IL DOMINIO MARITTIMO AMERICANO GEOPOLITICA, INDUSTRIA E NUOVI EQUILIBRI GLOBALI_di Alberto Cossu

IL DOMINIO MARITTIMO AMERICANO GEOPOLITICA, INDUSTRIA E NUOVI EQUILIBRI GLOBALI

Alberto Cossu

Visione e tendenze globaliIl recente ordine esecutivo firmato dal Presidente Donald J. Trump, intitolato “Restoring America’s Maritime Dominance”, non è solo un atto di politica industriale interna. È un segnale potente, una dichiarazione di intenti con profonde ramificazioni geopolitiche, che mira a ridefinire gli equilibri del potere marittimo globale, a contrastare l’ascesa della Cina e a rinvigorire un settore strategico americano caduto in declino. L’onda d’urto di questa iniziativa si propaga ben oltre le coste statunitensi, toccando alleati storici come l’Italia – con il suo campione nazionale Fincantieri direttamente coinvolto nel tessuto industriale americano – e intersecandosi con le ambiziose strategie di nuovi attori globali, come l’Arabia Saudita nel suo tentativo di diventare un hub logistico globale. L’analisi di questo PO richiede quindi una lente geopolitica ampia, in grado di cogliere le interconnessioni tra sicurezza nazionale, competizione economica e spostamento delle alleanze nel XXI secolo.Declino americano e ascesa cinese nel dominio marittimoPer comprendere la portata della EO di Trump, è fondamentale partire dal contesto storico e strategico. Gli Stati Uniti, usciti dalla Seconda guerra mondiale come indiscussa potenza marittima globale sia in termini commerciali che militari, hanno visto progressivamente erodere la propria base industriale navale negli ultimi decenni. Le cause sono molteplici e complesse: gli alti costi di produzione interni rispetto ai concorrenti asiatici, il consolidamento dell’industria navale in pochi grandi operatori focalizzati principalmente sul settore della difesa, un mutato quadro di priorità strategiche dopo fine della Guerra Fredda e una concorrenza internazionale sempre più agguerrita in grado di offrire prezzi più bassi e tempi di consegna più rapidi.

Le statistiche citate dalla stessa amministrazione Trump sono eloquenti: si stima oggi gli Stati Uniti costruiscano meno dell’1% delle navi commerciali globali, rispetto alla Cina che domina mercato con quote superiori al 50-60% (e un dominio quasi totale in segmenti come i container o le gru portuali).Parallelamente a questo relativo declino americano, la Repubblica Popolare Cinese ha orchestrato una crescita esponenziale nel settore marittimo, diventando il “cantiere navale” del mondo. Questa supremazia non è solo commerciale, ma ha profonde implicazioni strategiche. Pechino ha utilizzato la sua capacità di costruzione navale per modernizzare ed espandere rapidamente la sua Marina Militare (PLAN), che ora supera quella statunitense per numero di unità, alterando l’equilibrio militare nell’Indo-Pacifico. Inoltre, attraverso iniziative come la Belt and Road Initiative (BRI), la Cina ha investito massicciamente in infrastrutture portuali in tutto il mondo, estendendo la propria influenza lungo rotte commerciali vitali. Il controllo sulla cantieristica, sui porti e sulla logistica conferisce a Pechino una formidabile influenza geopolitica ed economica, percepita a Washington come una minaccia diretta alla sicurezza nazionale e alla prosperità economica americana. La dipendenza dalle catene di approvvigionamento dominate dalla Cina, soprattutto per i beni critici e i componenti industriali, è considerata una vulnerabilità strategica inaccettabile.

Sezionare l’ordine esecutivo: Ambizioni e strumenti

L’EO “Restoring America’s Maritime Dominance” si presenta come una risposta diretta e ambiziosa a questa minaccia percepita. Non si tratta di una singola misura, ma di un quadro strategico che mobilita l’intero apparato governativo (“approccio whole-of-government”) verso un obiettivo comune: la rivitalizzazione dell’industria marittima statunitense in tutte le sue componenti (cantieristica commerciale e militare, riparazioni, catene di approvvigionamento, porti, forza lavoro).

