Sovranità, indipendenza, autonomia: una necessità di chiarimento?_di Olivier Zajec
Sovranità, indipendenza, autonomia: una necessità di chiarimento?
Diversi anni fa, l’autore di questa rubrica ha potuto approfittare di numerose discussioni con un amministratore del Senato appassionato di questioni strategiche. Egli mi ha prontamente confidato che diversi industriali della difesa avevano preso l’abitudine di incontrarlo non appena sapevano che era in programma una relazione parlamentare sulle questioni della difesa. E spesso se ne uscivano con l’idea che ognuno dei loro prodotti, che si trattasse di un corpo missilistico, di un’unità inerziale di un drone o di una scatola di trasmissione di un carro armato, facesse parte di una capacità nazionale “sovrana”, e che quindi meritasse budget, sussidi e crediti d’imposta.
Questa confusione di termini ha esasperato il funzionario. A suo avviso, queste capacità potevano forse (e positivamente) contribuire al rafforzamento o al mantenimento dell’autonomia strategica della Francia, ma non certo alla sua sovranità. Naturalmente aveva ragione. A qualcuno verrebbe in mente di mettere in discussione la sovranità di un Paese come l’Islanda, con il pretesto che non ha né potenti industriali della difesa né un esercito?
Sovranità, indipendenza, autonomia: seguendo l’esempio della nostra precedente rubrica (1), e con il rischio che un approccio così schematico comporta sempre, è possibile semplificare – e magari dare priorità – ai termini di questo dibattito centrale, in modo da renderli punti di riferimento stabili nel ragionamento strategico?
Si potrebbe dire che la sovranità è un concetto giuridico, l’indipendenza un concetto politico e l’autonomia un concetto strategico. Mentre il primo può essere considerato assoluto (la sovranità non può essere divisa), gli altri due sono relativi. Ciò dà origine a un’interessante relazione funzionale: un livello relativo di autonomia strategica condizionerà un livello relativo di indipendenza politica (nel senso di maggiore o minore dipendenza di uno Stato da terzi), che a sua volta darà credibilità al possesso o all’ottenimento di uno status giuridico di sovranità. Il diagramma seguente formalizza queste relazioni.
È ovviamente possibile sostenere che la gerarchia di questi tre livelli semplifichi eccessivamente concetti complessi. Si può sostenere che la sovranità è innanzitutto di natura politica, una concezione che è stata efficacemente teorizzata da Bodin a Carré de Malberg: è sovrano colui che comanda senza essere comandato. Se ne avessimo il tempo (il formato di questa rubrica fortunatamente lo impedisce), ciò richiederebbe naturalmente un esame teorico più approfondito che metta in luce le interpretazioni divergenti di questo concetto. Così com’è, e nonostante i suoi limiti, questo diagramma offre comunque una serie di vantaggi interpretativi per la riflessione sulla strategia.
Distinguendo chiaramente tra sovranità e indipendenza, questo diagramma fa luce sul motivo per cui riservare il termine “grande guerra” ai conflitti armati “interstatali” (tra entità sovrane) può aver portato fuori strada i pianificatori occidentali quando, dopo la guerra fredda e dall’Afghanistan al Sahel, hanno dovuto misurare il potenziale di sacrificio e la forza di volontà di avversari un po’ troppo sbrigativamente etichettati come “irregolari”. Ripoliticizzare il concetto di indipendenza (in altre parole, ricontestualizzarlo strategicamente) mette in evidenza il fatto che il termine guerra, con tutto ciò che implica in termini di relazioni dialettiche, è perfettamente applicabile al caso di scontri armati che coinvolgono entità “non statali” – anche in modalità “maggiore” in termini di intensità, durata o danni, oltre che di volontà politica. Per un certo periodo, “Daech” ha avuto una struttura governativa, forze militari e un controllo territoriale esclusivo, che lo rendevano un attore con una relativa ma reale indipendenza politica: pur non essendo sovrano, era comunque, in termini politici e strategici, uno Stato “in statu nascendi”. Il realismo imponeva di considerarlo strategicamente come un temibile avversario.
Su un altro piano (che riguarda l’aspetto contestuale di una strategia applicata), distinguere tra sovranità giuridica e indipendenza politica può permetterci di caratterizzare meglio le conseguenze geopolitiche a lungo termine di alcuni partenariati regionali. Ad esempio, i legami tra Sri Lanka e Cina. L’affitto del porto di Hambantota da parte di Colombo a Pechino non mette in discussione la sovranità del Paese, ma solleva interrogativi sul suo grado relativo di dipendenza politica a lungo termine, che non è bilanciato o garantito da una propria autonomia strategica.
Infine, questo diagramma suggerisce di smettere di confondere costantemente “autonomia strategica” con “sovranità strategica” in certi discorsi politici, che si tratti della Francia o dell’Unione Europea. Il mantenimento di questa vaghezza semantica porta chiaramente a una mancanza di comprensione, in diversi Paesi europei, della portata e delle conseguenze del termine in questione. Tuttavia, si tratta di un termine ben scelto (più di “sovranità europea”, che non è adatto allo scopo e ignora la sua natura politica). Resta il fatto che “autonomia strategica”, senza alcuna nota esplicativa, può generare confusione. Un chiarimento concettuale permetterebbe di riposizionarla al giusto livello: non è affatto un disaccoppiamento o un indebolimento dei fini condivisi dagli alleati, ma un mezzo, a sostegno di percorsi che possono benissimo essere collettivi. Parlando di “autonomia strategica” dell’Europa, la Francia non contrappone necessariamente l’Alleanza Atlantica all’Unione Europea. Al contrario, ricercando questa autonomia strategica, ogni nazione europea rafforza liberamente ciascuna delle due strutture.
La classificazione funzionale di questi tre concetti non è una semplice questione teorica. Lo schema proposto non esaurisce certo l’argomento. Resta il fatto che rinunciare a questo lavoro di definizione potrebbe portare a contrapporre sovranità, indipendenza e autonomia. Ciò rischia di minare l’armonia tra fini, modi e mezzi, che rimane l’obiettivo teorico di ogni pensiero strategico consapevole.
Note
(1) Olivier Zajec, « Étudier la stratégie : quel cadre de réflexion ? », Défense & Sécurité Internationale, no 165, mai-juin 2023.
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