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Crisi strategica dell’Europa: può sopravvivere senza gli Stati Uniti?_Di Paulo Aguiar

Crisi strategica dell’Europa: può sopravvivere senza gli Stati Uniti?

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Scopri come il futuro della sicurezza dell’Europa sia in bilico mentre il sostegno degli Stati Uniti si affievolisce, esponendo profonde faglie geopolitiche, lacune militari e incertezza strategica.21 maggio 2025


Illustrazione digitale panoramica di una mappa dell'Europa in rovina sospesa su una superficie di cemento fratturata, a simboleggiare l'instabilità geopolitica. Una bandiera americana solitaria svetta salda su una piattaforma separata e intatta sotto un cielo tempestoso, rappresentando visivamente la dipendenza strategica dell'Europa dagli Stati Uniti. Il frammentato continente europeo sembra disintegrarsi nel vuoto, evidenziando i temi dell'alleanza transatlantica, della crisi della sicurezza occidentale e della vulnerabilità politica europea senza il supporto degli Stati Uniti.

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Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale nel 1945, l’Europa occidentale ha funzionato meno come un’entità geopolitica sovrana e più come un’estensione spaziale degli imperativi strategici americani. Questo assetto non è stato forgiato attraverso un partenariato egualitario o una parentela ideologica, ma piuttosto attraverso un deliberato atto di contenimento egemonico. Gli Stati Uniti, agendo in linea con la loro grande strategia di impedire l’ascesa di una potenza dominante sul continente eurasiatico, hanno costruito una rete di accordi di sicurezza, in particolare la NATO, che ha portato l’Europa occidentale sotto la loro influenza militare e politica. Questo sistema ha funzionato per pacificare una regione storicamente instabile, la cui frammentazione politica e le rivalità di potere erano state, per secoli, fonte di conflitti continentali e globali.

La “pace” del dopoguerra celebrata da molti fu, in realtà, il risultato meno di un’illuminazione morale o di un’armonia istituzionale, quanto piuttosto di un’ingegneria geopolitica americana. Attraverso la loro presenza come bilanciatore offshore, gli Stati Uniti mantennero la stabilità non risolvendo le rivalità endemiche dell’Europa, ma neutralizzandole attraverso una superiore potenza militare e un predominio economico. La NATO fu l’espressione istituzionale di questo accordo, fungendo da ombrello di sicurezza sotto il quale gli stati europei sospesero i loro tradizionali comportamenti competitivi. Tuttavia, mentre gli Stati Uniti iniziano a ricalibrare le proprie priorità, allontanandole dall’Europa e puntando a contrastare l’ascesa della Cina nell’Indo-Pacifico, la durata di questo ordine a guida americana è sempre più messa in discussione.


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L’idea che la zona euro-atlantica possa tornare al suo stato storico (un panorama frammentato di nazioni reciprocamente diffidenti e strategicamente autonome) viene spesso liquidata nel discorso liberale come impensabile o regressiva. Eppure, nel quadro del realismo classico, questo risultato appare non solo plausibile, ma probabile. La coerenza geopolitica dell’Europa non è mai stata il prodotto di un consenso interno, ma piuttosto di un equilibrio imposto. La garanzia di sicurezza degli Stati Uniti non è stata un atto disinteressato di tutela internazionale, ma uno sforzo calcolato per impedire la dominazione sovietica del continente. Con la scomparsa di quella minaccia e l’emergere della Cina come principale concorrente strategico, l’interesse di Washington a garantire la sicurezza europea è naturalmente diminuito.

Nonostante questo cambiamento strategico, molti leader politici europei continuano a invocare un linguaggio di valori condivisi, identità collettiva e governance multilaterale, come se questi costrutti retorici possedessero una forza causale indipendente. Ma l’invasione russa dell’Ucraina nel 2022 ha infranto questa illusione. Ha messo a nudo la struttura repressa del contesto di sicurezza europeo, rivelando un panorama ancora governato dalla logica di potere, territorio e capacità militare. In seguito, la Polonia si è procurata carri armati statunitensi , la Germania ha annunciato una Zeitenwende (punto di svolta) volta a rivitalizzare le sue forze armate e Finlandia e Svezia, storicamente neutrali, hanno cercato di aderire alla NATO . Queste mosse segnalano il riconoscimento che l’assenza di hard power favorisce l’instabilità e che il mantenimento della pace dipende da una deterrenza tangibile, non dal sentimento istituzionale.

Tuttavia, questi sforzi, seppur notevoli, rimangono in gran parte reattivi e frammentati. Il riarmo dell’Europa manca della coerenza strategica necessaria per trasformare la capacità in potenza. La Germania, nonostante la sua ricchezza e la sua posizione centrale, rimane ostacolata dalla cautela politica dall’ortodossia fiscale dall’avversione culturale all’assertività militare. La Francia mantiene un arsenale nucleare, ma lo fa in un quadro nazionale, non continentale. Nel frattempo, i paesi sul fianco orientale della NATO, in particolare gli Stati baltici e la Polonia, danno priorità agli accordi di difesa bilaterali con gli Stati Uniti rispetto alla governance collettiva della sicurezza europea. Questa frammentazione sottolinea un’intuizione realista fondamentale: le alleanze sono durature solo quando gli Stati membri percepiscono minacce congruenti e interessi strategici condivisi. Mentre l’impegno americano vacilla, le divisioni latenti tra gli Stati europei vengono alla luce.