I principali pilastri dell’ordine comprendono:

• Piano d’azione marittimo (MAP): Entro 210 giorni, il Consigliere per la sicurezza nazionale devepresentare un piano d’azione dettagliato, coordinando gli sforzi di numerosi dipartimenti (Difesa,Commercio, Trasporti, Lavoro, Sicurezza interna). Questo piano deve delineare strategie specificheper raggiungere una “resilienza sostenuta” nel settore.

• Investimenti e incentivi: Il ME prevede creazione di un “Fondo fiduciario per la sicurezza marittima”per garantire finanziamenti stabili e prevedibili, superando l’incertezza dei cicli annuali di bilancio.Viene inoltre istituito un programma di incentivi finanziari per stimolare gli investimenti privati nellacantieristica nazionale. È previsto un ampio uso delle autorità fornite dal titolo III del DefenseProduction Act (DPA) per gli investimenti diretti e per catalizzare il capitale privato verso i cantierinavali, i fornitori e le infrastrutture portuali. Anche l’Ufficio del capitale strategico del Pentagono èchiamato a contribuire.

• Contrastare la concorrenza cinese: L’ordine incarica il Rappresentante per il Commercio degli StatiUniti (USTR) di portare a termine le indagini sulle pratiche commerciali cinesi ritenute sleali e anticoncorrenziali nel settore marittimo (sussidi, dumping) e di attuare le contromisure. Queste potrebberoincludere tariffe significative sulle navi costruite in Cina o battenti bandiera cinese che fanno scalo neiporti statunitensi, nonché dazi su gru portuali e altre attrezzature di origine cinese. Sono previste anchemisure per contrastare l’evasione tariffaria attraverso i porti canadesi o messicani.

• Sviluppo della forza lavoro: Riconoscendo la grave carenza di manodopera qualificata come unostacolo critico, la PO pone l’accento sulla formazione. Sono previsti investimenti per modernizzarel’Accademia della Marina Mercantile degli Stati Uniti e programmi per espandere le opportunità diformazione e apprendistato nel settore marittimo.

• Impegno degli alleati e “zone di prosperità marittima”: Nonostante la forte enfasi sull'”AmericaFirst”, il ME riconosce implicitamente la necessità di competenze e capitali esterni, chiedendomeccanismi per incentivare gli investimenti delle “nazioni alleate” nei cantieri navali e nelle comunitàcostiere statunitensi. Si ipotizza la creazione di “zone di prosperità marittima” con agevolazioni fiscalie normative per attrarre tali investimenti.

• Rafforzamento delle flotte commerciali e militari: L’ordine mira ad aumentare il numero di navicommerciali battenti bandiera statunitense nel commercio internazionale e nazionale (potenzialmenterafforzando il Jones Act) e a garantire un’adeguata flotta di riserva inattiva per le esigenze militari intempi di crisi.L’ambizione è enorme: invertire decenni di tendenze industriali e riconquistare una posizione di leadership globale. Le sfide sono altrettanto grandi: la necessità di finanziamenti ingenti e sostenuti nel , difficoltà di ricostruire catene di fornitura complesse e di formare rapidamente una forza lavoro specializzata, i tempi di consegna intrinsecamente lunghi della costruzione navale e la possibile reazione dei concorrenti internazionali.

Fincantieri e l’Italia: Un alleato strategico nelle acque americane

In questo scenario, la posizione dell’Italia e del suo campione nazionale Fincantieri assume particolare importanza. Fincantieri non è solo uno dei maggiori costruttori navali al mondo, ma è anche un attore profondamente radicato nel panorama industriale della difesa statunitense attraverso la sua filiale Fincantieri Marinette Marine (FMM) nel Wisconsin. Il ruolo di FMM è diventato cruciale per la Marina statunitense. Dopo lesperienza con le Littoral Combat Ships (LCS), FMM si è aggiudicata nel 2020 il prestigioso contratto per progettazione e la costruzione delle nuove fregate a missili guidati della classe Constellation (FFG-62), basate sulla piattaforma italo-francese FREMM. Questo programma è considerato vitale per il futuro della flotta di superficie americana e rappresenta un enorme successo tecnologico e industriale per Fincantieri, che una testimonianza della fiducia accordatale dall’alleato americano.L’EO “Restoring America’s Maritime Dominance” presenta un quadro complesso di opportunità e sfide per Fincantieri e l’Italia:

