA già dalla “bacchettata” di J.d Vance a Monaco e ora additato dal Congresso come minaccia “censoria della libertà di espressione “ rafforza la dissonanza tra i due blocchi.
La posta in gioco è la capacità di uscire dal frame della “resa per manifesta inferiorità ” e dell’autoreferenzialità emotiva .
Questo è oggi il vero salto di soglia per guidare le policy senza subirle per strumentalizzarle in seguito per politica interna e cabotaggio del dualismo aleatorio dell’alternanza democratico .
L’accordo appena raggiunto, con dazio base fissato al 15% (e non all’abolizione promessa sui media) e fortissimi impegni in campo energetico e negli investimenti, mette l’UE di fronte alla necessità di uscire da un infantilismo gestionale e abbracciare una postura adulta: negoziare in modo trasparente, valutare le conseguenze reali e difendere gli interessi comuni senza cadere nelle trance mediatiche del mantra suprematista censoreo o o nelle indignazioni per la pancia del pueblo .
In questo quadro, etichette come “capitolazione” o “resa” riflettono la vecchia tendenza europea all’autocommiserazione o alla ricerca di colpe esterne, più che un’analisi strutturale dell’intesa e dei propri evidenti deficit sistemici : gran parte delle tariffe zero sono già frutto di precedenti assetti e molti settori golden power restano protetti da vincoli normativi e non solo fiscali.
La responsabilità vera ora è cogliere la crisi come occasione di passaggio di soglia: l’Europa dovrà imparare ad agire come soggetto consapevole e attivo, sviluppando la capacità di valutazione autonoma e la leadership tecnica necessaria per navigare una realtà geopolitica sempre meno protetta da automatismi atlantici garantiti all’infinito e sempre più esposta a scelte avanzate , razionali solo producendo una classe dirigente neomedicea potremmo salvarci . Ma ovviamente non succederà .
I dazi UE verso l’export strategico USA su settori strategici sono già oggi generalmente bassi o nulli, salvo casi particolari.
La narrativa della “concessione” europea ignora che molte di queste condizioni erano già in essere e che il vero impianto dell’accordo riguarda equilibri di governance e sicurezza nazionale, non solo mera fiscalità sugli scambi .
Dal ragionamento prettamente orientato alla concertazione e al controllo digitale escludiamo il tasto NATO e Riarmo Europeo affrontandolo in seguito .
Molti media e commentatori trascurano il fatto che, negli accordi tariffari USA-UE, per vari settori strategici (aerospazio, farmaceutica, high-tech, materie prime) i dazi sono già allo zero reciproco da tempo, e che l’intesa attuale si limita ad allineare formalmente le regole.
La stessa Meloni , se parliamo del Bel Paese , rilascia dichiarazioni al limite della Stand Up Comedy :
“Bene così ma devo ancora studiare i dettagli “
Delega distratta insomma .
Fatti oggettivi (fonti ufficiali)
• L’accordo Usa-Ue appena annunciato prevede una tariffa base del 15% sui dazi applicati agli scambi reciproci.
• L’UE si impegna ad investire 600 miliardi di dollari negli Stati Uniti e ad acquistare 150 miliardi in energia e armi statunitensi.
• Per acciaio e alluminio i dazi restano al 50%; Trump dichiara che «per queste materie non cambierà nulla»
• Trump e von der Leyen hanno definito l’intesa «il più grande accordo mai raggiunto» e auspicano che porti “stabilità, unità e amicizia”
Sul nuovo accordo USA-UE, la narrativa dominante parla di una grande “concessione” europea sulle tariffe, ma si dimentica spesso di chiarire che molte di queste tariffe “a zero” derivano dal fatto che gli USA già applicano condizioni simili per determinati prodotti oppure che si è raggiunto un equilibrio reciproco su alcuni settori strategici.
Ecco cosa dicono i dati tratti dai documenti ufficiali :
• L’accordo prevede una tariffa base al 15% sulla maggior parte delle merci, ma “dazi zero per zero” su alcuni prodotti strategici:
• Aeromobili e componenti, prodotti chimici, alcuni farmaci generici, apparecchiature per semiconduttori, agroalimentare selezionato, risorse naturali e materie prime essenziali sono esclusi da dazi e vengono scambiati a tariffa zero.