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Il realismo ci obbliga a considerare il comportamento degli Stati attraverso la lente dei vincoli strutturali, ovvero la geografia, la capacità di penetrazione materiale e la natura anarchica del sistema internazionale. La persistente ansia nell’Europa settentrionale e orientale per una potenziale aggressione russa non è una reazione emotiva, ma una risposta strategica razionale. La semplice possibilità di un’incursione, in particolare nel vulnerabile valico di Suwalki o nei Paesi Baltici, genera un comportamento difensivo. La paura strategica, nella teoria realista, non è solo valida; è funzionale. Promuove gli armamenti, incoraggia il consolidamento delle alleanze e sostiene la coesione politica in condizioni di minaccia.

Tuttavia, emerge una domanda più profonda: la Russia è ancora il fulcro delle preoccupazioni strategiche europee o è diventata un attore secondario in una più ampia trasformazione eurasiatica dominata dalla Cina? Vi sono sempre più prove che l’allineamento strategico a lungo termine della Russia si stia spostando verso est. I suoi territori ricchi di risorse in Siberia e la sua frontiera artica potrebbero presto fungere da estensioni logistiche della Belt and Road Initiative cinese e di una più ampia espansione geoeconomica. Se questa tendenza continua, la Russia potrebbe diventare meno una grande potenza autonoma e più un fornitore di risorse e un partner minore in un ordine geopolitico incentrato sulla Cina. Quello che appare come un dilemma di sicurezza europeo potrebbe invece essere il sintomo di una più ampia riorganizzazione dello spazio eurasiatico in cui l’Europa non è più centrale.

Questo equilibrio mutevole si interseca con un altro vincolo critico: la demografia. L’ aumento dell’età media in tutta l’Europa occidentale rappresenta una limitazione fondamentale alla prontezza militare e alla credibilità strategica. Le forze armate moderne richiedono non solo tecnologie sofisticate, ma anche personale fisicamente capace e ideologicamente motivato. Nelle società in cui l’età media si avvicina o supera i 45 anni , dove i tassi di natalità sono in calo e dove l’aspettativa culturale di pace è profondamente radicata, la capacità di mobilitazione per una guerra ad alta intensità è gravemente compromessa. Tecnologie militari avanzate come droni e strumenti informatici non possono sostituire l’elemento umano in conflitti territoriali prolungati.


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La questione strategica non è quindi se gli Stati Uniti ridurranno il loro impegno in Europa. Lo stanno già facendo . La vera domanda è se l’Europa riuscirà ad adattarsi a questo nuovo contesto. Senza la garanzia di sicurezza americana, gli Stati europei devono fare i conti con un ritorno a un contesto strategico multipolare caratterizzato da competizione, incertezza e dal rischio sempre presente di escalation. Ciò richiede una riscoperta dei fondamenti della politica di potenza: la capacità di dissuadere, costringere e, se necessario, combattere. Richiede inoltre un riesame della premessa secondo cui istituzioni multilaterali e norme liberali possono sostituire la solida impalcatura della forza militare.

Il recente monito di J.D. Vance a Monaco (secondo cui il vero pericolo per l’Europa non risiede negli avversari stranieri, ma nella disunità interna) dovrebbe essere interpretato in quest’ottica. La sua affermazione riflette una preoccupazione tipicamente realista. Senza un equilibratore esterno, l’Europa regredirà alla frammentazione e alla rivalità che hanno caratterizzato la sua storia prima del 1945. Non si tratta di allarmismo; è un’osservazione storicamente fondata. L’ordine liberale del dopoguerra non ha eliminato la concorrenza. L’ha repressa attraverso la schiacciante potenza americana. Con il venir meno di quella forza repressiva, la struttura sottostante si riafferma.


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Visto attraverso la lente realista, il momento presente non è un’aberrazione, ma un ritorno alla forma. Nella politica internazionale, il potere definisce i confini esterni dell’azione e l’interesse detta la logica interna. La geografia plasma la percezione della minaccia; la demografia limita il potenziale militare; e le promesse istituzionali valgono poco senza la capacità materiale di sostenerle. La visione liberale di un’Europa pacificata e vincolata da regole e norme è sempre stata subordinata a un fondamento geopolitico posto dal primato americano.

L’Europa oggi non si trova sull’orlo del fallimento morale, ma sulla soglia di una resa dei conti strategica. L’ordine post-1945 è stato un interludio storicamente unico, non una condizione irreversibile. La sua continuazione richiede più che rituali affermazioni di unità. Richiede la valuta forte del potere. Dove la forza si ritira, l’ambizione rivive, sia essa mascherata da ideologia, nazionalismo o opportunismo. La vera questione che l’Europa si trova ad affrontare non è se riuscirà a rimanere pacifica, ma se riuscirà a tornare strategicamente competente.