• Opportunità: L’enfasi sulla crescita della flotta militare e sulla rivitalizzazione della base industrialepotrebbe tradursi in ulteriori ordini o nellaccelerazione di programmi già esistenti, gli FFG.62. La richiesta di investimenti da parte degli “alleati” potrebbe favorire Fincantieri, data la suapresenza consolidata e le sue comprovate capacità. L’azienda potrebbe beneficiare di incentivi e fondimessi a disposizione per espandere la propria capacità produttiva negli Stati Uniti o per migliorareinfrastrutture dei propri cantieri americani (oltre a Marinette, Fincantieri possiede anche BayShipbuilding e altri impianti). Potrebbe esserci spazio anche nel settore delle riparazioni navali o inspecifici segmenti commerciali, se il PO riuscirà a stimolare anche questa parte dell’industria.

• Sfide e rischi: La retorica “America First” potrebbe, nonostante le aperture nei confronti degli alleati,tradursi in pressioni per aumentare ulteriormente il contenuto “americano” della produzione, limitandopotenzialmente l’apporto tecnologico dall’Italia o complicando la gestione delle catene di fornituraglobali del gruppo. La concorrenza di altri alleati con forti capacità cantieristiche (Corea del Sud,Giappone, Spagna) potrebbe intensificarsi per cogliere le opportunità offerte dal mercato statunitense.La navigazione nel complesso panorama politico, normativo e lavorativo americano richiederà unacontinua attenzione e abilità diplomatica. Sarà fondamentale per l’Italia, come sistema nazionale,supportare Fincantieri nel cogliere le opportunità e mitigare i rischi, mantenendo un costante dialogostrategico con Washington.Per l’Italia, la partecipazione di Fincantieri sforzo di ricostruzione marittima americano rappresenta un importante asset geopolitico. Consolida l’alleanza strategica con gli Stati Uniti in un settore chiave, garantisce l’accesso a programmi tecnologicamente avanzati e offre ritorni economici e occupazionali. Tuttavia, richiede anche un’attenta gestione per bilanciare gli interessi nazionali con quelli dell’alleato e con il posizionamento dell’Italia nel più ampio contesto europeo e mediterraneo.L’Arabia Saudita e la corsa per diventare un hub logistico globaleMentre gli Stati Uniti cercano di “ripristinare” il loro dominio marittimo, un altro attore sta emergendo con ambizioni di trasformazione nel settore: L’Arabia Saudita. Nell’ambito della sua “Visione 2030”, Riyadh sta investendo decine, se non centinaia, di miliardi di dollari per diversificare la sua economia dipendente dal petrolio e posizionarsi come hub logistico, commerciale e turistico globale, sfruttando la sua posizione strategica tra Asia, Europa e Africa.

Il settore marittimo è centrale in questa strategia:

• Sviluppo portuale: Sono in corso ingenti investimenti per espandere e modernizzare i porti sauditi, inparticolare sulla costa del Mar Rosso. Il King Abdullah Port (KAP) mira a diventare uno dei diecimaggiori porti container del mondo. Il porto islamico di Gedda sta subendo un’importante revisione. Ilfuturistico progetto NEOM comprende Oxagon, una città industriale galleggiante concepita comeporto e centro logistico di nuova generazione.• Costruzioni e riparazioni navali: Attraverso la joint International Maritime Industries (IMI) – checoinvolge Saudi Aramco, Bahri (la compagnia di navigazione nazionale saudita), Lamprell e HyundaiHeavy Industries (un gigante sudcoreano) – l’Arabia Saudita sta costruendo uno dei più grandiimpianti di costruzione navale e offshore del mondo nel complesso di Ras Al-Khair. Sarà in grado dicostruire VLCC (Very Large Crude Carriers), piattaforme offshore e altre navi, oltre fornire servizi diriparazione.• Creare un ecosistema logistico: L’obiettivo è integrare porti, zone economiche speciali, retiferroviarie e aeroporti per offrire soluzioni logistiche end-to-end e attrarre traffico marittimo einvestimenti internazionali.Le implicazioni geopolitiche di questa spinta saudita sono significative. Se Riyadh riuscisse nel suo intento, potrebbe modificare le rotte commerciali globali, sfidando hub consolidati come Dubai (Jebel Ali) negli Emirati Arabi Uniti. La sua posizione sul Mar Rosso, un’arteria marittima vitale ma anche instabile (come dimostrano i recenti attacchi degli Houthi), la rende un attore chiave per la sicurezza marittima regionale e globale. Il successo saudita potrebbe dare impulso a nuovi corridoi commerciali, come il Corridoio IndiaMedio Oriente-Europa (IMEC), concepito anche come alternativa alla BRI cinese.Come si interseca l’ambizione saudita con il PO americano? In apparenza, si tratta di dinamiche parallele. Gli Stati Uniti cercano di rafforzare propria base industriale e la sicurezza delle proprie catene di approvvigionamento, in parte reazione alle vulnerabilità globali. L’Arabia Saudita cerca diventare un nodo cruciale di queste catene di approvvigionamento globali. Tuttavia, ci sono punti di contatto:• Sicurezza marittima: Una Marina statunitense più forte e più presente, un obiettivo implicito del PO,è rilevante per la sicurezza delle rotte del Mar Rosso, cruciali per le ambizioni saudite. Esiste unpotenziale per una maggiore cooperazione tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla sicurezza marittimaregionale, nonostante la complessità delle loro relazioni bilaterali.