• La questione della reciprocità tariffaria:
• Le dichiarazioni ufficiali riportano esplicitamente che sui prodotti “strategici” l’accordo è di reciprocità: “zero per zero” significa che gli USA già da tempo applicano tariffe zero su questi beni e, ora, anche l’UE viene allineata in piena reciprocità.
• Negli altri settori, il 15% di dazio equivale a una media più bassa sia rispetto alle minacce massime annunciate dagli Stati Uniti (che parlavano anche di 30% e oltre), sia rispetto alle tariffe Usa su altri partner commerciali.
• Nella comunicazione pubblica questo dettaglio viene spesso omesso: Lo storytelling politico e mediatico tende a enfatizzare l’attesa “concessione” europea e il rischio di “capitolazione”, trascurando la realtà tecnica che per i settori più dinamici e hi-tech la prassi dello “zero reciproco” era in gran parte già consolidata negli USA.
• Von der Leyen lo afferma, ma il messaggio non passa:
• La presidente UE lo ha detto chiaramente in conferenza stampa, ma il dettaglio finisce spesso “in nota”, con la conseguenza che la pubblica opinione e gran parte della stampa enfatizzano solo l’aspetto del sacrificio europeo.
La narrativa distaccata dall’oggettività
È particolarmente istruttivo il modo in cui, soprattutto tra i media progressisti e liberali europei , si tende ad addossare la responsabilità per le nuove forme di censura, moderazione forzata e controllo digitale a X o a figure iconiche come Pavel Durov, raffigurandoli come “maestri delle chiavi” del populismo Maga o surfers del web filo russi .
In realtà, la documentazione recente dimostra con nettezza che il baricentro del controllo – almeno sul versante europeo – oggi risiede negli apparati normativi e nelle spinte regolatorie dell’Unione Europea, non nel mero arbitrio delle piattaforme private della Terza Roma o dei CEO-cowboy della Silicon Valley.
Il caso Telegram e l’arresto di Durov in Francia esprimono questa crisalide demenziale che non diventerà mai farfalla : qui non è tanto la big tech a imporsi sulla libertà d’espressione, quanto la pressione crescente dei governi nazionali e, soprattutto, di Bruxelles, che attraverso normative come Chat Control, DSA ed estensione delle responsabilità dei provider pretende che le piattaforme si adeguino a richieste sempre più prescrittive di sorveglianza e collaborazione investigativa.
Paradossalmente, Durov viene accusato proprio di troppa resistenza agli automatismi censorî, difendendo la privacy criptografica contro gli ordini di Stato sia in Russia che in Occidente.
È dunque fuorviante imputare alle big tech statunitensi l’origine del “nuovo ordine censorio” in Europa: è lo stesso legislatore comunitario, nel tentativo (più o meno dichiarato) di controllare i flussi informativi e tutelare la sicurezza nazionale, a introdurre obblighi che ribaltano la narrativa di Silicon Valley come unico arbitro del discorso digitale. I fatti mostrano che il censore europeo oggi agisce, spesso con efficacia superiore a quello americano, introducendo logiche di controllo centralizzato e responsabilità penale dei provider, mentre i CEO delle piattaforme si ritrovano spesso sulla difensiva – quando non proprio perseguiti per resistenza.
In questa fase storica, la retorica dell’“élite tecnocratica californiana” serve più da specchio dell’esercizio duale entropico come attivatore delle paure , che non da reale descrittore dei rapporti di forza nella regolazione concreta della libera espressione digitale.

L’esempio perfetto : Calenda su X dazi Ue – Usa
“Quello presentato da #Trump non è un accordo ma una capitolazione dell’Europa. Tariffe a zero vs 15% e acquisti di energia per 750 mld e armi a piacere, più 600 miliardi di investimenti europei in USA. Stasera mi vergogno di essere europeo. La #vonderLeyen ha fatto la figura della scolaretta e dovrebbe essere mandata via seduta stante.”
Un esempio perfetto di quello che dicevamo: quando il discorso pubblico si affida a tweet e dichiarazioni estemporanee, si crea un mix di informazioni fattuali, giudizi emotivi e slogan che rende più difficile la valutazione obiettiva del quadro complessivo.
Cesare Semovigo
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