• Competizione/Cooperazione tecnologica: Sia gli Stati Uniti che l’Arabia Saudita (con partner comeHyundai) stanno investendo in tecnologie navali e portuali avanzate. La concorrenza o lacollaborazione potrebbero emergere in settori come l’automazione portuale, la decarbonizzazionemarittima o la sicurezza informatica delle infrastrutture critiche.

• Riorientamento della catena di approvvigionamento: Se il PO americano stimolerà un significativoreshoring o “friend shoring”, ciò potrebbe influenzare i flussi commerciali globali che l’Arabia Sauditaspera di intercettare. D’altra parte, un hub logistico efficiente e sicuro in Medio Oriente potrebbeessere visto positivamente da Washington come un’alternativa alla dipendenza da altre regioni. In sintesi, mentre l’America si concentra sulla ricostruzione interna, l’Arabia Saudita si proietta come nuovo centro di gravità logistica globale: due movimenti tettonici che insieme contribuiscono a ridisegnare la mappa marittima del mondo.

Le onde lunghe della nuova geopolitica marittima

L’ordine esecutivo “Restoring America’s Maritime Dominance” è molto più un piano industriale. È una scommessa geopolitica di vasta portata, tentativo di invertire decenni di relativo declino e di rispondere alla sfida strategica posta dalla Cina per il dominio dei mari. Le sue implicazioni sono globali e sfaccettate.Per gli Stati Uniti, si tratta di un impegno monumentale che richiederà una volontà politica incrollabile, investimenti colossali e sostenuti nel tempo e la capacità di superare significativi ostacoli industriali e di formazione. Il successo non è garantito, ma l’intenzione è chiara: riaffermare la centralità americana negli affari marittimi globali.Per alleati come l’Italia, attraverso attori come Fincantieri, si aprono importanti opportunità per consolidare partnership strategiche e beneficiare della spinta agli investimenti, ma anche la necessità di navigare con attenzione nelle complessità di un’alleanza che, pur solida, è soggetta alle dinamiche interne e alla visione “America First” dell’attuale amministrazione.Per attori emergenti come l’Arabia Saudita, l’attuale fluidità geopolitica offre spazio per perseguire ambiziose strategie di trasformazione nazionale che potrebbero ridisegnare le mappe logistiche e commerciali globali, intersecandosi in modo complesso con le mosse delle grandi potenze.In definitiva, la direttiva di Trump segna l’ingresso in una nuova era di intensificazione della competizione marittima, in cui il controllo dei mari, delle rotte commerciali, delle infrastrutture portuali e della capacità di costruzione navale torna a essere un elemento centrale della grande strategia delle nazioni. Le onde generate da questa iniziativa americana si propagheranno per anni, influenzando non solo la rivalità tra Stati Uniti e Cina, ma anche le scelte strategiche degli alleati, le ambizioni delle potenze regionali e il futuro stesso della globalizzazione. Il dominio dei mari è, ancora una volta, al centro dello scacchiere globale.